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Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science

On-line date: 2009-04-17

Modelli di Attaccamento come Strategia di Regolazione Affettiva

di Emanuela Laquidara

Keywords: Modelli Operativi, Strange Situation, AAI, Adult


Permalink: http://www.neuroscienze.net/index.asp?pid=idart&cat=2&arid=547

Il concetto di funzione regolativa


Nel valutare in che modo svariati fattori possono condurre o in altro caso mettere al riparo
dall'insorgenza di una psicopatologia nell'infanzia o in età adulta, risulta fondamentale chiedersi
attraverso quali meccanismi i modelli di attaccamento dell'infanzia influenzano i percorsi evolutivi,
in altri termini in che modo questi ultimi possono essere considerati come fattori protettivi o di
rischio. I modelli di attaccamento sono considerati delle strategie di regolazione affettiva
particolarmente efficaci in cui le emozioni assolvono la funzione di valutare contemporaneamente
l'ambiente circostante, lo stato dell'organismo, la disponibilità delle figure di attaccamento e
l'eventuale successo del comportamento di attaccamento nel mantenere un senso di sicurezza
interno. La fuzione regolativa si svolge ad un livello di base, in cui le emozioni attivano il sistema
di attaccamento comunicando al caregiver bisogni, e a un livello superiore in cui le emozioni
restituiscono informazioni al bambino circa il successo dei suoi tentativi di ottenere conforto e
stare nella relazione. Nel modello di attaccamento sicuro questi due livelli operano in maniera
integrata e consentono al bambino di ripristinare il senso di sicurezza. Nel caso di attaccamento
insicuro invece, i due modelli producono un conflitto o una dissociazione, il bambino non
sperimenta un senso di sicurezza in quanto non viene data una risposta adeguata all'espressione
emozionale dei suoi bisogni, nel caso di attaccamento ambivalente perché la risposta è
discontinua, nel caso di attaccamento evitante perché non c'è risposta. In questi casi il bambino
tende a sviluppare delle strategie alternative come quelle di distanziamento e inibizione
dell'espressione emotiva, per ridurre l'indisponibilità della figura di attaccamento ed aumentare il
senso di sicurezza. La strategia evitante può diventare col tempo un meccanismo anticipatorio
che sposta l'attenzione del bambino dagli stimoli in grado di attivare l'attaccamento verso gli

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oggetti inanimati, consentendo di mantenere un'organizzazione flessibile del comportamento e
una vicinanza accettabile con il caregiver (Main, Weston, 1982). L'imprevedibilità della risposta
materna che viene sperimentata nei casi di attaccamento ambivalente favorisce l'emergere di una
strategia in cui le espressioni emozionali risultano esagerate allo scopo di ottenere più facilmente
risposta. I diversi stili di regolazione emozionale tendono a perdurare nel tempo influenzando
l'adattamento sociale nelle varie fasi evolutive, contribuendo allo sviluppo di comportamenti
internalizzanti o esternalizzanti, responsabili di successive alterazioni psicopatologiche. Negli
ultimi anni gli studi relativi allo sviluppo emotivo fanno coincidere con sempre maggiore frequenza
tale sviluppo non solo con l'acquisizione delle capacità di comunicare a livello emotivo,
riconoscendo le emozioni altrui ed esprimendone di proprie, ma anche con quelle di regolare la
loro intensità anche a fronte di stimoli particolari, quali eventi nuovi o stressanti. Molto chiaro a
questo riguardo risulta essere il modello proposto da Sroufe (1995) che descrive la regolazione
emotiva da parte del bambino come la capacità di mantenere l'organizzazione comportamentale
di fronte a elevati stati di tensione, concepita in una successione temporale ben definita in cui è
centrale il ruolo svolto del caregiver. Le prime forme di regolazione emotiva nascono nell'ambito
della relazione diadica con il caregiver; dopo una prima fase (0-2 mesi) in cui la regolazione della
tensione avviene in modo fisiologico nell'ambito dell'accudimento, s'identifica una seconda fase
della "regolazione guidata" ( 3-6 mesi di vita) nel corso della quale il caregiver svolge un ruolo
fondamentale, aiutando con suoi interventi specifici il bambino a modulare la sua tensione a
fronte di emozioni intense sia negative che positive. Tale funzione è ben evidenziabile nei giochi
faccia-a-faccia caratteristici di questa fase, centrati sulla continua alternanza tra incremento e
decremento della tensione emotiva tra i due protagonisti della relazione. La fase che segue,
definita da Sroufe della "regolazione diadica", coincide con il secondo semestre di vita e con il
consolidarsi di specifici legami di attaccamento. In questa fase il bambino diventa in grado di
richiedere intenzionalmente all'adulto interventi regolatori e al contempo inizia a formarsi schemi
cognitivo-affettivi di tali esperienze che faranno da guida nelle sue successive relazioni. In
quest'ottica i tipi di attaccamento sicuro e insicuro, osservabili al compimento del primo anno di
vita con la Strange Situation sono leggibili come specifici indicatori delle competenze regolatorie
che il bambino si sta formando nell'ambito delle sue relazioni diadiche. Il legame di attaccamento
emergente nel corso del primo e del secondo anno di vita costituisce l'apice della regolazione
emozionale diadica raggiunta (Sroufe, 1995).

