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Religione, ragione, storia tra Seicento e Settecento

Lanalisi dei sentimenti morali


Introduzione

e discussioni intorno alla natura e ai fondamenti dei principi morali sono considerate tra i contributi pi originali del pensiero britannico alla cultura filosofica del Settecento. In effetti si verificata di rado nella storia del pensiero moderno una simile convergenza di interessi di filosofi, teologi e letterati sui temi delletica. Le posizioni sostenute dai diversi autori presentano tuttavia un ventaglio molto articolato, che va dalle versioni estreme del razionalismo etico allequiparazione dei giudizi morali a una forma di sensibilit specifica; dai tentativi di ricondurre i comportamenti virtuosi a modificazioni degli impulsi egoistici alla teorizzazione della simpatia e della benevolenza come espressioni spontanee e irriducibili della natura umana. Nel corso di questo dibattito emerge una serie di problemi con i quali la riflessione dei filosofi morali ha continuato a confrontarsi fino ai nostri giorni. Concetti come quello di utilit pubblica, di spettatore imparziale, e criteri come quelli che ispirano la distinzione fra livello descrittivo e normativo dellindagine sulla morale, affondano le loro radici nelle contrastanti prospettive di ricerca che saranno esposte nel corso del capitolo. Tali prospettive si richiamano a loro volta a due linee principali dellantropologia filosofica del secondo Seicento. La prima, che pu essere ricondotta a Hobbes, si fonda su una visione sostanzialmente pessimistica della natura umana e mette in evidenza le conseguenze degli impulsi naturali degli individui volti allautoconservazione e alla sicurezza. Alla base dellistituzione della societ e dellautorit politica proprio la necessit di contrastare gli effetti conflittuali degli istinti egoistici e dei meccanismi di competizione, diffidenza, gloria che reggono i rapporti fra gli individui. Il secondo orientamento si richiama invece alle dottrine che attribuiscono agli esseri umani una tendenza spontanea alla vita sociale e una consapevolezza innata o istintiva della distinzione fra bene e male. Questa tendenza trova lespressione pi compiuta, nei primi anni del Settecento, nei saggi di Anthony Shaftesbury, che richiamandosi a Platone attribuisce lorigine della moralit a una comprensione intuitiva dellidea del bene. La linea indicata da Hobbes trova sviluppo, adattandosi a nuove esigenze di carattere teorico e a una mutata situazione sociale e culturale, soprattutto nelle opere di Bernard Mandeville e poi nelle varie teorie egoistiche della morale. Alla posizione di Shaftesbury si richiama invece la riflessione dei filosofi britannici che, come Francis Hutcheson e Adam Smith, considerano la simpatia o il senso morale come le condizioni fondamentali per lelaborazione di sistemi di valori e per la pratica della virt. Ma un orientamento del genere sostanzialmente condiviso anche da coloro che vedono nelle leggi morali la manifestazione delle relazioni eterne e immutabili fra le cose, cio gli esponenti del cosiddetto razionalismo etico, come Samuel Clarke e William Wollaston. Non si tratta di alternative sempre incompatibili, come dimostrano ad esempio la teoria morale di Hume o il tentativo di David Hartley di spiegare la genesi dei sentimenti morali dalle stesse passioni egoistiche. La distinzione fra le due correnti offre tuttavia un primo criterio per orientarsi nelle discussioni dei moralisti del Settecento, riconoscendo gli elementi di continuit delle rispettive tradizioni senza sacrificare loriginalit delle diverse prospettive dindagine.

2011 RCS Libri S.p.A./La Nuova Italia A. La Vergata, F. Trabattoni, Filosofia, cultura, cittadinanza

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Lanalisi dei sentimenti morali

