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e discussioni intorno alla natura e ai fondamenti dei principi morali sono considerate tra i contributi pi originali del pensiero britannico alla cultura filosofica del Settecento. In effetti si verificata di rado nella storia del pensiero moderno una simile convergenza di interessi di filosofi, teologi e letterati sui temi delletica. Le posizioni sostenute dai diversi autori presentano tuttavia un ventaglio molto articolato, che va dalle versioni estreme del razionalismo etico allequiparazione dei giudizi morali a una forma di sensibilit specifica; dai tentativi di ricondurre i comportamenti virtuosi a modificazioni degli impulsi egoistici alla teorizzazione della simpatia e della benevolenza come espressioni spontanee e irriducibili della natura umana. Nel corso di questo dibattito emerge una serie di problemi con i quali la riflessione dei filosofi morali ha continuato a confrontarsi fino ai nostri giorni. Concetti come quello di utilit pubblica, di spettatore imparziale, e criteri come quelli che ispirano la distinzione fra livello descrittivo e normativo dellindagine sulla morale, affondano le loro radici nelle contrastanti prospettive di ricerca che saranno esposte nel corso del capitolo. Tali prospettive si richiamano a loro volta a due linee principali dellantropologia filosofica del secondo Seicento. La prima, che pu essere ricondotta a Hobbes, si fonda su una visione sostanzialmente pessimistica della natura umana e mette in evidenza le conseguenze degli impulsi naturali degli individui volti allautoconservazione e alla sicurezza. Alla base dellistituzione della societ e dellautorit politica proprio la necessit di contrastare gli effetti conflittuali degli istinti egoistici e dei meccanismi di competizione, diffidenza, gloria che reggono i rapporti fra gli individui. Il secondo orientamento si richiama invece alle dottrine che attribuiscono agli esseri umani una tendenza spontanea alla vita sociale e una consapevolezza innata o istintiva della distinzione fra bene e male. Questa tendenza trova lespressione pi compiuta, nei primi anni del Settecento, nei saggi di Anthony Shaftesbury, che richiamandosi a Platone attribuisce lorigine della moralit a una comprensione intuitiva dellidea del bene. La linea indicata da Hobbes trova sviluppo, adattandosi a nuove esigenze di carattere teorico e a una mutata situazione sociale e culturale, soprattutto nelle opere di Bernard Mandeville e poi nelle varie teorie egoistiche della morale. Alla posizione di Shaftesbury si richiama invece la riflessione dei filosofi britannici che, come Francis Hutcheson e Adam Smith, considerano la simpatia o il senso morale come le condizioni fondamentali per lelaborazione di sistemi di valori e per la pratica della virt. Ma un orientamento del genere sostanzialmente condiviso anche da coloro che vedono nelle leggi morali la manifestazione delle relazioni eterne e immutabili fra le cose, cio gli esponenti del cosiddetto razionalismo etico, come Samuel Clarke e William Wollaston. Non si tratta di alternative sempre incompatibili, come dimostrano ad esempio la teoria morale di Hume o il tentativo di David Hartley di spiegare la genesi dei sentimenti morali dalle stesse passioni egoistiche. La distinzione fra le due correnti offre tuttavia un primo criterio per orientarsi nelle discussioni dei moralisti del Settecento, riconoscendo gli elementi di continuit delle rispettive tradizioni senza sacrificare loriginalit delle diverse prospettive dindagine.
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tuttavia
la libert dei costumi e le attivit legate al vizio aumentano il benessere dellintera comunit
di ricevere riconoscimenti e conferme da parte dei propri simili. Tale esigenza corrisponde al desiderio di rispecchiarsi in qualche modo nei giudizi altrui, e di ricavarne unimmagine positiva dei propri meriti e delle proprie qualit. Morale artificiale Nella Ricerca sulle origini della morale, Mandeville parte proprio dalla considerazione e origine delle tendenze asociali della specie umana, per attribuire alla nascita della della societ societ civile il carattere di un artificio o di un inganno. Per costringere gli uomini riluttanti a formare una societ, i legislatori pi avveduti li avrebbero persuasi che la loro superiorit sugli animali e sugli altri uomini consisteva nel rinnegare gli istinti egoistici e guadagnarsi il titolo di benefattori della societ. In seguito, riconoscendo linsufficienza del ricorso alla classica teoria dellimpostura politica, Mandeville avrebbe messo da parte lipotesi del legislatore cercando una spiegazione antropologica pi adeguata. Il saggio dal titolo Ricerca sulla natura della societ (A Search into the Nature of Society, 1723) individua piuttosto nei bisogni imposti da una natura avara i motivi fondamentali per la creazione di forme di associazione e interdipendenza fra gli individui, motivi capaci di trasformare la maggioranza degli esseri umani in creature disciplinate. Con questo non viene modificata radicalmente la loro natura, n diventa meno artificiale la formazione delle nozioni morali. Mandeville sottolinea il divario fra un ideale di perfezione morale quasi irraggiungibile e i comportamenti effettivi degli esseri umani nei loro rapporti. Nella sua prospettiva, solo lipocrisia generalizzata pu conciliare la predicazione dei moralisti con la diffusione di attivit e interessi che, sebbene immorali e spesso illegali, contribuiscono di fatto ad assicurare la prosperit e la potenza di una nazione evoluta, come lInghilterra del primo Settecento.
