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APPUNTI SUL CIBO Andrea Braggio

Quanto pi gioia d, a una mente retta, il compito di migliorare le condizioni della Terra, invece della vanagloria che pu acquisire nel saccheggiarla. George Washington

Quali che siano le funzioni e il ruolo che la societ pu affidare a un educatore, il suo compito primario quello di offrire nella comunit politica la testimonianza di unumanit autentica e piena. una continua ricerca, anche attraverso le contraddizioni, di vie che lo conducano al suo modo peculiare di incarnare lumanit. Egli sa bene che lopera educativa un compito difficile e inesauribile, un continuo interrogativo sul proprio pensare e agire che, lungi dallesaurirsi in mera speculazione, innanzitutto responsabilit nei confronti di altri esseri ai quali riconosce un valore in s. Penso che buona parte della pratica educativa, grazie alla quale approfondisce in se stesso ci che lo rende umanamente vivo, consista in questo riconoscimento del valore altrui. Da qui la pratica della cura e della dedizione allaltro, il coraggio di vivere la propria umanit agendo anche al di l dei luoghi comuni e delle convenzioni sociali, in una continua ricerca di ci che nobilita luomo. I. Il cibo assume un significato che va oltre lazione del mangiare ed legato a elementi di affettivit e di relazione umana. Il modo in cui ci si rapporta al cibo trova la propria origine nellinfanzia e fin dalla nascita il bambino percepisce che le persone che si prendono cura di lui non sono indifferenti agli alimenti che assume. Lalimentazione non dunque volta unicamente alla soddisfazione del bisogno fisiologico; essa anche forma di comunicazione, di cura e di amore. Dallantichit ai giorni nostri lofferta di cibo rappresenta il primo gesto di amicizia, in ogni parte del mondo. Oggi siamo sempre pi consapevoli che il cibo che mangiamo piacere di stare insieme, occasione per condividere la quotidianit e i momenti importanti della vita. In modo diretto o indiretto, attraverso il cibo ogni essere umano stabilisce per anche una connessione con la terra e gli altri esseri viventi. La forza di questo legame, che orienta sempre pi persone verso unalimentazione che mette sullo stesso piano salute, sostenibilit ambientale e rispetto degli animali, alla base di idee e pratiche concrete di de-industrializzazione del mondo del cibo. I danni causati dagli allevamenti industriali alla condizione degli animali, alla salute delle persone, a coloro che risiedono nelle zone dove si concentrano e pi in generale allambiente sono stati possibili perch sostenuti da coloro che, per i motivi pi vari, ne hanno acquistato i prodotti. Decidere che cosa mangiare e mettere mano al porta1

foglio per averlo stato finora latto fondante della produzione e del consumo. Esso ha determinato e determina tutti gli altri atti e ha avuto e continua ad avere delle conseguenze cos negative da non poter essere pi trascurate solo perch tanti si sono abituati a consumare certi cibi o ne amano il sapore a tal punto da non poterne fare a meno. Quello che certo che gli allevamenti su vasta scala rappresentano un vero e proprio cancro per il pianeta, sono solo una questione di soldi e non potranno funzionare sul lungo periodo. Che possano essere o meno soppiantati da allevamenti biologici o sostenibili, a conduzione familiare e che mostrano qualche attenzione nei riguardi del benessere animale (il mito delle fattorie felici in cui personalmente non credo), meglio non sottovalutare troppo lidea di cominciare a orientare i propri gusti su alternative quali tofu, hamburger di soia, piatti a base di lenticchie, fagioli e cos via. Eliminare il consumo delle carni un discorso che, oltre ai riconosciuti vantaggi per la salute, si lega allidea di utilizzare le risorse della terra con pi accortezza, aumentando notevolmente le possibilit di sfamare un maggior numero di persone. Il modello capitalistico della produzione industriale di carne che si fatto strada nel Sud globale riduce costantemente lofferta mondiale di cereali. Teniamo presente che occorrono circa 7-8 chili di cereali per produrre un chilo di carne di manzo e dato che crescono di continuo le risorse destinate a produrre foraggio per la grande produzione di carne, sono disponibili meno terra, acqua e risorse per produrre cibo. Un terzo dellintera produzione alimentare mondiale destinato allalimentazione degli animali da allevamento, i quali necessitano anche di abbondanti risorse idriche: ogni chilo di carne bovina richiede 15.000 litri di acqua! Gli allevamenti sono inoltre grandi produttori di gas serra e contribuiscono significativamente al cambiamento climatico. Nei prossimi decenni, invece, dovranno essere realizzati in ogni paese vasti programmi di orticoltura urbana e periurbana contemporaneamente a una consistente riduzione degli allevamenti industriali, a una redistribuzione democratica del controllo sulle risorse agricole e a una rivalutazione della manodopera correttamente motivata e organizzata. Tutto il complesso agroindustriale costituito da mercanti di cereali multinazionali, societ che producono sementi, prodotti chimici e fertilizzanti, aziende globali di trasformazione e catene di supermercati dovr essere smantellato e sostituito da modi alternativi di produzione agricola e distribuzione del cibo. Si tratta di una questione molto seria che presto riguarder tutti, anche coloro che risiedono nelle citt, spesso ignari del fatto che scelte e consumi in fatto di cibo incidono fortemente sia sugli equilibri ambientali che sui consumi energetici. Oggi gran parte dellinquinamento del suolo e delle acque deriva dalle attuali tecniche agricole e di allevamento. Lindustria alimentare si sviluppata con grossi sprechi, proponendo troppo spesso cibi inutili in confezioni inutili. Proviamo soltanto a immaginare quale enorme risparmio energetico sarebbe il mangiare soprattutto cibi genuini e freschi, non adulterati con abbellimenti artificiali e con additivi dogni tipo, cosa significherebbe laccorgersi di poter stare davvero meglio senza le merendine, i budini, gli apertivi, le bevande dolci, i formaggini, tutto lo stupido scatolame che affolla gli scaffali dei supermercati! 2