1 Morale privata e virt pubbliche


Tra le opere del primo Settecento che alimentarono il dibattito sui rapporti fra il primato dei valori etici e il progresso della societ, un ruolo centrale va attribuito al testo pubblicato nel 1705 dal medico di origine olandese Bernard Mandeville (16701733), con il titolo Lalveare scontento, o la trasformazione dei furfanti in onesti (The Grumbling Hive: or, Knaves Turnd Honest) . Si trattava di un apologo in versi, ispirato al modello delle favole di Esopo, ed era destinato a rappresentare per i contemporanei limmagine pi efficace di una societ raffinata e sviluppata nel commercio e nelle arti, in cui per laspirazione al benessere e alla diffusione della cultura si scontrava con i principi morali e le regole di vita ereditate dalla tradizione. Nel mondo descritto da Mandeville (un vasto alveare ricco di api, che viveva nel lusso e nellagio), la prosperit diffusa e lincremento della ricchezza appaiono inseparabili dalla corruzione e dallingiustizia. La passione per il lusso, lavidit e la vanit favoriscono infatti il ricorso allinganno e alla sopraffazione reciproca, mentre viene incoraggiata la diffusione di vizi come lubriachezza, la prostituzione e il furto. E invece nel momento in cui linvocazione ipocrita di alcune api alla riforma dei costumi viene raccolta da Giove e i malvagi diventano onesti, comincia anche un processo di inarrestabile decadenza economica e culturale. La popolazione dellalveare, costretta a rinunciare alle attivit pi redditizie, si impoverisce e si riduce drasticamente, mentre allausterit dei costumi fa seguito il trionfo della miseria e dellignoranza, e lincapacit di difendersi fa di una comunit cos indebolita una facile preda per le nazioni pi aggressive. Lanalisi della Nelle edizioni successive, a partire dal 1714, lopera assunse il titolo definitivo di La favola societ e dei delle api, ovvero vizi privati e pubblici benefici (The Fable of the Bees: or, Private Vices, Publick Benecomportamenti fits) e fu integrata da una serie di note esplicative e dallaggiunta di una Ricerca sulle origini della virt morale (Enquiry into the Origin of Moral Virtue), che precisava linterpretazione dei rapporti fra societ e politica proposta da Mandeville. Molti pensarono che si trattasse di una cinica esaltazione dellanarchia morale e del libertinismo come fondamenti indispensabili della vita sociale. Invece Mandeville poneva ai suoi lettori lalternativa fra un modello di societ in cui la libert dei costumi e le attivit legate al vizio generalizzato contribuiscono allincremento del benessere, e una comunit ispirata a modelli di austerit e rigore morale, che per deve rinunciare a tutti i vantaggi del progresso. Tale impostazione comportava da un lato lanalisi spregiudicata di un mondo in cui le attivit economiche connesse alla produzione della ricchezza e del lusso condizionano ogni aspetto della vita pubblica; dallaltro ladozione di criteri morali ispirati al massimo rigore, che impongono di valutare i comportamenti virtuosi sulla base delle intenzioni e non soltanto dei risultati. Per definire unazione come meritoria dal punto di vista morale occorre infatti, a parere di Mandeville, che dalle sue motivazioni sia escluso qualsiasi elemento di gratificazione per il soggetto che la compie. Anche comportamenti disinteressati o addirittura eroici possono infatti essere ispirati da impulsi egoistici, come lorgoglio o la vanit, piuttosto che dallo spirito di sacrificio. Amore di s Compare qui un elemento importante, che conferma la sottigliezza dellanalisi di Mane amor proprio deville, cio la distinzione fra lamore di s (self-love) e lamor proprio (self-liking): un tema gi accennato nei primi scritti, ma elaborato in modo molto pi complesso nel Dialogo fra Cleomene e Orazio, che costituisce la seconda parte della Favola (1729), e poi nel saggio Ricerca sullorigine dellonore (An Enquiry into the Origin of Honour, 1732). Accanto alle tendenze istintive alla sopravvivenza e al perseguimento dei propri interessi, anche con il ricorso a metodi aggressivi, occorre tener conto di unaltra passione fondamentale legata allaffermazione di s. Si tratta dellamor proprio, inteso come il bisogno
La favola delle api

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Lanalisi dei sentimenti morali


Il paradosso di Mandeville: vizi privati e pubblici benefici
Laspirazione al benessere
contrasta con

i principi morali del cristianesimo

Si ha allora un paradosso morale

tuttavia

la libert dei costumi e le attivit legate al vizio aumentano il benessere dellintera comunit

ai vizi privati corrispondono pubblici benefici

di ricevere riconoscimenti e conferme da parte dei propri simili. Tale esigenza corrisponde al desiderio di rispecchiarsi in qualche modo nei giudizi altrui, e di ricavarne unimmagine positiva dei propri meriti e delle proprie qualit. Morale artificiale Nella Ricerca sulle origini della morale, Mandeville parte proprio dalla considerazione e origine delle tendenze asociali della specie umana, per attribuire alla nascita della della societ societ civile il carattere di un artificio o di un inganno. Per costringere gli uomini riluttanti a formare una societ, i legislatori pi avveduti li avrebbero persuasi che la loro superiorit sugli animali e sugli altri uomini consisteva nel rinnegare gli istinti egoistici e guadagnarsi il titolo di benefattori della societ. In seguito, riconoscendo linsufficienza del ricorso alla classica teoria dellimpostura politica, Mandeville avrebbe messo da parte lipotesi del legislatore cercando una spiegazione antropologica pi adeguata. Il saggio dal titolo Ricerca sulla natura della societ (A Search into the Nature of Society, 1723) individua piuttosto nei bisogni imposti da una natura avara i motivi fondamentali per la creazione di forme di associazione e interdipendenza fra gli individui, motivi capaci di trasformare la maggioranza degli esseri umani in creature disciplinate. Con questo non viene modificata radicalmente la loro natura, n diventa meno artificiale la formazione delle nozioni morali. Mandeville sottolinea il divario fra un ideale di perfezione morale quasi irraggiungibile e i comportamenti effettivi degli esseri umani nei loro rapporti. Nella sua prospettiva, solo lipocrisia generalizzata pu conciliare la predicazione dei moralisti con la diffusione di attivit e interessi che, sebbene immorali e spesso illegali, contribuiscono di fatto ad assicurare la prosperit e la potenza di una nazione evoluta, come lInghilterra del primo Settecento.

2 La storia della mente e la genesi

dei sentimenti morali

Le reazioni dei contemporanei

Le tesi paradossali di Mandeville erano destinate a suscitare reazioni particolarmente accese, perch rappresentavano una sfida a ogni ipotesi di armonizzazione fra comportamenti virtuosi e interessi comuni nelle societ progredite. La maggior parte dei filosofi dellepoca si trovava daccordo nella condanna di una concezione, come quella di Mandeville, generalmente considerata come un vero e proprio elogio dellimmoralit. Non per questo le differenze tra le diverse posizioni apparivano meno rilevanti, soprattutto nella scelta dei criteri sui quali fondare il carattere obiettivo e universale delle norme morali.

