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In C. Bianchi, V. Vassallo ( cura di) Filosofia della comunicazione, Laterza, 2006, pp. 17-41.

Eva Picardi Semantica: afferrare pensieri

Al 363 delle Ricerche filosofiche Wittgenstein scrive: Ma come si fa, in generale, a comunicare qualcosa? Quando, diciamo che qualcosa viene comunicato? Qual il gioco linguistico del comunicare? Vorrei dire: tu consideri fin troppo ovvio che si possa comunicare qualcosa a qualcuno. Vale a dire: Siamo cos abituati alla comunicazione fatta parlando, conversando, che tutto il succo della comunicazione ci sembra consistere nel fatto che unaltra persona afferri il senso delle mie parole un che di mentale che lo accolga, per cos dire, nella sua mente. Se poi se ne faccia qualcosa, questo non rientra nello scopo immediato del linguaggio. Si vorrebbe dire: la comunicazione fa s che egli sappia che io provo dolore; essa provoca un fenomeno mentale; tutto il resto inessenziale alla comunicazione.

Con questa osservazione Wittgenstein non vuole negare un dato ovvio della nostra esperienza ordinaria, nellintento, poniamo, di metterci in guardia dai fraintendimenti pi grotteschi e dalle interpretazioni pi improbabili in cui le nostre parole possono incappare, o per segnalare le difficolt insite nel comunicare allaltro contenuti che sembrano afferrabili pienamente solo da colui che li intrattiene (Solo io so quello che provo), oppure lerrore consistente nel trattare come unosservazione empirica una frase volta a rammentare certe applicazioni di una parola (ad esempio quella dellaggettivo privato nella frase Le sensazioni sono private). Quel che Wittgenstein intende dire che n le ragioni n tanto meno le cause dellovvio sono ovvie: proprio quel che ci sta costantemente sotto gli occhi che non riusciamo a collocare nella giusta luce. Questa ignoranza non interferisce con luso che quotidianamente facciamo della nostra lingua materna, litaliano nel nostro caso, ma fonte di grandi perplessit filosofiche. Fortunatamente, ed lo stesso Wittgenstein a ricordarcelo, usare una parola o una frase senza giustificazione non significa usarla a sproposito (Ricerche filosofiche, ). Conoscere non equivale in ogni caso a essere in grado di dare giustificazioni o ragioni. Eppure la conoscenza del linguaggio non una
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fatto bruto della nostra storia naturale, come laver sviluppato arti particolarmente versatili che ci consentono di far fronte ad innumerevoli compiti. E dunque, da filosofi, qualcosa sulla nostra conoscenza (o mancanza di conoscenza) del significato e del linguaggio in generale dovremmo poterla dire. Ad esempio: di che tipo di conoscenza si tratta? Conoscenza teorica, conoscenza pratica, un misto delle due, nessuna delle due? Qualcuno (il nostro alter ego riflessivo) potrebbe chiedere: ma come fai a sapere che conosci il significato di una parola? che cosa esattamente ritieni di conoscere? E che ragioni hai per ritenere che laltro ti capir come vorresti visto che tu stesso confessi di non saper dare ragioni delle conoscenze linguistiche che ritieni di avere? E del resto come fai a sapere che gli altri danno alle parole lo stesso significato che tu attribuisci loro? Certo, non facciamo altro che chiacchierare, tutto scorre liscio, la gente si capisce, si dichiara daccordo, converge nei giudizi e non solo nelle definizioni ma forse non c nulla che propriamente sa. La spiegazione della convergenza assai semplice: siamo tutti costruiti (programmati) allo stesso modo, abbiamo unarchitettura neurale assai simile, anche se ancora ignota: tutti parliamo e pensiamo allo stesso modo, cos come respiriamo, digeriamo e copuliamo pi o meno allo stesso modo. Strano che a una risposta cos semplice non avessimo pensato prima. Ma siamo sicuri di non aver sostituito un problema con una promessa? (Prima o poi la scienza ci dir come riparare il gene dellaltruismo prima che si estingua, speriamo)? Alla semantica naturalizzata dedicato la sezione 1 di questo capitolo. Abbiamo di fronte a noi unimpressionante numero di quesiti, uno pi difficile dellaltro. La prima cosa da fare, secondo Wittgenstein, mostrare linfondatezza di una concezione del significato che genera tutti questi quesiti, non per sostituire ad essa una concezione dogmatica, ma per avere una migliore veduta dinsieme del funzionamento del linguaggio. Ma i filosofi del linguaggio, a ragione, io credo, non hanno seguito questa ingiunzione, ma hanno cercato di individuare alcune nozioni basilari che in modo possibilmente non circolare ci permettono di far luce sul fenomeno dellafferrare e comunicare pensieri. Lidea di fondo che si possa far luce sui pensieri studiando il linguaggio che il loro veicolo per eccellenza: le teorie semantiche si ripropongono di specificare come fatto il contenuto espresso dagli enunciati prodotti nellesecuzione di un atto linguistico. La teoria degli atti linguistici di Austin e Searle e lanalisi della conversazione di Paul Grice possono essere viste come proposte per analizzare latto di dire (asserire, informare, descrivere, ecc.) mentre la semantica si occupa dellanalisi del contenuto espresso e, se tutto va bene, comunicato usando un enunciato che ha determinate caratteristiche sintattiche e semantiche. Ma che coss che esattamente conosciamo quando afferriamo il contenuto di ci che gli altri ci dicono usando le parole della nostra lingua madre? Probabilmente afferriamo il contenuto del pensiero che laltro vuol comunicarci anche perch capiamo il significato delle parole che usa per esprimere il suo pensiero. In qualche modo afferrare il pensiero espresso da un enunciato dellitaliano legato a (anche se non esaurito da) la conoscenza del significato
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che le parole hanno nella lingua italiana. Alla discussione di questo tema dedicata la sezione 2, in cui illustreremo le principali concezione della comprensione del significato e verr ripreso nella sezione 5 in cui discuteremmo lidea di composizionalit dei significati. E proprio questo che ti volevo sentir dire - il nostro alter ego riflessivo, incalza: ma perch mai dovremmo credere che quando le persone ascoltano le parole di una lingua afferrano lo stesso significato? Le parole sono le stesse (o quasi, visto che i pattern sonori sono tutti leggermente diversi lunono dallaltro) , ma forse ciascuno capisce il significato a suo modo (ha una comprensione idiolettale del significato) , senza che ci impedisca che comunichi efficacemente con altri, muniti anchessi del loro proprio idioletto. Ma, se tutto ci che conta lidioletto, non fuorviante pensare alla lingua italiana come a un immenso cantiere di possibilit di costruzione di significati pubblici e intersoggettivamente condivisibili? Se esistono solo gli idioletti, lopposizione fra idioletto e lingua comune perde mordente: una conoscenza parziale o idiosincratica solo rispetto ad una che tale non . Il modo pi pacato di porre la questione dire che vi sono credenze idiosincratiche (perch parziali, incomplete, erronee) sul significato che colorano la comprensione che ciascuno ha del significato pubblico e intersoggettivamente condivisibile del significato delle parole (cf. Dummett 1991). La lingua comune ha la priorit esplicativa sullidioletto dei singolo parlanti: il riconoscimento del carattere sociale del significato sembra dettare, come vedremo sotto, questa priorit esplicativa. Non il singolo utente che crea la lingua italiana, che depositata, ad esempio, nellenorme quantit di testi scritti in italiano (dalla Divina Commedia al Codice di procedura penale), anche se la lingua ricevuta dalla tradizione culturale vive e si trasforma grazie agli atti di parola prodotti dai tutti i suoi utenti presenti. Alla discussione dellintreccio fra idioletto e lingua comune dedicata parte della sezione 3 e 4, dove affronteremo il problema della normativit e le nozioni di regola e convenzione. Ma il nostro alter ego potrebbe dichiararsi insoddisfatto e avanzare lipotesi che forse nel parlare impersoniamo costantemente la parte di coloro che leggono i notiziari senza avere la pi pallida idea dei fatti che riportano e delle conoscenze che presuppongono, per non parlare delle conseguenze teoriche e pratiche cui queste conoscenze comportano. Poich non c ragione di supporre che coloro che ascoltano il notiziario siano in una posizione molto diversa da chi lo legge, a che pro tutto questa complicato cerimoniale? Serve solo a rassicuraci e a rinsaldare il senso di appartenenza sociale? Eppure qualcuno, allorigine (che sempre inventata) avr pur pensato i contenuti espressi dagli enunciati del notiziario, altri avranno fatto indagini ed osservazioni per accertarne la verit o la probabilit, vagliandone levidenza, collegandoli ad altre informazioni e congetture, avranno tratto conseguenze e considerato se sono compatibili con altre cose che sappiamo ecc. E possibile che solo
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un gruppo di esperti pensi davvero i contenuti e tutti gli altri pensino per procura, deferenti verso la superiore autorit di costoro nel fissare il significato e il riferimento delle parole? Questo tema verr svolto nella sezione 5 in cui ci occuperemo del tema della divisione del lavoro linguistico e della nuova teoria del riferimento, collegandoli ai temi dellesternismo in filosofia della mente. Lindottrinamento e il lavaggio del cervello sono fenomeni tristemente noti. In quanto fortunati membri della civilt dei consumi fondata sul motto Produci, consuma, crepa (e inoltre: distruggi risorse, annienta specie viventi animali e vegetali, affama chi sta molto peggio di te, ma connettiti ai tuoi simili nel villaggio globale, finalmente sono cadute le barriere - e anche tante altre cose comprese teste, torri, bombe, scorie radioattive, piogge acid, ecc. ecc. ) siamo costantemente sottoposti a un indottrinamento democratico (c la concorrenza, il mercato in movimento), che abbiamo finito per accettare ciecamente , ed diventato anchesso ovvio. E del resto non detto che lasciati a noi stessi sapremmo far meglio. Dunque tant rassegnarsi ad essere eterodiretti. E possibile che ci che avviene al livello di comportamento sociale si replichi tale e quale al livello delluso del linguaggio? Alla risposta a questa domanda non dedicata alcuna sezione di questo capitolo. Labbiamo sollevata per rammentare al lettore che la riflessione sul linguaggio non pu essere divorziata dalla responsabilit che come agenti razionali e come attori sociali abbiamo verso la straordinaria risorsa di cui fruiamo: il linguaggio in generale e la nostra lingua materna in particolare.

