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Reich
Il Reich millenario
Esame di Stato 2006 – Liceo Scientifico Ilio Adorisio, Cirò – Candidato Francesco Palmieri
Tausendjähriges Reich Pagina 2
Deutsches Reich è stata la denominazione ufficiale dello Stato tedesco dal 1871 al 1945;
si trattava di una denominazione prettamente formale, dato che sotto il nome di "Impero
Tedesco", questa la traduzione del termine, agirono ben tre diverse strutture governative,
nell'arco di 74 anni:
• Dal 1871 al 1918 l'Impero Tedesco propriamente detto, monarchia sotto gli
Hohenzollern.
• Dal 1919 al 1933 la cosiddetta Repubblica di Weimar, che mantenne nonostante la
forma democratica la definizione di Reich.
• Dal 1933 al 1945 il cosiddetto Drittes Reich, oggetto dei successivi capitoli, per il
quale è uso comune tradurre soltanto parzialmente il nome, nella forma di “Terzo
Reich”.
Nel 1916 le sorti per la Germania nella Grande Guerra erano già segnate, ed il Comando
Supremo dell'Esercito, che aveva assunto de
facto il potere nel Paese, si mise da parte per
far sì che un governo civile potesse
intavolare trattative di pace con le potenze
dell'Intesa.
Considerato il carattere militaristico ed
ambizioso dell'Imperatore Guglielmo II di
Hohenzollern, e le ripercussioni che questo
aveva avuto sul comportamento della
Germania, oltre a sanzioni economiche e Bandiera dell'Impero Tedesco fino al 1918
Diverse furono le vicende iniziali del Partito, ma una delle più emblematiche è il famoso
Putsch della Birreria.
Potendo contare sull'appoggio di circa seicento SA, Hitler, Führer (ossia condottiero) del
movimento nazionalsocialista, fece irruzione in una grande birreria nella città bavarese di
Monaco, dove il commissario di pubblica sicurezza
locale stava tenendo un discorso di fronte a circa
tremila persone.
Sparando con un revolver contro il soffitto e
facendosi largo tra i tavoli, l'austriaco informò il
pubblico che la birreria era stata circondata dai suoi
corpi armati, che nel frattempo stavano installando
una mitragliatrice presso la porta d'ingresso.
Portò quindi in una stanza con sé il suddetto
commissario e due suoi colleghi, “i triumviri” a cui
era stata assegnata la gestione della polizia cittadina,
e gli propose di appoggiare il golpe che aveva in
Il Generale Erich Ludendorff
mente di portare avanti.
Il Führer era convinto che non avrebbero opposto resistenza, anche grazie alle minacce di
morte, ma i triumviri non accettarono l'offerta.
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Adirato, Hitler fece trarre in ostaggio anche il primo ministro bavarese, anch'egli in quella
birreria, e ordinò che degli uomini portassero lì come programmato il Generale Erich
Ludendorff, eroe della Grande Guerra, il cui prestigio doveva servire alla causa
nazionalsocialista; inoltre, telefonò a Ernst Röhm, comandante delle SA, appostato in
un'altra birreria con altri uomini, per ordinargli di prendere il controllo degli edifici
governativi. Nel frattempo, Ludendorff era giunto alla birreria, e aiutò Hitler a persuadere
i triumviri, che cedettero.
Hitler, Ludendorff e altri esponenti del
putsch, quindi, tornarono in sala, e dopo
aver cerimoniosamente dimostrato il
supporto dei triumviri, permisero il rilascio
della folla. Hitler lasciò egli stesso la birreria
più tardi. Ludendorff, lasciato in custodia dei
triumviri, però, se li lasciò sfuggire. Questi,
tornati liberi, ripudiarono ogni parola data ai
nazionalsocialisti, in quanto forzata da
minacce di morte; inoltre, l'occupazione
degli edifici governativi non fu
sufficientemente efficace. Infine, il putsch si
risolse in un grande fiasco, con diversi
esponenti, Hitler compreso, arrestati e
condannati per tradimento; in realtà,
nessuno di loro scontò molto tempo in
carcere, per via di riduzioni di pena. Hitler
stesso non arrivò neanche a trascorrervi un Adolf Hitler in prigione
anno.
Per la cronaca, Ludendorff fu prosciolto. Il tentativo di golpe fu consacrato in seguito
dalla propaganda nazista, e Hitler stesso ogni anno, la sera del 8 Novembre, tornava, da
capo di Stato, a Monaco per commemorare il putsch. Inoltre, i nove mesi di carcere
servirono a Hitler per scrivere il Mein Kampf, “la mia battaglia”, libro autobiografico
trattante gli ideali nazionalsocialisti, i cui diritti d'autore furono la fonte “legale” di fondi
più importante per Hitler.
Se c'è qualcosa che non può essere rimproverata a Hitler, è l'aver
taciuto i propri piani per la Germania. Difatti, il Mein Kampf descrive
interamente e con precisione le intenzioni hitleriane, tanto che è a
volte rinfacciato al popolo tedesco e agli analisti stranieri il demerito
di non aver fermato subito quello che nasceva come un potenziale
Distintivo del Partito pericolo per la stabilità della regione; ma su queste analisi tanto
Nazionalsocialista, col
simbolo della svastica
significative dell'importanza del Mein Kampf torneremo dopo.
Convinto di dover imparare dall'errore, Hitler decise di tentare d'assumere il potere in
maniera “legale”, tramite competizione elettorale con gli altri partiti.
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Il numero degli iscritti del Partito, fondamentali per via delle loro quote associative ai
bilanci dello stesso, crebbe, ma non in modo particolarmente impressionante. Si passò
dai 27.000 iscritti del '25 ai 49.000 del '26, ai 72.000 del '27, ai 108.000 del '28 e ai
178.000 del '29. La struttura del Partito fu peculiare, assomigliando moltissimo ad uno
stato in miniatura, a partire dalla suddivisione territoriale: la Germania era divisa per il
Partito in distretti, corrispondenti ai distretti elettorali, ognuno gestito da un gauleiter
appuntato da Hitler; i distretti a loro volta erano divisi in circoli, gruppi locali e, per le
città più grandi, cellule più piccole a livello di quartiere. Le somiglianze con uno stato,
però, non si fermavano qui.
Gli uffici politici erano divisi in due sezioni, la prima col compito di attaccare e sabotare il
governo, la seconda con quello di stabilire un vero e proprio “stato nello stato”.
Quest'ultima sezione, infatti, istituiva diversi dipartimenti ben simili a ministeri:
dipartimento dell'agricoltura, della giustizia, dell'economia, degli interni, del lavoro e, con
lungimiranza, della razza.
Il Partito istituì anche delle organizzazioni per
donne e bambini, che Hitler volle nonostante
l'opposizione di alcuni dirigenti; venne istituita la
Gioventù Tedesca per i bambini da 10 a 15 anni,
e la Gioventù Hitleriana per i ragazzi dai 15 ai
18. Per le bambine, c'era la Lega delle Ragazze
Tedesche, e altre organizzazioni culturali erano
istituite per attrarre intellettuali.
Ancora non al potere, il Partito aveva
un'organizzazione molto intricata, formata da
diverse piramidi che convergevano in un'unica
persona, Hitler, circondato dai membri del
Direttorio del Reich. Durante gli ultimi anni della
Repubblica di Weimar, gli uffici del Partito a
Monaco sembravano essere niente di meno che
gli uffici del Governo legittimo. Ragazzi della Gioventù Hitleriana
Il suo nome non giunge certo nuovo: si tratta infatti di colui che in seguito sarà
plenipotenziario del Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda, ossia il
Ministero del Reich per l'”Illuminazione del Popolo” e la Propaganda.
L'uomo, che per un attacco di osteomielite e
successiva chirurgia mal fatta era rimasto zoppo, e che
tentava spesso di passare per un veterano ferito della
Grande Guerra a cui non aveva potuto partecipare
proprio per la malattia, era uno dei pochi leader del
Terzo Reich ad avere avuto un'istruzione universitaria;
fu l'autore di alcuni libri e spettacoli teatrali, che
furono pubblicati e rappresentati però solo quando
divenne ministro della propaganda.
Inizialmente avverso ad alcuni obblighi imposti da
Hitler, divenne in seguito cieco osservante del credo
Joseph Goebbels in un ritratto ufficiale
nazionalsocialista.
Il cambio di opinione è molto evidente dai suoi diari, che sono una importantissima fonte
riguardante quel periodo.
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Il Partito, quindi, era pronto per la competizione elettorale; Hitler, come tutti i grandi
rivoluzionari, approfittò del periodo di incertezza e disappunto in cui si trovava per poter
iniziare la propria rivoluzione. Come però diversi storici hanno tenuto a sottolineare, la
rivoluzione hitleriana non precedeva la presa del potere, essendo quindi funzionale
perché questa avvenisse, come nella maggior parte delle rivoluzioni, ma la succedeva. In
pratica, non doveva accadere alcun golpe armato, né alcun tentativo di rivoluzione.
Solo giunto al potere per mezzi legali Hitler avrebbe attuato il proprio piano.
Era quindi necessario approfittare della situazione di incertezza del popolo tedesco; ma a
cosa era dovuta, questa situazione dubbia?
Gli accordi di pace successivi alla guerra avevano portato la Germania in una situazione
difficile sotto molti punti di vista, primo tra tutti quello economico: le enormi riparazioni
da pagare alle potenze vincitrici della Grande Guerra furono coperte con ingentissimi
prestiti americani, prima di essere abbuonate; gli americani stessi non avevano idea di
come i tedeschi avrebbero fatto a ripagare i prestiti, e i tedeschi dal canto loro non se ne
preoccupavano più di tanto. Il flusso di denaro però si fermò contestualmente al crollo
della borsa statunitense e dell'economia in genere nel 1929.
La Germania, quindi, che basava buona parte della sua ripresa postbellica su quei fondi,
si trovò in difficoltà enormi. Molte fabbriche minori dovettero chiudere, le maggiori
furono obbligate a licenziare centinaia di migliaia di operai, riducendo buona parte della
popolazione alla fame.
Promettere il rinnego dei trattati di pace,
l'abolizione dei prestiti e la ripresa
industriale era quindi una strategia
potenzialmente vincente. Ma le promesse
del Partito Nazionalsocialista avevano il
dono di soddisfare chiunque. Diversi agi
furono infatti promessi ai grandi industriali,
e infatti diverse decine di magnati tedeschi Una banconota da cinquecento milioni di marchi tedeschi
Né lui, né tanto meno il suo burattinaio Von Schleicher infatti avevano previsto un tale
successo del NSDAP.
L'abbondanza di voti aveva addirittura portato Hitler a riservarsi di partecipare alle
elezioni presidenziali del 1932.
Era evidente che se fosse mancato un candidato d'opposizione autorevole, Hitler avrebbe
avuto ampie possibilità di vincita; ma il candidato più autorevole disponibile si chiamava
Paul Von Hindenburg, che nel 1932 avrebbe compiuto 85 anni.
Girarono quindi nei circoli del potere alcune idee di modifica costituzionali, capeggiate
proprio da Brüning: si trattava di restaurare gli Hohenzollern.
L'idea era molto semplice: se anche Hindenburg si fosse candidato e avesse vinto nel
1932, con tutti i buoni auspici sarebbe stato difficile che, già senile, arrivasse vivo e
cosciente alla veneranda età di 92 anni, alla quale avrebbe terminato il secondo mandato.
Se fosse stato, come poi effettivamente accadde, eletto per poi morire in carica, Hitler
avrebbe potuto concorrere e forse vincere alle elezioni presidenziali anticipate che
sarebbero conseguite.
La proposta era quindi quella di revocare le elezioni pianificate per il 1932, estendere con
un voto dei 2/3 delle due assemblee parlamentari, il Reichstag e il Reichsrat, la validità
del mandato del Presidente e dichiarare con modifica costituzionale l'instaurazione della
monarchia con Hindenburg quale reggente. Alla morte di Hindenburg gli Hohenzollern
sarebbero stati restaurati sul trono con il figlio del Principe Ereditario Guglielmo, figlio
dell'ex-Kaiser omonimo: secondo Brüning, ciò avrebbe ucciso definitivamente le
ambizioni dei nazionalsocialisti.
Ma Hindenburg non poteva fare nulla del genere. Nel 1918 era stato lui, in quanto
Comandante in capo dell'Esercito Imperiale, a comunicare al Kaiser che, essendo stata
proclamata la repubblica, sarebbe dovuto partire per l'esilio, e non avrebbe mai accettato
che qualunque altro Hohenzollern salisse nuovamente al trono, se non Guglielmo II
stesso, dodici anni più giovane di lui, ancora vivo, in esilio in Olanda.
Brüning però dovette comunicare al Feldmaresciallo che diverse forze politiche si
sarebbero opposte sia ad un ritorno di Guglielmo II in persona, sia di suo figlio, sul trono,
e che l'unica possibilità erano i suoi nipoti. Hindenburg, adirato, non accettò.
Avendo alla fine il Feldmaresciallo accettato nonostante l'età di partecipare alle elezioni
presidenziali, Hitler si ritrovò dubbioso. La vittoria di Hindenburg era quasi certa. Se si
fosse candidato e avesse perso, che figura avrebbe fatto il Partito? E se non si fosse
candidato, non sarebbe stato forse un segno di debolezza?
Dopo un lungo trepidare, durante il quale neanche i suoi più stretti collaboratori,
Goebbels compreso, che racconta nel suo diario diverse sfaccettature di quei momenti,
avevano idea della decisione finale che avrebbe preso il Führer, questo si decise: avrebbe
partecipato alle elezioni.
Ma rimaneva una sottigliezza. Hitler non era tedesco.
Esattamente: Hitler aveva ripudiato la sua cittadinanza austriaca nel 1925, ma non per
questo era diventato tedesco: rimaneva apolide.
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Ma anche per questo fu trovata una soluzione: Hitler fu assunto dal governo del Land
tedesco del Braunschweig, in mano ai nazionalsocialisti, quale membro della legazione
del Braunschweig stesso a Berlino; questa mossa gli diede la cittadinanza di diritto.
La competizione fu aspra, Hitler mise in moto una gigantesca opera di pubblicizzazione,
affittando aerei e volando su e giù per la Germania, tenendo spesso due o tre comizi al
giorno a centinaia di chilometri di distanza l'uno dall'altro. Hindenburg lasciò che gli altri
facessero campagna elettorale per lui, e si riservò solo un discorso finale alla vigilia delle
elezioni, dove definì “dovere” per lui ricandidarsi, per evitare che un uomo di partito, un
estremista, diventasse Presidente della Repubblica.
