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DI DIRITTO ECCLESIALE

QUADERNI

ANNO 1993

EDITRICE NCORA MILANO

QUADERNI DI DIRITTO ECCLESIALE

SOMMARIO
3 Editoriale 6 Il parroco pastore della parrocchia

PERIODICO TRIMESTRALE ANNO VI N. 1 - GENNAIO 1993


DIREZIONE ONORARIA

di Francesco Coccopalmerio
22 Il parroco come evangelizzatore: lesercizio del mu-

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nus docendi (c. 528, par. 1) di Mauro Rivella Il munus sanctificandi del parroco (c. 528, par. 2) di Gianni Trevisan Il parroco come pastore (c. 529, par. 1) di Cesare Bonicelli Commento a un canone. Le sepolture privilegiate: il canone 1242 di Massimo Calvi Il Vicario Episcopale per la vita consacrata di Jesus Torres Alcune considerazioni sulla Communicatio in Sacris nel Codice di Diritto Canonico di Timothy Broglio Appunti sulla vacanza della sede episcopale di Piero Amenta Le esenzioni dei chierici (c. 289, par. 2) di Marina Dellanoce Il diritto canonico dalla A alla Z Capitolo di G. Paolo Montini

Jean Beyer, S.I.


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La Chiesa di Cristo veramente presente in tutte le legittime assemblee locali di fedeli, le quali, aderendo ai loro pastori, sono anche esse chiamate chiese nel Nuovo Testamento. Esse infatti sono, nella loro sede, il popolo nuovo chiamato da Dio, nello Spirito Santo e in una totale pienezza. In esse con la predicazione del Vangelo di Cristo vengono radunati i fedeli e si celebra il mistero della cena del Signore, affinch per mezzo della carne e del sangue del Signore sia strettamente unita tutta la fraternit del corpo ...In queste comunit, sebbene spesso piccole e povere o che vivono nella dispersione, presente Cristo, per virt del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica (Lumen gentium 26a). La solennit di queste parole del Concilio, riferite in modo particolare alla parrocchia, hanno determinato la scelta ripetuta in questi Quaderni di affrontare il tema della parrocchia, quale cellula costituzionale della Chiesa. Nel II fascicolo del 1989 si posto lo sguardo sulla parrocchia e sulle altre forme di cura pastorale; nel I fascicolo dello scorso anno si trattato dei Vicari parrocchiali. In questo fascicolo si intende soffermarsi prevalentemente sul parroco, in quanto pastore proprio della sua comunit parrocchiale. I suoi principali compiti ed il suo ministero sono adeguatamente descritti nel triplice compito in cui si articola la missione di Cristo: Il parroco , anzitutto, ministro della parola di Dio, consacrato e mandato ad annunciare a tutti il Vangelo del Regno, chiamando ogni uomo allobbedienza della fede e conducendo i credenti ad una conoscenza e comunione sempre pi profonde del mistero di

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Dio, rivelato e comunicato a noi in Cristo... Di questa Parola egli non padrone: servo. Di questa Parola egli non unico possessore: debitore nei riguardi del Popolo di Dio (GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 26b); soprattutto nella celebrazione dei Sacramenti... che il sacerdote chiamato a vivere e a testimoniare lunit profonda tra lesercizio del suo ministero e la sua vita spirituale: il dono di grazia offerto alla Chiesa si fa principio di santit e appello di santificazione (ib., 26c); Il parroco chiamato a rivivere lautorit e il servizio di Ges Cristo Capo e Pastore della Chiesa animando e guidando la comunit ecclesiale... Questo munus regendi compito molto delicato e complesso, che include, oltre allattenzione alle singole persone e alle diverse vocazioni, la capacit di coordinare tutti i doni e i carismi che lo Spirito suscita nella comunit, verificandoli e valorizzandoli per ledificazione della Chiesa sempre in unione con i Vescovi. Si tratta di un ministero che richiede al sacerdote una vita spirituale intensa, ricca di quelle qualit e virt che sono tipiche della persona che presiede e guida una comunit, dellanziano nel senso pi nobile e ricco del termine: tali sono la fedelt, la coerenza, la saggezza, laccoglienza di tutti, laffabile bont, lautorevole fermezza sulle cose essenziali, la libert da punti di vista troppo soggettivi, il disinteresse personale, la pazienza, il gusto dellimpegno quotidiano, la fiducia nel lavoro nascosto della grazia che si manifesta nei semplici e nei poveri (ib., 26f). Questo triplice ministero del parroco si svolge nella duplice modalit dellesercizio personale di colui che consacrato e dellanimazione di un popolo intero che mandato. I pastori sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumere da soli tutta la missione salvifica della Chiesa verso il mondo, ma di avere come compito principale di pascere i fedeli e di riconoscervi ministeri e doni cos che tutti a proprio modo cooperino unanimemente allopera della salvezza (Lumen gentium 30). In questa prospettiva si muovono gli articoli iniziali del fascicolo: il parroco quale pastore proprio della parrocchia, soggetto unitario agente (Coccopalmerio); i munera del parroco, di insegnare (Rivella), di santificare (Trevisan) e di reggere (Bonicelli). Nella seconda parte del fascicolo si affrontano, com consuetudine, argomenti vari.

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Il canone commentato da Calvi si riferisce alla sepoltura di cadaveri nelle chiese: prassi oggi rara e con particolari risvolti civilistici. La vita consacrata considerata attraverso lesame della figura e dei compiti del Vicario episcopale per la vita consacrata (Torres). Seguono gli articoli sulla communicatio in sacris, ossia sulla comune partecipazione di fedeli di diversa appartenenza ecclesiale ai medesimi sacramenti (Broglio); sulla vacanza della sede vescovile (Amenta) e sulle esenzioni e incompatibilit per i ministri sacri, soprattutto nellordinamento italiano (Dellanoce). Chiude il fascicolo il piccolo lessico giuridico, arrivato alla lettera C di Capitolo (Montini).

Il parroco pastore della parrocchia


di Francesco Coccopalmerio

Cos si esprime al riguardo il Codice di diritto canonico: Il parroco il pastore proprio della parrocchia affidatagli, esercitando la cura pastorale di quella comunit... per compiere... le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con lapporto dei fedeli laici, a norma del diritto (c. 519); e, del tutto similmente: La parrocchia una determinata comunit di fedeli... la cui cura pastorale affidata... ad un parroco quale suo proprio pastore (c. 515, par. 1). 1) Lattivit del parroco I testi sopra riportati affermano che il parroco pastore ed esercita la cura pastorale della parrocchia a lui affidata. La domanda pertanto: che cosa significano i termini pastore e cura pastorale, in che cosa precisamente consiste lattivit del parroco per la parrocchia? Vogliamo precisare ci, perch i termini in questione rischiano di essere solo formali e il loro contenuto concettuale deve essere determinato al fine di evitare equivoci o interpretazioni non soddisfacenti. a) Lattivit del parroco consiste nellinsegnare, nel celebrare il culto, nel governare e nellattuare le opere della carit Dai soli termini pastore e cura pastorale non possiamo ricavare se non un significato generico: procurare la salvezza soprannaturale. Tale significato generico diventa pi specifico se facciamo ricorso al citato c. 519, che d un contenuto ai termini di pastore e di

Il parroco pastore della parrocchia

cura pastorale con queste espressioni: ... per compiere... le funzioni di insegnare, santificare e governare. Perci possiamo ritenere: pastore colui che attua le predette funzioni; cura pastorale lattuazione delle predette funzioni. Il che, del resto, detto anche in riferimento ai Vescovi come Pastori: I Vescovi... sono costituiti Pastori della Chiesa, perch siano anchessi maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto e ministri del governo (c. 375, par. 1; cf par. 2: ... i Vescovi ricevono, con lufficio di santificare, anche gli uffici di insegnare e governare...). Relativamente al parroco il discorso ripreso e ulteriormente precisato in altri luoghi, particolarmente nei seguenti: c. 528, par. 1 (circa la funzione di insegnare); c. 528, par. 2 (circa la funzione di santificare); c. 529 (circa lattuazione delle opere della carit e la promozione della comunione ecclesiale); c. 530 (circa varie attivit del culto). A questo punto della nostra indagine possiamo dare una risposta iniziale alla domanda che ci siamo posti (in che cosa precisamente consiste lattivit del parroco per la parrocchia?): tale attivit consiste nellinsegnare, nel santificare o, con espressione pi soddisfacente, nel celebrare il culto, nel governare e nellattuare le opere della carit. b) Lattivit del parroco consiste nel dare ai fedeli i beni della salvezza e la posizione dei fedeli consiste nel ricevere dal parroco i detti beni? Lattivit del parroco, che consiste nellinsegnare, celebrare il culto, governare e attuare le opere della carit, ha per destinatari gli altri fedeli. Se cos , lattenzione si sposta sulla relazione che intercorre tra parroco e fedeli o, pi precisamente, sulla attivit del parroco nei confronti dei fedeli e della posizione dei fedeli nei confronti del parroco. Lespressione fedeli significa nel seguito gli altri fedeli oltre il parroco, quindi sostanzialmente significa i laici. Ed allora abbastanza spontaneo interpretare lattivit del parroco nei confronti dei fedeli e la posizione dei fedeli nei confronti del parroco secondo questo schema: lattivit del parroco consiste nel dare ai fedeli i beni della salvezza e la posizione dei fedeli consiste nel ricevere dal parroco i detti beni. Da una parte, il parroco d ai fedeli i beni della salvezza. Cos il parroco, con lattivit di insegnare, propone la verit; con lattivit di

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santificare, amministra i sacramenti e le altre realt del culto liturgico; con lattivit di governare, d le direttive per la vita della parrocchia; con le opere della carit, conferisce ai fedeli vari aiuti spirituali e materiali. Daltra parte, i fedeli ricevono dal parroco i suddetti beni: la verit, il culto, le direttive, gli aiuti spirituali e materiali. La suddetta interpretazione, oltre che essere spontanea, ci viene suggerita dalla lettera del Codice precedente: I laici hanno il diritto di ricevere (recipiendi) dal clero... i beni spirituali e soprattutto gli aiuti necessari alla salvezza (c. 682). E la stessa visione si trova anche nel Codice attuale in questa formula: I fedeli hanno il diritto di ricevere (accipiendi) dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti (c. 213). Possiamo pertanto cogliere, da quanto fin qui detto, che il parroco risulta attivo, nel senso che d i beni della salvezza; i fedeli, invece, risultano passivi, nel senso che ricevono i detti beni. Certo, anche i fedeli sono attivi, nel senso che ricevere i beni della salvezza esige unattivit (ad es., nellascoltare le verit proposte, nel comprenderle e nelladerirvi), ma non sono attivi nel senso che non danno i beni della salvezza, ma soltanto li ricevono. A questo punto della riflessione possiamo specificare la risposta al nostro quesito iniziale (in che consiste lattivit del parroco per la parrocchia?): tale attivit consiste nel dare ai fedeli i beni della salvezza cos che la posizione dei fedeli consista nel ricevere dal parroco i detti beni salvifici. c) Valutazione della risposta La risposta test formulata giusta e approvabile? E precisando il problema: lattivit del parroco consiste solo nel dare? La posizione dei fedeli consiste solo nel ricevere? Tentiamo di procedere nella nostra riflessione. Dobbiamo riconoscere che lazione del parroco nei confronti dei fedeli e la posizione dei fedeli nei confronti del parroco pu consistere e spesso consiste in quello schema: dare - ricevere. Quando, per esempio, il parroco assolve, il parroco d lassoluzione e il penitente riceve lassoluzione. Similmente nella amministrazione degli altri sacramenti, e cos via nelle altre attivit.

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Dobbiamo al contempo riconoscere che, se si concepisse solo cos lattivit del parroco nei confronti dei fedeli e si concepisse solo cos la posizione dei fedeli nei confronti del parroco, la descritta visione sarebbe erronea e quindi da respingersi. Per cogliere ci, necessario considerare lattivit dei fedeli. 2) Lattivit dei fedeli Incominciamo a considerare lattivit dei fedeli e quindi considereremo i riflessi di questa sullattivit del parroco. a) Lattivit dei fedeli consiste non solo nel ricevere i beni della salvezza ma anche nel dare i detti beni Si dovrebbe respingere una visione che affermasse: tutta e sempre lattivit del parroco consiste nel dare e tutta e sempre la la posizione dei laici consiste nel ricevere i beni della salvezza. E ci per il semplice motivo che essi non solo ricevono, ma anche danno i beni della salvezza; non sono solo ricettori, ma sono al contempo datori; non sono solo attivi in quanto sono ricettori, ma sono anche attivi in quanto sono datori. facile esibire ampie prove di tale dottrina nel Codice stesso. Il testo principale, sintetico e fondamentale, il c. 204, che contiene la definizione di fedeli nella quale si afferma che essi detto in una parola sono titolari della missione della Chiesa, cio sono titolari di tutte le attivit di cui titolare la Chiesa stessa: insegnare, celebrare il culto, governare, attuare le opere della carit. Tale definizione poi declinata nei canoni seguenti e quindi riespressa e applicata in moltissimi luoghi del Codice. Di tutto ci possiamo dare una breve esemplificazione. Tutti i fedeli sono attivi nella funzione di insegnare (cf c. 211; 225, par. 1; 229, par. 1; 230, par. 3; 759), e ci nella predicazione (cf cc. 230, par. 3; 528, par. 1: ... anche con la collaborazione dei fedeli, perch lannuncio evangelico giunga..; 766), nella catechesi (cf cc. 773-774; 776; 778; 780; 785) e in altre forme e con altri mezzi previsti dal diritto (cf cc. 781-833), fino allinsegnamento delle scienze sacre, anche nei seminari (cf cc. 218; 229, par. 3; 253). Tutti i fedeli sono attivi nella funzione di santificare (cf, ad es., cc. 214; 230; 835, par. 4; 836; 840; 899, par. 2; 1173-1174).

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Tutti i fedeli sono attivi, almeno in certo modo, anche nella funzione di governare per il fatto che consigliano i Pastori (cf cc. 212, par. 3; 228, par. 2 e tutte le strutture consiliari stabilite a questo scopo), possono governare certe comunit nei casi di necessit previsti dal diritto (cf cc. 230, par. 3; 517, par. 2), possono infine dai Pastori essere assunti a esercitare taluni uffici e compiti (cf cc. 145, par. 1; 228, par. 1; 230, par. 3; 482; 494). Tutti i fedeli sono attivi assolutamente ovvio ricordarlo nellattuazione delle opere della carit. Questo rapido sguardo dimostra con sufficiente chiarezza che i fedeli non sono ricevono, ma anche danno i beni della salvezza. A completamento del nostro discorso dobbiamo fortemente richiamare che i fedeli sono attivi per il loro stesso essere, il quale proviene dai sacramenti, soprattutto dal battesimo e dalla confermazione. E per tale motivo i fedeli hanno una parte propria, che quindi non delegata dai Pastori. ovvio altres distinguere, nellambito delle attivit di insegnare, celebrare il culto e governare, quelle che per essere compiute richiedono il sacramento dellOrdine e quelle che non richiedono tale sacramento. I laici evidentemente possono compiere solo le seconde. A questo punto possiamo ritenere: i fedeli non solo ricevono dal parroco i beni della salvezza, ma al contempo danno detti beni; quanto detto sullattivit dei fedeli modifica il concetto di attivit del parroco sopra formulato. 3) Ridefinizione concettuale dellattivit del parroco Quanto detto sopra quale influenza ha sul modo di intendere lattivit del parroco, ossia i concetti contenuti nei termini codiciali di pastore e di cura pastorale? Lattivit del parroco consiste non solo nel dare ai fedeli i beni della salvezza, ma anche nel far s che i fedeli siano datori dei detti beni. Per meglio comprendere tale affermazione tracciamo schematicamente alcuni punti. a) Il parroco, ossia il pastore nellesercizio della cura pastorale, non deve fare tutto, ivi comprese quelle attivit che gli altri fedeli possono compiere. Evidentemente come notato necessario

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distinguere tra attivit che richiedono e attivit che non richiedono il sacramento dellOrdine. Le attivit che non richiedono il sacramento dellOrdine possono e, sempre pi ampiamente, devono essere lasciate ai fedeli. b) Sarebbe molto opportuno che ogni parrocchia componesse un programma pastorale, in cui sono individuati vari ministeri in servizio della comunit. Si potrebbe prendere spunto dai cc. 528-529. Tali attivit dovrebbero essere proposte ai fedeli. La diocesi stessa potrebbe o dovrebbe proporre alle parrocchie tale serie di attivit pastorali. In tal modo tutte le comunit sarebbero pi efficacemente orientate. c) Rispetto a queste attivit, il parroco fondamentalmente dovr: aiutare i fedeli a scoprire in s quali attivit si sentono preferenzialmente atti a compiere; a scoprire, cio, i loro carismi, la loro vocazione; formare i fedeli a compiere le attivit, avvalendosi anche di appositi corsi predisposti dalla diocesi; stabilire le relazioni tra le varie attivit dei vari fedeli. Cos che ciascuno sia nella parrocchia veramente attivo e in modo ordinato. Possiamo usare unimmagine, quella del direttore dorchestra: il direttore dorchestra non suona tutti gli strumenti, ma ha il compito di aiutare ciascun musicista a scoprire il suo strumento, quindi di insegnare a ciascuno il modo corretto di suonarlo e infine di coordinare i vari suoni. 4) La visione che abbiamo descritta presente nel Codice, precisamente nei canoni sulla parrocchia? Incominciamo a sottoporre alcuni testi ad accurata analisi; quindi esprimeremo un giudizio sintetico. a) Dobbiamo subito osservare che, se prescindiamo dai luoghi in cui si trovano le espressioni pastore, cura pastorale o altre similari, che di per s sono formali e non dicono nulla di decisivo sotto il profilo concettuale, la nostra attenzione si svolge soprattutto ai tre cc. 519; 528-529, dove possiamo trovare alcuni elementi utili.

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Nel c. 519, presente lespressione: ... per compiere al servizio della comunit le funzioni di insegnare, santificare e governare, anche con la collaborazione di altri presbiteri o diaconi e con lapporto dei fedeli laici, a norma del diritto. La citata espressione con lapporto (operam conferentibus) da una parte soddisfa, da unaltra meno. Soddisfa, infatti, perch dice che i laici agiscono. Soddisfa meno, perch ci chiediamo: questo apporto viene concepito come attuazione di unopera propria dei laici oppure come attuazione di unopera propria del parroco e da lui delegata ai laici? Se infatti si dice: operam conferre, cio dare un apporto sembra che i laici siano concepiti come sostenitori di unattivit del parroco, come aiutanti in unattivit del parroco. Nel c. 528, par. 1, leggiamo quanto segue: ... si impegni in ogni modo, anche con la collaborazione dei fedeli, perch lannuncio evangelico giunga anche a coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la vera fede. Si tratta quindi dellannuncio del Vangelo alle persone o nei luoghi per cui la presenza del parroco risulta pi difficile. Torna alla memoria unaltra espressione: ... tale obbligo... vincola (i laici) ancor pi in quelle situazioni in cui gli uomini non possono ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro (c. 225, par. 1). Circa il testo del c. 528, par. 1, possiamo osservare che sembra limitare lattivit di evangelizzazione dei fedeli solo verso coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la vera fede. Cf. anche c. 776: ... adoperi la collaborazione... dei fedeli laici, soprattutto dei catechisti.... Nel c. 529, par. 2, troviamo questo testo: Il parroco riconosca e promuova il ruolo proprio (partem propriam) che hanno i fedeli laici nella missione della Chiesa, favorendo le loro associazioni che si propongono finalit religiose. E qui lespressione convince pienamente. Il parroco, infatti, viene descritto come pastore, in quanto aiuta i fedeli a scoprire il ruolo proprio, cio i carismi propri e a esercitarli nella vita della parrocchia. Il suo compito quindi di fare in modo che tutti compiano il ruolo proprio. Ma perch si aggiunge: favorendo le loro associazioni? Sembra cos che i laici esplichino il ruolo proprio piuttosto nellambito delle associazioni che non direttamente nella parrocchia, anche al di fuori delle associazioni. Ad ogni modo, almeno le parole precedenti convincono pienamente e quindi le giudichiamo ottime. Cos pure nel caso del c. 776, a riguardo del compito dei genitori: (Il parroco) promuova e sostenga il compito dei genitori nella catechesi familiare di cui al c. 774, par. 2.

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Nel c. 528, par. 1, possiamo forse ritenere che il parroco appare, sebbene in modo assai implicito, come soggetto favorente il ruolo proprio dei fedeli laddove si dice: Il parroco tenuto a fare in modo che la parola di Dio sia integralmente annunciata a coloro che si trovano nella parrocchia.... Quel fare in modo che (providendi ut) significa che il parroco pu, anzi deve, rendere attivi nellannuncio anche altri soggetti. Nel c. 528, par. 2, leggiamo: Il parroco faccia in modo che la santissima Eucaristia sia il centro dellassemblea parrocchiale dei fedeli; si adoperi perch i fedeli si nutrano mediante la celebrazione devota dei sacramenti...; si impegni inoltre a fare in modo che i fedeli... partecipino consapevolmente ed attivamente alla sacra liturgia.... Anche qui, dunque sembra essere sottolineata la parte propria che i laici hanno nelle celebrazioni liturgiche. In altri luoghi del Codice, relativi al Vescovo diocesano, abbiamo alcuni testi che sono di particolare importanza: Par. 1. Il Vescovo favorisca nella diocesi le diverse forme di apostolato e curi che in tutta la diocesi o nei suoi distretti particolari tutte le opere di apostolato, mentre conservano lindole propria di ciascuna, siano coordinate sotto la sua direzione. Par. 2. Solleciti ladempimento del dovere, a cui sono tenuti i fedeli, di esercitare lapostolato secondo la condizione e lattitudine di ciascuno e li esorti a partecipare e a sostenere le varie opere di apostolato, secondo le necessit di luogo e di tempo (c. 394). Il Vescovo quindi favorisce le diverse forme di apostolato (cio di attivit ecclesiali) e sollecita ed esorta i fedeli affinch ciascuno le compia secondo la propria vocazione. Inoltre si dice che il Vescovo il moderatore e il coordinatore delle opere di questi fedeli. Nel nostro testo non usata la parola pastore: tuttavia essa chiaramente sottintesa. Quindi il Vescovo pastore poich fa in modo che tutti i fedeli adempiano la parte loro propria. la concezione corretta ed senzaltro davvero da approvarsi. La stessa visione contenuta anche in altri testi: Il Vescovo diocesano favorisca in sommo grado le vocazioni ai diversi ministeri... (c. 385); Il Vescovo diocesano... si impegni a promuovere con ogni mezzo la santit dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno... (c. 387). b) Tentiamo ora di rispondere alla domanda pi sopra formulata. Se tralasciamo lespressione del c. 529, par. 2: il ruolo proprio che hanno i fedeli laici nella missione della Chiesa, dobbiamo affermare che lottica generale di questi canoni nella linea di concepire

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il parroco come lunico soggetto attivo (per il fatto che come abbiamo detto d ai fedeli i beni della salvezza) e di concepire quindi i fedeli come soggetti passivi (per il fatto che essi ricevono dal parroco i beni della salvezza). Per meglio dire, lattivit dei laici non negata. Tuttavia, non sufficientemente evidenziata. Si parla del parroco e di lui si dice che deve fare questo e quello per la salvezza dei fedeli. Ai laici e alle loro attivit non sembra invece essere dedicato, almeno direttamente ed esclusivamente, nessun canone. Mentre tale discorso si sarebbe potuto fare a riguardo di molte attivit. Diamo soltanto alcuni esempi. Circa la catechesi, perch il Codice non afferma esplicitamente e diffusamente (ad es. nel c. 528, par. 1) che i laici sono nella parrocchia soggetti attivi della catechesi? Ci, del resto, viene affermato, come sappiamo, nei cc. 774; 776. Tuttavia, sarebbe stato assai importante affermarlo anche nei canoni sulla parrocchia. Circa le opere di carit, non si dice nulla dei laici, almeno in modo esplicito (il che ben strano!). Prendiamo, ad es., lottimo contenuto del c. 529, par. 1, dove spontaneo notare che di quasi tutte le attivit che vengono ivi elencate si sarebbe potuto e dovuto dire che sono proprie non solo del parroco, ma anche dei laici. Circa la partecipazione al governo della parrocchia e circa lassunzione dei laici in alcuni uffici e compiti (cf c. 228, par. 1), il Codice tace completamente nei canoni dedicati alla parrocchia. Anche la statuizione del c. 536 sul consiglio pastorale parrocchiale non soddisfa appieno: il consiglio di per s non obbligatorio per tutte le diocesi; lattivit dei laici nel consiglio descritta con parole generiche: prestano il loro aiuto nel promuovere lattivit pastorale. Si sente quindi lesigenza che anche nei canoni sulla parrocchia si sottolinei lattivit dei laici, cos che risulti chiaro che anche i laici sono datori dei beni della salvezza e che il parroco colui che favorisce e sostiene tale azione dei laici. Tuttavia la soluzione teoretica non sarebbe ancora soddisfacente. La ragione che, anche in tale visione, il parroco verrebbe concepito come agente piuttosto in riferimento alle singole persone; daltra parte, queste persone sarebbero concepite come agenti piuttosto a titolo singolare. In altre parole, non apparirebbe ancora una visione della parrocchia come comunit e come soggetto agente. Si deve fare, per arrivare a una visione pi esatta e profonda, un passo ulteriore.

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5) La parrocchia come soggetto unitario agente a) Spiegazioni iniziali Si deve concepire la parrocchia in quanto comunit di fedeli (di cui al c. 515, par. 1), come soggetto unitario agente. Spieghiamo i termini. Soggetto: evidentemente un centro di attribuzioni, in altre parole ha attivit da compiere e per tale motivo capacit, doveri e diritti. Unitario: pi persone sono unite tra loro e per tale motivo sono una sola realt composta da pi persone; in altre parole, sono un insieme (universitas; cf cc. 114-115). Non sono due o cento, ma uno solo. Questo uno il soggetto di cui sopra. Agente: ogni persona agisce, compie la sua azione, ma lazione unitaria perch del soggetto unitario. Di questo argomento tratteremo ancora nel seguito del discorso. Riprendiamo ora limmagine dellorchestra: ciascun musicista emette un suono suo proprio e il suono di ciascuno diverso da quello di ciascun altro, ma il suono unitario ed dellorchestra in quanto unione di pi, cio in quanto soggetto unitario agente. Chiari esempi di questa attivit, che dei singoli, ma ultimamente dellinsieme, sono primariamente le celebrazioni liturgiche, soprattutto dei sacramenti e specialmente dellEucaristia. In questi casi, chiaro che lazione compiuta s dai singoli, per il fatto che ciascuno compie una parte sua propria (soprattutto coloro che adempiono qualche funzione ministeriale, come i lettori, gli accoliti, i cantori e, in modo del tutto speciale, il sacerdote che presiede la liturgia), ma lazione , ultimamente, dellintera comunit in quanto soggetto unitario agente (cf cc. 837, par. 1; 899). Sono per attivit della parrocchia intesa precisamente come soggetto unitario tutte le attivit della Chiesa, cio, alla fin fine, quelle che, fatte le debite precisazioni, il Codice attribuisce al parroco nei cc. 528-529. Quindi possiamo dire: sotto la presidenza del parroco, che del tutto essenziale, la parrocchia annunzia la parola di Dio (cf c. 528, par. 1); celebra lEucaristia e gli altri sacramenti (cf c. 528, par. 2); esercita le opere della carit (cf c. 529, par. 1); si governa (sebbene si conservi la distinzione tra laici consiglieri e parroco deliberante, per cui cf cc. 536-537).

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b) Indicazioni ulteriori circa lazione del soggetto unitario: la deliberazione e lattuazione della deliberazione Qualsiasi soggetto, nella sua azione, prima pensa e delibera e poi attua la deliberazione. Lazione, inoltre, attribuibile a un certo soggetto in quanto stata da esso deliberata. Un soggetto unitario, allo stesso modo, assume una deliberazione e poi la attua. Quindi lazione di un soggetto unitario consiste essenzialmente: nella deliberazione (o decisione sul che fare) nellattuazione della deliberazione. La deliberazione lunione di pi volont concordi (allunanimit o solo a maggioranza); pi volont concordi formano ununica volont, cio, precisamente, una deliberazione. Nel modo in cui pi persone reciprocamente unite formano ununica realt, cio un unico soggetto, in modo similare pi volont reciprocamente concordi formano ununica volont, cio la deliberazione di un soggetto. A una deliberazione possono concorrere in modo fisico tutti i membri di un soggetto unitario ed esprimere cos il loro voto oppure delegare certi membri (dicendo loro: vota al mio posto e ancora: vota in questo modo oppure come vuoi). La deliberazione pu essere attuata o da tutti i membri insieme (ad es., se si deliberato che tutti insieme debbano sottoscrivere una dichiarazione) o da singoli membri a ci incaricati dallinsieme (ad es., se si deliberato che si debba fare la catechesi ai bambini e si assegnata a singoli membri parte dei bambini). evidente che, anche nel caso in cui un singolo membro attua una deliberazione per il fatto che stato a ci incaricato, in quel singolo agisce comunque il soggetto unitario (in questo singolo catechista la parrocchia stessa che, per esempio, fa catechesi). c) Due tipi di soggetto unitario: lassociazione e la parrocchia Nella struttura della Chiesa possiamo distinguere due tipi di soggetto unitario: lassociazione e la parrocchia. Dellassociazione e della parrocchia indichiamo innanzitutto una differenza essenziale e quindi le conseguenze relativamente alla deliberazione del soggetto e relativamente alla rappresentanza di esso.

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aa) Una differenza essenziale Nella associazione ciascun membro ha una posizione gerarchica uguale a quella di ciascun altro; il capo (presidente) ha quindi una posizione gerarchica uguale a quella degli altri membri, con formula tradizionale primus inter pares. Nella parrocchia uno dei membri (cio il capo, ossia il parroco) ha una posizione gerarchica superiore a quella degli altri membri. bb) Conseguenza relativamente alla deliberazione del soggetto Nella associazione il voto di ciascun membro ha valore uguale a quello di ciascun altro; il voto del capo (presidente) ha valore uguale a quello degli altri membri. Nella parrocchia il voto del parroco ha valore superiore a quello degli altri membri. Cosa significa, relativamente al voto, valore uguale e valore superiore? Valore uguale significa che, posta una maggioranza, questa la deliberazione del soggetto unitario anche se, tra i voti che formano la maggioranza, non c quello del capo. Valore superiore significa che, posta una maggioranza, questa la deliberazione del soggetto unitario solo se, tra i voti che formano la maggioranza, c il voto del capo. Cosa determina ci a livello di deliberazione del soggetto? Nella associazione la deliberazione consiste nella maggioranza dei voti, anche se tra questi non c il voto del presidente. Nella parrocchia la deliberazione (prescindiamo qui dal problema del voto consultivo o deliberativo e ragioniamo solo in astratto) consiste nella maggioranza dei voti, solo se tra questi c quello del parroco.

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cc) Conseguenza relativamente alla rappresentanza del soggetto Premettiamo che, sia il presidente relativamente allassociazione, sia il parroco relativamente alla parrocchia rappresentano il soggetto. la cosiddetta personalit corporativa Ci significa che, quando il presidente o il parroco pongono un atto (o di deliberazione o di attuazione di essa) il soggetto stesso che pone questo atto. Vediamo ora la differenza. Nella associazione il presidente pone un atto, rappresentando in ci lassociazione, per il fatto che ha ricevuto dallassemblea il mandato a porre quellatto. Nella parrocchia il parroco pone un atto, rappresentando in ci la parrocchia, non per il fatto che ha ricevuto dallassemblea dei fedeli mandato a porre quellatto, ma per il fatto che presbitero ed stato nominato dal Vescovo. d) I modi in cui la parrocchia agisce come soggetto unitario aa) I modi sono i due seguenti: o agisce il parroco come rappresentante della parrocchia; o agisce la comunit sotto la presidenza del parroco. bb) Per tale motivo: la deliberazione pu essere assunta: o dal parroco da solo; o dalla comunit intera sotto la presidenza del parroco (secondo lo schema del consultivo ecclesiale), sia in forma di assemblea, sia nella forma del consiglio pastorale parrocchiale; la deliberazione pu essere attuata: o dal parroco da solo; o dalla comunit sotto la presidenza del parroco; o dai singoli membri con lapprovazione del parroco o della comunit, sempre sotto la presidenza del parroco.

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e) La partecipazione di tutti i fedeli Dobbiamo ripetere che nel caso in cui agisce (delibera e attua) il parroco da solo, la parrocchia stessa, come soggetto unitario, che agisce nel parroco, per il fatto che il parroco rappresenta la parrocchia. Ci tuttavia non deve essere cos enfatizzato (come si fatto e ancora si fa) che gli altri membri della parrocchia rimangano esclusi dallazione. Al contrario, tutti i membri devono essere attivi e sempre pi attivi, sia nel prendere le deliberazioni sia nellattuare le stesse. E se nel prendere le deliberazioni non tutti i membri della parrocchia, quando questa numerosa, possono partecipare fisicamente, e per tale motivo esiste il consiglio pastorale parrocchiale, di grandissima importanza che tutti i membri siano attivi nellelezione dei membri di quel consiglio. Quale la posizione del Codice? Possiamo rispondere che, mentre da un lato la partecipazione di tutti i fedeli giustamente prevista nei due consigli parrocchiali (cc. 536-537), dallaltro lato lottica del Codice nel senso che il parroco da solo decide e attua le attivit della parrocchia (cf cc. 528-529). Come conclusione, ci permettiamo unanalogia: la celebrazione eucaristica fatta dal solo parroco sarebbe del tutto valida e sarebbe azione della comunit (cf c. 899, par. 1: azione... della Chiesa; c. 837, par. 1: celebrazioni della Chiesa stessa; 904: ... celebrazione quotidiana, la quale, anche quando non si possa avere la presenza dei fedeli, sempre un atto di Cristo e della Chiesa...). Nondimeno, nessun parroco, sano di mente, potrebbe pensare che sia bene celebrare lEucaristia senza la partecipazione dei fedeli, e proprio di tutti (cf ancora il c. 837, par. 2). Non dobbiamo forse pensare lo stesso almeno analogicamente di tutte le altre attivit della parrocchia? f) La figura dei singoli fedeli e quella del parroco nella predetta visione della parrocchia In questa visione vengono valorizzate la figura dei fedeli e quella del parroco. I fedeli sono valorizzati poich vengono considerati non come singoli, ma come membri della parrocchia e quasi suoi strumenti. Sono attivi, e in modo comunionale. Specialmente la figura del parroco viene molto sottolineata. Egli veramente il capo o presidente della comunit-soggetto. In lui una

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pluralit di persone trova la sua unit. Egli dirige lazione comune. per usare limmagine gi sopra proposta come il direttore dorchestra, che aiuta i singoli a scoprire lo strumento a ciascuno pi congeniale, quindi insegna come suonarlo e finalmente dirige il suono comune. Egli svolge la sua azione non solo verso i singoli, ma anche, ed essenzialmente, verso lintero corpo. In questo senso, pi profondo e vero, si deve intendere il concetto di pastore e di cura pastorale (di cui parla pi volte il Codice come visto). E in questo senso, pi che di pastore, dovremmo parlare di capo o presidente (oppure s di pastore, ma inteso come capo o presidente). Infatti lespressione pastore, a cui si riferisce lespressione gregge, pu essere intesa in modo meno corretto, cio tale da sottolineare lattivit del pastore per il gregge e da concepire il pastore come attivo, cio come colui che d, e il gregge come passivo, cio come colui che riceve. Lespressione capo o presidente insinua invece una visione concettualmente assai diversa. Circa la struttura della parrocchia, essa manifesta che il parroco riconduce ad unit i suoi fedeli, quindi che la parrocchia una comunit, lunit dei fedeli e del parroco, dei fedeli sotto la direzione del parroco come capo o presidente. Circa lattivit, non si sottolinea lattivit del parroco per la salvezza dei fedeli, con i fedeli che ricevono lattivit del parroco, ma lattivit congiunta, sebbene gerarchicamente coordinata, dei due elementi della comunit (cf ancora il c. 899, par. 2). Del resto, la predetta concezione sembra essere bene espressa riguardo alla diocesi e al Vescovo diocesano da queste parole: La diocesi la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la cooperazione del presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito santo mediante il Vangelo e lEucaristia, costituisca una Chiesa particolare in cui veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica (c. 369). Nel testo citato si trovano le espressioni: pastore, affidata alla cura pastorale (pascenda concreditur). Il significato di queste espressioni appare chiaramente il seguente: pastore colui al quale il popolo aderisce e colui perci che riunisce il popolo, fa lunit del popolo; ci avviene mediante gli uffici dellinsegnare (mediante il Vangelo) e del santificare (e lEucaristia). La cura pastorale, a sua volta, definita nello stesso modo. Questa porzione del popolo di Dio viene cos costituita come Chiesa particolare.

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Dobbiamo ammettere che limmagine predetta davvero congrua e soddisfacente. In tale modo si deve concepire anche la parrocchia. g) La sopradescritta visione presente nel Codice, precisamente nei canoni sulla parrocchia? ben difficile trovare nel Codice elementi espliciti e convincenti sulla soggettivit attiva della parrocchia. Se non, forse, nel testo del c. 528, par. 2: ... la santissima Eucaristia sia il centro dellassemblea parrocchiale dei fedeli..., dove, almeno implicitamente, la parrocchia come comunit sembra essere concepita come soggetto unitario dellattivit di celebrare lEucaristia. In altre parole, mentre la parrocchia definita ottimamente come comunit di fedeli avente a capo un presbitero sotto lautorit del Vescovo diocesano (cf cc. 515, par. 1; 516, par. 1), questo concetto scompare tuttavia nei testi seguenti, che parlano del parroco e della sua attivit per la salvezza dei fedeli. Soltanto in alcuni luoghi il Codice parla esplicitamente del ruolo proprio dei laici, mentre non parla della parrocchia come soggetto unitario agente. Tuttavia ci contenuto nella stessa definizione di parrocchia e proprio secondo il Codice: la parrocchia comunit di fedeli (c. 515, par. 1). Tale definizione fu scelta dallapposita Commissione che preparava i canoni, tra cui quello sopra citato, con la motivazione che nella parrocchia si verifica una dinamica interazione tra pi persone unite sotto le stesso Pastore. E quindi da questa definizione devono essere tratte tutte le implicazioni in essa contenute. Pertanto nella nostra visione soggetto di azione ecclesiale, in ultima e pi profonda istanza, non sono n il parroco n gli altri fedeli intesi come singoli, ma la parrocchia stessa intesa come comunit, come soggetto unitario. In questo senso, possiamo ricorrere anche al c. 515, par. 3, dove si afferma che la parrocchia persona giuridica: orbene la parrocchia, in quanto persona giuridica, precisamente soggetto unitario ed soggetto che agisce per lattuazione delle finalit che le sono proprie. FRANCESCO COCCOPALMERIO Piazza Fontana, 2 20122 Milano

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Il parroco come evangelizzatore: lesercizio del munus docendi (c. 528, par. 1)
di Mauro Rivella

Dal momento che il popolo di Dio viene radunato in primo luogo dalla parola di Dio vivente, che del tutto legittimo ricercare dalle labbra dei sacerdoti, i sacri ministri abbiano in grande considerazione il ministero della predicazione, essendo tra i loro principali doveri annunciare a tutti il Vangelo di Dio (c. 762).

Questaffermazione programmatica, contenuta nel primo dei canoni che il Libro III del Codice di diritto canonico dedica al tema della predicazione della parola di Dio, ci aiuta a comprendere il rilievo che il Codice stesso attribuisce, nel tratteggiare i compiti del parroco, alla funzione di insegnamento. Riportiamo per comodit il testo del c. 528, par. 1:
Il parroco tenuto a fare in modo che la parola di Dio sia integralmente annunciata a coloro che si trovano nella parrocchia; perci curi che i fedeli laici siano istruiti nelle verit di fede, soprattutto con lomelia delle domeniche e delle feste di precetto e con listruzione catechetica; favorisca inoltre le attivit che promuovono lo spirito evangelico, anche in ordine alla giustizia sociale; abbia cura speciale della formazione cattolica dei fanciulli e dei giovani; si impegni in ogni modo, anche con la collaborazione dei fedeli, perch lannuncio evangelico giunga anche a coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la vera fede.

Ben poco troviamo al riguardo nel Codice del 1917: il c. 467, par. 1 si limitava ad elencare, fra i doveri del parroco, quello di conoscere le sue pecore e correggere con prudenza gli erranti, e quello di applicare il massimo impegno nelleducazione cattolica dei fanciulli. Ora assai diverso il rilievo che viene attribuito al tema dal nuovo Codice: esso rispecchia lautocomprensione della Chiesa e del

Il parroco come evangelizzatore: lesercizio del munus docendi (c. 528, par. 1)

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ministero ordinato maturata grazie al Concilio Vaticano II ed approfondita dal magistero postconciliare. proprio nei testi del Vaticano II che dobbiamo cercare le radici delle indicazioni contenute nel c. 528, par. 1, tenendo presente che esse non intendono determinare tassativamente n esaurire le attribuzioni del parroco nellambito dellinsegnamento, ma metterne piuttosto in rilievo le componenti salienti, lasciando alle situazioni concrete ed allinventiva di ciascuno ulteriori specificazioni. Tali attribuzioni fondamentali si inscrivono nella natura stessa del ministero presbiterale, che partecipa alla missione dellunico mediatore Cristo, nella triplice funzione di predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino (cf Lumen Gentium, 28). Il testo conciliare a noi pi vicino Christus Dominus, 30: Per quanto riguarda la funzione di insegnare, i parroci devono predicare la parola di Dio a tutti i fedeli, perch essi, radicati nella fede, nella speranza e nella carit, crescano in Cristo e la comunit cristiana renda quella testimonianza di carit, che il Signore ha raccomandato; e ugualmente con unistruzione catechistica, appropriata allet di ciascuno, devono condurre i fedeli alla piena conoscenza del mistero della salvezza. In special modo ai parroci e a quanti altri affidata la cura danime compete lannuncio del Vangelo e della dottrina cristiana (cf c. 757): non si tratta evidentemente di unattribuzione esclusiva, ma prioritaria, connessa con il fatto che il parroco il pastore proprio della comunit a lui affidata (cf c. 519) ed il principale collaboratore del Vescovo diocesano garante della tradizione apostolica e moderatore di tutto il ministero della Parola (cf c. 756, par. 2) nellesercizio della triplice funzione di insegnamento, santificazione e governo. Proviamo ora a leggere il c. 528, par. 1 lasciandoci guidare da un duplice interrogativo: che cosa il parroco deve fare, cio compete in modo specifico al suo ufficio, e che cosa piuttosto deve far fare, cio suscitare nella comunit a lui affidata? Che cosa deve fare il parroco? Il parroco tenuto a far in modo che la parola di Dio sia integralmente annunciata a coloro che si trovano nella parrocchia: questa la disposizione fondamentale del canone, di cui tutto il resto co-

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stituisce unesplicitazione. La forza con cui il concetto rimarcato ne evidenzia la centralit: potremmo dire che, se mancasse lopera di annuncio della Parola, verrebbe meno una delle ragioni dessere della parrocchia. Che cosa si intende qui per parola di Dio? Come stato autorevolmente rilevato 1, lespressione va intesa in senso ampio: indica non solo le verit da credersi per fede divino-cattolica, cio il complesso delle verit rivelate da Dio e contenute nella Scrittura e nella Tradizione, ma anche linsieme della dottrina proposto dalla Chiesa con magistero autentico, compresi gli aspetti dellinsegnamento morale. In sintesi, si pu affermare che oggetto dellannuncio deve essere tutto quanto il deposito dottrinale della Chiesa, dando evidentemente a ciascun contenuto limportanza che merita nella gerarchia delle verit. Lannuncio deve qualificarsi come integrale, concetto del resto ribadito dal c. 760: Nel ministero della Parola... sia integralmente e fedelmente proposto il mistero di Cristo. necessaria una presentazione che sia nel contempo rispettosa della totalit del messaggio, senza sottacerne gli aspetti pi difficili o meno graditi alluditorio, e non distorcente nellinterpretazione, ma anzi tale da favorirne la piena e autentica comprensione 2. Ci richiede nei pastori una conoscenza accurata non solo della Parola, mediante lapprofondimento esegetico del testo biblico e delle sue interpretazioni spirituali, cos come dei documenti magisteriali, ma anche la conoscenza della parola, cio delle leggi proprie della comunicazione. Rientra in questa dimensione, e non in modo secondario, lattenzione concreta ai recettori del messaggio, dal momento che la Parola, che pure dispone di una sua forza intrinseca, esige di essere inculturata nei diversi contesti in cui si realizza lazione pastorale. Il fare in modo ci che innanzi tutto il parroco tenuto a fare: a lui il Codice affida il compito di garanzia e coordinamento
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F. COCCOPALMERIO, Il ministero del parroco nel nuovo Codice di diritto canonico, Orientamenti pastorali, 33 (1985), pp. 14-15. Vedi anche: P. URSO, La struttura interna delle Chiese particolari, in Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. II, Pontificia Universit Lateranense, Roma 1990, pp. 473- 476. 2 Cos si esprime il Direttorio catechistico generale al n. 13 (EV/4, 482): I pastori della Chiesa hanno il compito non solo di proclamare e spiegare direttamente al popolo di Dio il deposito della fede che loro affidato, ma anche di discernere con autenticit le formulazioni e le spiegazioni proposte dai fedeli, cos che nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si crei una singolare unit di spirito tra i Vescovi e i fedeli. Lultima affermazione una citazione da Dei Verbum, 10.

Il parroco come evangelizzatore: lesercizio del munus docendi (c. 528, par. 1)

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di una presentazione retta, completa ed efficace del messaggio cristiano. Le specificazioni che seguono sono piuttosto nella linea del far fare: il Codice non chiede al parroco di riservare a s alcuna delle funzioni indicate, cosa che del resto non sarebbe giustificata dalla loro natura, ma di assicurare, mediante la supervisione di chi ha il quadro globale delle iniziative parrocchiali e sa su quali forze la comunit pu contare, che effettivamente non rimangano zone dombra nellannuncio della Parola e che tale annuncio possa giungere capillarmente a tutti i fedeli presenti, in maniera stabile o occasionale, nella sua parrocchia. Che cosa deve far fare il parroco? Il c. 528, par. 1 enumera quattro obiettivi prioritari, rimandando implicitamente per una trattazione pi analitica ai corrispondenti canoni del Libro III: a) listruzione dottrinale, con particolare riguardo allomelia durante la Messa e alla catechesi; b) le attivit che promuovono lo spirito evangelico; c) la formazione cattolica dei giovani e dei fanciulli; d) lannuncio ai lontani e a quanti non credono. a) ben comprensibile che vengano anzitutto richiamate le occasioni classiche della formazione cattolica, cio lomiletica e la catechesi: lomelia, che il c. 767, par. 1 definisce eminente fra le forme di predicazione, parte della liturgia riservata ai ministri ordinati, in quanto espressione nella comunit della funzione di presidenza; essa d occasione di illustrare i misteri della vita di Cristo e di far comprendere il significato profondo delle varie parti della celebrazione. Il c. 767 specifica nei par. 2 e 3 che lomelia obbligatoria la domenica e nelle feste di precetto, mentre assai raccomandata nei giorni feriali, soprattutto nei tempi forti di Avvento e Quaresima, nelle feste e in occasione di eventi luttuosi. Il par. 4 del medesimo canone richiama espressamente il dovere del parroco o del rettore della chiesa di far osservare questa disposizione. Tra le altre possibili forme di predicazione, il Codice si limita a richiamare gli esercizi spirituali e le missioni al popolo, che devono essere organizzate dai parroci in tempi determinati, secondo le disposizioni del Vescovo diocesano (cf c. 770).

