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Prof. Mauro Pesce Antigiudaismo nel Nuovo Testamento e nella sua utilizzazione.

Riflessioni metodologiche
1. In queste pagine intendo presentare alcune considerazioni metodologiche circa il come si debba valutare il richiamo che gli autori cristiani antichi fanno agli scritti del Nuovo Testamento nella loro polemica antiebraica. Il diffondersi della consapevolezza della persecuzione degli ebrei da parte del nazismo, del fascismo e dei loro alleati ha provocato a partire dal dopoguerra un'interrogazione critica sulla storia europea. Per quanto riguarda le chiese cristiane ci ha riguardato tre ambiti problematici, ovviamente correlati fra loro: (a) il contributo che la tradizione cristiana aveva dato alla formazione dell'antisemitismo recente; (b) il millenario antiebraismo teologico cristiano; (c) gli episodi di vero e proprio antisemitismo che si sono verificati durante i due millenni di storia cristiana. Il processo di critica e autocritica ha interessato soprattutto le chiese europee ed americane, di tutte le confessioni (mentre ha avuto una diffusione molto inferiore all'interno delle chiese ortodosse). [1] La revisione critica ha investito anche gli scritti contenuti nel Nuovo Testamento. Questo il motivo principale per il quale gli studi esegetici successivi alla seconda guerra mondiale hanno profondamente mutato l'interpretazione degli scritti neotestamentari su una molteplicit di questioni relative agli ebrei e all'ebraismo.[2] In questa revisione critica, vorrei distinguere due tipi di studi e documenti, diversi sebbene spesso strettamente correlati fra loro. Il primo tipo rappresentato da studi e documenti pi o meno direttamente finalizzati allo scopo di togliere ogni fondamento biblico neotestamentario alle teorie antiebraiche ed antisemitiche della tradizione teologica cristiana. Solo dimostrando che le tradizionali teorie antiebraiche non trovano nel Nuovo Testamento una giustificazione, si poteva privarle di autorit. La teologia cristiana, infatti, per struttura propria, ha la necessit di fondarsi sull'autorit della rivelazione biblica. D'altro canto, una teologia cristiana che si proponga di non essere antiebraica deve dimostrare che il Nuovo Testamento non contiene teorie antiebraiche. Gli studi che si sono mossi in questo senso hanno contribuito alla elaborazione di un considerevole numero di documenti ecclesiastici,[3] alcuni dei quali esaminano punto per punto i principali passi neotestamentari che sono stati addotti nei secoli nelle argomentazioni antiebraiche. Un secondo tipo di studi, pur essendo anch'esso fondamentalmente sollecitato dall'esigenza di una revisione critica dell'antiebraismo e dell'antisemitismo, non

stato finalizzato alla produzione di una teologia cristiana immune dall'antiebraismo. Si tratta di studi semplicemente storici. vero che sempre pi alto il numero degli esegeti e degli storici del cristianesimo antico che non appartengono ad una religione precisa, tuttavia innegabile che le preferenze religiose degli storici hanno anche in questo caso orientato almeno l'interrogazione dei testi. Cos pi frequente che studiosi cristiani tendano a diminuire l'atteggiamento antiebraico degli scritti neotestamentari, mentre studiosi ebrei o non appartenenti a chiese tendono a sottolinearne gli elementi antiebraici. Della revisione critica dell'atteggiamento verso gli ebrei e l'ebraismo fa parte anche il dibattito sui concetti storiografici. Penso, ad esempio, alla questione della distinzione e dei rapporti tra antiebraismo teologico ed antisemitismo;[4] al dibattito sul concetto stesso di antisemitismo;[5] e a quello se sia esistito un antisemitismo precristiano in et ellenistica.[6] Per il nostro argomento essenziale una precisazione sull'uso del termine "antigiudaismo" o "antiebraismo". Con questa parola si possono, in effetti, intendere cose diverse. Per "antigiudaismo" intendo, in primo luogo, "una visione polemica" della religione ebraica o di qualche suo elemento che ne snaturi la fisionomia. In questo caso la religione ebraica (a) viene considerata come essa non e (b) condannata e denigrata e (c) perci combattuta sulla base di quella falsa comprensione e cio sulla base di un fraintendimento o di un pregiudizio. In questo modo, si attribuiscono all'ebraismo concezioni religiose considerate moralmente negative, come ad esempio il cosiddetto "legalismo", o una concezione di un Dio vendicativo o esclusivamente giusto ma non misericordioso come un padre, ecc. A volte questa contraffazione o deformazione deriva da un meccanismo che consiste nell'interpretare concezioni della religione altra dal punto di vista delle concezioni della propria religione. Consiste in genere nel definire l'altro non come egli stesso si definisce, ma come lo definiscono gli avversari. Da un punto di vista storiografico, noto che le concezioni che uno dei contendenti elabora per definire la parte avversa durante un periodo di polemica e di lotta non possono essere considerate come una fedele rappresentazione. Il desiderio di limitare l'influsso, lo spazio e i diritti dell'avversario, che caratteristico dei nemici in lotta, condiziona tutte le definizioni della realt e del significato storico dell'avversario e finisce per condizionare la stessa autodefinizione teorica e pratica di se stessi. Un lungo periodo di autodifesa e di attacco condiziona in profondit la concezione della propria identit e dei propri confini ideali.

chiaro che questo senso del termine "antigiudaismo" o "antiebraismo" presuppone anzitutto che chi sostiene teorie cristiane antiebraiche appartenga a una fase storica in cui il cristianesimo una religione diversa dall'ebraismo. In secondo luogo, chi usa il termine in questo senso presuppone che i criteri per individuare correttamente cosa ebraismo sono l'autodefinizione che presentano gli ebrei di se stessi e/o una adeguata ricerca storica o comunque scientifica sulle fonti ebraiche. Di questo tipo di antiebraismo si pu parlare per le fonti cristiane solo a partire dagli scritti protocristiani che si muovono gi chiaramente fuori dalla religione ebraica. Per "antigiudaismo" si pu intendere, in secondo luogo, anche ogni concezione che implichi una sconfessione del popolo ebraico da parte di Dio, nel senso che Dio priverebbe gli Ebrei della salvezza finale e delle promesse loro rivolte nella Bibbia ebraica. In questo caso l'antigiudaismo non consiste, primariamente, in una rappresentazione contraffatta dell'ebraismo, ma nel considerare come verit storica alcune concezioni teologiche cristiane della storia. Ad esempio che Dio ha posto fine per sempre all'alleanza con il popolo ebraico; che la distruzione del Tempio di Gerusalemme simboleggia la decisione di Dio di porre fine alla religione ebraica; che Dio ha condannato il popolo ebraico alla dispersione e lo ha privato della sua terra in seguito al rifiuto di credere in Ges Cristo, ecc. Queste concezioni si sono sviluppate solo lentamente nel cristianesimo antico. Qualche traccia si trova negli scritti pi tardi contenuti nel Nuovo Testamento (cf. Mt 22,8), ma ormai chiaramente formate all'inizio del VII secolo.[7] Si pu intendere, infine, per "antigiudaismo" teologico cristiano ogni concezione che, dal fatto che la religione ebraica rifiuta la rivelazione di Ges Cristo, faccia discendere la necessit di una presunta punizione divina degli ebrei nella storia umana alla quale non lecito che gli ebrei tentino di sottrarsi o che si permetta che si sottraggano. In questo caso, l'antigiudaismo ha un necessario risvolto pratico e politico (assente nella prima concezione di antigiudaismo) che consiste nel collocare gli ebrei in una situazione politico-sociale subordinata. Con questo risvolto pratico e politico l'antigiudaismo diventa persecuzione degli ebrei che tende a limitarne i diritti civili e politici e in particolare la libert religiosa. Questo tipo di antiebraismo si sviluppa soprattutto nel periodo che va da Costantino a Teodosio II e trova la sua formulazione giuridica prima nel Codex Theodosianus e poi in quello giustinianeo. Si spesso sostenuto che il IV secolo il momento in cui il cristianesimo comincia a teorizzare la