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Nei sermoni di Samuel Clarke (1675-1729), celebre teologo e appassionato difensore della fisica newtoniana, linsistenza era posta sulla necessaria coincidenza dei principi della morale naturale con i criteri di armonia e proporzione (le eterne ragioni delle cose), che fondano lordine del mondo. Anche William Wollaston (1659-1724), laltro esponente principale del razionalismo etico nellInghilterra del primo Settecento, identificava nella sua opera pi nota, La religione della natura (The Religion of Nature, 1724), il fondamento della religiosit spontanea degli esseri umani con la legge morale ispirata dalla ragione. Questa convinzione lo portava addirittura ad ammettere che unazione moralmente condannabile doveva essere considerata equivalente a un errore di logica. Erano aspetti in qualche misura gi presenti anche in Locke, che aveva tentato invano di costruire una morale come scienza dimostrativa. Ma soprattutto una posizione del genere caratterizzava i cosiddetti deisti, impegnati nel tentativo di sostituire alle religioni istituzionali la morale ragionevole e le credenze essenziali di un cristianesimo antico quanto la creazione, per usare la nota formula di Matthew Tindal (1656 -1733). La storia Si trattava per di posizioni sempre pi isolate rispetto ai filoni dominanti nella riflessiodella mente ne sulletica. Una strada destinata a sviluppi ben pi significativi fra Settecento e Ottocento invece indicata dagli autori che cercano nellevoluzione degli stessi impulsi egoistici o nel calcolo comparativo di piaceri e dolori le basi pi solide dei giudizi morali e delle abitudini virtuose. questo il caso di una corrente filosofica che pone al centro dellattenzione la tematica della storia della mente, ossia non tanto la questione dei fondamenti della morale, ma il processo di assimilazione di modelli di comportamento efficaci e stabili da parte della coscienza individuale. Associazione A partire dagli anni Trenta del Settecento, alcuni teologi di Cambridge tra i quadelle idee li il curatore di unimportante edizione delle opere di Locke, Edmund Law (1703e sviluppo della coscienza 1787) si propongono infatti di fornire una spiegazione adeguata della nascita dei morale sentimenti morali sulla base del cosiddetto principio di associazione delle idee. Tale principio, che avr una lunga fortuna nella psicologia dei secoli successivi, si presta a interpretazioni diverse: pu essere inteso come la forza gentile che secondo Hume collega le percezioni in modo spesso imprevedibile, oppure come una vera a propria forza capace di plasmare la coscienza, attraverso la costituzione di abitudini e comportamenti automatici. Al contrario di Hume, e indipendentemente da lui, la legge di associazione interpretata dagli autori di Cambridge come lo strumento attraverso il quale le vicende dellesperienza e la storia personale contribuiscono a sviluppare il carattere e a dirigere il comportamento di ogni individuo. Si tratta dunque di unapplicazione letterale del modello anti-innatistico di Locke alla teoria psicologica e pedagogica: lambiente e leducazione sono visti come gli strumenti esclusivi per la formazione della coscienza, e anche per la parziale eliminazione delle originarie tendenze egoistiche comuni a tutti gli esseri viventi. Lesperienza correttamente interpretata pu infatti rivelare i vantaggi che derivano da una condotta altruistica, e la superiorit dei piaceri intellettuali e morali su quelli sensibili; mentre labitudine pu rendere pi facile e spontaneo il compimento dei propri doveri. Passioni Il primo testo che ricorre espressamente a questo principio per spiegare i presupposti di egoistiche una morale fondata sul concetto di utilit generale (cio sullidea che la ricerca della e interesse generale felicit individuale sia compatibile con la realizzazione dellinteresse comune) un saggio pubblicato dal teologo John Gay, la Dissertazione sul principio fondamentale della virt o moralit (Dissertation on the Fundamental Principle of Virtue or Morality, 1731). Ma soprattutto nellopera monumentale del medico David Hartley (1705-1757),
Il razionalismo etico

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Osservazioni sulluomo (Observations on Man, 1749), che la legge di associazione diviene il principio unificante della vita spirituale. Partendo dalla considerazione dellapparato nervoso adibito al movimento e alla sensibilit e delle prime reazioni degli esseri umani allambiente, Hartley delinea infatti uno sviluppo delle facolt intellettuali e dei sentimenti morali in grado di condurre dagli impulsi egoistici allaltruismo, e addirittura allamore di Dio, attraverso i meccanismi dellassociazione, definita come una vera e propria chimica mentale. Questa spiegazione si fonda sullidea che il progressivo sviluppo dei sentimenti morali sia lespressione di un progetto divino, volto alleducazione degli esseri umani. Ma proprio sulla base di tale convinzione Hartley evita di discutere il problema dei fondamenti e delle giustificazioni delle norme morali, riconoscendo in sostanza che il sostegno indiscutibile di queste ultime risiede nellautorit della rivelazione. Determinismo Le dottrine di Hartley furono riprese, negli ultimi decenni del secolo, dal teologo e provvidenziale scienziato Joseph Priestley (1733-1804), che nel 1775 cur unedizione opportunae radicalismo politico mente ridotta delle Osservazioni sulluomo. Nella sua interpretazione, lassociazione delle idee estendeva il suo potere costruttivo dalle menti individuali alla formazione della coscienza collettiva dei popoli. Il determinismo provvidenziale, cio lidea che le vicende storiche fossero necessariamente dirette verso un esito positivo stabilito dalla provvidenza, diventava cos la chiave di lettura della storia, e ispirava la certezza nel progresso intellettuale e morale come destino immancabile dellumanit. Tali convinzioni fecero di Priestley una sorta di profeta della Rivoluzione francese, contribuendo a collegare la corrente della psicologia associazionistica con la tradizione del protestantesimo radicale e con gli ideali della tolleranza e della libert politica. Non a caso, alla fine del secolo XVIII Edmund Burke (1729-1797), autore delle famose Riflessioni sulla rivoluzione in Francia (Reflexions on the Revolution in France, 1790), unir in una medesima condanna i progetti di rinnovamento radicale della societ e le illusioni di cancellare attraverso leducazione lattaccamento dei popoli alle loro tradizioni culturali e religiose. Tuttavia la combinazione fra etica utilitaristica, psicologia empiristica e radicalismo politico-religioso rester ben oltre il secolo dei Lumi uno dei caratteri pi tipici della cultura anglosassone rispetto alle altre tradizioni europee.