Gran parte del business che ruota attorno al cibo manca poi di trasparenza e impedisce ai consumatori laccesso a informazioni dettagliate e obiettive su ci che comprano. Quanti sanno per esempio che il colorante rosso carminio definito dalla sigla E120, presente nei succhi di frutta, nelle caramelle e in altri alimenti, ottenuto dalle uova e dai corpi delle femmine di un insetto chiamato Coccus Cacti? Quanti sanno che laspartame definito dalla sigla E951 pu essere causa di emicranie, reazioni allergiche, attacchi epilettici e persino tumori? La lista delle schifezze che si trovano nei prodotti che le persone acquistano quotidianamente davvero lunga: coloranti, aromi, antiossidanti, addensanti, stabilizzanti, edulcoranti etc. Da qui la necessit di una maggiore attenzione, soprattutto quando si mette piede in un supermercato, dove la quasi totalit degli alimenti le cui etichette sono spesso ingannevoli e difficili da leggere arriva dallindustria convenzionale. Questa ignora consapevolmente tutta una serie di questioni legate allequit (il prezzo di un prodotto alimentare dovrebbe riflettere i costi globali della sua produzione), allumanit (sofferenze e morte inflitte agli animali), alla responsabilit sociale (salario adeguato e condizioni di lavoro dignitoso per i lavoratori) e allecologia (inquinamento, degrado del territorio, riscaldamento globale e cos via). Lindustria convenzionale ha poca considerazione per le ricadute sulla salute, dal momento che gran parte dei cibi che troviamo sugli scaffali dei supermercati sono ultra-trattati e carichi di sale, zucchero, grasso e sciroppo di cereali ad alto contenuto di fruttosio. E poi, cosa sappiamo davvero di come avvenuto e quanto costato il trasporto di un certo prodotto, di quali sono i rincari a ogni tappa della distribuzione, i costi di marketing e pubblicit? Rispondere a queste domande non affatto semplice, cominciare per a porsele e documentarsi un pochino pu essere un modo per uscire da uno stato di apatia, noncuranza e beata ignoranza che affligge i pi. Anche ne I padroni del cibo Raj Patel esordisce con delle domande tuttaltro che banali e rivelatrici del fatto che in fondo la vaghezza che quasi tutti accettano acriticamente una delle cifre dominanti della produzione degli alimenti:
Quando la provenienza del cibo ridotta a una sola riga sulletichetta, ci sono tante cose che non capiamo, che nemmeno pensiamo di dover chiedere. Chi , per esempio, il vero protagonista della nostra favola bucolica del cibo? Il contadino? Che razza di vita conduce? Che cosa si pu permettere di mangiare? Se soltanto ci scomodassimo a chiederlo verremmo a sapere che la maggior parte dei contadini del mondo sta soffrendo. Alcuni vendono le loro terre per diventare braccianti nei loro stessi campi. Alcuni migrano in citt, o oltreoceano. Altri, troppi, scelgono di suicidarsi.

E poi ancora:
Chi decide quali sono le quantit sicure di pesticidi, e chi definisce cos sicuro? Chi decide da dove deve venire una componente del vostro pasto? Chi decide quanto pagare i contadini che hanno coltivato una materia prima o i braccianti che lavorano per loro? Chi decide che le tecniche di lavorazione usate per produrre quel dato cibo sono sicure? Chi ci guadagna dagli additivi e sentenzia che fanno pi bene che

male? Chi garantisce che c abbastanza energia a buon mercato per trasportare e assemblare gli ingredienti da tutto il mondo? Queste decisioni potranno apparire incredibilmente remote, cos distanti dal nostro vissuto di consumatori da far sembrare che tutto ci stia accadendo su Marte. Eppure le medesime forze che influenzano le scelte dei contadini possono arrivare sino agli scaffali del supermercato. In fin dei conti, chi che decide la gamma di articoli che riempie le corsie? Chi sceglie quanto costano? Chi spende milioni di dollari per scoprire che lodore di pane appena cotto e i guaiti di Annie Lennox inducono la gente a comprare pi merce? Chi decide che i prezzi sul mercato siano pi alti di quanto possano permettersi i poveri 1?

Impegnarsi per gettare le basi di una alternativa pulita e giusta allattuale organizzazione capitalistica della produzione alimentare significa guadagnare sensibilit, sviluppare intuito, mettere in campo conoscenze di cui si in possesso e sforzarsi per ottenere una chiarificazione che i supermercati non hanno alcuna intenzione di dare. Che cosa fare allora? La risposta a questa domanda semplice: acquistare nei supermercati il meno possibile o, meglio ancora, non metterci affatto piede. Possiamo acquistare il cibo nei mercatini locali dove possiamo conoscere le persone che coltivano il cibo che mangiamo secondo il naturale ciclo stagionale, uomini e donne che magari hanno sposato unetica che condividiamo. Questo ci consente di controllare direttamente la qualit dei prodotti, di chiedere informazioni o migliorie e magari di instaurare relazioni umane pi significative, trasformando cos latto del consumo in una scelta attiva.