subordinazione politica e civile degli ebrei.[8] Se per "antisemitismo" si intende non una mera teoria, ma una prassi che tende a eliminare la presenza degli ebrei da una societ o a limitarne i diritti, si potrebbe forse dire che la teoria per la quale la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio sarebbero una punizione divina con cui Dio pone fine alla religione ebraica teoria di antigiudaismo, mentre le leggi di Teodosio e di Giustiniano sugli ebrei che limitano i diritti degli ebrei rientrerebbero sotto la categoria di "antisemitismo" seppure teologico. In questo caso, si potrebbe ulteriormente distinguere un antisemitismo teologico da un antisemitismo sic et simpliciter perch il primo mira alla persecuzione degli ebrei per motivi religiosi, il secondo li perseguita in quanto ebrei anche se aderiscono a religioni diverse da quella ebraica.[9] In realt, non esiste mai una persecuzione per soli motivi religiosi. Ogni persecuzione nasce da interessi e contrapposizioni sociali in cui difficile praticamente e errato teoricamente separare le concezioni dalle prassi. Ogni concezione sempre espressione di una prassi ed coerente con essa. Oppure si potrebbe distinguere tra un antisemitismo che mira alla riduzione dei diritti civili degli ebrei (come troviamo nel Codex Theodosianus) da un antisemitismo che mira alla loro esclusione dalla societ (come troviamo nel XV secolo in Europa)[10] oppure addirittura alla loro eliminazione fisica. In queste pagine mi propongo di suggerire anzitutto che l'antiebraismo cristiano di et patristica quando utilizza passi contenuti nel Nuovo Testamento proietta su quei passi un atteggiamento antiebraico che non quello che intendevano i singoli scritti contenuti nel Nuovo Testamento. Sostengo, in secondo luogo, che necessario distinguere l'atteggiamento verso gli ebrei e l'ebraismo dei singoli scritti che saranno poi inseriti nel Nuovo Testamento e l'atteggiamento del Nuovo Testamento come insieme unitario di scritti canonici il quale non si presenta se non in quanto interpretato nel contesto delle precise strutture teologiche e istituzionali delle chiese di una determinata epoca. In terzo luogo, i singoli scritti protocristiani debbono essere differenziati accuratamente l'uno dall'altro. Le lettere sicuramente autentiche di Paolo, ad esempio, scritte prima della guerra del 66-70, presuppongono un quadro di rapporti diverso da quello dei tre vangeli sinottici, i quali a loro volta sono abbastanza differenti l'uno dall'altro nel loro atteggiamento verso gli ebrei e l'ebraismo. Ancora diverso il pi tardo vangelo di Giovanni. Infine, cercher di dimostrare come sia necessario distinguere, all'interno dei singoli scritti protocristiani, e

soprattutto all'interno dei vangeli, l'atteggiamento del redattore finale da quello delle tradizioni inserite in essi e in particolare l'atteggiamento di Ges, nella misura in cui possibile ricostruirli.

2. L'aspetto centrale della revisione di cui parlavamo prima consistito nel mettere in luce, per quanto riguarda la concezione degli ebrei e dell'ebraismo, la differenza tra gli scritti neotestamentari,[11] considerati ciascuno per s, e la tradizione teologica cristiana successiva. Le teorie antiebraiche e a volte antisemite contenute nella letteratura e nei testi giuridici del cristianesimo antico e medievale che si rifanno a testi neotestamentari presenterebbero quindi una interpretazione di quegli scritti che non corrisponde al senso che una corretta lettura storica in grado di restituire. In altre parole: se gli autori e le autorit ecclesiastiche delle chiese antiche hanno avuto un atteggiamento antiebraico, teorico e pratico, esso non pu essere automaticamente attribuito agli scritti neotestamentari ai quali quegli autori e quelle autorit esplicitamente si ispirano. Questo tentativo di revisione si proposto lo scopo, come gi abbiamo detto, di togliere autorit religiosa a ogni forma di antisemitismo. Elencher anzitutto una serie di temi storiografici rilevanti. Il primo punto riguarda la distinzione tra Nuovo Testamento e scritti neotestamentari.[12] Il Nuovo Testamento un'entit teologicoletteraria unitaria che si forma relativamente tardi. Le prime chiese hanno vissuto a lungo senza Nuovo Testamento. Ci non significa, per, che abbiano vissuto senza alcuno scritto considerato dotato di una autorit, n che non abbiamo usato le Scritture sacre ebraiche considerate come autorit divina. Tuttavia, possedere un vangelo come scritto a cui si attribuisce una autorit religiosa cosa ben diversa dal possedere il Nuovo Testamento. La costituzione di un Nuovo Testamento comporta una sostanziale modifica nell'interpretazione dei singoli scritti che vi furono inseriti. Il fatto che singoli scritti originariamente indipendenti (per autore, destinatari, situazione socio-culturale e datazione) siano poi concepiti come parte di un'opera, il Nuovo Testamento, considerata proveniente da Dio e perci in qualche modo risalente a un autore divino, comporta anzitutto che essi siano letti l'uno alla luce dell'altro come se esprimessero concezioni necessariamente convergenti e unitarie. Per di pi, e ci non secondario, questa opera nuova che il Nuovo Testamento veniva prodotta da una chiesa che aveva gi un sistema di concezioni e di istituzioni religiose considerate normative le quali costituiscono l'ambito che produce ed