2. Semantica naturalizzata Posto dunque che, in un senso da precisare, la comunicazione un dato, la domanda filosofica : che cosa la rende possibile?Lindagine sulle condizioni di possibilit di un fenomeno sempre in bilico fra la riflessione sulle condizioni empiriche che rendono possibile il verificarsi del fenomeno (la configurazione del cervello umano, il patrimonio genetico, la storia evolutiva dellHomo sapiens, la tradizione culturale, le condizioni sociologiche in cui il fenomeno situato) e quella di sapore trascendentale circa quel che concettualmente costitutivo di un fenomeno, nel senso che una spiegazione (comprese quelle scientifiche) che non rendesse conto di certi aspetti costitutivi non sarebbe una spiegazione descrittivamente adeguata. Indichiamo come concezioni naturalistiche della semantica tutte quelle concezioni che, a diverso titolo (cf. Picardi 2001 ) ritengono che lunica risposta importante alla domanda circa le condizioni di possibilit sia una risposta nellambito delle scienze naturali, e quindi in ultima istanza in termini di cause. Le posizioni non naturalistiche non negano linteresse di una simile indagine, ma ritengono che ci molti ostacoli da
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superare e che il senso del programma di ricerca forse non del tutto trasparente. E ad ogni modo, per ragioni che vedremo questa concezione del linguaggio quale oggetto naturale (Chomsky 1993) non ci esime affatto dalla ricerca del genere di ragioni che potremmo offrire per giustificare il nostro convincimento che, in un senso importante da chiarire, la pratica di usare una lingua comporta la consapevolezza conscia di ci che diciamo e delle ragioni per cui lo diciamo. Le nozioni che pi resistono alla naturalizzazione sono quelle che incontriamo in logica e in semantica. Una ragione generale per questa refrattariet alla naturalizzazione che in semantica si fa uso di nozione come giusto/sbagliato, vero/falso che contendo un ingrediente normativo che non rientra nel vocabolario delle scienze, che si occupano di come si svolgono i fenomeni e non di come si dovrebbero svolgere in vista del conseguimento di certi fini i mezzi a disposizione. In termine molto generali: possibile impiegare un vocabolario intenzionale (attribuire scopi dire la verit - sulla base di credenze e desideri) senza introdurre considerazioni normative? Per considerazioni normative intendiamo qui il fatto che nozioni come giusto e sbagliato, vero e falso, adeguato inadeguato, entrano di continuo nella descrizione delluso linguistico. Ma di che cosa si occupa la semantica? A volte distinzione fra semantica e pragmatica viene formulata cos: la semantica si occupa della proposizione (pensiero) espressa o esprimibile dallenunciato di una lingua, mentre la pragmatica si occupa delle proposizioni comunicate in un particolare episodio di uso di un enunciato, dove entrano in gioco le attese e conoscenze mutue di parlante e ascoltatore. Questa suddivisione basata a sua volta sul presupposto che in un contesto dato un enunciato esprime un pensiero (proposizione) soltanto, mentre presuppone, implica convenzionalmente o conversazionalmente, intima pi proposizioni che hanno un contenuto pi o meno articolato. Un quadro ad esempio pu far venire in mente molte cose ma non ne dice in senso stretto nessuna. Una frase come Bush stato rieletto Presidente degli Stati Uniti dice una cosa sola, Questa concezione ha le sue radici nelle concezioni di Frege e di Grice, che pur partendo da presupposti assai diversi (Frege il fondatore della logica e dalla semantica contemporanee, Paul Grice , insieme a J. L. Austin, sono i fondatori della pragmatica contemporanea) sono accomunati da un quesito, e cio stabilire che cosa esattamente un enunciato dice, in quanto distinto da ci che presuppone, che intima o che suggerisce. La nozione di contenuto cui Frege era interessato una nozione utile non solo per gli scopi della logica, ossia per studiare il rapporto fra premesse e conclusione in unargomentazione valida (che preservi la verit nel passaggio dalle prime alla seconda) ma anche della semantica. Frege voleva infatti individuare quegli aspetti del significato complessivo delle parole che ricorrono in un enunciato rilevanti al fine della verit (ci che egli chiamava il valore di verit. In queste pagine adotter la caratterizzazione data da Frege (1892) seconda la quale un pensiero il senso di un enunciato dichiarativo prodotto con lintento di fare unasserzione, ma la estender anche al caso di altri atti linguistici come il dare ordini, limpartire istruzioni, il fare domande. Lasserzione forse latto linguistico pi
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importante per illustrare il contenuto e la struttura dei pensieri esprimibili e comunicabili anche nellesecuzione di altri atti linguistici poich solo nel contesto di un enunciato che le parole singole dire svolgono un ruolo semantico. In senso assai generale, la semantica ha a che fare col rapporto che intercorre fra gli enunciati semplici e complessi producibili in una lingua e le circostanze extralinguistiche su cui essi vertono. Ovviamente, non tutti i pensieri sono capaci o bisognosi di una formulazione linguistica e forse non tutti gli enunciati esprimono pensieri: molto dipende da come caratterizziamo un pensiero Il modello che per primo viene alla mente per spiegare come fa un contenuto a passare da una mente di A quella di B quello codifica e decodifica di un messaggio grazie al possesso di un codice comune a entrambi. Questo modello non solo non applicabile alle lingue naturali (naturali in quanto distinte dai linguaggio formalizzati (vale a dire artificiali, nel senso di costruiti a tavolino e dotati base a regole di formazione e trasformazione esplicite e convenute, che incontriamo in matematica e in logica), ma contribuisce a dare unimmagine sbagliata sia della conoscenza del linguaggio da parte dei parlanti sia di ci che essi sanno quando sanno impiegare una lingua per fare tutte le cose complicatissime che siamo abituati a fare con essa. Naturalmente, una volta in possesso di una lingua possiamo costruire codici e istituire convenzioni circa le loro modalit di applicazione, ma la padronanza di una lingua e, in particolare, la capacit di esprimere contenuti e di comunicarli non spiegata dallimmagine del codice, che infatti tace sulla cosa pi importante: come si costituisce il contenuto che passa dalla testa di A a quella di B attraverso il misterioso processo della comunicazione verbale? Questo punto di decisiva importanza per la trattazione che seguir: infatti, quello che si pu obiettare ai progetti di naturalizzazione della semantica e dellintenzionalit di cui diremo fra poco di dare per presupposta una nozione di contenuto, di ci che un enunciato dice, che invece proprio quello che vorremmo spiegare. Quando studiamo larchitettura dei contenuti esprimibili in una lingua dal punto di vista della comunicazione ci interessano aspetti pi specifici, che hanno a che vedere sia con il modo in cui linformazione desumibile dalle circostanze in cui le frasi sono prodotte interagisce con il significato linguistico in senso stretto, sia con il modo in cui chi ascolta riesce (spesso assai bene) a cogliere ci che il parlante vuol comunicare oltre e al di l del significato letterale delle parole che impiega in una certa circostanza. Capiamo senza grandi difficolt metafore e altri usi figurati del linguaggio, correggiamo quasi automaticamente lapsus, papere, malapropismi, siamo in grado di cogliere (e risolvere) ambiguit sintattiche e lessicali, a supplire linformazione circostanziale necessaria per capire frasi che contengono pronomi dimostrativi ed espressioni deittiche esplicite e implicite. Insomma, siamo in grado di fare una quantit di cose che non rientrano nel modello del linguaggio come codice. Ma un naturalizzatore la Fodor o la Chmsky direbbe che non c proprio niente da spiegare: capiamo le frasi di una lingua traducendole nel linguaggio del pensiero,