R. Patel, I padroni del cibo, Feltrinelli, Milano 2011, pp. 11-12.

Linee guida: Livello individuale 1. Trasformare i nostri gusti. 2. Mangiare locale e stagionale. 3. Mangiare agroecologico. 4. Sostenere le imprese locali. Livello globale 5. Il diritto alla dignit e al decoro per tutti i lavoratori. 6. Un profondo e ampio cambiamento nelle campagne. 7. Salari dignitosi per tutti. 8. Sostegno a unarchitettura sostenibile del cibo. 9. Far saltare il collo di bottiglia del sistema alimentare. 10. Ammettere e rifondere le ingiustizie del passato e del presente. I primi quattro punti dello schema sottolineano la necessit di un legame umano che va oltre la semplice transazione e permette di sentirci parte attiva nel processo che porta il cibo sulla nostra tavola. anche un modo rivoluzionario per contrastare le logiche impersonali, sprecone e mai soddisfacenti dellillimitatezza. Dal locale pu avere luogo quella trasformazione economica e sociale che responsabilizza latto del consumo e recupera quel senso greco del limite o giusta misura che tiene conto dei bisogni storici delluomo entro una dimensione del finito. Pu rivivere su una voluta pi alta della spirale della storia quello che fu un principio basilare della polis greca, oggi traducibile nel senso di una maggiore consapevolezza, responsabilit e partecipazione alla cura del proprio habitat rurale e urbano. Fondato strutturalmente sullillimitatezza dei desideri sempre artificialmente prodotti, il capitalismo si pone invece come inversione del mondo greco che onorava il finito e per questo deve rompere con tutte le filosofie che individuano nella giusta misura ci che d forma e regola il vivere sociale. Gli altri sei punti dello schema richiamano lattenzione sulla richiesta di un cambiamento di paradigma locale e globale in direzione della sovranit alimentare. Guardano a un sistema alimentare fondato sul diritto umano ad avere cibo adeguato per le persone e su politiche di produzione alimentare che a) rivalutano il lavoro dei contadini e dei piccoli agricoltori; b) aumentano la democrazia in sistemi alimentari localizzati; c) garantiscono il controllo collettivo sulla terra, lacqua e la diversit genetica; d) onorano e accrescono il sapere e le capacit locali in armonia e nel rispetto della natura.
d) tiene conto di fattori quali linquinamento, il massiccio processo di distruzione

delle risorse naturali e la doppia perdita della diversit culturale e della biodiversit di cui lagricoltura industriale responsabile. Rimette in questione le priorit e gli itinerari della scienza convenzionale guidata dal profitto. Agronomi, tecnici agricoli e 5

scienziati che hanno lavorato fianco a fianco con i contadini hanno preso coscienza della necessit di mettere allopera nuove produzioni di saperi capaci di un approccio pi attento rispetto 1) agli uomini in generale e ai contadini in particolare e 2) alle specifiche pratiche agricole applicabili in armonia con lambiente naturale. In La risposta dei contadini Silvia Prez-Vitoria scrive:
Lagroecologia apre la via a nuovi approcci in una prospettiva olistica, cio che tiene conto dei rapporti fra luomo e la natura in tutte le loro dimensioni. Se lecologia parte dallecosistema, inteso come insieme di interdipendenze fra lambiente e le specie viventi, per lagroecologia lunit danalisi fondamentale lagroecosistema. Si tratta di un costrutto sociale che viene fuori dalla coevoluzione fra le coltivazioni prodotte dalla mano delluomo e la natura. Gli uomini, attraverso le loro pratiche, hanno trasformato gli ecosistemi in agroecosistemi. Questa artificializzazione della natura mediante il lavoro agricolo non si limita alla sua dimensione tecnica. Essa a sua volta sociale, culturale e politica. Il postulato affermato dallagroecologia che le conoscenze pi pertinenti per valorizzare gli agroecosistemi si ottengano studiando il modo in cui lagricoltura tradizionale ha modificato gli ecosistemi. Il segreto di questagricoltura tradizionale stato quello di rimanere quanto pi possibile vicina agli equilibri naturali, e il suo obiettivo di sostentare indefinitamente coloro che vi lavorano in un ambiente naturale dato. In questa prospettiva, sono le popolazioni indigene, alcune delle quali vivono nelle loro regioni da migliaia danni, quelle che meglio sono riuscite a conservare il proprio ambiente. [] Lagroecologia studia dunque le condizioni di equilibrio, di autoriproduzione e di stabilit di questi sistemi. Le pratiche coltivative sono sempre connesse al contesto socioeconomico, poich la sostenibilit di un sistema agroecologico non dipende solo da fattori ecologici. Per poter perdurare indefinitamente, un agroecosistema deve assicurare il benessere di coloro che vi vivono e lavorano. Ci presuppone che vengano tenuti da conto tutti gli aspetti della vita sociale, culturale e politica che si svolge intorno a tali agroecosistemi. Quindi i ricercatori del settore agroecologico dovranno occuparsi sia delle pratiche coltivative sia dei profitti realizzabili o dei mezzi utilizzabili dai contadini al fine di esercitare la loro attivit produttiva. Per loro, tutto collegato. Una delle priorit dare alle comunit rurali lautonomia e le condizioni per avere il controllo del proprio futuro. dunque del tutto naturale che lagroecologia integri nelle sue riflessioni la storia dei movimenti contadini e il ruolo che essi svolgono nella trasformazione sociale 2.

Insieme di conoscenze agronomiche, storiche, antropologiche e socioeconomiche, lagroecologia un percorso diverso rispetto a una divulgazione corrente sullagricoltura che tiene conto di considerazioni di ordine esclusivamente agronomico ed economico. La sovranit alimentare e le agricolture contadine sono portatrici di idee e di valori differenti da quelli che dominano nella societ industriale. Sono in contrasto con le attuali politiche neoliberiste e frenate dalla mancanza di volont politica da parte dei governi. Oggi che la met della popolazione mondiale a rischio fame e che
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S. Prez-Vitoria, La risposta dei contadini, Jaca Book, Milano 2011, pp. 124-125.