interpreta il Nuovo Testamento stesso. In altre parole, la costituzione del Nuovo Testamento non comporta solo il fatto che i singoli scritti vengano interpretati nel contesto canonico neotestamentario e non nel contesto storico-religioso in cui vennero prodotti e originariamente adoperati, ma implica anche che essi vengano letti alla luce del contesto dottrinale ed istituzionale della chiesa che ha prodotto o che adopera il Nuovo Testamento come canone biblico. In secondo luogo, l'idea stessa di "nuovo" Testamento implica quella di un Testamento "antico" e perci comporta un rapporto di unit dialettica con un altro corpo di scritti, chiamato ora Antico Testamento, dal quale il testamento "nuovo" difficilmente separabile. Che questo rapporto dialettico vari anche significativamente da autore ad autore e da epoca ad epoca cosa nota ed ovvia per gli storici del cristianesimo antico. Ci che non cambia l'esigenza di questo collegamento. Ad essere combattute sono appunto le posizioni che negano la necessit di un rapporto tra Nuovo Testamento ed Antico. Da ci deriva una seconda affermazione storica: la dialettica tra Antico e Nuovo Testamento non presente in alcuno degli scritti che saranno poi inseriti nel Nuovo Testamento e nasce solo dopo. Quando, ad esempio, Paolo in 2Cor 3,14, parla di "lettura dell'antica alleanza" non si riferisce all'Antico Testamento come un insieme di libri canonici distinti dai libri canonici del Nuovo Testamento che ancora non esisteva. Paolo parla della lettura sinagogale della Torah, cio del Pentateuco che conteneva l'alleanza di Dio con il popolo, alleanza che ora appare a Paolo antica, alla luce della esistenza di una "alleanza nuova" (cf. 1Cor 11,25) che egli crede sia stata ormai proclamata da Dio. Ci che Paolo contrappone non sono due sezioni del canone cristiano, ma due alleanze di Dio. Ne anche riprova il fatto che pi avanti Paolo, per definire, non pi il contenuto del Pentateuco, ma la sua estensione, usa il termine "Mos": "quando si legge Mos" (2Cor 3,15). L'interpretazione dei singoli scritti, con la creazione del Nuovo Testamento, veniva perci a mutare almeno da tre punti di vista: i singoli scritti venivano interpretati non pi alla luce del loro contesto religioso originario, ma all'interno del contesto teologicoletterario del Nuovo Testamento; essi venivano letti in continuit non con le teorie e le norme religiose del loro ambiente, ma di quello della chiesa che produceva e leggeva il Nuovo Testamento; infine i singoli scritti venivano posti in un rapporto con le Scritture ebraiche, considerate ora Antico Testamento, rapporto che non era pi quello proprio a ciascuno di essi preso separatamente e nel contesto in cui venne prodotto, bens quello dei lettori delle

varie epoche ecclesiastiche.[13] Tutti e tre questi aspetti sono assenti dagli scritti neotestamentari preso ciascuno isolatamente. Ci significa che la costituzione del canone neotestamentario segna una svolta che non deve essere sottovalutata. Il patrologo dovrebbe tener conto di questo fatto quando annota le citazioni o le allusioni "neotestamentarie" presenti in un testo della letteratura cristiana successiva alla costituzione del canone neotestamentario. Quando un autore ecclesiastico successivo alla costituzione del canone cita, ad esempio, un passo del vangelo di Marco, non cita in realt l'opera dell'autore del secondo vangelo, ma l'interpretazione che ne fornisce il Nuovo testamento, concepito a sua volta in rapporto dialettico con l'Antico testamento. Il tutto interpretato alla luce del sistema teologico e istituzionale della chiesa o del gruppo di cui quell'autore ecclesiastico fa parte, salva ovviamente l'interpretazione personale che gli propria. Si tratta perci solo apparentemente di "citazioni" di scritti del primo secolo cristiano. In realt, il riferimento al Nuovo Testamento implica una cancellazione sia della pluralit dei diversi cristianesimi dei primi due secoli sia della loro evoluzione storica. Il richiamo al Nuovo Testamento non mette in contatto gli autori ecclesiastici antichi con l'origine del cristianesimo, ma col sistema teologico-istituzionale ecclesiastico che all'incirca dalla met del II secolo pone in atto il Nuovo Testamento e si esprime in esso. Un bilancio degli studi successivi alla seconda guerra mondiale richiederebbe perci l'analisi comparata delle differenti interpretazioni che i singoli scritti neotestamentari, per quanto riguarda la questione dell'antiebraismo, hanno subito prima con il loro inserimento nel canone neotestamentario e poi con le principali mutazioni dottrinali ed istituzionali della chiesa antica. Ma non questo il mio scopo.

3. In un'opera del cristianesimo delle origini si pu parlare di antiebraismo solo se essa presuppone la distinzione di due religioni, il cristianesimo da una parte e l'ebraismo dall'altra. Solo quando un autore di un'opera delle origini cristiane pensa che l'ebraismo sia una religione diversa, solo in questo caso le sue osservazioni critiche su determinati elementi della religione ebraica possono essere definite "antiebraismo" teologico. Quando invece un autore o un personaggio delle origini cristiane si muove ancora all'interno dell'ebraismo, quando cio il cristianesimo come religione distinta dall'ebraismo non esiste ancora, le osservazioni critiche che egli dirige contro il proprio ambiente non

possono essere definite come antiebraismo. In altre parole il termine "antiebraismo" (o se si preferisce "antigiudaismo") definisce un atteggiamento di critica alla religione ebraica in quanto tale e perci parte dal presupposto di un'altra religione distinta dall'ebraismo. Le critiche che ebrei o ebree religiose indirizzano alla situazione a loro contemporanea della propria religione, dall'interno di essa, non sono forme di antiebraismo, ma semplicemente tentativi di cambiare o di riformare determinati aspetti di quella religione e sono spesso collegati all'esistenza di diverse correnti o movimenti dell'ebraismo medesimo. In questo caso, non si tratta cio di antiebraismo, ma di conflitti pi o meno forti all'interno della religione ebraica. Fra gli scritti che sono attualmente inseriti nel Nuovo Testamento alcuni contengono critiche di quest'ultimo tipo, in quanto mosse dall'interno dell'ebraismo stesso. Altri, invece, si pongono dal punto di vista di un movimento religioso che non fa pi parte dell'ebraismo. Solo le critiche di questo secondo tipo di scritti possono essere inquadrate nel concetto di antiebraismo. Incominciamo con la prima categoria, con le critiche cio che si muovono all'interno dell'ebraismo stesso e perci non possono essere considerate forme di antiebraismo. Negli studi neotestamentari si sempre pi diffusa la tesi, che io condivido, secondo la quale di questa prima categoria, fanno parte in genere tutte le critiche che Ges ha mosso ai diversi aspetti della religiosit ebraica del suo tempo. Una parte direi ampiamente maggioritaria degli studi attuali distingue infatti ci che Ges ha detto e fatto dalle presentazioni che i Vangeli offrono dei detti e delle parole di Ges. In questa presentazione, i Vangeli risentono della mutata situazione storica. Essi sono stati scritti in momenti in cui le diverse comunit cristiane si erano ormai autonomizzate, seppure in forme diverse, dall'ebraismo e anzi si trovavano in aspra polemica con le comunit ebraiche, anche se la polemica muta da luogo a luogo e da tempo a tempo. Mentre le parole di Ges sono da considerarsi rivolte dall'interno dell'ebraismo, i Vangeli in quanto tali sono gi opere che nascono all'interno di un movimento, quello cristiano, che non fa pi parte dell'ebraismo. I Vangeli, quindi, proiettano su Ges e il suo tempo situazioni che sono successive. Si noti bene, la accurata distinzione storica tra le critiche che il Ges storico rivolse dall'interno ad aspetti dalla religiosit ebraica e la trasformazione di queste critiche ad opera degli evangelisti un'operazione che pur essendo abbastanza plausibile in generale e storicamente necessaria, sempre estremamente difficile caso per caso e non pu che dar luogo a ricostruzioni ipotetiche della storicit di ogni singolo detto e atto

di Ges.[14] Ci significa che il costituirsi del cristianesimo come religione autonoma segna una svolta di importanza fondamentale al fine di poter definire come antiebraica o no una affermazione contenuta in uno scritto protocristiano. Procediamo con qualche esempio