Evidenze empiriche
Interessante a questo riguardo è il recente lavoro di Kochanska (Kochanska, Coy e Murray, 2001)
che studia l'emergere nel periodo che va dai 14 ai 45 mesi delle prime forme di regolazione
autonoma del comportamento infantile, rappresentate, tra l'altro, secondo la ricercatrice, dalla
capacità del bambino di aderire (compliance), in un tempo successivo e senza il controllo
esterno, alle richieste esplicitate dell'adulto. Nel suo studio considera le richieste che l'adulto
rivolge al bambino sia in riferimento al mantenimento di attività tediose (Do context) che alla
soppressione di attività piacevoli (Don't context), avanzando l'ipotesi che le differenze di
regolazione riscontrate nei comportamenti dei bambini e per ciascun bambino nei diversi contesti,
siano da collegarsi ad aspetti disposizionali della emozionalità infantile, tra i quali spiccano quelli
legati alla paura, oltre che al tipo di relazioneintrattenuta con il caregiver. L'analisi delle relazioni
tra regolazione emotiva e regolazione del comportamento da parte del bambino ha aperto la
strada allo studio del rapporto esistente tra emozionalità, regolazione emotiva e comportamentale
e successivi problemi di adattamento. Tronick (Tronick, 1989) e Izard e Kobak (1991),
evidenziano l'esistenza di competenze autoregolatorie molto precoci nel bambino, in parte
indipendenti dal ruolo svolto dal caregiver. Tale competenza sarebbe parallela all'organizzazione
altrettanto precoce delle emozioni in emozioni discrete e differenziate presupposta dagli stessi