La legge elettorale prevedeva un primo turno a maggioranza assoluta e, in caso non la si
raggiungesse, un secondo a maggioranza relativa. Al primo turno Hindenburg ottenne
oltre diciotto milioni e mezzo di voti, contro i neanche undici milioni e mezzo di Hitler,
ma non bastò: la percentuale di voti assegnatagli fu del 49.6%, appena sotto la soglia
della maggioranza assoluta.
Grazie agli sforzi di Hitler, il secondo turno fece salire i propri voti a quasi tredici milioni
e mezzo, ma quelli per Hindenburg diventarono quasi diciannove milioni e mezzo, un
53% che lo rielesse a Presidente della Repubblica.
Nonostante però gli sforzi immani di Brüning per assicurare la rielezione ad Hindenburg,
questo continuava a trattarlo gelidamente, e le corde dell'intrigo stavano stringendosi sul
suo collo.
Era arrivato il momento dell'entrata in azione
diretta dell'intrallazzatore di nome e di fatto, Von
Schleicher, un generale da scrivania che aveva
acconsentito ed aiutato la ricostruzione
dell'Esercito tedesco (limitato dal trattato di
Versailles a 100.000 uomini senza carri armati né
aeronautica) in nero, e l'addestramento di aviatori e
carristi tedeschi nell'Unione Sovietica. Il generale
aveva ben capito come la situazione parlamentare
fosse ingestibile, e che la migliore opzione risultava
essere aggirare il Reichstag e governare, col
consenso del Presidente, per decreto. A suo parere,
non si trattava di un abuso: il Presidente era eletto
dal popolo tanto quanto il Reichstag, e in Kurt Von Schleicher
caso questo fosse ingestibile era naturale che il Cancelliere si rivolgesse al primo. Il suoi
intrighi quindi si indirizzarono contro Brüning.
A maggio del 1932 Hindenburg convocò Brüning e gli ordinò di dimettersi. Il giorno
dopo il Cancelliere consegnò le proprie dimissioni. Nei circoli politici il nome che veniva
più ripetuto come quello del nuovo Cancelliere del Reich era Franz Von Papen.
In effetti, le voci si rivelarono fondate.
Schleicher plasmò la vecchia mente di Hindenburg perché questo nominasse l'ignoto
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Papen quale Cancelliere; il nuovo arrivato era già stato contattato dal generale, e come
aveva promesso a quest'ultimo sciolse subito il Reichstag e indisse nuove elezioni.
La consultazione del 1932 portò 230 seggi ai
nazionalsocialisti, e soli 133 a quello che ora era il
secondo partito del Reichstag, ossia il
socialdemocratico. Si trattava di un risultato
esaltante, ma ad una attenta analisi ancora
deludente. E' vero che Hitler era ormai alla guida
del più grosso partito tedesco, con 230 seggi su
608, ma è anche vero che i suoi quasi quattordici
milioni di voti erano appena il 37.4% del totale.
Si trattava comunque di un risultato sufficiente per
chiedere qualcosa di più per il suo partito.
Ovviamente non si recò da Von Papen, ma dal
burattinaio, da Schleicher, chiedendogli sia il
cancellierato per sé che il governo della Prussia
per il suo partito, promettendo al generale il Franz Von Papen
ministero della difesa; inoltre, lo informò che
avrebbe subito chiesto al Reichstag un atto che gli permettesse di governare direttamente
per decreto, o in caso contrario lo avrebbe sciolto. Ma Schleicher, sebbene fosse
sembrato condiscendente inizialmente, si rivelò contrario, e propose a Hitler di essere
solo vice-Cancelliere; Hitler, furioso, si rivolse direttamente ad Hindenburg. Ne seguì un
incontro a quattro: Hitler, Göring, Hindenburg e il segretario alla Presidenza.
E' dalle testimonianze di quest'ultimo a Norimberga che sappiamo all'incirca cosa
successe, quella sera. Hindenburg, nonostante i suoi ottantacinque anni, ascoltò Hitler e
declinò col massimo della lucidità le sue richieste di potere.
Per il Feldmaresciallo il NSDAP era un partito “nuovo, indisciplinato ed intollerante”;
quindi cominciò con un lungo elenco degli ultimi scontri tra le bande armate (è un
eufemismo, dato che le SA contavano oltre quattrocentomila membri già ai tempi) e le
forze dell'ordine. Gli chiese quindi di farsi da parte e rendersi collaborativo col nuovo
governo, che non avrebbe presieduto.
Ma il governo Papen non durò molto. L'impossibilità di formare una compagine
governativa affiatata portò ad un nuovo scioglimento del Reichstag, e alla convocazione
di nuove elezioni per il novembre del 1932.
Fu un cedimento sia per i nazionalsocialisti che per i socialdemocratici. I primi persero 34
seggi, scendendo a 196, i secondi ne persero 12, da 133 a 121. I comunisti, in
compenso, ne guadagnarono.
Il NSDAP rimaneva però forte, e Hitler inflessibile. Per Von Schleicher era arrivata l'ora di
aggiungere ai trofei anche la testa di Papen. Ovviamente, così fu. Papen rassegnò le
dimissioni il mese stesso.
A quel punto, Hindenburg chiamò Hitler, e gli propose due alternative.
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Ma le suddette reti di intrigo e tradimento si stavano riunendo. Hitler era ora in contatto
sia con Papen che con Oskar Von Hindenburg, e nel frattempo Schleicher si era rivelato
un poco di buono, sulla poltrona da Cancelliere. Infatti, se pochi mesi prima Papen non
era in grado di avere una maggioranza nel Reichstag e chiedeva ad Hindenburg di poter
governare per decreto, con l'opposizione di Schleicher che si dichiarava una buona
alternativa, ora era Schleicher che chiedeva esplicitamente ad Hindenburg di “mandare a
casa” il Reichstag e non convocarlo più, per poter governare in una sorta di dittatura, con
Papen che invece in seguito agli accordi precedentemente presi prometteva al Presidente
di poter trattare con Hitler per una maggioranza in parlamento.
Scrisse Goebbels sul suo diario: “Schleicher cadrà a momenti, lui che ne ha fatti cadere
tanti!”.
Infatti, il 28 gennaio Schleicher si dimise; il Presidente aveva scelto la linea di Papen.
Hindenburg, nell'accettare le dimissioni, disse: “Ho già un piede nella tomba, e non so se
in paradiso dovrò rimpiangere di averlo fatto”. Schleicher rispose, gelido: “dopo questa
mancanza di fiducia, signore, non sono così sicuro che lei andrà in paradiso”. E così si
congedò per sempre dalla Storia, che lo menziona appena, se mai lo fa, nella
maggioranza dei libri, e che solo in alcune fonti pregiate, come quelle a cui fa riferimento
questo saggio, appare in tutte le sue sfaccettature da manovratore.
Ma prima di svanire, il generale pianificò,
sebbene senza arrivare ad agire, di
mobilitare la guarnigione militare di
Potsdam, a poco più di 20km da Berlino, per
organizzare un golpe militare. Il NSDAP, che
era più che mai vicino alla Cancelleria,
stavolta ironicamente doveva difendere la
Repubblica e, sebbene si rivelò poi un falso
allarme, Hitler chiese la mobilitazione
istantanea di tutte le SA berlinesi e chiamò i
suoi contatti nella polizia perché ne fossero
mobilitati una mezza dozzina di battaglioni. Hitler e Hindenburg
Il primo atto della solenne tragedia del Terzo Reich coincide con l'ultimo atto della
Repubblica di Weimar.
L'accordo tra Hindenburg e Hitler riguardo il cancellierato di quest'ultimo si basava sul
presupposto di un governo parlamentare; Hitler, cioè, doveva costituire una maggioranza
nel Reichstag che lo supportasse. Poche ore dopo il giuramento si riunì il primo
gabinetto, ma era evidente che non si sarebbe potuta formare una maggioranza senza il
supporto dei partiti centristi. Hitler, la cui vera ambizione era ripetere il cliché
fondamentale di questo racconto, sciogliere il Reichstag per l'ennesima volta, fece in
modo di non raggiungere un accordo coi centristi. Hindenburg sciolse il Reichstag, e
convocò nuove elezioni.
Le elezioni del 1933 sono le ultime ad essere trattate in questo saggio, semplicemente
perché furono le ultime elezioni democratiche a tenersi prima del 1949, quando ormai il
Reichstag era diventato Bundestag (“dieta federale”, il nome della camera bassa del
parlamento tedesco del dopoguerra; Reichstag sta per “dieta imperiale”).
Stavolta, però, il principe della propaganda del NSDAP, Joseph Goebbels, poteva
tranquillamente attingere alla cuccagna. Difatti, in occasione dell'ultimo atto della
Repubblica, avendo il Partito ormai accesso ai fondi governativi, con Hitler alla
cancelleria, Goebbels non aveva più restrizioni di budget, e potette dirigere un
capolavoro memorabile di propaganda: i mezzi di comunicazione del Reich erano tutti
per lui, e le SA erano pronte ad intimidire il popolo votante.
Se Goebbels era intento a plasmare la mente popolare, Hitler conferì segretamente con i
maggiori industriali tedeschi per informarli che una volta ottenuto un governo stabile
avrebbe non solo eliminato la minaccia marxista, ma anche iniziato il riarmo della
Wermacht, le forze armate tedesche, cosa che avrebbe fatto guadagnare ingenti
commissioni a molte grosse industrie.
Nel frattempo, Hermann Göring era stato
appuntato ministro degli interni della
Prussia, il più grande degli stati federati
tedeschi, e quello a cui faceva capo Berlino.
Göring rinforzò il potere della polizia e
ordinò a questa due linee da seguire: evitare
gli scontri con le SA e le SS, e tenere
sott'occhio ogni tentativo di rivoluzione
politica. In pratica anche questo fu a fini
elettorali, infatti un raid della polizia nella
sede del Partito Comunista portò al
ritrovamento di volantini e materiale
informativo che auspicava una rivoluzione
filo-russa. Hermann Göring
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Göring annunciò immediatamente al paese il tradimento dei comunisti, ma ciò fece poco
scalpore. Le elezioni erano state pianificate per il 5 marzo 1933.
La sera del 27 febbraio, Von Papen stava cenando, secondo il suo diario, con Hindenburg;
contemporaneamente Hitler stava cenando con Goebbels, secondo il diario di
quest'ultimo. Papen e Hindenburg si trovavano in un locale molto vicino al Reichstag,
quando d'un tratto dalle finestre penetrò una luce rossastra. Il personale del locale gridò
che il Reichstag era in fiamme. Contemporaneamente una telefonata giunse a Goebbels a
riguardo, ma questo non lo disse al Führer, credendo in un falso allarme. Mentre Papen e
Hindenburg erano corsi in auto davanti all'edificio, Goebbels si ricredette, fece un giro di
telefonate e, appreso che in effetti il Reichstag stava bruciando salì con Hitler in macchina
e corse verso il luogo del misfatto. Quando Hitler arrivò, Göring era già lì ad imprecare. A
suo parere era l'inizio della rivoluzione comunista, e andava fermata subito; gridò al cielo
che ogni comunista in giro andava sparato a vista e che i membri del Reichstag del partito
comunista dovevano essere impiccati.
Nessuno saprà mai la verità riguardo l'incendio del
palazzo del Reichstag, neanche i processi di
Norimberga rivelarono nulla di definitivo. Però è
quasi certo che furono gli uomini di Hitler ad
appiccare l'incendio, sfruttando una incredibile
coincidenza: le SA appresero, mentre pianificavano il
rogo, che un tale giovane comunista olandese,
Marinus van der Lubbe, stava progettando anch'egli
di appiccare un piccolo incendio al Reichstag.
Van der Lubbe fu così accusato di aver incendiato il
Parlamento, e i comunisti tutti con lui; il ragazzo fu Il Reichstag in fiamme
In realtà, i 340 seggi erano sufficienti ad ottenere la maggioranza semplice nel Reichstag,
utile per approvare leggi ordinarie, ma le leggi straordinarie necessarie ad Hitler per
modificare la costituzione e imporre la dittatura richiedevano una maggioranza dei due
terzi, ossia 432 voti. Niente che non si potesse risolvere coll'arresto dei deputati
comunisti.
Cosa avrebbe fatto Hitler con i due terzi del Reichstag dalla sua parte? Avrebbe approvato
una legge costituzionale che avrebbe permesso al suo governo di agire senza il consenso
del Reichstag, in pratica scavalcandolo e privandolo delle sue funzioni.
Ma dove si sarebbe dovuto riunire, questo nuovo Reichstag, se il suo edificio era per
buona parte in ceneri? La propaganda di Goebbels non fallì, in questo senso.
Il 21 marzo la prima sessione del Reichstag presieduto da Hitler si riunì nella Chiesa della
Guarnigione a Potsdam. La scelta rievocava la grandezza imperiale tedesca: il 21 marzo
del 1871 Bismarck aveva inaugurato la prima sessione del Reichstag dell'Impero Tedesco,
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e in quel luogo risiedevano le ossa di Federico il Grande, oltre che grandi cimeli della
tradizione Imperiale. Hindenburg, che aveva sempre venerato quei posti, era visibilmente
scosso alla cerimonia, e fu scorso in lacrime, con l'elmo in una mano e il bastone da
Feldmaresciallo nell'altra.
Il 23 marzo, il Reichstag si riunì al teatro dell'opera di Berlino. Hitler presentò l'Atto di
Abilitazione prima menzionato, col nome ufficiale di Gesetz zur Behebung der Not von
Volk und Reich, “legge per la rimozione dell'afflizione dal popolo e dal Reich”.
Per completezza, ecco il riassunto dell'Atto (che già di per sé è estremamente sintetico):
• Le leggi avrebbero potuto essere promulgate oltre che per l'iter parlamentare
esistente, anche direttamente dal Governo del Reich.
• Le leggi avrebbero potuto deviare dalle direttive costituzionali purché non
ledessero i diritti del Presidente, del Reichstag o del Reichsrat.
• I trattati internazionali potevano essere gestiti interamente dal Governo del Reich,
senza approvazione legislativa.
L'Atto fu messo ai voti. L'assemblea contava in totale 566 astanti, visto e considerato che
gli 81 comunisti erano stati banditi ed arrestati. Di questi, 441 votarono a favore e 125 (i
socialdemocratici) contro; l'Atto di Abilitazione era in vigore.
I deputati nazionalsocialisti si alzarono in festa, e intonarono assieme alle SA che
sorvegliavano l'assemblea l'Horst Wessel Lied, che sarebbe diventata presto inno
nazionale tedesco insieme a Deutschland über alles.
<<Bald flattern Hitlerfahnen über allen Straßen, die Knechtschaft dauert nur noch kurze
Zeit!>>
<<Presto le bandiere di Hitler sventoleranno su ogni strada, e la schiavitù durerà ancora
per poco!>>.
Così recitava un verso dell'inno; nessuno può dubitare dell'avveramento della prima
profezia; è da chiedersi piuttosto cosa intendessero nel NSDAP per “liberazione dalla
schiavitù”.