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Quanto alla cura dellistruzione catechetica, il c. 773, la definisce dovere proprio e grave soprattutto dei pastori danime,indicandone la finalit nel dare carattere vivo, esplicito e operoso alla fede dei fedeli: chiaro che la catechesi non pu esaurirsi in un compito di informazione o di documentazione, ma secondo le parole dellEpiscopato italiano deve proporsi lo scopo di nutrire e guidare la mentalit di fede 3. Il Codice conferma cos la sua opzione a favore di una catechesi su base parrocchiale, che non nega n si contrappone ad altre forme diversificate, per certi versi pi agili ed incisive, come possono essere quelle di gruppi e movimenti di spiritualit, ma ne riafferma il carattere capillare ed aperto a tutti 4. b) Quali sono le attivit che promuovono lo spirito evangelico? La formulazione attuale piuttosto indeterminata il frutto dei rimaneggiamenti a cui il testo stato sottoposto durante i lavori preparatori 5. Lidea sottesa probabilmente questa: la formazione dottrinale non si limiti soltanto a prospettare una conoscenza, ma conduca a scelte operative ispirate al Vangelo 6. In questo senso sarebbe riduttivo restringere lambito di azione del cristiano alla sola giustizia sociale, secondo lesemplificazione del canone stesso 7. c) Di forte impatto pastorale la sottolineatura delleducazione cattolica dei fanciulli e dei giovani: essa non sminuisce il compito prioritario attribuito dal c. 793 ai genitori n contrasta con il rilievo che i cc. 796-806 attribuiscono alle scuole cattoliche. Del resto, il
Cf Il rinnovamento della catechesi, 38 (ECEI/1, 2482). In modo analogo si esprime il Direttorio catechistico generale, al n. 20 (EV/4, 490): I pastori tengano ben presente il loro dovere di assicurare e di promuovere, per ogni et della vita e per ogni situazione storica, mediante la parola di Dio lilluminazione dellesistenza cristiana, in modo che ognuno, sia il singolo fedele che lintera comunit, venga raggiunto nello stato spirituale in cui si trova. 4 Viene cos ribadita la scelta fatta dal papa Giovanni Paolo Il nellesortazione apostolica Catechesi tradendae, al n. 67 (EV/6, 1919): Senza stabilire monopoli n rigide uniformit, la parrocchia resta il luogo privilegiato della catechesi. Essa deve ritrovare la propria vocazione, che quella di essere una casa di famiglia, fraterna ed accogliente, dove i battezzati e i cresimati prendono coscienza di essere popolo di Dio. 5 Cos suonava il canone nello Schema 1977: Parochus curet ut christifideles in fidei veritatibus recte edoceantur,... utque opera foveat quibus in universis actionibus suis spiritu evangelico imbuantur: cf Communicationes, 13 (1981), p. 277. 6 Il ministro della parola deve essere pienamente cosciente del compito a lui affidato, cio quello di suscitare una viva fede che converta la mente a Dio, spinga ad aderire alla sua azione, conduca ad una viva conoscenza dei contenuti della tradizione, riveli e manifesti il vero significato del mondo e dellesistenza umana: Direttorio catechistico generale, 16 (EV/4, 485). 7 Questa obiezione fu gi sollevata nella fase di elaborazione del testo: cf Communicationes, 13 (1981), p. 279.
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Il parroco come evangelizzatore: lesercizio del munus docendi (c. 528, par. 1)

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par. 2 del c. 794 a ricordare il dovere dei pastori danime di disporre ogni cosa, perch tutti i fedeli possano fruire delleducazione cattolica. Possiamo ben capire come la parrocchia, con la duttilit delle strutture di cui dispone (gruppi, oratori, percorsi di formazione) si presti assai bene ad offrire a chi vive nellet della crescita un progetto di educazione globale. Il capitolo della catechesi quello dove maggiormente sono chiamati a collaborazione i membri degli Istituti di vita consacrata (c. 758), soprattutto quelli il cui carisma di fondazione connesso con la cura dei giovani e leducazione. d) Lannuncio ai lontani e a quanti non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica ricopre in realt due ambiti assai diversi: il primo a sua volta coinvolge anzitutto quanti per la loro condizione di vita non usufruiscono a sufficienza della comune e ordinaria cura pastorale o ne sono totalmente privi (c. 771, par. 1): possiamo pensare a chi svolge particolari lavori o ai malati; ma non va trascurato lambito dei non credenti (c. 771, par. 2) e di quanti, pur senza aver deliberatamente abbandonato la fede cattolica, di fatto vivono nellindifferenza, in una sorta di ateismo pratico. Il secondo riferimento invece ai cristiani non cattolici: con una formulazione che avrebbe potuto essere pi felice 8, si ricorda il dovere del parroco di rivolgersi anche a loro con rispetto del loro credo e sollecitudine di pastore. Il significato globale dellindicazione un richiamo alla missionariet, come componente costitutiva della vita parrocchiale, che ne evita listerilirsi nel ripiegamento sul piccolo gregge dei devoti e degli impegnati 9. Resta ancora da ribadire come tutti questi orientamenti richiedano la fattiva collaborazione di ogni componente della comunit parrocchiale: anzitutto degli altri sacerdoti e dei diaconi assegnati alla parrocchia, chiamati a condividere pi direttamente la sollecitudine pastorale; poi dei consacrati, in particolar modo quanti sono spinti dal loro carisma allannuncio ed alla catechesi; dei laici, soprattutto

Il dibattito in sede preparatoria riportato in Communicationes, 14 (1982), p. 224. Cos si esprimeva con molta incisivit il papa Paolo VI nellesortazione apostolica Evangelii nuntiandi, al n. 57 (EV/5, 1661): Conscia del suo dovere di predicare la salvezza a tutti, sapendo che il messaggio evangelico non riservato a un piccolo gruppo di iniziati, di privilegiati o di eletti ma destinato a tutti, la Chiesa fa propria langoscia di Cristo di fronte alle folle sbandate e sfinite come pecore senza pastore e ripete spesso la sua parola: Sento compassione di questa folla.
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di quelli che ricoprono ministeri istituiti o di fatto; infine dei genitori, a cui compete a titolo specialissimo il dovere di garantire ai figli uneducazione cattolica. la natura stessa della parrocchia a rendere non solo sconsigliabile, ma addirittura deleterio che il parroco concentri in s ogni funzione di insegnamento, e ci non solo per limpossibilit pratica di adempiere in modo adeguato a ciascuna attribuzione, ma soprattutto perch ne risulterebbe gravemente sminuita la ricchezza dei contributi offerti dalla competenza e dai carismi di ciascuno, ed ancor pi dalla loro messa in comune per la crescita e ledificazione della comunit. RIVELLA DON MAURO Via F. Lanfranchi, 10 10131 Torino

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Il munus sanctificandi del parroco (c. 528, par. 2)


di Gianni Trevisan

Riflettere sul munus sanctificandi del Parroco, oggetto del presente articolo, riflettere prima di tutto sul munus sanctificandi di tutta la Comunit Parrocchiale. Le norme giuridiche da un verso manifestano il rapporto che intercorre tra la Chiesa, la Comunit Parrocchiale la quale santifica soprattutto attraverso i suoi atti liturgici (c. 834) e il Parroco e dallaltro lo garantiscono, disciplinandone lattivit. Nella comunit della Chiesa ognuno ha il suo ruolo, il suo ministero, il suo carisma, vivendo il quale entra nel Mistero di Cristo che si attua nei secoli e rende a Dio il culto spirituale. Ognuno per usare un linguaggio canonistico ha diritti e doveri. in questa prospettiva comunitaria e personalistica che il Codice colloca lufficio del Parroco 1, il modo con il quale fa crescere e attua la missione della comunit. Se si cerca di determinare che cosa prescritto lo si fa, quindi, con un ottica ecclesiale, per aiutare cos ciascuno nella comprensione della propria vocazione nella Chiesa, perch il Codice non ha come scopo in nessun modo di sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carit dei fedeli nella vita della Chiesa. Al contrario, il suo fine piuttosto di creare tale ordine nella societ ecclesiale che assegnando il primato allamore, alla grazia e ai carismi, rende pi agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della societ ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono (Sacrae disciplinae leges).
1

MORGANTE M., Nella Parrocchia ad ognuno il suo compito, in Orientamenti Pastorali 35 (1987) 33-48.

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Gianni Trevisan

Nellarticolo non mi limito a considerare solamente il munus liturgico del Parroco, ma intendo prendere in considerazione il munus sanctificandi 2, perch la Chiesa adempie la funzione di santificare anche con altri mezzi, cio con la preghiera, mediante la quale si supplica Dio affinch i fedeli siano santificati nella verit, come pure nelle opere di penitenza e di carit, le quali aiutano grandemente a radicare e corroborare il Regno di Cristo nelle anime e contribuiscono alla salvezza del mondo (c. 839, par. 1). Nel presente articolo, prendo in esame in particolare il c. 528, par. 2, per spiegare come il Parroco deve esercitare il munus sanctificandi. Ci si accorge subito che il testo normativo segue una doppia linea: ci che il Parroco deve fare e ci che deve far fare 3. a) Che cosa deve far fare il Parroco?
Il Parroco faccia in modo che la santissima Eucaristia sia il centro dellassemblea Parrocchiale dei fedeli; si adoperi perch i fedeli si nutrano mediante la celebrazione devota dei sacramenti e in modo speciale perch si accostino frequentemente al sacramento della santissima Eucaristia e della penitenza; si impegni inoltre a fare in modo che i fedeli siano formati alla preghiera, da praticare anche nella famiglia e partecipino consapevolmente e attivamente alla sacra liturgia...

La prima parte del canone 528, par. 2 riprende quasi alla lettera Christus Dominus 30, 2:
Nellassolvere alla funzione di santificazione, i Parroci abbiano cura che la celebrazione del sacrificio eucaristico sia il centro e il culmine di tutta la vita della comunit cristiana; si sforzino inoltre, perch i fedeli alimentino la loro vita spirituale ricevendo devotamente e frequentemente i santi sacramenti e partecipando consapevolmente e attivamente alla liturgia. I Parroci si ricordino anche che il sacramento della Penitenza contribuisce al massimo a sostenere la vita cristiana: quindi si mostrino sempre pronti ad ascoltare le confessioni dei fedeli, chiamando in aiuto, se occorra, anche altri sacerdoti che conoscano bene varie lingue.

Come si vede il testo del Codice rilegge il Concilio tenendo conto delle situazioni concretamente possibili; ad esempio non dice che
Non agevole tradurre in italiano il termine munus: si potrebbero usare: carisma, compito, diritto, dovere, funzione, mandato, ministero, missione, servizio, ufficio ecc., ma nessuno di questi termini adatto per indicare la realt nella sua globalit. 3 Per non appesantire il discorso non prender in considerazione le parrocchie personali e quelle la cui cura pastorale affidata ad un gruppo di sacerdoti con un moderatore.
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Il munus sanctificandi del parroco (c. 528, par. 2)

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centro della comunit la celebrazione dellEucaristia, ma la santissima Eucaristia, perch in certe regioni il Parroco non pu celebrare sempre, data la scarsit del clero e le grandi distanze; ed i fedeli si radunano da soli attorno allEucaristia per pregare 4. Si pu osservare inoltre che ci troviamo di fronte a fondamentali indicazioni, che, sebbene a prima vista possano sembrare esortazioni parenetiche o spirituali di scarso valore giuridico, sono invece la definizione del campo dazione del Parroco dentro la Comunit Parrocchiale. Si discusso e si continua ancora a riflettere sulla natura della Parrocchia 5 nel tentativo di renderla qualcosa di diverso dalla stazione di servizio o dallorganizzazione burocratica. Il Codice chiede al pastore proprio cio al capo o presidente di pensarla e di attuarla come comunit che si raccoglie intorno allEucaristia, ai sacramenti e alla preghiera, anche personale e familiare. Non credo si intenda ridurre la Parrocchia alla funzione rituale a scapito di altri ruoli, che dopo il Concilio sono emersi in primo piano e ci hanno presentato una Chiesa evangelizzatrice, missionaria, caritativa ecc. Tutto il malinteso deriva dal fatto che quando alcuni sentono la parola culto, liturgia (e in certa misura vi compresa anche lEucaristia domenicale) pensano al vecchio concetto di liturgia ancora duro a morire, che i manuali di una volta riducevano effettivamente ad un insieme di cerimonie sia pure compiute piamente e con grande scrupolo di fedelt nei minimi dettagli. Eseguire ci che prescritto, anche se non aveva senso o non si capiva, poteva essere soggettivamente espressione di virt, ma mettere in primo piano questo apparato estraneo non corrispondeva certo al senso inculcato nellAntico Testamento e nel Nuovo Testamento e nella sana tradizione liturgica. ...Noi con lEucaristia non celebriamo altro che il sacramento (= segno efficace) di quel sacrificio, di quellautodonazione suprema di amore al Padre e per i fratelli, la richiamiamo e attualizziamo nel segno memoriale, in modo che il Signore volta per volta assuma dentro la sua, la nostra offerta di vita, reale, concreta. La Lumen gentium (n. 37) ci fa sapere che tutto il tessuto della nostra vita ordinaria (il capitolo sui laici), il mondo stesso che ci circonda, possono e

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Communicationes 13 (1981) 279. BONICELLI C., Parrocchia, molti progetti. Lettura critica, in Orientamenti pastorali 35 (1987) 49-62.

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debbono essere uniti allofferta di Cristo, alla gloria del Padre oltre che alla nostra santificazione. ...Quando si daccordo che il culto cristiano vuol dire questo, intende celebrare questa realt vitale per tutti, specialmente nel momento culminante dellEucaristia, come si pu mettere in dubbio che qui sta il perno della vita cristiana spesa per amore, il culmen et fons dove si costruisce la Chiesa Corpo di Cristo, tempio vivo dove si esercita il nuovo culto spirituale, con tutta la sua virtus dinamica? 6. Il momento liturgico una dimensione di tutta lesistenza sia del cristiano che della Comunit Parrocchiale. Esso manifesta quel culto spirituale che tutta la vita cristiana. Indistinto quindi il limite tra annuncio, sacramento e carit, che sono, peraltro, aspetti direttamente proporzionali: pi si sviluppa luno, pi cresce laltro. Quali sono le conseguenze sul piano giuridico? Soggetti dellazione liturgica sono i fedeli tutti; non si chiede al Parroco di fare lui, come fosse lunico protagonista, ma di far s che anche gli altri fedeli della Parrocchia agiscano:
Il Parroco faccia in modo che la Santissima Eucaristia sia...; si adoperi perch i fedeli...; si impegni inoltre a fare in modo che i fedeli....

Si tratta forse soltanto di sfumature che tengono conto anche delle situazioni particolari? Ad esempio, il caso del Parroco che non pu svolgere del tutto il suo ministero, sia per la vastit degli impegni di cura danime, sia perch altri possono essere pi adatti. Non sono sfumature, perch la norma rivela un principio: la partecipazione e la corresponsabilizzazione dei fedeli della Parrocchia, sia laici che presbiteri e diaconi (cf c. 835) acquista un particolare rilievo riguardo alla celebrazione della liturgia. Infatti:
Par. 1. Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa stessa, che sacramento di unit, cio popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei Vescovi; perci appartengono allintero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi di esso vi sono in-

Editoriale in Rivista liturgica 78 (1991) 149-150. Tutto il fascicolo affronta il tema monografico: Vita liturgica - Vita Parrocchiale.

Il munus sanctificandi del parroco (c. 528, par. 2)

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teressati in modo diverso, secondo la diversit degli ordini, delle funzioni e dellattuale partecipazione. Par. 2. Le azioni liturgiche, per il fatto che comportano per loro natura una celebrazione comunitaria, vengano celebrate, dove ci possibile, con la presenza e la partecipazione attiva dei fedeli (c. 837).

Il Concilio del resto indicava due modi in cui i fedeli alimentano la loro vita spirituale: ricevendo devotamente e frequentemente i santi sacramenti e partecipando consapevolmente e attivamente alla liturgia (Christus Dominus 30). Perci non si tratta solo di necessit, ma soprattutto di esigenza ecclesiale, perch tutti i fedeli sono titolari della missione della Chiesa. semplicistico vedere il Parroco (unico soggetto) che per il suo sacerdozio ministeriale, santifica tutti i singoli Parrocchiani (destinatari), ma tutta la Comunit Parrocchiale, sacerdoti e fedeli laici, sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli, che si santifica partecipando attivamente alla liturgia, pregando e vivendo la carit. Questa partecipazione non si improvvisa, n automatica conseguenza dei cambiamenti liturgici o rituali; essa esige una previa formazione attenta e paziente, e una celebrazione dignitosa, eloquente e viva 7. Una seconda conseguenza appare evidente. Al Parroco non chiesto solamente che le cerimonie liturgiche procedano formalmente bene, ma deve soprattutto far crescere nei singoli fedeli una vita liturgica e di preghiera interiorizzata, consapevole e convinta:
...la santissima Eucaristia sia il centro dellassemblea Parrocchiale dei fedeli; ...i fedeli si nutrano mediante la celebrazione devota dei sacramenti...; ...i fedeli siano formati alla preghiera, ...e partecipino consapevolmente e attivamente alla sacra liturgia....

Ci che il Parroco deve preoccuparsi di far nascere nei fedeli a lui affidati ladesione interiore, frutto del convincimento personale e della Grazia di Dio, in altre parole: la fede.
Poich il culto cristiano, nel quale si esercita il sacerdozio comune dei fedeli, opera che procede dalla fede e in essa si fonda... (c. 836).

URSO P., La struttura interna delle Chiese particolari, in Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. II, Pontificia Universit Lateranense, Roma 1990, p. 477.

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Pertanto dovere del Parroco lottare contro il formalismo liturgico e aiutare i fedeli a purificare le manifestazioni devianti della vita di fede. Un accenno merita di essere fatto riguardo a quelle forme di religiosit che sono indicate con il nome di piet popolare. Invita a riflettere lindicazione data da Evangelii nuntiandi 48: Si trovano presso il popolo espressioni particolari della ricerca di Dio e della fede... La carit pastorale deve suggerire a tutti quelli, che il Signore ha posto come capi di comunit ecclesiali, le norme di comportamento nei confronti di questa realt, cos ricca e insieme cos vulnerabile. Prima di tutto occorre esservi sensibili, saper cogliervi le sue dimensioni interiori e i valori innegabili, essere disposti ad aiutarla a superare i suoi rischi di deviazione. Ben orientata, questa religiosit popolare pu essere sempre pi, per le nostre masse popolari, un vero incontro con il Dio di Ges Cristo 8. Ma il problema, che diventa angosciante per molti parroci, lammissione ai sacramenti di chi sembra non disposto, di chi sembra non avere la fede. La soluzione pi semplicistica consiste nel cercare criteri oggettivi per valutare il grado di fede delle singole persone in base ai quali, come conseguenza logica, ammettere il fedele e cacciare linfedele. una strada che il Codice riconosce valida per i casi pi gravi ed evidenti, che generano sicuro scandalo nei fedeli. Ma accanto a questa il Codice ne indica anche una pi lunga e che richiede maggior impegno e ansia pastorale: se non c la fede, oppure se ce n poca, possibile ottenere da Dio che cresca e si alimenti attraverso levangelizzazione, la catechesi, la preghiera e le opere di carit.
Poich il culto cristiano, nel quale si esercita il sacerdozio comune dei fedeli, opera che procede dalla fede e in essa si fonda, i ministri sacri provvedano assiduamente e ravvivarla e illuminarla, soprattutto con il ministero della parola, mediante la quale la fede nasce e si nutre (c. 836).

Questopera per ravvivare e illuminare la fede orientata a tutti e il Parroco responsabile di attuarla nei confronti dei fedeli che nella sua Parrocchia chiedono i sacramenti.
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EV V, 1647.

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Latteggiamento pastorale non pi: chi devo ammettere?, ma diventa come devo fare perch cresca la fede in questa persona che si dimostra disponibile a ricevere un sacramento?. Su questo aspetto fondamentale il rapporto del munus sanctificandi con il munus docendi (catechesi) e regendi (criteri di ammissione) diventa talmente compenetrato che sembra quasi difficile distinguere i tre munera. Una terza conseguenza. Tra i laici il Codice chiede al Parroco di coinvolgere in maniera particolare gli sposi e i genitori, perch siano, in virt del sacramento che hanno ricevuto, animatori della vita di preghiera allinterno della Chiesa domestica, che la famiglia (cf cc. 226, par. 1-2 e 1136). Inoltre, se prendiamo in considerazione pi specificamente quanto i canoni sui sacramenti stabiliscono, risulta che un campo di collaborazione particolare liniziazione cristiana dei figli: si pu dare il Battesimo solo se i genitori lo chiedono e il Parroco verifica con loro la possibilit di uneducazione cristiana dei figli (c. 867); per la Confermazione genitori e pastori danime, soprattutto i Parroci, provvedano affinch i fedeli... vi accedano a tempo opportuno (c. 890); dovere innanzitutto dei genitori..., come pure del Parroco, provvedere affinch i fanciulli... siano..., premessa la Confessione sacramentale, alimentati da questo cibo (Eucaristia) (c. 914). Viene da s, come conseguenza necessaria, il dovere del Parroco di formare in maniera specifica gli sposi e i genitori perch possano esercitare consapevolmente tali diritti-doveri; conseguentemente c un diritto del Parroco di esigere tale preparazione:
I laici... sono tenuti allobbligo e hanno il diritto di acquisire la conoscenza di tale dottrina, in modo adeguato alle capacit e alla condizione di ciascuno (c. 229, par. 1).

Unultima conseguenza. Nel c. 462 del Codice del 1917 alcune funzioni, per lo pi sacramentali, erano riservate (reservatae sunt) esclusivamente al Parroco, mentre nel nuovo Codice il c. 530 indica che tali funzioni potrebbero essere svolte anche da altri presbiteri, perch sono solo affidate (commissae sunt) alla responsabilit del Parroco 9.
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Communicationes 14 (1982) 225.

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Ma allora il ruolo del Parroco solo di regista che sta dietro le quinte? Potrebbe, al limite, affidare tutto ad altri e ad esempio non celebrare mai i sacramenti, pur garantendo che altri li celebrino al suo posto? Fino allinizio di questo secolo era possibile che un fedele fosse Parroco senza essere sacerdote; il Codice del 1917 e lattuale vietano tale possibilit:
Perch uno sia nominato Parroco validamente, deve essere costituito nel sacro ordine del presbiterato (c. 521).

Il disposto del c. 530 vuole prima di tutto garantire la Comunit Parrocchiale nel diritto di ricevere i sacramenti (c. 213), preferendo, quando il Parroco impedito, che lo possa fare un altro sacerdote. Inoltre, solamente il Parroco pastore proprio della Parrocchia affidatagli e non gli altri presbiteri che risiedono in Parrocchia. Ora, se la liturgia richiede di esprimere la verit della vita, sembra contraddittorio che chi pastore proprio e sacerdote di norma non presieda alle celebrazioni liturgiche, con il diritto e il dovere di precedenza su altri. Tuttavia una normativa precisa a riguardo non esiste e un Parroco che, avendone la possibilit, non volesse celebrare i sacramenti per i suoi fedeli, pur garantendone la celebrazione, lo potrebbe fare senza violare alcuna legge, a meno che il Vescovo diocesano non abbia disposto diversamente. questo un punto sul quale il diritto particolare e le disposizioni del Vescovo delle diocesi ricche di clero devono esprimersi. b) Il Parroco moderatore della liturgia Il Codice indica inoltre come compito specifico del Parroco lessere moderatore della liturgia:
... la sacra liturgia, di cui il Parroco deve essere moderatore nella sua Parrocchia, sotto lautorit del Vescovo diocesano e sulla quale tenuto a vigilare perch non si creino abusi.

Per liturgia si intende lesercizio della funzione sacerdotale di Ges Cristo, nel quale per mezzo di segni sensibili viene significata e realizzata, in modo proprio a ciascuno, la santificazione degli uomini e viene esercitato dal Corpo mistico di Ges Cristo, cio dal Capo e dalle membra, il culto di Dio pubblico integrale (c. 834, par. 1).

Il munus sanctificandi del parroco (c. 528, par. 2)

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In concreto, allinterno della sua Parrocchia, tale dovere riguarda la celebrazione dei sacramenti (cf cc. 849-1165), gli altri atti del culto divino (cc. 1166-1204: sacramentali, della liturgia delle ore, delle esequie, del culto dei santi, delle sacre immagini e delle reliquie, dei voti e dei giuramenti) e i luoghi e i tempi sacri (1205-1253). Come si pu osservare lambito molto esteso e segue il principio che il Parroco responsabile di quanto si verifica dentro la sua Chiesa ed anche responsabile che limmagine della Chiesa non venga pregiudicata nelle funzioni che si svolgono nellambito della sua Parrocchia 10. a) La dipendenza dal Vescovo diocesano Il Parroco partecipa della responsabilit del Vescovo diocesano riguardo al munus sanctificandi non solo come membro del presbiterio, ma, anche e soprattutto perch mandato, nominato come pastore proprio. Riguardo alla responsabilit del Vescovo cos si esprime il Codice:
Il Vescovo diocesano, consapevole di essere tenuto ad offrire un esempio di santit nella carit, nellumilt e nella semplicit di vita, si impegni a promuovere con ogni mezzo la santit dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno, ed essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perch i fedeli affidati alla sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei sacramenti e perch conoscano e vivano il mistero pasquale (c. 387).

Come si pu osservare, se si esclude lo specifico del Vescovo essere il principale dispensatore dei misteri di Dio il resto vale anche per il Parroco; anzi, il Vescovo si serve principalmente del Parroco per promuovere... la santit dei fedeli... e... perch i fedeli... crescano in grazia mediante la celebrazione dei sacramenti e perch conoscano e vivano il mistero pasquale. Pertanto il Parroco non pu agire autonomamente, ma alle dipendenze dal Vescovo; questi domanda al Parroco di obbedire alle direttive liturgiche e pastorali e di vivere in comunione gerarchica con lui. Di questo rapporto fra Parroco e Vescovo diocesano va sottolineato un aspetto molto importante: solo il Vescovo legislatore, non
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Communicationes 13 (1981) 282.

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il Parroco. Spetta al Vescovo diocesano governare la Chiesa particolare a lui affidata con potest legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto (c. 391).
Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dallautorit della Chiesa: ci compete propriamente alla Santa Sede e, a norma del diritto, al Vescovo Diocesano (c. 838, par. 1).

Durante la discussione nella Commissione di revisione del Codice sul futuro c. 528 fu osservato: Lespressione moderari debet significa fare le leggi liturgiche, compito che non appartiene al Parroco, ma al Sommo Pontefice e al Vescovo. Il Parroco ha solo il compito di esigere che vengano rispettate le leggi liturgiche. Il secondo e il sesto relatore sono del parere che il verbo moderari debba rimanere; bisogna fare in modo che vengano evitati abusi nella liturgia e in questo senso il verbo moderari opportuno. Tutti i consultori concordano che il testo rimanga com sia per lespressione invigilare sia per la parola moderari 11. In senso negativo, va esclusa quindi la possibilit che il Parroco possa fare delle leggi per la sua Parrocchia; egli chiamato ad applicarle, non a crearne di proprie. Tale compito di applicare le leggi non meramente meccanico. Di fatto lasciato ampio spazio al Parroco di regolamentare la vita Parrocchiale, allinterno per di quanto gi prescrive la normativa del diritto universale e particolare. Ad esempio. Se il diritto universale chiede come condizione per ammettere al Battesimo che i genitori del battezzando offrano la fondata speranza che sar educato nella religione cattolica (868, par. 1, 2), il Parroco non potr stabilire arbitrariamente una disciplina pi esigente (ad esempio esigendo la certezza morale). La normativa domanda certamente alla sua sensibilit pastorale (qualora il diritto particolare non abbia dato altre indicazioni) di incontrare i genitori, offrendo loro la possibilit di crescere nella fede. Quanto il Parroco si premura di fare giusto e valido, sempre che di fatto non introduca condizioni tali da vanificare il disposto del c. 868, ad esempio, fissando un numero tale di incontri, possibile solo per alcuni e non per tutti.

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Nei casi dubbi o problematici il Parroco ha il diritto e il dovere di rivolgersi al Vescovo diocesano, perch il Vescovo che deve regolamentare situazioni nuove, verificare lesistenza di determinate condizioni, modificare o abolire disposizioni date, che non sono pastoralmente valide. Come indicato dalla commissione di revisione del Codice, il termine moderare comprende quanto viene esplicitato con vigilare. Anche qui vale il principio che il Parroco partecipi della responsabilit del Vescovo:
(Il Vescovo) vigili che non si insinuino abusi di disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero della parola di Dio, nella celebrazione dei sacramenti, nel culto di Dio e dei santi e nellamministrazione dei beni. (c. 392, par. 2).

Di conseguenza al Parroco chiesto di impedire, per quanto in suo potere, che altre persone, sia laici che presbiteri, introducano abusi; nel qual caso dovr informare e chiedere lintervento del Vescovo, qualora gli fosse difficile o impossibile farlo di persona, perch certamente il Vescovo ha maggiori strumenti e possibilit di intervenire. b) La collaborazione con altri presbiteri Essere moderatore indica il diritto e il dovere del Parroco di chiedere, di coordinare e di esigere lattivit di ciascun sacerdote che per ufficio (Vicari Parrocchiali) o saltuariamente presta la sua attivit liturgica in Parrocchia. Nel caso dei Vicari Parrocchiali il Codice stesso che li configura come collaboratori del Parroco (c. 545, par. 1), il quale ne determina in modo pi specifico i diritti e i doveri (c. 548). Pi vaga risulta la figura dei collaboratori saltuari, soprattutto per lattivit liturgico-sacramentale. A volte il Vescovo che richiede ad un presbitero di collaborare in determinate occasioni, in altri casi il Parroco stesso che ricerca faticosamente tale aiuto. Tutti questi sacerdoti non esercitano in Parrocchia un ministero autonomo, ma secondo le direttive del Parroco. Daltro canto non inutile ricordare che i sacerdoti che prestano servizio pastorale saltuariamente hanno diritto allofferta della S. Messa che celebrano e al compenso anche economico per le spese sostenute, secondo le consuetudini e la normativa locale vigente.

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c) Dispensatore dei divini misteri ai fedeli Essere moderatore della liturgia esige anche che il Parroco regolamenti in concreto gli atti di culto da celebrare nella sua Parrocchia: quali azioni liturgiche celebrare, in quali orari, con quali modalit... Nello stabilire questo egli deve rifarsi a due principi fondamentali: 1. I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedono opportunamente, siano ben disposti e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli (c. 843). 2. I fedeli hanno il diritto di... seguire il proprio metodo di vita spirituale, che sia per conforme alla dottrina della Chiesa (c. 214). Va precisato subito che per fedeli si intendono tutte le persone che di fatto si trovano nel territorio della sua Parrocchia. Solo in particolari casi previsti dal diritto, ad esempio per il Battesimo o il Matrimonio, si intende limitare il numero a chi ha il domicilio, o il quasi domicilio. Il Parroco quindi moderatore della liturgia nei confronti di tutti coloro che si trovano sul suo territorio e non siano legittimamente esenti. Il Parroco deve garantire loro la celebrazione minima del culto, secondo il disposto del c. 530: 1 amministrare il Battesimo; 2 amministrare il sacramento della Confermazione a coloro che sono in pericolo di morte; 3 amministrare il Viatico e lunzione degli infermi; 4 assistere al Matrimonio e benedire le nozze; 5 celebrare i funerali; 6 benedire il fonte battesimale nel tempo pasquale, guidare le processioni fuori della chiesa e impartire le benedizioni solenni fuori della Chiesa; 7 celebrare lEucaristia pi solenne nelle domeniche e nelle feste di precetto. Queste indicazioni intendono garantire la legittima autonomia dei fedeli nel vivere la preghiera e i sacramenti, sia singolarmente che in gruppo, secondo la loro spiritualit: possono rivolgersi ad altri sacerdoti, quando non espressamente richiesto di andare dal proprio Parroco, e il Parroco deve riconoscere tale diritto.

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Inoltre si riconosce al Parroco la possibilit di regolamentare il diritto dei fedeli ai sacramenti e agli altri atti di culto in vista del bene comune e secondo le possibilit di coordinamento delle forze di cui dispone. Quando, ad esempio, due fedeli chiedono al Parroco competente di celebrare le nozze ed egli non vuole provvedere, nemmeno chiedendo laiuto di un altro sacerdote, viene leso gravemente un loro diritto. Qualora invece un gruppo di fedeli voglia organizzare una veglia di preghiera, il Parroco deve favorirla, incoraggiarla e vigilare perch sia conforme alle norme liturgiche, ma non dovere del Parroco parteciparvi o presiederla. Questo vale anche per le richieste di celebrazioni eucaristiche nelle pi svariate circostanze. Il Parroco ha in questo caso il dovere di analizzare attentamente quanto viene chiesto, pu invitare a fare, ad esempio, solo una celebrazione della parola, ma non ha il dovere di accettare tali richieste quando ragioni di opportunit e di disponibilit si oppongono. Daltro canto il Parroco non pu imporre a tutti i fedeli una determinata spiritualit, o modo di celebrare la liturgia, perch il culto azione della comunit, non dei singoli. Al Parroco spetta il diritto e il dovere di far s che tali celebrazioni siano della comunit, che la Comunit Parrocchiale si riconosca in tali celebrazioni, non perch seguono i gusti del parroco o di un gruppo pi sensibile, ma perch tutti si ritrovano spiritualmente a loro agio. Nel far questo va valorizzata la sana tradizione liturgica di ogni Parrocchia; ogni Parroco non parte da zero, ma continuatore, dentro la Comunit Parrocchiale, di un cammino, che se da un verso ha bisogno di continuo rinnovamento, deve daltro canto tener conto della strada fatta. Un aiuto in questo senso certamente offerto dal Consiglio Pastorale Parrocchiale, che aiuta il Parroco a capire le vere e giuste esigenze religiose dei fedeli, e daltro verso aiuta la comunit a comprendere scelte e decisioni. Conclusione Il Codice di diritto canonico presentando il munus sanctificandi del Parroco fa emergere la figura di un sacerdote educatore della fede, che aiuta la comunit a diventare soggetto del culto spirituale e

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liturgico ed responsabile di coordinare tutta lattivit di santificazione dei fedeli allinterno della Parrocchia. Questo comporta per il Parroco il dovere di valorizzare il carisma liturgico della Comunit Parrocchiale, e di conseguenza i ministeri presenti al suo interno, non solo a motivo del bisogno di aiuto nella cura pastorale, ma perch la partecipazione attiva dei fedeli, soprattutto nella liturgia, rende evidente e attua il Corpo di Cristo che rende a Dio il culto spirituale. GIANNI TREVISAN Via Foen, 149 32032 Feltre (BL)

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Il parroco come pastore (c. 529, par. 1)


di Cesare Bonicelli

La figura del Parroco trattata nel secondo libro del Codice di Diritto Canonico, dedicato al popolo di Dio, nella II parte relativa alla costituzione gerarchica della Chiesa. Il legislatore canonico, nel c. 519, ha descritto il compito del Parroco che consiste nelloperare la cura pastorale a lui affidata sotto lautorit del Vescovo diocesano, con il quale per vocazione partecipe del ministero di Cristo, affinch in favore di quella comunit svolga gli uffici di insegnare, santificare e governare. Recependo quanto il Concilio aveva espresso nel decreto Christus Dominus al n. 30, il legislatore ha provveduto alla emanazione di norme permeate di notevole afflato pastorale che descrivono abbastanza dettagliatamente i tria munera. Del munus regendi del Parroco si parla nel c. 529. Esso, nel primo paragrafo, oggetto di questa riflessione, afferma testualmente: Perch adempia con zelo allufficio di pastore, il parroco cerchi di conoscere i fedeli affidati alle sue cure; perci visiti le famiglie, partecipando alle preoccupazioni, ai dolori e specialmente ai lutti dei fedeli, e confortandoli nel Signore, nonch, se abbiano mancato in alcunch, correggendoli prudentemente; aiuti con effusa carit i malati, in specie quelli prossimi alla morte, sollecitamente rafforzandoli con i sacramenti, e raccomandando le loro anime a Dio; con peculiare diligenza, segua i poveri, gli afflitti, gli abbandonati, gli esuli dalla Patria, ed egualmente quelli gravati da peculiari difficolt; operi anche perch siano sostenuti i coniugi ed i genitori nelladempiere i propri doveri, e favorisca laccrescersi della vita cristiana nella famiglia 1.
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Codice di Diritto Canonico, Testo ufficiale e versione italiana, Unione Editori Cattolici Italiani, Roma 1984; al c. 529, par. 1: Officium pastoris sedulo ut adimpleat, parochus fideles suae curae commissos

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1. Natura del canone 529, par. 1 Per una analisi corretta della norma in oggetto, prima di indagare sulla sua finalit, sui suoi contenuti, sulla sua obbligatoriet e sulle conseguenze della sua inosservanza, necessario interrogarsi sulla sua natura. Il carattere complementare del c. 529, par. 1 si evince sin da una prima superficiale lettura, soprattutto se considerato in un unico contesto con i canoni immediatamente precedenti e seguenti. Una complementarit non soltanto logistica e formale ma soprattutto funzionale. Ci che emerge con pari evidenza da una attenta analisi terminologica lessenza esortativa 2 della norma che, pur prescrivendo al Parroco di adoperarsi per svolgere un servizio ben determinato, a favore di soggetti e di ambienti parimenti ben individuati, non fa sorgere a carico dello stesso un vero e proprio obbligo giuridico 3, ma solo un obbligo pastorale. Quanto sopra non significa che il legislatore canonico, pur abbandonando la perentoriet individuabile in altri canoni 4, non attribuisca al canone un contenuto certamente giuridico, anche se una apparente assenza di sanzioni potrebbe far pensare a una semplice norma di comportamento o a una pia esortazione 5. Per le ragioni appena esposte e poich caratteristico, nel Codice di Diritto Canonico, riscontrare norme contenenti precetti solo formalmente giuridici ma aventi una connotazione soprattutto di tipo morale e pastorale, il c. 529, par. 1 pu essere inserito in quella categoria di norme giuridi6 che contenenti precetti morali e pastorali . 2. Finalit Per poter verificare in seguito in quali casi la norma possa intendersi soddisfatta e se, e in quale maniera, vi sia stata coerenza necognoscere satagat; ideo familias visitet, fidelium sollicitudines, angores et luctus praesertim participans eosque in Domino confortans necnon, si in quibusdam defecerint, prudenter corrigens; aegrotos, praesertim morti proximos, effusa caritate adiuvet, eos sollicite sacramentis reficiendo eorumque animas Deo commendando; peculiari diligentia prosequatur pauperes, afflictos, solitarios, e patria exules itemque peculiaribus difficultatibus gravatos; adlaboret etiam ut coniuges et parentes ad officia propria implenda sustineantur et in familia vitae christianae incrementum foveat. 2 L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico, commento giuridico-pastorale, Edizioni Dehoniane Napoli, 1988, p. 627. 3 P. LOMBARDIA - J. ARRIETA, Codice di Diritto Canonico, Edizione bilingue e commentata, ed. Logos, 1986, p. 414. 4 Enciclopedia giuridica, alla voce Norma Giuridica, ed. Treccani, Roma, 1990. 5 Enciclopedia giuridica, ibidem. 6 Enciclopedia giuridica, ibidem.

Il parroco come pastore (c. 529, par. 1)

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gli adempimenti pastorali, necessario individuare le finalit ed il valore che questo canone intende proteggere e promuovere. Come gi in precedenza accennato, la terminologia adoperata dal legislatore se, a primo impatto, pu sembrare ordinaria, ad un esame pi approfondito rivela una sensibilit particolare. Lespressione officium pastoris sedulo ut adimpleat (= perch adempia con zelo lufficio di pastore) dice che il fine del canone di favorire lazione pastorale in senso stretto, cio lazione rivolta alla vita concreta dei fedeli, e perch questo possa avvenire: ...parochus fideles suae curae commissos cognoscere satagat (= il parroco cerchi di conoscere i fedeli affidati al suo servizio). In questo parroco esortato a conoscere i fedeli affidati al suo servizio si intravede Cristo buon pastore: Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me (Gv 10,14). Gi il Concilio di Trento aveva affermato: Per volere divino fatto obbligo a tutti coloro che sono responsabili di una parrocchia di conoscere le proprie pecorelle 7. Il nostro canone specifica, esemplificando, che il Parroco realizza tale conoscenza frequentando individui ed ambienti particolarmente gravati da bisogni. Una conoscenza, quindi, che consenta al parroco di essere vicino a queste situazioni 8 attraverso una condivisione ed una solidariet che attualizzi la partecipazione al ministero di Cristo e soddisfi le esigenze di quanti avvertono lurgenza della cura del Parroco. esatto affermare, quindi, che la norma si propone di realizzare quel necessario rapporto Parroco-Soggetti/luoghi di bisogno caratterizzati da una sensibilit tutta particolare 9. legittimo chiedersi, a questo punto, quale sia il valore che il canone vuole tutelare e promuovere; sembra indubbio il forte richiamo alla carit pastorale che il Parroco deve realizzare attraverso una relazione personale e anche tramite tutta la comunit parrocchiale da lui sensibilizzata 10. Il cognoscere del c. 529, par. 1, con una indicazione precisa, affida al parroco lesercizio della carit pastorale, privilegiando laspetto del conforto e della solidariet personale. Manca, infatti, laspetto del conoscere per, cio laccenno alla fase successiva a quella conoscitiva che si concretizza nellanalisi e nella programma7 8

Sess. XXIII de ref. c. 1. C. BONICELLI, in Orientamenti Pastorali, 1983, n. 12, p. 67. 9 C. BONICELLI, op. cit., p. 67. 10 C. BONICELLI, op. cit., p. 59.

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zione degli interventi. Stando, quindi, strettamente al testo della norma, si evince una opzione del legislatore a favore dellattivit del parroco, essenzialmente sacerdotale, mirante a comunicare, a coloro che vivono determinate situazioni, un conforto di natura soprattutto spirituale. 3. Contenuti Nel canone precedente il legislatore ha descritto in dettaglio i compiti del parroco relativi alla Parola di Dio (c. 528, par. 1) e alla Liturgia, con speciale riferimento allEucaristia perch sia il centro dellassemblea parrocchiale (c. 528, par. 2). Il nostro canone si sofferma sul compito del parroco in ordine alla conoscenza dei fedeli e alla partecipazione alle vicende della loro vita. Dopo le prime espressioni che abbiamo gi analizzato (Perch adempia con zelo allufficio di pastore, il parroco cerchi di conoscere i fedeli affidati alle sue cure) il canone considera quattro situazioni che riguardano la famiglia, i malati, i poveri, i coniugi e i genitori. Il parroco invitato a visitare le famiglie con un gesto che non di cortesia o di opportunit o per una conoscenza sociologica, ma che di natura sacramentale perch segno e strumento della visita di Dio al suo popolo. La visita alle famiglie proposta soprattutto per due obiettivi: a) partecipazione alle preoccupazioni, ai dolori e specialmente ai lutti dei fedeli, confortandoli nel Signore 11; correzione prudente qualora i fedeli avessero mancato in alcunch, realizzando quella correzione fraterna tanto raccomandata dal NT (cf Mt 18,15), imitando il pastore della parabola che va in cerca della pecora smarrita (Lc 15,4-7). II canone richiama poi il compito del parroco di farsi prossimo ai malati, in particolare ai moribondi: Aiuti con effusa carit (cio con una carit traboccante) i malati, in specie quelli prossimi alla morte, sollecitamente rafforzandoli con i sacramenti, e raccomandando le loro anime a Dio. Peculiari diligentia (con speciale diligenza) al parroco chiesto di essere vicino ai poveri, agli afflitti, agli abbandonati, agli esuli dalla patria, ed egualmente a quelli gravati da peculiari difficolt. Lattenzione ai poveri, ai sofferenti, agli esuli trae la sua origine dallimmagine del parroco pastore (c. 519)
Enchiridion Vaticanum, Decreto Infirmis cum, vol. 4, n. 1894: Si ricordino i sacerdoti, e soprattutto i parroci (...) che loro dovere visitare personalmente e con premurosa frequenza i malati, e aiutarli con senso profondo di carit.
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Il parroco come pastore (c. 529, par. 1)

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che per essere tale deve essere tutto dedito al suo gregge imitando il Cristo buon pastore che offre la sua vita per le pecore (cf Gv 10,15b). Infine il canone ritorna al campo della famiglia ed esorta il parroco ad operare anche perch siano sostenuti i coniugi e i genitori nelladempimento dei loro doveri, e a favorirne lincremento della vita cristiana nella famiglia. La ripresa del tema della famiglia, gi considerato nella prima parte del testo del nostro canone, si giustifica per la grave crisi che listituzione familiare conosce nel nostro mondo e per limportanza pastorale che la Chiesa attribuisce alla famiglia stessa. Il parroco esortato a porsi accanto agli sposi e ai genitori, per sostenere il loro ministero e per favorire la vita delle chiese domestiche. Con il nostro canone il parroco spronato ad andare verso, ad uscire da una pastorale di sagrestia o di tempio, per essere in tutto buon pastore del gregge che gli affidato. Facendo una comparazione con il canone appena precedente, il c. 528, nel quale viene utilizzata lespressione obligatione tenetur, da cui chiaramente si evince un obbligo giuridico, nel nostro canone lespressione usata cognoscere satagat, che pu essere tradotto con: si dia cura, si preoccupi, presti attenzione. Non si pu negare che il c. 528 abbia un carattere perentorio con una forza dobbligo che il c. 529, par. 1 sembra non avere, prevalendo in esso il contenuto esortativo. Ad ulteriore sostegno di quanto appena affermato, vi unaltra espressione contenuta nel canone 529, par. 1: sedulo ut adimpleat, che si pu tradurre con: affinch adempia con zelo. Questo adempiere con zelo potrebbe far intendere che il Parroco potrebbe adempiere i propri doveri in via ordinaria esercitando semplicemente il munus docendi ed il munus santificandi, e che la realizzazione del munus regendi nellesercizio della carit contenuto nel c. 529, par. 1, sia facoltativa, lasciata a chi ha un encomiabile zelo. La cosa non pu non stupire, denuncia la diffusa debolezza nella pastorale della dimensione caritativa rispetto allannuncio della Parola di Dio e alla amministrazione dei sacramenti. La fonte conciliare del canone, il n. 30 del Christus Dominus, sottolineando limportanza della funzione di governo del parroco per far sentire i fedeli realmente membri della Chiesa, insisteva sul dovere del parroco di animare di spirito missionario la cura delle anime di modo che si estenda, nel modo dovuto, a tutti gli abitanti della parrocchia. Premessa questa necessit di principio, il Decreto conciliare gettava le basi del futuro c. 529, par. 1, affermando: I parroci si

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studino anzitutto di conoscere il loro gregge (...) si adoperino di sviluppare la vita cristiana, sia.... Il testo conciliare ha usato il verbo informetur che verbo forte, che esprime un dovere. Il nostro canone ha il fondamento della sua doverosit nel testo conciliare. Perch il legislatore non si spinto fino alla doverosit giuridica? Dato il carattere esemplificativo del canone la ragione facilmente comprensibile; non si capisce per perch non abbia, il legislatore, fatto una premessa di tipo vincolante come nel c. 528, par. 1, scrivendo ad esempio: Parochus obligatione tenetur providendi ut Dei caritatis in paroecia incrementum foveat. 4. Considerazioni Dopo aver brevemente descritto il contenuto, ricco ed esemplificativo, del c. 529, par. 1, cerco di rispondere a due domande che possono sorgere abbastanza facilmente: a) quale azione pastorale vuol promuovere il canone? b) Quale la sua forza cogente? a) Quale azione pastorale? Il nostro canone molto stimolante per quello che afferma ma avrebbe potuto essere migliore. Riferendosi allimmagine del parroco pastore il canone indica unazione pastorale molto generosa, attenta ad alcune condizioni di sofferenza e di bisogno dei fedeli. lecito chiedersi perch vengano indicate queste situazioni e non altre, quali il disadattamento giovanile, la solitudine degli anziani, la crisi dei disoccupati, le difficolt del mondo del lavoro o della scuola, le sofferenze delle vittime della violenza ecc.? Fa poi specie il fatto che il legislatore, dopo aver definito la parrocchia communitas fidelium nel canone 515, se ne sia quasi dimenticato restringendo la trattazione quasi esclusivamente alla figura del parroco e dei vicari parrocchiali, lasciando in ombra la sua collaborazione e la corresponsabilit dei fedeli. Non si capisce perch nel nostro canone non ci sia almeno lesortazione che il parroco si associ anche lopera dei fedeli alla sua azione caritativa, come avviene al c. 528, par. 1 per lazione evangelizzatrice e catechistica. Inoltre, lho gi notato, il legislatore non trae dal pressante invito rivolto al parroco di conoscere i suoi fedeli e le loro condizioni di vita, la conseguenza di proporre al parroco una aliquale programmazione pastorale.Lazione pastorale descritta dal canone sembra avere le caratteristiche della generosit, dellindividualismo e delloccasionalit.

Il parroco come pastore (c. 529, par. 1)

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b) Quale forza cogente? Posso concludere scrivendo che in forza del c. 529, par. 1, sembra sorgere a carico del parroco il dovere pastorale di conoscenza e cura della propria comunit, da esercitare particolarmente nei confronti di coloro che versano in situazioni precarie, sia da un punto di vista materiale che spirituale. Nei fedeli non nasce perci alcun diritto soggettivo in ordine alle curae che il parroco deve prestare. Questo non vuol dire che il parroco non possa andare incontro a conseguenze giuridiche se non ottemperasse il dettato del nostro canone. Anche se la disobbedienza al canone non prevede una sanzione specifica, tuttavia certo che il parroco che, senza plausibili giustificazioni non osservasse il canone, realizzerebbe la omissione di un dovere pastorale che, nel caso in specie, danneggerebbe coloro che versano nelle situazioni indicate e, pi in generale, tutta la comunit; tale omissione potrebbe essere causa ai sensi dei cc. 1740 e 1741 per la rimozione del parroco dalla parrocchia. Conclusione Pur con le sue ombre il nostro canone, ad una analisi attenta, si rivela utile e vitale, con forte spessore pastorale e teologico. Ha a monte linsegnamento di Paolo per il quale lapostolo deve avere gli stessi sentimenti di Ges, spogliandosi del proprio io (cf Fil 2,5) e linsegnamento di S. Agostino per il quale il ministero sacerdotale amoris officium. La carit pastorale abilita il prete, e in particolare il parroco, a stare accanto ai pi deboli, a promuovere la scelta preferenziale dei poveri: egli, senza escludere nessuno dallannunzio e dal dono della salvezza, sa chinarsi sui piccoli, sui peccatori, sugli emarginati di ogni specie, secondo il modello dato da Ges nello svolgimento del Suo ministero 12. CESARE BONICELLI Via Soccorso, 38 71016 San Severo (FG)

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GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, 1992, n. 30.

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Commento ad un canone

Le sepolture privilegiate: il canone 1242


di Massimo Calvi

Con la celebrazione delle esequie e con lonore al corpo del defunto la Chiesa, da sempre, esprime la fede nel mistero pasquale di Cristo Signore, cui tutti i cristiani sono chiamati a partecipare: divenuti tempio dello Spirito Santo grazie al Battesimo, i fedeli defunti sono destinati a passare con Cristo da morte a vita; i vincoli tra i fedeli ancora in vita e quelli tornati alla casa del Padre non sono affatto spezzati ma continuano nella comunione dei santi. Brevi cenni storici Sin dai primi secoli, seguendo in questo gli usi dei romani, la Chiesa ha preferito ricorrere alla inumazione dei cadaveri ritenendola maggiormente coerente con la fede nella risurrezione dei corpi. Progressivamente abbandonate le catacombe, accanto ai cimiteri a cielo aperto, si consolida tra i cristiani luso di scavare tombe e interrare interi sarcofaghi nel sottosuolo delle basiliche, vicino al sepolcro dei martiri. Alla fine del IV secolo, a Roma, numerose basiliche costruite fuori dalle mura della citt erano gi piene di sepolcri: S. Sebastiano sulla via Appia, S. Lorenzo allAgro Verano, S. Alessandro sulla via Nomentana, SS. Nereo e Achilleo presso le catacombe di Domitilla. La scelta delledificio sacro quale luogo di sepoltura era motivata non solo dal desiderio di continuare a beneficiare della protezione dei martiri anche dopo la morte, ma anche dalla volont di esprimere il prolungarsi della partecipazione dei defunti alla vita liturgica e cultuale della comunit cristiana. Significativa al riguardo la testimonianza di S. Ambrogio che, dopo aver deposto nella basilica da lui

Le sepolture privilegiate: il canone 1242

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fondata le spoglie mortali del fratello Satiro, dispone di essere sepolto nei pressi dellaltare perch ritiene giusto che un sacerdote riposi l dove era solito presiedere leucaristia. Contro la sepoltura nelle chiese vi furono ripetuti interventi legislativi dellautorit ecclesiale che intendeva evitare labuso, ormai abbastanza frequente, di seppellire i morti vicino allaltare destinato alla celebrazione del sacrificio eucaristico. In Oriente fin dal tempo dellimperatore Teodosio vi furono leggi restrittive, poi confermate da Giustiniano; in Occidente numerosi concili intervennero vietando espressamente la sepoltura allinterno delle chiese e consentendola unicamente nellatrio, presso il portico o il perimetro delle stesse. Tuttavia la consuetudine contraria non cess di persistere e di svilupparsi: pur esistendo cimiteri a cielo aperto, si continu a preferire la sepoltura nelle chiese soprattutto per quei defunti che si distinguevano per lappartenenza allordine sacro o a famiglie di alto rango. A ci aveva involontariamente contribuito il Decreto di Graziano che, riproponendo una norma precedente (Concilio di Mainz dell813), stabiliva che nessun fedele doveva essere sepolto allinterno di un edificio sacro, a meno che non si trattasse del vescovo, dellabate oppure di un presbitero o di un laico costituito in dignit. Fu proprio questultima espressione ad essere sottoposta ad una interpretazione tanto ampia che le chiese, specialmente quelle conventuali, seguitarono a riempirsi di ingombranti monumenti funerari, testimonianza di fede e di devozione, ma spesso anche di ostentazione. In numerose nazioni europee, ed in particolare in Italia, questa prassi venne meno soltanto a partire dalla seconda met del 18 secolo, per effetto della legislazione civile che, avendo di mira la tutela della salute pubblica, ne imped ogni ulteriore applicazione, imponendo in modo sempre pi generalizzato e tassativo che linumazione dei cadaveri venisse fatta negli appositi cimiteri posti fuori dai centri abitati. Il canone 1242 Il canone 1242 del nuovo Codice di diritto canonico, in continuit con la precedente normativa, pur proibendo la sepoltura nelle chiese, ammette alcune eccezioni a favore di quelle persone per le quali motivi di onore o di convenienza ecclesiale giustificano una prassi privilegiata:

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Non si seppelliscano cadaveri nelle chiese, eccetto che si tratti di seppellire il Romano Pontefice oppure, nella propria chiesa, i Cardinali o i Vescovi diocesani anche emeriti. Trattandosi della concessione di un favore, si deve innanzitutto osservare che il canone non impone lobbligo di seppellire i cadaveri delle persone sopra menzionate nelle chiese; esse restano libere di disporre diversamente per la loro sepoltura. Quanto alla determinazione delle chiese abilitate a queste sepolture privilegiate, il canone prevede una distinzione tra la persona del Romano Pontefice e quella degli altri aventi diritto: per questi ultimi si introduce il concetto di chiesa propria, stabilendo un netto legame tra il defunto e il luogo sacro in cui possibile effettuare la sepoltura. Nel caso di un cardinale, lappellativo di chiesa propria designa innanzitutto quella del titolo di cui uno gode in ragione della sua ascrizione ad uno dei tre ordini che configurano il collegio cardinalizio (cf. c. 350): episcopale, cui appartengono i cardinali ai quali il Romano Pontefice assegna il titolo di una diocesi suburbicaria; presbiterale, cui appartengono i cardinali che hanno il titolo di alcune chiese della diocesi di Roma, specie tra quelle pi antiche; diaconale, di cui fanno parte i cardinali assegnati alle antiche diaconie erette in Roma. Lo speciale rapporto che lega un cardinale ad una di queste chiese descritto dal c. 357, par. 1: I Cardinali ai quali stata assegnata come titolo una Chiesa suburbicaria o una chiesa nellUrbe, dopo che ne hanno preso il possesso, promuovano il bene di tali diocesi e chiese mediante il consiglio e il patrocinio, pur senza avere su di esse alcuna potest di governo, e per nessuna ragione interferiscano in ci che riguarda lamministrazione dei beni o la disciplina o il servizio delle chiese. Per i cardinali che hanno la cura di una diocesi come vescovi diocesani, il termine chiesa propria indica non solo quella del titolo cardinalizio ma anche, e soprattutto, la cattedrale della diocesi. Per un vescovo diocesano la chiesa che si qualifica come propria senza dubbio la cattedrale: in essa egli inizia il suo minister o pastorale prendendo possesso della diocesi affidata alle sue cure (cf. c. 382, par. 4) e, preferibilmente celebra i divini misteri, soprattutto nelle feste di precetto e nelle solennit (cf. Sacrosantum Concilium n. 41 e c. 389).