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fatto di rappresentazioni e computazioni. Questo linguaggio innato ed alloggiato in qualche modo che non capiamo ancora nel cervello, un po come, secondo Noam Chomsky, vi alloggiato il componente fonologico e quello morfo-sintattico. Noam Chomsky, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, e altri linguisti e filosofi ha sostenuto che la facolt del linguaggio stessa ad essere innata, ossia le strutture della sintassi e un certo numero di universali linguistici. Il linguaggio in questa prospettiva si trova nel cervello come un organo nel corpo: esso non viene appreso, ma acquisito mediante lesposizione nei primissimi anni di vita ad altri utenti della lingua. La plasticit del cervello, cio capacit di apprendere o di acquisire una lingua, altissima fino ai 10-12 anni e diminuisce successivamente: interessante speculare sulla ragione per cui levoluzione biologica ponga questi limiti di tempo relativamente brevi alla possibilit di apprendere. Nellambito della filosofia della mente Jerry Fodor ha avanzato la tesi che vi sia un linguaggio del pensiero (alloggiato presumibilmente nel cervello) , costituito di rappresentazioni sintattiche e computazioni, e dotato di alcune importanti propriet, come la composizionalit, latomicit e la sistematicit. Da questo punto di vista la semantica pi propriamente caratterizzata come psico-semantica. Sono stati ed eventi mentali ad avere propriet sintattiche e semantiche: le lingue naturali godono di queste propriet derivativamente. Il realismo intenzionale di cui diremo qualcosa pi avanti la tesi avanzata da Fodor per spiegare in che modo certe stringhe del linguaggio del pensiero vengono dotate di propriet semantiche, come il vertere su (aboutness) enti del mondo esterno e la potenzialit dellessere vere o false. Secondo Chomsky (1995) dunque distinguere gli I-languages (o linguaggi interni) che servono per pensare da quelli esterni (E-languages) che servono per comunicare, lo studio del cui funzionamento va delegato alla pragmatica. Ci che interessa i linguisti e i filosofi della mente la competenza (sintattica, lessicale, fonologica) codificata nei linguaggi interni; lesecuzione, ossia lattivazione effettiva della competenza riveste un interesse secondario. Non sorprende che nel programma chomskiano la semantica, intesa come lo studio dei dispositivi che permettono al linguaggio di vertere sul mondo, ha una parte assai modesta. Il lavoro di Pustojevski ( ) dedicato alla semantica lessicale e quello di Jackendoff ( ) dedicato allarchitettura concettuale non hanno ufficialmente a che fare con la semantica referenziale, ma con lo studio della competenza semantica caratterizzata come lo studio delle relazioni che frasi e parole intrattengono fra di loro, come, ad esempio, lessere sinonimi (ad esempio maiale, porco ), antonomi (bello/brutto, grasso/magro), iponimi (gatto/ felino, limoni/agrumi) capaci di intrattenere relazioni logiche di implicazione, equivalenza e via discorrendo. Detto in termini assai rozzi: la semantica referenziale indaga in che modo, attraverso quale meccanismo, la parola gatto si rapporta ai gatti in carne e ossa allinterno dellinfinito insieme di enunciati, semplici e complessi, in cui pu ricorrere in posizione di soggetto e di predicato, come ad esempio, Il gatto sullo zerbino, il cane nella sua cuccia , In questo giardino ci sono pi gatti che cani, Questo il mio gatto (pronunciati in situazioni contestualmente specificate), oppure I gatti sono felini, I gatti sono animali
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domestici che non abbisognano di un particolare contesto; la semantica lessicale cerca illustrare in che modo litaliano, poniamo, lessicalizza il concetto di gatto, che genere di conoscenze occorre possedere (al livello di competenza astratta) affinch si possa dire di una persona che padroneggia la parola e se e come sono strutturate. Ovviamente non tutti i concetti sono lessicalizzati in tutte le lingue: ad esempio, l inglese non ha il duale, pur se tracce di questa distinzione si trovano nella distinzione fra among (fra molti) e between (fra due), cos come litaliano non ha tutti i nomi per descrivere e/o nominare la neve di cui dispongono gli Intuit. Quale che sia il successo di questo programma di ricerca, ovvio che esso lascia aperte molte questioni. Ad esempio, Fodor debitore di una spiegazione di come faccia una stringa di simboli del linguaggio del pensiero a vertere proprio su ci cui verte, e a farlo dando luogo talvolta a pensieri veri e talaltra a pensieri falsi. I processi neuronali che hanno luogo nel cervello si svolgono al livello subpersonale e non sono accessibili alla coscienza, e quindi occorre una spiegazione per capire in che modo la conoscenza conscia che abbiamo del significato delle frasi di una lingua sia connessa (posto che lo sia) alla conoscenza inconscia (cognizione) del linguaggio del pensiero. I parlanti di una lingua non solo in molti casi hanno unidea passabilmente precisa di quello che dicono, ma sono anche al corrente di questo fatto e nel comunicare con altri utenti del linguaggio sfruttano questa conoscenza mutua che presumono che anche gli altri abbiamo sia del contenuto dei propri atteggiamenti proposizionali (atto e contenuto). Non un caso che luso del linguaggio nella comunicazione svolga un ruolo secondario nei progetti di naturalizzazione della semantica e dellintenzionalit. Donald Davidson ha attirato per primo lattenzione su questo fatto cercando di spiegare il fenomeno dellautorit della prima persona nel quadro della propria teoria dellinterpretazione. Una spiegazione che non rendesse conto di tutti i dati riguardanti la nostra comprensione conscia del significato e dellimpiego che ne facciamo per fare ipotesi sui sistemi di computazioni e rappresentazioni (il linguaggio del pensiero) per principio inaccessibili a coloro che li hanno, non risponde alle domande che come filosofi ci poniamo sul linguaggio e sul significato. Non rende conto dellimpiego del linguaggio nella comunicazione che unattivata eminentemente razionale, in un senso da specificare. In particolare, quella parte della teoria del significato che si occupa di semantica deve fornirci una spiegazione della costituzione del contenuto di un enunciato (il pensiero espresso) che esibisca il rapporto fra contenuto dellenunciato e luso che ne facciamo nella condotta raziocinativa e pratica. Ma la semantica naturalizzata non trova ispirazione dalle scienze cognitive, ma anche dalla biologia e dalletologia. Ad esempio, ci si pu chiedere che cosa fa s che uno scimpanz producendo un particolare grido attiri lattenzione dei piccoli del branco su un predatore in agguato. Sarebbe descrittivamente adeguato e predittivamente utile descrivere ci che fa lo scimpanz nei termini seguenti: lo scimpanz adulto produce un
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grido dallarme con lintenzione di segnalare ai piccoli un pericolo incombente, cos come gli umani producono una frase della lingua con lintenzione di evocare nellascoltatore un certo comportamento. Poich la forma di vita degli scimpanz ha molti tratti in comune con la nostra (comportamenti gregari, gerarchie sociali in vigore nel branco, capacit embrionale di forgiare strumenti, formazione di bande di maschi adulti al fine di eliminare altri individui della specie), descrivere il loro comportamento comunicativo in termini intenzionali ci sembra del tutto legittimo e lanalogia con la comunicazione verbale degli umani ci appare stringente. Ma lo davvero? La risposta negativa Se oltre alla nozione di credenza e desiderio, impieghiamo anche la nozione di conoscenza mutua vediamo che le cose cambiano radicalmente. Sarebbe ingiustificato, infatti, applicare agli scimpanz una descrizione come la seguente: con quel particolare grido lo scimpanz adulto intende avvertire i piccoli della presenza di un predatore nelle vicinanze poich ritiene che (a) siano in grado di udire quel particolare grido come un segnale di pericolo e (b) abbiano nel loro repertorio una serie di azioni idonee per tentare di farvi fronte (ad esempio, il nascondendosi o lallontanandosi dalla sorgente probabile del pericolo); lo scimpanz adulto si attende inoltre che i piccoli producano risposta desiderata anche perch capiscono che quella era lintenzione delladulto nel produrre il segnale. Neppure gli scimpanz pi addestrati possiedono o potrebbero acquisire i concetti necessari per afferrare una siffatta spiegazione teorica del loro comportamento - obiezione che potrebbe non essere decisiva - , ma la spiegazione offerta palesemente non si adatta al comportamento degli scimpanz. Lo scimpanz adulto produce il grido dallarme indipendentemente dalle ipotesi o dalle attese sull o stato mentale dei piccoli (indipendentemente cio dal fatto che , ad esempio, noti che i piccoli sono distratti o che c un ostacolo che preclude loro la vista del predatore, mentre tace se si accorge che il pericolo percettivamente evidente anche per loro), e i piccoli reagiscono indipendentemente dal riconoscimento dellintenzione delladulto di evocare in loro una simile reazione. Un genitore umano nellattraversare la strada non mette in guardia il bambino per ogni veicolo che si profila allorizzonte, ma solo o comunque prevalentemente per quelli che ritiene che il bambino non sia in grado di scorgere da solo. Naturalmente neppure fra gli animali umani il rapporto fra adulti e bambini comportano una conoscenza mutua simmetrica: la parola Micio prodotta da un bambino piccolo in presenza del gatto di casa, spinto dalle sollecitazioni degli adulti che ripetono la parola indicando il gatto, pu servire ad informare gli adulti che il gatto si trova nella stanza del bambino, mentre la stessa parola prodotta dalladulto quando il gatto in cucina non serve a informare il bambino della collocazione del gatto. Il bambino non ha ancora imparato il gioco linguistico del comunicare informazioni poich non sa ancora usare la testimonianza degli adulti per ampliare le proprie conoscenze. Quello che egli deve apprendere lo scopo specifico che pu conseguire con le sue parole nellinformare laltro: ad esempio, agire sulle sue credenze ed eventualmente sulle sue azioni modificandole ed inducendo nuove aspettative. In che modo ci avvenga quello che vogliamo studiare.