5. Il Vangelo di Marco, nella sua redazione attuale, presuppone una netta differenza tra la nuova religione e quella ebraica, ma molto povero di atteggiamenti antiebraici. I tre soli brani che possono essere considerati da questo punto di vista sono Mc 3,2829, Mc 7,1-23 e la parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12,1-12). Nel primo e nel terzo caso la polemica non contro gli ebrei nel loro complesso, ma lo diventa solo con l'inserimento del vangelo di Marco nel canone neotestamentario. Nel secondo caso, gi il vangelo di Marco contiene un'affermazione antiebraica, ma l'esegesi permette di chiarire come il redattore del vangelo abbia trasformato una polemica interna all'ebraismo in una polemica antiebraica. Per valutare questi tre brani bisogna procedere con ordine. Anzitutto bisogna mostrare che il Vangelo di Marco, nella sua redazione attuale, presuppone gi una differenziazione forte tra cristianesimo e ebraismo. Il "noi" implicito in tutto il Vangelo, pur non essendo mai definito con un appellativo, si contrappone chiaramente a "gli ebrei". Ci appare in un punto particolare (7,34) dove il redattore, non Ges, parla degli ebrei nella loro generalit distinguendo implicitamente se stesso e il proprio uditorio da essi:

i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi.

In 1,39, l'espressione "le loro sinagoghe" un sintomo di separazione socio-religiosa abbastanza chiaro.[15] Anche qui il parlante il narratore, non Ges. Nel corso del Vangelo, l'insegnamento di Ges presentato come un "insegnamento nuovo" (1,27) e la di lui autorit come superiore a quella di alcune autorit ebraiche, gli scribi (1,22). Ges possiede, anzi, un potere che si impone ai demoni, un potere religioso in base al quale il Figlio dell'uomo " signore anche del sabato" (2,28) e "ha sulla terra il potere di rimettere i peccati" (2,10). Troviamo perci nella redazione finale del vangelo di Marco tutti gli elementi che

differenziano due religioni diverse. Il cristianesimo di cui il Vangelo testimonianza riconosce autorit religiose diverse da quelle ebraiche, ha luoghi di culto diversi sia dalle sinagoghe ebraiche che dal tempio di Gerusalemme, si rif ad un insegnamento diverso e nuovo che presuppone un'autorit di interpretazione sulla tradizione biblica, e soprattutto ha un sistema espiatorio autonomo, perch Ges che ha il potere di rimettere i peccati. La diversit dall'ebraismo, tuttavia, non significa automaticamente antiebraismo. Una polemica generalizzata contro gli ebrei molto rara nel vangelo di Marco. Quasi sempre, infatti, le polemiche di Ges sono rivolte, in Marco, solo a determinati settori dell'ebraismo religioso palestinese e non a tutti gli ebrei. Ci risulta chiaro da due fatti: anzitutto, la polemica diretta esplicitamente ad esempio contro gli scribi, oppure contro i farisei, cio contro settori specifici; in secondo luogo, il redattore precisa che la disapprovazione di Ges da parte di certi settori religiosi ebraici accompagnata dall'approvazione della folla, composta ovviamente dal popolo ebraico. Si legga ad esempio 11,18 dove a Ges favorevole "tutto il popolo", contrapposto a sommi sacerdoti e scribi. Anche in 11,27 i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani sono contrapposti alla folla, mentre in 11,32 "tutti consideravano Giovanni come un vero profeta". L'unico punto, a mio avviso, che potrebbe contenere una vera e propria teoria antigiudaica si trova in 3,28-29:

In verit vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avr bestemmiato contro lo Spirito santo, non avr perdono in eterno: sar reo di colpa eterna.

notoriamente difficile precisare in cosa consista la bestemmia contro lo Spirito santo, chi sia a proferirla e in cosa consista la colpa eterna. Non si pu escludere che l'evangelista, applicando il detto di Ges in questo contesto, volesse intendere che coloro che affermano che Ges agisce in nome di Beelzebl bestemmiano contro lo Spirito santo.[16] In questo caso, si dovrebbe pensare che i bestemmiatori sono coloro che negano che l'autorit di Ges (sulla dottrina, sui demoni, sul sabato, sul perdono dei peccati) venga da Dio e che affermano invece che proviene dal capo dei demoni. Ma difficile pensare che il Vangelo di Marco intendesse

riferirsi a tutti gli ebrei, e perci all'ebraismo in quanto tale. Pi probabilmente si riferiva a quegli ebrei che non si limitavano a rifiutare Ges, ma sostenevano che i suoi poteri straordinari provenivano da Satana. In che cosa consista la colpa eterna non sicuro, anche se si pu ritenere, con una certa probabilit, che l'evangelista pensasse alla condanna escatologica. Una volta, perci, che si fosse pervenuti a una netta distinzione tra la chiesa e l'ebraismo e che si vedessero negli ebrei i negatori sistematici dell'autorit di Ges era giocoforza applicare non ad alcuni, ma a tutti gli ebrei, anche il terzo elemento: la colpa eterna. Ma questo presuppone un contesto storico-religioso che non n quello di Ges n quello di Marco. Anche la parabola dei vignaioli omicidi, uno dei testi pi utilizzati dall'antiebraismo cristiano nei secoli, non appare nella versione di Marco come una condanna di tutti gli ebrei perch nel contesto marciano i vignaioli omicidi non sono gli ebrei ma solo quella parte delle autorit ebraiche responsabili della morte di Ges e dei profeti. La parabola rivolta a "sommi sacerdoti, scribi e anziani" (11,27). Essi sono coloro che "avevano capito che [Ges] aveva detto quella parabola contro di loro". La parabola non rivolta contro la folla che invece favorevole a Ges: "allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano infatti capito che aveva detto quella parabola contro di loro" (12,12). Ovviamente, accanto ai passi che ci manifestano come l'ultimo redattore si ponesse dal punto di vista di una distinzione netta tra cristianesimo ed ebraismo, esistono molti altri passi in cui ovvio che invece presupposto il contrario e cio una polemica o una differenziazione tutta interna all'ebraismo. Si confronti ad es. 4,11:

A voi stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole,

dove la distinzione tra "quelli di fuori" e "voi" (cio "quelli di dentro") presuppone la distinzione di un gruppo minoritario all'interno di una societ maggioritaria della quale tuttavia il gruppo minoritario fa integralmente parte.[17] Ci presuppone che si debba differenziare all'interno del Vangelo di Marco la redazione ultima dalle fasi precedenti della tradizione evangelica. Il che permette di risalire a uno strato della tradizione

che il pi vicino possibile a Ges e perci di distinguere la posizione che probabilmente da attribuire a Ges da quella che certamente non attribuibile a lui, ma al redattore del Vangelo. Un altro brano, Mc 7, 1-23, [18] importante perch chiarisce come un logion di Ges venga trasformato per le esigenze della polemica che si verifica quando il cristianesimo si pone ormai come una religione diversa rispetto all'ebraismo. All'inizio del brano leggiamo:

Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cio non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame. E i farisei e gli scribi gli domandano: perch.... (7,1-5).