Le sepolture privilegiate: il canone 1242

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Fra tutte le chiese della diocesi, la cattedrale si distingue proprio in ragione del suo legame con il vescovo. Infatti la chiesa dove si trova la cattedra, cio il seggio del vescovo, segno del magistero e del potere del pastore della chiesa particolare e segno anche dellunit dei credenti nella fede annunciata dal vescovo in quanto pastore del suo gregge (Caerimoniale episcoporum, n. 42). I chierici e i fedeli devono considerare la chiesa cattedrale quasi come il centro del culto divino della comunit diocesana e il vescovo deve provvedere che in essa la vita liturgica si svolga con quel decoro che la dimostrino realmente come la madre e la maestra delle altre chiese della diocesi (Ecclesiae Imago, n. 22). Quanto alla chiesa in cui seppellire il Romano Pontefice, sebbene il canone non ponga alcuna limitazione, opportuno ricordare la particolare connotazione che al riguardo assumono due basiliche romane: quella di S. Pietro, sorta sulla tomba del Principe degli apostoli e quella di S. Giovanni in Laterano, cattedrale della diocesi di Roma. Per lindividuazione delle persone aventi diritto alla sepoltura privilegiata, si deve osservare che lelenco riportato dal c. 1242 da ritenersi tassativo; restano pertanto esclusi i vescovi coadiutori e quelli ausiliari (cf. c. 403). Ne d conferma la discussione tenutasi durante i lavori di redazione del nuovo Codice (vedi Communicationes, vol. XII, 1980, p. 349). Godono invece di questo privilegio il vescovo diocesano emerito (cf. c. 402), esplicitamente citato dal nostro canone, e tutti coloro che nel Codice vengono equiparati al vescovo diocesano (cf. c. 381, par. 2) perch presiedono una delle comunit di fedeli assimilate alla diocesi. A norma del c. 368 tali comunit sono la prelatura territoriale, labbazia territoriale, il vicariato apostolico, la prefettura apostolica e lamministrazione apostolica stabilmente eretta. Grazie alla rinnovata classificazione dei luoghi di culto (ne parleremo brevemente in seguito commentando le disposizioni del Codice del 1917), la norma del c. 1242 appare alquanto chiarificata. La proibizione in esso contenuta riguarda unicamente i luoghi sacri che si qualificano come chiesa in senso proprio, cio quegli edifici sacri destinati al culto divino, nei quali i fedeli abbiano diritto di entrare per esercitare soprattutto pubblicamente tale culto (c. 1214).

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Tra questi sono da annoverare i santuari quando sono vere e proprie chiese che assumono il nome di santuario a motivo dei numerosi fedeli che vi si recano pellegrini (cf. c. 1230). Sono invece esclusi dalla proibizione loratorio, cio il luogo destinato, su licenza dellOrdinario, al culto divino in favore di una comunit o di un gruppo di fedeli che vi si radunano, e al quale possono accedere anche altri fedeli con il consenso del superiore competente (c. 1223) e la cappella privata, cio il luogo destinato, su licenza dellOrdinario del luogo, al culto divino in favore di una o pi persone fisiche (c. 1226). Ancora in riferimento alla precisa individuazione dei luoghi sacri raggiunti dal divieto di sepoltura, pu essere utile segnalare un intervento relativo alla corretta interpretazione dellanaloga norma prevista dal CIC del 1917, (cf. c. 1205): nel dubbio proposto si chiedeva se la sepoltura fatta in una cripta o in una chiesa sotterranea contravenisse alla norma codiciale. La commissione rispose affermativamente: nel caso la chiesa sotterranea si configuri come una vera e propria chiesa, tale prassi da considerarsi contraria alle disposizioni codiciali (cf. Pontificia Commissio ad Codicis Canones Authentice Interpretandos, risp. n. 14 del 16 ottobre 1919, in AAS 11, 1919, p. 478). Qualora si proceda ad una sepoltura privilegiata si deve tenere presente anche il divieto del c. 1239, par. 2: Sotto laltare non sia riposto alcun cadavere; altrimenti non lecito celebrarvi sopra la Messa. Il c. 1202 del CIC del 1917 aggiungeva la precisazione che leventuale sepoltura doveva distare almeno un metro dallaltare; distanza che molti commentatori del tempo ritenevano computabile moralmente cos che la mancanza di pochi centimetri era da considerarsi irrilevante (cf. Cappello F.M., Summa iuris canonici, vol. II, Roma 1939, p. 373). Tutto ci che si detto sopra circa la sepoltura dei cadaveri nelle chiese e ancor pi presso laltare, da considerare valido anche per leventuale sepoltura di ossa, ceneri, o parti di cadaveri (cf. Sacra Congregatio Concilii, risp. del 10 dicembre 1927, in AAS 20, 1928, pp. 261-264).

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La normativa del CIC del 1917 Sebbene la normativa vigente confermi nella sostanza quella precedente, dal confronto col vecchio CIC emergono alcune interessanti differenze che vale la pena evidenziare. Nel CIC del 1917 il c. 1205, par. 2 recitava: Non si seppelliscano cadaveri nelle chiese, a meno che si tratti dei cadaveri dei Vescovi residenziali, degli Abati o dei Prelati nullius, da seppellirsi nella propria chiesa; o del Romano Pontefice, delle persone regali o dei Cardinali di Santa Romana Chiesa. Dal confronto appare immediatamente luso di una terminologia diversa per indicare le persone cui viene riconosciuto il diritto alla sepoltura privilegiata: nel nuovo Codice si parla di vescovi diocesani invece di vescovi residenziali; di abati e prelati territoriali invece di abati e prelati nullius. La sostanza tuttavia la medesima. Se si considera che, anche nel CIC del 1917 i vicari e i prefetti apostolici erano equiparati ai vescovi diocesani (cf. c. 294, par. 1), le differenze di un certo rilievo sono due: nella vecchia normativa il privilegio delle sepoltura in una chiesa era accordato anche ai regnanti e ai loro diretti discendenti; e la facolt di scegliere una qualsiasi chiesa per la sepoltura non era riservata solo al Romano Pontefice ma anche ai cardinali. Come si anticipato sopra, nel codice Piano-benedettino la classificazione dei luoghi sacri era pi complessa perch, oltre alle chiese, venivano elencati gli oratori pubblici retti in pratica dalla stessa normativa delle chiese (cf. c. 1191) , gli oratori semi-pubblici e le cappelle private. Stando alla stretta interpretazione delle norme del CIC del 1917, il divieto riguardava unicamente le chiese e gli oratori pubblici, non gli altri luoghi di culto. Se si considera che il nuovo codice ha abolito la distinzione tra oratori pubblici e semi-pubblici, possiamo concludere che non vi sono diversit di rilievo. Riguardo alla vecchia normativa si ebbe per anche un autorevole intervento che, interpretando in senso lato il termine ecclesia del c. 1205, par. 2, estendeva il divieto a tutti i luoghi sacri destinati allesercizio del culto pubblico e quindi anche agli oratori semi-pubblici (cf. Sacra Congregatio Concilii, risp. del 10 dicembre 1927, in AAS 20, 1928, p. 263).

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Le disposizioni del diritto civile italiano Non si pu infine trascurare che, in questo ambito, intervengono pure le norme stabilite dal diritto civile al fine di tutelare la salute pubblica. Per quanto riguarda lItalia, il testo legislativo pi recente il Regolamento di polizia mortuaria approvato con decreto del Presidente della Repubblica, n. 285, in data 10 settembre 1990, pubblicato nel Supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale, n. 239 del 12 ottobre 1990. Le norme che interessano la sepoltura nelle chiese sono quelle contenute nel Capo XXI del Regolamento, sotto il titolo Sepolcri privati fuori dai cimiteri e pi precisamente nellart. 105. In ossequio al dettato di questo articolo, la tumulazione dei cadaveri in luoghi diversi dai cimiteri viene autorizzata quanto esistano giustificati motivi di speciali onoranze e, comunque, per onorare la memoria di chi abbia acquisito in vita speciali benemerenze. La prassi prevista per lautorizzazione piuttosto complessa: essa deve essere data con apposito decreto dal Ministro della sanit, di concerto con il Ministro dellinterno, udito il parere del Consiglio di Stato, previo parere del Consiglio superiore di sanit. I documenti da presentare per richiedere lautorizzazione sono i seguenti: 1) Domanda in carta da bollo indirizzata al Ministero della sanit Direzione generale dei Servizi Igiene Pubblica. La domanda deve essere firmata dal legale rappresentante della propriet. 2) Certificato di morte e delle cause della morte. 3) Parere del Sindaco del Comune dove situato il luogo di sepoltura ed eventuale concessione edilizia per realizzare il progetto. 4) Parere dellUSSL del luogo sul merito dellistanza. 5) Nulla osta della competente autorit ecclesiastica. 6) Biografia dellestinto corredata possibilmente da materiale illustrativo. 7) Eventuale nulla osta dei familiari. MASSIMO CALVI Via Milano, 5 26100 Cremona

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Il Vicario Episcopale per la vita consacrata *


di Jesus Torres, CMF

Il tema preso in esame relativamente nuovo, soprattutto se pensiamo ad una figura di Vicario episcopale che accentri tutti quei rapporti che uniscono la persona del Vescovo con le anime consacrate mediante la professione dei consigli evangelici nella propria diocesi. Antica invece labitudine di affidare in modo stabile o no certi compiti del Vescovo, nei confronti delle comunit religiose, a uno o pi ecclesiastici incaricati di eseguirli in qualit di delegati vescovili. Sar sufficiente alludere alla figura ormai classica dei Visitatori delle Monache o delle Religiose in genere in molte grandi diocesi. Si trattava allora dellespletamento di mansioni tipicamente giuridiche che i Vescovi affidavano a sacerdoti periti, che non si potevano considerare una partecipazione organica al ministero pastorale del Vescovo nei confronti delle anime consacrate. Il Concilio Vaticano II inser volutamente la vita religiosa in una visione globale della vita della Chiesa. La riconobbe come appartenente alla sua vita e santit 1 e volle che i Vescovi, pastori e responsabili di ogni aspetto della realt ecclesiale, acquistassero lesatta percezione del loro rapporto vitale e teologico, pi in profondit del solo aspetto giuridico, con le molteplici espressioni della vita di consacrazione, realizzazione e manifestazione dellunica santit della Chiesa. stata questa consapevolezza, che va crescendo poco a poco nellanimo dei membri del Collegio episcopale, a far crescere la

* Testo della relazione tenuta al XVIII Incontro di studio del Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (Mendola, 1-5 luglio 1991). 1 LG 44.

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sollecitudine pastorale di molti Vescovi per quella porzione del proprio gregge composta da coloro che lo Spirito ha chiamato a seguire pi da vicino Cristo Signore 2, il cui posto il Vescovo occupa nella propria chiesa come capo del corpo della Chiesa. La responsabilit del Vescovo nei confronti della vita di consacrazione si cos rivelata ampia e piena di tanta profondit spirituale quanta la profondit della santit stessa 3. Dopo che il Concilio Vaticano II diede il via nel decr. Christus Dominus 27 alla costituzione di Vicari Episcopali che godessero di vera potest vicaria nel proprio settore della diocesi, il M. Pr. Ecclesiae Sanctae, I, 14 deline con chiarezza e concretezza la figura del Vicario. Dallora, in molte diocesi, antiche figure di servitori della Chiesa nei vari servizi diocesani iniziarono ad assumere quella categoria vicariale ed anche incarichi pastorali fino a quel tempo non contemplati ebbero una provvidenziale espressione nuova. Nel 1978, quando i Vicari Episcopali erano ormai presenti in molte diocesi, lIstruzione Mutuae Relationes della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari e della Congregazione per i Vescovi venne a dare un valido supporto a quanti volevano che il Vicario Episcopale per i Religiosi e le Religiose diventasse una realt pastorale comune in tutta la Chiesa, dandone anche una definizione accurata: Il mandato, dunque, del Vicario Episcopale per le Congregazioni dei Religiosi e delle Religiose quello di prestare aiuto ad assolvere un compito per se proprio ed esclusivo del Vescovo, ossia di curare la vita religiosa nella Diocesi e di inserirla nel complesso dellattivit pastorale (n. 54). Mutuae Relationes conservava ancora la terminologia del Concilio, che parlava di vita religiosa e di religiosi quando si riferiva a qualsiasi forma riconosciuta di prassi dei consigli evangelici: istituti religiosi, istituti secolari, societ di vita comune, forme individuali; ancora il primo Schema del CIC seguiva lo stesso sistema. Soltanto la redazio2

Cf PC Proem. Lidea della sequela Christi si imposta dopo il concilio como definizione del genere di vita di coloro che appartengono allo stato ecclesiale anteriormente denominato stato di perfezione. Cf c. 573, par. 1 e le sue fonti conciliari LG 42-44. 3 Ritengo provvidenziale che il Cap. V De Religiosis dello schema preparatorio della Costituzione conciliare sulla Chiesa abbia ceduto il posto al Cap. V De universali vocatione ad sanctitatem in Ecclesia. In esso appare la vocazione di coloro che professano i consigli evangelici inquadrata nellinsieme della vocazione alla santit in modo molto pi chiaro e a tutto vantaggio di tale vocazione specifica. Da questa consapevolezza dellesistenza di una sola santit nella Chiesa, di cui la vita consacrata deve essere una manifestazione tangibile, nasce la coscienza crescente di una relazione privilegiata tra i vescovi perfectores ed i consacrati. Cf CD 15; MR 9.

Il Vicario Episcopale per la vita consacrata

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ne definitiva del CIC sceglier la dicitura di Vita consacrata per la professione dei consigli evangelici, dando un denominatore quasi comune a tutte le forme di vita che si rifanno ai consigli evangelici come regola propria. Diverse Conferenze Episcopali, attraverso la propria Commissione per la vita consacrata, hanno tenuto sessioni di studio 4 per meglio definire e portare alla pratica quelle nozioni fondamentali enunciate gi dal Concilio e raccolte con una certa sistematicit nel documento Mutuae relationes. Al momento di applicare al concreto tali nozioni, inevitabile parlare del Vicario episcopale, anche se si sta parlando dei compiti del Vescovo in quanto tale. proprio la complessit e profondit del rapporto Vescovo-anime consacrate che impone la necessit di organizzare in modo pratico i diversi aspetti di tale rapporto. Sar bene tener presente che la prospettiva postconciliare, in cui si sviluppata la figura del Vicario episcopale per la vita consacrata, assai diversa da quella che aveva fatto da cornice alla figura del Visitatore delle religiose. Con questa ci si trovava di fronte a comunit religiose provenienti quasi sempre da fuori diocesi e considerate comunque presenti, ma non parte integrante della diocesi, verso le quali bisognava espletare certe funzioni previste dal diritto. Ora invece la chiesa particolare diventata consapevole della necessit di esprimere dal proprio seno quelle manifestazioni della santit che, fin dai primi secoli, hanno caratterizzato le chiese arrivate alla pienezza della vita ecclesiale 5. Cos il Vescovo si trova a dover promuovere le vocazioni alla vita di consacrazione 6 e a guidare i chiamati al4

La Commissione mista spagnola Vescovi-Superiori Maggiori di religiosi e istituti secolari si occup nel 1985 del tema; Cf Revista de vida religiosa 24 (1985) p. 569-584. La Commissione episcopale per lo stato religioso francese organizz una sessione nazionale di Vicari episcopali per gli istituti di religiosi e religiose nel 1986; Cf COMMISSION EPISCOPALE POUR LTAT RELIGIEUX, Dans nos Eglises particulires Religieux et Religieuses, Francheville, 1986. In Italia la Commissione episcopale per la vita consacrata e la Commissione mista dei Vescovi e dei religiosi tenne un Convegno sullargomento nei giorni 6-8 aprile 1987; gli Atti vennero pubblicati dal Centro Studi USMI sotto il titolo Il Vicario episcopale per la vita religiosa La figura, il ruolo, i compiti, come supplemento n. 9 della rivista Consacrazione e Servizio, Settembre 1987. I Vicari episcopali degli USA, tra i quali molte religiose e fratelli, quindi non Vicari ma Delegati, formano da anni unassociazione nazionale che celebra un raduno di studio annuale; gli atti sono poi inviati ciclostilati a tutti gli aderenti. 5 Ne sono specialmente consapevoli i Vescovi delle chiese in formazione. Una loro aspirazione ricorrente quella di avere in diocesi un monastero contemplativo, oltre a uno o pi istituti religiosi femminili per i molteplici servizi della Chiesa locale. un fatto che crea spesso problemi gravi a causa della mancanza di superiore e formatrici sufficientemente preparate. 6 Cf c. 385; LG 27; MR 38-39.

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la realizzazione della loro vocazione. Inoltre, le forme di consacrazione sono diventate molteplici e non sempre inquadrabili nellambito del diritto comune. Anteriormente, esisteva quasi un solo modo di seguire la vocazione alla vita consacrata: quello di entrare in un istituto religioso. Il compito del Vescovo si riduceva allobbligo di accertare la libert delle candidate prima del noviziato. Oggi troviamo forme vecchie e nuove insieme, personali e comunitarie, religiose e secolari, agganciate a movimenti ecclesiali oppure a s stanti, inserite volutamente nella realt diocesana o aspiranti ad un genere di vita ultradiocesano e internazionale. In qualsiasi caso, comunque, il Vescovo il primo responsabile in diocesi della fedelt di ogni chiamato alla divina vocazione e di ogni comunit o istituto alla missione di santit e di apostolato ricevuta dallo Spirito 7. Possiamo quindi incominciare a trarne le conseguenze, come ha fatto il diritto della Chiesa e come hanno riconosciuto necessario le Conferenze Episcopali che si sono occupate del tema. La prima conclusione questa: nessun fedele che senta la chiamata dello Spirito ad una vita di consacrazione, dovr vedersi privato della guida e cura del proprio Pastore in questo cammino di fedelt. Conseguentemente, la necessit di avere un Vicario episcopale per la vita religiosa, oppure per la vita consacrata, dipender dalla consistenza numerica e qualitativa della vita consacrata esistente in diocesi 8. Da questa realt dipender anche la vastit del compito da attribuire al Vicario episcopale. Se debba cio occuparsi delle sole monache o anche delle religiose di vita attiva, oppure dei religiosi e religiose; se di tutti i consacrati, anche membri di istituti secolari, vergini e anacoreti, e perfino delle societ di vita apostolica. La legittima preoccupazione, per non confondere i diversi tipi di consacrazione e di istituzioni, non giustificherebbe labbandono pastorale delluno o dellaltro 9. Evidentemente niente vieta che, alloccorrenza, i singoli
Cf c. 387; LG 26, 27, 41. Sar bene tener presente che lufficio del Vicario episcopale non obbligatorio, como lo invece quello del Vicario generale. Per istituirlo ci deve essere un motivo che il CIC descrive come lesigenza del buon governo della diocesi. Cf c. 476; CD 23, 26, 27. 9 Questo pericolo di confondere le diverse categorie di consacrati presente nella mente del prof. JEAN BEYER SI, quando nella sua relazione al Convegno sopracitato (Cf Il Vicario episcopale... p. 35-36) si mostra contrario in partenza a parlare di Vicario episcopale per la vita consacrata, includendovi gli istituti secolari e le societ di vita apostolica.
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tipi di consacrazione siano affidati a vari Vicari episcopali specializzati; ma non sar troppo pretendere nella maggior parte delle diocesi? Piuttosto si dovr garantire una adeguata formazione dei Vicari episcopali, che dia loro la capacit di distinguere la diversa natura costitutiva entro la profonda unit di tutti nellunica consacrazione. Preferisco quindi riferirmi al Vicario episcopale come a colui che aiuta il Vescovo a vivere ed esercitare le molteplici responsabilit di animazione, promozione e guida della vita consacrata in tutte le sue manifestazioni. Compete a lui, in virt del suo ufficio, la potest esecutiva che appartiene ipso iure, oppure per facolt abituale, al Vescovo diocesano nei riguardi dei fedeli consacrati residenti in diocesi, fatta eccezione di quelle cause riservate dal diritto stesso al Vescovo diocesano 10, oppure da costui riservate a se stesso o al Vicario generale. Chi sono questi fedeli consacrati? Sar utile passare in rassegna la porzione del gregge da affidare al Vicario episcopale. A. I fedeli consacrati secondo la descrizione del c. 573 Si tratta di tutti quei fedeli che assumono, in qualsiasi modo riconosciuto pubblicamente dalla Chiesa, una forma stabile di vita fondata sulla professione dei consigli evangelicii 11. La forma classica quella dei religiosi, a partire dai canonici regolari, i monaci e le monache, e finendo con gli istituti moderni approvati in questi ultimi anni 12. Unaltra forma, meno classica ma entrata ormai pleno iure nel CIC, quella degli istituti secolari. Dopo il Conci10 11

Il c. 479 esclude espressamente dalla competenza del Vicario episcopale le cause che richiedono ex iure uno speciale mandato del Vescovo. Il n. 43 della LG parla di forme di vita solitaria o comune, alludendo alle forme storiche della vita consacrata, che non sempre avevano un riconoscimento pubblico della Gerarchia. La stessa idea appare nel Proemio del decr. PC che presenta la diversit di forme di consacrazione come una manifestazione della multiforme sapienza di Dio. Ci nonostante evidente che soltanto attraverso un riconoscimento pubblico di appartenenza allo stato della vita consacrata, pu la Gerarchia identificare i membri di tale stato, affidandone la cura pastorale al Vicario episcopale. 12 La forma religiosa, che oggi riteniamo abbastanza omogenea, soltanto a partire dal 1917 si presenta come una categoria unica. Fino ai primi anni del sec. XX la maggior parte degli istituti erano considerati mere associazioni pie, non dissimili da quelle che sono oggi le Associazioni di fedeli destinate a diventare istituti religiosi. Cf GERMAIN LESAGE, OMI, Laccession des Congrgations lEtat religieux canonique, Ottawa 1952, p. 164-167.

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lio sono inoltre riaffiorate le due forme primigenie di vita consacrata, le sole forme di tale vita esistenti nella Chiesa delle origini, quella delle vergini consacrate e quella degli asceti o degli eremiti 13. Anchesse sono state riconosciute dal CIC e poste sotto limmediata cura pastorale del Vescovo, senza dotarle per di una normativa canonica comparabile a quella delle forme classiche. Unampia normativa canonica, parallela a quella degli istituti di vita consacrata, stata invece accordata alle societ di vita apostolica, che non sono istituti di vita consacrata, nemmeno quando i membri assumono i consigli evangelici 14. Vengono per associate ordinariamente agli istituti religiosi, in quanto a livello organizzativo presentano molti elementi comuni e sopratutto perch i loro membri si donano totalmente al servizio di Dio e della Chiesa, grazie al celibato, come accade anche per i religiosi. Oltre a questi, vi sono fedeli consacrati mediante la professione dei consigli evangelici in associazioni non erette ancora canonicamente come istituti di vita consacrata, ma riconosciute come associazioni pubbliche di fedeli con tutte le caratteristiche proprie degli istituti. Ci accade attualmente per tutti gli istituti nascenti di tipo classico 15.
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La restaurazione dellOrdo virginum era gi allo studio prima del Concilio. La Cost. LG, n. 42 fa allusione indubbia alle vergini consacrate dei primi secoli del cristianesimo, senza che per altro il decr. PC ne tiri qualsiasi conclusione. Un accenno operativo appare invece in SC 80, dove si prescrive la revisione del rito della consecratio virginum del Pontificale Romanum. La revisione venne fatta e il nuovo testo fu promulgato il 31 maggio 1970. 14 diventata notizia di dominio pubblico quella sullandamento perturbato della preparazione del testo canonico riguardante le Societ di vita apostolica. Nello schema del 1977, gli istituti di vita apostolica consociata costituivano la seconda categoria di istituti di vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici. Cf PONTIFICIA COMMISSIO CIC RECOGNOSCENDO, Schema canonum de vita consecrata per professionem consiliorum evangelicorum (Reservatum), Typis polyglottis vaticanis 1977, p. 27-36. Le Societ missionarie non si riconobbero nella tipologia dello schema, in quanto non assumono i consigli evangelici con vincolo sacro di nessun genere. Tenendo presente che tali Societ sono maggioranza dentro la categoria, il loro rifiuto era quanto meno imbarazzante. Poich inoltre le Societ di vita comune senza voti, come si denominavano, avevano gi precedentemente una propria normativa canonica, diversa in molti punti da quella dei religiosi, si fin per accettare lidea di costituire una categoria giuridica a s stante, vicina e fraterna ma non confusa con gli istituti di vita consacrata. 15 Questo fenomeno si dato anteriormente con frequenza. Nelle diocesi si trovavano molte comunit che di fatto, forse da secoli, facevano vita al modo dei religiosi, senza che la Gerarchia fosse mai intervenuta con una erezione formale o con un riconoscimento pubblico ufficiale. Un Decreto generale della SCR del 30.11.1922 diede facolt a tutti i Vescovi, perch riconoscessero con formale decreto tali istituti, con lespressa intenzione che quaelibet Congregatio religiosa, legitime constituta, personalitatem moralem ad normam iuris induat eaque potiatur. Cf AAS 14 (1922), p. 644-646. In questo modo ogni comunit religiosa di fatto veniva riconosciuta di diritto. Il problema risorse nel 1939 quando il Santo Ufficio chiese alla Congregazione dei Religiosi, tra laltro, un maggior numero di membri per concedere il nulla osta ai Vescovi per lerezione di istituti di diritto diocesano. In un primo tempo si fiss il numero a 100 membri appartenenti definitivamente allistituto. Ci significava un periodo lungo di tempo tra linizio di fatto dellopera e lerezione canonica dellistituto.

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Fuori di ogni associazione riconosciuta pubblicamente, oggi frequente trovare associazioni di fatto o di diritto privato, dedite a missioni di indubbio carattere ecclesiale, i cui membri assumono i consigli evangelici in diverse misure secondo le diverse situazioni di vita. Alle volte si tratta di gruppi relativamente piccoli che formano il nucleo centrale di movimenti ecclesiali pi ampi; alle volte di associazioni complesse, con membri impegnati con vari gradi di intensit e di esclusivit nellunica missione ecclesiale dellistituzione. Non poche di queste entit aspirano ad un riconoscimento della Gerarchia e guardano fiduciose verso il c. 605 dove si parla di nuove forme di vita consacrata 16. B. La cura pastorale dei consacrati Tutti i consacrati mediante la professione dei consigli evangelici sono affidati in modo specifico alla cura pastorale del Vescovo e quindi del Vicario episcopale per la vita consacrata, ma in diversi modi secondo la situazione canonica di ognuno. 1. I consacrati individuali Non tengo conto di quei fedeli che privatamente, senzalcun rilievo giuridico, hanno assunto i consigli evangelici, sia pure con voto. Quindi, mi riferisco esclusivamente ai fedeli consacrati pubblicamente al di fuori di qualsiasi istituto o associazione di vita consacrata. a) Le Vergini consacrate dal Vescovo diocesano secondo il rito liturgico approvato, che professano il santo proposito di seguire Cristo pi da vicino, unendosi a Lui in mistiche nozze e dedicandosi al servizio della chiesa 17. Dove il numero di queste vergini consacrate sia piccolo, il Vescovo potr forse occuparsene personalmente e guidarle nella loro vita di consacrazione e di servizio. Altrimenti, dovr essere il Vicario episcopale a prenderne la cura pastorale, inducen-

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Finora (Luglio 1991) la Santa Sede non ha approvato nessun istituto di vita consacrata in qualit di nuova forma di tale vita. Ma, nel mese di Giugno del 1990, un decreto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le societ di vita apostolica diede la facolt allArcivescovo di Madrid di riconoscere gli elementi di vita consacrata esistenti a giudizio della stessa Congregazione nellObra de la Iglesia, unistituzione fondata anni addietro in Spagna, e di approvarne le Costituzioni ad experimentum. 17 Cf c. 604, par. 1.

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dole discretamente ad associarsi per osservare pi fedelmente il loro proposito e rendere pi efficace il servizio prestato alla chiesa 18. Questo modo di associazione, pi o meno elastico e spontaneo, avr bisogno della vigilanza protettiva del Vicario episcopale, data la mancanza di normativa canonica al riguardo, se si vuole che lOrdo virginum sia nella diocesi una cosa seria ed abbia un vero valore ecclesiale. A queste vergini consacrate possono venire assimilate in qualche modo anche le vedove consacrate 19. b) Gli eremiti che dedicano la loro vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo, separati da esso in modo pi forte, nel silenzio e nella solitudine, in preghiera assidua e penitenza. stabilito che, se questi eremiti fanno pubblicamente professione dei consigli evangelici nelle mani del Vescovo e ricevono da lui una Regola di vita, vengano riconosciuti a pieno titolo come consacrati; devono conseguentemente essere seguiti pastoralmente in qualit di consacrati 20. Per evitare che lesigenza di tale solitudine determini anche il disinteresse da parte della Gerarchia, il Vicario episcopale dovr dedicare agli eremiti unattenzione tutta particolare, proprio perch si tratta di una forma di vita individuale e poco abituale. Non da escludersi che possa stabilirsi anche per loro, se diventano numerosi in diocesi, una certa forma associativa, purch non metta in pericolo gli elementi fondamentali della vita eremitica 21. Anche questo aspetto dovr essere saggiamente guidato dal Vicario episcopale. Se poi leremita sacerdote, il Vicario episcopale dovr saper coordinare un ministero sacerdotale degnamente esercitato con la vocazione eremitica. E ci non facile.
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Cf c. 604, par. 2. Le associazioni di Vergini consacrate potranno convertirsi facilmente, se non si hanno speciali cautele, in istituti di vita consacrata di tipo religioso o secolare. Tuttavia pu accadere che lintenzione espressa del Fondatore sia stata quella di formare un istituto di vergini consacrate in qualit di tali. Cos stato per lopera fondata a Buenos Aires dal Can. Luis M. Etcheverry Boneo, riconosciuta dallArcivescovo diocesano il 21 dicembre 1985 come Associazione pubblica di vergini consacrate sotto il nome di Servidoras. 19 LOrdo viduarum, bench non abbia avuto un riconoscimento a livello universale come quello delle vergini, stato restaurato nellarcidiocesi di Parigi, con approvazione di un Rito corrispondente. Un lungo esposto, corredato da documentazione sullargomento, si trova nel 1 vol. del commentario ai canoni riguardanti la vita consacrata del prof. JEAN BEYER, SI, Il diritto della vita consacrata, Milano 1990, p. 153-164. 20 Cf c. 603. Il CIC considera soltanto gli eremiti dipendenti direttamente dai Vescovi, proprio perch quelli dipendenti eventualmente da un Superiore religioso, oppure facenti parte di un istituto religioso, vengono regolati dalle rispettive costituzioni. Cf Communicationes 10 (1978) p. 328-331. 21 Uno studio ampio e documentato sui diversi aspetti e possibilit della vita eremitica si trova in E. SASTRE, CMF, La vida heremca diocesana forma de vida consagrada. Variaciones sobre el canon 603, in CpR 1987, p. 99-124; 245-267; 331-358; 1988, p. 145-170; 307-312; 1989, p. 81-89.

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2. I consacrati religiosi Riguardo ad essi, la funzione del Vescovo, e conseguentemente, del Vicario episcopale, per un verso meno impegnativa, per un altro pi difficile da portare a termine. Nei confronti delle persone il Vicario avr compiti assai ridotti, avendo esse i propri superiori interni che devono esercitare la cura pastorale, perch non giusto che lOrdinario diocesano invada la sfera autonoma di vita ad intra della comunit 22. Quindi il campo dinfluenza diretta del Vicario sulle persone sar circoscritto alla cura di anime, allesercizio pubblico del culto divino e alle altre opere di apostolato esercitati dai religiosi. Daltra parte per il diritto universale, seguendo il chiaro indirizzo conciliare 23, vuole che lautorit diocesana promuova la fedelt dei religiosi alla disciplina propria dellistituto e allobbedienza ai superiori. Ove occorra, deve anche ricordare un tale obbligo ai religiosi stessi. Inoltre, il Vescovo tenuto a salvaguardare e a favorire positivamente lautonomia propria di ogni singolo istituto e, pi ancora, il carisma proprio nel quale si esprime il dono di Dio alla Chiesa che sta alla base di ogni istituto. A tale scopo indispensabile che il Vescovo conosca anzitutto ogni carisma con sufficiente esattezza. Ma vediamo in concreto il rapporto del Vescovo e del Vicario con i diversi tipi di religiosi: a) I Monasteri di monache. Tra lOrdinario diocesano ed i monasteri contemplativi di monache esiste una relazione pi stretta che nel caso di altri religiosi. In primo luogo, la maggior parte di tali monasteri affidata alla peculiare vigilanza pastorale del Vescovo 24. Questo vuol dire che il Vescovo, pur non essendo superiore canonico interno al di sopra della superiora del monastero, chiamato ad
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Cf c. 586; CD 35:3-4; MR 9, 13, 28, 34, 52. Cf c. 678; LG 44, 45; CD 35:2; PC 14; MR 32-35, 46. 24 Verso la met del secolo scorso, la maggior parte delle nazioni europee, nelle quali erano ubicati quasi tutti i monasteri contemplativi di monache, adottarono leggi antireligiose con cui si arriv perfino alla soppressione degli Ordini religiosi, sopratutto maschili. In questo modo i monasteri di monache rimasero senza superiori regolari. La conseguenza necessaria fu che la Santa Sede avoc a s la giurisdizione sui monasteri femminili, affidandone lesercizio ai Vescovi rispettivi. Passata la tempesta, alcuni monasteri tornarono alla giurisdizione del superiore religioso, ma la maggior parte rest sotto la giurisdizione dei Vescovi. Per questo motivo il c. 500, par. 2 del 1917 poteva affermare: Moniales quae sub iurisdictione Superiorum regularium ex praescripto constitutionum sunt, tenendo presente che gli altri monasteri erano sub iurisdictione Episcopi. Questa giurisdizione dei Vescovi si convertita nel CIC attuale nella peculiaris vigilantia di cui parla il c. 615 per quei monasteri che non hanno un superiore regolare al di sopra della superiora propria.

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esercitare su di esso una serie di funzioni che in altri casi vengono attribuite al Moderatore supremo. Inoltre il monastero sui iuris, anche se di diritto pontificio 25, locale per essenza e i suoi membri sono legati al luogo e alla chiesa particolare perfino con un voto di stabilit. Anche nel caso che un monastero sia sotto la giurisdizione di un Superiore regolare al di sopra della propria superiora, il Vescovo diocesano ha sempre una potest propria riguardo alla clausura 26. Se i monasteri di monache sono pochi in diocesi, potr il Vescovo esercitare personalmente le proprie funzioni; se invece sono numerosi, si vedr costretto a dare mandato speciale al Vicario episcopale, o anche a nominare un Vicario per le monache. b) Gli istituti religiosi di diritto diocesano. Questi istituti si trovano in situazione giuridica molto simile a quella dei monasteri di monache nei confronti del Vescovo e del Vicario episcopale. Soprattutto quando listituto monodiocesano, lautorit della diocesi avr la responsabilit diretta della vita e dello sviluppo dellistituto, pur dovendo sempre rispettare e promuovere la sua giusta autonomia di vita e di governo 27. Se listituto clericale, il Vescovo Ordinario canonico dei chierici dellistituto, pur essendo incardinati nellistituto e non nella diocesi 28. il Vescovo, assistito dal Vicario episcopale, responsabile non soltanto del ministero sacerdotale dei religiosi, ma anche della loro formazione idonea. Trattandosi inoltre di istituti che generalmente sono di recente fondazione, lautorit diocesana ha un compito immediato e importante nella definizione del carisma proprio dellistituto, oltre allobbligo di discernere se carisma e istituto siano vero dono dello Spirito, oppure unopera meramente umana. questo un aspetto fondamentale che deve avere la precedenza su tutti gli
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Tutti i monasteri di monache legittimamente eretti sono di diritto pontificio, dato che debbono essere parte di un ordine approvato dalla Santa Sede ed inoltre hanno bisogno della licenza della medesima Santa Sede per essere eretti. Con una terminologia propria e tradizionale nellOrdine, il catalogo O.S.B. attribuisce la qualifica di monastero di diritto diocesano ai monasteri che non sono sotto la giurisdizione dellOrdine stesso, ma bens sotto la peculiare vigilanza di un Vescovo. Evidentemente la Sede Apostolica pu concedere a un Vescovo che stabilisca nella propria diocesi una comunit monastica non appartenente a nessun Ordine approvato; in tal caso la comunit monastica sarebbe veramente di diritto diocesano, ma non sarebbe un monasterium monialium nel senso tecnico della parola. 26 Sono caduti con il nuovo CIC altri compiti attribuiti ai Vescovi riguardo ai monasteri femminili sotto la giurisdizione del superiore regolare. Il pi significativo era quello di presiedere allelezione della superiora del monastero, anche nel caso che fosse presente il superiore regolare. Cf c. 506, par. 2 del 1917; 625, par. 2 del CIC attuale dove il Vescovo presiede allelezione soltanto nei monasteri di cui al c. 615. 27 Cf c. 586. 28 Cf c. 596, par. 2, e c. 266, par. 2.

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altri: formazione, disciplina religiosa, governo, ecc; anzi, deve essere il criterio centrale e base su cui gli altri aspetti vengono strutturati. Un istituto religioso pu essere diocesano non soltanto perch giovane e non ha raggiunto ancora lo stadio pontificio di approvazione, ma perch la sua indole e spiritualit diocesana. In questo caso lautorit diocesana dovr vigilare perch listituto non sia indotto a cambiare la propria indole a causa del contatto con altri istituti di tipo diverso. Anche nel campo della pastorale vocazionale giusto che lautorit diocesana dia la precedenza a questi istituti e a quelli che hanno minore possibilit di appoggi fuori dalla diocesi. Gli istituti diocesani per indole e spiritualit possono sempre aspirare a diventare giuridicamente istituti di diritto pontificio 29, a patto che tale indole e spiritualit vengano perfettamente definite nelle Costituzioni e che la relazione dellistituto con il Vescovo e il Vicario abbiano quel carattere di immediatezza che richiede la propria indole. Sar necessario che, nonostante la pressione dei bisogni pastorali, il Vescovo e il Vicario sappiano ben distinguere tra istituti religiosi di diritto diocesano, perch si trovano nel loro primo stadio di vita e sviluppo, e istituti religiosi di indole diocesana, cio aventi come finalit il servizio alla chiesa locale e quindi dotati di un carisma corrispondente a tale finalit. c) Gli istituti religiosi di diritto pontificio. Nei tempi passati sarebbe stato necessario distinguere qui tra istituti esenti e non esenti, perch lesenzione si riferiva proprio alla dipendenza dal Vescovo. Con lattuale CIC, pur mantenendosi lesenzione come affermazione di principio, gli effetti generali di essa vengono a identificarsi quasi sempre con quelli della giusta autonomia di ogni istituto, almeno di quelli di diritto pontificio. Questi istituti ricoprono tutta la vasta gamma che va dai monasteri contemplativi (certosini, camaldolesi, ecc.) alle piccole comunit composte da due o tre religiosi/e dedicati ad un particolare ministero, proprio o anche non proprio dellistituto. I religiosi hanno i propri superiori, il proprio carisma, il proprio genere di vita, cos che
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un fatto che gli istituti aspirano a diventare di diritto pontificio quando raggiungono una maturit sufficiente. Questo fatto comune nella maggior parte delle nazioni ad eccezione del Belgio, dove si trovano non pochi istituti religiosi femminili, di antica data e molto sviluppati, rimasti di diritto diocesano fino ad oggi; qualche caso si dato anche in Francia.

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nella diocesi possono avere laspetto di corpi estranei. Siamo ben consapevoli dellimmane sforzo con cui la Chiesa, dal Concilio in poi, ha cercato di far capire che il carisma e la realt di ogni singolo istituto religioso una ricchezza che appartiene alla stessa Chiesa universale come ad ogni chiesa locale e che i religiosi formano parte della Chiesa particolare 30. Per questo ha potuto esigere da ogni Vescovo la tutela della giusta autonomia degli istituti. Ci richiede in primo luogo il rispetto dellautonomia, anche quando questo significa non poter disporre a piacimento dei religiosi come operatori pastorali. Vuol dire anche rispettare, conoscere e promuovere il carisma di ogni singolo istituto presente in diocesi, fino al punto di richiamare i religiosi stessi alla fedelt al carisma, se riscontra che difettano in questo 31. Linserimento dei religiosi nella vita e nella pastorale della diocesi una delle funzioni del Vescovo e del Vicario. Dovr realizzarsi tenendo sempre presente il dono speciale dello Spirito che ogni istituto porta con s. Quando gli istituti sono molti in diocesi, sar difficile senza uno sforzo positivo di comprensione, che il Vicario episcopale conosca a sufficienza il carisma di ognuno di essi, onde poter adempiere quel compito di tutela e promozione che gli proprio. Quando gli istituti invece sono pochi, sar pi facile conoscerli, ma pi difficile rispettarli. Pu essere frequente cedere alla tentazione di chiedere ai religiosi di fare tutto, compreso ci che esula o contrasta con il proprio carisma e finalit. 3. I consacrati secolari A questa categoria appartengono i membri degli istituti secolari. Essi sono interamente consacrati per lassunzione dei consigli evangelici con un vincolo sacro, ma la loro situazione e collocazione canonica e sociale continua ad essere quella che era, siano essi chierici o laici 32. La loro secolarit non soltanto resta intatta, ma diventa anche elemento essenziale del loro genere di vita. Qui il compito del Vicario episcopale comincia a farsi rischioso. Sar facile che, a prote30

Era questa lintenzione fondamentalmente con cui le due Congregazioni, per i Vescovi e per i Religiosi, affrontarono in una Plenaria mista il problema delle relazioni Vescovi-religiosi. Il frutto fu la Instr. Mutuae relationes che appare a molti come il documento della Santa Sede che maggiore influsso ha esercitato dopo il Concilio. 31 Cf c. 678, par. 2. 32 Cf cc. 710, 711.

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zione della loro secolarit, dimentichi il loro carattere consacrato e le conseguenze che ne derivano. Ma ci sar anche la tentazione di confonderli con i religiosi, sorvolando sullaltro elemento essenziale della secolarit. Ci sar pure unaltra tentazione: quella di non curarsi affatto di loro, abbandonandoli a se stessi. Ma anche gli istituti secolari hanno il proprio carisma, che deve essere rispettato e promosso, dopo essere stato dovutamente conosciuto. La santit e la fedelt al Vangelo singolarmente favorita da questi istituti che agiscono al di dentro delle realt temporali in maniera sommamente discreta, ma non ignota allautorit diocesana e non separata ed estranea dalla funzione santificatrice della Gerarchia. 4. Fedeli alla ricerca di una identit ecclesiale come consacrati Appartengono inoltre alla categoria di consacrati non poche istituzioni di nuova formazione che assumono i consigli evangelici come norma di vita, ma non alla maniera dei religiosi, bens in modo proprio, molto variegato, oppure senza la separazione radicale dalle realt temporali che la vita religiosa esige. Questi gruppi di consacrati non hanno ricevuto ancora unapprovazione specifica da parte dellautorit ecclesiastica e, conseguentemente, non possono annoverarsi giuridicamente tra gli istituti di vita consacrata 33. Ma certo che aspirano ad essere riconosciuti e approvati come tali. La loro imprecisione giuridica non pu giustificare una mancanza di attenzione pastorale nei loro confronti da parte dei Vescovi e dei Vicari episcopali, anzi richiede un esercizio pi attento della loro carit e sollecitudine, dovendo essi trovare con laiuto della Gerarchia il modo pi adatto per esprimere la propria finalit e per tutelarla con statuti appropriati 34. Niente vieta che i Vescovi riconoscano tali gruppi come associazioni pubbliche di fedeli, affidando ai Vicari episcopali il loro
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Il caso di queste associazioni di fedeli presenta un problema difficile. Quando un Vescovo erige unassociazione del genere, essa adotta il modo di essere degli istituti della categoria a cui dovr poi appartenere. In questo caso accade che nessuna delle categorie esistenti coincide con le aspirazioni e le idee dei promotori. l Vescovi quindi ed i Vicari dovranno considerare attentamente queste aspirazioni e idee, strutturandole possibilmente in modo sufficientemente organico prima di procedere ad una erezione canonica di associazione pubblica, salvaguardando in ogni caso le caratteristiche irrinunciabili della consacrazione, se c in prospettiva la erezione di un vero istituto di vita consacrata. Cf c. 605. 34 Gli statuti debbono esprimere la mente del fondatore e tutelarla. Ma poich presupponiamo che si tratti di un istituto di vita consacrata, sar necessario tutelare anche gli elementi di consacrazione. Perci il c. 605 avverte che si dovranno tener presenti sopratutto i canoni che stabiliscono le norme generali per tutti gli istituti di vita consacrata, cc. 573-602.

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accompagnamento e la verifica immediata della loro caratteristica di consacrati per mezzo della professione dei consigli evangelici e della dedizione senza riserve ad un servizio ecclesiale. frequente che questi gruppi annoverino nei propri ranghi anche matrimoni che cooperino allunico fine apostolico dellistituzione 35. Trattandosi di associazioni di fedeli liberamente organizzate, non dovrebbe essere difficile la loro integrazione nel gruppo, salvi sempre i diritti e soprattutto gli obblighi di tali fedeli. Sar invece difficile e anche impossibile attribuir loro senza distinzioni il carattere di consacrati per la professione dei consigli evangelici e per la dedizione totale a Dio e alla Chiesa in un istituto di vita consacrata. Saranno essi stessi, accompagnati dallautorit diocesana, a verificare fin dove si pu arrivare in sincerit e verit. Sar opportuno sottolineare che lattenzione primaria dovuta dal Vescovo e dal Vicario episcopale a tutte le anime consacrate che abbiamo passato in rassegna riguarda in primo luogo la loro stessa realt di consacrati, che li congiunge in modo speciale alla chiesa e al suo mistero. Soltanto in secondo luogo pu essere considerata la loro attivit a favore della Chiesa e lefficacia del loro servizio. 5. Le societ di vita apostolica Diverse cause hanno contribuito a creare oggi una speciale sensibilit in molti membri di queste societ, che rifuggono dallessere assimilati ai membri di istituti consacrati. Lattuale CIC non li assimila semplicemente agli istituti religiosi, come faceva il CIC del 1917 e fa ancora il CICO 36. Dichiara senzaltro preliminarmente la loro assimi35

Lassioma classico: societates uti fines valido anche in questo caso. Quindi nessuno potr dubitare che gli sposati formino parte della societ. Quello invece che sar assai dubbio che in tal caso la societ possa considerarsi istituto di vita consacrata, o almeno che gli sposati ne formino parte allo stesso modo che i celibatari. vero che nellOrdine militare di S. Giacomo, della seconda met del sec. XII, si ammetteva un voto di castit coniugale accanto a quello di castit celibataria. Cf E. SASTRE, CMF, Alberto de Morra, Cardenal Protector de la Orden de Santiago, in Hidalguia, Madrid 1983, p. 369-382. Ma non possibile trarne conclusioni valide in altri campi, n si pu pretendere che un precedente giustifichi qualsiasi cosa. La realt innegabile che, anche nel caso che gli sposati collaborino al fine unico della societ in modo efficace ed autentico, essi non possono assumere i consigli evangelici con lo stesso contenuto del voto dei celibatari. Per il voto di castit evidente; ma anche per la povert e lobbedienza le differenze sono molto grandi. 36 Cf c. 731, par. 1; Cf CIC 1917 c. 673, par. 1; CICO c. 554, par. 1 dove la Societ si definisce ancora societas vitae communis ad instar religiosorum, ed i membri ad effectus canonicos quod attinet, religiosis aequiparantur (c. 554, par. 3).

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lazione, ma stabilisce una normativa propria e differenziata che soltanto ad essi pu applicarsi, anche nel caso che assumano i consigli evangelici con un vincolo determinato nelle costituzioni. Sar quindi necessario che il Vicario episcopale competente conosca sufficientemente le differenze teologiche e giuridiche che esistono, se vuol evitare di comportarsi approssimativamente con questi fedeli, che hanno una loro vocazione specifica ed una lunga tradizione giuridica degna di ogni rispetto e di una reale tutela da parte della Gerarchia. C. Obblighi-facolt del Vescovo e del Vicario episcopale Nei riguardi di tutti i fedeli di cui abbiamo parlato, il Vescovo ha una serie di obblighi e facolt che nascono dalla sua natura come pastore, come padre, come maestro, come segno di Cristo, come presidente della carit nella chiesa particolare 37. Alcuni di essi vengono espressamente recensiti nel CIC. Sar bene che li esaminiamo, tenendo presente che alcuni vengono attribuiti personalmente al Vescovo. Sono i pi importanti, o almeno quelli che il diritto universale della Chiesa considera tali. Evidentemente il Vescovo potr affidare con mandato speciale anche questi compiti al Vicario episcopale, ma non in modo che diventino facolt ordinaria del Vicario e meno ancora in modo che liberi il Vescovo da un obbligo che il diritto colloca sulle sue spalle con determinata e ragionata volont. 1. Compiti affidati alla persona del Vescovo A qualcuno potr sembrare illogico elencare qui i compiti personali del Vescovo, quando si tratta di enumerare piuttosto quelli del Vicario episcopale. Li trattiamo per due ragioni: prima, perch il Vicario episcopale deve sapere espressamente che non gli competono; seconda, perch trattandosi di atti pastorali particolarmente importanti, necessario che il primo collaboratore del Vescovo per la cura pastorale dei consacrati, li prepari adeguatamente prima che il Vescovo intervenga. a) Erezione di una associazione pubblica di fedeli, denominata anteriormente Pia Unione 38, destinata a diventare un giorno istituto
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CARD. A. BALLESTRERO, Il Vescovo e la vita religiosa, in Il Vicario episcopale..., p. 23. Il fatto che il CIC attuale non usi pi la terminologia di Pia Unione non vuol dire, come erroneamente interpretarono alcuni, che le Pie Unioni non esistano pi. Una questione invece che pu essere di-

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di vita consacrata e dotata gi di tutte le caratteristiche di tali istituti, eccetto quella dellapprovazione canonica in qualit di istituto di vita consacrata. In certo modo si torna cos allo stato anteriore a Leone XIII, con veri istituti religiosi, eretti e approvati dallautorit ecclesiastica competente, ma non riconosciuti canonicamente come tali. Questo sistema ha linnegabile vantaggio di mettere gli istituti in fase iniziale sotto la immediata e quasi totale autorit del Vescovo, il quale pu da vicino seguirne la crescita con vigilante cura e benevolenza. Ha invece linconveniente di non apportare al gruppo un riconoscimento canonico rispondente alla sua vera natura. Comunque sia, nel momento attuale questa lunica via percorribile per arrivare alla costituzione di un nuovo istituto di vita consacrata. Il Vescovo, coadiuvato dal Vicario episcopale, guida il fondatore ed i primi membri dellistituto sulla rotta della consacrazione totale a Dio e alla Chiesa. Quando giudica arrivato il momento, erige unassociazione pubblica di fedeli dotata possibilmente di tutti gli elementi e caratteristiche corrispondenti alla categoria canonica a cui dovr col tempo appartenere; oppure di quegli elementi di vita consacrata propri della nuova forma che lo Spirito attraverso il fondatore intende donare alla Chiesa. il Vescovo che deve discernere la provenienza dallo Spirito e lautenticit del dono 39. Quando il Vescovo erige unassociazione pubblica di fedeli, ha inizio la storia ecclesiale di un nuovo istituto di vita consacrata. Quando il Vicario episcopale, nella sua immediata vigilanza e cura pastorale, giudicher lassociazione pronta per la erezione canonica in istituto di vita consacrata, sar suo compito fornire al Vescovo tutte le informazioni di cui ha bisogno per realizzare la previa consultazione da presentare alla Sede Apostolica e per produrre il decreto formale di erezione. ancora il Vescovo diocesano, e non il Vicario episcopale, che chiamato ad inviare alla S. Sede le lettere commendatizie per lerezione di un istituto di vita consacrata in unaltra diocesi. b) Erezione con formale decreto di un istituto di vita consacrata, purch sia stata consultata la Sede Apostolica. La erezione formale di istituti ha ormai una lunga storia. Per secoli rimasta competenza
battuta quella della equiparazione tra le antiche Pie Unioni erette per diventare istituti di vita consacrata o societ di vita apostolica e le associazioni pubbliche di fedeli di cui parla il Codice attuale. La prassi della Santa Sede certamente quella di parlare di associazione pubblica di fedeli dove prima si diceva Pia Unione. 39 Cf MR 9 e 51.