3 La teoria del senso morale


Il carattere spontaneo ma non innato dei giudizi morali

Una nuova impostazione dei temi centrali del dibattito morale nel primo Settecento dovuta a Francis Hutcheson (1694-1746), irlandese di origine ma per molti anni professore nelluniversit scozzese di Glasgow. I suoi scritti sono ispirati da un lato dalla volont di contrastare le tesi di Mandeville, e poi di Hume, sul carattere artificiale delle nozioni di virt e vizio; dallaltro dal tentativo di realizzare una conciliazione fra due impostazioni filosofiche distanti, come quelle di Locke e di Anthony Cooper, terzo conte di Shaftesbury (1671-1713). Il primo rifiutava di ammettere che la legge morale fosse fondata su principi innati. Il secondo invece, richiamandosi a Platone, attribuiva i giudizi morali e i comportamenti virtuosi alla scintilla divina presente nellanimo umano, fonte di uninclinazione al riconoscimento dellarmonia e dellordine del mondo naturale e sociale. In altri termini, per Hutcheson si tratta di riconoscere il carattere spontaneo e universale dei giudizi morali, senza per questo attribuirlo allinflusso di idee innate o a forme superiori di conoscenza intellettuale.

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Da queste premesse nasce lanalisi dei presupposti dellapprovazione morale, che Hutcheson riconduce a forme specifiche di sensibilit piuttosto che alleffetto dellesperienza e del ragionamento. Nella Prefazione alla sua opera pi famosa, Ricerca sullorigine delle nostre idee di bellezza e di virt (An Inquiry into the Original of our Ideas of Beauty and Virtue, 1725), Hutcheson presenta subito la definizione del bene morale come qualit percepita nelle azioni, fonte di giudizi spontanei anche da parte di chi non interessato ai risultati di queste ultime. Rispetto alle forme di apprezzamento o repulsione legate alle sensazioni, emerge dunque come tratto caratteristico del senso morale la capacit di produrre reazioni di approvazione o disapprovazione disinteressate, cio indipendenti dal vantaggio del soggetto che valuta le azioni: una prerogativa simile al gusto estetico. Il ricorso alla terminologia di Locke (le qualit sensibili, le idee semplici e cos via) non nasconde la scelta di un modello sostanzialmente diverso, per spiegare lorigine delle nozioni morali. Locke infatti non avrebbe mai ammesso che queste ultime fossero riconducibili agli effetti di una sensibilit spontanea e legate a una forma specifica di piaceri disinteressati, come Hutcheson cerca di dimostrare. I piaceri della Una volta ammessa luniformit delle reazioni degli esseri umani di fronte ad azioni convirt e le siderate come apprezzabili o condannabili dal punto di vista morale, il primo problema motivazioni dellagire quello di stabilire a quali principi possano essere ricondotte tali reazioni, e in che senso si possa parlare di valutazioni disinteressate e tuttavia legate a piaceri specifici. In esplicita polemica con i filosofi che identificavano il piacere con linteresse individuale, Hutcheson sostiene anzitutto che lapprezzamento dei vantaggi derivanti da una determinata azione sempre il prodotto della facolt di sentire, e non viceversa: in altri termini, non la considerazione del proprio interesse a rendere piacevole un obiettivo che si vuole raggiungere, ma piuttosto il piacere che se ne pu ricavare a renderlo desiderabile. La ricchezza e il potere, ad esempio, sono considerati strumenti per procurarsi dei piaceri, e solo in questo senso sono considerati vantaggiosi per chi li possiede. Ma si pu andare pi a fondo e chiedersi se la scelta del bene morale possa essere davvero influenzata dallaspettativa di qualche piacere presente o futuro, o se invece la valutazione delle azioni buone avvenga mediante un senso specifico di carattere superiore, che induce ad apprezzare e amare lagente che lo compie. La seconda soluzione perJoshua Reynolds, Le grazie che adorano Imene, 1773 (Londra, mette, secondo Hutcheson, non solo di fornire una National Gallery). Con Hutcheson si afferma lidea di un senso morale come capacit di produrre reazioni di spiegazione delle nozioni etiche pi conforme ai approvazione o disapprovazione disinteressate, qualcosa dati dellesperienza, ma anche di comprendere di analogo alla sensibilit estetica, allepoca dominata dal come alla base delle stesse azioni virtuose debba gusto neoclassico. essere postulato un analogo meccanismo di autoapprovazione morale. La scelta del comportamento corretto riceverebbe cos un rinforzo immediato, grazie al fatto che un individuo sarebbe portato spontaneamente ad apprezzare se stesso come autore di azioni moralmente buone. Tendenze Occorre tuttavia riconoscere che, come il gusto estetico assume forme specifiche in spontanee diverse situazioni culturali e storiche, cos la sensibilit morale si presenta in modi diffee fattori ambientali renti a seconda delle varie situazioni e tradizioni dei popoli. Questa constatazione non basta, secondo Hutcheson, a smentire il carattere universale delle qualit morali, ma
Il senso morale