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autori. Secondo Tronick il bambino dispone già nei primi mesi di vita di condotte autoregolatorie
che lo rendono in grado di modulare la tensione generata da eventi nuovi e/o stressanti. Tra
queste una delle più precoci appare il distogliere lo sguardo dallo stimolo stressante, condotta
che è in grado di decelerare il battito cardiaco, contribuendo a diminuire la tensione emotiva; nei
primi 2-3 mesi di vita compaiono anche, a fronte di eventi stressanti, i primi comportamenti
autoconsolatori infantili centrati sul succhiare e/o manipolare parti del proprio corpo (dito e mano
in bocca, toccare i capelli, le orecchie, ecc.) o dell'immediato ambiente circostante (vestiti,
seggiolino, ecc.). Le condotte autoregolatorie del bambino d'altra parte interagiscono con la
funzione regolativa che svolge il genitore. Tale funzione si esplica nella capacità di trasformare le
emozioni negative del bambino in emozioni positive, ad esempio aiutandolo, a fronte di
un'esperienza frustrante sul piano motorio, e di modificare un fallimento (non riuscire ad afferrare
un oggetto) in un successo (avvicinandogli l'oggetto perché possa prenderlo più facilmente). Fin
dalla nascita tra madre e bambino si costituisce un sistema di regolazione affettiva, che permette
un'oscillazione continua tra comunicazioni riuscite ed errate. La madre svolge quindi fin dall'inizio
una funzione trasformativa nei confronti delle emozioni proprie e del bambino, in particolare di
quelle negative. La mancata azione trasformativa e regolativa induce al ricorso prolungato a
forme di autoregolazione che possono intaccare le sue nascenti capacità relazionali. Le condotte
autoregolatorie appaiono inoltre dipendenti nel loro sviluppo oltre che da fattori ambientali anche
dalla crescita di competenze percettive e cognitive specifiche, che permettono una più adeguata
modulazione delle emozioni, nonché dal crearsi di relazioni dinamiche tra diversi tipi di emozioni
(vedi la rabbia che può mitigare la tristezza). Particolarmente interessanti per conoscere più
approfonditamente l'attività di comunicazione e regolazione emotiva che caratterizza la relazione
madre-bambino nei primi mesi di vita di quest'ultimo sono i risultati delle ricerche ottenuti
utilizzando il paradigma del volto immobile, Still Face (Cohn e Tronick, 1983). Questa procedura
sperimentale consiste in tre episodi sequenziali in cui viene chiesto alla madre di un bambino
dell'età compresa tra i 2 e 9 mesi circa: di giocare con lui in modo naturale nella posizione
faccia-a-faccia (3 minuti circa); di mantenere, nella stessa posizione, l'espressione del volto
immobile e neutra senza toccarlo e senza rispondere alle sue comunicazioni (3 minuti circa); di
ritornare alla propria modalità di interazione abituale (3 minuti circa), (Weinberg e Tronick, 1996).
Le ricerche effettuate con questo paradigma hanno messo in luce come il bambino già a 3-4 mesi
si dimostri estremamente sensibile alle modificazioni dell'espressività della madre, modificando a
sua volta le proprie modalità comunicative. A fronte del volto non responsivo della madre, il
bambino, infatti, intensifica inizialmente i suoi sforzi comunicativi rivolti a quest'ultima
accentuando il sorriso, le vocalizzazioni e l'intensità dello sguardo mentre successivamente, con
la persistenza dell'inespressività del volto materno, fa ricorso a condotte di autoregolazione, volte
a modificare i propri stati di disagio (Tronick, 1989), sia evitandone il contatto, rivolgendo lo
sguardo altrove e assumendo anch'egli una mimica inespressiva, sia ricorrendo alla stimolazione
di parti del proprio corpo e alla manipolazione dei propri indumenti. I dati riportati sono di
particolare interesse in quanto evidenziano in primo luogo l'originaria capacità comunicativa del
bambino, dimostrata dal suo tentativo di ripristinare l'interazione interrotta con la madre,
intensificando le proprie modalità espressive, anche quando quest'ultima appare massimamente
non responsiva. Essi chiariscono inoltre come egli sia in grado di adottare autonomamente
condotte autoregolatorie finalizzate a diminuire la tensione emotiva generata dall'interruzione
della comunicazione materna. Alcune di queste condotte, come quelle centrate sull'evitamento
del contatto con la madre, sono considerate da alcuni studiosi come precocissime forme di difesa
emergenti nel contesto della relazione con i caregivers. Al termine dell'episodio dello Still Face,
quando la madre ritorna comunicativa, i bambini di 3-6 mesi osservati si dimostrano in grado di
ricordare la condizione interazionale, temporaneamente "irreparabile", a cui sono stati esposti,
infatti, nell'episodio di interazione che segue quello dello Still Face, rivolgono alla madre sia