leconomia divenuta la principale causa di infelicit del genere umano, non c per da stupirsi se aumentano le file di coloro che criticano unumanit indaffarata nel costruire una societ senza senso e ormai prossima a un vicolo cieco. In particolare sono leconomia e la politica a soffrire di gravi forme di denutrizione e malnutrizione di facolt essenziali per abitare in modo pi umano e responsabile il mondo. Il dogmatismo dei molti economisti che si prestano a fare gli scribi della religione neoliberista, cos come la sterilit e la povert culturale del dibattito politico sono la prova della mancanza di visione, che invece i movimenti per il cibo possono offrire. Proprio tali movimenti esortano i paesi a innalzare quanto pi possibile il loro livello di autosufficienza alimentare prendendo i seguenti provvedimenti: Rispettare, proteggere e attuare il diritto ad avere cibo adeguato accanto ad altri diritti. Aumentare la quota del bilancio destinata alla produzione alimentare contadina. Attuare una vera riforma agraria per dare ai senza terra e ad altri gruppi vulnerabili accesso alla terra e ad altre risorse produttive. Garantire accesso al credito ai contadini e altri piccoli produttori di cibo. Abolire tutte le barriere che impediscono ai contadini e ai piccoli agricoltori di risparmiare e scambiare semi tra comunit, paesi e continenti. Rafforzare la ricerca condotta dai contadini e sostenere la costruzione di capacit autonome. Migliorare le infrastrutture in modo che i contadini e i piccoli produttori possano arrivare sui mercati locali. Sviluppare strategie con le organizzazioni contadine e altre interessate per gestire rischi specifici ed emergenze. Garantire ai consumatori marginalizzati laccesso al cibo nazionale e se non disponibile al cibo eccedente importato da regioni adiacenti (da Holt-Gimnez, Patel, Shattuck, p. 255).

II. Cogliere nel nostro tempo la realt latente di unaltra societ, che per certi versi sta gi nascendo, significa ravvisare gi adesso il profilo di un uomo in lotta migliore dellattuale e di una visione del sociale che fa della prassi trasformatrice il proprio cardine. Significa mettere in discussione un sistema segnato dalla totale mercificazione del cibo che vede nel denaro il valore pi alto e che subordina ogni altro valore alla produzione e allaccumulazione del denaro stesso. Le note qui proposte guardano precisamente a un tipo di uomo per il quale laccesso e il controllo sulle risorse naturali, la produzione alimentare e un maggiore potere decisionale rappresentano il punto da cui partire per promuovere quellunit nella diversit di cui oggi abbiamo necessit urgente. Un uomo che vuole essere libero di godere di una sicurezza materiale che consenta a tutti di vivere in modo dignitoso e creativo, libero di cooperare in luogo della costrizione a competere. Tra i suoi meriti c quello di aver compreso che in atto una guerra del cibo, la storia del quale sovente ignorata dai pi talmente imbarazzante da renderlo tuttaltro che orgoglioso. E proprio lidea di essere orgoglioso della storia che sta dietro al cibo che mangia si richiama a quellempatia che va al di l delle persone e pu essere applicata anche agli animali e ai luoghi. Lempatia lo porta a immaginare limpatto delle sue azioni quotidiane su altri ambienti e su altre persone, a costruire rapporti umani pi significativi. Lo porta per anche a scontrarsi con gli effetti disastrosi di una ideologia ben precisa che pretende che le cose vengano accettate non perch buone o giuste, ma perch non possono (devono) essere altro da quello che sono. Da qui la necessit di chiedere ragione alle cose sociali e politiche in cui si immersi, interrogare il proprio orizzonte storico e acquisire coscienza del proprio ruolo allinterno della societ, senza aver paura di rigettare ci che si impone in modo acritico e infondato perch funzionale alla riproduzione simbolica del mondo cos com. Il capitalismo ha ormai portato a compimento quel processo ideologico tramite il quale ha saputo imporsi come qualcosa di naturale, necessario e inevitabile. E inevitabili appaiono cos le testimonianze di condizioni lavorative cos dure da essere difficili da credere, linadeguata remunerazione degli agricoltori, il poco rispetto per lattivit che svolgono per nutrirci e il ruolo di custodi di quasi un terzo della terra del pianeta. Stesso discorso per lo sfruttamento degli animali, il degrado del territorio e, pi in generale, la mercificazione di praticamente tutti i processi naturali tipici dellattivit agricola. Lerrore delluomo stato di credere a tale processo di legittimazione dellesistente, che ha portato allambito naturale ci che invece storico e sociale, e dunque trasformabile in senso prassistico. Ha dimenticato che il mondo sociale opera sua, opus proprium della sua attivit produttiva, e pu quindi essere modificato da lui. Per quel che riguarda il mondo del cibo, una simile trasformazione dovr fare i conti con un graduale percorso di restituzione: 1) restituire al cibo la sua dimensione naturale; 2) restituire il cibo nelle mani di chi lo coltiva e lo mangia in maniera consapevole e responsabile; 3) restituire agli animali da allevamento una vita libera dallo sfruttamento e dalla schiavit. Questi sono grosso modo i tre percorsi su cui bisogner lavorare per correggere uneconomia politica della produzione industriale capitalistica dominata da 8