L'espressione "tutti i giudei", nel contesto in cui appare, presuppone che il narratore distingua se stesso e i suoi destinatari dagli ioudaioi. Anzi sembra che il narratore supponga che i suoi destinatari abbiamo una conoscenza molto limitata degli ioudaioi tanto da sentirsi nella necessit di spiegarne le usanze. Se esaminiamo accuratamente il brano, dobbiamo concludere che i vv. 3-4 sono una glossa dell'ultimo redattore del Vangelo di Marco. Ci appare non solo dal confronto con Mt 15, 1-3, ma soprattutto dall'analisi sintattica del testo stesso di Marco.[19] In questa glossa, il redattore ha operato una trasformazione molto rilevante rispetto al testo che aveva di fronte. Mentre questo attribuiva solo ai farisei e ad alcuni scribi la teoria per la quale bisogna lavarsi le mani prima di mangiare, il redattore aggiunge ai farisei una esplicazione generalizzante: "infatti i farisei e tutti gli ioudaioi". In questo modo egli ha introdotto nel testo precedente la distinzione, che egli viveva, ma che era estranea al racconto tradizionale, tra "giudei" e membri della nuova religione. Con questa modifica le parole di Ges contenute nel brano assumono la valenza di una giustificazione teorica della contrapposizione tra la nuova religione e la religione degli ioudaioi, degli ebrei. Il brano 7, 1-23 ha al cuore un logion di Ges sulla natura e sulla fonte dell'impurit. Possiamo certo dire che la spiegazione di questo detto di Ges ha creato problemi alla chiesa primitiva,

perch vediamo emergere nel Vangelo di Marco e in quello di Matteo due spiegazioni diverse. Quella di Matteo tende a vedere nelle parole di Ges solo il suo rifiuto dell'interpretazione farisaica della Torah,[20] e fa del detto di Ges una difesa contro la tentazione, forse presente nel suo pubblico, di essere risucchiato dal fariseismo vincente nell'Ebraismo. In Matteo la ripercussione del detto di Ges non va oltre la contestazione di una prassi farisaica. La Bibbia infatti non contiene un precetto sul lavarsi le mani prima di mangiare. In Marco, invece, appare la tendenza a considerare il detto di Ges come fondamento per l'abolizione tendenzialmente generale di qualsiasi distinzione tra puro e impuro a livello alimentare. Ci va nel senso dell'abolizione dei divieti biblici contenuti nel capitolo 11 del Levitico. Potremmo vedere qui perci una testimonianza del fatto che il cristianesimo primitivo non ebbe inizialmente parole di Ges a disposizione quando dovette risolvere il problema se abolire o meno i divieti del Levitico. Atti 10,10-16 sostiene che solo una rivelazione divina (e non una parola di Ges) indusse Pietro a decidersi a riconoscere non pi valide le leggi di Lv 11. Anche il dibattito sul mangiare insieme tra gentili ed ebrei in Gal 2,12-14 mostra che Paolo non poteva far riferimento a detti di Ges per risolvere la questione e cos pure la parte avversa non sembra trincerarsi dietro l'autorit di Ges. Qui in Mc, potrebbe esserci un tentativo di ritrovare in Ges una decisione che ormai la chiesa primitiva aveva gi preso, almeno in alcuni suoi settori. Se Matteo rifiuta la spiegazione di Marco perch appartiene ad un giudeocristianesimo che non si vuole staccare dalla Torah, seppure interpretata da Ges e non dai farisei. Il brano di Mc 7, 1-23 perci un esempio chiaro del come una critica rivolta da Ges all'interno dell'ebraismo su una questione importante per la religiosit ebraica del suo tempo, si trasformi quando viene inserita in un'opera, il vangelo di Marco, che scritta quando ormai un certo tipo di cristianesimo, ormai separato dall'ebraismo, ha deciso di staccarsi dall'osservanza di alcuni settori della tradizionale legge biblica. Bisogna tuttavia rendersi conto che un altro vangelo, quello di Matteo, anch'esso espressione di una fase in cui il cristianesimo si ormai separato dall'ebraismo, presenta un'interpretazione diversa del logion di Ges perch appartiene ad un cristianesimo diverso da quello di Marco, un cristianesimo che non intende staccarsi dall'osservanza di alcuni settori della tradizionale legge biblica. L'interpretazione marciana del logion di Ges acquister, poi, un nuovo senso quando il Vangelo di Marco si trover inserito nel canone neotestamentario. a questo punto che Mc 7, 1-23 si trova unito ad altri passi (come ad esempio Rm 14, 14 e Atti 10, 10-16), i

quali, letti l'uno alla luce dell'altro, costituiscono la base per una teoria neotestamentaria che abolisce il rispetto delle leggi alimentari del Levitico. in questo contesto neotestamentario che la interpretazione matteana del logion di Ges cede e viene letta alla luce di quella marciana. Gli autori della letteratura patristica, che leggono i vangeli come parti integranti del Nuovo Testamento, non percepiscono perci la differenza tra Mc 7 e Mt 15, n quella tra Ges e le diverse letture dei diversi cristianesimi delle origini.

6. La valutazione degli atteggiamenti antiebraici delle diverse forme del cristianesimo antico deve perci tener conto della evoluzione dei rapporti tra cristiani ed ebrei. Bisogner anche distinguere: i singoli scritti protocristiani che verranno poi inseriti nel Nuovo Testamento; il Nuovo Testamento come collezione canonica che parte del canone cristiano bipartito e che si contrappone perci dialetticamente all'"Antico" testamento e, infine: gli autori ecclesiastici. Per tener conto della evoluzione dei rapporti tra cristiani ed ebrei e delle diverse dinamiche delle due religioni, bisogner distinguere varie fasi successive, con la consapevolezza, tuttavia, che esse possono verificarsi in tempi e modi diversi a seconda delle aree geografiche e dei sistemi religiosi. Propongo di distinguere le seguenti fasi. Una prima fase si ha quando il movimento di Ges era parte dell'ebraismo. Ci avviene con Ges e primi gruppi cristiani e ci testimoniato negli strati pi antichi della tradizione evangelica e nelle lettere autentiche di Paolo. Una seconda fase si verifica nei decenni in cui il cristianesimo si costituisce come religione diversa dall'ebraismo. Ci ci testimoniato soprattutto dalla redazione finale dei vangeli. Una terza fase si ha quando cristianesimo ed ebraismo sono ormai due religioni differenziate, ma il cristianesimo non ha ancora raggiunto una posizione dominante politicamente. In questo periodo, il cristianesimo si trova di fronte a comunit ebraiche ben inserite nella societ antica e che perci godono di diritti e di appoggi che il cristianesimo solo lentamente si procura, spesso in polemica con esse. D'altra parte il formarsi del cristianesimo e la sua evoluzione avviene mentre l'ebraismo rabbinico prende il sopravvento almeno in alcuni settori dell'ebraismo antico. Circa quindici anni fa, P.C.Bori, nel suo Il vitello d'oro, aveva proposto una periodizzazione che mi sembra utile per comprendere meglio questa fase. Secondo Bori, dal secondo secolo in poi, la Chiesa si trova ad affrontare due grandi questioni: "quella del rapporto con il giudaismo rabbinico e quella del significato delle Scritture giudaiche nella Chiesa, soprattutto