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Se di comunicazione vogliamo parlare e non vedo perch non dovremmo usare questa parola deve essere per chiaro che essa differisce in modo decisivo dal genere di comunicazione che avviene fra due esseri umani che conoscono sia il contenuto di quel che dicono e sono consci anche, nella stragrande maggioranza dei casi, dei propri atteggiamenti proposizionali rispetto a un certo contenuto. Quando credo che il treno in ritardo, non solo ho piena consapevolezza del contenuto di ci che credo (il treno il ritardo, ma so anche di credere che il treno in ritardo. E so anche che posso attendermi che gli altri siano in possesso di conoscenze su se stessi simili a quelle di cui io dispongo e che guidano la mia condotta razionale e pratica. La comunicazione verbale sfrutta questo immenso giacimento di conoscenze mutue che fanno da sfondo allepisodio specifico di comunicazione e, nel corso dello specifico episodio, sfrutta in modo creativo e imprevedibile tutti gli elementi tratti dal contesto per giungere a una comprensione di ci che linterlocutore intende dire con lenunciato che usa. In breve, la comunicazione comporta un lavoro inferenziale e talvolta di vera e propria interpretazione delle parole prodotte (non nel senso di Davidson), necessario per afferrare i pensieri espressi in un determinata circostanza, che differisce qualitativamente da quel che avviene nella comunicazione animale. Abbiamo fatto ricorso alla proposta formulata da da Grice (1957) per distinguere laccezione naturale da quella non naturale del verbo significare. Secondo Grice la parola significano differisce drammaticamente nelle frase Le macchie significano morbillo e Tre scampanellate significano che lautobus pieno. Significare o voler dire qualcosa che richiede lintenzione di un parlante (agente) di suscitare una risposta nellascoltatore grazie anche al fatto che lascoltatore riconosce lintenzione sottesa al gesto e alle parole e agisce di conseguenza anche, in parte, grazie a questo riconoscimento. Questa distinzione non va confusa con quella tradizionale fra segni convenzionali e segni naturali (v. Cosenza 2001), anche perch ci che a Grice interessa il meccanismo con cui si instaura una relazione convenzionale fra un segno prodotto e un contenuto mentale e non pu darla per presupposta (v. il capitolo 3). In conclusione: la produzione dello specifico segnale dallarme da parte delladulto produce una modifica dellambiente fisico alla quale i piccoli sono in grado di reagire ( o meglio: dalla reazione dei piccolo che classifichiamo il segnale prodotto come un segnale dallarme rispetto a un serpente e non come un richiamo che segnala la presenza di cibo) , ma il meccanismo che sottende la comprensione molto diverso da quello che sia attua quando due utenti di una lingua comunicano fra loro. Ci che innato in noi cos come negli altri animali privi di linguaggio la dotazione di un pattern complesso di similarit, che ci permette di ravvisare somiglianze fonetiche, somiglianze nelle situazioni esperite e somiglianze nelle reazioni altrui (cf. Quine e Davidson ). La produzione del verso da parte delladulto produce una modifica dellambiente fisico alla quale i piccoli sono in grado di reagire, ma il meccanismo che sottende la comprensione molto diverso da quello in atto quando due utenti di una lingua comunicano fra loro. Probabilmente ci che innato negli scimpanz la capacit di
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reagire in modo differenziale a certi stimoli uditivi; analogamente, ci che probabilmente innata negli umani la capacit di distinguere i fonemi caratteristici della lingua che acquisiscono nei primissimi anni di vita se esposti alle stimolazioni appropriate. Una differenza importante che la comunicazione animale vincolata a situazioni percettive salienti, mente noi possiamo parlare di quasi tutto in qualsiasi momento; un'altra differenza importante che il repertorio di segnali a disposizione finito, mentre gli umani dispongono di un sistema che permette loro di formare un numero potenzialmente infinito di enunciati, e, terzo, come abbiamo visto sopra, il attese reciproche e il tessuto di conoscenze mutue che rendono possibile la comunicazione non ha un corrispettivo nel caso degli scimpanz. Per tutte queste ragioni filosofi come Grice, Davidson e Dummett hanno descritto l impiego di una lingua nella comunicazione come unattivit eminentemente razionale, che si basa sulla conoscenza conscia che parlante e ascoltatore hanno dei mezzi espressivi impiegabili (parole, frasi, discorsi) per comunicarsi a vicenda, pensieri, ordini, richieste.

3. Immagini della comprensione del significato

La semantica delle condizioni di verit che ha la sua origine negli scritti di Frege e nel Tractatus di Wittgenstein , e che stata ripresa da Donal Davidson nella teoria dellinterpretazione radicale, ancorata l primo modello, quella che troviamo negli scritti nel Wittgenstein maturo e delle Ricerche filosofiche in generale rappresenta un illustre capostipite del secondo modello. Lobiezione di fondo che nel paragrafo delle Ricerche filosofiche che abbiamo citato muove secondo il modello secondo il cui un enunciato mostra come stanno le cose nel mondo se vero (lidea dellenunciato come un quadro, unimmagine, una descrizione del fatto che lo renderebbe vero) che una concezione del contenuto specificato in questi termini non ci d alcune indicazione su ci in cui consiste usare un simile contenuto per rispondere a domande come: in che modo il contenuto contribuisce alla mia immagine del mondo? In che consiste agire in base a questo contenuto? A quali conseguenze la sua accettazione mi impegna e quali credenze devo rivedere ? in che condizioni epistemiche legittimo asserire un simile contenuto? Quali sono le prove a suo favore? Qual la cosa giusta che mi attendo che il mio interlocutore faccia in risposta a ci che ho detto? La critica principale che Wittgenstein muove a questa concezione (a) di essere parziale, cio di non cogliere tutta la variet di usi cui possiamo adibire le parole e (b) di darci unimmagine del contenuto degli enunciati che non spiega in che modo esso contribuisce alluso che ne facciamo nella nostra condotta raziocinativa e pratica. Una volta che abbiamo divorziato il significato delle parole dalluso che ne facciamo inevitabile che sorgano una serie di dubbi e di rovelli: se il significato di una parola limmagine mentale evocata dal suono della parola o loggetto designato da essa in che
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modo la conoscenza dellimmagine o delloggetto potr guidarci nelle applicazioni della parola in innumerevoli enunciati e giochi linguistici in cui essa pu ricorrere? Non sarebbe pi proficuo (ma anche pi arduo, teoreticamente) dire che il significato va ricavato dalluso che facciamo della parola, che la conoscenza del linguaggio assomiglia pi a un sapere come fare qualcosa (saper suonar il piano) che non a un sapere che (sapere quant alto il Monte Bianco o che luniverso in espansione e le prospettive non sono rosee in ogni caso: se lespansione cessa c un implosione, se accelera, come sembra, diventeremo sempre pi soli e freddi). Una volta compiuta questa mossa, non abbiamo certo risolto tutti i problemi: infatti non solo la conoscenza del linguaggio non riducibile a unabilit pratica, ma la questione del modo in cui significato di una parola concepito in guisa rappresentazionale possa rendere conto delluso, si traduce meccanicamente nella domanda: in che modo, il significato di una parola, appreso mediante un campione significativo del suo impiego e con lausilio di spiegazioni, illustrazioni e paragoni, determina degli usi che faremo della parola in situazioni nuove? Forse ci stiamo facendo trarre in inganno dalla parola determina. La conoscenza del significato inclina ma non determina si potrebbe dire parafrasando Leibniz. Acquisiamo una tecnica duso e una disposizione che per non basta a dirimere tutte le applicazioni che possiamo fare di una parola: a volte ricorriamo a convenzioni arbitrarie per dirimere i casi controversi (un po come fanno i matematici alle prese con la divisione per zero), a volte semplicemente la risposta giusta non c. Noi non labbiamo n come singoli n come comunit: perch mai dovrebbe averla il significato inteso o come immagine evocata dal suono della parola o come oggetto per cui la parola sta? Eppure correggiamo gli altri, diciamo che non fanno la cosa giusta se applicano una parola in un modo difforme cosa giusta da fare pensare fin dallinizio il contenuto (il pensiero) come gi predisposto per luso: pensare non significa (solo) estrarre informazione dallambiente circostanze al livello concettuale e non concettuale ma comporta la capacit di usare questa informazione nel pensiero e nella condotta, ad esempio trarre inferenze di carattere materiale, logico e lessicale (cf. Brandom 2001 e Marconi ) ed agire in conformit ad esse. Quando sottoscriviamo il pensiero che sono le otto e sappiamo che il treno parte alle otto e dieci e abbiamo il desiderio di prenderlo perch vogliamo essere in un certo posto per un importante incontro sentimentale, ci sono varie cose che possiamo fare: accelerare il passo sperando che il treno sia in ritardo, prendere un taxi per evitare rischi, telefonare per avvertire che siamo in ritardo. Insomma, facciamo interagire desideri e credenze al fine di ottenere il migliore risultato pratico ottenibile in quelle circostanze Linformazione deve essere accessibile in maniera rapida ed efficiente e dunque deve essere impartita in un certo modo: alla comprensione di ci che ci viene detto portiamo la nostra competenza di agenti razionali e le competenza pragmatica di come funzione la comunicazione (v. capitolo 3), oltre che la conoscenza del mondo e del significato. A volte la posizione di Wittgenstein viene esposta dicendo che egli concepisce il significato delle parole come retto da regole, e che tutto il peso delle sue argomentazioni poggia sul carattere normativo della pratica
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del seguire una regola, e, in particolare sulla distinzione fra credere di seguire una regola e seguirla effettivamente: la seconda una tecnica basilare inculcata e appresa in una comunit che funge anche da arbitro ultimo della valutazione di ci che conta come giusta e sbagliato, in accordo con la regola o in contraddizione con essa. Ma molti filosofi hanno criticato questa concezione dicendo sia la nozioni di regola che quella di convenzione non svolgono un ruolo significativo nella spiegazione del significato e della sua comprensione. Laspetto irriducibilmente normativo della comprensione contento determinato dallimpiego di queste nozioni. Se esse sono spurie, c un ostacolo in meno per le concezioni naturalistiche della semantica e dellintenzionalit. Vediamo meglio.