Immediatamente il Governo utilizzo nuovamente l'avvenuta abolizione del habeas corpus
per arrestare i socialdemocratici che avevano votato contro l'atto. Molti altri partiti si
sciolsero autonomamente prima che venissero presi provvedimenti contro di loro.
A quel punto, la Prima Legge di Sincronizzazione (Gleichschaltung) dava ai governi dei
Länder (gli stati federali) lo stesso potere conferito al Governo del Reich dall'Atto di
Abilitazione.
La Seconda Legge di Sincronizzazione inviò in ogni Land un proconsole che agisse da
rappresentante del governo; lo stato della Prussia, il più grande, ebbe come proconsole
direttamente Göring.
Mettendo i Länder sotto il controllo del Reich Hitler aveva osato quello che neanche
Bismarck era riuscito a fare: privare la centenaria struttura federale sminuzzata
tedesca del proprio potere e, finalmente, per la prima volta nella storia, unificare
davvero la Germania. Come dichiarò esplicitamente il ministero degli interni, da allora
i Länder altro non sarebbero stati che semplici corpi amministrativi del Reich.
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I due vecchi amici, Röhm era l'unico uomo del Partito a cui Hitler desse del du, il “tu”
italiano, dovevano infine scontrarsi.
Quando Hitler fondò il “Consiglio per la Difesa del Reich”, con lo scopo segreto di
riarmare la Germania, e abolì la norma che rendeva i militari soggetti alle corti civili, il suo
consenso tra le file dell'Esercito aumentò enormemente; Röhm divenne, con un
contentino, membro del Consiglio, assieme a
Rudolf Heß, quest'ultimo una figura prominente
nel Partito, tanto che era stato nominato
sostituto-Führer.
Hitler ribadì che il compito dell'Esercito era
difendere lo Stato tedesco dagli invasori, il
compito delle SA invece era difendere lo stato
Nazionalsocialista e la sua esistenza dagli
aggressori interni.
La situazione internazionale della Germania, nel
frattanto, era, in una parola, pessima: isolata e
disarmata, doveva trovare un nuovo spazio
nell'ordine mondiale. Ernst Röhm
Reich di votare per il passaggio dell'ufficio di mio padre al Führer e Cancelliere del Reich”.
E' curioso che poco tempo dopo Hitler ordinò la promozione di Oskar Von Hindenburg da
Colonnello a Generalmajor, all'incirca l'equivalente di un Generale di Brigata.
Dalle testimonianze di Papen a Norimberga sappiamo comunque che se è vero che
Hindenburg nel suo testamento avesse apprezzato alcuni successi del NSDAP, in realtà la
sua volontà sarebbe stata la restaurazione della monarchia, non la successione da parte
di Hitler; questo ebbe fortuna in quanto Hindenburg decise alla fine di non far cenno alla
monarchia nel testamento ma di nominarla solo in una lettera privata ad Hitler, che
ovviamente la ignorò e non la pubblicò.
Alle urne del referendum si recò il 95% degli aventi diritto, e di questi il 90% approvò
l'unione degli uffici. “Il modo di vita tedesco è stato determinato per i prossimi mille anni.
L'Età dei Nervi, il diciannovesimo secolo, si è chiuso con noi. Non ci saranno altre
rivoluzioni in Germania per i prossimi mille anni!”.
Da questo proclama di Hitler nasce il mito del Tausendjähriges Reich, il Reich Millenario
che ha dato il titolo a questo saggio.
Il nuovo Reich tedesco, il Reich millenario, nasceva dalle ceneri della Repubblica di
Weimar e si rialzava su una struttura di sfarzo colossale, simbolo delle vecchie tradizioni.
Adolf Hitler era un ammiratore dell'antica Roma nel complesso, sebbene fosse conscio
che il suo popolo fosse sempre stato considerato “barbaro” e non romanizzato.
Nonostante ciò, fece ricostruire la Germania seguendo stili neoclassici, che rievocassero
la potenza del passato.
La politicizzazione dell'antichità, però, non era tanto facile per Hitler come per Mussolini.
Il Duce italiano poteva rievocare in maniera tangibile le glorie del passato Impero, mentre
il Führer tedesco doveva appoggiarsi a presunte discendenze, create a scopo di
propaganda, dei tedeschi dai greci e dai romani stessi.
L'architettura del Terzo Reich è strettamente connessa al concetto di Reich Millenario. Un
Reich che sarebbe dovuto durare mille anni e che avrebbe dovuto espandersi fino ad
assoggettare l'intera Europa, se non di più, avrebbe dovuto possedere strutture degne di
essere i templi del nuovo ordine mondiale.
Nel frattempo, comunque, il Terzo Reich doveva agire in maniera tangibile su Berlino e
sulla Germania, perché la propria mano e la propria azione fossero decisamente visibili al
popolo tedesco; da sempre, mai opera fu più grandiosa di quella architetturale.
L'architettura non ha la sola funzione di abbellire, ma anche quella di plasmare un'epoca
e le menti degli abitanti della stessa: per la costruzione del Reich, era esattamente ciò di
cui si aveva bisogno.
A differenza del regime comunista sovietico, il regime hitleriano era aperto ai turisti, e ai
visitatori. Questi, molto spesso, provenienti da nazioni democratiche, esprimevano la
propria soddisfazione per il trattamento subito in Germania, ed esaltavano le strabilianti
Tausendjähriges Reich Pagina 24
modifiche apportate dal Terzo Reich. Viceversa, il NSDAP non aveva paura che i cittadini
tedeschi, giunti all'estero, in nazioni democratiche, potessero tornati in patria essere
pericolosi: un tedesco poteva liberamente espatriare così come uno straniero essere
turista in Germania.
Quale fosse il reale senso artistico di Hitler è stato più volte oggetto di analisi. Molti
erano gli architetti e le strutture che ammirava particolarmente, e qui è proposta una
breve ed incompleta rassegna a puro scopo d'esempio:
• I teatri progettati dagli architetti austriaci Hermann Helmer e Ferdinand Feller,
come ad esempio il Teatro Nazionale Croato a Zagabria:
• Gli edifici del danese Theophil Freiherr von Hansen, come il Reichsrat a Vienna:
Speer aveva buon diritto per parlare riguardo i gusti di Hitler; l'uomo, infatti, fu non solo
il capo architetto del Terzo Reich, ma secondo molti, e non a torto, l'unica persona che
Adolf Hitler considerasse davvero un amico.
Nato in una famiglia di architetti, Speer inizialmente non si lasciò coinvolgere dalla
politica, ma i discorsi hitleriani dei primi anni '30 lo lasciarono stupefatto e lo fecero
iscrivere al NSDAP.
Fu notato subito da Goebbels, che gli commissionò l'organizzazione dei siti per le prime
parate di Partito ad alta affluenza; il lavoro dell'architetto fu tanto magnificente che fu
presentato direttamente a Hitler.
Alla morte di Paul Troost, il precedente architetto prediletto di Hitler, Speer fu nominato
capo architetto del Partito. Con Hitler progettò per nottate intere la nuova Berlino,
capitale del Reich e dell'intera Europa, e Hitler gliene affidò la creazione; a parere del
Führer, il mondo sarebbe stato in pace sotto il dominio tedesco per il 1950, e Berlino
sarebbe dovuta esser pronta per allora.
Le immagini seguenti si riferiscono alle parate organizzate da Albert Speer per il NSDAP,
e se non fossero sufficienti per dimostrare la magnificenza dello stile architetturale del
Reich si rimanda il lettore al Triumph des Willens, film propagandistico girato per Hitler
da Leni Riefenstahl, la maggiore regista tedesca del tempo, che raffigura una parata in
svolgimento e lo strepitoso effetto delle centinaia di migliaia di persone che vi
parteciparono.
Tausendjähriges Reich Pagina 27
Lo stile adottato da Speer per i suoi altari, su consiglio probabilmente di Hitler, fu quello
dorico, con riferimento all'Altare di Pergamo, sebbene massimizzato. La Cattedrale di
Luce, prima foto della pagina precedente, che fu chiamata Cattedrale di Ghiaccio
dall'ambasciatore britannico a Berlino, fu ottenuta utilizzando centotrenta grossi fari
utilizzati dall'Esercito con ruolo antiaereo per costruire un duomo immaginario attorno al
sito della parata.
Tornando ai gusti di Hitler, si può dire che alla fine non fossero comunque ben precisi, e
di conseguenza non erano ben precise le regole architettoniche del Reich.
Fondamentalmente, si potrebbe descrivere il tutto come un neoclassico “allargato,
moltiplicato, alterato ed esagerato”, a detta di Speer, fino a toccare il grottesco in alcuni
casi.
L'architettura del Reich si può dire avesse tre funzioni: pratica, simbolica e didattica. Ad
esempio, il Museo dell'Arte Tedesca era sì funzionalmente un museo, ma doveva essere
simbolicamente costruito secondo stili “ariani”, e doveva essere un, essendovi contenuta
la sola arte accettabile nel Reich. La grandezza trionfale dell'architettura di Speer era un
evidente simbolo della superiorità dello Stato rispetto al piccolo individuo, concetto
cardine del nazionalsocialismo.
Uno dei punti in cui si incontravano perfettamente la visione di Hitler e la visione di Speer
era la Teoria delle Rovine.
Se oggi dovessimo pensare agli antichi egizi, ci verrebbero in mente le Piramidi, la Sfinge;
ai greci, il Partenone; ai romani, il Colosseo, o i Fori Imperiali. Quello che rimane della
grandezza degli Imperi dopo millenni sono le rovine. Da qui la volontà di Hitler e Speer di
costruire gli edifici più maestosi ed importanti non basandosi soltanto sul metallo e sul
cemento armato, che non avrebbe prodotto nei millenni delle rovine monumentali, ma
bensì sulla pietra, che era evidentemente sia funzionale nel presente, che potenzialmente
educativa per i posteri.
Rincontreremo Albert Speer, che fu condannato poi a venti anni proprio durante processi
di Norimberga, dove le sue parate venivano svolte, e che uscito di prigione scriverà alcuni
tomi sull'argomento della sua amicizia con Hitler e delle opere che insieme avevano
progettato di costruire, più avanti in qualità di Ministro degli Armamenti.
La più grande occasione di esposizione della propria magnificenza arrivò per il Reich nel
1936. Nel 1931 infatti il Comitato Olimpico Internazionale aveva scelto Berlino come sede
dei Giochi Olimpici del 1936, undicesima edizione estiva. Se gli ultimi governi della
Repubblica di Weimar non avevano dato particolare peso all'evento, la propaganda
nazionalsocialista non si fece sfuggire l'occasione. Hitler ordinò quindi la costruzione di
un gigantesco complesso olimpico, al centro del quale sarebbe dovuto sorgere il nuovo
Olympiastadion berlinese. La costruzione si protrasse tra il 1934 e il 1936; ad essere
costruiti furono l'Olympiastadion propriamente detto, con una capacità di 110.000
persone e un palco apposito per il Führer e le autorità di Partito, e il Maifeld, una
struttura per dimostrazioni ginniche, con capacità di 250.000 persone. Adornavano il
tutto numerosi edifici secondari per ospitare i più svariati sport.
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La seconda foto, essendo stata scattata dopo la guerra, non mostra più le svastiche che
durante le olimpiadi del 1936 superavano in numero i cerchi olimpici.
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La magnificenza che traspariva dall'architettura non poteva mancare di farlo anche dalla
pittura e dalla scultura.
La pittura e la scultura del periodo sono definiti a volte come “realismo eroico”, come
derivazione del realismo romantico: con questa definizione si può indicare un tipo di arte
in cui si raffigura un qualcosa contemporaneamente come potrebbe e dovrebbe essere.
La prima condizione, il poter essere, è necessaria per ottenere una pittura realistica,
mentre la seconda, il dover essere, è una visione morale e didattica. Non si tratta di una
fantasia, di un mondo utopico popolato da chimerici uomini perfetti, ma da modelli
applicabili al mondo reale.
Da qui lo sviluppo in realismo eroico, tipico del regime nazionalsocialista e della sua
propaganda; il realismo eroico aggiunge a quello romantico il concetto di razza,
comprendendo quindi arte che oltre ad avere caratteristiche di realtà e possibilità sia
anche razzialmente pura, libera da ogni distorsione e corruzione, a differenza delle
correnti moderne d'avanguardia, che deviavano dalla bellezza classica. A dire di coloro
che supportavano le teorie razziali, un individuo di razza pura avrebbe prodotto arte
razzialmente pura, e l'arte inferiore sarebbe derivata da individui di razza inferiore.
Tausendjähriges Reich Pagina 30
Tutta l'arte non conforme agli standard di realtà, moralità, purezza razziale e della
tecnica, era per il regime “arte degenerata”. La propaganda arrivò a confiscare tutte le
opere presenti in musei pubblici tedeschi e considerate degenerate, per poterle vendere o
relegarle in appositi musei, atti al pubblico ludibrio.
I primi anni del ventesimo secolo avevano apportato novità consistenti all'arte figurativa,
con avanguardie quali il dadaismo, il surrealismo, il simbolismo e il cubismo; si trattava
di opere non universalmente apprezzate, però. In Germania, ad esempio, la maggior
parte della popolazione le trovava elitarie ed incomprensibili.
Le dottrine propagandistiche del NSDAP furono particolarmente avverse alle avanguardie,
sia per un rispetto generico del classicismo, sia per poter usare a fini politici la cultura: fu
spesso accostata infatti l'avanguardia e l'arte indecifrabile ad un prodotto giudaico.
I musei di arte degenerata contenevano diversi generi di opere, di cui si propone una
rassegna esemplificativa, con opere (in ordine) di Dix, Ernst, Kandinsky e Munch:
Tausendjähriges Reich Pagina 31
Così come il regime nazista si intromise nella questione artistica per poterla plasmare ai
propri fini, non mancò di agire anche su quella religiosa. Nel 1933 Hitler firmò un
concordato tra il Reich tedesco e la Chiesa Cattolica, che di recente aveva, grazie alle
concessioni del governo Mussolini in Italia, ottenuto un proprio piccolo territorio sui cui
essere sovrana. In realtà, la visione nazista auspicava una nuova società e una nuova
umanità, che avrebbe ripudiato ogni tipo di messaggio religioso o di solidarietà che si
estendesse oltre le frontiere della nazione o dell'etnia.