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segnali positivi, sorrisi, sguardi, ecc., sia segnali di rabbia e disagio, manifestando una condizione
di ambivalenza emotiva. Tale sistema definito Infant Regulatory Scoring System, permette di
individuare le strategie regolatorie del bambino, considerando i suoi comportamenti durante il
paradigma sperimentale, tra i quali la direzione dello sguardo (verso la madre, verso gli oggetti), il
tipo di vocalizzazione (neutre/positive, di pianto, di irritazione), i gesti che richiedono l'intervento
della madre (toccandola, cercando di raggiungerla, sporgendosi, ecc.), i gesti di autoconforto
(mettere in bocca/toccare una parte del corpo, ecc.), quelli di distanziamento (voltarsi, agitarsi sul
seggiolino come per scappare) e infine gli indicatori di stress (succhiarsi la lingua, sputacchiare).

Il concetto di responsività
Lo studio della comunicazione emotiva tra il bambino e i suoi partner ha influenzato d'altra parte
anche la definizione del concetto di responsività e, più ampiamente, del parenting. L'utilizzo di
tale concetto, formulato dalla Ainsworth nell'ambito della teoria dell'attaccamento (1978), ha
permesso di evidenziare una correlazione significativa tra la responsività della madre ai bisogni
del bambino nel primo anno di vita e il tipo di attaccamento alla madre da parte del bambino
stesso misurato con la Strange Situation. In seguito il concetto di responsività haprivilegiato gli
aspetti comportamentali, di risposta cioè pronta e adeguata ai bisogni espressi dal bambino,
piuttosto che quelli comunicativi ed emozionali. Recentemente il concetto di responsività ha
subito significative trasformazioni, in relazione alla riformulazione rappresentazionale della teoria
dell'attaccamento, ricollegandosi all'originaria elaborazione della Ainsworth. Esemplare a questo
riguardo è il lavorodi Haft e Slade (1999), che, considerando la responsività come capacità della
madre di condividere gli affetti positivi e negativi del proprio bambino, ha evidenziato l'esistenza di
una correlazione specifica tra i Modelli Operativi Interni della madre circa l'attaccamento, indagati
attraverso l'Adult Attachment Interview, e la sua capacità di sintonizzarsi con il figlio, ipotizzando
la capacità di sintonizzazione del genitore come un mediatore privilegiato nella trasmissione dei
modelli di attaccamento. Le madri classificate sicure attraverso l'AAI secondo questo studio sono
capaci di rispondere in modo sintonizzato ai diversi stati emotivi, positivi e negativi, espressi dal
proprio bambino durante le sessioni di gioco libero previste dalla ricerca. Le madri distanzianti, si
rilevano incapaci di sintonizzarsi con le emozioni negative manifestate dai figli, non accogliendo
in particolare le loro richieste di prossimità e consolazione, operando invece sintonizzazioni
selettive in relazione alle esperienze positive di padronanza vissute dal bambino. Al contrario le
madri preoccupate si dimostrano parzialmente in grado di rispondere alle richieste di
consolazione e prossimità dei loro figli, ma incapaci invece di rispecchiare quelle legate alla loro
padronanza e autonomia. Nella direzione di studiare gli aspetti disfunzionali della responsività
materna si muove, nel quadro della teoria dell'attaccamento, la Crittenden (1994), identificando
tali aspetti nelle componenti di controllo/intrusività e di non responsività/trascuratezza insiti nelle
cure materne rivolte ai figli, attraverso le modalità di comunicazione, valutando il contatto
corporeo, la mimica del volto, il ritmo del dialogo, l'espressione delle emozioni, oltre che a quelle
più specificatamente comportamentali, quali il coinvolgimento in attività, la proposta di attività,
ecc. La responsività acquista qualità relazionali che caratterizzano la reciproca attività
comunicativa espressa dalla diade madre-bambino. Altri fattori significativi nel determinare la
responsività della madre sono quelli contestuali, tra i quali spicca il grado di coinvolgimento del
padre nella relazione con la madre. Lo scarso coinvolgimento del padre sembra determinare,
infatti, un aumento degli scambi affettivi negativi tra madre e bambino, provocando, se ciò si
verifica in un periodo precoce dello sviluppo infantile, modificazioni nei pattern di attaccamento.
Tra i fattori influenti vi sono anche il contesto sociale e familiare, dove assumono particolare
rilievo le reti di supporto a disposizione della coppia madre-bambino (nonni, asili, servizi sociali,
ecc.). Tali reti esercitano un ruolo significativo sopratutto nelle madri a rischio, o per problemi
sociopsicologici, o perché appartenenti alle classi inferiori, incidendo profondamente sulle loro