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esclusiva della S. Sede lerezione di ordini, cio di istituti religiosi di voti solenni, i soli ad essere considerati allora veramente regulares. Ma i Vescovi nelle proprie diocesi erigevano liberamente associazioni di fedeli viventi in comune, che facevano professione dei tre voti classici di religione. Queste associazioni ottenevano anche non poche volte lapprovazione della Sede Apostolica, la quale approvava pure le Costituzioni. Si form cos un corpo di dottrina canonica da applicarsi a tutti i gruppi di fedeli che volevano abbracciare questo genere di vita. Sorsero in questo modo gli istituti di voti semplici, riconosciuti come vere religiones soltanto nel 1900 da Leone XIII 40. Simultaneamente venne riconosciuta ai Vescovi la potest di erigere religiones di voti semplici nelle proprie diocesi. Anche se non si pu parlare di un ripensamento da parte della S. Sede riguardo a questo riconoscimento, vero per che si parl di una licenza che i Vescovi dovevano ottenere prima di usare questa loro facolt 41; il CIC del 1917 prefer attenuare lidea di licenza, convertendola in un divieto di erigere se non si fosse consultata la S. Sede 42. La prassi si andata consolidando e oggi la consultazione presentata alla S. Sede dal Vescovo erigente si conclude con un nulla osta, in caso di esito positivo, accompagnato dalle osservazioni eventuali sul testo delle costituzioni per facilitare al Vescovo lapprovazione di un testo costituzionale valido. c) Approvare le costituzioni di un istituto di diritto diocesano e confermare le modifiche ad esse legittimamente apportate, quelle cio approvate con due terzi dei voti dal Capitolo Generale 43. d) Trattare gli affari maggiori di un istituto di diritto diocesano, che superano lambito di potest dellautorit interna dellistituto, dopo aver consultato gli altri vescovi se listituto ormai pluridiocesano 44. e) Concedere dispense dalle costituzioni in casi particolari ai membri di istituti di diritto diocesano 45.
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Cf LEONE XIII, Const. Conditae a Christo, 8 dic. 1900. Cf S. PIO X, motu proprio Dei providentis, 15 luglio 1906. 42 Cf CIC 1917 c. 492, par. 1. 43 Cf c. 595, par. 1. La prassi della S. Sede nellapprovazione delle Costituzioni quella di attribuire il diritto di modificarle al Capitolo Generale con maggioranza qualificata, prima di trasmettere le modifiche allautorit competente per la conferma. 44 Cf c. 595, par. 1. Dato che il Vescovo deve tutelare la giusta autonomia di vita e di governo dellistituto di diritto diocesano, risulta molto difficile immaginare quali siano gli affari a cui si riferisce il canone, oltre alleventuale deposizione del Superiore generale. 45 Cf c. 595, par. 2. Se si tratta di dispense da norme semplicemente disciplinari, pu anche il superiore interno concederle. Probabilmente sarebbe stato utile considerare nel caso le dispense da norme canoniche che la Santa Sede solita concedere, quando si tratta di istituti di diritto diocesano.

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f) Ricevere lo professione di un eremita, mediante la quale esso entra canonicamente a far parte dello stato di vita consacrata. Ci comporta lobbligo di guidare leremita nel suo modo di vivere almeno dandogli una Regola di vita da seguire sotto la vigilanza del Vicario episcopale o di un altro ecclesiastico designato 46. g) Consacrare le vergini secondo il rito approvato 47 e parallelamente anche le vedove consacrate. h) Discernere le nuove forme di vita consacrata e aiutare i promotori o fondatori ad esprimere il loro proposito e a redigere una regola di vita adeguata 48. i) Dare il consenso scritto per lerezione di una casa di un istituto religioso 49 oppure per destinarla ad opere apostoliche differenti da quella per cui fu costituita 50. j) Esercitare la speciale vigilanza a norma del diritto sui monasteri di monache sui quali non vi sia un altro Superiore maggiore al di sopra della propria Superiora 51. k) Dare il proprio parere prima che venga soppressa una casa religiosa legittimamente eretta entro il territorio diocesano 52. l) Presiedere allelezione della Superiora di un monastero sui iuris, di cui al c. 615, e del Moderatore Supremo di un istituto di diritto diocesano la cui casa principale si trovi nella propria diocesi53.

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Cf c. 603, par. 2. Cf c. 604, par. 1. Ci suppone che prima di arrivare alla consacrazione vi sia stato un processo di discernimento e di formazione. 48 Cf c. 605. 49 Cf c. 609. 50 Cf c. 612. Ci non vuol dire che il Vescovo non debba sapere niente quando si tratta di destinazione diversa ad intra dellistituto. Ma non necessario il consenso scritto. 51 Cf c. 615. questo un canone che comporta un gran numero di conseguenze e che non stato sufficientemente approfondito finora, in relazione sopratutto al c. 614 che parla di consociazione in maniera molto generica. Di fatto si pu dare, e si d, una consociazione meramente spirituale che lascia la superiora del monastero senza superiore al di sopra; tale monastero, pur consociato con un Ordine maschile, resta sotto la peculiare vigilanza del Vescovo. 52 Cf c. 616. Molti Vescovi non sono daccordo con la prescrizione di questo canone, in quanto si vedono spesso posti davanti a fatti compiuti o a decisioni prese senza nemmeno ascoltarli. Una eventuale formula, come re adhuc integra avrebbe lasciato le cose come stanno, ma avrebbe dato al Vescovo la possibilit di farsi ascoltare a tempo. 53 Cf c. 625, par. 2. Con il CIC anteriore, lOrdinario del luogo poteva confermare o respingere lelezione di un Superiore generale di istituto di diritto diocesano pro conscientiae officio (c. 506, par. 4). Ora non pi.

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m) Visitare, anche per quanto riguarda la disciplina religiosa, i monasteri di cui al c. 615 e le singole case di un istituto religioso di diritto diocesano, stabilite nel territorio della propria diocesi 54. n) Entrare per giusta causa nella clausura dei monasteri di monache della propria diocesi e permettere, per causa grave e con il consenso della superiora, che altri siano ammessi in clausura, o che le monache ne escano, per il tempo strettamente necessario 55. o) Procedere su un piano di reciproca intesa con i superiori, nellorganizzare le attivit apostoliche dei religiosi e dei membri delle Societ di vita apostolica 56. p) Proibire a un religioso per causa molto grave e urgente, di dimorare nella diocesi se il Superiore maggiore previamente avvertito, trascura di provvedere in merito, deferendo subito la questione alla Sede Apostolica 57. q) Guidare la collaborazione tra istituti religiosi e clero diocesano e il coordinamento in diocesi di tutte le opere e attivit apostoliche, avuto riguardo allindole e finalit dei singoli istituti e alle leggi di fondazione. Lo stesso si dica delle Societ di vita apostolica 58. r) Dirigere con propria autorit le opere da lui affidate ai religiosi, salva la disciplina dellistituto e la sottomissione ai relativi superiori 59. s) Stipulare convenzioni scritte con i superiori competenti, nelle quali sia definito espressamente ed esattamente tutto quello che riguarda lopera da svolgere, i religiosi da impegnare in essa e laspetto finanziario. Particolarmente importante quando si tratta dellaffidamento di una parrocchia ad un istituto religioso 60.
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Cf c. 628, par. 2. Cf c. 667, par. 4. Alcune costituzioni di monache fanno inutile questo canone, elencando tutte le possibili entrate e uscite dalla clausura senza tenere presente la facolt del Vescovo. 56 Cf c. 678, par. 3; MR 21, 626; DPME 207, b,c,e. 57 Cf c. 679. Qualora il superiore religioso consideri ingiusto il provvedimento, potr esporre alla S. Sede le proprie ragioni, dato che anche il Vescovo deve deferirvi subito la questione. Un pericolo inerente al caso quello di provocare un processo di dimissione del religioso espulso dalla diocesi, il quale potrebbe tornare in diocesi come semplice cittadino, diventando pi dannoso di prima. 58 Cf c. 680. Il riguardo dovuto allindole dei singoli istituti deve accentuarsi ancora di pi quando si tratta di religiosi che corrono il rischio di perdere la propria identit appunto esercitando il ministero sacerdotale. un fatto troppo frequente luscita dal proprio istituto religioso per continuare a guidare una parrocchia. 59 Cf c. 681, par. 1. 60 Cf c. 681, par. 2. Una particolare attenzione, al momento di redigere una convenzione del genere, eviterebbe poi molti attriti e molte lagnanze.

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t) Conferire uffici ecclesiastici, con relativa nomina, a un religioso presentato dal Superiore competente o almeno con il suo consenso; come anche rimuoverlo dallufficio conferito a sua discrezione, informandone il Superiore religioso 61. u) Visitare personalmente o per mezzo di altri, in occasione della visita pastorale o in caso di necessit, le chiese e oratori di libero accesso ai fedeli, le scuole non meramente interne e le altre opere di religione e carit spirituale o temporale affidate ai religiosi. In caso di abusi riscontrati, dopo aver richiamato inutilmente il Superiore religioso, pu prendere da s i provvedimenti che giudica necessari 62. v) Concedere lesclaustrazione oltre i tre anni o imporre lesclaustrazione su richiesta del Moderatore Supremo, a religiosi di istituti di diritto diocesano residenti in diocesi 63, come anche concedere lindulto di lasciare listituto a questi stessi religiosi o a membri di istituti secolari di diritto diocesano 64. Confermare lindulto di lasciare listituto ad una monaca di voti temporanei di un monastero di cui al c. 615 o a un religioso di voti temporanei di un istituto di diritto diocesano residente in diocesi 65. x) Emettere il decreto di dimissione di una monaca di un monastero di cui al c. 615 e confermare il decreto di dimissione di un membro di istituto religioso o secolare o di una societ di vita apostolica di diritto diocesano residenti in diocesi 66. y) Incardinare nella propria diocesi, anche dopo un conveniente periodo di prova, o almeno permettere lesercizio del sacro ministero, ad un membro chierico di un istituto religioso o societ di vita apostolica, secolarizzato oppure dimesso 67.
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Cf c. 682, tenendo presente per che anche il superiore pu fare altrettanto. Cf c. 683. Non sar inutile ricordare che i seminari per la formazione sacerdotale degli istituti clericali di diritto pontificio non rientrano nella categoria di scuole, di cui al nostro canone, e non sono visitabili dal vescovo nel senso canonico della parola. 63 Cf c. 686, par. 3. 64 Cf c. 691, par. 2 e c. 727, par. 1. 65 Cf c. 688, par. 2. 66 Cf c. 699, par. 2 e c. 700. La potest di dispensare dai voti non va confusa con la facolt di dimettere dallistituto. Anche se il Vescovo pu concedere la dispensa a un membro di istituto di diritto diocesano, dietro sua richiesta, non valida una dimissione da lui decretata senza losservanza delle norme canoniche. Si tratta di una nullit che non pu essere sanata dalla buona intenzione di agire per il bene delle anime, pur essendo questo bene legge suprema nella Chiesa. 67 Cf c. 693 e c. 701.

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z) Nominare il rettore di una chiesa di un istituto religioso, anche clericale di diritto pontificio, dietro presentazione del superiore competente 68. 2. Compiti affidati allOrdinario del luogo Entriamo qui nellambito dellattivit del Vicario episcopale, non pi in qualit di collaboratore che prepara gli atti attribuiti dal diritto al Vescovo stesso, ma nella sua qualit proprio di Vicario che esercita una potest ordinaria di tipo permanente, possibilmente aiutato da una segreteria dotata di mezzi e personale confacenti allentit della presenza di anime consacrate in diocesi. A. Compiti affidati dal diritto universale a) esaminare il rendiconto annuale dellamministrazione dei monasteri di cui al c. 615; conoscere, se lo ritiene opportuno, la situazione finanziaria delle case di istituti religiosi di diritto diocesano presenti in diocesi 69. b) approvare, dintesa con la comunit interessata, i confessori ordinari per i monasteri di monache, per le case di formazione e le comunit di notevoli dimensioni di istituti laicali 70. c) dare il consenso per lesclaustrazione di un religioso o di un membro chierico di societ di vita apostolica, che risieder nella diocesi 71. d) esercitare sullesclaustrato, specialmente se chierico, la vigilanza pastorale e la potest corrispondente allobbligo di dipendenza che il diritto impone a tale esclaustrato 72.

Cf c. 567. Cf c. 637. Questo diritto non converte tali entit in enti soggetti alla giurisdizione dellOrdinario del luogo in materia finanziaria per quanto riguarda le eventuali tasse, ecc. 70 Cf c. 630, par. 3. 71 Cf cc. 686 e 745. Tale consenso deve ottenerlo il superiore generale prima di concedere lindulto. Non viene chiesto invece quando la Santa Sede a concedere lesclaustrazione; in questo caso la Sede Apostolica stessa che affida al Vescovo la cura pastorale del chierico in esclaustrazione. Sar bene notare anche la differenza esistente tra una semplice esclaustrazione in virt della quale un chierico religioso risiede in diocesi e vi esercita il ministero, e la secolarizzazione ad experimentum che soltanto la Santa Sede pu concedere, dando al Vescovo la facolt dincardinare il chierico interessato in qualsiasi momento durante il periodo di esperimento. 72 Cf c. 657.
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e) esercitare la vigilanza sulle associazioni, anche proprie di istituti religiosi, operanti, nella diocesi, dirigendo e favorendo la dovuta collaborazione con le altre associazioni 73. f) nominare il cappellano di una casa di istituto laicale, dopo aver sentito il superiore 74. g) concedere licenza perch i membri di istituti religiosi possano eventualmente scrivere su giornali, opuscoli o riviste periodiche, che sono soliti attaccare apertamente la religione cattolica o i buoni costumi 75. h) dare il consenso scritto per le alienazioni e operazioni di cui al c. 638, par. 3 ai monasteri di cui al c. 615 e agli istituti di diritto diocesano 76. B. Compiti rientranti nella funzione pastorale del Vescovo e del Vicario episcopale 77 a) Riguardanti la vita consacrata in genere. 1. Far conoscere e promuovere in diocesi la vita consacrata. 2. Tutelare la crescita della vita consacrata portando particolare attenzione alle sue diverse forme e allo spirito e indole dei singoli istituti. 3. Coordinare e sviluppare lazione a favore dei consacrati. b) Riguardanti i membri di istituti di vita consacrata. 1. provvedere al loro bene spirituale e procurare una assistenza conveniente di sacerdoti e direttori di spirito. 2. Completare la formazione dei consacrati, promuovendo laggiornamento della loro preparazione dottrinale e spirituale. 3. Avere cura dei consacrati nelle diverse situazioni di difficolt che possono attraversare, aiutandoli ad essere fedeli alla loro vocazione.
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Cf c. 305, par. 2 e c. 320. Cf c. 567. 75 Cf c. 831, par. 1 76 Cf c. 638, par. 4. 77 I compiti qui elencati sono tratti liberamente dai decreti di nomina di Vicari episcopali in diverse diocesi italiane, raccolti e vagliati da sr. Enrica Rosanna in occasione del Convegno sopracitato. Cf SR. ENRICA ROSANNA, FMA, Il Vicario episcopale per la vita nelle chiese particolari. Risultati di una ricerca, in Il Vicario... p. 57-89.

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c) Riguardanti la presenza della vita consacrata e linserimento dei consacrati nella diocesi. 1. Promuovere nella comunit diocesana una maggiore attenzione alla vita consacrata, alla specificit dei carismi, alla qualit delle sue attivit. 2. Aiutare gli istituti ad inserirsi secondo la propria indole nella comunione e nellazione evangelizzatrice della chiesa locale. 3. Sensibilizzare la chiesa particolare al valore supremo della santit e ai consigli evangelici. 4. Favorire linserimento dei consacrati nella pastorale diocesana. 5. Costituire e curare il funzionamento del Consiglio diocesano dei religiosi. 6. Promuovere presso i consacrati lo spirito di ecclesialit e la sensibilit ai problemi ed esigenze della chiesa. 7. Stimolare le comunit religiose, specie quelle contemplative, ad offrire alla diocesi opportuni aiuti per la conoscenza e la prassi della perfezione cristiana. 6. Vigilare perch le parrocchie affidate ai religiosi esprimano con particolare evidenza i valori caratteristici della vita religiosa e del proprio istituto. 9. Mantenere il contatto con gli organismi di coordinamento dei consacrati a livello diocesano, apportando ad essi la guida e il sostegno che la Gerarchia chiamata a dare. 10. Stimolare la pastorale vocazionale unitaria con particolare attenzione a quegli istituti che hanno minore possibilit di organizzare in proprio un reclutamento sufficiente o debbono affrontare una missione particolarmente difficile o umanamente poco attraente. D. Segretariato diocesano per la vita consacrata Abbiamo parlato finora del Vicario episcopale per la vita consacrata, nel senso canonico del termine. Si tratta di un superiore ecclesiastico, Vescovo ausiliare oppure sacerdote, di et non inferiore a trentanni e dotato delle qualit richieste dal diritto 78. Tale figura non pu confondersi con quella di un Segretario per la vita consacrata, anche se un Segretariato bene organizzato pu es78

Cf c. 478, par. 1.

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sere indubbiamente molto utile al buon esercizio della missione del Vescovo e del Vicario episcopale nei confronti delle anime consacrate. Queste due entit possono coesistere ed essere collegate. Possono anche essere alternative. Un Vescovo, che ha poca vita consacrata in diocesi, pu trovare sufficiente aiuto in un Segretariato. Pu anche accadere che un Vicario episcopale per la vita consacrata non consideri necessario un aiuto ulteriore, come quello che pu fornire un Segretariato. A capo di questo pu esserci anche una religiosa o un laico membro di un istituto o societ, i quali non potranno invece ricevere la qualifica e la potest del Vicario episcopale, poich non rispondono ai requisiti che il CIC stabilisce 79.
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Cf cc. 476-481.

NOTA BIBILIOGRAFICA
SCRIS-SCPE, Instr. Mutuae relationes, in AAS 70 (1978) p. 473-507. SCRIS, Il Vicario episcopale per i Religiosi e le Religiose, in Informationes, 1979, p. 55-68. P. JOSEPH PFAB, C.Ss.R., Il Vicario episcopale per i Religiosi e le Religiose, in Informationes, 1988, p. 101-116. S.E. MONS. FRANCISCO ALVAREZ MARTINEZ, Motivaciones para un estudio del documento sobre el oficio del Vicario episcopal para lo vida consagrada, in Confer. Revista de vida religiosa, Madrid 1985, p. 569-584. COMISION MIXTA DE OBISPOS Y SUPERIORES MAYORES DE RELIGIOSOS Y DE INSTITUTOS SECULARES, El Vicario episcopal para los institutos de vida consagrada. Notas orientativas, in Confer.. p. 587-620. COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA VITA CONSACRATA COMMISSIONE MISTA VESCOVI E RELIGIOSI, Il Vicario Episcopale per la vita religiosa: la figura, il ruolo, i compiti. Centro Studi USMI, Roma 1987. COMMISSION EPISCOPALE POUR LTAT RELIGIEUX Dans nos Eglises particulires Religieux et Religieuses. Session nationale des vicaires piscopaux pour les instituts de religieux et de religieuses, Francheville, 1986. PUCA P.,SI. Il Vicario episcopale per la vita consacrata. Appunti, in Civilt Cattolica, 3279, p. 248-255. ROVERA V., Il Vicario episcopale per la vita consacrata, in Vita consacrata, 1987, p. 169-176.

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DOCUMENTI E INFORMAZIONI DA INVIARE ALLA SANTA SEDE PER LEREZIONE CANONICA DI UN ISTITUTO RELIGIOSO DI DIRITTO DIOCESANO 1. Nome del Fondatore/Fondatrice, nonch del primo Superiore/prima Superiora Generale, unitamente ad un breve curriculum vitae. 2. Relazione storico-giuridica dellIstituto fin dalle sue origini. Si aggiunge una copia del documento con il quale lAssociazione stata approvata dallautorit ecclesiastica. 3. Sei copie delle Costituzioni e del Direttorio, aggiornati secondo il Codice di Diritto Canonico. Due copie del libro di preghiere proprie, del cerimoniale, ecc. 4. Fotografia dellabito religioso di un professo/professa e di un novizio/novizia. 5. Statistica aggiornata dei membri (con un quadro anagrafico), delle Case (inclusi il luogo e la diocesi dove si trovano) e delle opere dellIstituto. Per erigere un Istituto religioso di diritto diocesano, ci vogliono almeno 40 membri, la maggior parte dei quali con voti privati perpetui. 6. Relazione dello stato patrimoniale, con dichiarazione di eventuali debiti. 7. Dichiarazione dalle quali risulta se: a) non vi sono stati fatti straordinari, come visioni, ecc. b) si praticano delle particolari devozioni o speciali atti di piet; c) nella Diocesi, nella quale lIstituto nato, vi qualche altro Istituto che abbia lo stesso nome e lo stesso fine. 8. Lettere testimoniali degli Ordinari di quelle diocesi nelle quali lIstituto opera. Dette testimoniali sono da inviare direttamente alla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari, con giudizio su: utilit, stabilit e disciplina dellIstituto; formazione dei membri; governo; amministrazione dei beni; dimensione liturgica e sacramentaria; il sentire con la Chiesa, in particolare per quanto riguarda la disciplina ecclesiastica espressa nelle leggi canoniche e nelle disposizioni diocesane; collaborazione, ecc. 9. Sar opportuno inoltre provvedere presso lUfficio Cassa del Dicastero al deposito di un acconto di 200 dollari USA che verr poi conteggiato alla conclusione della pratica. Roma, 1988

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DOCUMENTI E INFORMAZIONI da inviare alla Santa Sede per il riconoscimento pontificio di un Istituto 1. Nome del Fondatore/Fondatrice nonch del primo Superiore Generale/prima Superiora Generale, unitamente ad un breve curriculum vitae. 2. Relazione storico-giuridica dellIstituto fin dalle sue origini. Si aggiunga una copia del documento con il quale lIstituto stato approvato dal Vescovo diocesano. 3. Sei copie delle Costituzioni e del Direttorio aggiornati secondo il Diritto universale, cos come di altri eventuali libri propri di preghiere, cerimoniale, ecc. 4. Fotografia (due copie) dellabito religioso di un professo/una professa e di un novizio/una novizia. 5. Statistica aggiornata del membri (con dati personali: data di nascita, di ammissione, di professione), delle case (con indicazione delle diocesi in cui si trovano) e delle opere dellIstituto. Per il Riconoscimento Pontificio, i membri devono essere almeno 80 100. 6. Relazione dello stato patrimoniale: beni mobili ed immobili, con dichiarazione di eventuali debiti. 7. Dichiarazioni dalle quali risulti se: a) non vi sono stati fatti straordinari, come visioni; b) si praticano delle particolari devozioni o speciali atti di piet; c) nella diocesi, nella quale lIstituto nato, vi qualche altro Istituto che abbia lo stesso nome e lo stesso fine. 8. Lettere testimoniali dei Vescovi di quelle diocesi nelle quali opera lIstituto, da inviare direttamente alla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari, con giudizio sui seguenti punti, se a conoscenza del Vescovo rispettivo: a) stabilit e disciplina dellIstituto; formazione; b) governo: capacit di assumere la responsabilit di governo di un Istituto religioso di carattere universale; amministrazione dei beni; c) il sentire con la Chiesa, in particolare per quanto riguarda la disciplina ecclesiastica espressa nelle leggi canoniche e nelle disposizioni diocesane, collaborazione , dimensione liturgica e sacramentaria, ecc. Sar opportuno inoltre provvedere presso lufficio Cassa del Dicastero al deposito di un acconto di 500 dollari USA che verr poi conteggiato alla conclusione della pratica. JESUS TORRES LLORENTE, CMF Via S. Cuore di Maria, 5 00197 Roma

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Alcune considerazioni sulla Communicatio in Sacris nel Codice di Diritto Canonico


di Timothy Broglio

Introduzione Come noto, nei trentanni trascorsi dallinizio del Concilio Vaticano II, diversi cambiamenti si sono verificati nella legislazione e nella vita della Chiesa. Fra queste modifiche certo che quelle relative ai Cristiani separati (seiuncti) hanno un rilievo particolare. I documenti conciliari Lumen Gentium, Unitatis Redintegratio e Orientalium Ecclesiarum riflettono una nozione pi ampia dellappartenenza alla Chiesa, lecclesiologia di communio ed un certo riconoscimento di elementi ecclesiali presenti nelle Chiese e Comunit ecclesiali sorte al tempo della Riforma. Nelle norme del Codice di Diritto Canonico, attualmente vigente, si pu costatare un cambiamento di impostazione nei confronti dei fratelli separati. Gli elementi nuovi nel discorso riguardante la Communicatio in Sacris sono particolarmente rilevanti. Sar utile vedere prima i cambiamenti nella legislazione del Codice vigente (c. 844) alla luce del Concilio Vaticano II e, alla fine, svolgere alcune considerazioni pastorali per linterpretazione della nuova legge che apre altre possibilit al ministro ordinato.
C. 844 - par. 1. I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai soli ministri cattolici, salve le disposizioni dei par. 2, 3 e 4 di questo canone e del c. 861, par. 2. Par. 2. Ogniqualvolta una necessit lo esiga o una vera utilit spirituale lo consigli e purch sia evitato il pericolo di errore o di indifferentismo, lecito ai fedeli, ai quali sia fisicamente o moralmente impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della penitenza, dellEucaristia e dellunzione degli infermi da ministri non cattolici, nella cui Chiesa sono validi i predetti sacramenti.

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Timothy Broglio

Par. 3. I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti della penitenza, dellEucaristia e dellunzione degli infermi ai membri delle Chiese orientali, che non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica, qualora li richiedano spontaneamente e siano ben disposti; ci vale anche per i membri delle altre Chiese, le quali, a giudizio della Sede Apostolica, relativamente ai sacramenti in questione, si trovino nella stessa condizione delle predette Chiese orientali. Par. 4. Se vi sia pericolo di morte o qualora, a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza Episcopale, urgesse altra grave necessit, i ministri cattolici amministrano lecitamente i medesimi sacramenti anche agli altri cristiani che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica, i quali non possano accedere al ministro della propria comunit e li chiedano spontaneamente, purch manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti. Par. 5. Per i casi di cui ai par. 2, 3 e 4, il Vescovo diocesano o la Conferenza Episcopale non diano norme generali, se non dopo aver consultato lautorit competente almeno locale della Chiesa o della comunit non cattolica interessata.

1. Le discussioni durante il Concilio hanno messo in risalto una nuova maniera di considerare gli altri Cristiani. Il documento finale del Concilio sullecumenismo parla della necessit di promuovere il ristabilimento dellunit fra tutti i cristiani. Tale dovere uno dei principali intenti dello stesso sacro Concilio (UR 1). I Cristiani che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunit (separate), non possono essere accusati di peccato di separazione, e la Chiesa li circonda di fraterno rispetto e di amore (UR 3). Senza negare le imperfezioni nella comunione con la Chiesa cattolica e le divergenze di dottrina e di disciplina, non si parla pi di eretici e scismatici. Si cerca di rispondere alle necessit spirituali anche dei fratelli separati. Come si sa, la legislazione del Codice riguardante la communicatio in sacris si occupa specialmente di tre sacramenti, e cio, lEucaristia, la Penitenza e lUnzione degli Infermi. Lammissione di altri cristiani a tali sacramenti figura spesso in commenti, in risposte ufficiali e in studi canonici. Certamente la natura di questi sacramenti, il fatto che si possono ricevere pi di una volta e la loro importanza per il battezzato in pericolo di morte hanno contribuito ad accordare loro un posto di rilievo nelle discussioni relative a un cambiamento nella prassi della Chiesa in materia. Dei tre, lEucaristia per il ruolo preminente nella vita della comunit dei credenti ha sempre suscitato molto interesse. La nuova legislazione della Chiesa al riguardo certamente vuol rispondere a situazioni straordinarie: urgenze, necessit dei credenti

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in diaspora (quelli che si trovano separati dalle loro comunit per motivi di migrazione o lavoro). Ci nonostante, c chi vuole applicare i provvedimenti del c. 844 ad altre situazioni: la celebrazione di matrimoni e di funerali dove sono radunati cristiani di varie confessioni; losservanza del precetto domenicale per una coppia di religione mista ed altre occasioni simili. Il desiderio di accordare uninterpretazione ampia alle facolt consentite dal canone risulta da una tensione sentita gi al Concilio ed individuabile nei documenti conciliari. Negli schemi e nelle discussioni del documento conciliare Unitatis Redintegratio i Padri hanno cercato di risolvere la tensione tra i sacramenti in quanto espressione dellunit della Chiesa e come strumento da usarsi per il ristabilimento della medesima unit (UR 8). Addirittura, parlando delle Chiese Orientali separate, il Concilio riconosce che una certa communicatio sacris, presentandosi opportune circostanze e con lapprovazione dellautorit ecclesiastica, non solo possibile, ma anche consigliabile (UR 15). Il Direttorio Ecumenico del 1967 andava oltre, dando disposizioni precise per la partecipazione dei Cattolici, in casi di necessit, ai sacramenti dellEucaristia, della Penitenza e dellUnzione degli Infermi amministrati dalle Chiese Orientali e, viceversa, per gli Ortodossi agli stessi Riti della Chiesa Cattolica. Tuttavia, si richiedeva un risultato positivo di una consultazione con le competenti autorit (AAS 59 [1967], nn. 39-47) anche per rispettare la legislazione di queste antiche Chiese sorelle. 2. Il Codice vigente rispecchia le preoccupazioni del Concilio di incoraggiare lunit dei cristiani, di provvedere alle esigenze spirituali di coloro che possono trovarsi nella necessit di ricevere i sacramenti e di rispettare i sacramenti, soprattutto lEucaristia, come segni dellunit della Chiesa. Il primo paragrafo del c. 844 riprende le disposizioni dei cc. 731, par. 2 e 1258 del Codice Piobenedettino: I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai soli ministri cattolici, salve le disposizioni dei parr. 2, 3, e 4 di questo canone e del c. 861, par. 2 (che si riferisce al battesimo). I consultori incaricati della sezione del Culto Divino hanno eliminato il testo proposto nello schema del 1977 in sostituzione del c. 1258 del vecchio Codice (riguardante la partecipazione dei cattolici ai riti acattolici). Si riteneva che il nuovo canone era sufficiente per salvaguardare la disciplina in materia.

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La disciplina ordinaria, perci, rimane che i sacramenti sono amministrati ai soli fedeli cattolici e che questi non ricevono i sacramenti in altre comunit. da segnalare, per, il cambiamento del linguaggio che riflette lo spirito ecumenico e il desiderio di rispettare le sensibilit delle comunit cristiane non-cattoliche. Il precetto sembra descrivere la situazione della maggioranza dei cattolici, almeno nel mondo sviluppato. Tuttavia, la legge ammette eccezioni e provvede anche per le esigenze dei fedeli. La reciprocit 3. La prima eccezione riguarda il cattolico che, avendo bisogno spirituale o necessit dei sacramenti, si trova nellimpossibilit fisica o morale di accedere al ministro cattolico. Il secondo paragrafo del canone lautorizza a ricevere i tre predetti sacramenti da ministri non cattolici, nella cui Chiesa essi sono validi. Tuttavia, bisogna evitare il pericolo di errore o di indifferentismo (cf par. 2). Il singolo deve riconoscere che la reciprocit sacramentale permessa dal canone qualcosa di eccezionale. Pur ricevendo lo stesso Signore nel suo dono sacramentale, la consapevolezza del credente rimane chiara. Egli crede, dunque, che la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica fondata da Cristo, ed affidata a Pietro da pascere, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui... (LG 8; cf c. 204, par. 2). Ricevere uno di questi sacramenti in una situazione di urgenza non vuole dire per il cattolico che tutte le Chiese sono uguali. La quarta condizione elencata nel paragrafo necessaria per la validit. Tale dottrina fa gi parte della legislazione dei singoli sacramenti in parola (cf cc. 900, par. 1; 965; 1003, par. 1). Nel periodo subito dopo il Concilio ci sono stati dei tentativi per ampliare il concetto di validit, cercando di spiegarla unicamente in funzione della comunit stessa. In parole povere si voleva dire che un rito riconosciuto come valido in una comunit sarebbe valido nella medesima comunit. Il canone invece difende la condizione oggettiva ed esige una prassi che riflette la sana dottrina. riservata alla Sede Apostolica la facolt di decidere sulla validit dei sacramenti (cf c. 841). Anche se il Codice, con molta prudenza, evita di fornire un elenco di Chiese con gli ordini validi, sembra giusto concludere che la reciprocit in queste circostanze si applica unicamente alle Chiese orientali non uniate e alla Chiesa Vecchi Cattolici (infatti, il paragra-

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fo 3 del canone parla delle altre Chiese, le quali, a giudizio della Sede Apostolica, relativamente ai sacramenti in questione, si trovino nella stessa condizione delle predette Chiese orientali). Non vuol dire che si disprezzano le celebrazioni nelle altre Chiese o comunit cristiane oppure che si fa proselitismo offrendo i sacramenti ai loro fedeli mentre si vieta ai cattolici di avvicinarsi ai loro ministri. Al contrario, il Decreto sullEcumenismo ribadisce che niente pi alieno dallecumenismo che quel falso irenismo, che altera la purezza della dottrina cattolica e ne oscura il senso genuino e preciso (UR 11). Forse il secondo paragrafo avrebbe potuto includere una parola sulle disposizioni necessarie prima di accostarsi al ministro per uno dei sacramenti, come si fa per il non cattolico che chiede i sacramenti nella Chiesa cattolica. Il cattolico deve pure rispettare la disciplina della Chiesa ospite. Prima di dare norme generali sulla communicatio in sacris, per, la Conferenza Episcopale o il Vescovo diocesano devono consultare almeno lautorit competente locale della Chiesa o della comunit non cattolica interessata (par. 5). Partecipazione nei Sacramenti della Chiesa Cattolica 4. Il terzo paragrafo del c. 844 stabilisce due condizioni per la lecita amministrazione dei sacramenti in parola ai membri delle Chiese Orientali che non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica e delle altre Chiese nella stessa condizione (vedi sopra). Tali fedeli devono richiederli spontaneamente e devono essere ben disposti. Liniziativa di ricevere i sacramenti nella Chiesa cattolica deve nascere da loro e non da un suggerimento o pressione del ministro cattolico. Si richiede per, che la fede nei sacramenti sia la stessa della Chiesa cattolica. Nei casi di cui al terzo paragrafo non si parla di situazioni di urgenza o del pericolo di morte, ma semplicemente della richiesta da parte dei fedeli. Spetta alla Santa Sede giudicare quali siano le altre Chiese, che si trovino nella stessa condizione delle predette Chiese Orientali. La disposizione dei fedeli sar quella richiesta per i singoli sacramenti. Per lEucaristia: lassenza del peccato grave (c. 916), la dovuta preparazione (c. 914) e losservanza del digiuno eucaristico (c. 919). Per la Penitenza: la contrizione e il proposito di emendarsi (c. 959). Per lUnzione degli infermi: una malattia, la vecchiaia o altro pericolo di morte, let delluso della ragione (c. 1004), la richie-

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sta, almeno implicita, da parte dellinfermo (c. 1006) e lassenza di perseveranza ostinata in un peccato grave manifesto (c. 1007). Si sa, per, che molte Chiese Ortodosse non favoriscono la partecipazione dei loro fedeli ai sacramenti di un altra Chiesa. Per loro deve prevalere laspetto della celebrazione sacramentale come segno dellunit perfetta esistente. Si suppone, che nella formazione catechetica dei loro fedeli venga sconsigliata o addirittura proibita la communicatio in sacris e perci gli stessi fedeli non chiederebbero i sacramenti ai ministri cattolici. 5. Il quarto paragrafo del nostro canone considera la lecita amministrazione dei sacramenti in oggetto agli altri gruppi di cristiani separati. Alle due condizioni gi richieste per i fedeli delle Chiese Orientali, se ne aggiungono altre tre: a) la presenza di pericolo di morte oppure a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza Episcopale, lincombere di altra grave necessit; b) limpossibilit di accedere al ministro della propria comunit; c) la professione della fede cattolica per quanto concerne i sacramenti in parola. Evidentemente nei confronti di questi cristiani si parla di una situazione veramente grave. In pericolo di morte, sar il ministro stesso a verificare se le altre condizioni siano presenti o meno. Il canone parla semplicemente del ministro senza fare una distinzione tra ordinario o straordinario. Sembra inverosimile per che il legislatore abbia voluto prevedere che sia un ministro straordinario a determinare se le condizioni siano presenti o meno. In altre circostanze tocca al Vescovo diocesano o alla Conferenza Episcopale stabilire le norme per determinare in che cosa consiste una grave necessit. Il Direttorio Ecumenico del 1967 parlava anche di persecuzione e prigionia come situazioni in cui il ministro stesso potrebbe procedere allammissione di questi cristiani ai detti sacramenti (la posizione stata ribadita dal Segretariato per lUnione dei Cristiani nella dichiarazione Dans ces derniers temps AAS 62 [1970], n. 7, p. 187). La stessa dichiarazione interpretava i casi per cui la Conferenza Episcopale o il Vescovo diocesano hanno la facolt di ammettere gli altri cristiani allEucaristia come quelli di urgente necessit simili a quelli citati in esempio.

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I cristiani separati non possono accedere al ministro della propria comunit. Si tratta di unimpossibilit fisica o morale. Non c pi lelemento di un tempo prolungato presente nellIstruzione dellallora Segretariato per lUnit dei Cristiani del 1972 (In quibus rerum circumstantiis, AAS 64 [1972], n. 4, p. 523). Forse nel caso dei membri delle comunit cristiane, che non hanno i sacramenti della Penitenza e dellUnzione degli infermi, tale condizione permarrebbe sempre. Tuttavia, sembra difficile che essi possano, poi, professare la fede della Chiesa circa tali sacramenti. Per quanto concerne la fede della Chiesa, non si devono usare criteri pi esigenti di quelli adoperati per gli stessi cattolici, soprattutto nel periodo post-conciliare. Una volta che il ministro sia stato in grado di costatare la presenza delle altre condizioni, qualche domanda semplice dovrebbe essere sufficiente per verificare se la fede del cristiano separato si conforma o meno alla fede della Chiesa. Ci nonostante, tale cristiano dovrebbe essere consapevole dellimportanza dei sacramenti intesi come segni di comunione ecclesiale e, per conseguenza, del necessario accordo con gli altri dogmi di fede. La connessione particolarmente importante quando si tratta dellEucaristia. 6. Certamente il canone richiede una grande sensibilit pastorale da parte dei Vescovi. Si conoscono diverse diocesi o Conferenze Episcopali che hanno emanato norme generali da applicarsi nei singoli casi da parte dei ministri dei sacramenti in parola: Vescovi della Svizzera, dei Paesi Bassi, diocesi di Strasburgo e parecchie diocesi negli USA. Quando si parla della retta disposizione del singolo per ricevere i sacramenti e, in particolare modo lEucaristia, si entra in un campo molto delicato. Prima di tutto, si considera la preparazione morale per lEucaristia. Se il cristiano che domanda la Santa Comunione si riconosce colpevole di un peccato grave, deve confessarsi prima di riceverla. Per, sar possibile che egli non conosca molto bene il sacramento della Penitenza o, peggio ancora, non accetti la dottrina cattolica al riguardo. In tale circostanza, il ministro dovrebbe aiutarlo a riconoscere la necessit di riconciliarsi, conducendolo verso il sacramento della Penitenza. In caso di vera urgenza e nellassenza di un sacerdote, il diacono deve suscitare nella persona la contrizione perfetta. Come rispondere al caso di un divorziato, che in seguito si risposato. Forse la sua comunit lo trova in una situazione regolare,

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ma ci si pu domandare se egli sia da considerarsi veramente ben disposto per ricevere lEucaristia nella Chiesa cattolica, quandanche adempia le altre condizioni del c. 844, par. 4. Vi sono ulteriori considerazioni pastorali da fare, prima di promulgare norme generali. Quale sarebbe la reazione di una coppia cattolica che vive in una situazione matrimoniale irregolare nel vedere un acattolico ricevere un sacramento che negato a loro? Non intensificherebbe la loro sofferenza? Forse un cattolico divorziato che, per rimanere fedele al messaggio evangelico, non si risposato, troverebbe incomprensibile lammissione allEucaristia di un cristiano separato. Ci sono anche coppie cattoliche che hanno vissuto situazioni matrimoniali difficili perch credono nel sacramento e perch vogliono vivere una vita sacramentale completa. Potrebbe sembrare troppo facile che ad altri venga concessa lEucaristia, senza richiedere pure a loro le esigenze dellinsegnamento integrale della Chiesa. Non da minimizzare il pericolo di indifferentismo. Un abuso del privilegio accordato dalla legge potrebbe contribuire allidea che tutte le religioni siano uguali. Forse tali obiezioni non possono essere sufficienti per negare una richiesta legittima di un sacramento da parte di un cristiano bisognoso, ma il pastore dovrebbe valutare tutti gli effetti che deriverebbero dalla sua decisione. Altrimenti il provvedimento in parola non sar veramente pastorale. Certamente il Codice proibisce qualsiasi invito generale o una norma che permetterebbe ai cristiani separati di ricevere regolarmente i sacramenti nella Chiesa cattolica. Si tratta sempre di richieste singole e spontanee in situazioni di grave necessit. Anche se ci sono diocesi, dove tante comunit cristiane sono stabilite, ad aver preparato norme soprattutto per il sacramento dellEucaristia, il problema potrebbe rivelarsi pi attuale per quelle in cui vivono pochi protestanti sprovvisti di un proprio pastore. Giustamente i commentari parlano di situazioni di diaspora. Conclusione Il c. 844 vuole aiutare il cristiano, che ha bisogno dei sacramenti dellEucaristia, della penitenza o dellUnzione degli infermi e difficilmente pu ricorrere al ministro della propria comunit. Spetta al Vescovo diocesano e al ministro ordinario dei suddetti sacramenti

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giudicare le situazioni singole ed anche formare adeguatamente i fedeli perch possano capire i motivi per un esercizio di communicatio in sacris. Essi devono riconoscere che la Chiesa ha provveduto per loro anche in circostanze eccezionali. Forse, e ci pi importante ancora, bisogna evitare qualsiasi pericolo di scandalo o di indifferentismo che potrebbe succedere di fronte a un esercizio delle facolt permesse dal c. 844. Nellapplicarsi il canone, sia per ammettere o per ricevere i sacramenti sia per negarli, bisogna ricordare il principio: suprema lex salus animarum. BROGLIO MONS. TIMOTHY Villa Stritch - Via della Nocetta, 63 00164 Roma

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Appunti sulla vacanza della sede episcopale


di Piero Amenta

A chi abbia scorso almeno una volta i canoni riguardanti la vacanza della sede episcopale, non dovrebbe risultare difficoltoso intuire quanto siano numerosi i problemi connessi con tale particolare situazione in cui una diocesi viene a trovarsi. Le soluzioni che il Codice prescrive possono assumere diverse configurazioni; lintervento della Sede Apostolica poi, che per diverse motivazioni e in singoli casi adotta soluzioni che rientrano nella prassi amministrativa della curia romana, allarga questo ventaglio di possibilit con soluzioni che il Codice rinnovato ha inteso in qualche modo superare. In questo nostro contributo cercheremo di illustrare largomento propostoci dando anche un parere sui problemi che vi sono connessi. A. In primo luogo c da dire che la trattazione di questo argomento fa riferimento allart. 2 del capo III, per un numero complessivo di 15 canoni (cc. 416-430) che trovano posto nella seconda parte del libro II, quella che tratta della costituzione gerarchica della Chiesa nellambito per delle chiese particolari. Si tratta perci, ovvio, della vacanza delle sedi episcopali (o ad esse equiparate secondo il dettato del c. 368), dal momento che la vacanza della sede primaziale romana retta da leggi particolari 1. Rispetto al Codice pio-benedettino, se non mutato il numero dei canoni, per mutato il posto che largomento riceve nella siste1

Cost. Apost. Romano Pontifici eligendo di Paolo VI, del 1 ott. 1975, in AAS 67 (1975) 609-645.

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matica di tutto il Codice; il vecchio Codice, infatti, trattava il problema con una prospettiva del tutto diversa: della vacanza della sede si parlava quasi per accidens, trattando del Vicari capitolari, autorit costituita per loccasione e incaricata della reggenza fino alla nomina del nuovo Vescovo 2. Non era insomma la Chiesa particolare il soggetto principale della trattazione quanto piuttosto la persona chiamata a reggerla in quella particolare situazione. Era questa daltronde la prospettiva di tutto il Codice che non conteneva una definizione di Chiesa e che trattava la materia riguardante i raggruppamenti (concili generali e particolari, province e regioni ecclesiastiche) senza una vera distinzione dalla sezione che trattava dellautorit inferiore al Romano Pontefice e coloro che ne partecipavano. Nel nuovo Codice, che com noto accoglie lo spirito del Concilio, in maniera maggiormente corretta, la materia ottiene un capitolo a s stante, il capo III, quasi una appendice alla descrizione del servizio episcopale e le sue varie configurazioni allinterno di una Chiesa particolare. Per maggiore completezza poi, tali canoni vanno confrontati con quelli contenuti nel titolo IX, capo 1 del I libro, sullacquisizione, forme di validit e modi di perdita degli uffici ecclesiastici. B. Apre la serie dei canoni il c. 416 che a modo di principio generale enuncia i vari modi in cui pu darsi vacanza di sede: per la morte del Vescovo diocesano; per la rinuncia accettata dal Romano Pontefice 3; per trasferimento; per privazione intimata al Vescovo 4.
Cf il cap. VII del libro II, dal c. 429 al c. 444. Losservazione mi viene suggerita dalla ratio sistematica nonch dalla denominazione apposta al titolo VII nel CIC del 1917: si intende infatti in quel luogo parlare delle persone insignite della potest episcopale e di coloro che in qualche modo ne entrano a far parte ipso iure per partecipazione vicaria o delegata . Sarebbe stato invece pi logico parlare della vacanza della sede nel capo I, De episcopis dal momento che essa richiama immediatamente la figura del Vescovo diocesano. Il CIC attuale adotta una ratio non esclusivamente giuridica, ma la ricava dal contesto teologico Chiesa universale e Chiesa particolare spazi in cui si iscrive la sacra gerarchia. 3 La sede pu ritenersi vacante solo con laccettazione che va fatta entro i tre mesi dalla ricezione della rinuncia, a tenore del c. 189, par. 2 e va comunicata allinteressato. In questo tempo il rinunziante ha diritto di revocare la propria richiesta (par. 4). 4 Cf c. 196. La privazione dellufficio richiede motivi gravissimi quali il delitto, ed perci un provvedimento di carattere penale che richiede sempre un procedimento giudiziario (cc. 1717 e ss.); a differenza della rimozione la quale, se non si produce ipso iure, si produce in seguito a provvedimento di carattere amministrativo, il decreto di cui ai cc. 192 e 193, par. 4. La differenza sostanziale risiede nel fatto che, come recita il c. 1740 per il caso della rimozione del parroco, la rimozione richiede una giusta causa anche fuori della responsabilit personale del soggetto in causa, come la malattia grave o qualche altro oggettivo impedimento ad esercitare, ad es., il ministero, parrocchiale o episcopale.
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Ognuna di queste modalit crea una serie di conseguenze giuridiche diverse a seconda delle fattispecie considerate. Tralasciando per il momento il caso del trasferimento, analizzato al successivo c. 418, vediamo che cosa succede negli altri casi. Dal momento della morte del Vescovo, o dal momento in cui egli riceve certa notizia della rinuncia accettata dal Pontefice, o ancora, dal momento in cui gli vengono notificati gli atti pontifici che lo privano del governo di una Chiesa particolare, la diocesi vacante: il c. 417 si affretta a precisare, per evitare di mettere in grave pregiudizio loperato del Vescovo e del suo Vicario generale, che non laccadimento temporale in s (la morte del Vescovo, ad es.) a determinare lefficacia giuridica degli atti compiuti, bens il momento in cui il soggetto agente (nel caso, il Vicario generale) ne riceve notizia. La necessit della puntualizzazione deriva dal fatto che uno degli effetti principali che la vacanza della sede produce (tranne il caso, come dicevamo, del trasferimento ad altra sede) quello della cessazione di ogni potest, sia essa quella propria del Vescovo nel caso della rinuncia o della privazione, sia essa vicaria, la quale per sua stessa natura, viene esercitata loco et nomine concedentis, vale a dire a nome e in vece di chi lha concessa 5, a meno che non si tratti di una persona che possiede la dignit episcopale (coadiutori o ausiliari: vedi i cc. 481, par. 2 e 409, par. 2). Precisato ci, a questo punto va fatta una annotazione importante: dal momento della vacanza comincia a decorrere un periodo da distinguere nettamente in due tempi: 1. quello in cui il governo della diocesi affidato ad una autorit, personale o collegiale, che provveder pure a che si proceda correttamente alla costituzione dellAmministratore diocesano; 2. il periodo immediatamente susseguente al primo, caratterizzato dal governo interinale dellAmministratore, eletto a norma del c. 421.

Per il procedimento da adottare nei vari casi cf A. MORONI, Spunti sullOrdo sacerdotalis..., in Dilexit iustitiam, Studia in hon. card. A. Sabattani, curantibus Z. Grocholewski et V. Carcel Orti, Romae 1984, pp. 459-472 (467). 5 Fa eccezione il caso del Vicario giudiziale, secondo il par. 5 del del c. 1420, al quale prorogata in virt del diritto stesso la potest vicaria che lo stesso conserva fino allavvento del nuovo Vescovo il quale decider di confermarla o di ritirarla. Lopportunit della norma ovvia: la preoccupazione della Chiesa per una corretta e sollecita amministrazione della giustizia, non sottoposta a dilazioni contingenti quale pu essere un eventuale ritardo nella provisio canonica da parte dellautorit competente: la vacanza potrebbe protrarsi, con grave danno morale per coloro che devono regolarizzare la loro posizione o il loro stato di vita in seno alla comunit ecclesiale.