L'aspetto mistico nel Terzo Reich è evidente
nell'analisi dei congressi di partito o delle
celebrazioni pubbliche, rituali dall'elaborato
simbolismo quasi sacro, in cui il culto del
Führer sostituiva in un disegno
paganeggiante quello di Dio. Anche le
festività del calendario furono modificate,
accostando quelle proprie del
nazionalsocialismo a quelle pretese dalle
comunità cristiane locali: alle usuali feste
religiose si aggiunsero la presa di potere del
nazionalsocialismo (30 gennaio), la
promulgazione del programma di partito (24
febbraio), la commemorazione degli eroi (16
marzo), il ricevimento della Gioventù Achille Ratti, papa Pio XI dal 1929 al1939
Hitleriana (ultima domenica di marzo), il compleanno del Führer (20 aprile), la festa
nazionale del popolo tedesco (1 maggio), il solstizio d'estate (21 giugno), la festa del
Partito del Reich (inizi di settembre) e diverse altre.
Il concetto prettamente nazionalsocialista
della superiorità della razza rispetto ad ogni
questione etica, e delle responsabilità di
lotta tra razze nella Storia mondiale, era
ovviamente in netto contrasto con le
religioni cristiane; difatti, Hitler stesso, e
molti altri, erano atei, mentre gente come
Rosenberg o Heß praticava culti neo-pagani
a sfondo nordico. Il fatto che i più
importanti esponenti del NSDAP non fossero
cattolici ebbe importanti conseguenze: il
regime proibì infatti la contestuale
appartenenza di un cittadino tedesco a
Alfred Rosenberg organizzazioni di Partito e cattoliche.
Tausendjähriges Reich Pagina 34
Non appena il regime nazista prese il potere nel 1933, squadriglie di SA seminarono il
caos negli quartieri ebraici. La pessima risposta a questi disordini sia sul fronte interno
che internazionale però fece sì che il Partito richiamasse all'ordine le SA, in modo da
legalizzare nel frattempo la segregazione degli israeliti. Già nel 1933, legislazioni ad hoc
permisero la radiazione dagli albi professionali, tra cui quello forense e quello medico,
degli iscritti ebrei, e lo Stato licenziò tutti i propri addetti razzialmente inferiori.
Nel 1935 furono promulgate le Leggi di
Norimberga, che assegnavano la
cittadinanza tedesca (e relativi benefici) solo
alle persone di razza ariana, escludendone
del tutto gli ebrei. Inoltre, i matrimoni misti
tra ariani ed ebrei furono proibiti;
l'identificazione dell'ebreo fu stabilita in
base alla parentela, e colui con tre o quattro
nonni ebrei sarebbe stato considerato ebreo.
Chiunque avesse uno o due nonni ebrei,
sarebbe stato considerato ebreo in base alla
propria inclinazione presunta (ad esempio,
in base alla religione professata).
Ma i notevoli studi del governo per trovare
un'identificazione biologica certa di queste Uno stereotipo di ebreo con monete sanguinanti in mano,
“razze inferiori” furono dei fallimenti: non simbolo di usura, un frustino e l'Unione Sovietica
sotto braccio. Il testo assomiglia all'alfabeto
c'era un gruppo sanguigno, un odore, una ebraico e significa “l'eterno ebreo”.
forma del piede, della mano, o del naso, che potesse distinguere con certezza un ebreo.
Perciò, la segregazione si basò soprattutto sugli stereotipi culturali che infangavano il
nome dei giudaici.
Ma perché?
La persecuzione degli ebrei è spesso
rintracciabile nei secoli, e dipende
fondamentalmente dalla diaspora. La
creazione di nuclei ebraici fuori da Israele,
ostinati a mantenere le proprie tradizioni e a
far bandiera della propria lingua e della
Schema indicante i vincoli di parentela necessari propria etnia, rese difficile l'integrazione coi
per essere individuati quali “ebrei” secondo le
leggi di Norimberga.
popoli ospitanti.
Sebbene però la persecuzione ebraica, anche dovuta all'accusa di deicidio spesso portata
avanti dagli ambienti cattolici, e della quale gli ebrei saranno assolti solo dal Concilio
Vaticano II, sia presente da tempi immemori, mai come alla fine del diciannovesimo e
all'inizio del ventesimo secolo fu applicata sistematicamente e con orribile crudeltà.
La persecuzione delle minoranze sarà oggetto, nella sua terribile atrocità, più
approfondito di un capitolo successivo, Se questo è un uomo, a cui si rimanda.
Tausendjähriges Reich Pagina 36
Una delle opere pseudo-filosofiche a cui si rifà maggiormente la politica del Terzo Reich
è Der Mythus des zwanzigsten Jahrhunderts, il “mito del ventesimo secolo”, di Alfred
Rosenberg, importante esponente del NSDAP.
Il tema portante del Mythus è quello di un dio, pagano, che crea sì l'umanità, ma già
divisa in diverse razze, non avendo quindi un rapporto né col singolo individuo, né con
l'umanità intera. E' la razza ad avere un'anima, non l'uomo, né tanto meno l'umanità.
Rosenberg si rifà ad altre teorie razziali, tra cui quelle dell'inglese Houston Stewart
Chamberlain, uno dei primi ad esaltare nel senso poi adottato dai nazionalsocialisti la
razza ariana. Il concetto di “ariano”, infatti, si estende secondo Chamberlain ben più in là
della linguistica, uno dei pochi campi in cui era stato applicato fino a quel momento, fino
a comprendere una razza superiore sul punto di vista morale, intellettuale e fisico
rispetto alle altre; la razza ariana di Chamberlain comprende gli inglesi, i tedeschi, gli
scandinavi e altre popolazione nordiche di possibile discendenza iranica.
Nella concezione tedesca, ovviamente, si venne a creare non solo il concetto di “razza
superiore”, quella ariana, ma addirittura di “razza superiore nella razza superiore”, ossia i
tedeschi, superiori rispetto agli altri ariani. Diversi sforzi furono fatti per poter applicare a
più concetti possibile il razzismo ariano, addirittura immaginando che il Gesù ebraico
descritto usualmente fosse sì giudaico di religione, ma ariano di razza, proveniente cioè
da una qualche cellula nordica presente in Galilea.
Il risultato, era la volontà di instaurazione del cosiddetto “cristianesimo positivo”, che
faceva netta differenza tra il Gesù “divino” dei vangeli ed il nazareno reale, un ariano che
avrebbe combattuto i semitici locali.
Particolari sforzi furono inoltre fatti per permettere la diffusione e la conoscenza dei
Protocolli dei Savi di Sion, un testo in circolazione da alcuni decenni che nel 1937 irruppe
sul panorama italiano con la traduzione del pensatore Julius Evola e giunse poi in
Germania, dove diventò libro di testo scolastico. I Protocolli, che già nel 1921 erano stati
decretati dal Times e da altre fonti come dei falsi appositamente disegnati per screditare
gli ebrei, avevano come tema principale è una presunta volontà di “conquista del mondo”
da parte del movimento sionistico, che tramite la democrazia, coronata da libertà di
stampa ed espressione, da suffragio universale e da supervisione dei diritti umani, in
realtà avrebbe istituito un governo globale gestito occultamente dagli ebrei.
Il Julius Evola appena nominato, sebbene conosciuto molto vagamente in genere, fu un
pensatore Italiano del ventesimo secolo, i cui testi furono usati più volte dopo la guerra
come fondamenta per i movimenti neofascisti. Attaccò violentemente il cristianesimo,
supportando tradizionali visioni pagane, oltre che idee aristocratiche fermamente
contrarie alla politica di massa tipica dei fascismi e del comunismo; tentò di influenzare il
fascismo italiano per portarlo sulla via della tradizione aristocratica, ma senza successo.
Particolarmente caratterizzante il lavoro di Evola, ed estremamente compromettente dopo
la guerra, fu il carattere prettamente razzista del filosofo italiano. Convinto della volontà
degli ebrei di controllare il mondo, tramite la finanza e il controllo dei media, tradusse i
Protocolli in Italiano, nonostante le critiche sulla loro autenticità.
Tausendjähriges Reich Pagina 37
Sebbene non fu antisemita nel senso tipico del termine, rimase dell'avviso che la razza
ebrea era ben distante dai valori tradizionali degli ariani, fede, lealtà, coraggio, devozione
e costanza. Fu sostenitore del razzismo in quanto modo di discernere diverse “qualità” di
esseri umani non per caratteri biologici, e per questo attaccò violentemente il nazismo,
ma bensì spirituali.
La cultura, secondo il Mythus e opere simili, tra cui quelle evoliane, è dipendente dalla
razza, e rimane pura finché questa è pura.
Mescolanze di razza portano ad un degrado della cultura, oltre che ad un declino
inevitabile del popolo: l'impero romano cadde anche e soprattutto per l'imbastardimento
della cultura, avvenuto con libere mescolanze coi popoli conquistati e barbari. Il regime,
per usare metafore proprie di Rosenberg, avrebbero dovuto rimuovere dalla Germania
malata il problema ebraico esattamente come un chirurgo rimuove dal corpo infermo un
cancro.
Rosenberg fu “filosofo” del Reich in ogni salsa; oltre che sviluppare le pseudo-teorie
razziali, fu anche l'autore di diverse altre speculazioni irreali sulla genesi della razza
ariana in sé, ad esempio quella della migrazione, che se solo non sapessimo fosse stata
presa come valida da alcuni ai tempi, non può che parere assolutamente folle: gli ariani,
emigrati da Atlantide, sarebbero giunti per il Nord Africa in Persia ed in India, fino ai
Greci e ai Latini, a cui sarebbe seguita la migrazione dei teutoni verso l'Europa
occidentale. Questa razza, pura da contaminazioni, si contrappone invece alle razze
“semitiche”, la cui definizione esatta è ovviamente inesistente, visto che in teoria
dovrebbe comprendere anche molti altri popoli che parlano lingue semitiche, arabi
compresi, ma che generalmente si riducono alla singola “razza ebraica”. Il regime nazista
politicizzò la cosa rendendo “razza inferiore” a tutti gli effetti anche quella slava,
nonostante nel Mythus Rosenberg li elevi a razza ariana, sebbene inferiore ai germanici.
Il trattamento degli slavi russi e polacchi da parte delle autorità d'occupazione fu infatti
motivo di lamentele da parte di Rosenberg, che però non si pronunciò sullo sterminio
degli ebrei: il suo accondiscendere fu gravemente preso in considerazione a Norimberga,
e portò alla sua condanna a morta per impiccagione nel 1946.
Il riferimento a posti sperduti ed inesistenti, oltre che ad Atlantide anche a Thule,
Shambala, o Hyperborea, è presente più volte negli scritti relativi al misticismo del Reich,
e serve a rafforzare, paradossalmente, trattandosi di collegamenti assolutamente
inventati, le teorie della purezza della razza ariana.
Particolarmente legato al misticismo pagano fu Heinrich Himmler, le cui SS, secondo molti
analisti e diverse prove, furono al centro di ampi rituali neo-pagani. La follia di queste
credenze portò il governo tedesco a finanziare delle spedizioni per la ricerca in Asia delle
origini degli ariani. Sebbene ciò possa sembrare totalmente fuori dal mondo, risulta ben
poco se paragonato alle insistenti voci su finanziamenti del Terzo Reich per la ricerca del
famoso Sacro Graal, o per l'appropriazione della Lancia di Longino.
Le terribili contraddizioni del Reich, la contrapposizione tra il paganesimo e il culto
nordico da un lato, la ricerca di reliquie cristiane e di collegamenti tra il cristianesimo e
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La lingua tedesca è la più pura e la più originale, e sotto il dominio tedesco sarebbe
sbocciata una nuova era. Alcune di queste idee sono nettamente rintracciabili nel Mein
Kampf di Hitler.
Alla morte di Fichte, nel 1814, all'Università
di Berlino gli succedette Georg Wilhelm
Friedrich Hegel. La sua mente fu sottile e
penetrante, la sua dialettica ispirò Marx e
Lenin, e quindi contribuì alla nascita del
comunismo, e la glorificazione dello Stato in
quanto entità suprema nella vita umana fu
utile alla nascita del Secondo e del Terzo
Reich. Nei diversi discorsi a favore dell'entità
Georg Wilhelm Friedrich Hegel statale Hegel la definisce come la “più alta
rivelazione dello Spirito” e gli attribuisce il “diritto supremo sull'individuo, il cui dovere
Tausendjähriges Reich Pagina 40
Questo aveva detto Goethe riguardo il popolo tedesco, e Friedrich Nietzsche non ne aveva
una considerazione superiore.
Il dibattuto filosofo, nato nel 1844, mancava infatti del tutto del carattere sciovinistico dei
pensatori precedenti, che egli stesso aveva definito “imbroglioni incoscienti”. I tedeschi,
disse, “non hanno idea di quanto siano vili”, arrivando alla conclusione secondo la quale
“dovunque penetri la Germania, si corrompe la cultura”. Attaccò cristiani e giudei per la
cosiddetta “moralità della schiavitù”, ma non fu mai propriamente antisemita.
Nonostante ciò, chiunque nel Terzo Reich
poteva sentire la notevole influenza di
Nietzsche. Dagli Stati Uniti, il lavoro del
filosofo tedesco era stato definito pieno di
“geniale imbecillità” e “bestemmie da
ragazzo”, ma gli “imbrattacarte tedeschi”,
così chiamati sempre dagli americani, non
smisero mai di adularlo. Hitler stesso visitò
più volte il museo di Nietzsche a Weimar, e
rese pubblica la sua venerazione per il
filosofo posando per delle fotografie che lo
ritraevano rapito di fronte al busto del
grand'uomo. Nonostante tutto, Nietzsche si Friedrich Nietzsche
Nietzsche profetizzò pure l'arrivo di una nuova élite che avrebbe governato il mondo e
dalla quale sarebbe sorto il “superuomo”. In “Volontà di Potenza” scrisse: “una audace
razza dominatrice si sta formando... lo scopo dovrebbe essere prepararsi alla
trasvalutazione dei valori per un tipo d'uomo particolarmente forte, intelligente e volitivo.
Quest'uomo e la élite che avrà attorno saranno i “padroni del mondo””.
Questi concioni ovviamente trovarono accettazione nella mente di Hitler, che si appropriò
delle frasi e delle maniere d'esagerazione grottesca del filosofo: molte reminiscenze di
Nietzsche si trovano nel Mein Kampf, tra cui ad esempio l'espressione “padroni del
mondo”, o “signori della terra”, a seconda delle traduzioni.
Non c'è dubbio che alla fine Hitler si considerasse lo Übermensch delle profezie di
Nietzsche. Dal Mein Kampf:
“E' necessario che dall'esercito di milioni di uomini aventi, in modo più o meno chiaro, il
presentimento e, in parte, la comprensione di queste verità, esca un, uomo. Quest'uomo
dovrà, con forza apodittica, con le ondeggianti idee dell'ampia massa foggiare granitici
princìpi e condurrà la lotta per realizzarli fin quando, dalle onde d'un libero mare di idee,
si elevi la bronzea rupe di un'unitaria comunanza di fede e di volontà”.