grandi societ, mossa dalla ricerca dei profitti per pochi e fortemente deficitaria per ci che concerne il nutrimento della popolazione mondiale. Mentre i punti 1 e 2 sono generalmente condivisi dai movimenti del cibo, il punto 3 appare ancora difficilmente realizzabile nonostante una riduzione del consumo di alimenti di origine animale possa rivelarsi valida e auspicabile. Lidea di sostituire carne, uova e latticini con alternative valide da un punto di vista nutrizionale, senza dimenticare il piacere della buona tavola, ha bisogno di pi tempo per affermarsi. Al momento ci sono troppi gruppi ostili (operativi non solo nellindustria dellallevamento) che, per motivi di profitto, remano contro; e il successo di certi meccanismi concettuali proprio legato al potere detenuto da coloro che li manovrano. Grazie per a internet e a una maggiore circolazione e diffusione delle idee, le persone possono con pi facilit cogliere il confronto tra universi simbolici alternativi e riconoscere al punto 3 tutta una serie di valide argomentazioni a suo favore. Una di queste richiama lattenzione su livelli differenziati di soggettivit negli animali da allevamento, quantomeno di un livello minimo fondato sulla sensibilit, intendendosi con tale termine quella zona della dimensione non cognitiva che oltre la mera sensazione comincia a coinvolgere lemotivit, dunque la capacit di provare dolore fisico e forme pi complesse di sofferenza. Oggi molti studiosi del comportamento animale si spingono poi oltre, arrivando a sostenere che non solo non c motivo di pensare che lanimale non senta dolore e sofferenza a modo suo, ma che abbia anche un suo modo di pensare. Resta comunque innegabile il fatto che gli animali da allevamento sono a tutti gli effetti esseri senzienti, indicando con ci la capacit di sentire, di provare sensazioni ed emozioni che meritano lattenzione e il rispetto delluomo. Esistono tante descrizioni di animali salvati dai pi orrendi laboratori di ricerca o da allevamenti che, data loro la possibilit di essere se stessi, offerti spazio, amore e cura, hanno rivelato personalit proprie e uniche. Da questo punto di vista, il legame empatico che luomo stabilisce con gli animali si rivela quale mezzo imprescindibile per entrare in contatto con la vita di soggetti riconosciuta come valore in s e svincolata da aspetti economici (animali da reddito) che condizionano e annichiliscono qualsiasi considerazione di altro genere. Intendo qui con valore in s non qualcosa di disincarnato (come fa qualche filosofo che scrive di benessere animale schiacciando locchio allindustria dellallevamento e delle biotecnologie), ma come un valore che
sempre, essenzialmente, un valore vivente: il dono infinito incarnato nelle persone, nelle creature della natura, nelle relazioni, nel futuro. Solo in seconda battuta i valori corrispondono a condizioni ottimali della vita umana, quali giustizia, pace, libert e cos via. I valori che indicano tali condizioni sono importanti, ma sono appunto al servizio dei valori viventi. La giustizia, la libert, la pace, lonest non sono fine a se stesse, sono per le persone, per la comunit umana, per lintero mondo vivente e per la loro armonizzazione 3.

R. Mancini, Idee eretiche. Trentatr percorsi verso uneconomia delle relazioni, della cura e del bene comune, Altreconomia, Milano 2010, pp. 102-103.
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Penso al valore intrinseco dellaltro non come a un concetto puramente teorico separabile dallaltro, ma a) coincidente alla reale complessit e misteriosit della vita e delle manifestazioni dellaltro e b) condivisibile da tutti, indipendentemente che ammettiamo o non ammettiamo lesistenza di unanima immateriale che sopravvive dopo la morte del corpo fisico e indipendentemente che ammettiamo o non ammettiamo la presenza di un s che esiste realmente e in modo autonomo dai costituenti psicofisici individuali. Possiamo richiamarci ad antropologie diverse senza per questo rifiutarlo, consapevoli per del fatto che tra il riconoscerlo e agire di conseguenza e il non riconoscerlo e agire di conseguenza di gran lunga preferibile il primo caso al secondo. Sebbene infatti possa di primo acchito apparire non ben definibile da un punto di vista logico concettuale, come daltronde luomo stesso o lanimale sfuggono a qualsiasi definizione esauriente e precisa, le conseguenze di un suo mancato riconoscimento risultano invece ben evidenti, e a mio avviso deleterie sia per gli animali sia per gli uomini. Tutte le volte che d amore, rispetto e protezione a un animale o a un uomo in modo disinteressato, gli riconosco invece di essere prezioso in s, a prescindere da ogni possibile tornaconto. Questo nobilita la mia esistenza. Riconoscere negli animali un valore in s significa vederli e sentirli meritevoli di rispetto, cura e attenzione indipendentemente dallutilit che possono rivestire per luomo. Significa riconoscere e apprezzare la variabilit individuale e la diversit delle loro vite negli ambienti in cui vivono, senza cercare a tutti i costi lumano nellanimale o lidentico allumano nellanimalit. Sarebbe davvero preoccupante se un medico veterinario che cura nel suo ambulatorio cani e gatti rispondesse negativamente alla domanda se i suoi pazienti hanno o meno un valore in s : il buon senso mi direbbe di rivolgermi a un altro dottore. Alcuni filosofi ritengono invece che non si possa giustificare razionalmente lesistenza di un valore in s negli animali e dunque non si dovrebbe assumere tale principio vago e fragile come base di una legge sugli animali 4. Il concetto di valore intrinseco si scontrerebbe a loro giudizio con difficolt di fondo che condurrebbe a posizioni biocentriche cos forti da essere irragionevoli, cio a una astensione totale dalluso degli animali. Secondo il mio personale punto di vista, invece, luomo deve aspirare a ricostruire una societ nonviolenta migliore dellattuale e avviarsi verso una continua ricerca di ci che lo nobilita. Non c dubbio che, data la vicinanza e interconnessione della vita animale e umana, questo possa attuarsi anche a partire dal rapporto che lo lega allanimale oggi utilizzato come cibo, dal momento che non esiste alcuna necessit nel mangiare la carne e bere il latte di altre specie e che luomo pu sopravvivere benissimo (e stare meglio) seguendo una dieta vegana. Da questo punto di vista, penso che riconoscere allanimale un valore in s rappresenti la via pi saggia rispetto 1) a non riconoscergli alcun valore o 2) a riconoscergli qualcosa di vago che gli si avvicina per poi negarlo perch ritenuto un parametro non sufficientemente chiaro ai fini di un processo decisionale. In ambo i casi, infatti, non solo troverebbe una giustificazione lattuale sterminio animale organizzato, esito di un atteggiamento utilitaristico che considera lanimale sulla base del suo mero utilizzo, atteggiamento che degrada lessere umano e che avverso; ma verrebbe lasciata anche aperta una porta a visioni
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Si veda E. Lecaldano, Bioetica, Il Saggiatore, Milano 1999.