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1. Il primo periodo caratterizzato dal governo del Vescovo ausiliare (del pi anziano per elezione nel caso di pi duno) o, mancando questo, dal governo affidato al Collegio dei consultori, organo collegiale di cui al capo III. Due i principali adempimenti richiesti: a norma dei cc. 422 e 421 essi devono anzitutto informare la Sede Apostolica della vacanza della sede in caso di morte del Vescovo diocesano, e procedere poi alla convocazione del Collegio dei consultori, il quale proceda a sua volta, nel giro di otto giorni a decorrere dalla ricezione della notizia della vacanza, allelezione dellAmministratore diocesano, per la quale il c. 424 fa esplicitamente richiamo ai cc. 165178 6. Si noti inoltre che nel c. 419 mentre molto chiaro che lAusiliare che deve convocare il Collegio del consultori per lelezione, non invece espresso a chi incomba lonere quando tocca al Collegio stesso assumere il governo temporaneo. Ci viene in aiuto il c. 502, par. 2, ove si dice che in caso di sede vacante, assume la presidenza del Collegio il sacerdote che sia pi anziano per data di ordinazione al quale, naturalmente, spetteranno gli adempimenti di cui sopra. Al Metropolita invece demandato il compito della vigilanza (compito che passa immediatamente al suffraganeo pi anziano per data di promozione se la sede metropolitana a sua volta vacante o impedita), ossia di controllare se vengono rispettati i termini di legge, con il diritto di intervento sia nel caso in cui siano decorsi i termini ai sensi del c. 421, par. 2, e sia nel caso in cui non siano state osservate le condizioni di validit di cui nel successivo c. 425. Si tratta di alcuni requisiti essenziali dellAmministratore diocesano, quali let di trentacinque anni (la medesima richiesta dal c. 378, par. 1, 3 per lelezione del Vescovo), il sacramento dellordine almeno nel grado del presbiterato, e soprattutto lincompatibilit con lincarico di economo diocesano, la quale per non assoluta, dal momento che il c. 423 al par. 2 prevede la possibilit della sostituzione. Com facile vedere, si tratta di due fattispecie diverse che determinano cos due tempi diversi di intervento, ossia entro gli otto giorni e precisamente allo scadere di questi nel primo caso, oppure dopo che questi siano trascorsi, senza una ulteriore determinazione, ma solo agnita rei veritate, cio non appena colui che ha diritto di intervento sia venuto a
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Tale adempimento del Collegio dei consultori pu anche essere demandato al Capitolo della cattedrale, qualora ci sia stabilito dalla Conferenza episcopale, secondo il dettato del c. 502, par. 3 al quale il c. 421 fa espresso riferimento. questa per una situazione che riguarda particolarmente i paesi di lingua tedesca.

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conoscenza dellirregolarit dellelezione. Tale intervento produce anche la nullit di tutti gli atti posti da chi fu eletto invalidamente. Per questo motivo il legitime del par. 2 del c. 421 si riferisce solamente al decorso del tempo, mentre per quanto riguarda losservanza o meno dei requisiti di validit della elezione si applica il par. 3 del c. 425. 2. LAmministratore, una volta accettata lelezione, che non richiede alcuna conferma, ottiene la stessa potest connessa ai diritti e doveri del Vescovo diocesano tranne ci che il diritto gli proibisce o ci che non pu compiere per la natura stessa del suo ministero: questo accade soprattutto nel caso in cui lAmministratore eletto non sia insignito del ministero episcopale; non potr perci amministrare tutti i sacramenti che sono abitualmente nella Chiesa latina riservati al Vescovo, come ad es: lordine sacro. Deve inoltre emettere la professione di fede, a norma del c. 833. Non va in ogni caso messo da parte, nellesercizio concreto del governo, il principio generale del c. 428, par. 1, che prescrive di non apportare nessuna innovazione durante la vacanza, soprattutto se si tratta di questioni che gi il Vescovo diocesano aveva deciso di non trattare oppure si tentasse di dare soluzione diversa a quella prospettata dal Vescovo diocesano. In ogni caso il Codice stesso provvede, in alcuni casi, a stabilire nella legge i limiti delle possibilit dellAmministratore diocesano: non pu rimuovere il Cancelliere di curia se non con il consenso del Collegio dei consultori (c. 485); non pu affidare una parrocchia ad un istituto religioso clericale o ad una societ clericale di vita apostolica (c. 520, par. 1); non pu nominare un parroco, qualora la parrocchia sia vacante o impedita da meno di un anno (c. 525, 2); non pu rimuovere n il Vicario giudiziale n i Vicari giudiziali aggiunti (c. 1420, par. 5); pu rilasciare le litterae dimissoriae per il sacramento dellordine solo con il consenso del Collegio dei consultori (c. 1018, par. 1, 2); non pu adunare il sinodo diocesano (c. 462, par. 1); e cos via. Alquanto degno di nota mi pare a questo punto un problema che gi non sfugg ai Consultori della Commissione Pontificia per la

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revisione del Codice che parteciparono alla Plenaria del 1981 7: per lassenza di una norma contraria, si pu dare il caso che, pur presente nella diocesi vacante un Vescovo ausiliare, questi non venga eletto Amministratore diocesano, come fa sottintendere il c. 409, par. 2; si configura perci a questo punto una tipologia abbastanza anomala di governo ecclesiastico caratterizzato da un Vescovo dipendente in qualche modo da un Amministratore diocesano che non ha il sommo sacerdozio ma al quale comunque affidata la reggenza e la prima responsabilit della diocesi. Fu respinta a suo tempo la proposta di un Padre che durante le discettazioni sul c. 376, par. 2, dello Schema in seno alla Congregazione plenaria del 1981 aveva chiesto che fosse prevista una norma che obbligasse a deputare al governo interinale della diocesi in qualit di Amministratore leventuale Vescovo ausiliare o, tra pi, il pi anziano per promozione, onde evitare lincongruenza di cui trattasi. La risposta della Segreteria fu molto chiara: non c alcuna incongruenza nellelezione di un presbitero al munus di Amministratore, soprattutto se si tiene presente che vi possono essere delle situazioni in cui non opportuno che lAusiliare divenga Amministratore diocesano. E comunque una norma tassativa andrebbe contro lo spirito del Concilio che nel decreto sullufficio pastorale del Vescovi Christus Dominus al n. 26 aveva espresso solamente un optandum est. Quali che siano queste situazioni cui si fa cenno nella risposta della Segreteria, suppongo siano le stesse per cui non sempre un Ausiliare succede al governo del Vescovo diocesano. In ogni caso, lAusiliare ritiene, per effetto del c. 409, par. 2, le potest vicariali che aveva in precedenza per il dettato del c. 406, contrariamente al dettato del c. 355, par. 2, del vecchio Codice al quale gi comunque aveva derogato il summenzionato Decreto conciliare. La circostanza della nomina di un Amministratore diocesano presbitero in presenza di un Vescovo ausiliare di solito non si verifica perch la sede Apostolica fa ricorso spesso alla nomina di un Amministratore apostolico. Il nuovo Codice non tratta pi di questa figura, se non in riferimento allAmministrazione apostolica (cf c. 368). Si tratta di una porzione del popolo di Dio che per ragioni particolari ancora non pu essere eretta come diocesi e che pertanto viene affi7

Cf Relatio complectens synthesim animadversionum... cum responsionibus a Secretaria et Consultoribus datis, in Communicationes, vol. XIV (1982) n. 2, pp. 16 e ss.

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data alla cura di qualcuno, lAmministratore, che la regge a nome del Pontefice romano, e dunque un Amministratore apostolico. stata cos totalmente rinnovata quella materia che nel vecchio Codice era trattata nellintero capo IX del libro II, ove si prevedeva la possibilit di assegnare un Amministratore apostolico anche ad una sede non vacante qualora si volesse sospendere, per gravi ragioni, la potest del Vescovo diocesano e dei suoi Vicari, oltre poi alla figura dellAmministratore apostolico sede vacante di cui al c. 431. Il nuovo Codice non prevede pi lAmministratore apostolico sede vacante, la costituzione del quale rientra nella prassi amministrativa delle Congregazioni romane e al quale probabilmente si fa ricorso per oggettive difficolt esistenti nella diocesi, maggiormente se segnalate dal medesimo Vescovo che viene sollevato dalla cura pastorale. In questo caso, del ricorso cio a questa forma di governo, solitamente il decreto pontificio a definire le facolt e le prerogative dellAmministratore apostolico, scelto ordinariamente tra i Vescovi di diocesi limitrofe, quando non sia lo stesso Vescovo diocesano trasferito ad altra sede a ricevere lincarico di reggere interinalmente la diocesi che lascia, per tutto il tempo necessario alla nuova provisio canonica, in qualit di Amministratore apostolico sede vacante. C. Sensibilmente diversa la situazione che crea il trasferimento di un Vescovo diocesano ad altra sede, descritta al c. 418. In tal caso, la vacanza propriamente detta della sede a quo si produce nel giorno della presa di possesso canonico dellaltra sede. Tale avvenimento preceduto da un periodo, che non deve andare oltre i due mesi, nel quale il Vescovo diocesano privato della potest piena esercitando solo un ruolo di custodia pari a quello dellAmministratore diocesano (par. 2 del c. 418), la cui costituzione, come abbiamo detto, sar possibile ad opera del Collegio dei consultori solo dopo che si produce la vacanza vera e propria, e qualora la S. Sede non abbia altrimenti provveduto (c. 419). D. Lufficio di Amministratore diocesano si ottiene per elezione costitutiva nel senso che nessuno, neanche la S. Sede ha il diritto di conferma (c. 427, par. 2) n dintervento, qualora non labbia fatto prima. Dopo la sua deputazione e la accettazione, richiesta ad valorem, egli pu liberamente rinunziare avanti al Collegio dei consultori e senza attendere alcuna accettazione. Tranne il caso di morte dello

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stesso o di presa di possesso della diocesi da parte del nuovo Vescovo, non vi altra possibilit di cessazione dallufficio se non quella della rimozione da parte della Sede Apostolica per la quale vale quello che dicevamo alla nota 4. Conclusione Mi sono limitato ad esporre i problemi pratici che pone ad una diocesi la particolare situazione della vacanza della sede. ovvio che i problemi pratici posti fanno intravvedere anche problemi di natura teologico-giuridica, come quello annoso e di difficile trattazione della natura della sacra potest o anche quello della partecipazione dellAmministratore diocesano che non sia Vescovo alla Conferenza episcopale e la definizione della natura del suffragio da esso offerto; oppure ancora, se pu prospettarsi la partecipazione dellAmministratore diocesano ai concili particolari, sia plenari, sia soprattutto provinciali. Ma sono problemi che debordano dai limiti oggettivi del presente contributo e per i quali bene far riferimento ad opere specifiche che trattano tali problemi con maggiore impegno e profondit. PIERO AMENTA Piazza S. Francesco, 4 75100 Matera

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Le esenzioni dei chierici (c. 289, par. 2)


di Marina Dellanoce

C. 289, par. 2: I chierici usufruiscano delle esenzioni dallesercitare incarichi e pubblici uffici civili estranei allo stato clericale, concesse in loro favore dalle leggi e dalle convenzioni o dalle consuetudini, a meno che in casi particolari il proprio Ordinario non abbia disposto diversamente. Commentando il paragrafo sopra riportato, sembra opportuno anzitutto analizzare il disposto della norma attuale e confrontarlo con quello del Codice precedente. Successivamente, dopo aver fatto qualche cenno storico sul tema delle esenzioni e delle incompatibilit riguardanti i ministri di culto, si entrer nel merito della normativa concordataria e civile vigente in Italia. 1. Analisi del canone Il par. 2 del c. 289 contiene lobbligo canonico per i chierici di avvalersi delle esenzioni concesse in loro favore dalle leggi statali, dalle convenzioni (concordati e simili) e dalle consuetudini, per quanto riguarda lesercizio di incarichi e pubblici uffici statali considerati alieni al loro stato. La norma in esame rientra tra quelle che riguardano i diritti e doveri specifici dei chierici che sono espresse nei cc. 273-289 del Codice di diritto canonico. Una lettura attenta delle disposizioni inerenti ai diritti ed obblighi dei chierici rivela come i precetti in esse contenuti siano posti con graduale rigore. A sostegno di quanto affermato ed a titolo meramente esemplificativo ne indichiamo alcuni.

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Un divieto assoluto si trova nel terzo paragrafo del canone 285, il quale espressamente proibisce ai chierici lo svolgimento delle pubbliche funzioni, che comportino una partecipazione allesercizio del potere civile. Il medesimo canone ai paragrafi 1 e 2 prevede, invece, un divieto che ha un contenuto di carattere generale in quanto non ha confini specificamente stabiliti. Tale divieto consiste nellobbligo di astenersi da tutto ci che sconveniente al proprio stato, secondo quanto disposto dal diritto particolare, e nellevitare anche tutto ci che non risulta conforme allo stato clericale. Pu essere invece superato il divieto di cui al canone 289, par. 1 riguardante la prestazione del servizio militare volontario, nel senso che i chierici e i candidati agli ordini sacri possono assumerlo, anche se esso non per s consono allo stato clericale, se il proprio Ordinario lo concede. Di minore intensit la prescrizione sancita dal par. 2 del canone 287; infatti lobbligo da parte dei chierici di non prendere parte attiva nei partiti politici e nella direzione delle associazioni sindacali, viene meno se a giudizio dellautorit competente ci sia richiesto dalla difesa dei diritti della Chiesa o dalla promozione del bene comune. Infine, il paragrafo che stiamo esaminando si presenta come un obbligo ad avvalersi delle esenzioni, prevedendo per che lOrdinario possa dare al chierico o ai chierici a lui soggetti indicazioni diverse per casi particolari. da notare che il Codice attuale, a differenza del precedente, ha la consapevolezza che sia la norma del par. 2 del c. 289 che quelle simili appena sopra ricordate hanno valenza soltanto nellordinamento canonico. Di conseguenza si rivolgono direttamente ai chierici e ai loro Ordinari, invitando al massimo, come nel paragrafo che si sta analizzando, a utilizzare quanto previsto dalle leggi civili. vero per che laccenno alle convenzioni tra Chiesa e Stati pu suggerire la possibilit che in questa sede la Chiesa possa ottenere il riconoscimento di determinate esenzioni a favore dei chierici. Nella norma in questione linvito riguarda lusufruire delle esenzioni stabilite dalle leggi statali o dai concordati o dalle consuetudini in merito allesercizio degli incarichi e dei pubblici uffici estranei allo stato clericale. Con il termine esenzione si intende quello speciale trattamento o privilegio che dispensa determinate categorie di soggetti da certi obblighi di per s di carattere generale.

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Per comprendere i termini incarichi e pubblici uffici civili e cio definire il contenuto delle eventuali esenzioni, occorre fare riferimento al disposto del par. 3 del c. 285: fatto divieto ai chierici di assumere uffici pubblici, che comportano una partecipazione allesercizio del potere civile. Questa norma contiene un vero e proprio divieto limitato per ai soli pubblici uffici che, per loro natura, conferiscono in capo a chi li esercita uneffettiva potest nei confronti della collettivit. Si tratta quindi di funzioni riconducibili al potere statale, nella sua triplice articolazione legislativa, amministrativa e giurisdizionale. Tra questi pubblici uffici rientrano, ad esempio, quello di ministro, di parlamentare, di giudice, di sindaco, di assessore, di consigliere comunale eccetera. Il par. 2 del c. 289 ha invece un oggetto molto pi ampio, non solo perch usa una terminologia pi generica (incarichi e uffici), ma soprattutto perch non specifica che gli uffici pubblici debbano comportare lesercizio di una potest. Il chierico, quindi, deve necessariamente astenersi dai pubblici uffici che richiedono lesercizio di una potest civile, eventualmente usufruendo di esenzioni previste dalle leggi civili; opportuno, invece, che si astenga, ove ci gli sia reso possibile da esenzioni stabilite, anche da altri incarichi e uffici, non implicanti un potere civile, meno consoni al suo stato. Tra questi si possono ricordare, a titolo esemplificativo, la funzione di notaio (espressamente vietata dal par. 2 del c. 139 del Codice precedente), quella di ufficiale giudiziario o di funzionario di uffici tributari. Anche lo stesso servizio militare pu essere qui compreso, tenendo conto che il par. 1 del canone che stiamo studiando riguarda il divieto del solo servizio militare volontario e non di quello obbligatorio, per il quale le leggi dello stato (o quelle concordatarie) possono prevedere specifiche esenzioni per i ministri di culto o anche la possibilit di un servizio civile alternativo. 2. Le esenzioni nel Codice del 1917 Nel Codice di diritto canonico precedente largomento delle esenzioni dei chierici veniva trattato nel titolo II della sezione I della parte I del libro II, intitolato i diritti e i privilegi dei chierici (cf. cc. 118-123). I privilegi accordati ai chierici consistevano in determinate garanzie aventi lo scopo precipuo di tutelarli nella loro dignit e nel non distoglierli dalle mansioni loro proprie.

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Si trattava di quattro privilegi: il privilegium canonis, che consisteva in una speciale tutela di carattere penale in forza della quale i laici che compivano ingiuria reale (cio materiale) nei confronti dei chierici commettevano un sacrilegio (cf. c. 119) 1; il privilegium fori, che stabiliva di norma come unico tribunale competente nelle cause sia contenziose che criminali riguardanti i chierici il tribunale ecclesiastico (cf. c. 120); il privilegium immunitatis, che concerneva lesenzione dei chierici dalla prestazione del servizio militare e dallesercizio dei pubblici uffici civili alieni allo stato clericale (cf. c. 121); il privilegium competentiae, che concedeva ai chierici debitori nei confronti di terzi di non perdere quanto veniva giudicato necessario per il loro onesto sostentamento (cf. c. 122). Il privilegio che costituisce la fonte della norma che stiamo esaminando quello immunitatis, che cos veniva sancito nel c. 121: Tutti i chierici sono immuni dal servizio militare, dalle funzioni e dai pubblici uffici civili alieni dallo stato clericale. da notare che pi che un invito rivolto ai chierici, quanto contenuto nel canone una affermazione di principio, che, come gi sopra si osservato, trovava effettiva attuazione solo se recepita in leggi statali. In ogni caso anche il Codice del 1917 prevedeva, a prescindere dallesistenza o meno di specifiche esenzioni, lobbligo per il chierico di astenersi da tutto ci che sconveniente o alieno allo stato clericale, compresi gli uffici pubblici comportanti lesercizio della giurisdizione laicale (c. 139, par. 2). 3. Cenni storici sullorigine dei privilegi a favore dei chierici I primi privilegi furono accordati ai chierici con leditto di Costantino del 313 con il quale fu riconosciuta una condizione giuridica di parit tra la religione cristiana e le altre religioni praticate nellimpero. Fu in seguito la Chiesa stessa ad escludere dallambito dei chierici coloro che esercitavano taluni uffici, che non garantivano ai chierici la massima libert nellespletamento delle proprie funzioni. Nel Medioevo nonostante il potere civile avesse riconosciuto determinate immunit a favore degli ecclesiastici, lesercizio delle
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Il privilegio qui considerato veniva chiamato canonis, perch sancito nel canone 15 del Concilio Lateranense II del 1139: sembrato ugualmente opportuno che chiunque, tentato dal diavolo, abbia commesso il reato di sacrilegio mettendo le mani addosso a un chierico o a un monaco, sia colpito da anatema e nessun vescovo osi assolverlo, salvo che in pericolo di morte, prima che si sia presentato al cospetto del papa e si sia sottomesso ai suoi ordini (Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB 1991, pag. 200).

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pubbliche funzioni veniva svolto molto spesso da chierici, ai quali veniva riconosciuto nellambito della societas christiana anche un ruolo di carattere sociale. Il privilegium immunitatis, in particolare, viene ribadito nel Concilio di Trento, nel Syllabus di Pio IX e, come abbiamo visto, nel Codice di diritto canonico del 1917. Con let moderna gli stati tendono ad escludere gli ecclesiastici dal pubblico potere al fine di evitarne ogni forma di ingerenza. La Chiesa, invece, continua a rivendicare lesenzione dei chierici da determinati uffici pubblici come un privilegio giustificato dalleminente ministero da loro esercitato. Anche lo Stato italiano con una serie di disposizioni di legge procedette allabolizione dei cosiddetti privilegi ecclesiastici e contemporaneamente viet ai chierici lo svolgimento dei pubblici uffici, non in forza di un privilegio loro riconosciuto, ma per evitare qualsiasi influenza clericale nella vita pubblica. A titolo di esempio si possono ricordare la legge 9 aprile 1850, n. 1013 sullabolizione del foro ecclesiastico e del diritto di asilo, il regio decreto 25 maggio 1879, n. 4900 che escludeva i chierici dallufficio di notaio e di giurato, la legge 24 settembre 1882, n. 999 che impediva agli ecclesiastici lelezione a deputato. 4. Differenza tra esenzione e incompatibilit Prima di esaminare la normativa vigente riguardante lo stato dei chierici nel diritto italiano, opportuno distinguere tra esenzioni e incompatibilit. Come gi ricordato lesenzione riguarda la possibilit di sottrarsi a un obbligo per s generale; lincompatibilit, invece, pu essere definita come lesclusione per alcune categorie di persone dalla possibilit di assumere determinati uffici o cariche. Si noti la diversa natura dei due istituti: nel primo caso lo Stato concede al ministro di culto la libert di sottrarsi a un obbligo generale, in quanto riconosce la sua particolare funzione nellambito della pi ampia tutela della libert religiosa dei cittadini; nel secondo caso, invece, lo Stato limita la libert del ministro di culto, in quanto ritiene che la funzione da lui svolta possa creare qualche difficolt nellesercizio di determinati uffici civili. Si tenga presente, per, che, nel caso delle incompatibilit, uno specifico divieto imposto dalla legge statale pu essere valutato fa-

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vorevolmente dalla Chiesa pur essendo una teorica limitazione alla libert del chierico, perch lufficio oggetto di divieto ritenuto anche da un punto di vista ecclesiale non consono con lo stato clericale. 5. Le esenzioni nel concordato vigente Lordinamento giuridico italiano attribuisce alla qualifica di ministro di culto cattolico particolare rilevanza giuridica, recependo nel proprio ambito le disposizioni dellAccordo di revisione del Concordato Lateranense del 18 febbraio 1984, ratificato con la legge 25 marzo 1985, n. 121. Lart. 4, n. 1 dellAccordo sopra citato stabilisce che i sacerdoti, i diaconi ed i religiosi che hanno emesso i voti, possono ottenere su loro richiesta lesonero dal servizio militare oppure lassegnazione al servizio militare sostitutivo. Il n. 2 dello stesso articolo dispone che qualora si verificasse la mobilitazione generale gli ecclesiastici non assegnati alla cura danime dovranno esercitare il ministero religioso fra le truppe o, in subordine, saranno assegnati ai servizi sanitari 2. Lultimo comma dellart. 4 garantisce il segreto dufficio degli ecclesiastici, disponendo che essi non hanno lobbligo di dare informazioni a magistrati o ad altre autorit su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza in ragione del loro ministero. La lettera b) del punto 2 del Protocollo addizionale dellAccordo di revisione del Concordato riporta una disposizione che non costituisce propriamente unesenzione, ma se non un privilegio quanto meno un riguardo a favore degli ecclesiastici nei confronti dei quali promosso un procedimento penale.

Il Protocollo addizionale allAccordo di revisione del Concordato precisa in relazione allart. 4 che con riferimento al n. 2, si considerano in cura danime gli ordinari, i parroci, i vicari parrocchiali, i rettori di chiese aperte al culto ed i sacerdoti stabilmente addetti ai servizi di assistenza spirituale di cui allart. 11 (si tratta in questultimo caso dei cappellani). Per completezza si pu ricordare che il n. 3 dellart. 4 dellAccordo prevede il rinvio dal servizio militare anche per gli studenti in teologia, per quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia e per i novizi degli istituti di vita consacrata e delle societ di vita apostolica.

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6. Le esenzioni nel Concordato del 1929 La disciplina concordataria precedente, oltre allesenzione del servizio militare ed a quella relativa alla tutela del segreto sacramentale, a differenza della disciplina attuale prevedeva anche altre esenzioni. Per quanto concerne il servizio militare, il Concordato del 29 sanciva, diversamente da quello attuale, lesenzione automatica per i chierici ordinati in sacris e per i religiosi, mentre per gli studenti di teologia e per quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia e per i novizi degli istituti religiosi concedeva la facolt di rinviare il servizio militare di anno in anno fino al compimento del ventiseiesimo anno di et (cf. art. 3 Conc.). La tutela del segreto sacramentale era contenuta nellart. 7 nel quale era previsto che gli ecclesiastici non potevano essere richiesti da magistrati o da altra autorit per dare informazioni su persone o cose di cui erano venuti a conoscenza per ragione del sacro ministero. Lart. 4 disponeva per gli ecclesiastici ed i religiosi lesenzione dallufficio di giurato. Lart. 5 stabiliva, invece, la necessit del nulla osta dellOrdinario diocesano per lassunzione di un ecclesiastico in un impiego o ufficio dello Stato italiano o di un ente pubblico. Aggiungeva poi unincompatibilit, che dava in qualche modo rilievo nellordinamento italiano ai provvedimenti penali dellautorit ecclesiastica nei confronti di sacerdoti: In ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti n conservati in un insegnamento, in un ufficio o in un impiego nel quale siano a contatto immediato col pubblico. In base allart. 6 gli stipendi e gli altri assegni degli ecclesiastici percepiti per lesercizio del loro ufficio, erano impignorabili nella stessa misura in cui lo erano gli stipendi e gli assegni degli impiegati statali. Infine lart. 8 prevedeva che nel caso di deferimento al magistrato penale di un ecclesiastico o di un religioso, il procuratore della Repubblica dovesse informare immediatamente lOrdinario competente e trasmettere con sollecitudine la decisione istruttoria e leventuale sentenza terminativa del giudizio tanto in primo grado che in appello. Prevedeva inoltre che in caso di arresto lecclesiastico o il religioso venisse trattato con il riguardo dovuto al suo stato ed al suo grado gerarchico. Nel caso di condanna prevedeva anche che lec-

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clesiastico o il religioso scontasse la pena possibilmente in locali separati da quelli destinati ai laici tranne che lOrdinario competente avesse ridotto il condannato allo stato laicale. 7. Incompatibilit con la qualifica di ministro di culto stabilite dalle leggi italiane Nellordinamento italiano vigente sono tuttora in vigore varie disposizioni di legge che determinano una serie di incompatibilit per i ministri di culto in genere. La legge 10 aprile 1951, n. 287 relativa al riordinamento dei giudizi di assise con lart. 12 statuisce che i ministri di culto e i religiosi di ogni ordine e congregazione non possono assumere lufficio di giudice popolare. Il D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 con cui stato approvato il T.U. delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, con lart. 6 stabilisce che il ministro di un culto non pu essere nominato sindaco. Secondo il disposto dellart. 2 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 lufficio di notaio incompatibile con la qualifica di ministro di culto. Lart. 3 della legge 10 settembre 1960, n. 962, che modifica la legge 8 marzo 1951, n. 122 contenente norme per lelezione dei Consigli provinciali, dispone che non sono eleggibili gli ecclesiastici e i ministri di culto che hanno giurisdizione e cura danime, coloro che ne fanno ordinariamente le veci e i membri dei capitoli e delle collegiate. In ordine alle professioni di avvocato e procuratore lart. 3 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, considera incompatibile lesercizio delle professioni di avvocato e procuratore con la qualit di ministro di culto avente giurisdizione di anime. Lart. 3 del D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 e lanalogo art. 3 del D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 dichiarano lincompatibilit dellesercizio della professione di dottore commercialista e di ragioniere e perito commerciale con la qualit di ministro di culto. MARINA DELLANOCE Via Zuara, 16 20146 Milano

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di G. Paolo Montini

C.

Capitolo

Dalla Sacra Scrittura Per capitolo gi lantichit classica sia greca che latina intendeva la parte di un libro, di una lettera o comunque di unopera letteraria 1. Diminutivo di capo, inteso nel senso traslato di inizio, esordio (proprio come la testa che negli uomini sta sopra), era termine adatto ad indicare quegli inizi molteplici e secondari che in unopera di scrittura esistono per la molteplicit degli argomenti in essa normalmente trattati. La stessa scrittura nei codici doveva evidenziare questo attraverso spazi lasciati in bianco o margini o lettere iniziali ingrandite (dette appunto capitali). Ben presto si intese per capitolo la stessa partizione (o meglio: la parte) di unopera letteraria, avente una sua unitariet, quasi lunit di misura e di composizione dellopera stessa. Se poi il capitolo possedeva pure una propria titolazione 2, era facile la presenza allinizio dellopera, di solito dopo la prefazione, di un
Cf, ad esempio, Thesaurus Stephani, V, Graz 1954, coll. 1491-1493; Thesaurus Linguae Latinae, III, Lipsiae - Teubner 1907, 350-352. Tralasciamo qui di considerare altri significati del termine che non interessano direttamente la nostra ricerca (cf comunque ERNOUT A. - MEILLET A., Dictionnaire timologique de la langue latine. Histoire des mots, Paris 1959, 98; PUCHSTEIN - SEECK, Capitulum, in Paulys Realencyclopdie der classischen Altertumswissenschaft, ed. G. WISSOWA III, Stuttgart 1899, 1540-1543). 2 Lindividuazione di capitoli in un testo letterario supponeva previamente lindividuazione di una unit secondaria che giustificava la partizione stessa. Tale unit facilmente costituiva lo stesso titolo o argomento o iscrizione del capitolo, che spesso veniva premesso allo stesso capitolo. Anzi lo stesso titolo poteva assumere il nome di capitulum, soprattutto negli indici dei capitoli premessi alle opere, in cui figuravano precisamente e logicamente solo i titoli o argomenti dei capitoli. Questo slittamento di significato da parte di unopera scritta ad argomento (riassunto, sommo capo) della medesima parte
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indice dei (titoli dei) capitoli; questo rendeva agevole sia la consultazione dellopera sia il rinvenimento dei singoli argomenti cui il lettore era interessato sia la compilazione di tavole. Il libro per eccellenza, la Sacra Scrittura, non poteva sottrarsi a questa legge universale che toccava ogni libro e ben presto, gi nel suo testo originale, la Bibbia conosce la partizione in capitoli 3. I libri dellAntico come del Nuovo Testamento sono distinti in kephalaioi secondo i Padri che scrivono in greco, in capitula per i Padri che scrivono in latino. Tertulliano, Ambrogio, Cipriano, Girolamo, Agostino citano la Scrittura ed i suoi singoli libri secondo i capitula 4. Risale a questuso biblico del termine il nome di capitulum (= capitolo) attribuito a tuttoggi alla lettura breve, tolta dal testo sacro, recitata dal sacerdote e collocata nella recita del breviario o divino ufficio 5. Lorigine di questuso del termine sarebbe da rinvenire nella Regola di Benedetto, che prescrive dopo la recita dei salmi nelle ore minori una lectio, da farsi per non sul testo, ma a memoria (ex corde: cf cc. 12. 13. 17) e perci necessariamente breve (capitulum = breve capo o pericope della sacra Scrittura) 6. Il termine per era destinato a non limitarsi allindicazione materiale di una parte di un libro della Sacra Scrittura. Con laffermarsi infatti della prima teologia, la quale consisteva soprattutto in una esetestimoniato sia dai termini derivati ricapitulare, capitulatim ecc. sia dal preciso significato attribuito a volte a capitolo: Capitulum est brevis sententia ab eo sic nominatum quod breviter capiat totius rationis summam (LANFRANCO di Bec [1172 circa], In omnes Pauli epistolas commentarii [Ebr. 8, 1], in Patrologia Latina 150, 393-394); Capitulum dictum quasi alterius sententiae caput. Capitulum est brevis multorum complexio: sic dictum quia breviter capiat totam summam. Capitula librorum dicta quod breviter capiant et contineant aliquam sententiam, quasi caput et titulus maioris scripti (PAPIAS vocabulista [sec. XI], Torino 1966 [ristampa], 50). Lo stesso termine caput soggiace alla medesima interpretazione: Caput a capiendo, eo quod omnes sensus corporis capiat, et quod prima pars corporis sit (RABANO Mauro, Glossae latino-barbaricae de partibus humani corporis, in Patrologia Latina 112, 1575). 3 Lattuale partizione in capitoli si ebbe solo a partire da Stefano Langton (+ 1228): prima esistevano vari modi di divisione del testo sacro che rispondevano ad esigenze sia tematiche sia liturgiche. Cf sulla problematica MANGENOT E., Chapitres de la Bible, in Dictionnaire de la Bible, II, Paris 1926, 559-565. 4 Cf, ad esempio, LAMPE G.W.H., A Patristic Greek Lexicon, Oxford 1968, sub voce; Thesaurus Linguae Latinae, 351. Famosa partizione antica dei Vangeli quella di Eusebio, il quale oltre ad aver diviso i quattro Vangeli in capitoli, pose accanto a ciascuno un numero per identificarlo e un altro (scritto in rosso) che rimandava a una serie di canoni, ad una serie cio di tabelle di concordanze che permettevano di individuare immediatamente i luoghi paralleli negli altri Vangeli. 5 La denominazione saldamente attestata. Cf. JOHANNES BELETH (sec. XII), Summa de ecclesiasticis officiis, c. 30: Psalmis dictis et antiphona legit sacerdos lectionem, quam alio nomine vocamus capitulum. Quae ideo capitulum vocatur, quia de capite epistolae illius diei sumitur. 6 In questo senso si troverebbe gi alla fine del secolo VIII: Ista prima ibi cantatur ubi dormiunt et ibidem pro invicem, capitulo dicto, orant (Ordo XVIII, in ANDRIEU Michel, Les Ordines Romani du haut Moyen Age, III, Louvain 1961, 205).

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gesi ed un commento molto vicini al testo sacro, anche il termine capitolo slitta ad un significato diverso. Nella esegesi di un passo della scrittura era possibile imbattersi in una contraddizione, almeno apparente, con un altro passo della medesima scrittura: il contrasto veniva configurato fra capitoli. Un autore che intendeva contraddire la tesi di un altro, elaborata su un testo della scrittura, gli opponeva un capitolo della scrittura che quello non aveva considerato e che sembrava affermare lopposto o il contrario. Era facile in tale contesto lo slittamento di significato di capitolo verso quello di affermazione contraria o anche semplicemente di affermazione teologica: dal testo alla affermazione, al contenuto, alla tesi che si riteneva soggiacente e che era portata nel mezzo della discussione. Per questo alcuni Padri dicono di aver raccolto (excerpere) dalla Scrittura alcuni capitoli, con lintento di formare una serie di testi biblici a difesa e a prova di una tesi (cf, ad esempio, Cipriano nelle prefazioni ai libri I e III ad Quirinium) 7. Capitoli della Scrittura opposti vengono portati da chi sostiene la tesi opposta e devono essere risolti (solvere), precisamente come argomenti contrari di una tesi 8. Con il progredire della scienza teologica non vengono raccolti pi solo testi scritturistici, ma pure di Padri e di autori sacri, i quali testi continuano ad essere chiamati capitoli sia perch desunti da libri composti dagli stessi 9 sia perch la loro funzione dialettica del tutto simile a quella che allinizio veniva attribuita ai soli capitoli della Scrittura. in questo contesto che nei concili della Chiesa antica si viene a parlare di capitula che sono approvati o condannati 10: suggestivo
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Cf lo stesso CIPRIANO nella prefazione dellopera Ad Fortunatum: Per non dilungarmi, fratello carissimo, e per non affaticare chi mi ascolta o mi legger, ho pensato di comporre un compendio: a titoli che ognuno dovrebbe conoscere e tenere bene a mente collegher capitoli tolti dai vangeli (= propositis titulis... capitula dominica subnecterem). 8 Interrogatione perquiris quomodo capitula illa solvantur, quae ab arrianis... opponuntur (FAUSTINUS Luciferianus, De Trinitate, cc. 1. 34). 9 Capitula [collegimus] de sanctae recordationis Augustini episcopi libris (VINCENTIUS Lerinensis, Excerpta e S. Augustino, prologo). Lo stesso autore dice poi che chiamerebbe quei testi gemme e perle piuttosto che semplicemente capitoli (c. 10). 10 Cf la prefazione di Dionigi il Piccolo, ove si parla della lettera sinodale di Cirillo a Nestorio, cui duodecim sunt annexa capitula, blasphemia eiusdem Nestorii sub anathematis observatione damnantia. Cf anche la vicenda dei cosiddetti Tre Capitoli, ossia tre serie di testi, appartenenti a Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Iba di Edessa, pi volte condannati ed approvati (cf Concilio Ecumenico Costatinopolitano II del 553).

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il nesso stretto, allora ancora ben presente anche a livello terminologico attraverso la denominazione di capitoli, fra Sacra Scrittura e affermazioni teologico-dogmatiche. Al diritto Nei concili della Chiesa antica il termine canone ad indicare la singola norma ecclesiale promulgata. Appare per ben presto pure il termine capitulum, ad indicare la medesima cosa, ossia la singola norma ecclesiale. Lapparizione e la giustificazione di questultimo termine non molto agevole ed dovuta a pi fattori fra loro connessi: 1. Si inizia ben presto a raccogliere insieme i canoni di pi concili, prima in ordine cronologico, poi in ordine sistematico; tali raccolte assumono una identit propria sempre pi lontana da quella dei concili da cui i singoli canoni riportati ebbero origine. I canoni sono ormai visti pi come parte della raccolta che come statuizioni del concilio storicamente celebrato. La collezione assume valenza propria ed i canoni in essa riportati sono precisamente (come) i capitula di un testo, e cos sono ormai chiamati, soprattutto negli indici che tali raccolte pongono allinizio per una veloce consultazione. 2. Si inizia ben presto a raccogliere non pi solo i canoni dei concili, ma pure le decretali dei Romani Pontefici. Queste sono lettere (epistulae decretales) con le quali il Vescovo di Roma risponde autorevolmente ad interpellanze che gli vengono rivolte da Vescovi di tutta la Chiesa. Le decisioni dei Romani Pontefici vengono conservate, diffuse e raccolte, assurgendo cos a soluzioni giuridiche esemplari di questioni ecclesiali. Le lettere (gi si sa fin dallantichit classica) si dividono in capitula; le collezioni non riportano le decretali per intero: come lettere infatti contengono molti elementi caduchi (indirizzo, saluti, descrizione storica della vicenda, convenevoli ecc.), che non hanno alcun motivo di essere raccolti in un contesto giuridico, attento soprattutto alla decisione presa. Le collezioni canoniche raccoglieranno un capitulum o i capitula interessanti di una lettera decretale, tralasciando il resto. Saranno perci raccolte non di canones, ma di capitula. 3. Il diritto della Chiesa primitiva ed antica mantiene uno strettissimo rapporto con la sacra Scrittura: le norme ecclesiali sono date dagli apostoli allo stesso modo con cui questi diedero alla Chiesa i

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Vangeli o le Lettere e gli scritti neotestamentari. Le prime raccolte canoniche conoscono unabbondanza di testi sacri proposti sotto la specie di norme ecclesiali: capitula della sacra Scrittura proposti come norme ecclesiali. Lo stesso nome sarebbe rimasto nel momento in cui a testi della Scrittura si aggiunsero testi degli Apostoli, poi dei Padri, poi dei Romani Pontefici e cos via. Ci direbbe bene, a livello pure terminologico, lo stretto legame che il diritto canonico riconosce in s relativamente alla sacra Scrittura: le norme e le regole (al pari delle affermazioni teologiche) non sarebbero che esplicitazioni della stessa sacra Scrittura (donde il termine appropriato di capitula). 4. Ben presto la produzione giuridica nella Chiesa passa dallopera esclusiva di concili e di assemblee, ad opera di singoli vescovi; dallo stile scarno dei canoni, allo stile pi ampio delle raccomandazioni pastorali. Nasce nel IX secolo addirittura un genere letterario nuovo: i Capitula dei vescovi 11. Sono testi normativi che si rivolgono ai presbiteri di una diocesi. Il nome pu derivare sia dalla distinzione del testo in parti (capitoli, appunto) sia, forse contemporaneamente, dalla dizione usata nel medesimo periodo per designare le disposizioni dellautorit civile (capitula o capitularia). Il primo ad usare questa dizione pu essere ritenuto Teodolfo, vescovo di Orlans (+ 821), che raccomanda ai suoi preti di leggere assiduamente i capitula che brevemente ha composto per la correzione del loro modo di vivere 12. difficile stabilire linfluenza avuta nel prevalere di capitula su canones pure da altri fattori, quali il significato generale (o meglio: generico) del termine e luso giuridico (ancorch non particolarmente tecnico e diffuso, ma legato alla divisione di fatto di un testo legislativo in parti) del termine nel diritto romano 13. difficile stabilire inoltre lepoca in cui tale terminologia si sia attestata tecnicamente in ambito canonico. La difficolt nasce soprattutto dal fatto che gli indici di capitoli che normalmente sono posti nelle collezioni canoniche fra la prefazione ed il testo non chiaro se si debbano attribuire allautore della collezione o non siano piuttosto un espediente pratico successivo per favorire la consultazione.
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Cf BROMMER Peter, Capitula episcoporum. Die bischflichen Kapitularien des 9. und 10. Jahrhunderts, Turnhout 1985. 12 Cf Patrologia Latina, 105, 191. 13 Cf Thesaurus Linguae Latinae, 351-352.

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Certamente per documentato un uso del termine capitulum/ capitula in alcuni testi pontifici 14 e concili della Gallia fra la fine del secolo VI e linizio del VII 15, come pure nel IX secolo 16. certo che essa appare ormai pacifica nelle grandi collezioni canoniche del Corpus Iuris Canonici, dal Decreto di Graziano in poi (1140 circa): qui per capitulum si intende ormai la singola norma canonica addotta in quanto tale, sia essa il canone di un concilio sia essa una lettera decretale 17. E tale significato giunse fino al nostro secolo, fino al Codice del 1917, il quale prefer dividersi in canoni e non pi in capitoli. Alla vita consacrata La maggior fortuna del termine capitolo si ebbe comunque nellambito della vita religiosa. Benedetto, come peraltro tutti i fondatori, prevede al termine della sua regola che la medesima venga letta alquanto spesso (saepius) nellassemblea dei fratelli (in congregatione), perch nessuno possa addurre lignoranza a scusa della propria inosservanza (cf c. 66). Tale prescritto form lentamente in ambito benedettino la consuetudine di leggere una parte della Regola ogni mattino 18, dopo la recita dellora di Prima e quando labate si rivolgeva ai monaci per indicare loro i lavori della giornata e ci che poteva risultare utile alla vita del monastero. Essendo la regola divisa (come ogni libro e co14

Cf, ad esempio, la lettera di papa Agapito I (535-536) a Cesario, vescovo di Arles: Perch non ignorassi alcunch, abbiamo fatto aggiungere dei capitoli di ci che stato stabilito. Cos parteciperemo della scienza canonica, come gi dellaffetto reciproco (ut scientia communicemur canonum, sicut participamur affectu). 15 Cf la prefazione del Concilium Narbonense (anno 589): Quae pro regula et fidei catholicae disciplina adhuc visa sunt communi tractatu elegimus conscribenda, et canonibus difinivimus adiungenda; quae tenor capitulorum subsequenter evidenti iure declaratur; cf c. 4 del Concilium Clippiacense (anni 626-627): Edictum vel capitula canonum, quod Parisius in generali illa synodo... constitutum est... (cf pure ivi la prefazione); cf pure la prefazione del Concilium Arausicanum (anno 529). Per tutti questi testi vedi Concilia Galliae (a. 511 - a. 695), ed. De Clercq C., Turnholti 1963. 16 Cf la lettera 42 di Lupo, abbas Ferrariensis, nella diocesi di Sens, indirizzata a Incmaro, vescovo di Reims: Canones eosdem, sive, ut vos vocatis, capitula... (= I canoni o, come voi li chiamate, capitoli...) (Patrologia Latina, 149, 510). 17 Cf sub voce in Wortkonkordanz zum Decretum Gratiani, edd. T. REUTER - G. SILAGI, Mnchen 1990. 18 Una testimonianza interessante di tale prassi presente nellOrdo XVIII, della fine del secolo VIII. In esso si prevede che lOra di Prima venga recitata dai monaci in dormitorio e poi tutti si siedano nello stesso dormitorio e ivi si legga la regola e la si spieghi, in modo che tutti la comprendano e non possano poi scusarsi sotto il pretesto di ignoranza (cf ANDRIEU, Les Ordines, 205).

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me la Scrittura) in capitula, la consuetudine volle che si leggesse ogni giorno un capitulum della Regola 19: tale prassi port a denominare capitulum lassemblea stessa del monastero raccolta attorno allabate per la lettura della Regola. Tale assemblea non era destinata nellOrdine benedettino solo alla lettura della Regola, ma conosceva pi ampie risonanze nella Regola stessa. Questa infatti prevede che labate convochi tutta la comunit (congregatio) per trattare gli affari di maggiore importanza del monastero, ascolti il parere (consilium) dei fratelli, poich Dio spesso rivela la sua volont a chi pi giovane (3). La stessa comunit intera e unanime (omnis concors congregatio) destinata ad eleggere labate (cf c. 64). Ogni assemblea perci dellintera comunit monastica, a partire dallassemblea prevista per la lettura della Regola, assume il nome di capitulum. Tale significato del termine capitulum doveva essere gi ben attestato nel secolo VIII se Crodegango, vescovo di Metz, nella sua regola per i canonici regolari, composta intorno allanno 757, pu farne un uso ed una descrizione tanto sicuri: Terminata la recita dellOra di Prima, tutti devono riunirsi in capitolo (conveniant ad capitulum) quotidianamente (quotidie) ed ogni giorno (in unoquoque die) leggano attentamente un capitolo (aliquod capitulum) di questa Regola, che con laiuto del Signore abbiamo composto per il vostro bene. Nei giorni di domenica e di festa, come pure di mercoled e luned, leggeranno invece trattati edificanti ed omelie. Stabiliamo perci che ogni giorno (quotidie) tutti vengano al capitolo (ad capitulum venire), per rifocillare la propria anima nellascolto della Parola di Dio 20. La diffusione del termine poi rapida e notevole allinterno della vita religiosa. Il termine assume ben presto una vasta gamma di accezioni legata al ceppo fondamentale: assemblea della comunit monastica;

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Cf VOG Adalbert, La Rgle de Saint Benot. IV Commentaire historique et critique, Paris 1971, 95-100 ed in specie 98, nota 205. 20 Cf c. 18, in Patrologia Latina, 89, 1067. La descrizione poi continua prevedendo lintervento del presidente per comandare, correggere, ordinare ci che necessario per la vita della comunit; per annunciare il calendario e la festa del santo del giorno seguente; per ricevere la confessione delle colpe dei membri della comunit e stabilirne la punizione (cf il c.d. capitolo delle colpe). Cf pure c. 19 (Surgentes a capitulo...) e 24 (Et post tertiam tunc temporis capitulum habeant): ibidem, 1068. 1074.

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tempo 21 in cui lassemblea della comunit monastica si riunisce; svolgimento rituale della assemblea della comunit monastica; sala capitolare 22, ossia luogo in cui la comunit monastica si riunisce per lassemblea. Il termine accetta inoltre una grande quantit di aggettivi (cf annale, aestivale, grande, grave, privatum, vespertinum, septimanale, particulare, speciale) e di verbi (celebrare, concelebrare, indicere, observare, ponere, servare, tenere, agere) 23. Gran parte della fortuna del termine sar dovuta a due fattori: la nascita del capitolo generale e lestendersi del termine alla vita clericale secolare. Il primo fattore avviene nel 1119. S. Stefano Harding, terzo abate di Cteau, nella Charta Caritatis, approvata poi dal papa Callisto II, prescrive che tutti gli abati dellOrdine ogni anno convengano ad generale capitulum, senza alcuna eccezione che non sia legata alla salute. La fortuna della prescrizione, dovuta alla situazione monastica ed ecclesiale del XII secolo, al favore dei Romani Pontefici ed alla assunzione generalizzata da parte pure degli Ordini mendicanti che proprio allora sorgevano, signific anche la fortuna del termine capitulum, da questo momento sempre pi legato ad aggettivi quali generale, universale, provinciale e locale. con questo significato che lo si ritrova nel Codice vigente (cf cc. 596, par. 1; 616, par. 3; 631, tit. e parr. 1-3; 632; 684, par. 3).

In his temporibus, id a completorio usque mane capitulo, continuum silentium... (Institutio seu Consuetudines Ordinis Grandimont, c. 23). 22 Questo slittamento di significato attestato universalmente nel latino medievale ed appare certamente nel secolo XII. Esempi precedenti che possano venire addotti mancano di certezza per lequivocit che nel contesto pu esservi fra luogo dellassemblea ed assemblea stessa (cf Glossarium mediae latinitatis cataloniae, fasc. 30, Barcelona 1963, 381 nota 1). Si pu invece avere certezza del significato di sala capitolare quando le fonti parlino di ostium capituli (= porta del capitolo: cf EADMER [+ 1124], Vita Anselmi I, 16), di parietes capituli (= pareti del capitolo: cf Gesta Trud I, 12, 10, cit. in Mittellateinisches Wrterbuch bis zum ausgehenden 13. Jahrhundert, II/2, Mnchen 1969, 235), di luoghi, quali il dormitorium, il refectorium, la coquina e vi aggiungano pure il capitulum (cf Consuetudines. Canonicorum regularium Ordinis Arroasiensis constitutiones [1121-1139], c. 22; Explanatio altera super librum Sententiarum Beati Stephani [sec. XII]; HERMANNUS de Rena [1180 circa], Sermones festivales, 81), di lampadari posti nel capitolo (cf Consuetudines. Liber Ordinis S. Victoris Parisiensis [XII sec.], c. 36; Consuetudines canonicorum regularium Springirsbacenses-Rodenses [1123-1128], c. 207). 23 Cf FUCHS J.W. - WEIJER Olga - GUMBERT Marijke, Lexicon latinitatis nederlandicae medii aevi, II, Leiden 1981, 601-602; PLEZI Mariana [ed.], Slownik laciny sredniowiecznej w Polsce, II, Wroclaw - Krakw - Warszawa 1959-1967, 157.