Le tesi paradossali di Mandeville erano destinate a suscitare reazioni particolarmente accese, perch rappresentavano una sfida a ogni ipotesi di armonizzazione fra comportamenti virtuosi e interessi comuni nelle societ progredite. La maggior parte dei filosofi dellepoca si trovava daccordo nella condanna di una concezione, come quella di Mandeville, generalmente considerata come un vero e proprio elogio dellimmoralit. Non per questo le differenze tra le diverse posizioni apparivano meno rilevanti, soprattutto nella scelta dei criteri sui quali fondare il carattere obiettivo e universale delle norme morali.
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Una nuova impostazione dei temi centrali del dibattito morale nel primo Settecento dovuta a Francis Hutcheson (1694-1746), irlandese di origine ma per molti anni professore nelluniversit scozzese di Glasgow. I suoi scritti sono ispirati da un lato dalla volont di contrastare le tesi di Mandeville, e poi di Hume, sul carattere artificiale delle nozioni di virt e vizio; dallaltro dal tentativo di realizzare una conciliazione fra due impostazioni filosofiche distanti, come quelle di Locke e di Anthony Cooper, terzo conte di Shaftesbury (1671-1713). Il primo rifiutava di ammettere che la legge morale fosse fondata su principi innati. Il secondo invece, richiamandosi a Platone, attribuiva i giudizi morali e i comportamenti virtuosi alla scintilla divina presente nellanimo umano, fonte di uninclinazione al riconoscimento dellarmonia e dellordine del mondo naturale e sociale. In altri termini, per Hutcheson si tratta di riconoscere il carattere spontaneo e universale dei giudizi morali, senza per questo attribuirlo allinflusso di idee innate o a forme superiori di conoscenza intellettuale.
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riconduce anche le azioni altruistiche allinteresse personale correttamente inteso (attribuendo il merito non agli effetti delle azioni, ma allintenzione del soggetto che le compie)
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Successore di Hutcheson sulla cattedra di filosofia morale a Glasgow a partire dal 1752, Adam Smith (1723-1790) trascorse la maggior parte della vita in Scozia, salvo alcuni anni di insegnamento a Oxford. Il suo nome stato a lungo legato soprattutto alla sua opera Indagine sulla ricchezza delle nazioni (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776), divenuta ben presto un classico dell economia moderna. Solo a partire dalla seconda met del secolo scorso le dottrine esposte nella Teoria dei sentimenti morali (Theory of Moral Sentiments, 1759) sono state al centro di una nuova attenzione, da parte sia degli storici della filosofia sia degli studiosi di etica.