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richiede piuttosto che si spieghino i motivi delle eccezioni alle regole della morale naturale. Solo a questo proposito Hutcheson ammette il ricorso ai meccanismi dellabitudine, accennati da Locke e sviluppati in seguito dai teorici della psicologia associazionistica. Condizionate dalle pressioni dellambiente sono dunque le deviazioni dalle tendenze spontanee, che alterano lo sviluppo naturale della coscienza. Come il gusto barbaro nel campo dellestetica, anche le stravaganze nei codici morali di popoli arretrati o selvaggi sono da attribuire a circostanze contingenti e a influssi negativi dellambiente. Hutcheson, come molti studiosi della natura umana suoi contemporanei, non riesce dunque a evitare la tendenza a identificare i caratteri universali del senso morale con i modelli tipici della cultura dellepoca. Il suo procedimento tuttavia coerente nello sviluppare il paragone tra la funzione degli organi di senso e la natura istintiva del senso morale. Come chi non dotato del senso della vista non pu compensare tale incapacit con lesperienza, cos il senso morale non potrebbe essere impiantato artificialmente: per quanto le condizioni favorevoli e leducazione possano facilitare e armonizzare il suo sviluppo, non potrebbero mai farlo nascere in assenza di uninclinazione istintiva. Il calcolo morale Pu sembrare strano che proprio lautore che insiste tanto sul carattere spontaneo e immediato dei giudizi morali abbia poi elaborato un progetto di vero e proprio calcolo del grado di moralit delle azioni. Ci appare pi comprensibile se si considera che anche la sollecitudine verso se stessi deve essere compresa fra i sentimenti che ispirano la benevolenza universale. quindi del tutto legittimo, in molti casi, chiedersi se il bene fatto a qualcun altro sia proporzionato al sacrificio di s che lazione richiede. Sarebbe assurdo se la generosit inducesse i poveri a donare ai ricchi, cos come sarebbe imprudente seguire ogni impulso altruistico senza tener conto delle conseguenze che pu avere per la collettivit. Ad esempio, aiutare la fuga di un prigioniero o mentire per salvare una vita possono essere atti in s apprezzabili, ma dannosi a lungo termine e contrari agli interessi della societ: infatti lautorizzazione a queste azioni aprirebbe la strada alla pi grande scelleratezza. La ragione mantiene quindi, secondo Hutcheson, un ruolo importante nella scelta degli obiettivi da perseguire e nella correzione degli impulsi naturali, anche se non basta da sola a fornire criteri e motivazioni dellagire. I limiti del Le dottrine di Hutcheson hanno esercitato una forte influenza sulla riflessione dei morasenso morale: listi scozzesi, a cominciare da Hume, che ne apprezzava sia la critica alle pretese di una Hutcheson e Hume giustificazione razionale delle valutazioni morali, sia la tesi dellindipendenza delletica dalla religione. Riteneva tuttavia eccessivo lottimismo di Hutcheson, che dava della natura umana un quadro lusinghiero, ma non sempre adeguato alla comprensione dei veri meccanismi delle azioni. A parere di Hume, gli impulsi della benevolenza e della solidariet (sympathy) non solo contrastano con le passioni egoistiche, ma spesso si indeboliscono tanto pi quanto pi i loro destinatari sono lontani dalla cerchia delle nostre relazioni (la famiglia, gli amici, la comunit locale o nazionale). Simili considerazioni dimostrano la difficolt di mantenere un equilibrio nella valutazione del ruolo e dei limiti del senso morale. Quanto pi questultimo viene considerato influente e universale, tanto pi si pone il problema di spiegare le tendenze altrettanto naturali e diffuse allegoismo e alla parzialit nei giudizi e nella condotta, senza ricorrere alle idee di peccato e di colpa ereditate dalla tradizione teologica. Hutcheson cerca di spiegare questa difficolt adducendo il malinteso amore di s che porterebbe ad attribuire erroneamente cattive intenzioni ai propri avversari; ma alla fine costretto a riconoscere che la benevolenza risulta spesso un debole ostacolo di fronte allintensit delle passioni collegate allaffermazione di se stessi.

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4 Il primato della coscienza


Tanto le teorie del senso morale, quanto le dottrine razionalistiche delletica si trovano inevitabilmente ad affrontare il problema di dimostrare che le inclinazioni verso il bene non sono soltanto naturali, ma anche vincolanti, nel senso che assecondare la loro influenza un obbligo e si collega allattribuzione di responsabilit per le azioni compiute. Lautore che ha approfondito con maggiore impegno questa tematica Joseph Butler (1692-1752), teologo dissidente poi convertito alla religione anglicana, che acquist un ruolo di crescente prestigio nella Chiesa, finendo la sua carriera come vescovo e predicatore di corte. Butler non pubblic mai unopera specificamente dedicata ad argomenti morali, ma le dottrine esposte nei Quindici sermoni (Fifteen Sermons, pubblicati nel 1726) e nei saggi Lidentit personale e La natura della virt apparsi in appendice alla sua opera maggiore, Lanalogia della religione naturale con quella rivelata (The Analogy of Religion, Natural and Revealed, 1736) acquistarono vasta risonanza e attirarono linteresse di filosofi e teologi a partire dal secondo Settecento. La gerarchia La discussione sui criteri e i fondamenti della virt assume per Butler il suo pieno signifidella mente cato solo alla luce di una corretta comprensione della mente umana, basata non solo su e lautorit della coscienza una completa classificazione dei suoi poteri, ma sulla collocazione di questi ultimi secondo una sorta di gerarchia naturale. Questa analisi permetterebbe di verificare larmonia fra le varie componenti della natura umana, e di orientare in conseguenza il corso della vita terrena verso il compimento dei propri doveri. Alla base dellesperienza morale sono gli impulsi delle passioni, la forza delle quali deve tuttavia essere controllata e orientata dallautorit naturale che va attribuita da un lato alle tendenze egoistiche, dallaltro alla benevolenza. Si tratta di due principi ugualmente necessari, anzi complementari, che devono per essere subordinati in ogni caso alla autorit suprema della coscienza, definita anche come facolt morale e principio di riflessione. In breve, la natura delluomo, per quello che riguarda la vita morale, pu essere distinta in tre livelli: le passioni particolari; i principi della benevolenza e dellamore di s (self-love); e la coscienza. Benevolenza Ma proprio vero che benevolenza e amore di s sono ugualmente influenti e impore amore di s tanti? Su questo punto Butler si mostra piuttosto incerto, dal momento che tende ad attribuire in molti casi unindiscutibile priorit allegoismo ragionevole, o illuminato, rispetto agli impulsi altruistici. Inoltre linsistenza sulla proporzione o armonia fra i vari principi sopra ricordati, come pure sullordine che presiede alle facolt della mente umana, sembra avvicinare talvolta la sua posizione a quella dei razionalisti come Butler: lautorit della coscienza
Impulsi delle passioni e tendenze egoistiche Benevolenza
devono essere subordinati alla