Non c'è dubbio, per il lettore del “capolavoro” hitleriano, che i riferimenti al “singolo
uomo” siano sempre riferimenti all'autore.
In generale, in tutto il Mein Kampf è possibile rintracciare evidenti riferimenti ai maggiori
filosofi tedeschi; sebbene non sia chiaro se Hitler avesse dirette conoscenze, ad esempio,
di Hegel, è probabile che ne abbia sentito parlare dai suoi mentori, tra cui il Rosenberg
che già conosciamo; fatto sta che i discorsi di Hegel e gli scritti di Nietzsche sicuramente
attrassero la sua attenzione.
Hegel, come detto, elaborò una teoria degli
“eroi”; a suo parere la “volontà dello Spirito”
è incarnata in degli “individui storici”. Sono
questi a poter essere chiamati “eroi”, purché
derivino scopi e vocazione non dal regolare
svolgimento delle cose, ma bensì da una
fonte nascosta, dallo Spirito, occultato sotto
la superficie, che la urta come contro una
conchiglia e la frantuma. Furono di questo
stampo eroi come Alessandro Magno, Giulio
Cesare, Napoleone Bonaparte. Erano dei
politici pratici, ma allo stesso tempo dei
pensatori, che ben conoscevano cosa fosse
necessario al loro tempo. Gli eroi di un
tempo devono essere chiaramente
Adolf Hitler è stato da vivo considerato il “superuomo” di Nietzsche
riconosciuti, e le loro azioni e le loro parole o l'”Eroe” di Hegel.
sono le più importanti di quel tempo. La fusione di pensatore e politico che crea
l'eroe avrebbe potuto far aspirare Hitler ai livelli occupati dai precedenti condottieri, se
Tausendjähriges Reich Pagina 43
Dallo studio del mondo greco, particolarmente del periodo dei grandi tragici, Nietzsche
desume i due motivi che gli sembrano influenzare più largamente la civiltà europea
occidentale: il motivo “dionisiaco”, che nell'ebbrezza sfrenata nella danza riporta l'uomo
dalla sfera individuale all'unità profonda e senza limiti di tutta la vita, e il motivo
“apollineo” che esprime e rielabora l'inconscio tumulto originario dell'essere nel composto
equilibrio dell'arte. La tragedia di Sofocle e di Eschilo gli sembrano perfette in quanto
ottime sintesi tra i due motivi.
La decadenza della tragedia arriva però con Euripide, che abolisce in parte i cori e dà più
spazio ai discorsi. Ma quella del filosofo in realtà mira ad essere una critica ad un suo
antico collega.
Queste espressioni, sia orgiastiche, sia ridotte in forme d'arte luminose, dell'oscuro
fermento della realtà, vengono poste in secondo piano e ritenute scontate, secondo
Nietzsche, dalla fredda razionalità di Socrate e dagli sviluppi susseguenti della filosofia
greca. Queste segnano il prevalere dell'astrazione intellettuale contro il complesso fervore
della vita e l'affermarsi di decadenti aspirazioni egalitarie (l'universalità del concetto e
delle leggi), caratteristiche ancor oggi, nei loro multiformi aspetti, del nostro modo di
vivere.
Nelle opere successive, approfondendo le tesi della Nascita della tragedia, Nietzsche
procede ad una radicale critica della cultura e della civiltà occidentali. La filosofia si
configura ora come una forma di smascheramento nei confronti dell'universo concettuale
della fede, dell'etica e delle credenze nella nostra cultura. Lo scopo di Nietzsche è svelare
le radici del «bisogno metafisico» dell'uomo, cioè della sua necessità di verità, di
Tausendjähriges Reich Pagina 44
religiosità. Si tratta sostanzialmente di capire che lungo la nostra storia siamo stati
dominati da un intenso bisogno di protezione e di consolazione a cui progressivamente si
sono piegate sia la filosofia che la religione (e per certi versi anche l'arte). Questo bisogno
di protezione si è concretizzato anzitutto in una negazione della dimensione più vitale
dell'esistenza: in una repressione dell'eros, del dionisiaco, dell'irrazionale.
A questo stato profondamente negativo che ha segnato la cultura occidentale, va ora
contrapposto un diverso impulso conoscitivo. Nietzsche parla di un Freigeist, uno spirito
libero, capace di sottrarre la nostra cultura attuale alla lunghissima malattia socratica: c'è
bisogno di una volontà di analisi libera da pregiudizi che faccia emergere la base
esclusivamente umana e terrena d'ogni pretesa spiritualità. In questo contesto assume un
ruolo di assoluto rilievo la questione della religione, anzi più espressamente il problema
del cristianesimo, che diventa il principale bersaglio della critica genealogica di
Nietzsche. Si tratta principalmente del cristianesimo della tradizione ecclesiastica, intriso
di elementi platonici derivati a loro volta dal modello socratico che il giovane Nietzsche
aveva già contestato. La meditazione cristiana è responsabile di aver intensificato la
divisione tra un mondo sensibile (umano, terreno) e un mondo soprasensibile (divino,
ideale), già presente in Platone, oltre che averla decisamente aggravata, nel senso di una
progressiva svalutazione del mondo umano rispetto a quello ideale.
La concezione cristiana dell'amore come tensione ultraterrena verso Dio ha prodotto
infatti secondo Nietzsche una profonda mortificazione della coscienza individuale, un
atteggiamento rinunciatario e vendicativo nei confronti dell'esistenza intesa come
materialità, come apertura alle suggestioni del corpo, ai lati fisiologici e istintuali. In uno
dei suoi più sconcertanti testi tardi, la "Genealogia della morale", Nietzsche sostiene che
la tendenza cristiana al livellamento e all'egualitarismo, che egli con disprezzo definisce
“morale del gregge”, cioè del conformismo e dell'ipocrisia, abbia funzionato come una
forma di violenza mascherata, come espressione di una lunga “menzogna”: l'etica in
genere, e quella cristiana come suo compimento, non e altro dunque che un sottile
dispositivo di potere.
Nietzsche è contro tutte le forme di appiattimento dell'individualità nel “gregge”
suddetto, sia dovuto ad esempio alle aspirazioni di democrazia e di socialismo del suo
tempo, sia appunto alla concezione cristiana nei suoi sviluppi paolini e neo-platonici che
mettono soprattutto in evidenza la caduta dell'umanità nel peccato e la redenzione in un
altro mondo. Il filosofo distingue da questi sviluppi la visione serena del Cristo
nell'esaltazione dei gigli di campo e degli uccelli del cielo “che non seminano e non
tessono”, nell'amore per l'ingenua vita dei fanciulli e, in particolare, per l'impegno severo
a un superamento continuo. E' infatti solo il Cristianesimo di S. Paolo, quindi quello
storicamente affermatosi, che va visto come un perverso fraintendimento del Vangelo.
L'autentico messaggio di Cristo conterrebbe infatti secondo Nietzsche un'idea di
accettazione della vita e non di rinuncia ad essa: la ,buona novella. altro non sarebbe che
una forma di eliminazione della distanza tra Dio e uomo, un'affermazione della falsità dei
concetti di colpa e peccato.
Tausendjähriges Reich Pagina 45
Nella ricerca di basi e conferme alle proprie teorie, il regime non scomodò soltanto i
filosofi del secolo precedente, ma anche personaggi illustri ben più antichi.
Si è già accennato ai tempi dell'Impero antico per antonomasia, l'Impero Romano, e di
come il popolo tedesco fosse ai tempi considerato tra i “barbari”, ossia tra gli stranieri.
Propendo a credere i Germani una razza indigena, con scarsissime mescolanze dovute a
immigrazioni o contatti amichevoli, perché un tempo quanti volevano mutare paese
giungevano non via terra ma per mare, mentre l'Oceano, che si stende oltre sconfinato e,
per così dire, a noi contrapposto, raramente è solcato da navi provenienti dalle nostre
regioni.
In realtà, le ragioni addotte da Tacito per questa presunta “purezza” non sono affatto
lusinghiere, per il popolo tedesco:
Tausendjähriges Reich Pagina 49
Quis porro, praeter periculum horridi et ignoti maris, Asia aut Africa aut Italia relicta
Germaniam peteret, informem terris, asperam caelo, tristem cultu adspectuque, nisi si
patria sit?
E poi, a parte i pericoli d'un mare tempestoso e sconosciuto, chi lascerebbe l'Asia, l’Africa
o l'Italia per portarsi in Germania tra paesaggi desolati, in un clima rigido, in una terra
triste da vedere e da starci se non per chi vi sia nato?
Ma questo non ha rilevanza: l'importante è che i germani siano, per un motivo o per
l'altro, puri da contaminazioni esterne: le stesse idee di Tacito saranno riproposte dai
nazionalisti più avanti, tra cui lo stesso Fichte nei Discorsi alla Nazione tedesca.
Ipse eorum opinionibus accedo, qui Germaniae populos nullis aliis aliarum nationum
conubiis infectos propriam et sinceram et tantum sui similem gentem exstitisse
arbitrantur. Unde habitus quoque corporum, quamquam in tanto hominum numero, idem
omnibus: truces et caerulei oculi, rutilae comae, magna corpora et tantum ad impetum
valida.
Personalmente inclino verso l'opinione di quanti ritengono che i popoli della Germania
non siano contaminati da incroci con gente di altra stirpe e che si siano mantenuti una
razza a sé, indipendente, con caratteri propri. Per questo anche il tipo fisico, benché così
numerosa sia la popolazione, è eguale in tutti: occhi azzurri d'intensa fierezza, chiome
rossicce, corporature gigantesche, adatte solo all'assalto.
Unde habitus quoque corporum, quamquam in tanto hominum numero, idem omnibus
Per questo anche il tipo fisico, benché così numerosa sia la popolazione, è uguale in tutti
Questa è la versione generalmente citata dai razzisti. Ma in realtà ci sono forti tesi che
portano a credere che la forma corretta sia in realtà questa:
Unde habitus quoque corporum, tamquam in tanto hominum numero, idem omnibus
Per questo anche il tipo fisico, per quanto lo si possa essere nell'ambito di una
sì grande popolazione, è uguale in tutti
Una modifica sostanziale nel significato, una limitazione che ovviamente sparisce nelle
lezioni razziste.
Tausendjähriges Reich Pagina 50
E ancora:
Si civitas, in qua orti sunt, longa pace et otio torpeat, plerique nobilium adulescentium
petunt ultro eas nationes, quae tum bellum aliquod gerunt, quia et ingrata genti quies et
facilius inter ancipitia clarescunt magnumque comitatum non nisi vi belloque tueare.
Se la tribù in cui sono nati intorpidisce nell'ozio di una lunga pace, molti giovani nobili
raggiungono volontariamente le tribù che al momento sono impegnate in qualche guerra,
sia perché la gente germanica non ama la pace, sia perché più facilmente si acquista
fama in mezzo ai pericoli, e si può mantenere un grande seguito solo con la forza e la
guerra.
Infine, un passaggio che non può non essere accostato al principio della catena di
comando con a capo il Führer, il cosiddetto Führerprinzip:
Cum ventum in aciem, turpe principi virtute vinci, turpe comitatui virtutem principis non
adaequare. Iam vero infame in omnem vitam ac probrosum superstitem principi suo ex
acie recessisse. Illum defendere, tueri, sua quoque fortia facta gloriae eius adsignare
praecipuum sacramentum est. Principe pro victoria pugnant, comites pro principe.
Ma a prescindere dai sani princìpi militari germanici, le frasi tacitiane che si prestano ad
evoluzioni di tipo razzista non devono assolutamente trarre in inganno.
Il concetto di “razza”, e sicuramente quello di denigrazione ed emarginazione di una
razza, è totalmente estraneo ai romani.
Basti pensare per prima cosa che i romani stessi si vantavano d'esser di discendenza
troiana; gli stessi imperatori salirono al trono indipendentemente dalla loro nazionalità,
essendo ad esempio Traiano proveniente dall'attuale Andalusia, Adriano dai dintorni di
Siviglia, Settimio Severo libico, Caracalla di Lione.
L'Impero perseguì sempre, oltre che l'espansione del territorio, anche quella della
cittadinanza, tanto che fu assolutamente ridicola l'affermazione dei fascisti italiani
secondo i quali gli italici sarebbero ariani in quanto discendenti dei romani: ma alla luce
delle mescolanze di età Imperiale, come è mai possibile definire una “stirpe romana”?
Quindi anche questa ulteriore speculazione dei regimi è dovuta a cattive e parziali
interpretazioni del pensiero di un autore che non fu razzista, ma bensì un sincero
etnografo che trattò imparzialmente i difetti e i pregi di un popolo diverso dal proprio.
Tausendjähriges Reich Pagina 51
Inoltre fu varata una “legge per la difesa del sangue e dell'onore tedesco”, che vietò i
matrimoni e i rapporti sessuali fra ebrei e non-ebrei. Anche se le due leggi, in genere
ricordate semplicemente come “leggi di Norimberga”, vennero messe a punto soltanto
nell'atmosfera concitata del congresso da alcuni funzionari appositamente convocati, già
da tempo discussioni e dichiarazioni pubbliche ne avevano preparato in qualche modo la
realizzazione.
Tuttavia non si può parlare di una pianificazione vera e propria, come dimostrarono nei
due mesi successivi i contrasti interministeriali sui primi decreti di attuazione. Solo con
questi, infatti, venne data una risposta alla questione decisiva su chi dovesse essere
classificato come ebreo ai sensi delle Leggi di Norimberga. A tale proposito si rivelò del
tutto illogica e illusoria l'idea di una legislazione razziale basata sul principio del sangue,
poiché le definizioni di “ariano”, “ebreo puro”, “sangue misto di I grado” e “sangue misto
di II grado” si richiamavano al criterio dell'appartenenza confessionale degli antenati, per
i quali dopo tutto restava inaccertato, dalla terza generazione in su, se si fosse trattato o
meno di convertiti.
Il fatto poi che Hitler annunciasse le nuove leggi come la soluzione definitiva della
“questione ebraica”, indusse le organizzazioni ebraiche ad accoglierle in parte addirittura
con un senso di moderato sollievo: quelli che la propaganda nazionalsocialista definiva
dei cospiratori internazionali contro la nazione tedesca, erano invece molto legati alla
loro patria e preferivano di gran lunga accettare alcune limitazioni nell'ambiente a loro
familiare, piuttosto che farsi carico dei rischi e delle incertezze dell'emigrazione
all'estero.
Le leggi di Norimberga diedero così una sanzione compiuta, nel senso di una mirata e
consapevole discriminazione sociale degli ebrei, a tutte le persecuzioni “selvagge”
intraprese precedentemente a livello locale. Alla privazione del diritto di voto e
all'esclusione dai pubblici uffici, seguì, sempre nel 1935, la preclusione dall'attività
professionale per i notai, per i medici, gli insegnanti e i docenti universitari stipendiati
dallo Stato, e di fatto anche per i farmacisti.