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La Teoria dei sentimenti morali, che sub revisioni e modifiche nel corso di tutta la vita dellautore (lultima edizione risale allanno della sua morte), raccoglieva le esperienze intellettuali maturate da Smith durante gli anni di insegnamento accademico e di vivaci scambi di idee con lamico Hume e altri filosofi scozzesi. Alle prime parti, dedicate ai criteri di appropriatezza (fitness) delle azioni, facevano seguito altre tre sezioni dedicate al rapporto fra utilit e virt e agli influssi dellambiente e del carattere sui comportamenti, per finire con unultima parte che prendeva in esame i sistemi di filosofia morale dellepoca e le loro conseguenze. Soprattutto questa parte ci permette di comprendere la posizione di Smith rispetto ai contemporanei. Lautore formula una netta condanna del sistema di Mandeville, non solo per la sua pericolosa tendenza a confondere il vizio e la virt, ma anche per lo stile brillante, che pu attrarre i lettori ingenui e ingannarli. Invece Hutcheson e i suoi seguaci hanno offerto prove inconfutabili dellesistenza di un senso morale irriducibile alla ragione e al calcolo. Hutcheson ha per confuso la nozione di moralit con il semplice impulso naturale, dimenticando che le impressioni di tutti i sensi non sono mai buone o cattive in se stesse, ma solo in conseguenza delle cose alle quali si riferiscono. Solo negli oggetti di approvazione o biasimo risiede infatti la qualit che permette di percepire unazione come buona o cattiva. Lo spettatore Il problema che pone Smith non dissimile dalAdam Smith in un ritratto dellepoca. imparziale le obiezioni che Hume aveva rivolto a Hutcheson: come essere certi che la sensibilit morale si rivolga agli oggetti appropriati, e che nella valutazione morale non interferiscano motivi di interesse o giudizi parziali? La soluzione di Smith prevede il ricorso alla celebre figura dello spettatore imparziale e bene informato, utilizzata per rappresentare il carattere obiettivo e disinteressato dei giudizi morali. Gi molti filosofi avevano sottolineato che il giudizio sul merito delle azioni dovrebbe richiedere un necessario distacco da considerazioni contingenti. Smith sviluppa per unanalisi molto pi approfondita dei meccanismi che presiedono alla valutazione morale: lo stesso fenomeno spontaneo della simpatia pu essere spiegato ricorrendo a una teoria dellimmaginazione analoga a quella proposta da Hume. La simpatia (sympathy), intesa come una sorta di immedesimazione di un individuo nelle situazioni vissute dai propri simili, dipende dalla capacit dellimmaginazione di ricreare le reazioni emotive appropriate a quelle stesse situazioni. Tale meccanismo permetterebbe di partecipare alle gioie e alle sofferenze degli altri esseri umani, anche quando questi ultimi potrebbero esserci completamente indifferenti sulla base di altre considerazioni. Il giudice Rispetto a Hume, Smith attribuisce per alla simpatia una carica emotiva e valutativa interiore molto pi forte, estendendo i suoi effetti al di l di momenti e situazioni contingenti e trasformandola nella fonte di giudizi obiettivi. Il ricorso al punto di vista dello spettatore imparziale o immaginario implica proprio lo sforzo di garantire una fonte di valutazione che sia, al tempo stesso, immediata e capace di unestensione universale.
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Thomas Gainsborough, I signori Andrews, 1750 ca. (Londra, National Gallery). Nel corso del Settecento in Inghilterra il fenomeno delle recinzioni (enclosures) dei campi coltivati fu un fattore di sviluppo economico importante tra quelli che nel giro di pochi anni avrebbero portato alla rivoluzione industriale. Oltre che sui sentimenti morali lanalisi di Smith si concentra sui temi delleconomia che investono il ceto imprenditoriale.
mano invisibile concilia gli interessi individuali e fa sorgere unarmonia sociale non progettata: ognuno persegue il proprio interesse, ma la concorrenza fra gli interessi aumenta il benessere generale pi di quanto potrebbe fare qualunque decisione dallalto. Proprio per il suo atteggiamento conciliatorio e per la fiducia nella possibilit di un progresso morale dellumanit, il messaggio di Smith risulta pi moderato e conformista rispetto a quello di altri contemporanei, come Hume; ma al tempo stesso si rivela pi adatto ad esprimere le esigenze e le aspirazioni della nuova societ industriale, ormai chiaramente delineata nella seconda met del Settecento. Lo vedremo quando studieremo la rivoluzione industriale.
sulla morale
Come stato spesso ricordato nelle pagine precedenti, la riflessione dei moralisti britannici un termine di riferimento inevitabile per il dibattito dei secoli successivi. Per citare un esempio importante, tale riflessione stata certamente presente a Kant nel costruire la sua visione di unetica autonoma rispetto alla religione e alle convenzioni sociali. Quella di Kant sar per una morale formale, fondata su postulati di carattere universale privi di ogni connotazione psicologica: unimpostazione in contrasto sia con quella dei teorici dei piaceri della virt, sia con quella dei seguaci delle concezioni che fondano i principi morali sul calcolo degli interessi degli individui o della societ. La ripresa Questultimo orientamento (utilitarismo) trova invece ampia diffusione in Gran Bretadel principio gna, negli ambienti della cultura progressista del primo Ottocento. Qui la tesi che attribudi utilit isce un ruolo dominante alle influenze morali delleducazione e dellambiente viene utilizzata per sviluppare progetti di riforma politica e legislativa. Gli spunti di Hartley e dei
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