La responsabilit delle azioni morali

autorit della coscienza o facolt morale o principio di riflessione

risolve i conflitti fra benevolenza e amore di s


che

riconduce anche le azioni altruistiche allinteresse personale correttamente inteso (attribuendo il merito non agli effetti delle azioni, ma allintenzione del soggetto che le compie)

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Samuel Clarke, con il quale ebbe spesso occasione di discutere. Butler riesce tuttavia a evitare il rischio di semplificazioni eccessive grazie alla sottigliezza della sua analisi psicologica, approfondendo in particolare le relazioni fra motivazioni e risultati delle azioni, in polemica con le dottrine edonistiche (le concezioni che collegano la virt alla ricerca di qualche forma di piacere). In primo luogo per Butler le passioni non hanno come obiettivo specifico la ricerca del piacere, ma si rivolgono alle cose che appaiono preferibili rispetto ad altre, cio a oggetti che hanno una relazione prestabilita con le passioni stesse. Occorre quindi riconoscere che la ricerca degli oggetti pi appropriati alla nostra vera natura la condizione indispensabile per dare una giustificazione soddisfacente delle valutazioni e dei comportamenti morali. Centralit Daltra parte, non sempre le buone intenzioni sono proporzionate allinteresse proprio o della coscienza altrui, n esiste una corrispondenza necessaria fra la natura disinteressata della motivazione e il bene o il male che ne risultano per i propri simili. Nessuno considerato responsabile, ad esempio, di atti che non avrebbe potuto evitare, e la nozione di merito (desert) non legata agli effetti delle azioni ma alle intenzioni attribuite al soggetto che le compie. Proprio da queste considerazioni risulta confermata, a parere di Butler, la centralit del ruolo della coscienza Lettura 1 , che non solo sarebbe in grado di risolvere gli eventuali conflitti fra benevolenza e amore di s, ma alla fine garantirebbe la possibilit di ricondurre anche le azioni altruistiche allinteresse personale correttamente inteso. Benevolenza ed egoismo appaiono infatti compatibili, almeno nella prospettiva che considera lesperienza presente come preludio alla vita eterna: in tale prospettiva, non affatto contraddittorio vedere la coscienza come la fonte o la manifestazione di un ragionevole amore di s che subordina i piaceri presenti a un inestimabile premio futuro, garantito dalla promessa divina. Responsabilit Non sono per questi gli spunti pi originali della discussione di Butler. Molto pi intee identit ressanti, soprattutto per i lettori di oggi, sono i suoi interventi nella discussione del tema dellidentit personale, volti a giustificare la possibilit di considerare una persona come un soggetto dotato di continuit e persistenza nel tempo, quindi pienamente responsabile delle sue azioni. evidente il rapporto fra la trattazione di questo problema e il ruolo centrale attribuito da Butler alla coscienza morale. Anzich dipendere soltanto da una memoria evanescente e discontinua del proprio passato, come sosteneva Hume, lidentit personale vista come il presupposto della possibilit stessa di avere consapevolezza delle relazioni fra passato e presente, e ricordi che possono essere riconosciuti come propri. Questa concezione, come pure lanalisi della vita morale compiuta da Butler, offr alcuni spunti importanti alla riflessione degli illuministi scozzesi, ma spesso evocata anche nelle attuali discussioni fra i filosofi della mente.

5 Adam Smith e letica della simpatia


Gli interessi di Smith

Successore di Hutcheson sulla cattedra di filosofia morale a Glasgow a partire dal 1752, Adam Smith (1723-1790) trascorse la maggior parte della vita in Scozia, salvo alcuni anni di insegnamento a Oxford. Il suo nome stato a lungo legato soprattutto alla sua opera Indagine sulla ricchezza delle nazioni (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 1776), divenuta ben presto un classico dell economia moderna. Solo a partire dalla seconda met del secolo scorso le dottrine esposte nella Teoria dei sentimenti morali (Theory of Moral Sentiments, 1759) sono state al centro di una nuova attenzione, da parte sia degli storici della filosofia sia degli studiosi di etica.

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Lanalisi dei sentimenti morali