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delluomo e della natura che, se accettate acriticamente dai pi, porterebbe allaffermarsi di scenari disastrosi. Bisogna quindi prendere una posizione netta accettandone le conseguenze: o la vita dellanimale ha un valore intrinseco o non ce lha. Negare per alla vita dellanimale un valore intrinseco significa contemporaneamente negarlo alluomo che, pur diverso per il possesso di capacit cognitive tipiche degli adulti normali, separato o separabile dal primo da un confine labile. Certo, sono diversi sotto molti aspetti, ma non cadiamo nellerrore che tra uomo e animale ci sia uno scarto cos incolmabile5. Colui che ritiene esserci uno scarto ontologico evidente tra animale e uomo sulla base di considerazioni filosofiche o religiose, tale per cui lanimale (posto a un livello inferiore) un di meno rispetto alluomo (posto a un livello superiore) deve specificare bene in che cosa consista questa superiorit morale e/o spirituale e in che modo possa conciliarsi con la legittimazione di qualunque uso degli animali. Anzi, proprio tale condotta potrebbe smentire eventuali pretese di superiorit morale e spirituale, che nulla hanno a che vedere con lattuale schiavit, sfruttamento e massacro animale. Se proprio volessimo parlare di superiorit delluomo rispetto allanimale, essa non potrebbe non tradursi nella forma di una tutela, protezione, custodia e responsabilit del primo nei confronti del secondo: schiavit, sfruttamento e massacro animale dovrebbero lasciare il posto alla libert, alla cura e allamore. Stando cos le cose, luomo non vivrebbe allaltezza dello status ontologico che gli proprio e, in virt di questo, dovrebbe porsi come obiettivo quello di tendervi con impegno, cosa che implicherebbe il rifiuto di tutta listituzionalizzazione della morte animale. Chi pensa che oggi luomo possa stare tranquillo e vivere sereno perch a lui riconosciuto un valore che invece lanimale non ha, davvero un ingenuo e sottovaluta la dequalificazione umana che la crisi economica sta facendo venire a galla. Il nostro sistema economico ha creato un tale clima di violenza, competizione e negativit che la vita di chiunque altro non percepita come un valore. Le persone sono superflue e lo stare nel mondo pare non offrire pi obiettivi stimolanti per cui vivere. In balia delle forze del mercato, luomo ha completamente perso la bussola, non sa dove lo sta conducendo il viaggio della vita n perch dovrebbe essere entusiasta di continuare. Il perverso tentativo di fare delleconomia di mercato il fondamento di una societ di mercato, dove ciascuno viene valutato e ottiene in base al suo prezzo, si rivelato un totale disastro. Quanti non riescono a inserirsi nel mercato temporaneamente o permanentemente con unadeguata capacit di contrattazione vengono emarginati e abbandonati alla propria sorte. Quelli che invece riescono a inserirsi sono solo consumatori dei beni offerti da chi controlla il mercato politico ed economico e lincessante propaganda commerciale rappresenta il primo messaggio diretto a loro. Tutto evoluto in senso consumistico e produttivistico e sono stati gli animali a pagarne il prezzo pi caro: come i consumi umani sono cresciuti nel tempo, cos sono aumentate le quantit di animali allevati, sfruttati e uccisi. stato un opprimere crescente che da una parte ha lasciato aperta una porta a comportamenti violenti e di totale negazione del valore con i quali noi umani non abbiamo ancora fatto i conti
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L. Battaglia, Etica e diritti degli animali, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 31-35.

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seriamente e che dallaltra ha poi finito per ritorcersi sulluomo, il quale (pensando e agendo in un certo modo) ha negato a se stesso quel valore che avrebbe voluto vedersi riconosciuto. Non possiamo dunque negare agli animali un valore intrinseco senza negarlo anche agli umani. E chi nega un valore in s alla vita delluomo apre davvero lorizzonte a scenari inquietanti ben esemplificati dalla storia del secolo scorso:
Il nazismo rappresenta la logica della violenza portata alla sua conclusione estrema e pi ottusa. Possiamo trovare in esso molte altre cose oltre alla determinazione alluso della forza bruta. La prima di queste e probabilmente la prima cosa da considerare per una visione dinsieme limmagine che il nazismo ha degli esseri umani. Hitler era schietto al riguardo. Una volta spieg a un giornalista americano: Sa, ogni uomo ha il suo prezzo e sarebbe sorpreso di sapere quanto basso. La violenza correlata alla pi bassa considerazione dellessere umano. La nonviolenza legata invece alla pi alta 6.

Sono scenari che ci siamo lasciati alle spalle, ma non del tutto, considerata la strada imboccata oggi da uneconomia politica che, dominata dalla ricerca ossessiva del guadagno, mercifica ogni cosa e svaluta il vivente (uomo compreso). Ora, il punto dal quale partire potrebbe proprio essere la domanda seguente: luomo ha un valore in s? Non riconoscere un valore intrinseco allessere umano significa giustificare in linea teorica tutta una serie di azioni che ne compromettono lesistenza. Significa lasciare che prenda piede una visione disumanizzante, cio uno svuotamento della vita umana da ogni spiritualit e senso morale e quindi da ogni dignit. Si andrebbe incontro a nuove forme di sopraffazione, asservimento e dominazione che portano luomo a subire un processo deprimibile di sottrazione di valore. Proprio come agli animali sottratto valore quando la scienza li etichetta con dei numeri o quando nellindustria agricola vengono allevati in maniera intensiva, riempiti di ormoni e antibiotici e fatti ingrassare per le nostre tavole. Dunque, tra lattribuire allanimale un valore in s, anche se non pienamente giustificabile da un punto di vista razionale, e il non attribuirglielo, resto dellidea che sia meglio per tutti animali e umani sposare la prima opzione, facendo finalmente i conti con forme di esistenza e di sussistenza nonviolente e distanti dallannullamento dellaltro. In linea teorica, da ci discenderebbe il riconoscimento di un generale diritto alla vita in capo agli animali che costringerebbe a mettere in discussione tutta una serie di parametri in base ai quali luomo opera il bilanciamento degli interessi nei singoli casi. Ovviamente luccisione di animali a scopo di alimentazione, sperimentazione, abbigliamento, cosmesi e cos via non potrebbe pi in linea di principio giustificarsi. Si tratterebbe di un orizzonte nonviolento in senso radicale, davvero difficile da immaginare in questo momento, forse perch siamo soliti vedere luomo poco propenso ad abbandonare abitudini e attitudini consolidate, a trovare una giustificazione per ogni sua debolezza. Ciononostante, resta per me lunico orizzonte al quale tendere e per il quale valga davvero la pena lottare, conscio del fatto che ogni piccolo risultato ottenuto
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M. N. Nagler, Per un futuro nonviolento, Ponte alle Grazie, Milano 2005, p. 277.