per quanto riguarda gli aspetti legislativi di queste Scritture. La prima questione attiene all'essere stesso della Chiesa, alla sua autocoscienza e alla sua autodefinizione;[21] la seconda al suo avere, all'eredit che pu rivendicare a s stessa". Il cristianesimo risolve il primo problema non pi appellandosi "a precedenti biblici", ma ricorrendo alla teoria della "apostasia originaria del popolo", che si ritroverebbe dall'Epistola di Barnaba ad Origene. [22] Per quanto riguarda la seconda questione, nel medesimo periodo del secondo e terzo secolo, il cristianesimo segue due strade diverse nell'appropriazione delle Scritture giudaiche: o "ricorrendo a un principio di storicizzazione, con cui si restituiva ad esse un loro posto e valore nel bilancio complessivo di un'economia storica cui Dio stesso presiedeva" oppure mediante l'allegoria, che "permetteva invece di appropriarsi con disinvoltura di ci che sarebbe rimasto irriducibilmente estraneo e diverso e di metterlo al servizio delle esigenze presenti".[23] Una quarta fase si verifica quando l'impero romano si cristianizza. il lungo periodo che da Costantino porta a Giustiniano. Anche qui P.C.Bori aveva sottolineato come la teologia cristiana del quarto e quinto secolo si differenzi dai due secoli precedenti "avvalorando e riflettendo al tempo stesso una situazione di dipendenza e di inferiorit" degli ebrei rispetto ai cristiani.[24] Ora anche Stroumsa ribadisce l'importanza di questa svolta.[25] Una quinta fase inizia quando l'Islam conquista i territori biblici ponendo fine alla supremazia cristiana sugli ebrei nelle zone islamizzate. Ci non senza conseguenze nei rapporti reciproci tra cristianesimo ed ebraismo.

7. La differenza tra le prime fasi delle origini cristiane e l'antiebraismo cristiano successivo stata messa in luce dalla ricerca recente. La mole di studi sull'antiebraismo cristiano antico e moderno ormai cospicua.[26] Grazie a questi lavori sappiamo che l'antiebraismo assume forme diverse a seconda degli autori, delle epoche, delle situazioni storiche e anche di atteggiamenti differenziati.[27] Non abbiamo, per, ancora opere che utilizzino i risultati delle ricerche per una sintesi storica complessiva. D'altra parte, una ricostruzione storica dell'antiebraismo cristiano necessita ancora di un gran numero di ricerche analitiche. Non di rado i patrologi sono ancora disattenti all'antiebraismo che pervade il loro oggetto di ricerca. Questa disattenzione dipende a volte dal fatto che l'antiebraismo cosi fortemente diffuso nella letteratura patristica da diventare un carattere essenziale delle concezioni teologiche cristiane, carattere al quale lo studioso corre il pericolo di assuefarsi. A ci bisogna aggiungere che il

patrologo a volte poco consapevole delle tematiche di ricerca suscitate dal vasto dibattito degli ultimi decenni sull'antiebraismo e sull'antisemitismo. Mi sembra perci utile rappresentare schematicamente i punti essenziali del quasi bimillenario antiebraismo cristiano. Lo scopo di questa rappresentazione che, ripeto, fortemente schematica, di stimolare la ricerca dei patrologi a una maggiore attenzione ai pi diversi aspetti dell'antiebraismo cristiano antico. Lo schema in quattro punti che presento qui non una ricostruzione storica di un preciso fenomeno di antiebraismo, o di un preciso autore o di un testo particolare, ma una sistemazione astratta di elementi che si ritrovano diversamente nella letteratura teologica cristiana.[28] chiaro che ciascuno autore e ciascun testo dell'et cosiddetta patristica presenta solo alcuni degli elementi che io qui sintetizzo e per di pi assegna diverso spazio e peso ad un elemento rispetto ad altri. Lo schema che qui rappresento ha perci soltanto l'utilit di suscitare una interrogazione dei testi per vedere se e fino a che punto essi contengano atteggiamenti antiebraici. Sar la concreta ricerca storica a stabilire la fisionomia particolare di ciascun fenomeno di antiebraismo cristiano e, soprattutto, - questo l'aspetto che a me qui interessa - del modo con cui viene proiettata sugli scritti neotestamentari una serie di atteggiamenti antiebraici che a essi sono estranei. Il primo e forse pi importante nucleo tematico dell'antiebraismo cristiano quello della responsabilit ebraica nella esecuzione di Ges, tema che, bench diverso, strettamente connesso con quello del rifiuto di Ges da parte della maggioranza delle autorit e di ampi settori del suo popolo. Questo nucleo tematico particolarmente complesso perch si articola in un certo numero di sotto-temi collegati fra loro. L'argomentazione antiebraica ricorrente spesso in settori ampi della tradizione cristiana pu essere cos riassunta schematicamente: il popolo ebraico nel suo complesso ha rifiutato Ges e la sua missione ed responsabile della sua uccisione (il cosiddetto "deicidio"). Gli ebrei successivi, permanendo nel loro rifiuto di Ges si rendono corresponsabili di quel rifiuto e di quel deicidio.[29] La punizione che Dio ha inferto al popolo ebraico per il rifiuto e per l'uccisione di Ges anzitutto religiosa: Dio ha revocato l'alleanza sinaitica con il popolo ebraico e ha concluso una nuova e sostitutiva alleanza con un nuovo popolo, con un nuovo Israele che la chiesa. Il nuovo popolo di Dio , perci, la chiesa che diventa con ci l'erede di tutte le promesse bibliche, religiose e terrene rivolte da Dio ad Israele. Il popolo ebraico stato perci rifiutato da Dio, non pi il popolo di Dio ed escluso dalla salvezza eterna. Questi diversi aspetti