I sistemi delletica e il problema del senso morale

La Teoria dei sentimenti morali, che sub revisioni e modifiche nel corso di tutta la vita dellautore (lultima edizione risale allanno della sua morte), raccoglieva le esperienze intellettuali maturate da Smith durante gli anni di insegnamento accademico e di vivaci scambi di idee con lamico Hume e altri filosofi scozzesi. Alle prime parti, dedicate ai criteri di appropriatezza (fitness) delle azioni, facevano seguito altre tre sezioni dedicate al rapporto fra utilit e virt e agli influssi dellambiente e del carattere sui comportamenti, per finire con unultima parte che prendeva in esame i sistemi di filosofia morale dellepoca e le loro conseguenze. Soprattutto questa parte ci permette di comprendere la posizione di Smith rispetto ai contemporanei. Lautore formula una netta condanna del sistema di Mandeville, non solo per la sua pericolosa tendenza a confondere il vizio e la virt, ma anche per lo stile brillante, che pu attrarre i lettori ingenui e ingannarli. Invece Hutcheson e i suoi seguaci hanno offerto prove inconfutabili dellesistenza di un senso morale irriducibile alla ragione e al calcolo. Hutcheson ha per confuso la nozione di moralit con il semplice impulso naturale, dimenticando che le impressioni di tutti i sensi non sono mai buone o cattive in se stesse, ma solo in conseguenza delle cose alle quali si riferiscono. Solo negli oggetti di approvazione o biasimo risiede infatti la qualit che permette di percepire unazione come buona o cattiva. Lo spettatore Il problema che pone Smith non dissimile dalAdam Smith in un ritratto dellepoca. imparziale le obiezioni che Hume aveva rivolto a Hutcheson: come essere certi che la sensibilit morale si rivolga agli oggetti appropriati, e che nella valutazione morale non interferiscano motivi di interesse o giudizi parziali? La soluzione di Smith prevede il ricorso alla celebre figura dello spettatore imparziale e bene informato, utilizzata per rappresentare il carattere obiettivo e disinteressato dei giudizi morali. Gi molti filosofi avevano sottolineato che il giudizio sul merito delle azioni dovrebbe richiedere un necessario distacco da considerazioni contingenti. Smith sviluppa per unanalisi molto pi approfondita dei meccanismi che presiedono alla valutazione morale: lo stesso fenomeno spontaneo della simpatia pu essere spiegato ricorrendo a una teoria dellimmaginazione analoga a quella proposta da Hume. La simpatia (sympathy), intesa come una sorta di immedesimazione di un individuo nelle situazioni vissute dai propri simili, dipende dalla capacit dellimmaginazione di ricreare le reazioni emotive appropriate a quelle stesse situazioni. Tale meccanismo permetterebbe di partecipare alle gioie e alle sofferenze degli altri esseri umani, anche quando questi ultimi potrebbero esserci completamente indifferenti sulla base di altre considerazioni. Il giudice Rispetto a Hume, Smith attribuisce per alla simpatia una carica emotiva e valutativa interiore molto pi forte, estendendo i suoi effetti al di l di momenti e situazioni contingenti e trasformandola nella fonte di giudizi obiettivi. Il ricorso al punto di vista dello spettatore imparziale o immaginario implica proprio lo sforzo di garantire una fonte di valutazione che sia, al tempo stesso, immediata e capace di unestensione universale.

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una sorta di giudice interiore che si pone in un atteggiamento neutrale rispetto sia ai nostri comportamenti sia a quelli altrui: uno spettatore imparziale che considera la nostra condotta con la stessa indifferenza con cui noi consideriamo quella delle altre persone. Senza questa forma di approvazione impersonale, qualsiasi elogio o soddisfazione derivante dalla propria condotta non potrebbe essere motivo di compiacimento, ma anzi dovrebbe suscitare una riflessione umiliante su quello che dovremmo essere e non siamo. Per illustrare questo aspetto, Smith ricorre a un esempio curioso: una donna che riceve complimenti per il suo colorito, che in realt dovuto al trucco. Tali complimenti non dovrebbero essere motivo di soddisfazione, ma piuttosto dovrebbero indurre la donna a pensare alle reazioni che susciterebbe il suo colorito naturale, facendola sentire mortificata al confronto. La simpatia Si tratta dunque, in ogni caso, di una consapevolezza che appare razionalmente giustificata, ma che conserva una particolare intensit emotiva. Lo spettatore immaginario o uomo interno assume infatti la funzione tradizionalmente attribuita alla coscienza, che deve per in questo caso la sua autorit non alla capacit di fornire intuizioni immediate o indicazioni infallibili di ci che buono, ma alla prerogativa di fare sentire meritevoli o condannabili se stessi o gli altri in virt delle azioni compiute. Questo aspetto serve a Smith anche per collegare lapprovazione e la motivazione delle azioni moralmente apprezzabili. Il merito di queste ultime consiste nellassecondare gli impulsi allaltruismo e alla rinuncia, e il loro vero premio costituito dal piacere interiore derivante dalla consapevolezza di aver agito bene. In ultima analisi, dunque, sono da respingere sia le dottrine che identificano la virt con la negazione di s, sia la convinzione ottimistica secondo cui il comportamento morale frutto di una tendenza spontanea che agirebbe in modo automatico. La reciprocit della simpatia, che attenua gli elementi di conflittualit impliciti nella vita sociale, indica alla fine la strada pi promettente per conciliare la solidariet e linteresse come esigenze fondamentali dellagire umano. Gli studi Lanalisi di Smith costituisce uno dei risultati pi significativi della riflessione settecentesca di economia sui temi della morale e offre indicazioni importanti per integrare la visione della societ e della natura umana che emerge dai suoi studi sulla ricchezza delle nazioni. In questi Smith sostiene il carattere provvidenziale dei meccanismi che regolano leconomia e la societ: con una metafora che diventata molto famosa, afferma che una Smith: la simpatia e lo spettatore imparziale
Il senso morale non riducibile alla ragione e al calcolo. Ma non nemmeno un semplice impulso naturale automaticamente indirizzato al bene. problema Come essere certi che il senso morale si rivolga agli oggetti appropriati e non sia disturbato da interessi o valutazioni parziali? risposta Grazie allimmaginazione La simpatia consente di immedesimarsi nelle situazioni vissute dai nostri simili e di ricrearne le reazioni emotive e uno spettatore imparziale e informato dentro di noi esamina obiettivamente la condotta nostra e altrui, dandone una valutazione impersonale

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Thomas Gainsborough, I signori Andrews, 1750 ca. (Londra, National Gallery). Nel corso del Settecento in Inghilterra il fenomeno delle recinzioni (enclosures) dei campi coltivati fu un fattore di sviluppo economico importante tra quelli che nel giro di pochi anni avrebbero portato alla rivoluzione industriale. Oltre che sui sentimenti morali lanalisi di Smith si concentra sui temi delleconomia che investono il ceto imprenditoriale.

mano invisibile concilia gli interessi individuali e fa sorgere unarmonia sociale non progettata: ognuno persegue il proprio interesse, ma la concorrenza fra gli interessi aumenta il benessere generale pi di quanto potrebbe fare qualunque decisione dallalto. Proprio per il suo atteggiamento conciliatorio e per la fiducia nella possibilit di un progresso morale dellumanit, il messaggio di Smith risulta pi moderato e conformista rispetto a quello di altri contemporanei, come Hume; ma al tempo stesso si rivela pi adatto ad esprimere le esigenze e le aspirazioni della nuova societ industriale, ormai chiaramente delineata nella seconda met del Settecento. Lo vedremo quando studieremo la rivoluzione industriale.