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Ed infine alla vita diocesana Il secondo fattore pressoch coevo, almeno nel suo momento pi florido e denominativo. Viene attribuito il nome di capitulum ad alcune forme ormai assodate di vita comune e regolare fra il clero secolare 24. Avr fortuna immensa soprattutto il capitulum cathedrale, il clero cio che attorno al Vescovo diocesano celebra il culto nella Chiesa cattedrale ed lo assiste nel governo della diocesi, ed il capitulum canonicorum di una chiesa collegiata. Con questo significato appare nel Codice vigente (cf cc. 377, par. 3; 443, par. 5; 502, par. 3; 503-510; 556). Non mancano per altri significati in qualche modo collegati a questo ampliamento secolare del capitulum: si parla cos nelle fonti di capitula ruralia/clericalia, ossia delle riunioni di un decano/arcidiacono con i parroci della sua zona 25; di capitula quali assemblee in senso diocesano o anche in senso molto pi vasto, fino a comprendere dai sinodi diocesani ai concili ecumenici; di capitula in ambito civile quali riunioni dei cittadini o maggiorenti di una citt 26, congreghe o collegi di artigiani o di mestieri 27; di capitoli intesi nel senso generico di riunioni, persino nelle favole 28 o in tono assolutamente scherzoso e pomposo 29. coevo pure il formarsi del modo di dire avere voce in capitolo, che indica la possibilit di votare (allora la votazione avveniva a voce, di fronte agli scrutatori) da parte di qualcuno in capitolo 30. MONTINI GIAN PAOLO Via Bollani, 20 - 25123 Brescia
Il termine capitulum sarebbe stato usato per la prima volta da Galterus (+ 953), arcivescovo di Sens, in riferimento ad un collegio di chierici secolari; il termine acquista poi ordinariet rapidamente fin dallinizio del secolo XII (cf TORQUEBIAU P., Chapitres de chanoines, in Dictionnaire de Droit Canonique, III, Paris 1942, 531). Su tutta questa materia vedi La vita comune del clero nei secoli XI e XII. Atti della settimana di Studio: Mendola, settembre 1959, Milano 1962. 25 Cf il nostro articolo in questa Rivista sui Vicari foranei (4 [1991] 379 nota 7). Secondo il Dictionary of medieval latin from British Sources si avrebbero attestazioni di tale uso gi rispettivamente nel 1170 e nel 1220 (cf fasc. II C, LATHAM R.E. ed., London 1981, 272). 26 Cf BALON Joseph, Grand dictionnaire de droit du Moyen Age, fasc. 8, Namur 1974, 1421. Cos si giunse anche al significato di municipio ossia casa comunale (cf DU CANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, II, Paris 1937, 141). 27 Il Latinitatis medii aevi Lexicon Bohemorum (fasc. 4, Pragae 1981, 542) recensisce infatti sotto la voce capitulum pure congregatio artificum e congregatio meretricum. 28 Cf Dictionary of medieval latin From British Sources, 272. 29 Cf Lexicon latinitatis nederlandicae medii aevi, 603. 30 Cf c. 263 delle Consuetudines. Canonicorum Regularium Ordinis Arroasiensis Constitutiones (11211139): chi avr frodato nellamministrazione potr essere riammesso nella comunit, ma stallum pristinum non habeat nec vocem in capitulo (= in capitolo non avr il posto che prima gli spettava n potr votare) (cf pure c. 265).
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QUADERNI DI DIRITTO ECCLESIALE

SOMMARIO
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liare a Milano di Giangiacomo Sarzi Sartori Editoriale La visita pastorale: anima regiminis episcopalis di Egidio Miragoli Il convisitatore nella visita pastorale di Pier Giorgio Micchiardi Praxis compendiosa de visitatione: unantica guida per la visita pastorale di Egidio Miragoli La visita del Vescovo diocesano agli Istituti e alle opere dei religiosi di PierMario da Soncino Commento ad un canone. Il restauro delle immagini preziose: c. 1189 di Massimo Calvi Lidentit degli Istituti secolari nel Codice di Diritto Canonico di Vincenzo Mosca Il pastore danime e la nullit del matrimonio di Paolo Bianchi Il diritto canonico dalla A alla Z Decretale di G. Paolo Montini

PERIODICO TRIMESTRALE ANNO VI N. 2 - APRILE 1993


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Mons. Francesco Coccopalmerio


Vescovo Ausiliare a Milano

Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha recentemente nominato Mons. Francesco Coccopalmerio, fino ad ora Pro-Vicario Generale per il settore giuridico, Ausiliare dellArcivescovo di Milano assegnandogli la sede titolare vescovile di Celiana (cf LOsservatore Romano, n. 82, 9 aprile 1993). Lelezione episcopale di S.E. Mons. Coccopalmerio stata annunciata dallo stesso Arcivescovo della Chiesa Ambrosiana, Card. Carlo Maria Martini, nel contesto solenne della Messa del Crisma, dinanzi ad una delle assemblee liturgiche pi altamente espressive della ministerialit e della comunione ecclesiale. Essa, infatti, quasi epifania della Chiesa, corpo di Cristo organicamente strutturato che nei vari ministeri e carismi esprime, per la grazia dello Spirito Santo, i doni nuziali del Cristo alla sua sposa pellegrina nel mondo (CEI, Benedizione degli Oli. Premesse, p. 10). Proprio nello spirito di quella celebrazione e in riferimento ai suoi significati vogliamo dunque accogliere consapevolmente questo annuncio ed esprimiamo sentimenti vivissimi di partecipazione lieta e riconoscente per questa chiamata al ministero episcopale. La Messa crismale , infatti, uneloquente celebrazione del ministero apostolico del Vescovo ed un segno particolare della stretta unione dei presbiteri con lui nella missione di dispensare i Misteri che comunicano la vita divina per ledificazione del popolo cristiano. celebrazione del sacerdozio regale comunicato a tutto il popolo dei redenti ed insieme del sacerdozio ministeriale conferito ad alcuni tra i fratelli mediante limposizione delle mani (Prefazio). Ma lazione liturgica ed il segno sacramentale pongono al centro di tutto il Cristo: lunto, il consacrato, linviato da Dio per una missione di salvezza (cf Lc 4, 16 ss). lui il vero, unico e sommo sacer-

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Giangiacomo Sarzi Sartori

dote. In lui e per la forza del suo Spirito operante nella Chiesa, si manifesta anche il dono, il valore, la missione del ministero ordinato allinterno di tutto il popolo sacerdotale, e la funzione specifica del Vescovo, membro del Corpo episcopale in forza dellOrdinazione e mediante la comunione gerarchica con il Capo e con i membri del Collegio (cf Lumen gentium, n. 22). Cos, nella Messa del Crisma lassemblea liturgica, mentre contempla il Cristo fonte e modello di ogni ministero, pu esprimere in forma pi piena il rendimento di grazie al Signore che chiama ad esercitare nella liturgia e nella vita secondo il modo proprio a ciascuno, un vero servizio sacerdotale. E a lui, sacerdote eterno, la Chiesa sempre presenta la sua invocazione fiduciosa perch apra gli occhi dei credenti alla visione della sua opera, disponga i cuori dei chiamati allaccoglienza dei suoi disegni e guidi i loro passi nella fedelt ai doni della sua grazia. Questa forte e fraterna intercessione desideriamo elevarla a Cristo il grande sommo sacerdote (Eb 4, 14), il pastore e custode delle anime (1 Pt 2, 25) per Mons. Francesco Coccopalmerio, nel momento in cui viene chiamato al ministero episcopale e si appresta a ricevere la Sacra Ordinazione. Ma, oltre che presentare questa invocazione di fede, i membri della Direzione e Redazione dei Quaderni di Diritto Ecclesiale desiderano unirsi alla gioia commossa e riconoscente espressa al Signore dalla Chiesa di Milano, con uno speciale pensiero di vicinanza spirituale e di cordiale augurio. Mons. Coccopalmerio fa parte della Rivista e del gruppo che la conduce dallinizio della sua attivit; ne ha seguito gli sviluppi e ha lavorato in prima persona in mezzo a noi, per noi, e per quanti hanno accolto la proposta dei Quaderni. Siamo quindi sicuri di interpretare con questo indirizzo anche i sentimenti di gaudio degli abbonati e di tutti i lettori che certamente hanno avuto modo di conoscere il nuovo Vescovo attraverso i suoi apprezzati contributi di studio e gli interventi scritti con cui ha arricchito lapporto della Rivista alla conoscenza e allapplicazione del Diritto ecclesiale oggi. Va, anzi, ricordato che la presenza di Mons. Coccopalmerio stata fin dallinizio decisiva per lattivit della Rivista. Lesperienza dei Quaderni, infatti, anche attraverso il suo sostegno fraterno e la sua generosa e qualificata collaborazione ha potuto concretizzarsi, scoprendo che nella sua persona e nella sua preparazione teologica e canonistica poteva contare perch costituiva un solido e sicuro riferi-

Mons. Francesco Coccopalmerio - Vescovo Ausiliare a Milano

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mento. In lui la nostra Redazione ha sempre trovato la pacatezza sapiente, la discrezione amicale e vigile, e la competenza autorevole di chi vive nello stile del servizio pastorale alla Chiesa tutto il suo ministero sacerdotale e la particolare missione che gli affidata. Un ministero segnato dallofferta della dedicazione personale e dallapporto specifico del proprio impegno e del proprio ingegno, particolarmente nellambito della scienza giuridica e della normativa canonica, recepita come disciplina teologica e attuata come strumento per la crescita ordinata e per il cammino del corpo ecclesiale, per lautenticit della missione evangelica. Da Mons. Coccopalmerio, in questo particolare momento della sua esistenza, vogliamo accogliere oltre che lacuto insegnamento dottrinale soprattutto questa testimonianza di vita che sa cos armonicamente rapportare il ministero pastorale ed il servizio giuridico in unesperienza fruttuosa che per noi tutti stata e rimane un prezioso incoraggiamento ed un continuo richiamo alla profonda ispirazione che ci deve animare e allo stile che vorremmo sempre poter tenere nel vissuto concreto. Laugurio che tutto riassume lo ricaviamo ancora dalla densa liturgia della Messa crismale in cui stata comunicata la sua elezione. Dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali nella memoria annuale del giorno in cui il Cristo comunic agli Apostoli e a noi il suo sacerdozio, il Vescovo chiede al sacerdote di pregare per i sacerdoti e poi aggiunge: e pregate anche per me, perch sia fedele al servizio apostolico, affidato alla mia umile persona, e tra voi diventi ogni giorno di pi immagine viva e autentica del Cristo sacerdote, buon pastore, maestro e servo di tutti. In questa preghiera della Chiesa, che facciamo nostra in occasione del ministero episcopale di Mons. Francesco Coccopalmerio, racchiuso tutto il nostro ricordo ed ogni voto augurale. Don GIANGIACOMO SARZI SARTORI per la Direzione e Redazione

Nel prossimo fascicolo sar pubblicata la bibliografia completa di argomento canonistico di Mons. Francesco Coccopalmerio.

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Editoriale

Fratelli presbiteri e sacerdoti del Signore, cooperatori del nostro Ordine... Noi teniamo il posto dei dodici Apostoli, voi dei settantadue discepoli. Noi siamo i vostri pastori, voi siete i pastori delle anime a voi affidate. Noi dovremo rendere conto di voi al pastore supremo delle anime, il Signore Ges Cristo; voi del popolo che vi stato affidato. Vedete perci, carissimi il vostro impegno. Vi ammoniamo perci e vi esortiamo fraternamente a ricordare e cercare di mettere in pratica ci che vi suggeriamo.... Con queste parole aveva iniziato la cosiddetta Ammonizione sinodale che il Vescovo rivolgeva ai suoi preti nel contesto del Sinodo diocesano. Vi si rispecchia una concezione ecclesiologica del rapporto fra presbiteri e Vescovo, rigidamente corrispondente allorganizzazione pastorale ordinaria allinterno della diocesi. La nascita, levoluzione e il rafforzamento delle parrocchie ha portato, infatti, il ministero del presbitero a ricoprire di fatto tutto lampio spettro dei compiti pastorali diretti verso il popolo di Dio. La conseguenza naturale stata lallontanamento del Vescovo dalla cura pastorale diretta, a favore di una sua cura pastorale esclusivamente, direi, di secondo grado, verso cio i veri e immediati pastori dei fedeli. La Visita pastorale permette al contrario al Vescovo di riprendere possesso del suo compito originario e primigenio di pastore immediato del suo popolo: la predicazione, la celebrazione dei sacramenti e soprattutto leucaristia, nonch il contatto diretto con la gente sia nella formalit di un consiglio pastorale sia nella semplicit di una conversazione, ristabiliscono il legame pastorale del Vescovo con il suo popolo.

Editoriale

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In questo modo il Vescovo non solo con lesempio della sua vita aiuta quelli a cui presiede (cf LG 26c), ma con lo stesso esempio, e non solo attraverso la potest ed il regime, e non solo attraverso il consiglio e la persuasione (cf LG 27a), guida i presbiteri nellesercizio del ministero pastorale. La Visita pastorale nella sua dimensione soprattutto ministeriale trattata nel primo articolo di Miragoli. In esso si privilegia la descrizione storica dellimpostazione della Visita, con una particolare attenzione alle norme di buon governo e di saggezza che emergono dalla concretezza (da qui si giustifica anche la breve nota dello stesso autore su un antico testo di guida per la Visita). Limpostazione postconciliare della Visita affidata soprattutto allesempio di un Vescovo. Completano il quadro la considerazione dei sacerdoti che aiutano il Vescovo nella Visita (Micchiardi) e lesame dei limiti e delle modalit della Visita del Vescovo agli Istituti di vita consacrata (Pier Mario da Soncino). Il commento ad un canone (Calvi) affronta un argomento di vivo interesse, anche se non ancora del tutto normato, data lattesa di una normativa concordata fra Stato italiano e Chiesa sui beni artistici: il restauro di immagini preziose. La vita consacrata ha altro spazio nellarticolo di Mosca, di cui pubblicata ora la prima parte. Si tratta di una completa disamina della normativa che riguarda gli Istituti secolari. Bianchi continua la rubrica che intende mettere i parroci ed i pastori danime in grado di prestare un primo ascolto critico a coloro che si trovano in una situazione matrimoniale difficile o irregolare e si chiedono se il proprio matrimonio possiede tutti gli elementi richiesti per la validit. In questo fascicolo si tratta delle esclusioni in genere, ed in particolare poi della esclusione della prole. Il dizionario canonico, giunto alla lettera D, spiega il termine decretale, continuando in tal modo a mettere a disposizione, anche di coloro che non sono addentro negli studi canonici, una terminologia giuridica corretta e ragionata. La scelta dei termini guidata soprattutto da una attenzione alle questioni metodologiche, che permettano di attingere alla vera nozione di diritto della Chiesa (Montini).

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La visita pastorale: anima regiminis episcopalis


di Egidio Miragoli

Il vescovo e la visita Vescovo e visita, i due termini del tema che ci accingiamo ad approfondire, possono sembrare, dapprima, parole assolutamente prive di legame semantico. Lindagine etimologica, tuttavia, permette di superare lapparenza, offrendo interessanti spunti allavvio del nostro discorso. Dietro allitaliano vescovo, sta il latino episcopus 1, calco del greco epskopos 2; a sua volta, epskopos derivazione dal verbo episkptomai/episkopo 3. Utile risulta appunto accertare quali significati e usi ebbe tale forma verbale. Nella grecit profana (vedi Senofonte, Plutarco), essa indica fondamentalmente lazione di guardare, ma anche quella di riflettere nonch quella di visitare 4. In genere si allude alla visita a persone malate. Nella lingua dei LXX, episkptomai esprime un concetto particolarmente importante: quello della visita di Dio al popolo dIsraele intesa come momento dellintervento divino nella storia. Bastino per tutti lesempio di Gn 21,1 ove il verbo in questione sta ad indicare la visita del Signore a Sara ancora sterile e quello di Es 3,16 ove attraverso Mos il Signore dice Sono venuto a visitare voi e quanto vi accade in Egitto: entrambi prevedono visite destinate ad incidere

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Cf CORTELLAZZO M. - ZOLLA P., Dizionario etimologico della lingua italiana, s.v. Cf ERNOUT A. - MEILLET A., Dictionnaire Etymologique de langue latine, s.v. 3 Cf FRISK H., Griechisches etymologisches Wrterbuch, s.v. skptomai. 4 Non a caso, il sostantivo episkop, che pure deriva da episkptomai, ha come primo significato proprio visita.

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profondamente nelle vicende narrate. Dopo la prima, Sara partorir Isacco; dopo la seconda, verr luscita dallEgitto. Anche nel greco neotestamentario episkptomai il verbo della visita. Visita resa semplicemente ai malati 5 o, pi significativamente, a persone di cui ci si prende cura e si ha responsabilit. Cos Paolo esorta Barnaba allufficio apostolico della visita presso le comunit gi luogo di annuncio, dicendo: Andiamo a visitare i fratelli (episkepsmetha tos adelphos) di tutte le citt in cui annunciammo la parola del Signore, per vedere come stanno (At 15,36). Nella gamma dei significati di episkptomai ha dunque rilevanza il tratto semantico della visita: visita ai malati, di Dio che interviene nella storia e di uomini che si sentono corresponsabili del destino di altri uomini. Alla luce di tutto questo, se pure lappellativo epskopos venne impiegato allinterno delle prime comunit cristiane per motivi non attinenti allidea di visitare, pare legittimo e suggestivo trovare nelletimologia, la verit della lingua, un antico, possibile legame fra il vescovo e la visita, quasi che la seconda, in senso pastorale, da sempre facesse parte dei doveri peculiari del primo. Quanto allaggettivo pastorale, il suo destino, entro il linguaggio della Chiesa, davvero strano. Sovente si usato e si usa pastorale in contrapposizione a giuridico o canonico. Attribuito alla visita, invece, da sempre pastorale connota non la visita ordinaria del vescovo a una parrocchia o comunit in occasione di avvenimenti o feste, ma sta ad indicare quella particolare visita, svolta secondo formalit ben precise, che appunto la visita pastorale o visita canonica, gesto dai molteplici significati, ma comunque atto di governo e di amministrazione, inchiesta al foro esterno 6 finalizzata alla conoscenza, alla verifica e, quindi, a una guida pi efficace del popolo di Dio. La visita pastorale del vescovo La visita pastorale del vescovo alla diocesi cos come oggi viene intesa dunque unistituzione antichissima, la cui fisionomia stata delineata particolarmente dal Concilio di Trento che ne ha fat5 6

Mt 25,36: Ero malato e mi avete visitato (epeskpsasth me). Cf Dictionnaire de Droit Canonique, vol. VII, s.v. Visite canonique.

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to uno dei doveri fondamentali del vescovo in ordine allattuazione della riforma cattolica 7. Ne seguita, pertanto, una rigorosa regolamentazione. Per chi volesse conoscere da vicino questa realt, sostanzialmente due sono i tipi di fonti cui attingere. Il primo costituito da quella che potremmo definire la trattatistica sulla visita pastorale. Accanto ad opere monografiche apparse allindomani del tridentino, quali per esempio la Praxis compendiosa de visitatione di Paolo Salodio, edita a Milano nel 1593 (opera di cui diremo in una separata nota di carattere storico) o il pi noto Trattato della Visita Pastorale di Mons. Giuseppe Crispino vescovo di Amelia, pubblicato a Roma nel 1695, che si presentano come veri e propri manuali ad uso dei vescovi e dei visitatori per il corretto svolgimento della Visita, sono da considerarsi anche testi pi brevi ma non meno significativi, capitoli o parti di capitoli contenuti in libri sul buon vescovo o la figura ideale del vescovo: una produzione che si svilupp a partire dalla fine del 600. il caso, ad esempio, delle indicazioni date da Alfonso Maria De Liguori nellopuscolo La pratica di ben governare 8. Nel secondo e ultimo capitolo di questo breve scritto, forse tra i meno noti del presule, santAlfonso elenca in nove punti i mezzi pi efficaci che deve usare il vescovo per la coltura de suoi sudditi e, tra questi, parla della visita (Cap. II, par. VI). Proprio scritti simili andarono costituendo la teoria sulla visita pastorale, ma non in senso astratto, poich, specie nei casi citati, le opere appaiono motivate quasi da un bisogno di comunicazione desperienza. Come sottolinea santAlfonso, le considerazioni proposte vengono tratte dagli esempi dei Vescovi zelanti ed approvate con lesperienza personale. Laltro tipo di fonte, certamente il pi interessante e monumentale, costituito dalla documentazione archivistica, cio dagli atti delle visite pastorali. Frammentari e discontinui fino al Concilio di Trento, in seguito essi diventano abbondanti e ordinati. Un particolare interesse hanno suscitato i questionari cui il visitato doveva rispondere minuziosamente. I molti dati in essi annotati permettono oggi non solo di meglio conoscere la condizione materiale e spiritua-

7 8

Cf MARCOCCHI M., La riforma cattolica. Documenti e testimonianze, vol. II, Brescia 1970, p. 13 ss. Cf il testo recentemente edito: S. ALFONSO MARIA DE LIGUORI, La pratica di ben governare. Riflessioni utili ai Vescovi, Ed. Vivere In, Roma 1988.

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le delle singole comunit cristiane dellepoca, e quindi la storia religiosa del tempo e il tipo di pastorale attuata, ma forniscono, a volte, informazioni utili anche per un quadro complessivo sulla cultura, sulla economia e sulla societ di intere zone, nonch, ancora, su demografia, edilizia e urbanistica. Intorno a questo materiale si incentrata, a cominciare dalla met degli anni 60, lattenzione degli storici. Gabriel Le Bras in Francia, e in Italia (particolarmente per il Veneto e il Mezzogiorno) la scuola di Gabriele De Rosa, hanno avviato una accurata regestazione di visite pastorali; in molte Universit vengono eseguite tesi sullargomento, come si pu dedurre dalle molteplici richieste di consultazione degli archivi da parte di studenti 9. Questi studi costituiscono unulteriore possibilit di approccio al tema della visita pastorale, bench il loro scopo primario, sovente, appaia finalizzato allo studio della Chiesa locale, oggi riscoperta, o della piet popolare, o ad indagini socio-religiose, mediante appunto lutilizzazione dellesperienza delle visite.

I LA STORIA Evidenziando limportanza del Concilio di Trento in relazione alla visita pastorale, non si vuol collocare in tale data linizio di quella specifica attivit del vescovo. Il gi citato testo di Atti 15,36 pu farci intuire come la visita fosse considerata il modo pi naturale per governare e guidare la comunit cristiana, specie in epoche in cui le possibilit di comunicazione o di rendersi in altro modo presenti tra il popolo di Dio erano alquanto limitate. Lo testimoniano anche vari scritti dei Padri della Chiesa, che nellesercizio del ministero si ispirano al comportamento degli Apostoli quale risulta dalle loro lettere. Per trovare una legge scritta sulla visita, pare si debba attendere il Concilio di Tarragona (anno 516). Per tutto questo primo periodo la motivazione della visita si potrebbe individuare nel bisogno interiore del vescovo di visitare e incontrare le comunit.

Cf Tesi di laurea relative a Visite pastorali Italiane (dal 1958 al 1984), in Le Visite Pastorali, a cura di MAZZONE V. e TURCHINI A., Bologna 1985, pp. 207-262.

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1 IL MEDIOEVO E LO IUS VISITANDI Nei secoli successivi tuttavia la situazione evolve. Cos un autore riassume leredit medievale: Innanzitutto la visita concepita principalmente come un diritto: essa afferma la giurisdizione del visitatore sul visitato e comporta la riscossione di una tassa, la procura. Ne derivano molteplici problemi di esenzione che possono suscitare processi interminabili ed addirittura atti di violenza. Ma anche problemi di giurisdizioni rivali 10. Se il vescovo suffraganeo mal tollera la giurisdizione del metropolita che agisce con mentalit e princpi feudali, a loro volta gli arcidiaconi si interpongono tra vescovo e clero, sostituendo il vescovo stesso e, anzi, affermando la loro indipendenza di fronte ai vescovi; addirittura, a volte, vi pu essere diritto di visita da parte di capitoli cattedrali e di abati. Quanto alle modalit con cui le visite sono adempiute, vi poi poco da aggiungere: la riscossione della tassa non esigeva gran che in termini di tempo. Perci il vescovo visitava fino a due o tre parrocchie al giorno; quattro, cinque e fino a sei al giorno sono, invece, le parrocchie visitate dallarcidiacono 11. Il diritto di visita con tutti gli abusi susseguenti costringeranno il Concilio Lateranense III (anno 1179) a un intervento energico le cui norme, date nel c. 4, condannano e descrivono, ad un tempo, quanto avveniva durante la visita.
Dal momento che lApostolo aveva deciso che lui e i suoi dovevano guadagnarsi da vivere con le proprie mani, per chiudere la bocca agli pseudo apostoli, e per non essere di peso a quelli cui predicava, sembrato sommamente preoccupante e da correggere il fatto che alcuni nostri fratelli (cardinali) e vescovi gravino cos pesantemente sui loro sudditi durante le loro visite, al punto da costringerli a vendere le suppellettili della chiesa, mentre i viveri accantonati per un lungo periodo sono consumati in breve tempo. Perci stabiliamo che gli arcivescovi nelle loro visite pastorali non superino, a seconda delle diversit delle provincie e delle risorse delle chiese, le quaranta o cinquanta cavalcature, i cardinali le venti o venticinque; i vescovi non vadano in nessun modo oltre le venti o trenta, gli arcidiaconi le cinque o le sette e i decani, a loro sottoposti,si accontentino di due cavalli. Non viaggino con cani o uccelli da caccia; ma si comportino in modo da mostrare chiaramente che non cercano i propri interessi, ma quelli di Ges Cristo. Non pretendano banchetti sontuosi, ma accolgano, rendendo grazie, ci che viene loro servi-

10 11

VENARD M., Le visite pastorali, ibidem, p. 27. Ibidem, p. 27. Lo studio di Venard si riferisce alla situazione francese, ma questa non dovrebbe essere dissimile da ci che nella stessa epoca avviene in altri contesti vicini.

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to onestamente e con propriet. Proibiamo anche ai vescovi di gravare i loro sudditi di taglie ed esazioni. Ammettiamo, invece, che nelle molte necessit che talvolta possono sopravvenire, se vi un motivo evidente e plausibile, possano chiedere in tutta carit un moderato contributo... Gli arcidiaconi o i decani non devono imporre ai sacerdoti e ai chierici n tasse n imposte. Naturalmente il massimo tollerabile fissato sopra quanto al numero delle cavalcature potr essere osservato l dove le rendite e i beni della chiesa sono pi abbondanti; nelle regioni pi povere vogliamo invece che si usi quella giusta moderazione, per cui la visita dei superiori non provochi loppressione 12.

Anche il Lateranense IV del 1215, ritenuto il grande Concilio riformatore del Medioevo, confermer queste prescrizioni, caldeggiando che i visitatori non ricerchino i propri interessi, ma quelli di Cristo predicando, esortando, correggendo e riformando, in vista di frutti imperituri 13. Anzi, vengono aggiunte sanzioni per quanti (vescovi, arcidiaconi e chiunque altro) esigono procurationes dovute in ragione della visita senza averla effettuata personalmente, il che lascia trasparire linsinuarsi di un nuovo abuso. Le ritorsioni contro un modo di agire che fa della visita solo occasione di arricchimento vengono confermate e si fanno pi precise nel secondo Concilio di Lione (anno 1274) che stabilisce la restituzione, entro un mese, del doppio chiesto o ricevuto, per i temerari che ignorano volutamente le prescrizioni: in caso contrario i patriarchi, gli arcivescovi e i vescovi sappiano che se trascureranno di restituire il doppio stabilito entro il tempo predetto, da quel momento sar loro proibito lingresso nella chiesa; gli inferiori saranno sospesi dallufficio e dal beneficio, fino a che non abbiano soddisfatto completamente restituendo il doppio alle chiese su cui si gravato; e nulla giover ad essi il condono, la liberalit o la benevolenza di quelli che hanno dato 14. 2 DAL DIRITTO DI VISITA AL DOVERE DELLA VISITA: IL CONCILIO DI TRENTO Abusi e conflitti di competenza, pretese di esenzione da una parte e severe condanne nei confronti di un certo modo di esercitare il ministero episcopale dallaltra, e chiss quali altre cause non ultime o estranee, certamente, le fatiche che il continuo viaggiare, spe12

Concilio Lateranense III, c. 4, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dellIstituto per le scienze religiose, EDB 1991, p. 213. 13 Concilio Lateranense IV, Costituzione 33, ibidem, p. 250. 14 Concilio di Lione II, Costituzione 24, ibidem, p. 327.

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cie in quel tempo, comportava determinarono il decadimento e anche labbandono, verso la fine del medioevo, della pratica della visita. Fu appunto il Concilio di Trento a ridarle nuovo impulso. Nella XXIV sessione conciliare la penultima dell11 novembre 1563, nel c. 3 del Decreto di riforma, i Padri fissarono i tre princpi che si riveleranno capaci di ridare vigore e attualit allantica istituzione: 1) lobbligatoriet della visita, 2) la piena restituzione al vescovo di questo compito pastorale, 3) la riaffermazione della finalit pastorale e spirituale della visita stessa. Ma lasciamo parlare il Concilio, nelle sue principali asserzioni:
I patriarchi, i primati, i metropoliti e i vescovi non tralasceranno di visitare personalmente la propria diocesi; se ne fossero legittimamente impediti, lo facciano per mezzo del loro vicario generale o di un visitatore. Se non potessero visitarla completamente ogni anno per la sua estensione, ne visitino almeno la maggior parte, in modo tale, per, che nel giro di due anni, o personalmente o per mezzo dei loro visitatori, la visita sia completata. I metropoliti, anche se hanno visitato completamente la loro diocesi, non visiteranno le chiese cattedrali e le diocesi dei loro conprovinciali, salvo che per una causa conosciuta ed approvata nel concilio provinciale. Gli arcidiaconi, i decani e gli altri di grado inferiore, in quelle chiese in cui fino ad ora hanno usato fare legittimamente la visita, in avvenire potranno farla solo personalmente, assistiti da un notaio e col consenso del vescovo. Anche i visitatori che devono essere scelti dal capitolo, dove il capitolo ha il diritto di visita, devono prima essere approvati dal vescovo; ma non per questo sar proibito al vescovo, o, se impedito, al suo visitatore, di visitare le stesse chiese per proprio conto. Anzi gli arcidiaconi e gli altri di grado inferiore dovranno presentare al vescovo entro un mese la relazione della visita e mostrargli la deposizione dei testi e tutti gli atti integralmente. Ci, nonostante qualsiasi consuetudine, anche immemorabile, qualsiasi esenzione e privilegio. Scopo principale di tutte queste visite deve essere quello di esporre la dottrina pura ed ortodossa, dopo aver fugato le eresie, di salvaguardare i buoni costumi e correggere quelli corrotti, di infiammare il popolo, con esortazioni e ammonizioni, alla piet, alla pace e alla purezza, e di stabilire secondo la prudenza dei visitatori tutte le altre cose che, considerato il luogo, il tempo e loccasione, possono portare frutto ai fedeli 15.

a) Necessit e utilit della visita Ci soffermiamo, per qualche considerazione, soprattutto sul primo e terzo punto (dovere e scopo della visita), lasciando la parola ad autori e testi chiaramente ispirati dal dettato tridentino.
15

Concilio di Trento, Sessione XXIV-Riforma, c. 3, ibidem, pp. 761-762.

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La visita a tutta la diocesi da parte dei Vescovi va necessariamente e assolutamente fatta scrive il canonico Salodio nella sua Praxis compendiosa de visitatione, non solo perch richiesta dai canoni, dai concili e dalla consuetudine, ma perch il vescovo potrebbe avere altrimenti solo in minima parte cognizione di quanto pertiene al suo compito, e per conseguenza solo in minima parte provvedervi 16. Quanto allutilit della visita, valgono, per il nostro autore, alcune massime relative al buon governo di ogni casa o patrimonio, ove presenza e visita del padrone son di grande giovamento: Perci Pindaro, interrogato su quali biade meglio facciano ingrassare il cavallo, disse: locchio del padrone, e su quale concime faccia ingrassare meglio il campo, disse: le orme del padrone (p. 2). Anche lesperienza insegna linestimabile valore della visita in rapporto al mantenimento della disciplina ecclesiastica. E questa volta per lautore il riferimento pi utile alla storia dei monaci e dei regolari: infatti non erronemente si suol dire che nel proprio rigore la congregazione Certosina a lungo conserv tre cardini, e precisamente il silenzio, la solitudine e la visita; per contro, in vero, fra le cause che vengono enumerate delleccidio e dello sterminio delle istituzioni religiose della Germania, c questa, che non venivano visitate (p. 6). Quanto al modo con cui visitare, Salodio sottolinea che se alle visite si provvede secondo diligenza e giustizia, ben si conservano e fioriscono disciplina, giustizia e onest di costumi nei sudditi. Vengono quindi biasimati coloro che come cursori e giardinieri se la sbrigano tanto alla svelta da riuscire a visitare tre o anche quattro chiese in un giorno, causando, con queste che egli preferisce chiamare bucce di visite, pi danno che bene (pp. 3-5). Non diversi toni e motivazioni sulla necessit della visita troviamo nellopera di Mons. Crispino che, riprendendo la definizione del domenicano Bartolomeo de Martyribus, vescovo di Braga in Portogallo (1559-1590), condivide essere la visita come lanima di tutta lazione pastorale di un vescovo: Pi vivamente esprimer non si potea la necessit della Visita Pastorale quanto con esser appellata: Anima regiminis Episcopalis. Togliete lanima da un corpo, che questo tosto diviene cadavere puzzolente. In simigliante maniera possiamo dire, che l governo pastorale senza la buona visita un governo
16

SALODIO P., Praxis compendiosa de Visitatione, Mediolani 1593, pp. 244.

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languido, un governo morto, nulla vale 17. Di pi. Sviluppando quanto Salodio accennava circa il peccato gravissimo che il vescovo negligente commetterebbe trascurando la visita e defraudando chi gli sottoposto dei frutti preziosissimi della visita, il Crispino rovescia la concezione medievale trasformando il diritto di visita del vescovo in diritto ad essere visitati da parte dei fedeli. Egli immagina come potr essere il giudizio divino, e dice: Il Giudice Cristo far che avanti ai Prelati negligenti compariscano (i fedeli) a rimproverar loro le negligenze commesse nelle visite, e ciascuno cos dir al suo Prelato: Esurivi, et non dedisti mihi manducare; sitivi, et non dedisti mihi potum... Altri insorgeranno, e diranno: Sitivi, et non dedisti mihi bibere. Havemmo unardente sete dellacqua della vita eterna, della scienza delle cose, che ci erano necessarie alla salute, e ci faceste vivere nelloscuro abisso dellignoranza de i misteri della santa Fede, e sempre bevemmo nelle cisterne dissipate [...] Era vostro debito venire a cercarci, e non lasciare, che fossimo fatte in devorationem, et in rapinam omnium bestiarum [...] Vi saranno le doglianze di altri, che diranno: Nudus eram, et non cooperuistis. Se voi foste venuti in Visita, havereste saputo la nostra nudit, spogliati per lo peccato della veste candida dellinnocenza, per coprirci con la bella, e pretiosa stola, di cui i buoni, e zelanti Prelati seppero adornare le anime de penitenti [...]; ci foste duri, e crudeli, senza voler sapere quanti poveri, e poveri miserabili in estrema necessit ridotti, quante honeste Zitelle, che posero a pericolo la loro honest, per non havere con che vivere, e vestirsi, e che con la dovuta partecipatione dellentrate della vostra Chiesa, cheran loro patrimonio, doveano essere soccorse 18. facile cogliere in queste parole le nuove e prioritarie attenzioni pastorali legate alla visita, particolarmente: esigenze di predicazione contro gli errori e a sostegno della vita spirituale dei fedeli, presenza di carit. b) San Carlo Borromeo e le visite pastorali Delle norme tridentine e del nuovo modo di pensare e interpretare il ruolo del pastore danime, il principale interprete fu san Carlo Borromeo. Egli, da subito, venne considerato lincarnazione del tipo

17 18

CRISPINO G., Trattato della Visita pastorale, Venezia 1711, p. 2. Ibidem, pp. 15-16.

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ideale del vescovo secondo lo spirito del Concilio di Trento. Ben si intuisce dallazione pastorale del Santo cardinale a Milano (15651584) quanto egli abbia puntato sullo strumento della visita. Due e complementari le direzioni di marcia del suo impegno in proposito: la cura per la legislazione e la pratica della visita. Terminata lassise tridentina (3 dicembre 1563), gi nel I Concilio Provinciale del 1565, con gli altri vescovi della sua provincia ecclesiastica, egli fissa le coordinate sul modo di effettuare la visita; ma nel IV Concilio Provinciale, celebrato nel 1576 e promulgato nel 1580, che la legislazione verr completata con norme riguardanti anche la preparazione 19. Nel frattempo san Carlo attuava la visita: il Borromeo comp almeno due volte la Visita pastorale a tutte le parrocchie della diocesi; [...] nelle Tre Valli del Canton Ticino, che allora facevano parte della diocesi milanese, egli comp la visita in tutto o in parte per ben cinque volte 20, e non cosa da poco se si considera che secondo una statistica del tempo di san Carlo, la diocesi di Milano enumerava 60 pievi, 2220 chiese secolari, 46 chiese collegiate, 783 chiese semplici, 631 oratori, 3070 fra parroci, canonici, cappellani ecc.; la popolazione della diocesi era di 560.000 anime delle quali 366.868 ricevevano gi la comunione 21. Lo stile pastorale di san Carlo, grazie anche alla stima e alla fama da subito suscitate, divenne ben presto punto di riferimento per tanti vescovi; cos pure la legislazione che eman dai Concili Provinciali da lui presieduti fu ripresa in quasi tutti i concili e sinodi diocesani successivi. Pure la letteratura fiorita attorno al nostro tema, in definitiva, non altro che la descrizione della visita secondo san Carlo o il commento della sua legislazione. Ci appare particolarmente evidente nellopera di Giuseppe Crispino, dove (Parte I, par. VI) appaiono titoli di questo genere: Il Buon Vescovo per fare bene la Visita pastorale, si deve specchiare in S. Carlo Borromeo e, subito dopo, Delle Visite di S. Carlo nella Citt, e Diocesi di Milano, e del modo che teneva in farle 22.
Constitutiones et Decreta condita in provinciali Synodo Mediolanensi Quarta, Mediolani 1531. PALESTRA A., Le visite pastorali nella diocesi di Milano, in Archiva Ecclesiae, (Bollettino dellAssociazione Archivistica Ecclesiastica), Anni XXII-XXIII (1979-1980), p. 132. 21 Ibidem, p. 135. 22 CRISPINO G., Trattato..., op. c., pp. 21-26. Per una sintesi relativa alle Visite di S. Carlo, cf MARCORA C., La Visita pastorale, in PROVINCIA DI MILANO, (a cura di AA.VV.), Itinerari di S. Carlo Borromeo nella cartografia delle Visite pastorali, Milano 1985, pp. 11-23.
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c) La visita pastorale secondo lo stile di san Carlo Gi allinizio del 1600 la visita pastorale appare delineata in tutti i suoi elementi essenziali. Essa viene indetta, poi preparata e infine attuata. Il secondo momento, in particolare, andr assumendo sempre pi rilevanza a motivo dei tanti adempimenti richiesti. La preparazione Accanto alla preparazione spirituale della comunit (preghiera, confessione generale, a cui ben presto si aggiunger una predicazione straordinaria da parte di missionari che precedono il vescovo), il parroco o rettore di chiesa deve predisporre una serie di elenchi o indices e di documenti (instrumenta): nulla tralasciato, nulla sfugge al controllo e alla verifica; la visita , insieme, una visitatio rerum e una visitatio hominum. Una visitatio rerum: ecco allora lelenco dei beni (benefici eccelsiastici, chiese, cappelle, suppellettili, reliquie...) con tutti i dati relativi al possesso, alla fondazione, ai redditi e agli obblighi, alle alienazioni e alle usurpazioni; e ancora descrizione dei confini parrocchiali, e di quanto in essi sorge: monasteri, ospedali, cimiteri, scuole... Ma soprattutto, la visita vuole essere una visitatio hominum. In vista dellincontro del vescovo con la sua gente, gli indices dovranno offrire limmagine complessiva della situazione sociale, religiosa e spirituale della realt visitata. Ecco allora gli elenchi dei chierici, corredati dai titoli e privilegi di cui godono, dallindicazione delle prebende e dei canonicati; di coloro che son da ammettere alla prima santa comunione e dei laici che prestano una qualche collaborazione alla chiesa o alle attivit ecclesiastiche (custodi e sacristi, organisti e cantori, persone dedite a opere pie...), e poi: medici, chirurghi, infermieri, notai, pittori e scultori, librai e stampatori; senza dimenticare osti e albergatori, chi ammaestra nelle scuole o, pi modestamente, insegna a ballare e a cantare. E ancora, dovranno essere censiti: scomunicati, interdetti, i congiunti illegittimamente e i separati, gli inconfessi, e coloro che decima non solvunt; chi pubblicamente e scandalosamente pecca (blasfemi, adulteri, concubini) e, in vero, non ultimi, i poveri della parrocchia: le vedove e gli orfani e coloro che sono veramente miserabili. E poi tutti i libri e registri in uso: status animarum, dei battezzati e cresimati, dei matrimoni e degli infermi, dei defunti e dei celebranti.

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La visita La visita pastorale del vescovo un atto solenne ed eccezionale. Per la sua descrizione ci possiamo affidare in ugual misura alla letteratura o ai diari, ai cerimoniali o ai trattati di cui sopra abbiamo accennato. Scegliamo di lasciarci condurre da Giuseppe Crispino: la sua una presentazione ideale, una descrizione minuziosa che nulla omette. Anche il lettore sapr capire e perdonare alcune ridondanze, utili per a cogliere nellinsieme come ladempimento vescovile della visita veniva vissuto. Dunque, giunto il vescovo con il suo seguito in prossimit della citt o paese, che deve visitare, si ritira in qualche cappella o luogo decente per deporre gli abiti da viaggio ed indossare gli abiti prelatizi. Anche la cavalcatura, mula o cavalla, viene ornata di sella e daltri fornimenti di colore violaceo per lingresso solenne. Il vescovo viene accolto processionalmente e accompagnato alla chiesa: bacia il crocefisso, asperge i presenti, viene incensato. Davanti allaltar maggiore sono previste preci e Oremus per il vescovo, proclamati da un sacerdote. Al termine, il vescovo si alza, bacia laltare e d la triplice benedizione solenne. Quindi con breve e paterno sermone descrive al clero e al popolo il perch della sua venuta: Che egli venuto ad absolvendas animas defunctorum, e ad eseguire il di pi, che i sacri Canoni, e le ordinazioni della Chiesa gli prescrivono. Al termine del sermone (il cui schema dato dallo stesso Libro Pontificale) si f la confessione e assoluzione generale, dopo di che il vescovo f pubblicare lIndulgenze che concede ai presenti. Indossati i paramenti neri o violacei imparte quindi lassoluzione ai defunti, recandosi anche al vicino cimitero. Fatte tutte le soprascritte cose, deposta la stola, e il Piviale violaceo: Incipit Visitationem secondo lIstruzione che il Pontificale Romano d ai visitatori: Incipit Visitationem sanctissima Eucharistia ad baptisterium, tum ad Altaria, et Cappellas, et sacra Imagines, item ad sacristiam, et Caemiterium se confert. Postea ad Aedes Canonicales, Hospitalia, Confraternitates, et alia Loca pia. Poterit postea Pontifex confirmare pueros, praemissa monitione, et aliis servatis 23. Pi precisamente, sempre rifacendosi alla normativa della Chiesa, il Crispino riassume in cinque i momenti o capi della visita pa-

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CRISPINO G., Trattato..., op. cit., p. 139.

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storale: Visita Locale, che consiste nella visita materiale della Chiesa, e suoi altari, e della Sacristia, Campanile, e loro mura, pavimenti, suffitti, tetti e simili, se abbiano bisogno, v.g. distaurazione, di abbellimento [...] La Visita Reale, che consiste nel visitare le robe, le suppellettili, lentrate, e nel farsi esibire lInventario di tutti i beni [...] La Visita delladempimento degli obblighi, ch assai importante, e che deve consistere nel riconoscere, se si sodisfacciano gli obblighi per qualunque titolo, di celebrationi di Messe, di Preci, di dare maritaggi, e di altra sorte [...] La Visita personale, che singolarmente deve essere cuore al Visitatore, e che consiste in investigare la vita di ciascuno del Clero, e del Popolo [...] La collatione del Sagramento della Cresima [...] 24. La visita personale Tra tutti i momenti, senza dubbio la Visita Personale del Clero e del Popolo quello pi importante: non comparabile il frutto, che ridonder dalla Visita Personale [...] diretta a tenere mondi, non i Tempii materiali ma i Tempii vivi di Dio, che sono le Anime de Fedeli [...] e specialmente i Tempii pi pretiosi, i Tabernacoli vivi dello Spirito Santo, che sono i Sacerdoti, dice il Crispino 25. Il vescovo dunque incontrer in gruppo e singolarmente i suoi sacerdoti, li ascolter sui loro problemi, sulle difficolt personali di ministero e vita spirituale, quando necessario li indurr al pentimento e allosservanza delle norme, proporr i rimedi. Se facile cogliere, tra le finalit di questi colloqui, una certa preoccupazione inquisitoria (il vescovo deve riuscire a conoscere in tutti i modi possibili, dallinteressato o da altri, il comportamento dellecclesiastico) ad una attenta lettura si comprender che il vero motivo di tutto ci non tanto giungere alla punizione, quanto offrire sostegno e aiuti alla vita spirituale del prete stesso 26. In un secondo
Ibidem, p. 140. Ibidem, p. 337. 26 A tal fine parmi di non dover tralasciarsi unaureo avvertimento, degno di essere scolpito caratteri doro nel cuore dogni Buon Vescovo, e lo dava Monsignor Rinuccini Arcivescovo di Fermo con le seguenti parole: La Visita Personale de Preti passa di frutto tutte le attioni. Mi pare, che si debba fare, se si pu, lume di lucerna con un Crocefisso sul tavolino, e sia il Vescovo in habito. Entri un Prete per volta, e il Vescovo con viscere paterne linterroghi prima di tutto il suo stato temporale, necessit, fastidii, entrate, pesi di nepoti, e di zitelle nubili: si offerisca per lui con gran affetto, e noti nel Libro il bisogno di esso. Addolcito cos il Prete, passi allanima, e sinterni nella sua conscienza, e gli cavi di bocca i rimorsi, che sente, gli proponga i rimedii di confessioni generali, e di santi esercitii spese di esso Vescovo, e lo consoli,
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momento, poi, il Sacerdote verr esaminato circa la dottrina che gli necessaria e particolarmente se sappia celebrare la santa Messa, acci che non si veggano i deplorabilissimi abusi di celebrarsi irreverentemente, frettolosamente, e senza osservanza delle sacre Cerimonie, il tremendo Sacrificio 27. Dopo lo scrutinio della vita del Clero, segue quello della vita del popolo. Lo scopo principale qui di correggere i pubblici peccati, e in questo torna di grande utilit al Visitatore lo stato danime predisposto a suo tempo dal parroco. Il vescovo verificher e interverr se i librari stampino libri proibiti e nocivi; se i dipintori e scultori producano statue o immagini oscene; se i tavernari alberghino meretrici, o offrano ai clienti cibi proibiti in Quaresima; se le ostetriche non sapranno amministrare il battesimo in caso di necessit 28. Gli atti finali La visita sar conclusa e completa con gli ultimi adempimenti: la pubblicazione e intimazione dei Decreti, la benedizione generale al Clero e al popolo con assoluzione dalle censure, pene e inabilit; infine, la Congregazione della Visita. Rilevanti, per noi, sono il primo e terzo momento. Dopo aver visto e ascoltato, il Visitatore d le opportune disposizioni, dette decreti. Sono di vario tipo, e latteggiamento suggerito al Pastore quello della prudenza. Vi saranno de decreti, la cui intimatione deve farsi privatamente, come i concernenti la vita, e i costumi degli Ecclesiastici in particolare, e simili, acciche i laici non sappiano cose, onde possano scandalizzarsi. Altri decreti poi, espediente, che si pubblichino in commune; e questi, se apparterranno al Clero, il medesimo si suol ragunare in quello stesso luogo... Se saranno decreti, che appartengono al Popolo, questi si sogliono pubblicare in giorno di festa in Chiesa, quando ve n maggior concorso 29. Ma, annota il Crispino, poco gioverebbe che il medico visitasse linfermo per curarlo, e ordinasse medicine, se poi questi non le

lemendi, e sopra tutto lesorti alloratione mentale. Io spero, che quel Vescovo, che vorr osservar questa pratica, ne trover pi duno, che con lagrime gli confessar tutto il suo stato; altri, che per tenerezza gli vorranno baciar i piedi (CRISPINO G., Trattato..., p. 339-340). 27 Ibidem, p. 349-350. 28 Ibidem, p. 369-372. 29 Ibidem, p. 372.

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prendesse. A poco gioverebbero le fatiche, le spese sostenute, il poco sonno a cui sono costretti i Visitatori se i visitati trovati infermi, partito il medico, non intraprendessero le cure ordinate o tralasciassero quelle appene intraprese. Onde quando il Vescovo vuol promulgare unEditto, Istruttione, o Decreto, deve prima pensare, come gli dovr far osservare, perch empiere i Sinodi, e i libri delle visite di ordini, e decreti, e poi non pensare a fargli eseguire, assai meglio sarebbe, che non si facessero 30. E poich molte delle cose comandate non si possono subito attuare ad esempio quelle riguardanti lignoranza dei preti il Visitatore incarica i Vicari Foranei a sollecitarne lesecuzione; non solo: il Vescovo istituir la Congregazione della Visita, volta a riunire periodicamente i sacerdoti gi incontrati, alla presenza sua e degli altri convisitatori, con lo scopo di verificare passo passo lattuazione delle direttive. Abbiamo volutamente dedicato ampio spazio alla descrizione della visita cos come a partire da Trento e da san Carlo stata organizzata, non tanto perch condizionati dallottica del Crispino quella del trattato settecentesco, che fa sintesi di norme e di prassi illustrate con meticolosit e cura di completezza ma pi precisamente perch limpostazione di fondo di questo adempimento vescovile permarr, quasi inalterata, per alcuni secoli; senza dimenticare che tante indicazioni permangono di una saggezza non facilmente superabile! 3 DAL CODICE DEL 1917 AL CONCILIO Neppure la promulgazione del 1917 introdusse significativi cambiamenti. Il Codex Iuris Canonici dedica al nostro tema i canoni 343-346, ispirati dal tridentino, per ricordare le tradizionali finalit della visita e il dovere del vescovo di visitare almeno ogni cinque anni lintera diocesi (c. 343 par. 1); la libert nella scelta dei convisitatori (par. 2); loggetto della visita, descritto in personae, res ac loca pia (c. 344). I due canoni restanti sono esortativi: richiamano la paterna forma con cui il vescovo deve procedere (c. 345) e la debita
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Ibidem, p. 375.

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diligentia (c. 346) che occorre coniugare con lattenzione a evitare spese superflue e inutili indugi a carico del visitato (ne superfluis sumptibus cuiquam graves onerosive sint). Poche norme, dunque, quasi non ne occorressero pi di tante, par di capire: la visita pastorale, ormai, gode di una sua vita, di una lunga tradizione arrivata quasi intatta al XX secolo, con le sue caratteristiche di attivit permanente del vescovo che grazie ad essa incontra, predica, cresima e guida; di avvenimento gioioso e di fede per il popolo che, contemporaneamente accosta il Pastore. Costui, infine, continua ad ispirarsi alla scuola di santi vescovi, e ora particolarmente a santAlfonso De Liguori. La descrizione di queste visite risulta ormai assai agevole, grazie alla documentazione archivistica che conserva essenzialmente tre atti: le risposte del parroco al questionario, il verbale della visita redatto dal segretario vescovile o dal convisitatore, e il decreto finale del vescovo. A volte la diligenza del parroco e del vescovo offre altri interessanti elementi rintracciabili nel Cronicon parrocchiale e negli appunti personali del visitatore, come nel caso a cui ora faremo riferimento, che per una serie di felici coincidenze risulta essere un caso paradigmatico e illustrativo del modello attuato. Una visita pastorale degli anni 30 Ecco dunque come un parroco ha fissato nel Cronicon parrocchiale tutti i momenti pi salienti della visita pastorale alla sua comunit. Siamo al 25 giugno 1933, in una parrocchia lombarda di circa 600 anime.
La stagione era quanto mai impropria: nel fervore dei lavori agricoli e con un tempo perfido e piovoso, che rovinando il raccolto raddoppiava pure il lavoro. Tuttavia il popolo diede ammirabile esempio di religiosit. In campagna fin tardi, trov mezzo di non mancare al triduo predicato dal rev.do Prof. D. Giuseppe Amici e nella sera del sabato di convenire tutto per le confessioni. Durante la notte si lavor ad erigere magnifici archi trionfali ornati di fiori e di emblemi e poi in campagna per la scorta di erba da foraggio, ed alle 5,45 tutti erano pronti ad accogliere Sua Eccellenza Reverendissima. Interminabile la Santa Comunione generale. Alle 9 la S. Cresima e quindi la S. Messa solenne cantata dal rev. Arcipr. D. Giovanni Quaini [...] Dopo pranzo visita allOratorio femminile [...] Segu quindi la visita alle Associazioni di Azione Cattolica, relatori i diversi Presidenti. Alle ore 15,30 si svolse un breve trattenimento letterario-musicale sul piazzale della Chiesa in onore di Mons. Vescovo, troncato dalla pioggia. Prima delle funzioni vespertine Sua

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Ecc.za benedisse il nuovo stendardo delle Figlie di Maria [...] e il nuovo vessillo della nostra associazione di A.C. giovanile maschile [...] Segu il Vespro pontificale di sua Eccellenza e la solenne processione del Corpus Domini. Di ritorno, Mons. Vescovo rivolse la sua parola di lode al popolo e ricevette le autorit comunali con a capo il sig. Podest e la Ven. Fabbriceria e quindi lasci la nostra parrocchia 31.