2. Norme, regole e convenzioni Ad esempio, quando diciamo che lo scopo della comunicazione di trasmettere informazioni vere e pertinenti che vertono sul mondo stiamo dicendo che questo quel che possiamo di fatto, descrittivamente, constatare con unindagine sociologica o psicologica? O stiamo dicendo che si tratta di un ideale cui i parlanti aspirano e che informa la loro condotta, anche perch, poniamo generalmente il valore pratico delle proposizioni vere superiore a quello di quelle false. Se cos fosse per descrivere la condotta dei parlanti in modo adeguato (descrittivamente e predittivamente) non basta constatare regolarit, ma dobbiamo concepire queste regolarit come derivanti dallintenzione consapevole dei parlanti di conformarsi ad una convenzione. Questa ad esempio lopinione di David Lewis: egli ritiene che per rendere conto del funzionamento del linguaggio adottato da una popolazione necessario descrivere i parlanti come agenti che aspirano consciamente a conformarsi a una determinata convenzione, anche perch sanno che anche gli altri lo faranno e perch ritengono che il conformarsi sia un modo utile per risolvere problemi di coordinazione. E a questo modello di convenzione che richiede la conoscenza esplicita che le riflessioni di Wittgenstein sono collegabili? Non credo. Non quest a lanalogia cui la distinzione fra calcoli e giochi indirizzata. Un calcolo retto da regole esplicite, una lingua non lo . Potremmo dire che retta da regole implicite? Non sarebbe un gran progresso perch avremmo semplicemente cambiato letichetta del problema. Mentre generalmente impariamo a giocare a scacchi con laiuto di istruzioni esplicite delle regole esplicite sulle mosse dei singoli pezzi e delle strategia da seguire per vincere al gioco, lapprendimento della nostra lingua materna raramente avviene in forma di istruzioni, regole e definizioni esplicite: nessuno ci dice mai a che condizioni la condotta di una persona conta come irresponsabile o quali sono le note caratteristiche che un esemplare deve possedere per contare come mammifero, o color porpora o sdrucciolevole. E nondimeno, prima o poi finiamo per convergere nei giudizi con la maggior parte dei membri adulti della nostra comunit, nel senso che sappiamo in quali circostanze corretto dire che una bella giornata, che il tale prova dolore, che le
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vacanze sono finite, che la pallina rotonda, che Pinocchio si fa imbrogliare dal Gatto e la Volpe, che lossigeno condensabile, che il verde un colore, anche se in molti casi nessuno ci ha insegnato in forma esplicita le regole duso delle parole, come avviene nei calcoli e nei linguaggi artificiali, in modo tale che la spiegazione data fosse in grado di abbracciare tutti i casi possibili di applicazione che possono presentarsi in futuro. Eppure, acquisiamo nel corso del tempo non solo la disposizione a giudicare se un oggetto viscido o se una superficie sdrucciolevole, se unazione crudele o ripugnante, se una persona irata, che un numero primo o pari. In qualche modo apprendiamo le nozioni di giusto e sbagliato, di agire in conformit con una regola (se esplicitamente formulata) e in contrasto con essa. Giudichiamo la condotta altrui e accettiamo le correzioni, non solo per un senso di deferenza allautorit o per spirito di branco (avviene anche questo, naturalmente)costituita ma perch possiamo offrire ragioni per convincere laltro che ha sbagliato nellusare una parola, nel formulare un giudizio e per correggere in noi stessi un errore quando gli altri ce lo segnalano. Insomma, sembrerebbe che senza una comunit di parlanti non esiste n accordo n disaccordo. Dobbiamo dire che tutto ci che appare giusto alla maggior parte delle persone giusto? Che la verit si riduce allaccordo intersoggettivo? Evitare questo problema ricorrendo a una concezione della verit che trascende per principio il nostro riconoscimento sia al livello individuale che di comunit non sembra la mossa giusta. Si pu benissimo convenire che ci sono molte verit che di fatto non conosciamo e non conosceremo mai; cos come occorre riconoscere che una proposizione come La Terra immobile al centro delluniverso non ha cambiato significato pur se un tempo tutti convenivano sulla sua verit mentre oggi tutti sanno che vero il contrario. Analogamente: dai tempi di Aristotele fino a un secolo fa la schiavit era ritenuta una condizione normale: la condotto di coloro che avevano schiavi non era ritenuta riprovevole o eticamente sbagliata. Oggi tutti la pensano (a parole) diversamente. Questo non dovrebbe destare sentimenti di relativismo: semplicemente si tratta di constatare che i nostri standard epistemici ed etici sono passibili di perfezionamento. E insito nel nostro concetto di verit che pu esservi uno scarto fra essere vero ed essere ritenuto vero. Una proposizione pu risultare corretta mente asseribile in un certo stato di informazione e di evidenza, ma risultare falsa alla luce di nuova evidenza. Si tratta di una problematica assai complessa. Donald Davidson uno dei filosofi che pi ha contribuito a illustrare il rapporto fra verit, significato e credenza. Anchegli come Wittgenstein, Dummett e Quine sottolinea il carattere sociale del linguaggio, ma diffida della nozione di regola e di convenzione e preferisce invece ragionare invocando norme di razionalit e di principi ermeneutici come quello di benevolenza che ci permettono di capire laltro. Davidson ha obiettato a Lewis che per descrivere il pattern di razionalit esibito dalluso del linguaggio non occorre che i parlanti condividano regole e significati, stabiliti in anticipo e convenzionali), anche se di fatto questo quel che avviene nella maggior parte dei casi.
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Per per cogliere lessenza del linguaggio il ricorso alla nozione di convenzione e di regola superfluo. Ci di cui lascoltatore deve munirsi di una teoria dellinterpretazione che gli permetta di capire qual la lingua che il parlante usa rivolgendosi proprio a lui. Infatti il parlante cooperativo desidera farsi capire (essere interpretabile) e quindi rivolgendosi al suo specifico interlocutore adotter una teoria embrionale di come lascoltatore lo interpreter: il successo comunicativo sar raggiunto quando lascoltatore avr interpretato il parlante nel modo in cui egli desidera essere interpretato in quel particolare episodio di conversazione. Nel far ci egli si munir di una gamma di principi ermeneutici assortiti (carit o benevolenza, umanit, empatia: evita di attribuire allaltro errori logici e credenze vistosamente false, ma rendilo in pi possibile simile a te. Prova a pensare che cosa faresti se tu fossi lui (se avessi i suoi convincimenti) e non solo che cosa tu faresti se fossi in lui (dal punto di vista delle tue convinzioni attuali). Lo scopo della comunicazione capire laltro, indovinare il che modo egli personalmente intende le parole che usa, non azzeccare i significati convenuti delle parole (dal punto di vista della lingua comune). La teoria dellinterpretazione C una variet di casi che possono presentarsi in cui lingiunzione di Davidson ovviamente appropriata: se una persona ci dice che gli hanno trovato molto polistirolo nel sangue, noi correggeremo automaticamente il suo lapsus e gli attribuiremo la credenza che ha il colesterolo alto. Se uno studente di filosofia usa intercambiabilmente trascendentale e trascendente proveremo a capire se vuol parlare (prevalentemente) di condizioni di possibilit dellesperienza o di qualcosa che trascende per principio o contingentemente la possibilit di essere esperito. Una volta appurato quale accezione d alla parola, proveremo a usare quella per costruire uninterpretazione degli enunciati in cui nel corso della conversazione user la parola. Pu darsi che questa teoria transitoria sia adeguata, nel senso che ci permette di dare una qualche coerenza alle sue credenze, pu darsi invece che lo studente sia confuso e che intende la parola in unaccezione decisamente non filosofica. Ad esempio se un conoscente di ritorno dalle vacanze ci dice che in fondo il mare delle Maldive non niente di trascendente, capiamo al volo che intende dire che non niente di speciale. Forse anche il nostro studente intendeva la parola in questa accezione impropria. Ma perch poi impropria? Se un numero sufficientemente ampio di persone usa la parola cos, prima o poi questa accezione entrer a far parte dei significati convenzionali della parola e sar come tale registrata dai dizionari. Se ci non avviene la descrizione giusta da dare della situazione, secondo Davidson, non che chi usa la parola trascendentale nel senso di speciale commette un errore, poich usa la parola in modo difforme dal suo significato convenzionale, ma che nel suo idioletto, nella sua concezione individuale del significato, trascendente significa speciale. Ci accontentiamo qui di sfiorare un problema che di solito infiamma gli animi: se latteggiamento normativo debba
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comunque cedere il passo a quello descrittivo in fatto di grammatica e di lessico. Dummett (1991, trad.it. p. ) parla a questo proposito di un paradosso

Significato e riferimento

Le nozioni tradizionalmente impiegate della semantica formale, sono quelle di verit, riferimento, equivalenza, forma logica, condizioni di verit, soddisfacimento. Tuttavia la semantica formale per svariate ragioni che qui non possibile richiamare, d per acquisiti proprio i concetti che la semantica fondazionale vuole illustrare, primi fra tutti quelli di significato, valore conoscitivo, verit e riferimento. Lo scopo della semantica formale (il progetto cui lavorarono Alfred Tarski, Rudolf Carnap e Richard Montague) quello di assegnare uninterpretazione semantica agli enunciati di un linguaggio formalizzato, in modo tale che sia rispettato il pi possibile il parallelismo fra semantica e sintassi, ossia che la categoria semantica da assegnare a unespressione dipenda sistematicamente dalla sua categoria sintattica. Per interpretazione semantica si intende un operazione che fato un dominio di individui, specifica in che modo associare (a) espressioni di una certa categoria sintattica, ad esempio quella delle costanti individuali a individui del dominio, alla categoria sintattica dei predicati ad un posto linsieme degli individui che soddisfano il predicato, alle espressioni relazionali diadiche, linsieme delle coppie ordinate che stanno fra loro in quella relazione, e in che modo il valore di verit di enunciati composti mediante connettivi enunciativi (e, non, seallora, oppure) e quantificatori (tutti, alcuni, esattamente uno, ecc.) , dipenda dal valore semantico delle parti componenti e dalle stipulazioni che governano connettivi e quantificatori. Ad esempio, una congiunzione vera se sono veri entrambi i congiunti, un condizionale vero in virt della falsit dellantecedente o della verit del conseguente, la negazione loperatore che d luogo un enunciato falso se apposta a un enunciato vero e un enunciato vero se apposta ad un enunciato falso, un enunciato quantificato universalmente (ad esempio Tutti i numeri sono o pari o dispari ) vero se la funzione proposizionale ivi contenuta (se x un numero allora x pari o x dispari) soddisfatta da tutti gli individui, e un enunciato quantificato esistenzialmente (ad esempio Esistono numeri primi pari) un vero se almeno un individuo del domino soddisfa la funzione proposizione di essere un x tale che x pari e x primo). Il lavoro di trasposizione in forma logica fondamentale per tutti i generi di semantica che considereremo (e anche per quelle che non considereremo, come quelle sviluppate in ambito linguistico e cognitivo, v. a questo proposito Marconi 1992 e Violi 1997). Ci che contraddistingue la semantica formale estensionale (in cui tutto ci che conta sono gli oggetti e gli insiemi di oggetti e non il modo in cui sono specificati, ossia le differenze di senso che intercorrono fra le parole che designano lo stesso oggetto (ad