6 Sviluppi e metamorfosi del dibattito

sulla morale

Dalletica della sensibilit alla morale formale

Come stato spesso ricordato nelle pagine precedenti, la riflessione dei moralisti britannici un termine di riferimento inevitabile per il dibattito dei secoli successivi. Per citare un esempio importante, tale riflessione stata certamente presente a Kant nel costruire la sua visione di unetica autonoma rispetto alla religione e alle convenzioni sociali. Quella di Kant sar per una morale formale, fondata su postulati di carattere universale privi di ogni connotazione psicologica: unimpostazione in contrasto sia con quella dei teorici dei piaceri della virt, sia con quella dei seguaci delle concezioni che fondano i principi morali sul calcolo degli interessi degli individui o della societ. La ripresa Questultimo orientamento (utilitarismo) trova invece ampia diffusione in Gran Bretadel principio gna, negli ambienti della cultura progressista del primo Ottocento. Qui la tesi che attribudi utilit isce un ruolo dominante alle influenze morali delleducazione e dellambiente viene utilizzata per sviluppare progetti di riforma politica e legislativa. Gli spunti di Hartley e dei

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suoi seguaci sono ripresi da Jeremy Bentham (1748-1832), che per elimina tutti gli aspetti religiosi e si concentra esclusivamente sulle prospettive politiche e sociali aperte dallo studio scientifico della natura umana. Lutilitarismo classico persegue lobiettivo di rendere possibile la massima felicit per il maggior numero di individui nella vita terrena, e quindi costruisce una morale laica e libera da pregiudizi dogmatici. Si fonda per su uninterpretazione spesso riduttiva e meccanica dei processi psicologici, che ignora la complessit degli strumenti di analisi elaborati dagli studiosi dei sentimenti morali del primo Settecento. Questo atteggiamento susciter le reazioni di romantici come il poeta Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), secondo i quali le spiegazioni degli impulsi e delle facolt dellanima fornite dagli associazionisti sono artificiose e meccaniche. John Stuart Mill (1806-1872) tenter di costruire una nuova forma di utilitarismo, tale da conciliare il principio della massima felicit generale con la libera espansione dei caratteri e delle preferenze individuali. Dopo di lui in Gran Bretagna non emergono proposte originali, ma soltanto rielaborazioni delle linee gi indicate degli illuministi. I problemi connessi alla costruzione di unetica su basi naturalistiche torneranno di attualit nel secondo Ottocento, con laffermarsi di dottrine scientifiche e filosofiche come levoluzionismo. Sar anche avvertita lesigenza di una maggiore attenzione alle modificazioni dei principi etici introdotte dalla cultura e dal progresso, rispetto alla concezione astratta della natura umana spesso attribuita agli autori del Settecento. Declino Dopo le molte crisi dei valori attraversate dalla cultura degli ultimi due secoli, si e riscoperta verificato tuttavia un ritorno di interesse per i problemi messi in evidenza dagli autori dei moralisti britannici che abbiamo esaminato, soprattutto per quanto riguarda il problema delle relazioni fra preferenze individuali ed esigenze della collettivit nella ricerca del bene, e lanalisi dei fondamenti e del valore prescrittivo delle norme morali. In particolare stato riconosciuto il contributo decisivo dei moralisti del Settecento alla definizione delloggetto della ricerca morale come metaetica. Con questo termine si intende lindagine rivolta non ai contenuti specifici delle norme e dei valori, ma ai presupposti per la definizione di questi ultimi e alla possibilit stessa di fondare gli obblighi morali sulla base di principi generalmente riconosciuti. Certamente una ripresa di questi temi nei termini del dibattito settecentesco non oggi concepibile. Da una parte, infatti, il modello descrittivo e universalistico della morale stato messo in crisi dalla crescente difficolt di definire la natura umana secondo categorie unitarie; dallaltra, il dibattito contemporaneo ha assunto un alto livello di specializzazione e di complessit tecnica, incomparabile rispetto alle riflessioni dei moralisti del secolo XVIII. Ci non toglie che i filosofi di oggi, specialmente quelli pi interessati ai rapporti fra etica e politica e allapprofondimento delle relazioni fra interesse individuale e bene comune, si richiamino spesso alle posizioni dei filosofi settecenteschi. Ad esempio, il modello fondato sul principio di utilit, per quanto sottoposto a critiche decisive da parte di autori come John Rawls (1921), rimane uno dei termini di riferimento fondamentali per il dibattito contemporaneo. Da parte sua, uno dei pi autorevoli esponenti del pensiero economico della nostra epoca, il premio Nobel Amartya Sen (1933), nellopera Etica ed economia (On Ethics and Economics, 1987) ha messo in rilievo linteresse attuale di una posizione come quella di Adam Smith, interpretandola come la ricerca di un equilibrio fra gli interessi individuali, che si esprimono nella societ di mercato, e le esigenze della solidariet messe in luce dallesistenza dei sentimenti simpatetici, ma richieste anche da una visione adeguata del bene comune.

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