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rappresenta una grande conquista e che la lotta contro lo sfruttamento animale va comunque inquadrata in una prospettiva di lungo termine. indubbio che tale lotta trovi nuova linfa vitale nel progressivo affermarsi di etiche orientate alla liberazione animale, ma non bisogna neanche sopravvalutare troppo leffetto di certe formulazioni teoriche, spesso prive di agganci con la realt concreta (nonostante una loro possibilit di orientarla). Senza un agire politico che metta seriamente in discussione una societ che non conosce alcun dio che non sia il denaro e in nome di questo opera la totale funzionalizzazione dellesistente al proprio dominio, le idee rimangono confinate in una sfera dimpotenza rispetto allattuale assetto di potere politicoeconomico. Dunque: politica, politica, politica!

Affrontare il tema del cibo significa fare i conti con una parte di noi stessi nascosta sotto il peso di uneconomia e di un sociale sempre pi lontani da un senso morale profondo e da un agire empatico e responsabile. Mi riferisco alla crescente preoccupazione per il benessere animale, non pi solo riservata alle specie che consideriamo da compagnia ma anche agli animali da allevamento, visti e trattati come macchine senza dignit, esseri senza diritti, da sfruttare e uccidere. Affrontare il tema del cibo significa dunque fare i conti con un progetto di vita individuale e collettivo che, nel superare questa mentalit ancora molto diffusa, sceglie di rivendicare luguale diritto alla vita dellanimale da allevamento. Tale decisione lespressione concreta della capacit di provare risonanza empatica e compassione, l dove il modo in cui mangiamo limita questo potenziale contraddistinto dallapprezzamento degli altri esseri viventi e dal desiderio di liberarli dalla sofferenza. Listituzionalizzazione della morte animale, in un sistema culturale che rivela tutta la sua devianza attraverso unassuefazione dellumano alla violenza, si scontra con il bisogno insopprimibile delluomo di essere migliore di quello che . Percorrere la strada del miglioramento di s significa aprirsi a una dimensione di gratuit e condivi13

sione oggi del tutto perduta nel vortice consumistico, dove ogni azione che si compie deve sempre avere un tornaconto. Ogni giorno che passa luomo perde spazi di libert, affetti e ritmi tranquilli, tutti sacrificati sullaltare della rincorsa a una mitica felicit materiale, per la gran parte costruita sulla sofferenza altrui. Piegarsi allistituzionalizzazione della morte animale, accettandone passivamente lideologia di dominio, significa far morire quellhomo empaticus che cura e responsabilit nei riguardi dei pi deboli e dei pi svantaggiati, quali gli animali sono. Per lhomo empaticus, condividere la condizione breve e meschina dellanimale sfruttato significa immedesimarsi in lui, farsi carico di quella sofferenza fino a sentirla. Da qui muove la sua pratica di benefica sovversione, che mira a rovesciare un ordine costituito violento e degenerato, che ha saputo nel tempo creare e mantenere un consenso tacito ed esteso con la popolazione, un implicito contratto tra i produttori e i consumatori di non vedere, non sentire e non parlare del dolore e della sofferenza inflitta agli animali. Il pensiero-azione dellhomo empaticus rifiuta la violenza estensiva di un sistema folle rimasto per troppo tempo nellombra, il quale non vuole che ci poniamo troppe domande sul cibo che mangiamo, sugli abiti che indossiamo o sugli oggetti di cui facciamo uso quotidianamente. Uno dei punti di forza dello sterminio animale organizzato la non-visibilit, cos da tenere lontane le persone dal contatto diretto con le vittime del sistema per timore che inizino a mettere in dubbio il sistema stesso o la loro partecipazione. Lincapacit di collegare per esempio la carne con la sua origine animale inibisce il disgusto delluomo e la sua empatia, permettendo cos al sistema di proteggersi dai suoi stessi sostenitori. Se tante persone si documentassero di pi sulla produzione della carne e del latte (e non solo di questi), se vedessero con i propri occhi quello che davvero succede dentro queste fabbriche di morte, avrebbero molte pi difficolt a continuare a mangiare i loro cadaveri e bere il loro latte. I macelli sono sempre nascosti alla vista del pubblico, che indotto a dissociare la carne che consuma abitualmente dallanimale-soggetto e dalla sua esistenza. I consumatori compiono cos delle scelte senza sapere davvero quali ricadute esse abbiano sulla vita di creature inermi e senza voce. Lo sterminio animale organizzato, che include catene di s-montaggio che partono dagli allevamenti fino alla vendita al dettaglio, non compie solo azioni concrete, non solamente lesecutore materiale della schiavit, dello sfruttamento e della morte animale. Esso opera infatti su un piano pi sottile, nel modo in cui guardiamo la realt che ci circonda e ci facciamo unidea di essa. Il complesso delle azioni del sistema contiene i significati come elementi indispensabili non solo affinch le azioni possano essere capite, ma perch possano essere realizzate. Il conferimento di significato viene a coincidere con la stessa organizzazione delle azioni compiute ed entra in gioco gi nei primi anni di vita (basta guardare i testi di studio delle scuole primarie che trattano di cibo), cos da favorire quellinerzia sconvolgente che rende luomo conformista prima ancora che abbia veramente riflettuto sul proprio destino. Esso solleva il consumatore adulto dal compito in apparenza banale, ma tuttaltro che tale di semplificare la complessit dellanimale sfruttato e trasformato in cibo, cos da offrire un modello di spiegazione che possa essere accettato allinterno del sistema stesso. 14