Quando poi i Giochi olimpici del 1936 prima menzionati attirarono sulla Germania
l'attenzione della stampa mondiale, il regime cercò di nascondere per qualche tempo il
suo volto antisemita. Dalle strade principali di alcuni villaggi sparirono provvisoriamente i
cartelli contro gli ebrei e per un po' furono emessi decreti antisemiti di impatto soltanto
marginale. Dei circa 2.000 provvedimenti contro gli ebrei adottati durante il Terzo Reich,
negli anni 1936 e 1937 ne vennero varati “soltanto” 150.
Intanto però, dietro la facciata dello spirito di fratellanza olimpico, all'interno delle SS
veniva creato un centro di pianificazione composto da antisemiti tanto radicali nelle loro
idee quanto convinti di essere “esperti” della materia: si trattava della cosiddetta “Sezione
ebrei” del SD; questo, la sigla viene dal tedesco Sicherheitsdienst, ossia “servizio di
sicurezza”, era il dipartimento di spionaggio e sorveglianza delle SS.
Obiettivo inequivocabile degli uomini riuniti in questo ufficio era organizzare nel modo
più rapido e completo possibile la cacciata degli ebrei dalla Germania, cercando di
Tausendjähriges Reich Pagina 53
loro libertà di movimento, nonché il divieto di usufruire dei vagoni letto e di alcuni hotel,
e l'obbligo di consegnare tutti i gioielli e gli ori al governo.
Ciò che doveva seguire a breve era stato già anticipato in via sperimentale nell'estate del
1938 dagli esperti del SD attivi in Austria sotto la direzione di Adolf Eichmann. Sulla base
delle esperienze viennesi, all'inizio del 1939 venne creata, auspice Heydrich, una
"Centrale nazionale per l'emigrazione ebraica". Nelle sue mani, e dunque di fatto sotto il
controllo della Gestapo, l'Unione nazionale degli ebrei si trasformò in uno strumento
funzionale alla politica di emigrazione forzata (o meglio, di espulsione) della popolazione
ebraica dalla Germania.
Il modello viennese elaborato dal SD fu presto esteso a tutto lo Stato.
Il censimento del maggio 1939 individuò nel territorio del Reich (con l'esclusione
dell'Austria e dei Sudeti) la presenza di ancora 233.646 individui classificati dalle leggi
naziste come ebrei. Questa cifra, fino allo scoppio della guerra, diminuì di circa altre
50.000 unità; 10.000 bambini trovarono un'accoglienza provvisoria specialmente in
Inghilterra, Belgio e Olanda, prima di essere trasferiti definitivamente negli Stati Uniti o in
Palestina. Intanto, fra i perseguitati rimasti in Germania, non c'era praticamente più
nessuno che non nutrisse la speranza di seguirli quanto prima.
Tuttavia, proprio nel momento in cui questi metodi infami sembravano sul punto di
risolvere in Germania la "questione ebraica" creata dai nazionalsocialisti, la stessa
questione assunse, sotto la spinta della politica espansionistica hitleriana, quella nuova
dimensione europea in cui, del resto, il Führer l'aveva sempre collocata ed entro cui
sarebbe sfociata nella soppressione fisica del popolo ebraico.
Il 30 gennaio 1939, nel discorso pronunciato al Reichstag in occasione del sesto
anniversario della presa del potere, il dittatore espresse i suoi intenti servendosi della
seguente, terribile formula: "Se all'ebraismo finanziario internazionale dentro e fuori
l'Europa dovesse riuscire di far precipitare i popoli in una seconda guerra mondiale, il
risultato di ciò non sarà la bolscevizzazione della terra e, con essa, la vittoria
dell'ebraismo, ma l'annientamento della razza ebraica in Europa".
La logica sottostante al disegno nazista di creare uno spazio imperiale «libero dagli
ebrei» ed etnicamente «purificato» poté dilagare liberamente quando agli ebrei austriaci e
cecoslovacchi già caduti sotto il dominio tedesco si andarono ad aggiungere i circa 2
milioni di ebrei di nazionalità polacca.
Da quel momento il genocidio divenne una possibilità reale, anche se i successivi 18 mesi
furono caratterizzati da una politica di deportazione e di espulsione tanto severa quanto
caotica: mentre da un lato gli ebrei tedeschi poterono continuare a espatriare, pur tra
crescenti difficoltà, fino al blocco definitivo delle emigrazioni imposto il 23 ottobre 1941,
dall'altro, già pochi giorni dopo la fine della campagna polacca cominciarono le prime
deportazioni di ebrei dall'Austria e dal “Protettorato di Boemia e Moravia” al cosiddetto
“Governatorato generale di Polonia”.
In vista della probabile vittoria sulla Francia, nell'estate del 1940 il ministero degli Esteri e
gli specialisti del SD (intanto entrati a far parte dell'Ufficio centrale per la sicurezza del
Tausendjähriges Reich Pagina 55
Reich) ventilarono un'idea che già negli anni Venti aveva goduto di una certa popolarità
nei circoli antisemiti europei: la deportazione, cioè, di tutti gli ebrei d'Europa nell'isola di
Madagascar, allora colonia francese, dove essi sarebbero stati abbandonati al loro destino
in condizioni assai inadatte alla sopravvivenza.
Nonostante decenni di intense ricerche storiche, non disponiamo ancora di un quadro
veramente preciso degli eventi dei mesi successivi, durante i quali la precedente politica
di deportazione e ghettizzazione cominciò a degenerare in quella dello sterminio. Ciò
dipende da un lato dalle incertezze della stessa “politica” nazionalsocialista, dall'altro
dalla volontà dei protagonisti dei fatti di occultare quei crimini mostruosi e le loro
personali responsabilità.
L'insufficienza delle fonti causata da tali circostanze è resa ancora più problematica dal
fatto che la «soluzione finale» fu trattata come una sorta di segreto pubblico; così, è
difficile stabilire da quale momento in poi il Führer abbia deciso di dare effettivamente
corso ai suoi slogan sull'annientamento degli ebrei, e gli studiosi devono accontentarsi
solo di supposizioni, metodologicamente poco fondate, sugli intenti del capo supremo
del nazionalsocialismo: un suo ordine scritto esplicito, paragonabile a quello impartito
per la cosiddetta “eutanasia”, non è mai stato trovato e, per quanto oggi ne sappiamo,
tutto fa credere che esso non sia mai stato dato. La “soluzione finale”, infatti, non
provenne da un singolo ordine ma fu invece lo sbocco di una sequenza di azioni sempre
più radicali.
Nei giorni che precedettero l'inizio dell'”Operazione Barbarossa” erano state diramate dal
centro due importanti direttive: il 6 giugno il cosiddetto “ordine sui commissari” impartito
ai reparti della Wehrmacht che dovevano essere impiegati contro l'Armata Rossa, il 27
dello stesso mese una disposizione di Heydrich ai Reparti operativi della polizia di
sicurezza e del SD. Questi ultimi avevano già agito nelle retrovie della campagna polacca
anche contro gli ebrei, ma ora il loro compito era liquidare «gli ebrei nel partito e
nell'amministrazione statale» sovietica e «altri elementi radicali» e mettere in atto pogrom
contro la popolazione ebraica.
Specialmente in Ucraina occidentale e nei Paesi Baltici i tedeschi sfruttarono la
propensione alla violenza dell'antisemitismo locale, che del resto fu facile fomentare, in
considerazione dei crimini commessi dalla polizia politica staliniana, il NKWD, negli ultimi
giorni dell'occupazione sovietica.
Ma furono soprattutto le azioni omicide dei reparti operativi a crescere rapidamente
d'intensità, e già alla fine del luglio 1941 alcune unità cominciarono a uccidere anche
donne e bambini ebrei.
La Wehrmacht tollerò, appoggiò e presto cominciò anche a prendere parte a queste
operazioni facendosi convincere dalle argomentazioni anticomuniste che Hitler presentò
ai suoi comandanti sul fronte orientale, cioè la necessità di eliminare “la classe
intellettuale giudaico-bolscevica”. Così motivate, divennero accettabili agli occhi delle
forze armate anche uccisioni di massa come quella consumata nella fossa di Babi-Yar,
situata alla periferia di Kiev, dove il commando speciale 4a del Reparto operativo C fucilò,
Tausendjähriges Reich Pagina 56
Per chi portava questo marchio la vita diventava praticamente impossibile: chi ad esempio
osava uscire di casa negli orari rigidamente stabiliti (a Berlino fra le 16 e le 17) per
comprare quanto ancora gli era concesso dalle tessere alimentari andava incontro a una
serie di esperienze emotivamente contrastanti. Infatti anche scambiare una parola gentile
con persone così classificate richiedeva una buona dose di coraggio civile, e abbastanza
spesso gli interessati, invece di gesti di compassione o persino di aiuto, si scontravano
con aggressivi atteggiamenti di rifiuto.
Il fatto che, d'altra parte, alcuni tedeschi non ebrei aiutarono i perseguitati e resero
possibile la sopravvivenza a qualche migliaio di “clandestini” (specialmente nelle grandi
città) fino alla fine della guerra, non fa altro che evidenziare ancora più chiaramente
l'indifferenza ostentata dalla maggior parte della popolazione.
Notizie sulle esecuzioni di massa e, benché più rare, sull'esistenza dei campi di sterminio
erano portate specialmente dai soldati in licenza o dai feriti; inoltre, nel solo campo di
Auschwitz centinaia di donne fecero spesso visita ogni estate, anche per più settimane, ai
loro mariti lì in servizio come soldati delle SS, e nella colonia di tedeschi della “città
modello” di Auschwitz allora in costruzione, ci si lamentava sempre dei cattivi odori
provenienti dai forni crematori sovraccarichi di lavoro.
Non sappiamo di preciso quanto, in effetti, i tedeschi sapessero delle modalità di
attuazione dell'olocausto; fatto sta che, dopo le rivelazioni postbelliche, ben pochi,
tedeschi e non, riuscivano a credere, nonostante le testimonianze dirette e i riscontri
documentali, che oltre sei milioni di persone fossero state uccise in pochi anni per il solo
motivo della loro presunta diversità di sangue.
Uno dei campi di concentramento più famosi del Terzo Reich è sicuramente quello di
Auschwitz.
Il Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau è stato il più grande mai costruito; il suo
nome deriva dalla germanizzazione del nome della città polacca di Oświęcim, a circa 60
chilometri da Cracovia. Il luogo è stato sito di diversi campi di concentramento e un
campo di sterminio. Durante il regime, furono uccisi ad Auschwitz all'incirca 1.100.000
persone, di cui oltre il 90% erano ebrei.
I tre campi principali del complesso erano:
• Auschwitz I, propriamente detto, centro amministrativo e tomba di circa 70.000 tra
polacchi e prigionieri di guerra sovietici.
• Auschwitz II, Birkenau, il campo di sterminio, dove morirono oltre al milione di
ebrei già menzionato, 75.000 polacchi e 19.000 zingari.
• Auschwitz III, Monowice, un campo di lavoro la cui produzione asserviva
principalmente gli scopi della Interessen-Gemeinschaft Farbenindustrie AG, o IG
Farben, conglomerata di prodotti chimici tedesca.
La direzione era, ovviamente, assegnata alle SS di Himmler. Comandante del complesso
per diversi anni fu l'Obersturmbannführer (circa Tenente Colonnello) Rudolf Höß, che per
le proprie responsabilità sarà condannato a morte dalla giustizia polacca, che farà
eseguire, ironicamente, la sentenza d'impiccagione di fronte al crematorio di Auschwitz I.
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“Arbeit macht frei”. “Il lavoro rende liberi”, questo il significato della frase, era scritto a
caratteri cubitali all'entrata del Konzentrationslager Auschwitz I.
Ai campi di concentramento sopravvissero in molti, per essere scappati, aver avuto
fortuna o, più semplicemente, perché i tedeschi persero la guerra prima di poterli
uccidere. Uno di loro, nato a Torino nel 1919 da famiglia ebrea, era il chimico Primo Levi.
Nel settembre del 1943, dopo che il governo italiano, presieduto dal maresciallo
Badoglio, aveva firmato un armistizio con gli Alleati, i tedeschi fecero sì che Benito
Mussolini evadesse dalla prigione dov'era stato confinato, e potesse fondare una
Repubblica fascista nel nord Italia, uno stato fantoccio sotto il controllo della Germania. Il
movimento di resistenza prese piede nel nord occupato dai tedeschi e Primo Levi cercò di
far parte del movimento partigiano; lui e alcuni compagni, però, furono arrestati dalla
milizia fascista, e non appena si scoprì la sua identità razziale, fu mandato in un campo
di internamento per ebrei vicino Modena.
L'11 febbraio 1944 12 camion da bestiame trasportarono gli internati verso una nuova
destinazione: Auschwitz. Levi passò undici mesi nel campo di Monowice, ossia Auschwitz
III, prima che l'Armata Rossa sovietica liberasse i prigionieri. Dei 650 ebrei italiani che
partirono con lui per Auschwitz, Levi fu uno dei soli 20 a uscirne vivo; in genere,
l'aspettativa di vita di un novizio di Auschwitz era all'incirca tre mesi.
Per una serie di circostanze, Levi sopravvisse: conosceva un po' di tedesco per via di
alcune pubblicazioni chimiche a riguardo, si orientò presto all'interno del lager e riuscì ad
ottenere preziose informazioni da un altro prigioniero italiano più esperto. Inoltre, la sua
qualifica professionale fece sì che venisse trasferito come assistente in un laboratorio per
la produzione sintetica della gomma, evitandogli quindi i lavori forzati alle terribili
temperature che c'erano all'esterno. Poco prima della liberazione del campo si ammalò, e
venne trasferito nell'infermeria locale; anche la malattia lo avvantaggiò: non appena le SS
si resero conto che l'Armata Rossa stava avvicinandosi radunarono tutti tranne i malati e
fuggirono. La cosiddetta “marcia della morte” non risparmiò quasi nessuno dei prigionieri
prelevati.
La liberazione avvenne il 27 gennaio del 1945, e Levi fu trasferito in un campo sovietico
per ex-deportati; dopo un lungo viaggio dalla Polonia, attraverso Russia, Romania,
Ungheria, Austria e Germania, riuscì a tornare a Torino nell'ottobre dello stesso anno.
Trovato lavoro come chimico, scrisse di getto il suo capolavoro, Se questo è un uomo.
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In seguito scrisse altri libri, tra cui La tregua, che tratta del viaggio di ritorno da
Auschwitz. Morì nel 1987, forse suicida.
Quando nel 1945 Primo Levi, dopo due anni passati nel campo di sterminio di Auschwitz,
torna in Italia, scrive quindi Se questo è un uomo. Quest'opera non è un romanzo, per
quanto abbia altissime qualità letterarie.