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competenze parentali e di comunicazione affettiva.

Conclusioni
La comunicazione affettiva appare dunque un fattore chiave per la trasmissione delle prime
modalità relazionali e di attaccamento tra genitore e figlio come ci segnala lo stesso Bowlby
(1988). La capacità di riconoscere le proprie emozioni, che il bambino è, secondo l'autore,
fondamentale per l'istituzione di un'adeguata "comunicazione intrapsichica"con i propri affetti.
Tale capacità appare profondamente influenzata dal tipo di "accessibilità"emotiva che egli ha
potuto sperimentare nei confronti delle proprie figure di attaccamento nel corso della sua storia
infantile. L'impossibilità di accedere alla madre e alla sua disponibilità emotiva, può invece
contribuire ad attivare nel bambino comportamenti di tipo difensivo che si esprimono
primariamente a livello interazionale, come segnalava già Spitz (1962), osservando che i primi
meccanismi di difesa del bambino hanno origine nell'ambito della sua relazione con la madre,
determinando la struttura del suo carattere individuale. Dunque i pattern di attaccamento insicuro
sono considerabili delle strategie difensive adottate dal bambino nei confronti della inaccessibilità
emotiva della madre, comportando un'alterazione dei suoi stati attentivi, emozionali e
rappresentazionali circa le relazioni di attaccamento. Cassidy (1999) articola queste tesi,
concependo i pattern di attaccamento come specifici stili di comunicazione e regolazione emotiva
che il bambino costruisce in relazione alle figure di attaccamento, adattandosi alla disponibilità
emotiva dimostrata da queste ultime. In questa prospettiva l'attaccamento sicuro corrisponde alla
capacità del bambino di comunicare apertamente ogni emozione, positiva e negativa, a un
caregiver percepito come emotivamente disponibile, mentre gli altri tipi di attaccamento implicano
una restrizione di tale capacità. L'attaccamento insicuro evitante sembra, infatti, comportare una
rilevante riduzione dell'espressione delle emozioni che il bambino rivolge al genitore, sia positive
che negative, con la finalità di prevenire ulteriori rifiuti da parte di un caregiver sperimentato come
non responsivo. D'altra parte l'attaccamento insicuro ambivalente appare invece enfatizzare nel
bambino l'espressione di emozioni soprattutto di segno negativo, finalizzate a mobilitare
l'attenzione del caregiver emotivamente indisponibile. Un discorso più complesso riguarda
l'attaccamento disorganizzato, in cui sono presenti comportamenti contraddittori, stereotipie,
movimenti asimmetrici, congelamento o immobilità nella riunione col caregiver. In questi casi
l'espressione comportamentale assolutamente priva di uno scopo osservabile, di una motivazione
intenzionale o della possibilità di realizzare un comportamento finalizzato, rappresenta una rottura
delle strategie organizzate per affrontare lo stress e regolare lo stato emotivo (Main, Hesse,
1990,1992).Le conseguenze a lungo termine di una rottura della strategia di regolazione affettiva,
come quella presente nell'attaccamento disorganizzato, sembrano essere una difficile gestione
dello stress e delle emozioni negative, attestate dalla presenza perdurante di elevati livelli di
cortisolo nella saliva e dall'aumento della frequenza dei battiti cardiaci ben oltre il tempo di
esposizione allo stress (van Ijzendoorn, Schuengel, Balermans-Kranenburg, 1999).

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