Il tutto trova conferma e completamento in altri documenti. Dal breve processo verbale della visita stilato dal segretario vescovile apprendiamo nuovi particolari. Il Vescovo parte dallepiscopio molto presto, alle 5,15 ed accompagnato da un convisitatore e dal segretario che si dedicheranno alla verifica delle strutture, delle suppellettili e dellarchivio. Le cerimonie dingresso e linizio della visita sono quelle di sempre, quelle gi descritte dal Crispino, e qui cos riassunte in stile telegrafico: Bacia il crocifisso. Asperge. Viene incensato. Preci. Indulgenze. Discorso; ritroviamo, infine, lesatta cronaca della giornata del vescovo fatta in gran parte di celebrazioni 32. Gli appunti personali del vescovo, annotati su un piccolo quadernetto, ci informano invece del colloquio col parroco. Lo schema fisso e sempre uguale anche per tutti gli altri sacerdoti. Verte innanzitutto sulla vita spirituale del sacerdote (frequenza e nome del confessore ordinario personale; circa la meditazione, si accerta della sua quotidianit e dei testi usati; chiede dei giornali e delle riviste cui abbonato e che legge), infine il vescovo si informa dei rapporti con le autorit, con il sacrista e con il popolo 33. La visita si conclude quindi nellarco di una giornata festiva. Nella successiva il vescovo altrove, magari molto lontano, secondo modalit difficili da capire. Non vi un vero e proprio itinerario; ogni
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Parrocchia di Gradella (diocesi di Lodi), Libro Cronistorico, vol. II. Testo manoscritto del prevosto don Francesco Mantovani. Le pagine citate non hanno numerazione. Il vescovo in questione Mons. Pietro Calchi Novati, milanese di origine e vescovo a Bobbio (1914-1927) e successivamente a Lodi dal 1927 al 1952. Dotto canonista, ritm il suo episcopato laudense sulle prescrizioni del Codice che fissava la visita pastorale ogni 5 anni (c. 343 par. 1) e il Sinodo ogni 10 anni (c. 356). Nei 25 anni del suo episcopato laudense comp dunque la visita pastorale nel 1928/1933/1938/1942 e celebr tre Sinodi diocesani: nel 1931/1942/1951. 32 Diocesi di Lodi, II Visita pastorale di S. E. Mons. Calchi Novati, in Archivio della Mensa vescovile, scatola n. 85, fascicolo Parrocchia di Gradella. 33 Sembra di vedere in questo la precisa attuazione di quanto suggeriva santAlfonso De Liguori circa il colloquio con i sacerdoti: Deve (il vescovo) senza meno far lo scrutinio personale di tutti i sacerdoti e chierici del paese che visita. Interrogando allora ciascuno di loro in segreto prima dei suoi propri impieghi e stato di vita... A tal fine giova mirabilmente, come han praticato alcuni prelati vigilanti, il tenere un libretto di memoria, dove insieme coi nomi di tutti i sacerdoti e chierici della diocesi posti per alfabeto vi sieno notate le loro qualit di bene o di male che avran potuto sapersi dalle informazioni segrete (La pratica di ben governare, op. cit., p. 40).

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parrocchia considerata e visitata come realt a s stante. Infine, nellarco di quindici giorni viene redatto il testo con i decreti vescovili. Oltre alla parte laudatoria e di incoraggiamento, i capitoli che si ritrovano costantemente sono quelli relativi allArchivio, ai legati, alla cassa morti e alle strutture e suppellettili (Chiesa e cimitero, cappelle e veli alle grate dei confessionali...). Manca, in poche parole, in tutta la visita, lattenzione alla pastorale nel suo insieme. La visita essenzialmente: lincontro festoso del popolo con lautorit ecclesiastica, la presenza del vescovo che celebra e amministra il sacramento della cresima a lui riservato, unispezione amministrativa e una verifica della vita del clero. Sar cos fino al Concilio! II IL RINNOVAMENTO DELLA VISITA PASTORALE NELLE SUE STRUTTURE E NEL SUO CONTENUTO Solo a partire dagli anni successivi al Concilio Vaticano II possiamo parlare di una nuova visita pastorale, intendendo cos dire che si apre un nuovo periodo nella storia di questa istituzione canonica. Tanti sono gli elementi intercorsi a favorire questo cambiamento: un nuovo modo di concepire il ministero episcopale, un nuovo modo di concepire la pastorale e, non secondariamente, le mutate condizioni sociali alle quali si rivolge levangelizzazione. E la normativa come ha influito? 1 LA NUOVA LEGISLAZIONE La rinnovata legislazione concernente la visita va rintracciata in vari testi che considereremo singolarmente secondo lordine cronologico di pubblicazione. a) Il Vaticano II: decreto Christus Dominus, n. 23 Il Vaticano II riconosce listituto della visita pastorale e ad esso accenna nel Decreto sullUfficio pastorale dei vescovi entro il tema della revisione dei confini delle diocesi. Generalmente lestensione del loro territorio e il numero degli abitanti secondo il Concilio

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devono permettere che il vescovo possa, sebbene aiutato da altri, compiere debitamente le visite pastorali 34. Come si pu arguire, lostacolo principale allattuazione delle visite, si poneva in relazione alle grandi diocesi, estese e popolose. La soluzione risiederebbe nel dividere tali circoscrizioni. Tuttavia listanza conciliare ha trovato e trova attuazione solo parziale: quasi esclusivamente fuori Europa (America e Africa) 35. Continua dunque a permanere per i vescovi di molte grandi diocesi la difficolt a realizzare la visita pastorale; quasi impossibile, poi, poterla realizzare integralmente e garantendo una presenza personale significativa se tale adempimento non viene assunto come assolutamente prioritario. b) Il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Ecclesiae Imago, nn. 162 e 166-170 il testo ufficiale che pi si sofferma sulla visita pastorale 36. Vogliamo considerarne solo i punti salienti. Visita e Sinodo Non deve innanzitutto sfuggire un particolare: il Direttorio, parla, sotto lo stesso capitolo VI, e raggruppando in un unica titolazione, del Sinodo diocesano e della visita pastorale. Lo fa volutamente, poich considera questi due impegni del vescovo connessi fra loro. Ci si fa evidente in due passaggi del testo: nel n. 162 (il vescovo deve sentirsi intensamente impegnato alla preparazione, programmazione ed attuazione di entrambi questi momenti pastorali) e nel n. 166 (la visita pastorale una delle forme, ma tutta particolare, con le quali il vescovo, tra un sinodo e laltro mantiene i contatti...). Ci si pu chiedere, allora qual la giusta successione dei due momenti: Sinodo, Visita, Sinodo, oppure Visita, Sinodo, Visita? Indubbiamente la seconda.

CONCILIO VATICANO II, Decreto Christus Dominus, n. 23. Sui tentativi di attuazione delle indicazioni conciliari in Italia cf RUPPI C.F., La nuova geografia delle diocesi italiane, in Orientamenti Pastorali n. 4/1987, pp. 13-43. 36 Cf SACRA CONGREGATIO PRO EPISCOPIS, Directorium Ecclesiae Imago de pastorali ministerio episcoporum (22.2.1973), in Enchiridion Vaticanum, EDB, vol. 4, nn. 1945-2328. Con particolare riferimento a questo documento, si veda COCCOPALMERIO F., Un importante adempimento del vescovo diocesano: la visita pastorale, in AUTIERO A. - CARENA O. (a cura di), Pastor bonus in populo, Ed. Citt Nuova 1990, pp. 445-456.
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Nella visita il vescovo avr modo di conoscere per poter con pi efficacia, poi, dare linee e stabilire norme. Se volessimo tradurre il tutto in immagini, dovremmo dire che Visita e Sinodo, costituiscono quasi i movimenti essenziali di un respiro, o di un cuore che batte. Natura della visita Circa questo argomento il testo si impernia su due citazioni di Paolo VI che tracciano la sequenza delle idee 37; nel riferimento ai testi integrali pertanto troviamo la miglior risposta e il commento pi appropriato ad alcuni interrogativi. Cos la visita? La visita pastorale atto di presenza di chi ha la responsabilit generale della cura danime nel territorio della diocesi, un intervento autorizzato e comandato dal Vescovo-Pastore per rendere sensibile e operante il disegno divino della redenzione; unazione apostolica per vedere con i propri occhi 38. La carit pastorale come lanima della visita; le finalit sono quelle relative al buon andamento della comunit e delle istituzioni ecclesiastiche, nel senso che vuole essere unanimazione, un risveglio, una chiamata a nuova coscienza, a migliore operosit 39. A chi destinata? La visita pastorale tocca tutta la diocesi: vuole rivolgersi a tutti, alle comunit parrocchiali, specialmente; ma linteresse pastorale vorrebbe arrivare dappertutto; dovunque la Chiesa; anzi, dovunque sono le anime 40. Il primo posto nella visita, dunque, lhanno le persone (n. 166 e 168). Nuovi aspetti della visita pastorale Affermata la necessit che la visita assuma forme nuove, il Direttorio prospetta la possibilit di un adattamento della stessa alle
Cf PAOLO VI, Allocuzione del 6 febbraio 1967 al Clero Romano, in AAS 59 (1967)154-155; Allocuzione del 9 aprile 1967 per lapertura della Visita pastorale in AAS 59 (1967) 413-416. 38 Lespressione non pu non richiamare quanto dice S. Alfonso: Oh a quanti disordini si rimedia dal prelato col girare e col vedere le cose cogli occhi proprii! Chi non vede non pu provvedere. Ed impossibile il governare bene per mezzo delle relazioni degli altri, i quali o ingannano per i loro fini privati, o pure sono pi facilmente ingannati, o almeno non sanno avvertire gli sconcerti che vi sono (La pratica di ben governare..., op. cit., p. 38). 39 AAS 59 (1967) 414. 40 Ibidem.
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diversit dei luoghi (n. 167). A cosa allude il testo? Significa che le modalit (durata, incontri, celebrazioni...) nella stessa visita varieranno in funzione della diversit delle comunit (cosa ovvia!), oppure che i vescovi potranno collaudare nuove forme? In questo secondo caso, tuttavia, per poter parlare di visita pastorale andrebbero salvati gli elementi essenziali e caratteristici. La visita delle parrocchie Il Direttorio, infine, illustra i diversi momenti della visita alla parrocchia: dalla opportunit di unadeguata preparazione spirituale (meglio se mediante le missioni al popolo), al rilevamento di dati da offrire al vescovo per linterpretazione della comunit; a una elencazione di possibili atti-incontri che il vescovo potr compiere, lasciando a presbiteri idonei (i previsitatori o convisitatori) ladempimento delle verifiche e delle ispezioni (n. 168). Chiude il n. 170, dedicato al comportamento del vescovo e alle particolari virt che devono contrassegnarne gli atti ministeriali durante la visita. c) Il Codice di Diritto Canonico: cc. 396-398 Il contenuto dei canoni Rispetto al Codice del 1917 le variazioni significative sono pi di forma che di contenuto. Il c. 396 la trascrizione del c. 343 CIC, omessa, nella redazione definitiva, la parte iniziale sulle finalit della visita, pur presente nel testo precedente. Nella discussione in sede di commissione si ritenne che si trattava di cose evidenti! (cf Communicationes, 12, 1980, p. 305). Il canone afferma dunque il dovere del vescovo di visitare ogni anno la diocesi, o tutta o in parte, cos da visitarla in modo completo almeno ogni cinque anni, o personalmente oppure, se legittimamente impedito, tramite lAusiliare, il Vicario generale o episcopale o altro presbitero (par. 1); egli potr scegliere gli accompagnatori e aiutanti che desidera, senza alcun vincolo (par. 2). Il c. 397 il parallelo del vecchio c. 344 CIC. Enumera le realt soggette alla visita ordinaria: persone, istituzioni cattoliche, cose e luoghi sacri che sono nellmbito della diocesi (par. 1); a nor-

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ma del diritto anche i membri degli istituti religiosi di diritto pontificio e le loro case 41. Il c. 398 esorta il vescovo alla diligenza e allattenzione cos da non gravare con spese superflue su alcuno. Pare qui di cogliere leco degli antichi testi medievali e delle concrete problematiche del tempo! Rilievi complessivi I canoni 396-398 (Libro II, parte II) rientrano nel discorso sui vescovi diocesani e i loro doveri. Sono questi gli unici canoni dedicati al ministero del vescovo in cui si parla del suo compito-dovere di visitare la comunit affidatagli. Le espressioni usate sono quelle di visitare la diocesi, visita ordinaria del vescovo. Solo nellultimo canone, il 398, viene usata lespressione visita pastorale. Quasi impercettibili dunque sono gli elementi che dovrebbero ricordare al lettore che qui si intende parlare della visita pastorale, quella che la tradizione da Trento in poi ci ha tramandato. Se ora ci chiediamo come, di fatto, un vescovo oggi vive il suo ministero, risaltano evidenti alcuni limiti e incertezze di questa impostazione. Le mutate condizioni sociali e pastorali hanno determinato e favorito infatti una presenza diversificata e sempre pi assidua del vescovo tra la sua gente. Se in passato (allepoca del CIC) egli si rendeva presente solo eccezionalmente, in occasione della visita pastorale, per amministrare sacramenti e sacramentali a lui riservati, oggi si sono moltiplicate le occasioni di visita (anche perch fatto non secondario si sono enormemente facilitati gli spostamenti!). Ormai normale, quasi quotidiano almeno nelle zone pi evolute che un vescovo si rechi nelluna o nellaltra parrocchia per una conferenza, una catechesi, per incontrare un gruppo, per una ordinaria celebrazione domenicale. Il suo ministero giocato prevalentemente cos. Ma daltro canto sappiamo che queste presenze non sono da intendersi come visita pastorale o canonica. Orbene, i nostri canoni

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Cf canoni 628 par. 2; 678; 681; 683.

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non sembrano tenere conto di questo cambiamento. Parlano in modo generico della visita del vescovo, alludendo alla visita pastorale, ma senza precisare in che cosa questa si distingua dalle altre tante possibili visite che, semplicemente, vengono ignorate. d) Il Caeremoniale Episcoporum: nn. 1177-1184. Significativa, invece, la prospettiva che emerge dal nuovo Caeremoniale Episcoporum edito nel 1985 42. Della visita pastorale si parla nella Pars VIII intitolata: Le celebrazioni liturgiche congiunte con gli atti solenni del governo episcopale. Tre sono i capitoli considerati: 1) I Concili plenari o provinciali e i Sinodi diocesani; 2) la visita pastorale; 3) limmissione dei nuovi parroci. In questa impostazione la visita pastorale riacquista tutto il suo vero significato: viene considerata quale atto solenne del governo episcopale e viene ricollocata accanto ad altri atti unici del ministero episcopale, quali i Concili provinciali e il Sinodo Diocesano. Si potrebbe dire che non solo si recupera la prospettiva del Direttorio pastorale dei vescovi, ma, addirittura, in qualche modo la si supera. Anima regiminis episcopalis laveva definita Bartolomeo de Martyribus, vescovo di Braga, esattamente quattro secoli prima: in un certo senso il Caeremoniale Episcoporum avalla questa tesi, che, purtroppo, rischiava di andare smarrita, come si evince anche dalla pubblicistica sul nuovo Codice che mai considera la visita pastorale del vescovo come atto di governo 43. Detto questo, richiamiamo solo alcune espressioni dei nn. 11771184 del nostro testo: si auspica che la visita avvenga quando c maggior concorso di popolo e che sia sufficientemente protratta (n. 1178); si danno indicazioni perch il vescovo sia convenientemente ricevuto (n. 1179) e si elencano i riti introduttori, gli stessi che abbiamo considerato nel nostro excursus storico (n. 1180); infine si sottolinea lopportunit che il vescovo esprima e manifesti visivamente il suo essere dispensatore dei misteri di Dio amministrando non solo la Cresima ma anche gli altri sacramenti, e specialmente visitando

Cf Caeremoniale Episcoporum, Editio Typica, Citt del Vaticano 1985. Si veda a riguardo la prospettiva di vari commenti al Codice o lindice di alcune pubblicazioni dedicate al tema del governo nella Chiesa locale.
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gli ammalati (n. 1182). Non viene omesso il richiamo allopportunit della preghiera per i defunti al cimitero con laspersione (n. 1184). Per completare i riferimenti normativi, va ricordato, infine, che anche il Manuale delle Indulgenze sottolinea a suo modo limportanza della visita pastorale accordando la possibilit di una particolare indulgenza ai fedeli che partecipano a una funzione presieduta dal Visitatore 44. 2 LA VISITA PASTORALE SECONDO IL VESCOVO MONS. GIULIO OGGIONI Come gi per la parte storica, volendo ora cogliere dal vivo di una esperienza le novit pi significative che emergono nel compimento della visita pastorale in questi anni del dopo Concilio, prendiamo come riferimento la visita pastorale di Mons. Giulio Oggioni 45. Oltre allintento di rendere un modesto omaggio alla figura di questo grande presule recentemente scomparso, vari sono i motivi di tale scelta e che avvalorano e rendono credibile questo modello: il fatto daver egli potuto compiere personalmente e con frutto questa visita in due diocesi assai diverse (una media, di 125 parrocchie, e una grande, di 388); lintroduzione nel modello classico della visita di alcuni elementi di novit in sintonia con il Vaticano II e le urgenze pastorali di oggi; la possibilit di attingere ad alcuni suoi significativi scritti la linea ispiratrice delle scelte attuate 46.

Cf Manuale delle indulgenze. Norme e concessioni, Citt del Vaticano, 1987, p. 86: Si concede lindulgenza parziale al fedele che piamente visita una chiesa oppure un oratorio, mentre vi si compie la visita pastorale, e si concede una volta lindulgenza plenaria a chi, durante la visita pastorale, assiste a una funzione presieduta dal Visitatore (Concessione n. 69). 45 Mons. Giulio Oggioni, (Villasanta, MI, 1916 - Bergamo 26.2.1993) fu vescovo a Lodi (1972-1977) dove attu la Visita pastorale a partire dal 1975 (bench rimasta incompiuta a motivo del trasferimento) e a Bergamo (1977-1991). In questa diocesi di oltre 800.000 abitanti (28 Vicariati) attu la Visita a partire dal 1983. Dotato di vasta cultura teologica e intuizione pastorale fu attento e originale interprete del Vaticano II. Ricopr significativi incarichi anche nellambito della Conferenza Episcopale Italiana. 46 Tra gli scritti del suo magistero, alcuni sono dedicati alla visita pastorale. Ci rifacciamo ad alcuni testi pubblicati anche in Estratto dalle riviste diocesane, tra i quali: OGGIONI G., La Visita pastorale, Lettera pastorale ai fedeli lodigiani per la Pasqua, Lodi 1975; Visita pastorale di Mons. Giulio Oggioni. Omelia al rito di indizione, Bergamo 1983; Collana Il magistero del vescovo: La Visita pastorale I, Bergamo 1985. Questultima pubblicazione raccoglie quattro omelie sulla visita. Per maggiore comodit, di ogni testo si citer solo la sigla della diocesi, lanno e la pagina dellestratto.

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a) Alcuni rinnovamenti Incontro dialogante Tra i rinnovamenti urgenti e significativi che dopo il Vaticano II si impongono, secondo Mons. Oggioni, vi lo stile degli incontri: lincontro pastorale dovr essere dialogante. Il dialogo infatti oltre che rispondere ad un bisogno di comunicazione oggi molto sentito, nella Chiesa un mezzo prezioso ed efficace per tradurre nella pratica il principio fondamentale nel cristianesimo e proposto autorevolmente dal Vaticano II che tutti i battezzati, ciascuno con il proprio carisma, sono non soltanto oggetto ma anche soggetto dellazione pastorale (Lo 1975, p. 8). Ne deriva la necessit di conservare e accrescere il dialogo del vescovo con il parroco e con i sacerdoti; di dare maggiore attenzione alle religiose e ai religiosi e di ascoltare i laici in misura corrispondente al loro impegno nella Chiesa. Gi questo elemento cambia radicalmente limpostazione della visita. Non appaia banale laffermazione: il dialogo esige tempo! Il dialogo esige incontri con i singoli e, oggi particolarmente, con gruppi, movimenti e associazioni (Azione Cattolica, catechisti ed educatori...) e infine con le nuove realt di partecipazione (Consiglio pastorale e Consiglio per gli affari economici, Commissioni...). La visita, dunque, anche in parrocchie non numericamente rilevanti impegna il vescovo e i suoi collaboratori per alcuni giorni (mediamente sabato e domenica, pi un paio di infrasettimanali) e, bench laspetto liturgico-sacramentale continui ad avere un suo spazio, la dimensione dellincontro-dialogo-confronto si notevolmente accentuata. Le mutate condizioni sociali poi esigono che tali incontri di gruppo avvengano prevalentemente la sera. La parrocchia nel Vicariato questo, a nostro avviso, lelemento nuovo pi significativo. Bench lunit di misura della visita pastorale continui a rimanere la parrocchia, questa tuttavia considerata da Mons. Oggioni non come realt autonoma e chiusa in se stessa, ma come struttura pastorale inserita organicamente nello spazio pi vasto del vicariato e della diocesi. Tra le motivazioni di simile scelta, al primo posto c la necessit e lurgenza di attuare sempre pi una pastorale dinsieme e una vita di comunione.

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Pastorale dinsieme e vita di comunione sono sempre state necessarie nella Chiesa; una volta per si esprimevano soprattutto nellambito delle singole parrocchie che costituivano comunit sociologicamente ed ecclesialmente autosufficienti, anche per la presenza in loco di uno o pi sacerdoti. Ora questo non si realizza pi non solo per la scarsit di sacerdoti... ma anche perch la parrocchia non costituisce una comunit ecclesialmente sufficiente; e soprattutto perch, a causa della attuale mobilit dei cittadini e attraverso gli strumenti di comunicazione sociale, una parrocchia, anche se ridotta di numero, non pi una realt chiusa in se stessa e autosufficiente, ma dipende da realt pi vaste (Bg 1985, p. 12). A partire da questo principio, nel concreto la visita pastorale viene aperta da una celebrazione vicariale, percorre organicamente tutte le parrocchie del medesimo vicariato comprendendo anche gesti che raccolgono iniziative e persone operanti nellintero vicariato, e si conclude con un incontro del presbiterio del vicariato. Anche gli orientamenti del vescovo sulla pastorale dinsieme e la vita di comunione verranno dati in forma di Decreto al vicariato, oltre, naturalmente, alle indicazioni e linee operative date alle singole parrocchie 47. Attenzione ad alcuni problemi pastorali emergenti Nella convinzione che luomo odierno incontra, oltre al domicilio, anche altri ambienti e settori che influiscono in modo determinante sulla sua personalit e mentalit, la nuova visita pastorale deve, secondo Mons. Oggioni, considerare oltre che lo spazio locale, anche i settori dazione, quali: il settore politico-amministrativo, quello culturale e scolastico, quello sanitario e il mondo del lavoro: qui il vescovo vuole mettersi in contatto con le pi significative forze che operano nel civile e nel sociale, per ascoltarle, per meglio conoscere situazioni e problemi, per proporre loro e per loro, nel rispetto della
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La considerazione del vicariato in relazione alla visita pastorale comporta naturalmente una conseguente e ordinaria valorizzazione del vicariato entro la pastorale diocesana. Guai, tuttavia, se il vicariato si sostituisse alla parrocchia confondendo supplenza con accentramento di iniziative e attivit a scapito della vitalit delle parrocchie. Il compito del Vicariato, dice in modo equilibrato Mons. Oggioni, piuttosto quello di animare la pastorale diocesana, facendo opera di supplenza per le parrocchie piccole che non possono sviluppare tutte le iniziative pastorali della diocesi e, soprattutto proponendo e costruendo una pastorale unitaria tra le parrocchie del vicariato medesimo per portare al centro le richieste delle parrocchie e riportare in queste il programma diocesano (Lo 1975, p. 9).

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giusta autonomia e in spirito di umile servizio, linsegnamento e il messaggio di Cristo (Bg 1985, p. 27). Lattenzione organica e specializzata a questi settori costituisce laltra vera novit che ben si coniuga con il respiro vicariale della visita proprio per le dimensioni solitamente sopraparrocchiali che tali problemi assumono: in vista di analisi, contatti e proposte essi esigono lassunzione di ununit di misura pi ampia che non la parrocchia (cf Lo 1975, p. 11). Concretamente, pertanto, nel tempo della visita alle parrocchie di un medesimo vicariato il vescovo accosta, in altrettanti incontri: politici e amministratori; personale scolastico docente e non docente; operatori sanitari (personale amminitrativo, medici, infermieri); imprenditori, dipendenti e sindacalisti. Dato poi il legame profondo che deve intercorrere tra visita pastorale e la globale azione pastorale della diocesi, la preparazione e lanimazione di tali incontri coinvolge i responsabili diocesani della pastorale. Il vescovo, naturalmente, nelle singole unit pastorali lieto di poter visitare fabbriche, scuole, ospedali, ecc., l dove luomo vive, non solo cronologicamente, un periodo notevole della sua giornata. Anche nellambito della visita alla parrocchia sono possibili anzi si impongono alcune scelte e priorit. Mons. Oggioni oltre agli incontri con persone, gruppi e organismi che pi da vicino sono coinvolti nella pastorale parrocchiale, ha sempre privilegiato particolarmente lincontro con le giovani famiglie (primi 10-15 anni di matrimonio) e con i giovani e adolescenti 48. Una visita pastorale cos concepita e vissuta davvero una fatica apostolica! Essa conserva s gli elementi tradizionali di verifica pastorale organica, di controllo amministrativo, ma diventa soprattutto momento di evangelizzazione, di incontro, di dialogo e di risposta ai problemi; in una parola, il governo del vescovo vissuto dal di dentro delle situazioni concrete. Considerato che generalmente si svolge nel periodo dellanno che decorre da ottobre a giugno (con le relative pause in coincidenza delle solennit liturgiche di Natale e Pasqua che vedono la presenza del vescovo in Cattedrale) in un anno pastorale possono essere visitate poco pi di trenta parrocchie. Quindi la visita esige tempi lunghi: pu durare 7-8-10 anni consecutivi 49.
48 49

Per la catechesi sviluppata da Mons. Oggioni durante gli incontri di visita pastorale con le giovani famiglie, cf OGGIONI G., Catechesi sul matrimonio e sulla famiglia, Ed. PIEMME 1986. Il card. C. M. Martini, accingendosi ad iniziare la visita pastorale allarcidiocesi di Milano, nel 1983 ha promosso una ricerca conoscitiva in 28 diocesi italiane e in 9 europee sui contenuti e sui metodi del-

La visita pastorale: anima regiminis episcopalis

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CONCLUSIONE La visita pastorale, come si potuto notare, maggiormente debitrice nei confronti dei modelli storici tramandati che non nei confronti della normativa ufficiale, specie quella recente, dal CIC 1917 in poi. Se i documenti conciliari e post-conciliari appaiono alquanto sobri nel descrivere la visita pastorale, il motivo di tale scelta sta anche nella difficolt di proporre, per un adempimento cos complesso, un modello unico. Indubbiamente il contenuto e gli scopi di una visita pastorale sono in gran parte legati a situzioni concrete che possono variare a secondo dei luoghi e dei tempi. Molto precisa e significativa, invece, la definizione della visita come la troviamo nel Direttorio per i vescovi: La visita pastorale unazione apostolica, un evento di grazia che riflette in qualche modo limmagine di quella singolarissima e del tutto meravigliosa visita, per mezzo della quale il pastore sommo (1 Pt 5,4), il vescovo delle anime nostre (cf 1 Pt 2, 25) Ges Cristo ha visitato e redento il suo popolo 50. Dunque, anche se in alcuni adempimenti esteriori potrebbe far pensare a qualcosa di burocratico, in realt il suo contenuto vero la collega con il mistero della salvezza, cio con il mistero di quanto Dio ha fatto per incontrare luomo e per redimerlo. Essa il segno e il sacramento della visita di Cristo che bench perenne e reale, tuttavia non visibile, e quindi necessita di un segno esterno che la manifesti. Ma la visita non meno importante oggi se considerata dal versante della sua attualit pastorale. Essa realizza, infatti, in modo tutto particolare, landate e predicate entro un contesto umano e culturale da rievangelizzare, nel quale urgente impostare lazione pastorale come un andare a pi che un chiamare per: landare del buon Pastore, che ricerca e che guida, immagine che definisce, in ultima analisi, la visita come pastorale. EGIDIO MIRAGOLI Via Cavour, 31 - 20075 Lodi (MI)

la visita pastorale nel contesto ecclesiale odierno: cf DIOCESI DI MILANO, La visita pastorale in Italia e in Europa, 1983 (testo dattiloscritto). La sintesi di questo lavoro stata pubblicata: cf TREMOLADA G., La visita pastorale nelle diocesi italiane, e La visita pastorale nelle diocesi europee, rispettivamente in Rivista del Clero Italiano n. 2/1984, pp. 126-135 e n. 4/1984, pp. 299-307. I due articoli permettono di avere un quadro complessivo delle diverse modalit con le quali viene oggi interpretata e attuata la visita pastorale. 50 Ecclesiae Imago, n. 166.

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Il convisitatore nella visita pastorale


di Pier Giorgio Micchiardi

1. Il canone 398 dellattuale Codice di Diritto Canonico recita: Il Vescovo si impegni a compiere la visita pastorale con la dovuta diligenza; faccia attenzione a non gravare su alcuno con spese superflue. Si tratta di un avvertimento sempre attuale, anche se sono lontani i tempi in cui la visita del Vescovo poneva problemi alle finanze degli enti ecclesiastici a motivo del numeroso seguito. Resta tuttavia, nel nuovo Codice, la norma secondo cui il Vescovo pu scegliere i chierici che preferisce come accompagnatori e aiutanti nella visita pastorale (c. 396, par. 2). Non numeroso seguito, dunque, ma accompagnatori e aiutanti. Si tratta di una costante tradizione nella Chiesa, recepita anche dal Codice del 1917, al c. 343, par. 2, secondo il quale il Vescovo, revocato ogni contrario privilegio e riprovata ogni contraria consuetudine, pu associarsi, per la visita pastorale, due chierici qualsiasi. Il Direttorio pastorale dei Vescovi Ecclesiae imago [= EI], del 22 febbraio 1973, il vademecum per un pi facile e pi aggiornato esercizio del ministero episcopale 1 voluto dal Concilio Ecumenico Vaticano II, al n. 168 recita: Il Vescovo lascia a presbiteri idonei, specialmente ai vicari foranei, il compito di esaminare i registri della parrocchia e degli altri istituti, di ispezionare i luoghi sacri e la suppellettile, di controllare lamministrazione dei beni, in giorni antecedenti o susseguenti la visita: cos egli potr dedicare il tempo della visita piuttosto
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Directorium Ecclesiae imago de pastorali ministerio episcoporum, n. 168, in Enchiridion Vaticanum, 4, p. 1227, n. 1947.

Il convisitatore nella visita pastorale

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ai colloqui e ai sacri ministeri, come ben si addice alla sua missione di capo, maestro e pastore della comunit 2. 2. Nel testo del canone 396, par. 2 occorre innanzitutto distinguere due figure: quella degli accompagnatori e quella degli aiutanti. Gli accompagnatori sono quei chierici la cui presenza ritenuta utile per lo svolgimento decoroso e corretto della visita: penso soprattutto al maestro delle cerimonie. Gli aiutanti sono quei chierici che accompagnano il Vescovo nella visita con il compito di coadiuvarlo nel raggiungimento dello scopo della visita stessa. Per questi si pu usare la qualifica di convisitatori. 3. In base a quanto sopra precisato e in base alla personale esperienza pluriennale di convisitatore, cos specificherei ulteriormente il compito dei convisitatori e la possibile suddivisione del loro mandato. I convisitatori sono quei chierici che coadiuvano il Vescovo nella visita pastorale con il compito di preparare la visita stessa mediante le dovute indagini 3. Ad essi bene sia affidato anche il compito di seguirla passo passo nel suo svolgimento, perch le istanze dei parroci, dei loro collaboratori e dei fedeli, le indicazioni e le decisioni del Vescovo siano debitamente raccolte e utilizzate per il documento finale della visita, nel quale il Vescovo riassume le direttive pastorali che ritiene utili per la parrocchia visitata. Attraverso i suaccennati compiti i convisitatori permettono al Vescovo di dedicare il tempo della visita piuttosto ai colloqui e ai sacri ministeri 4. Gi i commentatori del Codice del 1917 affermavano che il Vescovo, nella visita pastorale, deve caratterizzarsi per un comportamento paterno: Visitator in iis quae obiectum et finem visitationis respiciunt debet paterna forma procedere 5. Compito importante, anche se secondario, dei convisitatori pu essere quello di rendere la visita non troppo limitata nel tempo, nel
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Ivi, p. 1415, n. 2217. E.I., n. 168. Ivi. VERMEERSCH-CREUSEN, Epitome Iuris Canonici I, Mechliniae - Romae 1963, n. 458, p. 394; CONTE A CORONATA Mattheus, Institutiones Iuris Canonici I, Taurini 1928, n. 400, p. 466.

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senso che, se svolgono con cura e con attenzione i loro compiti, dovranno avere diversi contatti con la parrocchia visitata, favorendo cos il mantenersi in essa di un clima di visita per un certo periodo di tempo. Questo capita soprattutto quando sono in diversi a svolgere i compiti di convisitatori. I compiti dei convisitatori potrebbero essere cos suddivisi: esame dellarchivio e dei registri parrocchiali e della situazione statistica della comunit parrocchiale stessa; esame della situazione dellimpegno pastorale parrocchiale; controllo dellamministrazione dei beni temporali della parrocchia e degli enti soggetti alla potest del Vescovo diocesano; esame di quegli aspetti dellimpegno pastorale degli istituti di vita consacrata e delle societ di vita apostolica che sono soggetti a visita episcopale. 4. questa la suddivisione dei compiti dei quattro convisitatori nella visita pastorale che si sta svolgendo nellarcidiocesi di Torino. La previsita dei convisitatori si svolge prima dellincontro dellArcivescovo con le singole comunit parrocchiali e consiste nellesaminare assieme con il parroco o il superiore della comunit di vita consacrata quattro questionari precedentemente inviati agli interessati. Essi consistono in rilevamenti statistico, pastorale, economico-patrimoniale che dovrebbero gi essere stati oggetto di considerazione da parte dei parroci e dei superiori suddetti con la collaborazione dei rispettivi consigli pastorali e delle comunit. Il convisitatore redige una sintesi di quanto rilevato dai questionari e la presenta allArcivescovo prima della sua visita. I questionari compilati sono consegnati ad un convisitatore che ne restituisce una copia alla parrocchia, ne deposita unaltra allArchivio della Curia e unaltra allapposito Ufficio di Curia incaricato di raccogliere i dati per la loro computerizzazione. Uno dei quattro convisitatori, precisamente il Vicario episcopale territoriale, segue lArcivescovo nei vari momenti della visita, onde poter raccogliere gli elementi e i dati che, assieme a quelli emersi dal rilevamento, possono essere utili per la redazione della lettera finale inviata dallArcivescovo e nella quale si danno le linee conduttrici per gli impegni pastorali della parrocchia dopo la visita. I questionari inviati precedentemente alle persone interessate risultano di

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grande aiuto al convisitatore per lo svolgimento del suo compito in quanto gli evitano di porre domande astratte e non pertinenti e nello stesso tempo stimola coloro che sono soggetti alla visita a fare una ricerca e riflessione approfondita sullo stato della loro comunit. Il fatto poi che al questionario si deve dare risposta con la collaborazione degli organismi di partecipazione (consiglio pastorale parrocchiale e consiglio parrocchiale per gli affari economici) e della comunit religiosa, contribuisce a far considerare il convisitatore non come figura fiscale, ma piuttosto come una persona che fa da tramite tra la comunit cristiana e il Vescovo. 5. Come conclusione ritengo di fare cosa utile elencando i titoli dei questionari dei rilevamenti statistico, pastorale, economico-patrimoniale in uso nellArcidiocesi di Torino per la visita pastorale. A) Rilevamento statistico 1. Generalit 2. Componenti ministeriali della comunit parrocchiale 3. Organismi di partecipazione 4. Strumenti di informazione e sensibilizzazione 5. Aggregazioni ecclesiali 6. Monasteri, case di istituti religiosi o di societ di vita apostolica o di istituti secolari 7. Archivio e biblioteca parrocchiali 8. Vita sacramentale 9. Cristiani di confessione non cattolica e non cristiani 10. Istituzioni varie nel territorio parrocchiale B) Rilevamento pastorale 11. Catechesi 12. Liturgia 13. Carit 14. Pastorale della famiglia 15. Pastorale dei ragazzi e dei giovani 16. Pastorale scolastica 17. Le Missioni 18. Mutue relazioni pastorali tra parrocchia e religiosi Valutazione sui servizi pastorali della Curia

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C) Rilevamento economico-patrimoniale 19. Collaboratori laici 20. Amministrazione economico-patrimoniale 21. Amministrazione fiscale 22. Contributi del Comune o della Regione 23. Aggiornamenti dello stato patrimoniale 24. Beni immobili 25. Chiesa del cimitero 26. Fondo di riserva per migliorie e manutenzione degli stabili 27. Beni mobili 28. Testamento D) Visita agli Istituti religiosi e Societ di vita apostolica 29. Rilevamento statistico 30. Opera apostolica della comunit 31. Rapporti comunit-diocesi nellattivit pastorale 32. Rapporti comunit-zona vicariale nellattivit pastorale 33. Rapporti comunit-parrocchia nellattivit pastorale 34. Rapporti della comunit con gli altri istituti religiosi PIER GIORGIO MICCHIARDI Via Palazzo di Citt, 4 10122 Torino

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Praxis compendiosa de visitatione: unantica guida per la visita pastorale


di Egidio Miragoli

Praxis compendiosa de visitatione, auctore Paulo Salodio Ariminensis I.U.D. Ecclesiae Maioris Mediolani Canon. Ordinario, et Protonotario Apostolico. Mediolani, Apud Pacificum Pontium 1593.

Lautore Tra le opere dedicate alla visita pastorale secondo il modello tridentino e, in specie, di san Carlo Borromeo, ve n una poco nota che qui si vuole segnalare. lopera di PAULUS SALODIUS, canonico a Milano sul finire del 1500, il cui cognome, in lingua italiana pu essere tradotto con Salodi o, come noi preferiamo fare, Salodio. Di lui si legge nellArgelati: PAOLO SALODIO, Milanese, si fregia di molti meriti per la sua erudizione in materia ecclesiastica, e soprattutto relativa alla Chiesa Ambrosiana. Entrato a far parte dei Chierici, infatti, studi i testi sacri e quelli profani, e perci, premiato in entrambi i diritti, tra i Canonici della Basilica Metropolitana, che sono chiamati Ordinari, nel 1585 ottenne la prebenda dottorale. Ne rest in possesso fino al 1593, quando, per potersi pi liberamente dedicare agli studi Joanni Jacobo Terzago Sacerdotium resignavit. A tuttoggi ci ignoto lanno della sua morte (da PHILIPPI ARGELATI Bononiensis, Bibliotheca Scriptorum Mediolanensium seu Acta et Elogia..., Tomus Secundus, Mediolani 1745, p. 1274). Contenuto e caratteristiche dellopera La peculiarit di questopera consiste nella sua antichit. Infatti ledizione pi lontana nel tempo che ci dato di conoscere, e dedicata al vescovo di Cremona Cesare Speciani, datata 15 luglio 1593.

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Sono dunque ormai passati quasi tre decenni dal Concilio di Trento e dai suoi canoni sulla visita pastorale, ma molto minore lo spazio che separa questopera dalla codificazione operata dai Concili Provinciali milanesi nei quali tra le altre cose si riassume in norme e prescrizioni la prassi che via via si andava sperimentando attorno alla visita pastorale, dandole sempre pi precisa fisionomia. Dunque, oltre che antico, il nostro testo pu essere ritenuto con buona probabilit il primo in ordine di tempo a raccogliere, quasi in un prontuario, quanto i Visitatori delegati dagli Ordinari della provincia ecclesiastica milanese dovevano compiere. Le fonti cui il testo si ispira sono i doctores e soprattutto il Concilio di Trento e i Concili Provinciali milanesi. Lopera divisa in quattro parti: nella prima si tratta principalmente degli atti preparatori della visita nella seconda si tratta della visita materiale nella terza, della visita personale e della preparazione dei decreti nella quarta, della visita delle Comunit religiose. Edizioni identificate Dellopera abbiamo potuto identificare quattro edizioni, di cui tre milanesi, rispettivamente del 1593, del 1610 e del 1649; la quarta fu stampata a Colonia nel 1620. Di esse si d notizia nei seguenti cataloghi: L. MORANTI, Le cinquecentine della Biblioteca universitaria di Urbino, Firenze 1987, vol. 3; National Union Catalogue (Library of Congress - Washington); Catalogue gnral des livres imprims de la Bibliothque Nationale, Paris 1926, vol. 136. Pagine scelte Della nostra opera, presentiamo in traduzione i primi due capitoli della Pars prima. Sono pagine significative per comprendere come la visita veniva considerata allindomani del tridentino.

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Necessit ed utilit della visita Cap. I La visita a tutta la diocesi da parte dei Vescovi va necessariamente ed assolutamente fatta. Il che cos vero che neppure limpossibilit sul piano personale basta a giustificare: infatti in tal caso il Vescovo tenuto ad assolvere questo compito mediante altra persona. E la visita si definisce non soltanto necessaria, bens massimamente necessaria, e strettamente dovuta. Motivi: questo dovere stato introdotto dai sacri canoni, dai concili e dalla consuetudine: inoltre, il Vescovo potrebbe avere altrimenti solo in minima parte cognizione di quanto pertiene al suo compito, e per conseguenza solo in minima parte provvedervi; infine, se defrauda chi gli sottoposto dei frutti preziosissimi della visita, egli agisce contro la carit. Ne deriva che il Vescovo negligente in questo suo dovere commette peccato mortale e gravissimo. E fa peccato mortale non solo quando trascura la visita di tutta la diocesi, ma anche quando ne trascura una parte quanto meno importante, come la visita alle monache: non infatti tenuto genericamente a visitare, ma a visitare completamente la diocesi. E con completamente, non intendo solo in senso geografico, come si ha nella costituzione di Innocenzo IV; bens anche nel senso di ci che va fatto, e per i motivi di cui parler nel prossimo capitolo. Di l viene che il diritto che regola la visita non pu perdere di vigore n diventare oggetto di prescrizione: la visita stessa o la sua gestione per delega non siano tralasciate. Ma poi la visita quanto meno utile, anzi utilissima. Infatti, nelle cose relative al governo e alla guida della casa son di massimo giovamento presenza e visita del padrone. Perci Pindaro, interrogato su quali biade meglio facciano ingrassare il cavallo, disse: locchio del padrone, e su quale concime faccia ingrassare meglio il campo, disse: le orme del padrone. Ugualmente, lesperienza stessa insegna come la visita inestimabilmente serva al mantenimento e allaccrescimento della disciplina ecclesiastica. Questo medesimo fatto ha nettissima evidenza anche nella disciplina dei monaci e dei regolari, per cui non erroneamente si suole dire che nel proprio rigore la congregazione Certosina a lungo conserv tre cardini, e precisamente il silenzio, la solitudine e la visita; per contro, in vero, fra le altre cause che vengono enumerate delleccidio e dello sterminio delle istituzioni religiose in Germania, c questa, che non venivano visitate. E (per dirla in breve) la visita tanto utile e necessaria in quanto, se non si provvedesse alle visite, come dice lOstiense, le anime sarebbero in pericolo. Ne deriva che, come sostiene sempre lOstiense, i visitatori ordinari, o in forza del diritto o per consuetudine, sono tanti: lArciprete, lArcidiacono, il Vescovo, lArcivescovo, il Legato, nonch il Papa, affinch appunto le anime vengano curate con notevole attenzione. Lutilit della visita risulter anche pi evidente da ci che deve essere affermato riguardo al suo scopo. Lo scopo della visita Cap. II Sembrando il visitatore svolgere soprattutto il ruolo di medico, amico e pastore, scopo precipuo della visita sar quello di curare le infermit, alleviare le necessit dei poveri, conciliare e regolare le attivit dei sudditi, come SantAntonino spiega in maniera ampia ed elegante. Pi in breve, come si deduce dal Trattato sulla visita pastorale di Giovanni Francesco de Pavinis, lo scopo della visita consi-

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ste nel rinnovamento delle condizioni delle chiese, delle persone e delle cose legate alla Chiesa nonch dei costumi dei laici, per lonore di Dio ottimo massimo e la salute delle anime. O anche, secondo quanto si trova nel Concilio Tridentino, le visite si tengono affinch chi le compie conosca e ponga in atto ci che stato istituito per il culto divino, per la salvezza delle anime e per il sostentamento dei poveri. O, come detto pi specificamente nella medesima sede, scopo eminente della visita esporre la dottrina corretta e ortodossa dopo aver eliminato le eresie, proteggere i buoni costumi, correggere quelli cattivi, appassionare con esortazioni e ammonimenti il popolo alla religione, alla pace e alla purezza, e stabilire quantaltro di utile ai fedeli consentano il luogo, il tempo e loccasione, secondo la prudenza dei visitanti. Il visitatore deve anche provvedere con grande zelo affinch le chiese bisognose di restauro siano restaurate e non vengano private della cura danime e degli altri servizi dovuti; inoltre, deve fare in modo che tutto ci che riguarda il culto divino sia curato, e che, quando necessario, vi si provveda. E, sia pure che il visitatore debba occuparsi di queste cose con la massima attenzione, tuttavia, soprattutto badi a migliorare costumi ed opere degli ecclesiastici, i quali han da essere modello ed esempio in tutto per gli altri, e dai quali lesperienza insegna che sgorgano, come da una fonte, quasi tutti i beni e i mali. Ebbene: unendo tutte queste cose insieme, si ha non solo lo scopo principale, ma lintero scopo della visita. Da quanto detto in precedenza, comunque, si evincono soprattutto due cose, che i visitatori debbono scrupolosamente osservare e sempre ricordare. Primo: il visitatore non cerchi se stesso cio la propria utilit, il proprio vantaggio, il proprio onore (di ci qui non si fa parola) bens quanto pertiene al culto divino e alla salvezza delle anime cio non le cose sue ma quelle di Cristo. Secondo: poich evento di tanta importanza, la visita non va condotta con negligenza e remissivit o, peggio, facendo ingiustizie. Al contrario con massima diligenza e massimo senso della giustizia. Infatti, per il fatto che alle visite si proceda con remissivit, negligenza ed ingiustizie, vanno deplorevolmente in grave rovina il rigore nel rispettare le regole, il vigore della giustizia e la qualit dei costumi; per converso, se alle visite si provvede secondo diligenza e giustizia, ben si conservano e fioriscono disciplina, giustizia e onest di costumi nei sudditi. Non a torto si redarguiscono dunque coloro i quali, come cursori e giardinieri, se la sbrigano tanto alla svelta da riuscire a visitare tre o anche quattro chiese in un giorno. E il danno che sogliono arrecare simili visite (sempre che visite, e non piuttosto bucce di visite vogliamo chiamarle!) quel danno io lho toccato con mano a proposito di una visita ad una sola collegiata: subito dopo, secondo lammissione di tutti, la disciplina and perduta, e addirittura venne interrotto lobbligo di partecipare al coro. (da Op. cit., pp. 1-5) EGIDIO MIRAGOLI Via Cavour, 31 - 20075 Lodi (MI)

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La visita del Vescovo diocesano agli Istituti e alle opere dei religiosi
di PierMario da Soncino, FSF

I religiosi in quanto soggetti alla visita del Vescovo Largomento che il presente articolo si sforza di svolgere non si presta a facili semplificazioni o a sintesi forzate. Ci rende ragione delle inevitabili omissioni o mancate precisazioni che i limiti di spazio a nostra disposizione ci hanno imposto e per le quali ci scusiamo fin dora con il lettore. Per non smarrirci in molti preamboli, ci poniamo subito la domanda, storicamente tuttaltro che scontata , se i religiosi 1 debbano o no sottostare alla visita pastorale che il Vescovo diocesano, nellesercizio della sua funzione di governo, tenuto a compiere a norma del c. 396, par. 1, gi ampiamente citato allinterno di questo fascicolo. A risponderci in modo affermativo, sia pur indiretto, anzitutto il il c. 397, par. 1, il quale, senza ulteriori determinazioni, indica nelle persone, nelle istituzioni cattoliche e nelle cose e luoghi sacri situati sul territorio della diocesi, i soggetti passivi di questa visita. Una conclusione, del resto, logica, qualora ci si soffermi a considerare la nota essenziale di ecclesialit propria della vita

Pur riguardando direttemente gli Istituti religiosi, quanto stiamo per dire, stante lespresso rimando dei cc. 734 e 738, par. 2 al diritto di questi ultimi, trova una sua applicazione, servatis servandis, nel caso delle societ di vita apostolica. Non cos, invece, per gli Istituti secolari, dal momento che il CIC, nella parte ad essi dedicata, non offre alcun canone che regoli il diritto di visita del Vescovo diocesano nei loro confronti n fa alcun rimando, come nel caso delle societ di vita apostolica, a quanto in materia legiferato circa gli Istituti religiosi. Questa lacuna del CIC la riteniamo senzaltro dovuta alla peculiare natura degli Istituti secolari, cose sulle quali non qui il luogo di soffermarci. Ci sembra, tuttavia, che in ordine alla visita del Vescovo diocesano, essendoci Istituti secolari di diritto diocesano e pontificio nei quali si conduce vita fraterna in comune e si perseguono attivit apostoliche di un certo rilievo, si debbano applicare per analogia i canoni che riguardano gli Istituti religiosi.

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consacrata, nella fattispecie della vita religiosa , e ci che i Vescovi, qui considerati come singoli pastori di chiese particolari, sono per divina istituzione 2. Tuttavia, rispetto proprio ai religiosi, lo stesso c. 397 pone nel par. 2 dei limiti al dovere-diritto di visita del Vescovo col recitare:
Il Vescovo pu visitare i membri degli Istituti religiosi di diritto pontificio e le loro case soltanto nei casi espressi dal diritto.