fanno parte della cosidetta teoria della "sostituzione". La chiesa ha cio soppiantato completamente Israele che non ha pi una funzione religiosa nella storia. Connessa a questo aspetto della teoria cristiana, sta anche l'interpretazione di una serie di atti e di parole di Ges come se essi significassero la fine della funzione religiosa di Israele. Cos, ad esempio, le parole e gli atti di Ges rispetto al Tempio di Gerusalemme. Esiste per una seconda serie di punizioni che Dio avrebbe inflitto al popolo ebraico che sono di natura politica. Per castigarlo del suo rifiuto e della uccisione di Ges, Dio avrebbe consegnato Gerusalemme nel 70 nelle mani dei Romani, avrebbe fatto distruggere da loro il tempio di Gerusalemme, avrebbe disperso da quel momento gli ebrei nel mondo, li avrebbe privati del possesso della loro terra e li avrebbe posti per sempre in una situazione di subordinazione politica rispetto alla maggioranza cristiana e al potere politico cristiano. Questa teoria si sviluppa ovviamente dopo che il cristianesimo raggiunge una situazione di predominanza politica nell'impero romano. La soppressione del patriarcato palestinese sotto Teodosio II costituisce una data e una svolta simbolica da questo punto di vista. La subordinazione politica degli ebrei ai cristiani, che in zone diverse dell'impero di verifica diversamente dalla met del IV alla met del VI secolo, diventa in questo schema la prova storica della superiorit della religione cristiana rispetto a quella ebraica.[30] I tentativi da parte ebraica di sottrarsi a questa situazione di subordinazione politica sono percepiti dai teologi cristiani spesso nel corso dei secoli come una nuova prova della volont degli ebrei di ribellarsi al destino che Dio ha loro riservato per punizione. L'unico modo per gli ebrei di riacquistare libert sarebbe, in questo schema, quello di convertirsi al cristianesimo. Ugualmente, il possesso della terra di Israele spetta ora alla chiesa, vera erede delle promesse, e non certo agli ebrei. Questo modo di pensare cristiano corrisponde a uno schema teologicopolitico per il quale a una colpa di carattere religioso (il rifiuto del Cristo) deve corrispondere una punizione divina di tipo politico. Connesso a questa concezione, un secondo complesso tematico che riguarda la spiegazione cristiana del perch gli ebrei abbiano rifiutato Cristo. Da questo punto di vista, la principale risposta cristiana quella del cosiddetto "indurimento". Un insieme di malvagit morale e di perversione intellettuale ha impedito e continua a impedire agli ebrei di accettare la predicazione di Ges, di comprenderla come il vero compimento delle promesse di Dio ad Israele e perci di convertirsi. Questa teoria dell'indurimento si trasforma a volte in una raffigurazione molto negativa dell'ebreo, caratterizzato da un insieme di vizi e di caratteristiche tipiche stabili: ostinatezza, falsit, ipocrisia,

carnalit, ecc.[31] Ma sulla caratterizzazione negativa degli ebrei influiscono, come vedremo, anche altri temi dell'antiebraismo cristiano. Di questo complesso tematico fa anche parte l'accusa cristiana agli ebrei di non essere in grado di comprendere il senso vero o profondo della Bibbia, che ora i cristiani chiamano Antico Testamento. O perch il loro intelletto e il loro cuore indurito, o perch sono accecati da Satana (2 Cor 4,4) o perch sono carnali[32] e perci incapaci di pervenire al senso spirituale profondo del testo, in ogni caso l'affermazione generale che gli Ebrei non sono in grado di comprendere il testo e la rivelazione che Dio ha formulato proprio per loro. Di questo secondo gruppo fa anche parte il tema studiato da P.C.Bori, quello della "idolatria originaria del popolo", in base al quale fin dall'inizio Gli ebrei sarebbero privati dell'alleanza sinaitica.[33] Un terzo complesso tematico dell'antiebraismo cristiano consiste in una rappresentazione, critica e negativa, dei principali aspetti della religione ebraica. Anzitutto, la religione ebraica sarebbe essenzialmente legalistica ed esteriore fatta di un rispetto prevalentemente formale verso un insieme di minuziosi precetti, a volte superstiziosi (nel senso che ad essi non corrisponderebbe un effettivo contenuto morale). Per di pi, il sistema rabbinico avrebbe posto in atto un insieme di meccanismi legali che permetterebbero all'ebreo di sottrarsi all'effettivo precetto imposto dalla tradizione religiosa per evaderlo sostituendolo con prassi molto meno esigenti o con prescrizioni ritualistiche secondarie. Questo legalismo inciderebbe sostanzialmente sul sistema dell'espiazione, del perdono dei peccati da parte di Dio e della salvezza. Nell'ebraismo, infatti, la salvezza dipenderebbe da uno stretto computo legalistico delle opere buone compiute a confronto di quelle cattive.[34] In secondo luogo, la concezione ebraica di Dio sarebbe inferiore rispetto a quella cristiana perch insisterebbe solo sulla giustizia o addirittura sulla vendetta da parte di Dio, mentre il cristianesimo sarebbe caratterizzato da una concezione di Dio come padre e come amore. Anche la concezione dell'amore del prossimo, cuore del messaggio eticoreligioso del cristianesimo, sarebbe ben poco centrale nell'ebraismo. Un quarto complesso tematico consiste nel caratterizzare negativamente gli ebrei in quanto tali. Su questa caratterizzazione negativa incidono indirettamente tutti i complessi tematici precedenti. Commenter solo alcuni aspetti di questi quattro complessi tematici. La risposta dell'esegesi recente rispetto al primo nucleo

tematico stata anzitutto quella di rivedere l'interpretazione del cosiddetto processo di Ges. Gli argomenti affrontati sono stati molteplici: fino a che punto si possa attribuire attendibilit storica delle fonti evangeliche relative al processo e perci alle responsabilit della morte di Ges; l'insistenza sulla responsabilit romana a partire dal fatto che l'esecuzione capitale fu praticata con il sistema romano della crocifissione, ma anche mettendo in luce la tendenza filoromana di alcuni scritti neotestamentari (ad esempio Luca, gli Atti,[35] e le lettere di Paolo, nelle quali ad esempio il brano di Rom 13,1-7) che avrebbero perci teso a discolpare i romani e a mettere in cattiva luce soprattutto gli ebrei (1Ts 2, 14-15). Una massa ingente di lavoro storico stata fatta a questo proposito per ricostruire i procedimenti giuridici ebraici e romani dell'epoca. Una seconda tendenza consistita nella ricerca sui veri motivi che avrebbero spinto autorit ebraiche e romane a sottoporre Ges all'esecuzione capitale, motivi politici, motivi religiosi, un calcolo di opportunit, un errore giudiziario. Una terza tendenza consistita nell'affermare che se la responsabilit giuridica della morte di Ges certo dei romani e non degli ebrei, tuttavia la responsabilit morale di parte delle autorit religiose ebraiche del tempo non pu in nessun modo coinvolgere tutte le autorit religiose palestinesi, e tanto meno tutta la popolazione di Gerusalemme, e ancor meno tutti gli ebrei della Palestina o del mondo di allora. Troviamo cos una molteplicit di studi sui singoli scritti neotestamentari che valorizzano tutte le distinzioni che si trovano nei vangeli tra singoli settori delle autorit ebraiche ostili a Ges e la generalit del popolo (Mc 11,18//Lc 19,47-48; 11,32//Lc 20,6//Mt 21,26; 12,12//Lc 20,19//Mt 21,46, oppure il celebre brano di Lc 23,34 e altri passi lucani in Atti o Gv 12,42 "tuttavia anche fra i capi molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente..."). Gli ebrei delle et successive non possono essere considerati responsabili della morte di Ges (qui ad esempio stata fondamentale la reinterpretazione di Mt 27,25: "e tutto il popolo rispose il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli"). Ma la questione della responsabilit ebraica nella morte di Ges implicava anche l'interpretazione di brani particolarmente forti come 1Ts 2,14-16.[36] In questo testo, la morte di Ges attribuita agli ioudaioi, con una veemenza polemica che sembra contrastare con le affermazioni di Rom 9,3 e 11,35-32. Aldil delle molteplici spiegazioni che si sono tentate del brano, compresa la ripetuta improbabile ipotesi di una interpolazione tarda, credo che la chiave di lettura pi appropriata per la comprensione di questo brano, oltre al chiarimento necessario secondo il quale ioudaioi in questo contesto non significa tutti gli ebrei, ma gli ebrei della