La semplificazione-astrazione alla quale sono ridotte la complessit animale e tutta la sua ricchezza espressiva non deve per dare lillusione che le regole di schiavit, sfruttamento e morte coincidenti al conferimento di significato siano per forza giuste e immodificabili, che lanimale sia facilmente riducibile entro i confini degli insiemi cognitivi trasmessi dal sistema. Il sistema impone infatti un modello di spiegazione-presentazione dellanimale da allevamento che lo riduce a creatura de-potenziata e, in forza di ci, a oggetto-merce. Allanimale non viene negato il fatto di essere una creatura senziente, quanto la possibilit di elevarsi simbolicamente e materialmente dallo status ontologico entro il quale il sistema mortifero lo ha recluso. Uno status che non nega allanimale da allevamento di essere creatura di relazione sensibile e intelligente, ma la possibilit di una emancipazione-elevazione che, se largamente accettata, minerebbe le fondamenta delledificio che si erige sul suo sfruttamento. Il modo migliore per presentarlo affinch il sistema di morte possa preservarsi dunque confondere lordine dellessere con lordine del conoscere, confondere volutamente la realt complessa dellanimale (al di l del mero aspetto zootecnico, cosa sappiamo davvero degli animali da allevamento?) con loperazione sul reale attuata dal sistema. Come avviene questo processo di confusione-semplificazione? In primo luogo, come gi detto, tenendo lontane le vittime del sistema dalla gente. Le realt che circondano luomo, compresa la vita animale, sono sempre realt ricche e complesse, ma dobbiamo avere la consapevolezza che la semplificazione cui luomo si avvale un procedimento della conoscenza e non una caratteristica della realt presa in esame. Dal punto di vista umano, si tratta sempre di collocare in una prospettiva, ordinare, interpretare, produrre semplificazione. Risulta per molto pi difficile definire, capire, comprendere ci che non hai davanti agli occhi, ci che non accessibile direttamente o facilmente esperibile. Per intenderci, le persone mangiano carne ogni giorno ma, nella stragrande maggioranza dei casi, non incontrano mai gli animali che diventano il loro cibo, n conoscono la crudelt cui sono sottoposti. Il massacro degli animali utilizzati come cibo procede dietro porte chiuse e la distanza dalle vittime del sistema consolida il carattere vago, fittizio e negoziale di questo modello socialmente approvato. In secondo luogo, il processo di semplificazione attuato dal sistema consiste non nellequiparare lanimale da allevamento a un oggetto inanimato e farlo passare come tale, quanto nel togliere allanimale qualcosa, depauperarlo, de-potenziarlo, circoscrivendone lo status. Fare in modo di ridurre la distanza che lo separa da un qualunque oggetto disponibile, possedibile e manipolabile e aumentare la distanza dallanimale da compagnia e dai suoi diritti; farlo apparire meno animale e pi oggettocosa, evitando che il ragionamento e leducazione individuino e mettano in luce tale operazione:
Elizabeth Paul ha dimostrato che in Gran Bretagna i programmi televisivi appoggiano la nozione secondo cui esiste una gerarchia di animali superiori e inferiori, e gli animali inferiori sono percepiti come esseri che non soffrono quanto quelli superiori 7.
M. Bekoff, Dalla parte degli animali. Etologia della mente e del cuore, Franco Muzzio Editore, Roma 2003, p. 86.
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Si tratta di una semplificazione che sottrae: lanimale da allevamento meno intelligente, meno senziente, meno emotivo, meno capace di provare dolore e sofferenza, meno capace di creare legami affettivi rispetto a un animale da compagnia. Questo fa s che i membri del sistema possano in qualche modo accettare che lanimale da allevamento, pur restando animale nel significato vago e sempliciotto attribuitogli dai pi, sia poi sfruttato e ucciso, scomposto in parti come fosse un oggetto e trasformato in cibo.

Nel dominio del pi forte sul pi debole, la riduzione dellinfinita ricchezza della vita animale a modello impoverito pu essere largamente accettata e condivisa dai pi a patto che la fredda razionalit, il bieco calcolo dinteressi egoisti e labitudine abbiano un peso maggiore rispetto alle emozioni, ai sentimenti e a tutto ci che di nobile alberga nel cuore delluomo. Nella desolante povert di prospettiva cui la gente chiamata ad assuefarsi, la passiva accettazione del modello comporta un torpore e una perdita pericolosi, un depauperamento cognitivo ed emozionale, allo stesso modo in cui qualcosa stato tolto allanimale. Listituzionalizzazione della morte animale contemporanea al vivere con una parte di noi che inibita e che finisce cos per salvare le apparenze dispotiche di un sistema che dequalifica il vivente. Luomo che accetta che lanimale da allevamento sia un di meno subisce lindottrinamento, le certezze imparate a scuola e rafforzate quotidianamente con azioni e compromessi che vanno a consolidare lo status quo; tiene spenta una parte di s; preferisce linerzia allalternativa, anche se questa potrebbe chiamarsi cura, amore, empatia, compassione. Forse c in gioco la paura che esistano davvero un giusto a cui adeguarsi e un ideale regolativo di nonviolenza al quale tendere, e il timore dei pi a riconsiderare le proprie abitudini, a mettersi in discussione rivelatore del fatto che intravedono la distanza che li separa da questi traguardi:
Chiedersi se mangiare o meno gli animali tocca corde che risuonano nel profondo di noi la nostra idea di noi stessi, le nostre memorie, i nostri desideri e i nostri valori.

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Si tratta di risonanze potenzialmente controverse, potenzialmente minacciose, potenzialmente ispiratrici, ma sempre cariche di significato. Il cibo importa e gli animali importano e mangiare gli animali importa ancora di pi. La questione del consumo di carne in definitiva guidata dalle nostre intuizioni su ci che significa raggiungere un ideale che abbiamo chiamato, forse in modo incoerente, essere umano 8.

J. Safran Foer, Se niente importa. Perch mangiamo gli animali?, Guanda, Parma 2010, pp. 282-283.

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