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Il Rosso e il Nero

Settimanale di Strategia

28 maggio 2009

LA SOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE

Sottopesati e soddisfatti

Kundera, nel suo romanzo del 1984,


propone un nichilismo ancora più
radicale di quello di Nietzsche. Ironizza
sull’eterno ritorno (che tiene Nietzsche
ancora legato alla tradizione greca)
osservando che non possiamo
nemmeno sperare in una ripetizione
infinita, per quanto insensata, del ciclo
del cosmo e del nostro ciclo vitale. Nella
visione desolatamente postmoderna di
Kundera l’insignificanza della nostra
esistenza è completa perché ogni gesto
e ogni pensiero sono legati all’attimo
evanescente e si perdono subito,
leggeri, nel nulla. Per sempre.
La condizione di leggerezza della
stragrande maggioranza dei portafogli in
questa fase non è invece vissuta come
angosciosa o insostenibile. Usciti dal Alberto Giacometti. Figura alta II e
terrore dell’autunno-inverno molti figura alta III. 1960.
considerano pienamente soddisfacente
l’essere rimasti vivi. Si è gustato il tepore primaverile dei germogli di
stabilizzazione anche se si era sotto benchmark. Il valore dei portafogli è salito
comunque fossero composti, bastava avere qualche azione o qualche bond.
Rivedere dopo tanto tempo il segno positivo sulle performance è così bello che
sembra sciocco e perverso rovinarsi la vita perché il gestore della banca di
fronte ha fatto qualcosa più di noi. Buon per lui, si arriva a pensare.
L’avidità non nasce mai subito dopo la fine di una guerra o di una
pestilenza. Arriva semmai molto tempo più tardi, quando si sono ricostituite
ricchezze grandi e piccole. Chi fa mercato nero sulla farina dopo una guerra
appare come un peccatore veniale quando qualche decennio di prosperità più
tardi arriva Gordon Gekko (che a sua volta sembra oggi un buon diavolo se
paragonato con alcuni banchieri universali o d’investimento del 2006-2007).
L’Hedge Fund Monitor di Goldman Sachs mostra che anche i fondi hedge,
che nella mitologia popolare assumono l’immagine rapace del lupo o quella
subdola del serpente, sono stati alla finestra nel primo mese di recupero,
marzo, hanno ricoperto gli short in aprile e in maggio si sono fermati. La
controprova del fatto che hanno effettuato ricoperture più che nuovi acquisti è
nella performance di questi tre mesi dei titoli azionari ordinati per la loro qualità.
Le società solide e con buoni utili sono salite meno di tutte, il decile più
esecrato dagli analisti ha messo su il 70 per cento (fonte Pictet).
Il fatto che questa non sia una fase per gli avidi spiega perché il mercato
non salga su sé stesso inerzialmente. Spiega però ancora di più il fatto che
nelle settimane in cui il flusso di dati è negativo, come è stato fino a ieri, il
consolidamento sia superficiale.
In pratica, il grande rally di sollievo per la fine della caduta nell’abisso è
terminato. E’ un fenomeno una tantum i cui frutti sono destinati almeno per due
terzi a restare (per questo non ci convincono i teorici del nuovo test dei minimi).
Quella che si è aperta ormai da un mese è una fase diversa in cui i dati con
segno negativo tornano a pesare
negativamente (tra marzo e aprile i dati
negativi facevano salire il mercato
perché erano meno negativi di quelli dei
mesi precedenti), ma pesano molto
meno dei dati con segno positivo.
Siamo dunque ancora in presenza
di una reazione asimmetrica. Questa
volta, però, l’asimmetria non è dovuta
alla sorpresa bensì al posizionamento.
In altre parole, un mercato sottopesato
mostra più reattività rispetto a un dato
positivo. Lo si è visto chiaramente
martedì, quando un dato negativo sul
prezzo delle case ha prodotto danni
molto lievi mentre un dato successivo e
positivo sulla fiducia dei consumatori ha
prodotto un rialzo importante.
Alberto Giacometti. L’homme qui Se questa inclinazione positiva ma
marche. 1947 comunque moderata da parte dei
mercati si protraesse per quest’anno e
per il prossimo sarebbe una buona cosa per tutti. Fasi di entusiasmo in un
contesto così fragile esporrebbero non solo i mercati ma anche le economie a
ricadute successive molto delicate sul piano psicologico. Molto meglio
attraversare questa fase di Pil americano ed europeo ancora negativo (solo in
Asia è positivo in questo momento) con mercati stabili e riprendere una
leggerissima inclinazione positiva nella seconda parte dell’anno.
Qualcosa tuttavia turba la riappacificazione dei mercati con il mondo. Non
sono i dati macro. Non sono le banche, in cui i processi di ricapitalizzazione
stanno procedendo più velocemente della nostra stima di 50 miliardi al mese.
Non sono certo le condizioni della liquidità, in continuo miglioramento.
Turba (ma fa anche piacere) il rialzo continuo del greggio. Turba e basta la
montagna di nuovo debito pubblico che si rovescia ogni giorno sul mercato e
l’ipotesi sullo sfondo di una fuoruscita inflazionistica dalla crisi.