Giudea, rimane che Paolo parla dall'interno dell'ebraismo, non dall'esterno e in un momento in cui il movimento post-gesuano perseguitato dalle autorit ebraiche. Il brano va visto perci come una minaccia di tipo profetico che rientra nello stile della denuncia biblica delle colpe del popolo e delle sue autorit al fine di provocarne la conversione a Dio. Un brano parallelo da questo punto di vista proprio 1Cor 2,6.8 in cui, a mio parere, sono proprio gli archontes del popolo ebraico a essere minacciati di un prossima rovina.[37] Ugualmente, alcuni passi giovannei sono stati nel fuoco dell'attenzione come Gv 8, 40:

"ora voi cercate di uccidere me [...] voi fate le opere del padre vostro"

o Gv 8, 44

"voi che avete per padre il diavolo",

alla reinterpretazione dei quali connesso anche il tentativo di reinterpretare il significato dell'appellativo "i giudei" nel vangelo di Giovanni.[38] Anche la tesi della revoca dell'antica alleanza stata fortemente sottoposta a critica mediante la reinterpretazione dei testi neotestamentari che si pensava in passato potessero fondarla. Qui stato soprattutto il lungo brano di Rom 9-11 a essere al centro di numerosissimi studi parziali e complessivi. Richiamandosi a questo brano paolino si messo in rilievo come l'alleanza e le promesse al popolo ebraico non sia state revocate secondo Paolo, e che perci non solo l'elezione, il patto, ma anche la dignit di popolo di Dio siano per Paolo elementi ed attributi ineliminabili dal popolo ebraico, anche dopo che la maggioranza del popolo non ha accettato Cristo. Pure la salvezza escatologica del popolo, che fa parte delle promesse del patto, confermata da Paolo ("tutto Israele sar salvo") in accordo del resto con la tradizionale dottrina ebraica confermata da Mishnah Sanhedrin 10,1. La storia, anche sommaria, dell'interpretazione recente di Rom 9-11 occuperebbe molte pagine.[39] Accanto a Rom 9-11, un'altra serie di passi neotestamentari stata ristudiata nella prospettiva di una critica della cosiddetta teoria della sostituzione. Fra questi brani di importanza centrale la parabola dei vignaioli

omicidi (Mt 21,33-45 // Mc 12,1-12 // Lc 20,9-19). Qui la frase secondo la quale la vigna viene tolta ai vignaioli omicidi e data ad altri (Lc 9,16 // Mc 12,9 // Mt 21,41) non pu sostenere la teoria della sostituzione di Israele da parte della chiesa perch non rivolta a tutti gli ebrei, ma solo ad alcune delle autorit ebraiche palestinesi. Ciononostante, ancora la edizione delle EDB riporta come titoletto redazionale nel vangelo di Marco e di Matteo nella sezione precedente a quella della parabola "obiezioni dei giudei sull'autorit di Ges" e non "obiezione delle autorit ebraiche di Gerusalemme", proiettando cos anche sulla parabola il senso della generalit del rifiuto.[40] Alcuni atti o profezie di Ges erano state spesso interpretate come gesti che ponevano fine alla funzione religiosa della economia antica. E.P.Sanders, che ha dedicato gran parte dei suoi lavori ad una revisione dell'esegesi antiebraica dei testi neotestamentari, ha sostenuto ad esempio che la prospettiva di Ges verso il tempio va compresa all'interno dell'ebraismo del suo tempo. Ges si aspettava la distruzione del tempio non nel senso che ci avrebbe posto fine all'antico sistema sacrificale ebraico previsto dal Pentateuco, ma nel senso che nel regno di Dio veniente ci sarebbe stato un tempio rinnovato, secondo le aspettative ebraiche della escatologia della restaurazione. Quanto al tema della distruzione della citt di Gerusalemme, la tesi per la quale essa sarebbe punizione per il rifiuto e l'uccisione di Cristo si fa luce solo nella parabola del banchetto nella versione matteana, ma certamente assente nell'archetipo che soggiaceva a Matteo e Luca e che meglio attestato nella versione lucana (cf Mt 22,8 // Lc 14,21).[41] La tesi della necessaria subordinazione politica degli ebrei ai cristiani trova difficile appiglio ad esempio in un brano come Gal 4,25-26 che contrappone la "Gerusalemme di adesso" che "serve con i suoi figli" alla "Gerusalemme dell'alto" che " libera". Non solo perch la schiavit di cui parla il testo religiosa e non politica (cf. 5,1), ma anche perch l'obiettivo dei credenti in Cristo una Gerusalemme celeste, non uno stato di superiorit politica all'interno della Gerusalemme di questo mondo. Praticamente assente dagli scritti neotestamentari , poi, la prospettiva di una sostituzione cristiana nel possesso della terra di Israele, visto che la tematica politico-religiosa della terra, praticamente assente in Paolo, fa capolino solo in una delle beatitudini matteane (Mt 5, 5: "i miti erediteranno la terra"). Sul terzo complesso tematico, l'esegesi e la storia religiosa del giudaismo antico hanno dato negli ultimi decenni un contributo decisivo portando a una riconsiderazione storica profonda della fisionomia religiosa del giudaismo dei tempi di Ges. E.P.Sanders

con il suo Paul and Palestinian Judaism e opere successive ha contribuito in modo decisivo a mostrare come l'accusa tradizionale di "legalismo" alla religione ebraica rabbinica sia infondata e come gli stessi scritti neotestamentari non la presuppongano. Le polemiche di Paolo sulla legge e le opere non vanno prese come una definizione della religione ebraica e della concezione rabbinica della funzione della legge, ma piuttosto come polemiche interne alla comunit cristiana e perci atte a comprendere la posizione di alcuni settori del cristianesimo delle origini, ma non a definire l'ebraismo. Ci vale anche per l'ancora diffuso pregiudizio secondo il quale il Nuovo testamento trasmetterebbe un'idea di Dio assente nell'ebraismo. Se infatti vero che abb un appellativo, come ha sostenuto J. Jeremias, che ci pone a contatto con una particolare visione di Ges, tuttavia falso che nell'ebraismo non sia centrale e fondamentale la concezione della paterna e amorosa misericordia di Dio.[42]

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