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esempio Espero, Fosforo, Venere stanno per lo stesso corpo celeste, n il modo in cui fissato il riferimento dei termini singolari e predicativi). La semantica fondazionale (per usare unespressione di Robert Stalnaker 1989) si occupa invece proprio di queste questioni: si interroga sulla nozione di riferimento, di verit, di senso, di valore conoscitivo e cerca di capire come le parole funzionano anche in contesti in cui a prima vista non vale il principio di estensionalit. Bench Giocasta e la sposa di Laio designino la stessa persona, finch Edipo non sa che Laio lunico x tale che x ha generato Edipo (cio se stesso) e Giocasta lunica x che ha portato in grembo Edipo (cio se stesso), non sa di aver ucciso suo padre e giaciuto con sua madre. Analogamente, Vera pu credere che la stella del mattino sia un pianeta che ha un diametro che la met di quello terrestre. Per se non sa che la stella del mattino la stella della sera pu non credere, senza cadere in contraddizione, che la stella della sera che ha un diametro che la met di quello terreste. Semplicemente non sa che sono lo stesso pianeta. Frege (1891 e 1892) descrive la situazione dicendo che abbiamo a che fare con pensieri diversi, che differiscono fra loro non solo tipograficamente ma perch il senso del nome proprio Stella del mattino differisce da quello del nome proprio Stella della sera. Qui dobbiamo pensare a queste espressioni come nomi propri e non come descrizioni definite (Russell 1905) del tipo lunico x tale che x gener Laio , lattuale presedente della Repubblica o lautore della Divina Commedia. Vediamo qui allopera il principio di composizionalit (che analizzeremo meglio pi avanti), che afferma che il senso di un enunciato dipende dal senso delle parti costituenti e dal modo in cui sono combinate. Se sostituiamo unespressione con unaltra che ha senso diverso ma identico riferimento (Bedeutung o significato nella terminologia di Frege) non possiamo avere alcuna garanzia che il valore di verit resti immutato nei contesti di credenza, poich il senso delle parole pu fare una differenza dal punto di vista cognitivo (possibilit di giudizi incompatibili dal punto di vista estensionale) e motivazionale (si pensi al caso di Edipo). Poich Frege caratterizza il pensiero come il senso di un enunciato dichiarativo che aspira a dire qualcosa di vero, per spiegare la sua condotta epistemica (i giudizi che formula) dobbiamo supporre che il senso delle parole e dunque il pensiero espresso dai due enunciati sia diverso. Nella concezione di Frege un pensiero composto di entit omogenee (sensi) collegati fra loro cos come le parole sono collegate nellenunciato. A al senso di un nome proprio che sta per un oggetto (un enit in s conchiusa) corrisponder anche al livello del pensiero qualcosa di saturo, in se compiuto,e a unespressione predicativa che Frege concepisce come designate una funzione da oggetti a valori di verit corrispondere un senso insaturo, incompleto. Ovviamente queste sono metafore e Frege il primo ad esserne consapevole: lenunciato ha parti di categorie sintattiche diverse. Ma in che senso un pensiero fatto di parti con caratteristiche diverse? Un modo meno metaforico di pensare alla composizione del pensiero quello suggerito dal Vincolo di generalit di Evans che ingiunge che un predicato deve essere applicabile a pi oggetti ( una sorta di pattern che ravvisiamo negli enunciati quando omettiamo una o pi occorrenze di un
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nome proprio, ci che sopra abbiamo chiamato funzione proposizionale), e un oggetto deve essere passibile di pi predicazioni. Un predicato qualcosa che pu essere applicato a pi cose e un oggetto qualcosa che pu costituire il fulcro di pi predicazioni. Frege sarebbe andato oltre e avrebbe detto che anche un concetto pu costituire il fulcro di numerose predicazioni. In questo caso per abbiamo concetti di secondo livello che come tali non possono essere applicati a oggetti di primo livello. Ad esempio, quando diciamo che ci sono tante sedie quanti invitati, o che i turisti sono pi numerosi del solito, o che ho comprato tre mele verdi, stiamo dicendo qualcosa di concetti e non di oggetti: le parole tanti quanti, numerosi, tre non si applicano ai singoli individui che cadono sotto il concetto di essere un turista, essere una mela verde, essere un invitato, poich non il singolo turista che numeroso o la singola mela che tre o il singolo invitato che tanto quanto la singola sedia. Predicati di questo tipo sono attribuibili solo a concetti . Eppure la posizione di Frege presenta molte difficolt, poich costruisce il credere e il sapere come relazioni che una mente intrattiene con un senso (un pensiero) inteso quasta volta non come un tramite per pensare ci su cui il pensiero verte, ma come unentit autonoma. E questo insoddisfacente, poich molto spesso le credenze che formiamo sono basate su esperienze percettive e in questi casi non si vede perch si debba concepire la credenza come una relazioni fra una mente e il senso di un enunciato anzich una relazione come una mente e gli oggetti su cui la credenza verte. Questa era per esempio lintuizione di Russell. Russell , a differenza di Frege, concepiva le proposizioni singolari come combinazioni di oggetti e propriet: il Monte Bianco con tutte le sue falde di neve che parte del pensiero singolare che intrattengo quando pens che alto pi di 3000 metri. Accanto ai pensieri singolari vi sono pensieri generali, come ad esempio quelli esprimibili di solito con le descrizioni definite, che non hanno alcuna pretesa di presentarci direttamente un oggetto ma di descriverlo, come, ad esempio lunico oggetto che soddisfa una certo propriet. Per quello che ne sappiamo lunico x cos cos pu anche non esserci senza con ci rendere infondato il nostro pensiero. Quando diciamo che il re di Francia calvo, non stiamo esprimendo un pensiero singolare bens una pensiero generale, che possiamo rendere dicendo che esiste un x tale che x un re di Francia, ed per qualsiasi y se y un re di Francia identico a x e lx in questione calvo. Se la Francia non una monarchia lenunciato falso, e la sua negazione (ossia: E falso che il re di Francia calvo vera, mentre lasserzione Il re di Francia non calvo risulter falsa per la ragione indicata). In altre parole, secondo Russell laffermazione di esistenza un componente della proposizione che formuliamo, anche se talvolta la forma logica superficiale pu indurci in inganno e farci considerare una descrizione come un nome (logicamente) proprio, ossia unespressione che non pu mancare di denotare qualcosa. Frege aveva una intuizione semantica diversa e considerava lesistenza del referente una presupposizione delluso di un ter mine singolare (sia che esso fosse un nome proprio o che una descrizione definita). Se questa presupposizione esistenziale non soddisfatta facciamo unaffermazione che non n
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vera n falsa, o forse non facciamo neppure unasserzione, ma scivoliamo inavvertitamente nel regno della finzione. Questo era a suo parere un grande difetto delle lingue naturali che unideografia deve e pu evitare. Ma proprio vero che le descrizioni definite funzionano in modo radicalmente diverso dai nomi propri? Lidea alla base della teoria del riferimento diretto avanzata da filosofi come Saul Kripke, Hilary Putnam e David Kaplan vi il convincimento che vi sia una differenza sostanziale fra questi due casi. Quando usiamo il nome proprio Goedel vogliamo riferirci a colui che stato battezzato con questo nome e non a colui che soddisfa la maggior parte delle descrizioni che riteniamo vere di Goedel e che in qualche modo associamo al nome Goedel. Se per caso scopriamo che Schmidt che ha dimostrato i celebri teoremi di completezza e incompletezza non diciamo che il nome goedel si riferisce a Schmidt o che usando questo nome intendevamo riferici a Schimdt. Lintenzione referenziale ancorata alloggetto allorigine del battesimo, che spesso, fortunatamente anche quello alla base delle informazioni sul portatore del nome, anche se qualche volte le cose possono andare storto. Il nome Madagascar (per usare un esempio di Gareth Evans) originariamte era usato per far riferimento alla terra ferma; per, per un malinteso, esso fu usato dagli Europei come nome della grande isola africana. Oggi chi usi il nome Madagascar intende far riferimento allisola e non alla terra ferma antistante, anche se originariamente quellespressione si riferiva alla terra ferma. La differenza fra nomi propri e descrizioni particolarmente rilevante nei contesti modali e temporali. Kripke formula le sue concezione del riferimento in contrapposizione a quella che egli chiama la teoria dei nomi propri di Frege-Russell. Lidea di fondo che la nozione fregeana di senso di un nome proprio sia equivalente a quello di una descrizione camuffata nel senso di Russell. Ma non potrebbe una descrizione definita, cos come Russell la intende, essere usata referenzialmente per indicare loggetto su cui verte il pensiero senza descriverlo in termini generali? Una categoria di espressioni che occupa in bilico fra nomi propri in senso stretto (espressioni come Roma, Frege, 2, Aristotele, Mos, e descrizioni definite del tipo il cos e cos, sono le descrizioni dimostrative, ossia espressioni come Quelluomo, etc. impiegate in presenza delloggetto, visto magari a grande distanza, di cui si vuol parlare per dirne qualcosa, ad esempio Quelluomo si appoggia al bastone, detto nel corso di una conversazione. Un caso molto discusso nella letteratura quello che troviamo in un articolo di Donnellan del 1966 in cui viene tracciata una distinzione fra uso attributivo e uso referenziale di una descrizione definita. Lidea di Donnellan , grosso modo, che possiamo ottenere un successo referenziale, cio identificare rivolti a chi ci ascolta, la persona o cosa che abbiamo in mante anche se usiamo una descrizione che npon si attaglia allindividuo in questione. Supponiamo che ad un party voglia attirare la tua attenzione su un distinto signore percettivamente saliente per entrambi dicendo Quel tale che sorseggia un Martini un ingegnere e supponiamo che luomo stia sorseggiando invece acqua minerale e che sia effettivamente un ingegnere. Se seguissimo la diagnosi di Russell lenunciato che abbiamo prodotto falso, poich