Vediamo prima il petrolio. Il rialzo ha tre cause. La prima è l’accumulazione
di scorte strategiche da parte della Cina, ben consapevole che da qui a 5 anni
si apprezzerà di più il greggio del dollaro. La seconda è un imprevisto
miglioramento nella domanda di benzina (quella industriale di distillati continua
a scendere). La terza è l’autocontrollo dell’offerta, un fenomeno nuovo rispetto
al passato, dovuto al fatto che i produttori hanno accumulato negli anni scorsi
ricchezze finanziarie tali da permettere loro, oggi, di non dovere produrre a tutti
i costi. L’autocontrollo dell’offerta non è limitato ai produttori di petrolio, ma è
ben visibile anche tra le società private del carbone, del gas naturale e dei
fertilizzanti.
Il petrolio raddoppiato di prezzo toglie naturalmente spazio agli altri
consumi, ma il fenomeno, per il momento, non è ancora preoccupante. Quanto
all’impatto sull’inflazione, nei prossimi sei-nove mesi lo vedremo comunque
poco. L’inflazione, infatti, da qui a fine anno (e oltre) continuerà a scendere.
I bond governativi lunghi americani
e il dollaro guardano però già fin da ora
oltre questa fase di discesa
preannunciata dell’inflazione e vedono
aprirsi scenari inquietanti.
Su questo tema, che sarà al centro
del dibattito dei prossimi anni,
riassumiamo le posizioni esistenti.
A un estremo troviamo gli
iperinflazionisti di scuola austriaca per i
quali, come ha ribadito oggi Marc
Faber, l’inflazione americana si
avvicinerà ai livelli di quella dello
Zimbabwe.
A un livello meno esasperato, ma
forse ancora più inquietante, troviamo i
teorici di Pimco. Non basta, hanno detto
Alberto Giacometti. Three Men Walking nel loro recente seminario di Secular
II. 1949. MoMA. New York Outlook, guardare compiaciuti alla
debolezza della domanda e concludere
che un mondo che pensa solo a risparmiare e con un enorme output gap non
può conoscere l’inflazione. Bisogna anche guardare, dicono, alla distruzione
dell’offerta dovuta all’inefficienza che segue l’espandersi dell’intervento
pubblico, alla deglobalizzazione e alla riregolamentazione. Questa volta,
concludono, l’inflazione rischia di ripartire molto prima del solito. Si noti, in
questo ragionamento, l’assenza del tema che inquieta i mercati, l’esplosione
del debito pubblico, che va visto in effetti, a nostro parere, come l’altra faccia
dell’implosione di quello privato.
L’idea di Pimco è inquietante non perché sia iperinflazionista (non lo è) ma
perché è strategicamente stagflazionista. Una breve ripresa seguita da
un’inflazione a una cifra ma esuberante e accompagnata da crescita bassa non
è certo la migliore delle prospettive.
Scendendo ancora di livello troviamo i teorici dell’inflazione moderata per
un lungo periodo, come Goldman Sachs. La base del loro ragionamento è il
persistere per tutti gli anni Dieci di un’ampia base di risorse inutilizzate, l’output
gap.
Alla fine del giro troviamo i deflazionisti, i teorici del Giappone mondiale. Da
questi si è di recente defilato Roubini, ora su posizioni più stagflazioniste.
Volendo aggiungere qualche osservazione, la fortissima volontà politica
americana (condivisa da Congresso, amministrazione, Fed e accademia) di
non cadere in deflazione ci porta ad escludere questo scenario. Le probabilità
stanno a nostro avviso tra Pimco e Goldman Sachs. La distruzione di offerta è
un rischio, ma bisogna riconoscere che finora i bassi istinti statalisti e
protezionisti sono stati tenuti abbastanza sotto controllo. Non è detto quindi che
la stagflazione da offerta sia un esito scontato. Quanto alla reflazione
monetaria, la sfida per la Fed è straordinariamente difficile (togliere
delicatamente il piede dall’acceleratore e frenare dolcemente al momento
giusto, legandosi all’albero della nave come Ulisse per non farsi sviare dalle
sirene politiche) ma non si vede motivo per dare già adesso per scontato che la
sfida venga persa.
Operativamente rimaniamo dell’idea di comprare azioni e rischio su
debolezza senza farsi spaventare dai teorici del test dei minimi. I governativi
americani lunghi sono ipervenduti ma vanno comprati solo per trading. Il
dollaro, come dice Goldman Sachs, è in fase di debolezza ciclica, non
strutturale come negli anni scorsi. Sempre debolezza è, tuttavia. Il petrolio ci
lascia qualche dubbio di breve che ci fa preferire i petroliferi (medi e piccoli).
Gli emergenti si sono ripresi tutti ma non sono tutti uguali. La Cina è il più
solido, Sri Lanka (per una volta siamo d’accordo con Jim Rogers) è un
turnaround, ora che è finita la terribile guerra civile, estremamente
interessante. L’est europeo si è giustamente ripreso grazie al forte supporto del
Fondo Monetario, ma ha comunque davanti due anni molto impegnativi. Stesso
discorso per la Russia, che finora si è aiutata da sola. Non si parla più del
default dell’Ucraina.

Alessandro Fugnoli ++39 02 77426.1

Abaxbank SpA. Corso Monforte 34, Milano.


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