Se questo è un uomo è soprattutto un documento: non è un romanzo perché non ha nulla
di fittizio. E' insieme una testimonianza e uno sfogo; e, contemporaneamente, un saggio,
uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano, come si è espresso lo stesso
autore.
Primo Levi non è uno scrittore di mestiere e forse senza la drammatica esperienza del
lager non avrebbe mai scritto un libro.
“In Se questo è un uomo ho cercato di scrivere le cose più grosse, più pesanti, e più
importanti. Mi sembrava che il tema dell'indignazione dovesse prevalere: era una
testimonianza di taglio quasi giuridico”.
Così Levi parla della spinta che ha fatto nascere il libro, una spinta alla testimonianza,
soprattutto per far sì che i meccanismi di autodifesa psicologica non rimuovessero col
tempo i segni dell'esperienza dell'olocausto; per far sì che la parola scritta assumesse più
peso nel raccontare il dramma del lager, che potesse essere meglio ascoltata e da più
gente.
Le parti del libro seguono una successione che risponde più all'urgenza del raccontare
che a una concatenazione logica; tuttavia la struttura è compatta, fatta di brevi capitoli
che ripercorrono l'ordine cronologico degli eventi, dalla deportazione sul carro-merci nel
febbraio del 1944 fino alla fuga nel gennaio del 1945.
Non è tuttavia possibile ricavarne una trama: alle parti che espongono i fatti accaduti si
accompagna sempre il commento, l'interpretazione personale del narratore guidata da
quell'intenso desiderio di capire che è stato, alla lunga, una delle cause della capacità di
sopravvivenza di chi ha vissuto questa terribile esperienza. Questi sono, in breve, i fatti
narrati nel libro: Levi viene catturato dai fascisti il 13 dicembre del 1943; dichiara di
essere ebreo e, per questo, viene dapprima internato nel campo di Fossoli e poi trasferito
ad Auschwitz. Qui come tutti i deportati subisce: la spoliazione di tutti gli averi ed effetti
personali; la vestizione con abiti laceri e miserandi; la "marchiatura" del numero
identificativo sul braccio; le ferree e insensate leggi del lager (con i Block, cioè le
camerate; i Kapos, prigionieri che sovrintendono con spietate violenze all'organizzazione
del campo).
Alcuni personaggi lo mettono in guardia su ciò che lo attende e sul suo destino di
Häftling (prigioniero) ebreo: le camere a gas. Ma Levi ancora non vuol capire, così come
fatica a comunicare non conoscendo bene il tedesco e non conoscendo affatto la lingua
degli ebrei orientali: lo yiddish. Viene messo a lavorare in una fabbrica di gomma, la
Buna. L'ultimo capitolo ha forma di diario: è la storia degli ultimi dieci giorni nel campo.
Se l'autore ha definito la sua opera uno studio dell'animo umano, è in questa direzione
che deve guardare ogni lettura critica.
Tausendjähriges Reich Pagina 60
Ed è questo dunque il più complesso livello di analisi cui si deve sottoporre Se questo è
un uomo e ciò che lo distingue fra le molte testimonianze di letteratura sui campi di
sterminio.
Se questo è un uomo è una sorta di romanzo filosofico o storico. Non a caso, le pagine
più tremende non sono tanto quelle in cui vengono raccontate, senza mai alcuna
concessione al patetico o al gusto del macabro, le storie di sofferenza e di morte, quanto
quelle in cui Levi analizza le conseguenze che il lager produce nell'animo umano. In
particolare appaiono significativi i passi che narrano gli spaventosi rapporti gerarchici e
interpersonali che si creano all'interno del campo: le bassezze, le astuzie, le crudeltà cui
ciascuno ricorre per sopravvivere.
Le gerarchie del campo pongono al vertice chi è più abile nel rubare e nel truffare, chi,
per qualche ragione, si è adattato meglio (Levi chiama costoro “salvati”); i deboli, gli
inadatti, quelli che non sanno lottare sono destinati a perire (i “sommersi”). Le stesse
strutture del mondo esterno sembrano riformarsi nel lager moltiplicate ed esasperate
all'ennesima potenza dalla innaturalità della situazione, dalle privazioni, dalla distruzione
di ogni sentimento
Il racconto di Levi delle reazioni ai soprusi, delle sottili vie che i personaggi percorrono
per la sopravvivenza, costituisce un libro nel libro. Così lo stesso Levi è poco indulgente
nei riguardi di se stesso: sostiene che la propria sopravvivenza è stata "fortuita", decisa
cioè dalla sorte. Pur riconoscendosi una certa energia morale, indubbiamente utile ma
non decisiva, Levi ribadisce che la propria salvezza fu determinata da circostanze casuali:
era un anno in cui occorreva manodopera, quindi gli ebrei rastrellati non venivano subito
uccisi ma prima erano costretti a lavorare; venne aiutato da un lavoratore italiano libero
che gli portò sempre del cibo; convinse il nazista Pannwitz di essere un buon chimico.
Conformemente con la materia trattata e con la disposizione psicologica e culturale, lo
stile di Levi è sempre lucido, "cartesiano" si direbbe usando un aggettivo caro allo stesso
autore. La precisione e la chiarezza delle parole e delle immagini, il rifiuto di ogni
compiacimento letterario e di ogni concessione formale nascono infatti dalla indignazione
e dal dolore, ma anche dalla ricerca di chiarezza: ancora in un libro del 1984 Levi afferma
a proposito del linguaggio di un professore della sua ormai lontana esperienza
universitaria: “Ricordo ancora la prima lezione di chimica... in cui avevo notizie chiare,
precise, controllabili, senza parole inutili, espresse in un linguaggio che mi piaceva
straordinariamente anche dal punto di vista letterario: un linguaggio definito, essenziale”.
E', in sintesi, ciò che ha perseguito Levi in tutta la stia carriera di scrittore.
Ma lo stile chiaro e piano non nasconde del tutto una notevole influenza dei classici,
perlomeno della Bibbia e della Commedia di Dante Alighieri, come di seguito esposto.
Il libro comincia con una famosissima quanto corta poesia:
La poesia comincia con un "voi", che si ripete al primo ed al terzo verso; non si tratta
dell'unica anafora: è seguita a breve dal "considerate" dei versi 5 e 10. Seguono un
"meditate" e uno "scolpite".
Si tratta evidentemente di un appello al lettore, frequente in Levi; ciò che però è
particolarmente interessante è il collegamento, reso molto più evidente dalle successive
somiglianze con l'autore fiorentino, tra l'apostrofe di Levi e molte apostrofi dantesche al
lettore, come ad esempio l'"O voi che siete in piccioletta barca" del canto II del Paradiso, o
altre ben descritte da Erich Auerbach ne “gli appelli di Dante al lettore”.
L'apostrofe ha il preciso compito di rendere partecipe il lettore di ciò che sta per essere
narrato, dell'enormità dell'esperienza vissuta, sia in Dante che in Levi. A dire di alcuni
commentatori, non è rintracciabile in Levi solo l'eco dantesco, ma anche quello biblico
dell'Esodo, spesso intrecciato al primo.
Le due anafore sottolineano un destinatario, il "voi" lettori, e un imperativo, tipico
dell'apostrofe; ma la seconda, il "considerate", ha un'accezione ancora più profonda;
intanto, è stata ravvisata una somiglianza con una delle terzine più famose dell'Inferno, al
canto XXVI:
quasi simbolo dell'inferno di Auschwitz. Enormi sono i riferimenti a Dante del fango,
ovviamente, così come sono tanti quelli al buio, al vento, alla bufera, alla nudità o allo
sterco, che rendono vicinissimi il lager e le Malebolge.
Poi, al verso 13, "vuoti gli occhi"; è evidente il riferimento ai golosi del purgatorio, canto
XXIII:
Alcuni, approfittando di alcune dichiarazioni di Levi riguardanti delle inclusioni dai Fleurs
du mal di Baudelaire, accostano l'immagine ai "tuoi occhi infossati" de "La muse malade"
o "sue occhiaie vuote" de "L'amour du mensogne".
Si era accennato alla bibbia. Eccone un esempio estremamente palese, a partire da "vi
comando queste parole"; il riferimento è evidentissimo, a Deuteronomio 6, 6-7:
[6] Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore;
[7] li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando
camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai.
I futuri “ospiti” del lager arrivano su dei camion, novelle barche sull'Acheronte, e il feroce
Caronte è diventata una SS. Ma non si limita ad ammonire; nella sua nuova incarnazione il
diavolo traghettatore chiede oggetti e orologi ai nuovi arrivati, conscio che a loro non
serviranno più.
Arrivati nell'antinferno, gli internati sono selezionati; gli inabili vanno dritti alle camere a
gas, coloro che possono lavorare vengono portati in una sala e spogliati di tutto: dei
vestiti e della dignità:
Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude.
Una volta arrivati a Monowice, gli internati sono condannati ai lavori forzati, niente di più
simile alle pene dell'inferno; dal secondo capitolo: “spingo vagoni, lavoro di pala, mi
fiacco alla pioggia, tremo al vento”. Ed ecco Dante al canto VI dell'Inferno:
Ma anche al canto V:
Sempre nel secondo capitolo, Levi ci tiene a sottolineare che la distribuzione quotidiana
di cibo non è solo del pane, ma bensì di “pane, Brot, Broit, chleb, pain, lechem e kenyér”.
Si tratta rispettivamente del pane in italiano, tedesco, yiddish, polacco/russo, francese,
ebraico e ungherese. Poi al capitolo settimo: “i suoi mattoni sono stati chiamati Ziegel,
briques, tegula, cegli, kamenny, bricks, téglak”. Ovviamente, il riferimento è nuovamente
il canto III dell'Inferno:
E il tumulto dantesco lo sente anche Levi: “si è circondati da una perpetua Babele, in cui
tutti urlano ordini e minacce in lingue mai prima udite”.
Poi, l'infermeria del lager, la Krankenbau, la cui abbreviazione, Ka-Be, intitola il quarto
capitolo: è il limbo degli internati; si è sempre dentro l'inferno, ma non si soffre, o
perlomeno, non fisicamente.
Alcune punizioni interne al lager, poi, sono definite da Levi stesso “contrappasso”.
“Pannwitz è alto, magro, biondo: ha gli occhi, i capelli e il naso come tutti i tedeschi
devono averli, e siede formidabilmente dietro una complicata scrivania”. L'esaminatore,
che siede “formidabilmente”, sembra provenire dal quinto canto:
Capitolo IX Uranverein
Si è osservato il Terzo Reich secondo più luci, nei precedenti otto capitoli; i riflettori della
Cattedrale di Luce di Albert Speer e quelli delle barricate che delimitavano Auschwitz, così
come le luci della rinascita tedesca e le ombre della notte dei lunghi coltelli.
Sicuramente, l'evento più importante nel periodo tra il 1933 e il 1945 è stata però la
Seconda Guerra Mondiale, iniziata nel 1939 e terminata nel 1945, che volutamente non è
stata trattata in questo testo, se non per accenni.
Una delle opere più grandi del “Reich millenario”, se si considera per “grande” ovviamente
il solo aspetto tecnico-produttivo e non lo scopo, è stata sicuramente il riarmo. Da Stato
sconfitto e umiliato nel 1933, nel 1939 la Germania era in grado di combattere e
sopraffare in molti campi le potenze vincitrici della Grande Guerra, con una specialità
carristi dell'Esercito invidiabile, una aeronautica strepitosa e uno sviluppo di nuove
tecnologie inarrestabile.
Durante gli anni della guerra, le fabbriche tedesche sfoggiarono degli armamenti senza
paragoni e mai visti prima, tra cui ricordiamo il Messerschmitt Me 262, il primo aereo a
reazione entrato in servizio al mondo, il Vergeltungswaffe-1, meglio noto come V-1, il
primo missile da crociera, il Vergeltungswaffe-2, meglio noto come V-2, il primo missile
balistico, oltre a numerosi missili guidati di ogni genere, senza contare i carri armati
Tiger e altre notevolissime invenzioni.
L'arma definitiva, però, quella che mise fine alla guerra nel Pacifico, non fu mai costruita
dai tedeschi, nonostante l'enorme vantaggio teorico dal quale partirono; fu solo la
mancanza di fede e di fondi, alla fine, a far sì che i tedeschi non arrivassero mai ad un
progetto funzionante della bomba atomica.
Ma torniamo al 1938, nel laboratorio del
radiochimico tedesco Otto Hahn.
Il cinquantanovenne Hahn nel 1938 stava
portando avanti degli esperimenti con
l'elemento Uranio (simbolo U, numero
atomico 92, un attinide estremamente denso
dal colore argenteo); per la precisione, aveva
intenzione di studiare il comportamento di
questo pesante elemento quando esposto a
dei neutroni lenti; i neutroni lenti, o termici,
altro non sono che dei neutroni liberi
(slegati, cioè, da un atomo e liberi di Otto Hahn
muoversi) con una energia cinetica bassa, circa 0.025 eV;il nome “termico” deriva dal
fatto che questo valore di energia è molto simile a quello di una molecola di gas a
temperatura ambiente.
Dopo l'irraggiamento di neutroni su un campione di uranio, Hahn fece un'accurata analisi
chimica del risultato, e ne rimase assolutamente strabiliato: trovò nel campione risultante
Tausendjähriges Reich Pagina 66
tracce di un elemento che prima era assolutamente assente, il bario (simbolo Ba, numero
atomico 56, un metallo alcalino-terroso). Destava particolarmente l'attenzione il fatto che
il numero di nucleoni del bario è attorno a 137, a seconda dell'isotopo, mentre quello
dell'uranio è di circa 235, poco meno di meno del doppio. Era come se l'uranio si fosse
spezzato quasi a metà. Questa, già di per sé, costituiva una scoperta sensazionale. Ma
per analizzarne la convenienza dell'applicazione pratica, è necessario introdurre un
ulteriore concetto.
Si prenda in esame un deuterone, ossia un nucleone di deuterio, formato da un protone e
un neutrone; si tratta del nucleone più semplice. Sperimentalmente, conosciamo i
seguenti dati, espressi in unità di massa atomica (u.m.a.), riguardanti la massa del
protone, dell'elettrone e del deuterone:
• mprotone=1.007276
• mneutrone=1.008665
• mdeuterone=2.013553
Proviamo a sommare la massa del protone a quella del neutrone; si ottiene 2.015941; la
massa del deuterone, quindi, inferiore dello 0.12% a quella dei suoi costituenti. Com'è
possibile questo difetto di massa?
Per poterlo spiegare è necessario ricorrere ad un ulteriore concetto, quello di eguaglianza
tra massa ed energia:
E = m·c2
legame”. Questa, ovviamente, è il difetto di massa moltiplicato per la velocità della luce al
quadrato e, nel caso del deuterone, e pari a poco più di 2 MeV.