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lenunciato Esiste uno e un solo x che che beve un Martini e x un ingegnere falso, in quanto contiene una descrizione impropria. Se per caso a nostra insaputa vi fosse alla festa un tale che beve un Martini e che fa lingegnere lenunciato risulterebbe vero, ma non di lui che volevamo parlare. E del resto abbiamo usato unespressione particolare, ossia Quel cos e cos, che non equivalente a il cos e cos. Come descrivere questo fenomeno? Dobbiamo dire che una descrizione pragmaticamente ambigua, nel senso che pu svolgere due funzioni che solo il contesto permetter di dirimere, o dobbiamo dire che la descrizione funziona come Russell sostiene, e dunque che la propozione espressa in senso stretto falsa, ma che la proposizione suggerita o comunicata riusce a dire qualcosa di vero, grazie al meccanismo ipotizzato da Grice. Inoltre nellesempio descritto da Donnellan quel che importante notare (a) linterazione fra il contesto extralinguistico in cui le parole sono prodotte nellintenzione di farsi capire da un determinato intercolutore, sfruttando conoscenze che presumiamo in suo possesso e (b) il fatto che un altro che riportasse rivolto a un altro interlocutore quello che abbiamo detto si troverebbe di fronte al problema se deve riportare la proposizione espressa o quella comunicata. Di nuovo: la decisione dipender dallinterlocutore che ha dinnanzi e dalle conoscenze che presume in possesso di costui. Non c una nozione di proposizione che serve a tutti questi usi (cf. per una discussione dellesempio di Donnellan ( v. Picardi (1992), capitolo VI). Torniamo a Vera e alla Stella della Sera. In certi contesti, quando Vera indicando Venere al tramonto dice Quel pianeta particolarmente luminoso non sarebbe sbagliato riportare il contenuto della sua credenza Vera dicendo che Vera crede della stella della sera che essa abbia una certa propriet. Infatti il pianeta in quanto tale, indipendentemente dal modo di presentazione, che allorigine della credenza di Vera, indipendentemente dal particolare modo di presentazione (nome proprio o descrizione). Vera sta intrattenendo un pensiero singolare di carattere dimostrativo che non potrebbe esistere se loggetto non esistesse. Almeno questo saremmo propensi a dire combinando idee di Russell (1906, 1910) relative alla distinzione fra conoscenza diretta (acquaintance) e conoscenza per descrizione e la teoria del pensiero di Gareth Evans. Con locchio rivolto alla filosofia della mente oggi questa distinzione collegata a quella fra concezioni rappresentazionali e concezioni inferenziali del significato: Fodor il paladino del primo punto di vista, i teorici del ruolo concettuale (Ned Block, Gilbert Harman, Robert Brandom) della seconda. Unaltra classificazione che viene spesso usata in questo contesto fra concezione interniste ed esterniste dei contenuti preposizionali: un discrimine fra queste due concezioni il ruolo che oggetti, eventi e propriet presenti nellambiente che ci circonda svolge nellidentificare il contenuto di ci che pensiamo. Lo slogan un po provocatoria dellimpostazione esternista promossa da Hilary Putnam che i significati non sono nella testa e, anche per questo, possono essere ignoti agli utenti di una lingua senza che ci impedisca loro di usare il linguaggio nel pensiero e nella comunicazione. Questa impostazione collegata, come vedremo, alla teoria del riferimento diretto avanzata da Saul Kripke, David Kaplan e Keith
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Donnellan (fra gli altri). Lidea su cui lesternismo si basa che per capire qual il contenuto del pensiero di Giovanni quando dice Lacqua una risorsa che scarseggia dobbiamo tener conto non solo del modo in cui qualitativamente identifica lacqua o dello stereotipo dellacqua (limpida, incolore, inodore, dissetante, ecc.) ma della struttura nascosta dellacqua, che da qualche secolo nota ai chimici, e del fatto che il nostro uso delle parole di genere naturale (che designano enti esistenti in natura, animali vegetali o minerali che siano) accompagnato da un indice tacito che vincola le nostre parole al mondo attuale, a ci che acqua sulla Terra. Anche Aristotele impiegava implicitamente questo indice che lo connetteva allacqua, che egli pensava essere un elemento e non un composto. Questa componente indicale che accompagna luso di termini di genere naturale unitamente allipotesi della divisione del lavoro linguistico, lidea cio che qualunque lingua contiene parole che si riferiscono a sostanze la cui natura specifica nota solo agli esperti, spiega in che senso il significato non nella testa: in parte perch determinato dalla natura (da come le cose sono davvero) con cui interagiamo casualmente per il semplice fatto di condividenre un ecosistema, e in parte perch nellusare la parola deferiamo agli esperti, i quali, ove si presenti il bisogno sanno determinare che cosa acqua e che cosa non lo . Dunque, anche noi che non conosciamo la chimica possiamo far uso della parola acqua, molibdeno, alluminio: non solo, anche in bocca a noi le parole hanno un riferimento determinato anche se noi individualmente non abbiamo modo di determinarlo. Il tutto riassunto nello slogan che il riferimento dei termini non sopravviene al contenuto mentale, a ci che passa per la testa di coloro che usano le parole, e quindi introduce un elemento relazionale (riferimento alla costituzione fisico-chimica della materia) che non sarebbe desumibile dagli stati psicologici o semantici del soggetto. Spesso questa tesi presentato in una versione modale, in cui si suppone che vi sia una Terra Gemella in cui tutto identico alla nostra Terra, nostre controfigure comprese, e in cui tuttavia la formula chimica dellacqua non H2O. Come dobbiamo descrivere la situazione: dobbiamo dire che su Terra Gemella non c acqua o dobbiamo dire che su Terra Gemella lacqua XYZ? Secondo Putnam la prima risposta quella che pi si accorda con le nostre intuizioni modali e con i modo in cui usiamo i termini di genere naturale. Un modo in cui lacqua non H2O non una mondo metafisicamente accessibile. Il riferimento del termine acqua infatti fissato rigidamente, e non mediante condizioni necessarie e sufficienti di ci che conta come acqua, secondo il modello che abbiamo appena descritto. Tuttavia indubbio che dal punto di vista motivazionale e del comportamento non ci sarebbe nessuna differenza fra noi e le nostre controfigure gemelliane, poich per ipotesi, solo lanalisi chimica in grado di appurare la differenza di sostanza. Dunque il ruolo concettuale svolto dalla parola acqua sarebbe indistinguibile da quello che essa ha per noi. Una variante dellargomento di Putnam lo troviamo nella versione offerta da Tyler Burge dellesternismo sociale.

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. Ma, si potrebbe obiettare, anche i nostri cugini primati sembrano comunicare fra loro; anche la segnaletica stradada ci comunica informazioni, sotto forma di ingiunzioni, divieti, ingiunzioni, avvertimenti. Che differenza c fra il grido dallarme prodotto da una madre scimpanz per se segnalare ai suoi piccoli la presenza di un pericolo e le parole che una madre

Abbiamo detto che una spiegazione filosofica si interroga se vi siano caratteristiche concettualmente costitutivo del fenomeno che si vuole spiegare, nel senso che una spiegazione che non rendesse conto di certi aspetti costitutivi non sarebbe una spiegazione descrittivamente adeguata. Ad esempio, oggi (ma non ai tempi di Gottlob Frege (1848-1925) quasi un luogo comune dire che una caratteristiche fondamentali (costitutive, non negoziabili) delle lingue naturali la composizionalit e che una spiegazione che non rendesse conto di questa caratteristica non spiegherebbe un ingrediente essenziale della nostra competenza linguistica. Dal punto di vista empirico quello che ci interessano sono le cause di un fenomeno, mentre dal punto di vista concettuale quello che ci interessa sono le ragioni e le giustificazioni per sostenere una certa visione della comprensione del significato. Oggi questa contrapposizione particolarmente saliente: i filosofi che lavorano al progetto della semantica naturalizzata ( v. Picardi 1998) si ripropongono sostanzialmente di ricondurre tutti gli aspetti della competenza linguistica nellalveo delle spiegazioni causali proprie delle scienze naturali. Essi sono alla ricerca di una spiegazione causale di che cosa fa s che un contenuto di pensiero passi da una mente allaltra. Se si scoprisse che possibile somministrare pensieri per via intramuscolare o orale avrebbero indubbiamente vinto la loro sfida. E dubbio che questo progetto sia perseguibile: quello di cui infatti i naturalizzatori si sono surrettiziamente appropriati la nozione di contenuto proposizionale, quello che Frege chiamava pensiero (intendendo prevalentemente il senso di un enunciato linguistico). Le nozioni che pi resistono alla naturalizzazione sono quelle che incontriamo in logica e in semantica. Una ragione generale per questa refrattariet alla naturalizzazione che in semantica si fa uso di nozione come giusto/sbagliato, vero/falso che contendo un ingrediente normativo che non rientra nel vocabolario delle scienze, che si occupano di come si svolgono i fenomeni e non di come si dovrebbero svolgere in vista del conseguimento di certi fini i mezzi a disposizione. In termine molto generali: possibile impiegare un vocabolario intenzionale (attribuire scopi dire la verit - sulla base di credenze e desideri) senza introdurre considerazioni normative? Per considerazioni normative intendiamo qui il
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fatto che nozioni come giusto e sbagliato, vero e falso, adeguato inadeguato, entrano di continuo nella descrizione delluso linguistico.

3. Composizionalit E oggi (ma non ai tempi di Gottlob Frege (1848-1925) quasi un luogo comune dire che una caratteristiche fondamentali (costitutive, non negoziabili) delle lingue naturali la composizionalit e che una spiegazione che non rendesse conto di questa caratteristica non spiegherebbe un ingrediente essenziale della nostra competenza linguistica. Per composizionalit, come vedremo meglio sotto, non si intende solo la produttivit resa possibile dai dispositivi sintattici di iterazione e combinazione delle parole e delle frasi e dei loro componenti sottoenunciativi, anche se la comprensione dei dispositivi logici che permettono questo genere di produttivit stata resa possibile solo dallavvento della logica moderna, ideata da Frege, Russell e Peano. Non dunque solo la struttura logica del pensabile (i dispositivi ricorsivi e induttivi studiati dalla logica) che responsabile della composizionalit. Quel che vogliamo studiare in questo paragrafo la composizionalit dei significati in quanto dispositivo capace di generare contenuti pensabili da esseri umani dotati di sensibilit ed intelletto con caratteristiche e limitazioni specifiche , che vivono in comunit (spesso conflittuali) variamente gerarchizzate e collegate, sullo sfondo di interessi e di bisogni risultanti dalla tradizione culturale e dalla dotazione biologica, in vista del conseguimento di obiettivi di carattere teorico e pratico, passibili di valutazione in quanto giusti o sbagliati. Con importanti qualificazioni, concordiamo con Quine (1960) quando dice che il linguaggio unarte sociale e con Wittgenstein (1953) quando dice che capire una lingua capire una forma di vita. Coloro che a vario titolo sottolineano il carattere sociale e pubblico del linguaggio possono differire drammaticamente sul carattere condiviso dei significati che ciascun parlante annette alle parole (concezioni individualiste o idiolettali del significato e concezioni sociali del significato), sullontologia dei significati (che tipo di enti sono i significati: entit astratte come i numeri, su cui possiamo operare computazionalmente? Ruoli concettuali associati alle parole? Regole duso delle parole? Disposizioni allapplicazione delle parole acquisite in circostanze percettivamente salienti? O sono gli oggetti e le propriet designati dalle parole? ); e sullorigine causale dei significati (che cosa fa s che la parola rosa si riferisca alle rose, che acqua si riferisca ad H2O (con impurit pi o meno vistose), che artrite si riferisca a ci che gli esperti chiamano artrite? ). Le divergenze su cui ci soffermeremo in questo capitolo sono quelle relative allepistemologia dei significati: posto che i significati siano un certo tipo di cose, come possibile conoscerli? Posto che i significati abbiano certe caratteristiche, proprio necessario conoscerle per potere comunicare con gli altri usando parole dotate di significato cos costituito? Questi domande propongono di fare una distinzione abbastanza netta fra la costituzione dei significati e la conoscenza dei significati,
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separando cos idealmente la teoria del significato dalla teoria della comprensione del significato. Si tratta di una distinzione instabile, poich il significato di una parola qualcosa che intrinsecamente e non solo contingentemente comprensibile. In generale, questa distinzione dettata da una certa concezione del significato che ha le sue radici nella teoria causale del riferimento e nella concezione esternista dei contenuti di pensiero. Il principio di composizionalit afferma che dato un qualsiasi enunciato, il signicato del tutto funzione del significato delle parti componenti e del modo in cui le parti sono combinate. Per modo di combinazione si intende, grosso modo, la forma sintattico-grammaticale e per parte si intendono le parole che ricorrono nellenunciato. Per certi aspetti questo pu apparire un banale turismo: infatti, da che cosa potrebbe dipendere il significato dellenunciato Se domani piove non vado a scuola in bicicletta, proferito, poniamo, da Vera il 10 novembre, rivolgendosi a unamica con cui si reca solitamente a scuola, che se non dal significato delle parole piovere, recarsi, scuola, bicicletta, dalla costruzione condizionale (Se, allora), dalla negazione non e dalla preposizione in? In un certo senso, uno dei compiti principali della semantica in che modo le parole che ricorrono in questo enunciato, e che possono ricorrere in innumerevoli enunciati della lingua, contribuiscono al pensiero che Vera intrattiene quando formula il proposito che e se piove il giorno successivo a quello in cui formula la frase riportata, allora non andr in bicicletta. Si tratta di un pensiero semplicissimo, che per contiene due dispositivi (la costruzione condizionale e la negazione, tanto basilari quanto ardui da spiegare), variamente iterabili, cui probabilmente solo allutente di una lingua naturale pu avere accesso. Lungi dallessere un turismo questo principio al centro di molte dispute contemporanee. Occorre infatti distinguere fra due formulazioni del principio a seconda che lo si riferisca alla costituzione del significato o alla comprensione del significato. Tre esempi per chiarire le cose. Se Vera dicesse La scuola un carcere, indubbiamente un primo passo per capire che cosa intende capire come le parole che costituiscono la frase contribuiscono a costituire il significato dellenunciato; per probabilmente Vera in questo specifico contesto non intende la parola carcere nel suo significato letterale, bens ne fa un uso traslato: per capire il pensiero espresso occorre andare oltre il significato letterale delle parole componenti, e fare congetture sulla proposizione intesa che diversa da quella letteralmente espressa dalle parole usate. Non detto che vi sia una sola proposizione intesa, n chiaro che si possa rendere il valore delle metafore mediante parafrasi. Dunque la comprensione degli usi traslati delle parole va oltre ci che lenunciato letteralmente dice sulla base della sua composizione. Altri esempi sono gli enunciati semanticamente e sintatticamente ambigui, come, Il libro di Carlo un best-seller (il libro scritto da Carlo? il libro che Carlo sta leggendo?) oppure Ogni evento ha una causa (Vi una sola causa per tutti gli eventi? Oppure ciascun evento ha una sua causa specifica?), in cui solo il contesto del discorso (circostanze pi intenzioni
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dei parlanti) possono chiarire qual la lettura giusta. Vi sono poi gli usi idiomatici delle parole, che per, a differenza degli usi metaforici sono in numero finito e vanno imparati un per uno. Un tratto particolarmente comico delle traduzioni affrettate la traduzione letterale degli usi idiomatici: non sarebbe una buona idea tradurre letteralmente (cio composizionalmente) in inglese la frase tirare le cuoia cos come non sarebbe una buona idea tradurre lidioma inglese to kick the bucket come dare un calcio al secchio, poich significa lo stesso che tirar le cuoia, cio morire. Un altro esempio di tipo completamente di casi in cui il pensiero espresso non esaurito dalla conoscenza del significato letterale delle parole di cui gli enunciati sono composti sono quelli che contengono espressi dimostrative come questo, quello (usate accompagnando un gesto di indicazione estensiva), pronomi personali io, tu, noi, ecc. avverbi di tempo e luogo come ora, ieri, domani, qui, ecc. Per capire il pensiero espresso in una determinata circostanza non basta conoscere il significato convenzionale delle parole, ma occorre sapere qualcosa sulle circostanze in cui le parole sono prodotte, sullidentit del parlante, sulle intenzioni referenziali e identi ficative di parlante e ascoltatatore. Lo studio di queste parole, il cui riferimento determinato dal contesto complessivo in cui vengono prodotte, al centro degli studi contemporanei di semantica e di pragmatica. Anche in questi casi, tuttavia, non affatto ovvio che ci sia una sola proposizione che si ottiene supplendo linformazione desunta dal contesto, come invece avverrebbe se al posto delle espressioni in questione sostituissimo parole dotate di un contenuto semantico determinato (ad esempio, Io sono qui ora , detto da me in una certa circostanza e in un determinato contesto pu essere estensionalmente equivalente a Eva Picardi nella sua abitazione di Bologna il 15 agosto 2004 alle 17,30, Greenwich meantime ma ovviamente i pensieri espressi dai due enunciati sono diversi: uno potrebbe afferrare il primo ma non il secondo: linformazione impartita semanticamente diversa da quella ricavabile contestualmente da un astante o da quella di cui io stessa sono in possesso (potrei non sapere che ora ). Detto in altri termini: se per pensiero intendiamo seguendo Frege il senso di un enunciato dichiarativo, ricavabile dal senso delle parole costituenti, dobbiamo dire che generalmente quando abbiamo a che fare con enunciati con elementi dimostrativi e deittici il pensiero espresso dallenunciato non coincide con il senso dellenunciato. In generale, in casi come questi per la determinazione del riferimento non sufficiente la conoscenza del senso delle parole. Ci, indirettamente mostra come la caratterizzazione del senso di unespressione come ci che conosce colui che padroneggia la lingua cui lespressione appartiene e grazie al quale in grado di specificare loggetto designato dal nome nel contesto dallenunciato, non coincide con la caratterizzazione del senso di unespressione, offerta da Gareth Evans quale modo di pensare loggetto cui il nome rimanda: vi sono modalit dimostrative di pensare loggetto designato da un nome proprio che non coincidono con il senso di alcuna espressione linguistica (intesa, si ricordi bene come ci
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la cui conoscenza consentirebbe di specificare loggetto quale portatore del nome senza essere necessariamente in grado di identificarlo percettivamente).

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