Si intuisce che, fornendo al deuterone una energia pari a quella di legame, questo si
spezzerebbe, e i due fermioni risultanti avrebbero, per la conversione di energia in
massa, nuovamente la loro massa originaria. Allo stesso modo, l'unione dei due
porterebbe alla diminuzione della massa totale, e quindi alla liberazione di energia.
Si osservi ora il seguente grafico:
all'atto della fissione non si spezza soltanto in due elementi più leggeri, ma emette anche
alcuni neutroni veloci liberi, circa 2.42. Conosciuta questa particolarità, il resto viene da
sé: se un atomo di uranio è colpito da un neutrone, si spezza rilasciando altri neutroni,
che se colpiscono altri atomi di uranio portano ad una reazione a catena; considerando
che ogni singola fissione rilascia energia, una reazione a catena rilascia energia
proporzionalmente alla lunghezza della catena stessa.
L'uranio-235, però, s'è detto fissionabile da neutroni lenti, e una volta spezzato si è detto
liberare neutroni veloci; questi, per poter causare una reazione a catena necessitano di
essere circondati dall'isotopo uranio-235 quasi puro, l'unico isotopo fissile dell'uranio, o
altrimenti l'abbondanza dell'altro isotopo comune, il 238, non fissile, farebbe sì che i
neutroni venissero catturati dal quest'ultimo, uccidendo la reazione.
Nel caso non fosse disponibile una sufficiente quantità di isotopo 235, sarebbe
necessario ridurre l'energia dei neutroni prodotti dalle fissioni a quella termica,
considerato che in questo caso l'isotopo 238 in eccesso non reagirebbe.
Considerando che i neutroni con cui Hahn irraggiava l'uranio erano lenti, quindi, solo
l'isotopo 235 dell'uranio presente nel campione subiva fissione, mentre l'isotopo 238
stava lì inerte; l'uranio naturale, infatti, quello che si estrae dalle miniere, contiene
entrambi gli isotopi, con un rapporto 235-238 di 1:139. L'uranio naturale, quindi, è per
la maggior parte 238
U.
Idealmente, quindi, avendo sufficiente uranio nel suo isotopo 235 e dei neutroni che lo
irraggino, comincerebbe una reazione a catena fino a quando l'intero campione di uranio
non abbia subito fissione; alternativamente, avendo una quantità inferiore di isotopo-
235, è possibile ottenere qualcosa di simile rallentando i neutroni prodotti ad ogni
fissione da veloci a lenti. Questo processo libererebbe quantità abnormi di energia.
Questa energia, idealmente, può essere sfruttata in due maniere:
• Lasciando crescere esponenzialmente il numero di fissioni (si ricordi che ogni
fissione avviene per l'impatto di un singolo neutrone e ne rilascia più di due).
• Moderando, in qualche modo, il numero di fissioni, facendolo rimanere sotto una
determinata soglia.
La differenza fondamentale tra una fissione controllata e una fissione incontrollata è la
differenza tra un reattore nucleare, che produce per molto tempo una quantità controllata
di energia termica da usarsi per generare vapore e quindi corrente elettrica, e una bomba
atomica, che produce in un istante una quantità tanto grande di energia da esplodere con
violenza inaudita prima ancora che l'intera fissione sia compiuta.
Per entrambi i punti, però, rimangono degli interrogativi. Quanto uranio è necessario?
Come rallentare eventualmente i neutroni? E come evitare che un reattore esploda?
Sebbene gli scienziati tedeschi non volessero che si venisse a conoscenza all'estero della
scoperta, i risultati furono pubblicati e, contemporaneamente, sia l'Esercito tedesco che la
Marina degli Stati Uniti d'America si interessarono alla fissione nucleare.
Si sorvolerà sugli sviluppi dei due programmi: si sappia soltanto che il programma
statunitense si concentrò sotto le ali di un unico dipartimento, nel cosiddetto Progetto
Tausendjähriges Reich Pagina 69
Manhattan, al quale furono stanziati fondi ingenti, mentre i tedeschi formarono più
gruppi di ricerca in competizione, gli Uranverein, club dell'uranio, con fondi poco
consistenti.
Si torni, piuttosto, al problema precedente: quanto uranio è necessario perché avvenga
una reazione a catena? La risposta logica al problema è che è necessaria una massa
sufficiente perché, una volta cominciata la catena, i neutroni prodotti continuino a colpire
nuclei d'uranio senza disperdersi. Questa massa è detta “massa critica”.
A livello prettamente geometrico, la forma da dare all'uranio perché questo abbia una
massa critica bassa è quella sferica: possiamo dire oggi, grazie ai frutti della ricerca, che
la massa critica dell'uranio-235 è di circa 50kg.
In realtà, questo valore, dato qui con tanta semplicità e schiettezza, in Germania è stato
oggetto di calcoli interminabili che portarono a risultati poco convincenti, nell'ordine
delle tonnellate, e che rallentarono lo sviluppo.
Inoltre, sempre a livello logico, possiamo dire che se questa sfera di uranio fosse
circondata da “qualcosa” che faccia “rimbalzare” verso l'interno i neutroni che riescono a
“scappare”, servirebbe una massa minore: oggi possiamo dire che, se la sfera d'uranio è
circondata da un “riflettore di neutroni”, in genere un metallo o una lega incapace di
assorbire i neutroni ma pronto a respingerli, come il berillio (simbolo Be, numero atomico
4), la sua massa critica è di soli 15kg.
Solo 15kg di uranio per scatenare una reazione a catena dai risultati infernali!
Ma attenzione: quale uranio?
Le scelte, come detto, son due: uranio ad alta concentrazione di isotopo 235, capace di
sostenere una reazione coi neutroni veloci in fuoriuscita da ogni fissione, oppure uranio a
bassa concentrazione di isotopo 235, che necessita la moderazione della velocità dei
neutroni. I tedeschi si concentrarono sulla seconda opzione, utilizzando la grafite (una
forma allotropica del carbonio) come moderatore: i neutroni, passando attraverso la
grafite, rallentavano notevolmente e potevano sostenere una reazione a catena anche in
presenza di basse concentrazioni di uranio-235.
Ma, purtroppo per i ricercatori, tra cui
figurava in maniera prominente Werner
Heisenberg, la grafite industriale tedesca
conteneva notevoli tracce di boro, un
elemento capace di assorbire neutroni: è
evidente che, con quella grafite impura, è
stato impossibile per i tedeschi costruire
qualcosa di funzionante. Gli americani,
invece, preferirono optare, come
moderatore, per acqua pesante, 2H2O, con
risultati più soddisfacenti. Portarono avanti
quindi due programmi: uno col compito di Werner Heisenberg
sviluppare un reattore ad acqua pesante
Tausendjähriges Reich Pagina 70
Per chiarezza, è sopra mostrato il diagramma di una centrifuga a gas, uno dei metodi più
diffusi; si noti come il gas raccolto lateralmente e sul fondo è classificato come
impoverito, mentre quello raccolto al centro e in alto come arricchito. Ovviamente le
centrifughe sono organizzate in grossi complessi a cascata:
Sebbene in genere assimilate dai media, le due bombe sono profondamente diverse.
Little boy, ragazzino, la bomba che devastò Hiroshima, era una bomba all'uranio, del tipo
“a pistola”. Fat man, uomo grasso, la bomba che invece ridusse in cenere Nagasaki, era
una bomba al plutonio, del tipo “ad implosione”.
Analizziamo prima Little boy, con un diagramma corrispondente a quella che si crede sia
la sua struttura interna:
uranio contenuti nella bomba subiscono fissione prima che tutto si disintegri.
La potenza di questo ordigno, lungo 3 metri, dal diametro di 70 centimetri e dal peso di
4 tonnellate, trasportata da un bombardiere B-29 Superfortress, è di circa 15 kiloton,
ossia equivalente a quindici milione di chilogrammi di TNT, trinitrotoluene, o
semplicemente tritolo, ossia 63 terajoule. Little Boy, esplodendo sulla pianura di
Hiroshima, uccise sul colpo 70.000 persone, e le sue radiazioni ne uccisero molte di più
nel tempo. Passiamo ora a Fat Man:
In questo caso, risulta più funzionale lo schema della sezione delle sfere concentriche che
costituiscono la parte esplosiva di Fat Man.
In verde, la sferetta più interna, è l'iniziatore di neutroni, seguita, in bianco, da un sottile
spazio pieno d'aria. Segue quindi in rosa il materiale fissile: si tratta di una lega di
plutonio-239 (96%), plutonio-240 (1%) e gallio (1%). In verde acqua è invece la sfera cava
del riflettore di neutroni, stavolta uranio naturale. A ricoprire queste sfere concentriche vi
è uno strato di lega alluminio-boro. Seguono uno strato di esplosivo veloce (fucsia
chiaro), uno di esplosivo lento (viola) e un altro di esplosivo veloce (fucsia chiaro).
Terminano il tutto i detonatori (rosso) e un contenitore in duralluminio (lega di alluminio,
rame, magnesio e manganese).
La sfera di plutonio fissile, di per sé, è sub-critica. Al momento dell'esplosione, però,
anche in questo caso poco meno di 600 metri dal suolo, l'impianto di lenti esplosive
attorno al nocciolo comprime uniformemente (è necessaria una detonazione precisissima,
perché una compressione non uniforme non permetterebbe l'implosione) il plutonio, che
pur non avendo una massa critica, raggiunge comunque una situazione critica per
l'enorme aumento di densità dovuto alla compressione. I neutroni del berillio-polonio
fanno il resto.
Fat Man era lunga 2.34m, aveva un diametro di 1.52m e pesava 4630kg. Era molto più
larga (“fat”, appunto) di Little Boy, ma pesava poco di più. Anche questa fu trasportata da
un B-29 Superfortress, sulla città di Nagasaki. La potenza nominale è di 21 kiloton, ossia
21 milioni di chilogrammi di tritolo, o 88 terajoule. I morti sono stati sul colpo 40.000, e i
danni meno estensivi di quelli di Hiroshima, ma questo è dovuto fondamentalmente al
Tausendjähriges Reich Pagina 75
While the most important English-speaking states are liberal democracies, that doesn't
mean that no English intellectual or author had sympathies for the national-socialist or
fascist political programs.
The writer who is going to be treated in this publication was a sympathizer of Mussolini's
regime, and although American he lived for many years in Italy; his antisemitic thoughts,
anyway, make him suitable in order to be included in this paper: his name was Ezra
Pound.
Ezra Pound was born in 1885 in Idaho, USA;
he graduated in Hamilton College and took
his degree from the University of
Pennsylvania. In 1908 Pound went to
London, and was at the center of London
literary life; then, in 1918, he moved to
Paris, that after the war was full of
American expatriates like himself, attracted
by the city's culture and low cost of life.
When he arrived to Paris, he asked James
Joyce, whom he had known in 1913, being
the one who serialized his Portrait of the
artist as a young man for a magazine, and
who was living as an unknown poet in Ezra Pound
communism and believed that the only answer was fascism, under leaders like Mussolini.
During the war, starting in 1941, Pound was invited by the Italian government to talk
freely on the radio. He did, and his speeches were registered by the British Army on the
island of Malta; these recordings were to be used, later, as an evidence of treason against
Pound. His speeches touch many matters, but the most prominent ones are politics and
economics. His speeches against the Jew domination of economy can be considered very
close to the national-socialist idea.
From his speeches we can imagine a world governed by a Jewish globalist plot, managing
the strong power of money by usury and the political power by freemasonry. These
strong powers, indeed, materialized themselves in the World Bank, the Monetary Fund,
the United Nations and the UNESCO a few years later. He was also a traditionalist, and
viewed the world through a preindustrial filter that made him seek the same values of
blood and soil of the national-socialists.
Pound attacks strongly the Soviet Union,
not for its socialist economy, but for its
leader, Joseph Stalin. He considers Stalin to
be, like Lenin and Trotzky, a Jewish pawn,
controlled by the Jewish families that
financed the Communist Revolution. He
remembers his audience, and it is an
argument used many times by the national-
socialist propaganda, that in the first Soviet
nine of eleven members were Jewish,
although Jewish population in Russia was
really a small percentage; he, moreover,
drawn near the Bolshevist ideas and the
teachings of the Talmud.
When the American army reached Genoa in The World, governed by the Jewish lobby
through money, freemasonry, the United Nations and
1945, Pound was arrested and imprisoned communism
in an army camp near Pisa; he was then
taken to Washington, where he risked the death sentence because he collaborated with
the enemy.
Instead he allowed himself to be declared insane and was committed to a mental hospital
for about 13 years.
In 1958 he was released and returned to Italy, where he died, in Venice, in 1972. He left
about 70 books and over 1500 articles, in addition to the radio speeches.
He was one the most innovative and experimental of all 20th-century Anglo-American
poets. He rejected the themes and versification of the romantics, using a colloquial,
ironical style. He studied many foreign languages, including Latin, Greek, Italian,
Provençal and Chinese, so he imported many features of the metrical structures of these
languages into his poetry.
Tausendjähriges Reich Pagina 78
Bibliografia
Molte informazioni sono elaborate a partire da diversi articoli delle seguenti enciclopedie:
http://en.wikipedia.org/
http://it.wikipedia.org/
Microsoft Encarta 2006 (http://www.microsoft.com/italy/encarta/)
Encyclopædia Britannica 2006 (http://www.britannica.com/)
http://psephos.adam-carr.net/countries/g/germany/reichstag.txt
http://psephos.adam-carr.net/countries/g/germany/president.txt
http://allfreeessays.com/student/How_and_Why_Hitler_gained_power_in_1933.html
http://www.thirdreichruins.com/nuernberg.htm
http://www.filosofico.net/
http://socserv2.mcmaster.ca/~econ/ugcm/3ll3/hegel/history.pdf
http://hyperphysics.phy-astr.gsu.edu/hbase/hframe.html *
http://science.howstuffworks.com/nuclear-bomb.htm
http://www.atomicarchive.com/
The Rise and Fall of the Third Reich (William L. Shirer, Simon & Schuster, ISBN
0671728687)
L'Italia fascista e la Germania nazista (Alexander J. De Grand, il Mulino, ISBN 8815105115)
Lo Stato nazista (Norbert Frei, Editori Laterza, ISBN 8842064335)
Storia della filosofia (Mario Santagata, Ciranna & Ferrara, ISBN 8881440040)
Se questo è un uomo (Primo Levi, Einaudi, ISBN 8806176552)
Ezra Pound - Discorsi radiofonici 1941-1943 (Marco Dolcetta, Rai-Eri, ISBN 8839712453)
Il club dell'uranio di Hitler (Jeremy Bernstein, Sironi Editore, ISBN 8851800510)