Ora, per comprendere il senso e la portata di questa e delle successive restrizioni imposte dal Legislatore al Vescovo diocesano a proposito della visita agli Istituti religiosi e alle loro opere, prima ancora di leggere quanto nel contesto dei canoni che la riguardano viene in merito recitato, necessario porci di fronte a uno dei capitoli pi affascinanti, pi complessi e pi ricchi di chiaro-scuri della storia delle mutue relazioni tra Vescovi e consacrati, sia sotto laspetto della sua comprensione teologica sia sotto quello della relativa disciplina canonica. Si tratta della realt che, nella nuova sistematica del CIC, riceve il nome di giusta autonomia. Lautonomia degli Istituti religiosi quale sfondo per comprendere il diritto di visita del Vescovo Per giusta autonomia possiamo qui intendere il diritto di qualsiasi Istituto religioso a condurre una vita propria secondo i propri statuti e senza debite ingerenze dallesterno, con conseguente vantaggio nello svolgimento della propria attivit e nel proprio incremento 3. Questo diritto non nasce da una concessione dellautorit ecclesiastica, ma dalla natura stessa di ciascun Istituto religioso, che, in quanto realt carismatica, dono di Dio fatto alla Chiesa, deve ve2

Per i Vescovi si veda in particolare LG 27. Quanto, poi, alla suddetta nota di ecclesialit della vita consacrata, anche se si tratta di verit pi volte riaffermate e perci assai note, ricordiamo che essa, sbocciata in seno al popolo di Dio per impulso dello Spirito Santo e fiorita in mirabile variet di forme (cf PC 1b), pur non rientrando nella divina e gerarchica costituzione della Chiesa come stato intermedio tra la condizione clericale e quella laicale (cf LG 43b), appartiene tuttavia in modo stabile alla sua vita e alla sua santit (cf LG 44d) e serve alla sua missione salvifica (cf LG 43b; CD 33). Tale nota stata richiamata in numerosi documenti postconciliari (cf, ad es., il n. 10 delle Note direttive che la S. Cong. per i Religiosi e gli Istituti secolari pubblic il 14 maggio 1978, conosciute come Mutuae Relationes, dora in poi citate con la sigla MR) e, da parte sua, il CIC la pone continuamente in rilievo (in questa prospettiva si leggano, a modo di esempio, i cc. 207, par. 2; 573-577). 3 Cf Communicationes 2 (1970) 179.

La visita del Vescovo diocesano agli Istituti e alle opere dei religiosi

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dersi garantire lintegrit del proprio genere di vita fraterna, lorientazione distintiva del proprio apostolato, la salvaguardia della propria spiritualit e, in particolare, lesercizio normale del governo 4. Esce dai limiti di questo articolo richiamare, sia pure per sommi capi, la lunga storia che ha portato al riconoscimento di questo diritto e al suo affermarsi, oltre che nel pensiero degli autori, nellinsegnamento magisteriale e nella legislazione universale della Chiesa. Basti qui dire che ancora nel CIC piano-benedettino si affermava il principio della sottomissione dei religiosi alla giurisdizione degli Ordinari di luogo da cui si veniva liberati attraverso il privilegio dellesenzione 5. Il risultato era che nella mentalit comune questultimo istituto giuridico figurava sottrarre ai Vescovi qualche cosa ad essi dovuto 6. Attraverso un lungo cammino di riflessione, che per quanto riguarda il Magistero trova riscontro soprattutto in LG 45, CD 35 e MR 22, venne per via via maturando la consapevolezza che lesenzione, riguardando principalmente lordine interno degli Istituti religiosi, pi che un limite imposto allautorit del Vescovo, corrispondeva al bisogno che essi hanno di mantenersi fedeli alla loro particolare fisionomia e funzione, in apertura alla Chiesa universale e in peculiare unione e dipendenza dal ministero petrino; e questo anche

La differenza tra concessione e riconoscimento di un diritto resa evidente dal significato proprio dei due termini. Cos, per es., il diritto di ogni fedele a ricevere dai Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti (cf c. 213), non nasce da una concessione dellautorit ecclesiastica, cosicch mancando questa concessione il diritto venga meno, ma deriva dalla propria condizione di battezzato. Da parte sua, la Chiesa semplicemente interviene a riconoscere lesistenza del diritto in questione e a regolarne lesercizio. 5 I religiosi sono sottomessi anche allOrdinario del luogo, eccettuati quelli che dalla Sede Apostolica hanno ottenuto il privilegio dellesenzione, salva sempre la potest che il diritto concede anche su di loro agli Ordinari dei luoghi: c. 500, par. 1 del CIC 1917. Cf anche i cc. 615 e 618, par. 1 del medesimo CIC. 6 In realt, a ben leggere il CIC 1917, ci si accorge che, col rendere esente un Istituto dalla giurisdizione dellOrdinario di luogo, leffetto principale cui si mirava era lo stesso che oggi vuole conseguire il riconoscimento della giusta autonomia, assicurare, cio, la salvaguardia del patrimonio dellIstituto espresso nel suo codice fondamentale, insieme alla libert nel governo interno e nella disciplina. Ne fa prova, in questa prospettiva, la lettura del c. 618, par. 2 del medesimo CIC. Questa autonomia, tuttavia, era presentata a livello giuridico come il frutto di un privilegio, cosa che non pu essere se si considera a fondo la natura teologica della vita consacrata. Noi non siamo certo tra coloro che, pur godendo di una formazione giuridica, in ossequio alla mentalit odierna rivestono di un significato negativo il termine privilegio. In realt, almeno nel diritto, questa parola usata per esprimere un fatto estremamente positivo, precisamente lo sforzo di tutelare, per mezzo di un atto peculiare dellautorit ecclesiastica, il diritto soggettivo di una persona, fisica o giuridica, cui la legge comune non in grado di provvedere proprio perch comune. Ma la necessit di godere di una giusta autonomia non rappresenta affatto il bisogno di questo o di quellIstituto religioso e basta; al contrario, rappresenta unesigenza di ognuno di essi, da tutelarsi quindi non pi per mezzo di peculiari concessioni di grazia e, al limite, di comunicazione di privilegi, bens per mezzo del suo riconoscimento e, fin dove possibile, della sua regolamentazione attraverso la comune legislazione.

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nel caso in cui un Istituto si fosse trovato, di fatto, ad operare nei limiti di una sola diocesi. In tal modo si prepar il terreno al riconoscimento, nel nuovo CIC, della giusta autonomia di tutti gli Istituti religiosi, grazie anche allapplicazione dei principi direttivi che ne hanno guidato il lavoro di revisione 7. Questo riconoscimento trova ora la sua espressione principale nel dettato del c. 586:
Par. 1. A ciascun Istituto riconosciuta una giusta autonomia di vita, soprattutto di governo, mediante la quale godano nella Chiesa di una propria disciplina e possano conservare integro il loro patrimonio, di cui al c. 578. Par. 2. Spetta agli Ordinari dei luoghi conservare e tutelare questa autonomia.

Si tengano, tuttavia, presenti ancora due cose: la giusta autonomia non va affatto confusa con lindipendenza, concetto che non trova applicazione nella realt comunionale e gerarchica della Chiesa , e perci, lungi dallimpedire, se ben compresa e ben applicata, rafforza laltrettanto giusta soggezione di un Istituto religioso e dei suoi membri allautorit ecclesiastica, sia essa quella centrale, sia essa quella dei Vescovi diocesani e di quanti, comunque, sono Ordinari di luogo 8; secondariamente lautonomia dei religiosi conosce dei gradi, il cui fondamento lo possiamo rinvenire e nellambito cui essa si riferisce 9 e nella condizione di infanzia o adolescenza o maturit di un Istituto religioso 10. Quanto pi un Istituto si trova nella fase di infanzia o di adolescenza, tanto pi si trova necessariamente limitato nellesercizio della sua autonomia e maggiormente affidato alla cura e alla vigilanza degli Ordinari di luogo 11. Assicurato, in tal modo e per quanto possibile, lo sfondo necessario al nostro discorso, siamo ora in grado di meglio comprendere ci che si deve intendere per visita del Vescovo diocesano agli Istituti e alle opere religiose e i limiti che, al riguardo, il Legislatore ha voluto tracciare.
7 8

Cf Communicationes 9 (1977) 58. Cf Communicationes 2 (1970) 179. In particolare, riferendoci ai Vescovi, vogliamo ricordare che nella Chiesa il ministero episcopale il fondamento di tutti gli altri (cf MR 6). 9 Questambito pu essere individuato tanto nella vita interna dellIstituto, quanto nellattivit esterna del medesimo. 10 Questa condizione si riferisce sia al suo progresso spirituale e materiale, sia al suo incremento e alla sua diffusione nel mondo. 11 Cf Communicationes 2 (1970) 179.

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La visita del Vescovo agli Istituti religiosi: scopo e specie La visita del Vescovo a un Istituto religioso pu essere di due specie, in base soprattutto al suo oggetto. Il primo comprende quegli aspetti della vita religiosa che per ora indichiamo come interni; di essi se ne occupa la visita che nella tradizione riceve il nome di canonica. Il secondo, invece, lo possiamo inquadrare in quelle opere che, ai sensi di quanto recita il c. 678, par. 1, si situano nel triplice contesto della cura di anime, dellesercizio pubblico del culto divino e delle altre opere di apostolato, ossia di tutta quellattivit che, pur rientrando nel carisma di un Istituto 12, si pu qualificare con il termine di esterna; essa, per sua natura, sottost in modo peculiare alla vigilanza e alla cura del Vescovo diocesano e ivi la sua autorit usufruisce di uno spazio di intervento maggiore. questa specie di visita ad essere propriamente detta pastorale. Quanto ai fini di entrambe, la visita pastorale, oltre a conservare i fini generali della visita di cui al c. 396, par. 1 13, permette di incrementare la necessaria collaborazione e concordia tra Vescovi diocesani e Superiori religiosi circa la direzione da dare allattivit apostolica dei religiosi stessi e di mantenere desto in questi ultimi il vivo senso della loro dipendenza dalla Gerarchia, anche locale, nellesercizio dellapostolato 14. Il fine, invece, della visita canonica del Vescovo lo stesso di quella che ha per soggetti attivi i Superiori degli Istituti, ossia la vita dei religiosi in quanto tali 15. Ora, poich siamo convinti che non si pu comprendere la visita pastorale di cui sopra senza previa intelligenza della visita canonica, partiamo col descrivere questultima, pur ribadendo che i limiti di spazio assegnati al nostro discorso ci impediscono di essere completi tanto per luna, quanto per laltra. La visita canonica del Vescovo agli Istituti religiosi Alla visita canonica del Vescovo si riferisce il c. 628, par. 2, di cui proponiamo di seguito il testo:
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Col termine carisma ci riferiamo a quanto il CIC ha preferito indicare con il termine patrimonio (cf c. 578). 13 Il canone citato non li enumera, ma possono essere letti nelle sue fonti, in particolare nel c. 343, par. 1 del CIC 1917 e nel Direttorio pastorale dei Vescovi, emanato dalla Sacra Congregazione per i Vescovi il 22 febbraio 1973, al n. 166. 14 Cf c. 678, par. 1 con relative fonti, specialmente LG 45b e CD 34-35. 15 Lo si deduce dalloggetto che le assegnato, dalla collocazione che il relativo c. 628, par. 2 riceve nel CIC e dallinterpretazione che ne viene dal diritto precedente e dalla dottrina.

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Par. 2. diritto e dovere del Vescovo diocesano visitare, anche riguardo alla disciplina religiosa: 1 i monasteri sui iuris di cui al c. 615; 2 le singole case di un Istituto di diritto diocesano situate sul proprio territorio.

Rispetto alla precedente legislazione, che semplifica radicalmente 16, il canone presente novit, alcune delle quali da collegarsi al discorso precedentemente fatto circa la giusta autonomia degli Istituti. Lo commentiamo per sommi capi. 1) Anzitutto si stabilisce che il soggetto attivo della visita canonica debba essere il Vescovo diocesano, non pi lOrdinario di luogo 17. Inoltre, mancando indicazioni circa il termine o il contesto entro il quale deve essere compiuta 18, ne risulta avvantaggiata sia la responsabilit e lautonomia dei religiosi, ai quali una eccessiva frequenza di questa specie di visita risulterebbe pi di aggravio che di aiuto , sia la libert del Vescovo di dedicarsi, nellambito del suo ministero, a compiti pi gravi e pi urgenti. 2) Il soggetto passivo di questa visita indicato esclusivamente nei monasteri sui iuris di cui al c. 615 19 e nelle singole case di un Istituto di diritto diocesano situate sul territorio della diocesi, e questo in piena coerenza con la scelta del Legislatore, che affida i monasteri sui iuris alla peculiare vigilanza del Vescovo diocesano, come pure alla sua speciale cura gli Istituti di diritto diocesano 20. In merito a questi ultimi occorre per notare che il soggetto passivo della visita indicato dal c. 628, par. 2, 2 soltanto la casa, ossia la comunit reli16 17

Cf c. 512 del CIC 1917. Ci comporta, ad es., a norma del c. 134, par. 3, che nessun vicario episcopale per la vita consacrata, al quale secondo il par. 2 dello stesso canone spetta il nome di Ordinario di luogo, possa, per potest ordinaria propria (annessa allufficio), compiere tale visita, ma solo se espressamente delegato dal Vescovo, con tutto ci che ne deriva quando si agisce per potest delegata (si vedano i cc. 131, parr. 1 e 3; 133; 137-142). 18 Non perci necessario che avvenga allinterno del programma stabilito per la visita pastorale alla diocesi, come viene invece indicato nel caso della visita pastorale alle opere dei religiosi di cui ci occuperemo oltre. 19 Sono detti sui iuris, o autonomi, quei monasteri maschili o femminili, i quali oltre al proprio Moderatore non hanno un altro Superiore maggiore e nemmeno sono associati a un altro Istituto religioso in maniera che il Superiore del medesimo Istituto goda nei confronti del monastero di vera potest. Col nuovo CIC viene quindi a scomparire la discriminazione tra monasteri sui iuris maschili e monasteri sui iuris femminili, ora entrambi assoggettati al dovere-diritto di visita del Vescovo , per quanto i monasteri maschili di questo genere siano di fatto pochissimi. 20 Cf cc. 615 e 594.

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giosa, la quale comprende certamente le persone che la compongono e i luoghi ad essa destinati, ma non le scuole annesse alla casa e aperte esclusivamente agli alunni propri dellIstituto 21. Si aggiunga che, rispetto al diritto precedente 22, risulta avvantaggiata lautonomia dei monasteri femminili aventi un Superiore religioso esterno, come pure le case delle Congregazioni laicali di diritto pontificio, che vengono da questo punto di vista equiparate a quelle clericali 23. 3) Circa loggetto della visita rileviamo quanto segue. Il CIC 1917 nel c. 512, par. 1, 1 e 2 non poneva a proposito alcun limite; ci significava che i monasteri e le case religiose di un Istituto di diritto diocesano dovevano essere visitati totalmente, ossia non solo in riferimento alla cura di anime, allesercizio pubblico del culto divino e alle altre opere di apostolato, ma anche in quanto riguardava il governo della casa, la disciplina, lamministrazione dei beni e la vita religiosa, specie in ordine alla sana dottrina, alla pratica delle virt e alla frequenza ai sacramenti 24. Ora, invece, il c. 628, par. 2 precisa che la visita si estende anche alla disciplina religiosa. Il termine disciplina religiosa non presenta in s difficolt: si tratta dellinsieme di direttive proposte dal diritto proprio o dalle autorit interne del monastero o dellIstituto, finalizzate a dare una regola di condotta comune ai membri della comunit in vista del buon ordine. Il problema nasce dallinterpretare quellanche. Va forse riferito al c. 683, par. 1, che intende cos completare, o sottointende quanto nel diritto precedente era oggetto della cosiddetta visita totale? A nostro parere va riferito al c. 683, par. 1. In tal modo viene ad essere escluso, come oggetto della visita, il regime interno, sia della casa, sia a fortiori dellIstituto stesso, se si tratta di visitare una casa religiosa che sia nello stesso tempo la sede principale di una congreLa conferma la riceviamo da quanto il c. 683, par. 1 recita in fine. Si tratta di uninnovazione rispetto al CIC 1917, il quale accordava questa autonomia solo nel caso di scuole interne per i professi di un Istituto esente (cf c. 1382 del CIC 1917). Trattandosi di scuole destinate alla formazione di alunni propri dellIstituto, la scelta del Legislatore risulta fatta a evidente vantaggio della loro autonomia. Resta salvo il dovere-diritto che per sua natura spetta al Vescovo di vigilare sullinsegnamento della dottrina cristiana e di intervenire in caso di abusi, ricorrendo ai Superiori maggiori ed eventualmente alla Santa Sede. 22 Cf c. 512, par. 2, 1 e 2 del CIC 1917. 23 Rispetto ai membri degli Istituti religiosi di diritto pontificio e alle loro case, ricordiamo qui il gi citato c. 397, par. 2. Non dandosi finora nel diritto alcun caso espresso, il Vescovo diocesano non ha nei loro confronti alcun dovere-diritto di visita canonica. 24 Tutto ci possibile evincerlo da una lettura del c. 618 del CIC 1917.
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gazione di diritto diocesano 25. Ci ci sembra dovuto anche in ossequio allautonomia che il c. 586, par. 1 riconosce specialmente in materia di governo 26. La visita pastorale del Vescovo alle opere dei religiosi Circa la visita pastorale del Vescovo a un Istituto religioso, ecco il testo del c. 683 che ad essa si riferisce:
Par. 1. Il Vescovo diocesano, nel tempo della visita pastorale e anche in caso di necessit, pu visitare, sia personalmente, sia per mezzo di un altro, le chiese e gli oratori, cui abitualmente accedono i fedeli, le scuole e le altre opere di religione o di carit, sia spirituale che temporale, affidate ai religiosi; non per le scuole, che esclusivamente aprano ad alunni propri dellIstituto. Par. 2. Se scoprisse degli abusi, ammonito invano il Superiore religioso, egli stesso pu di propria autorit provvedere.

Anche in questo caso procediamo per sommi capi. 1) Riguardo il soggetto attivo di questa specie di visita vale quanto gi detto sopra per la visita canonica. 2) Circa i soggetti passivi della visita, essi vengono indicati nei religiosi senza alcuna specificazione, al contrario del CIC 1917. Di conseguenza, ogni categoria vi compresa, dagli Istituti di diritto diocesano, a quelli di diritto pontificio; dagli Istituti clericali, a quelli laicali; dagli Istituti maschili, a quelli femminili 27. 3) In merito alloggetto della visita, il c. 683, indicandolo nelle chiese e oratori cui abitualmente accedono i fedeli, nelle scuole e al25

Per quanto riguarda questo punto, molto importante, si badi alle parole del canone: singoli monasteri, singole case. Perci un Vescovo che ha la casa principale di un Istituto di diritto diocesano situata nella sua diocesi, non pu visitare la curia generalizia in quanto tale o intromettersi nel governo generale dellIstituto, perch in tal modo ne diventerebbe praticamente il Superiore interno, cosa non giusta n rispetto alla sua autonomia, n nei confronti degli altri Ordinari, nel caso lIstituto fosse diffuso in pi diocesi. 26 Nessun problema per quanto concerne lamministrazione economica, stante il dettato del c. 637. Perci essa pu venire esaminata anche nel corso della visita canonica. Da notare, comunque, che il diritto assegnato allOrdinario di luogo dal canone ora citato riguarda i conti economici di ogni casa religiosa presente sul territorio della sua giurisdizione, non dellIstituto nel suo complesso. A questultimo aspetto pu provvedere da sola la relazione da inviarsi periodicamente alla Sede Apostolica da parte del Moderatore supremo dellIstituto a norma del c. 592, par. 1 e secondo le indicazioni date dalla giurisprudenza della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Societ di vita apostolica. 27 Per gli Istituti esenti in forza del diritto proprio (cf c. 591 e, per quelli che sono tali da antica data, si veda anche il c. 4) sar necessario rifarsi caso per caso a questo diritto.

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tre opere di religione o di carit, sia spirituale che temporale, affidate ai religiosi, impiega una formulazione certamente migliore di quella presente nel CIC 1917 e in s tanto ampia da comprendere tutte le opere di apostolato. Vanno, tuttavia, tenute presenti alcune limitazioni contenute nel canone. Se non si ha un accesso abituale di persone diverse da coloro che compongono la comunit religiosa, loratorio annesso alla casa non pu essere oggetto di visita pastorale 28. Parimenti il canone parla di opere affidate ai religiosi; questa determinazione le oppone alle cosiddette opere proprie, di cui si parla al c. 677, par. 1 29, con lapparente risultato di escludere queste ultime dal diritto di visita pastorale del Vescovo. In effetti per opere proprie sono da intendersi quelle attivit particolari legate alla fondazione dellIstituto, o alle sue venerabili tradizioni, e in seguito definite e organizzate dal suo diritto proprio 30, quali, ad es., le istituzioni caritative, linsegnamento scolastico, lassistenza agli ammalati ecc. Come insinua il c. 677, par. 1, esse sono legate alla missione di un Istituto, non essendo altro che il mezzo con cui tale missione viene svolta e, di conseguenza, sono da ritenere facenti parte di quel patrimonio che il c. 586 tutela col riconoscere a ciascun Istituto una giusta autonomia di vita. Non dovrebbe quindi stupire che il c. 683 non faccia rientrare queste attivit nelloggetto della visita pastorale del Vescovo. Tuttavia, dal momento che lesercizio da parte dei religiosi di opere proprie resta legato al consenso che il Vescovo diocesano d allerezione di una casa religiosa nella sua diocesi e alle eventuali condizioni ivi apposte, tanto che ogni mutazione delle opere apostoliche a cui era stata destinata la casa esige un nuovo consenso del Vescovo 31, e dal momento che il c. 678, par. 1 stabilisce il principio della sottomissione alla potest del Vescovo nelle cose che riguardano la cura delle anime, lesercizio pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato 32, a noi sembra che lespressione opere affidate del c. 683 debba intendersi in un senso pi ampio, tale che abbracci anche le opere proprie, quando esse rientrano nel campo indicato dal c. 678, par. 1.
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Luso delloratorio rientra nellambito della vita interna dellIstituto, perci campo dellautonomia ad essa relativa. In base al c. 628, par. 2, esso deve, per, divenire oggetto di visita canonica qualora si tratti di Istituti diocesani o monasteri sui iuris di cui al c. 615. In tutti i casi, a proposito delloratorio, non bisogna confondere n la visita pastorale n quella canonica, con quella di cui tratta il c. 1224, par. 1. 29 Si veda al riguardo MR 57. 30 Cf ES I, 28. 31 Cf cc. 611, 2 e 612. 32 Questa una delle norme del diritto da tenere ben presenti quando si legge il c. 611, 2.

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4) Da ultimo, contrariamente a quanto stabilisce circa la visita canonica il c. 628, par. 2 e a quanto il c. 512 del CIC 1917 dettava, il nuovo CIC non fa pi obbligo al Vescovo di compiere la visita pastorale di cui al c. 683, par. 1, ma solo gliene riconosce il diritto. Toccher alla sua prudenza di Pastore giudicare se e come esercitarlo, tenendo presente che, escluso il caso di necessit, tale esercizio dovrebbe avvenire nellambito della visita pastorale alla diocesi. Condotta da tenere durante la visita Terminiamo qui il nostro contributo con un accenno a quella che deve essere la condotta del Vescovo diocesano e dei religiosi tanto nellambito della visita canonica come in quello della visita pastorale 33. Il raggiungimento dei loro fini, da noi sommariamente presentati nel corso di questo articolo, pi che dai necessari sopraluoghi, inventari, controllo di registri ecc., dipende infatti, in massima parte, dal tipo di rapporto che in esse si instaura tra le persone interessate. Per s, il CIC se ne occupa solo al par. 3 del c. 628, nel preciso contesto della visita canonica, ma trattandosi di determinazioni di diritto non esclusivamente positivo, esse possono servire pure a orientare la condotta del Vescovo e dei religiosi impegnati nella visita pastorale 34. Vediamo dunque il canone, per poi commentarlo brevemente:
Par. 3. I religiosi trattino fiduciosamente con il visitatore, al quale, quando interroga legittimamente, sono tenuti a rispondere secondo verit nella carit; a nessuno poi lecito in qualunque modo distogliere i religiosi da questobbligo o impedire altrimenti lo scopo della visita.

1) Riguardo alla condotta del Vescovo, uno sprazzo di luce ci dato dallinciso quando interroga legittimamente . Esso significa diverse cose: anzitutto che ogni domanda o investigazione da lui compiuta deve essere attinente alle cose relazionate con la natura della visita, canonica o pastorale, e i fini ad essa propri; secondariaAbbiamo fatto questa scelta nella ribadita consapevolezza di aver tralasciato e di tralasciare punti importanti si pensi solo a ci che riguarda lampiezza di potest del visitatore e dei suoi possibili modi di esercitarla, come alleventualit di un ricorso contro delle decisioni da lui prese nellesercizio delle sue funzioni e che molto di quanto detto e diremo resterebbe da spiegare e approfondire. 34 Omettiamo qui, per non ripetere quanto gi detto altrove nel presente fascicolo, ci che in merito alla visita pastorale del Vescovo diocesano recitato dal c. 398. Quanto alle fonti proprie e immediate del c. 628, par. 3, si veda il c. 513, par. 1 del CIC 1917.
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mente che egli tenga conto di eventuali limiti posti dal diritto, quali, ad es., la proibizione fatta dal c. 630, par. 5 di indurre in qualunque modo un religioso a manifestare la propria coscienza o, pi in generale, dal c. 220 di violare lintimit propria di ciascuna persona; in terzo luogo di non oltrepassare in questo lestensione della propria potest, cosa da tenere in massimo conto, specie se il Vescovo compie la visita per mezzo di un suo delegato. 2) Quanto allobbligo dei religiosi di trattare fiduciosamente con il visitatore, al quale, quando interroga legittimamente, sono tenuti a rispondere secondo verit nella carit, ci limitiamo a rilevare la necessit di avere ben presente ci che la teologia morale insegna intorno al segreto nelle sue varie specie naturale, promesso, commesso, dufficio e alle condizioni in cui lecito rivelarlo. 3) Infine, in merito alla conclusione del canone, se certo che il nessuno, a cui non mai lecito in qualunque modo distogliere i religiosi dai loro obblighi verso il visitatore o impedire altrimenti lo scopo della visita, lo possono essere tutti, resta pur vero che i pi esposti al rischio di una violazione di questa norma sono gli stessi Superiori religiosi, magari sotto il pretesto di una mal rivendicata autonomia nei confronti del Vescovo diocesano. Ci sia, allora, consentito dar termine al nostro contributo ricordando le parole di MR 34: Sarebbe un grave errore rendere indipendenti e molto pi grave opporle tra di loro la vita religiosa e le strutture ecclesiali, quasi potessero essere due realt separate, una carismatica, laltra poi istituzionale; al contrario, entrambi gli elementi, cio i doni spirituali e le strutture ecclesiali, formano ununica, bench complessa, realt. La visita del Vescovo diocesano, sia quella canonica, come quella pastorale, nel modo proprio a ciascuna di esse, da una parte ricorda questa verit e dallaltra pu e deve aiutare a viverla. PIERMARIO DA SONCINO Santuario B.V. della Comuna 46035 Ostiglia (MN)

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Commento ad un canone

Il restauro delle immagini preziose: c. 1189


di Massimo Calvi

Premessa La prassi di esporre nelle chiese immagini sacre alla venerazione dei fedeli vanta una lunga e costante tradizione ecclesiale fondata su solide argomentazioni e motivazioni teologiche che, evidenziatesi soprattutto nel periodo della lotta iconoclasta, mantengono tuttora la loro validit. Ne d autorevole testimonianza il Papa Giovanni Paolo II che, nella lettera apostolica Duodecimum saeculum pubblicata in data 4 dicembre 1987 in occasione del dodicesimo centenario del Concilio Niceno II, ricorda la distinzione tra la vera adorazione che viene data unicamente alla natura divina e la prosternazione di onore che viene attribuita alle immagini sacre, perch colui che si prosterna davanti allicona si prosterna davanti alla persona di colui che in essa raffigurato (cf Duodecimum saeculum, n. 9, in EV 10, n. 2381). Da tale premessa il papa trae una importante conseguenza: ...non posso non invitare i miei fratelli nellepiscopato a mantenere fermamente luso di proporre nelle chiese alla venerazione dei fedeli le immagini sacre, e di impegnarsi perch sorgano opere sempre pi numerose e di qualit veramente ecclesiale. Il credente di oggi, come quello di ieri, deve essere aiutato nella preghiera e nella vita spirituale con la visione di opere che cercano di esprimere il mistero senza per nulla occultarlo. questa la ragione per la quale oggi, come per il passato, la fede lispiratrice necessaria dellarte della Chiesa (Ibidem 10, n. 2386). Accanto alle motivazioni dottrinali che fondano la piena legittimit di tali prassi, lautorit ecclesiale si spesso preoccupata di ga-

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rantire particolari cure e cautele volte ad evitare un uso improprio delle immagini sacre. Lo stesso Codice di diritto canonico, nel c. 1188, raccomanda che esse siano esposte in numero moderato e con un conveniente ordine, affinch non suscitino meraviglia del popolo cristiano e non diano ansa a devozione meno retta. Ancor pi minuziose erano le prescrizioni del c. 1279 del vecchio Codice che affidava agli Ordinari la vigilanza affinch non venissero esposte immagini prive della necessaria decenza ed onest, che lasciassero spazio ad interpretazioni dottrinali errate oppure che costituissero occasione di pericolosi errori soprattutto nei fedeli meno formati. Il canone 1189 Le immagini soggette a tutela Il c. 1189 del nuovo Codice, riprendendo quasi alla lettera il testo del c. 1280 del Codice del 1917, ha per oggetto il restauro delle immagini sacre: Le immagini preziose, ossia insigni per antichit, arte o culto, che sono esposte alla venerazione dei fedeli nelle chiese o negli oratori, qualora necessitino di riparazione, non siano mai restaurate senza la debita licenza dellOrdinario; e questi, prima di concederla, consulti dei periti. Possiamo innanzitutto osservare che sottostanno alle disposizioni di tutela previste dal canone le immagini sacre di qualsiasi genere, siano esse affreschi, dipinti, mosaici, statue... a condizione che si qualifichino come preziose e che siano collocate in una chiesa o in un oratorio. Per valutare la preziosit di una immagine il canone offre come utile e chiaro punto di riferimento tre elementi: arte, antichit e culto. Che una immagine sacra possa distinguersi a motivo della elevata qualit artistica un fatto del tutto evidente perch la Chiesa ha sempre favorito e continua a favorire lapplicazione dellingegno umano al tema sacro. Ne valida testimonianza lenorme quantit di beni culturali di pertinenza ecclesiale. Lattivit umana nel mondo, continuando il compito ricevuto da Dio di perfezionare la creazione (GS, n. 57), si esplica in molteplici culture... Tra questi beni culturali occupano un posto particolare i prodotti attinenti alla sfera religiosa: essi sono beni di valore specifico in quanto rappresentano ed esprimono, mediante lopera dellingegno umano, il legame stesso che unisce a

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Dio creatore gli uomini continuatori della sua opera nel mondo. Tra questi beni culturali religiosi, a giusto titolo la Chiesa, vivente in seno a culture diverse nei tempi e nei luoghi della sua storia, annovera come propri quelli che per vari aspetti, sono ispirati al messaggio della salvezza portato in questo mondo dal Verbo fatto uomo, allopera con il Padre sin dallinizio, e alla perfezione cui conduce lo Spirito di Dio artefice di ogni bellezza. La Chiesa, per la celebrazione della liturgia e per lesercizio della sua missione, ha sempre favorito la creazione di beni culturali, che stimolano una pi diretta comunicazione tra i fedeli nella Chiesa e tra la Chiesa e il mondo circostante, promovendo un arricchimento sia della stessa Chiesa sia delle varie culture (dal documento CEI: I beni culturali della Chiesa in Italia, [BCCI], 9.12.1992, n. 2, in Regno Documenti 5/93, p. 144). In merito al valore artistico di unopera di carattere sacro vale la pena ricordare che esso va giudicato non soltanto sulla base di meri criteri estetici, ma partendo dal presupposto che lispiratrice necessaria dellarte della Chiesa la fede: Larte per larte, la quale non rimanda che al suo autore, senza stabilire un rapporto con il mondo divino, non trova posto nella concezione cristiana dellimmagine. Quale che sia lo stile che adotta, ogni tipo di arte sacra deve esprimere la fede e la speranza della Chiesa. La tradizione dellicona mostra che lartista deve avere coscienza di compiere una missione al servizio della Chiesa (Duodecimum saeculum, n. 11, in EV 10, n. 2387). Altra ragione che pu determinare il grande pregio di una immagine sacra lantichit, e ci non tanto, o non soltanto, a motivo del valore commerciale che spesso le opere antiche acquistano sul mercato antiquario, quanto piuttosto per il fatto che tali opere costituiscono la memoria storica della vita della Chiesa: Dalla storia risulta anche il valido apporto dellarte sacra alla vita della comunit cristiana, perch in ogni tempo larte sacra ha testimoniato la teologia della fede, il rapporto tra vita e religione, ladesione della realt umana a quella divina (dalla nota CEI Tutela e conservazione del patrimonio storico artistico della Chiesa in Italia, 14 giugno 1974, in E. CEI 2, n. 1319). Ulteriore motivo che pu determinare la preziosit dellimmagine, lultimo nellelenco riportato dal c. 1189 ma primo quanto ad importanza, quello che fa riferimento al valore che essa pu rivestire nellambito del culto e della liturgia ecclesiale.

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Ci che nel citato documento CEI del 92 detto in riferimento ai beni culturali in genere, acquista un significato ancor pi evidente se rapportato alle immagini sacre: La maggior parte dei beni culturali ecclesiastici stata creata e continua a fare riferimento alla liturgia che ne costituisce la ragion dessere, la destinazione naturale, quello che si pu chiamare il contesto funzionale. Entro tale contesto i beni culturali ecclesiastici hanno modo di comunicare il loro messaggio ed essere letti nel modo pi idoneo. La loro piena valorizzazione, perci, costituita dalluso che se ne fa, per quanto possibile continuo, per il culto... Sottratti al loro contesto funzionale originario e collocati al di fuori del loro specifico contesto fisico, i beni culturali ecclesiastici, come i beni culturali in genere, perdono gran parte del loro congenito significato (BCCI, n. 33, in Regno Doc., 5 [1993], p. 149). Alla luce di quanto detto sopra si pu ben capire come talvolta, nellambito ecclesiale, una immagine sacra possa essere considerata assai preziosa non a motivo dellantichit o della qualit artistica ma solo perch oggetto di particolare devozione e piet popolare: si pensi, ad esempio, al santuario mariano di Siracusa dove limmagine venerata costituita da un capoletto di fattura recente e di scarso pregio artistico. La seconda circostanza dettata dal c. 1189 per identificare le immagini poste sotto speciale tutela che si tratti di effigi sacre esposte alla venerazione dei fedeli in una chiesa, cio in un edificio sacro destinato al culto divino, nel quale i fedeli hanno diritto di entrare per esercitare soprattutto pubblicamente il culto divino (c. 1214), oppure in un oratorio, cio in un luogo destinato al culto divino per la comodit di una comunit o di un gruppo di fedeli, che vi si riuniscono con il permesso dellOrdinario, e al quale possono accedere anche altri fedeli con il consenso del Superiore competente (c. 1223). Nella fattispecie rientrano i santuari (c. 1230) ma non le cappelle private (c. 1226). Le motivazioni della norma Dopo aver cercato di chiarire loggetto del c. 1189, tentiamo di individuare le motivazioni che lo giustificano. Esso appare innanzitutto come lapplicazione particolare del disposto pi generale del c. 1216, secondo il quale non solo la costru-

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zione ma anche gli interventi di restauro di una chiesa devono essere fatti con il consiglio di persone esperte e nellosservanza delle norme liturgiche e dellarte sacra. Luno e laltro canone hanno in comune la finalit: favorire la degna celebrazione dei sacri misteri, promuovere lattiva partecipazione dei fedeli, garantire la crescita di una autentica e solida devozione, assicurare la tutela e la conservazione del patrimonio storico artistico ecclesiale. Lattivit di restauro si configura sempre come un intervento particolarmente delicato che, se condotto con criteri non appropriati o inadeguati, pu rivelarsi controproducente e talvolta persino dannoso. Probabilmente la ragione ultima, della norma, sta, proprio qui. Per evitare che errati interventi di restauro compromettano in modo irreparabile la conservazione di una preziosa immagine sacra, il canone impone una duplice tutela: lobbligo di chiedere lautorizzazione allOrdinario e lobbligo di questultimo di ricorrere al parere degli esperti. Non si deve infine trascurare il pericolo che gli interventi di restauro e, soprattutto, ladattamento dei luoghi sacri alle disposizioni del Concilio Vaticano II abbiano come conseguenza la dispersione del patrimonio artistico-culturale della Chiesa. Tale pericolo, gi ricordato nella Istruzione Eucharisticum misterium, n. 24 (cf EV 2, n. 1324), viene ampiamente sottolineato dallepiscopato italiano nellultimo intervento dedicato alla questione della tutela dei beni culturali: noto a tutti che sul mercato antiquario, in continua espansione, vengono messi in circolazione molti oggetti religiosi provenienti dalle chiese, sia in seguito a furti sia in seguito a vendite abusive. A parte il danno prodotto al patrimonio nazionale, non pu sfuggire quanto il fatto rechi offesa ai sentimenti e ai valori religiosi... I responsabili degli enti ecclesiastici sono tenuti alla conservazione dei beni culturali di rispettiva pertinenza; essi, perci, devono evitare che tali beni vengano danneggiati o vadano dispersi, anche per via di alienazione. Lalienazione dei beni culturali ecclesiastici, infatti, costituisce non solo un oggettivo depauperamento del patrimonio, ma anche un evento che incide in modo gravemente negativo (o irreversibile) su di essi: distaccati dal contesto fisico e funzionale di origine, tali beni perdono gran parte del loro specifico significato, vengono esposti ad usi incongrui o talora del tutto dissacranti, con grande scandalo dei fedeli (BCCI 4, nn. 28-29, in Regno Doc., 5/93, p. 149).

Il restauro delle immagini preziose: canone 1189

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Quanto alle immagini particolarmente venerate dai fedeli, si deve ricordare che il CIC ne vieta lalienazione e il trasferimento perpetuo, a meno che non vi sia la licenza della Sede Apostolica (cf c. 1190, par. 3). Prassi da seguire Il c. 1189, pur lasciando spazio alle determinazioni del diritto particolare, indica con sufficiente chiarezza la prassi che deve essere seguita ogni volta che si vuole intervenire con un restauro su una immagine sacra preziosa. Il tutto prende avvio con la domanda di autorizzazione a procedere che deve essere indirizzata allOrdinario. Si ricordi che, con il nome di Ordinario si intendono oltre che il Romano Pontefice, i Vescovi diocesani e gli altri che, anche soltanto interinalmente, sono preposti ad una Chiesa particolare o ad una comunit ad essa equiparata a norma del c. 368; inoltre coloro che nelle medesime godono di potest esecutiva ordinaria generale, vale a dire i Vicari generali ed episcopali, e parimenti, per i propri membri, i Superiori maggiori degli Istituti religiosi di diritto pontificio clericali e delle Societ di vita apostolica di diritto pontificio clericali, che posseggano almeno potest esecutiva ordinaria (c. 134, par. 1). Tale richiesta, firmata dal rappresentante legale dellente proprietario dellopera, dovr essere accompagnata dal parere favorevole del proprio Consiglio per gli affari economici (c. 1280), da una adeguata documentazione sullo stato in cui si trova lopera sulla quale si intende intervenire e sul tipo di restauro che si vuole realizzare e, secondo le circostanze, dal preventivo di spesa e dal relativo piano di finanziamento dei lavori. Il canone impone allOrdinario lobbligo di consultare persone esperte prima di concedere lautorizzazione. Quali siano tali esperti spetta al diritto proprio determinarlo; tuttavia, in ragione delle competenze ivi richieste, dovrebbe trattarsi di persone che siano in grado di interpretare al meglio le esigenze liturgiche, pastorali ed artistiche implicate dallintervento di restauro. Nelle diocesi in cui, in ossequio alle indicazioni del Vaticano II (cf Sacrosanctum Concilium, nn. 45-46, in EV 1, nn. 79-82 e Lettera apostolica del Papa Paolo VI Sacram Liturgiam, in EV 2, n. 138), sono state costituite la Commissione liturgica e la Commissione di arte sacra, saranno queste il primo e naturale punto di riferimento per la

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richiesta di un competente e circostanziato parere in merito alliniziativa da promuovere. Secondo le circostanze, la pratica dovr essere sottoposta anche al parere del Consiglio diocesano per gli affari economici. Ottenuti e valutati i pareri richiesti, spetta allOrdinario concedere, per iscritto, la necessaria licenza. Sebbene non esplicitamente previsto dal c. 1189, lepiscopato italiano, in osservanza alle disposizioni del diritto civile, ha indicato come necessario anche il riferimento alla sopraintendenza interessata, affidando lonere dei rapporti con questultima ai competenti uffici della curia diocesana: Le richieste di autorizzazione siano presentate al competente organo diocesano che, dopo aver ottenuta la regolare autorizzazione dellOrdinario, la presenter alla sopraintendenza interessata. Le autorizzazioni statali saranno trasmesse ai richiedenti tramite lorgano di curia (BCCI, n. 32, in Regno Doc., 5/93, p. 149). MASSIMO CALVI Via Milano, 5 - 26100 Cremona

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Lidentit degli Istituti secolari nel Codice di Diritto Canonico*


di Vincenzo Mosca, O.Carm.

Premessa Gli Istituti secolari sono una realt del nostro tempo; segno concreto di un carisma nuovo, un dono di Dio alla Chiesa per la sua missione nel mondo. Descrivere la loro identit un compito che pu essere assolto considerando la loro ermeneutica da un punto di vista storico, spirituale o giuridico 1. Ma qualunque sia la chiave interpretativa, ci si imbatte con una realt che viene sintetizzata da due termini: consacrazione secolare. Paolo VI, nel suo discorso per il XXV anniversario della Provida Mater (2.2.1972) si esprimeva cos: Se ci chiediamo quale sia stata lanima di ogni Istituto secolare, che ha ispirato la sua nascita e il suo sviluppo, dobbiamo rispondere: stata lansia propria di una sintesi: stato lanelito dellaffermazione simultanea di due caratteristiche: 1) la piena consacrazione della vita secondo i consigli evangelici; 2) la piena responsabilit di una presenza e di unazione trasformatrice al di dentro del mondo, per plasmarlo, perfezionarlo e santificarlo 2.
* Testo della relazione tenuta al XVIII Incontro di studio del Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (Mendola, 1-5 luglio 1991). 1 Per alcuni esempi interpretativi si vedano: G.C. BRASCA, Istituti secolari, in Nuovo Dizionario di Spiritualit, Roma 1979, 781-786; M. POMA, Istituti secolari, in Dizionario di Spiritualit dei Laici, Milano 1981, vol. I, 363-368; A. GUTIERREZ, Istituti di perfezione cristiana, in Dizionario degli Istituti di perfezione, vol. V, Roma 1978, 75-106; ivi, Istituti secolari, 99-103; M. ALBERTINI - G. ROCCA, Istituti secolari, in Dizionario degli Istituti di perfezione, vol. V, op. cit., 106-121; M.T. CUESTA, Institutos seculares, in Dicionario Teolgico de la vida consagrada, Madrid 1989, 891-907. Originale si presenta lo studio di G. DI GIOIA, Istituti secolari oggi. Unidentit difficile? (Indagine conoscitiva), CLEUP, Padova, 1990, 258, che usa il metodo della rilevazione empirica mediante un sondaggio (cf una nota di commento a questo testo in Quaderni di diritto ecclesiale, 4 [1991] 213-218). 2 PAOLO VI, Gli Istituti secolari una presenza viva nella Chiesa e nel mondo, (A cura di A. OBERTI), Milano 1986, 37.

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Lidentit degli Istituti secolari si configura in base a questa specificit: cogliere il significato dei due elementi, consacrazione e secolarit ponendo in luce il proprium che deriva da questa originale simbiosi. Si vuole qui tentare di mettere in rilievo questo aspetto nel CIC, con una prospettiva di diritto ecclesiale che non escluda lo storico come espressione di vita, e lo spirituale come riferimento ad alcuni valori di un ideale. 1. Breve excursus storico-legislativo Dalle varie attestazioni di esempi di verginit consacrata nel mondo o celibato per il Regno dei primi secoli cristiani, allesperienza vissuta da Angela Merici, sorta nel clima seguente alla riforma protestante, la quale nel 1530 fondava una compagnia di vergini consacrate nel mondo, un vero istituto secolare ante litteram, non esistono tracce di riconoscimento di questa forma di vita. Eppure lideale esisteva. 1.1. Dai primi tentativi al Perfectae Caritatis Nei secoli XVIII e XIX sorsero diversi movimenti che pur impegnando i propri aderenti ad una vita di perfezione, li lasciavano nel loro ambiente abituale cercando in tal modo di supplire alla vita e allapostolato delle istituzioni religiose, perseguitate o soppresse dai governi liberali o rivoluzionari. Nella seconda met del secolo XIX e nel seguente, sotto la spinta del processo di scristianizzazione dei paesi europei, lideale riprese vita in varie parti dEuropa. Si andava cos profilando limpegno di consacrarsi a Dio rimanendo nel mondo ed operando allinterno di esso per lavvento del Regno di Cristo. Ci che oggi detto il carisma degli Istituti secolari: consacrazione a Dio, secolarit, apostolato. Ma per quei tempi appariva quasi rivoluzionario il proposito di conciliare la consacrazione a Dio con la condizione di laici viventi nel mondo. Un primo tentativo di riconoscimento fu fatto con il decreto Ecclesia Catholica, emesso dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari, e confermato l11 agosto 1889 da Leone XIII. In esso si stabiliva che potevano essere approvate come pie associazioni i gruppi di consacrati secolari esistenti, i cui impegni non venivano riconosciuti dalla Chiesa, e non erano assunti davanti a un superiore, bens

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da ciascuno dei membri privatamente; queste associazioni dovevano essere poste ciascuna sotto la giurisdizione del proprio Vescovo. Fu un piccolo passo avanti. Si pu apprezzarne il valore se si pensa che fino a quel momento non si concepiva una consacrazione a Dio riconosciuta dalla Chiesa se non congiunta con la separazione dallambiente familiare, professionale, sociale (relicto saeculo). Si deve comunque precisare che non si parla ancora di consacrazione, anzi la si esclude come fatto riconosciuto, ma si prende atto che esistono pie associazioni di laici viventi nel mondo i cui membri individualmente e privatamente vogliono impegnarsi a seguire i consigli evangelici. Con la promulgazione del CIC del 1917, nonostante lesistenza di questa molteplice esperienza, gli Istituti secolari non vennero ancora riconosciuti nella Chiesa, forse perch, anche dottrinalmente, non vi era molta chiarezza, e solo gli istituti religiosi e le societ di vita apostolica vennero inseriti nel Codice (libro II, parte II), mentre gli Istituti senza voti pubblici e senza vita comune si prefer rinviarli ad una futura legislazione. Questa codificazione appariva un ostacolo alla comprensione e al riconoscimento di associazioni di laici consacrati a Dio: i due termini laicit-consacrazione sembravano escludersi a vicenda 3. Ma la vitalit di questi gruppi continu: essi erano persuasi della chiamata dello Spirito, volevano unirsi in associazioni consacrandosi a Dio, per lapostolato nel mondo, e come tali desideravano lapprovazione della Chiesa. Nonostante che lallora Sacra Congregazione dei Religiosi avesse avviato diversi tentativi di studio, sembrava non facilmente superabile la decisa volont di questi uomini e donne, di rimanere nel loro stato nonostante la consacrazione a Dio. Nel frattempo nuovi movimenti nascevano un po ovunque nel mondo e lo scambio di opinioni di queste esperienze sembrava confermare lintuizione che tale forma di vita rispondesse ai bisogni dei tempi. Un passo profetico venne compiuto con il celebre Convegno di San Gallo in Svizzera, nel maggio del 1938, a cui intervennero fonda3

Il Codice Piano-Benedettino aveva sancito, coerentemente con lecclesiologia allora dominante, lesistenza nella Chiesa di tre categorie di persone: i chierici, i religiosi e i laici. In esso, nei cc. 107 e 948, erano considerati laici i non chierici (anche se religiosi), mentre nella Parte III, dedicata ai laici, venivano compresi sotto tale denominazione coloro che non erano n chierici n religiosi. Il Codice del 1917 si occupava anche dei vari tipi di associazioni di laici, ma la professione dei consigli evangelici e, quindi, la consacrazione a Dio, rimaneva propria ed esclusiva dei religiosi distinguendoli nettamente dai laici.

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tori e dirigenti di circa 20 sodalizi di consacrati secolari di diversi paesi, sotto la presidenza di P. Agostino Gemelli O.F.M. A seguito di esso P. Gemelli stese con la collaborazione di Giuseppe Dossetti, una Memoria storico-giuridico-canonica sulle Associazioni di laici consacrati a Dio nel mondo. Tale memoria venne inviata nel 1939 a Pio XII. Nel 1941 lo studio del problema venne affidato dal Pontefice allazione concordata delle allora Congregazioni del S. Ufficio, del Concilio, dei Religiosi. Non si pu dimenticare in questi anni lopera instancabile di Arcadio Larraona CMF, allora sottosegretario della Congregazione dei Religiosi. Il passo decisivo avvenne il 2.2.1947, quando Pio XII promulg la costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia, la quale conteneva unesposizione del fondamento teologico-giuridico di quelli che si chiameranno definitivamente Istituti secolari e la Lex peculiaris che li reggeva. Lo stesso Pontefice precisava la dottrina relativa agli Istituti secolari con il motu proprio Primo feliciter del 12.3.1948, mentre nello stesso anno la Congregazione dei religiosi, alla cui competenza la Provida Mater affidava i nuovi Istituti, chiarific alcuni punti dei documenti pontifici con listruzione Cum Sanctissimus 4. Con questi documenti si pu certamente parlare di un salto qualitativo nella legislazione ecclesiale, in quanto viene riconosciuta la possibilit di una totale consacrazione anche per chi sceglie di restare nel mondo, in quanto cio congiunge secolarit e consacrazione come elementi costitutivi degli Istituti secolari 5. Comunque il magistero pontificio offriva ulteriori spunti nei discorsi di Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II per arrivare fino ai nostri giorni. La riflessione dopo la prima e fondamentale approvazione continu. Lesperienza del Concilio Vaticano II, sebbene nei vari documenti non si tratti molto degli istituti secolari, offre diversi spunti per i presupposti di vita dei laici consacrati nel mondo 6. Ma nel decreto Perfectae caritatis, al n. 11, che gli Istituti secolari trovano posto, in un articolo breve che ne definisce le caratteristiche essenziali: non sono religiosi; comportano una vera e completa professione dei consigli evangelici nel mondo, riconosciuta dalla Chiesa; questa professione conferisce una consacrazione; la secolarit il caratIn Acta Apostolicae Sedis 39 (1947) 114-124; ibidem, 40 (1948) 283-286; ibidem, 40 (1948) 293-297. Cf L. MOROSINI MONTEVECCHI - S. SERNAGIOTTO DI CASAVECCHIA, Breve storia degli Istituti secolari, Milano 1978, 21-27. 6 Si veda Gaudium et Spes nn. 34, 37, 45, 47; Lumen Gentium nn. 31-38, 39-42; Ad Gentes, n. 40.
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tere proprio e peculiare di questi Istituti e li mette in grado di esercitare efficacemente e dappertutto lapostolato nel mondo e, per cos dire, dal di dentro del mondo che il fine per cui sono sorti. 1.2. Fino alla vigente legislazione Intanto gli Istituti secolari, cresciuti di numero, sentirono il bisogno dincontrarsi e di avere degli scambi didee. Dopo due anni di preparazione, nel 1970, dal 20 al 26 settembre ebbe luogo a Roma il primo Congresso internazionale degli Istituti secolari a cui parteciparono esponenti di 92 Istituti. A seguito di tale Congresso si costitu la Conferenza mondiale degli Istituti secolari (CMIS) e in seguito incominci anche lattivit delle diverse Conferenze nazionali, con il fine di promuovere itinerari di riflessione comune, nel rispetto della diversit e molteplicit di Istituti. Dal 1972 la Conferenza Mondiale degli Istituti secolari pubblica la rivista bimestrale Dialogo (in 6 lingue), ulteriore luogo di comunione. Con la costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae sulla riforma della Curia romana (1967) presso lallora sacra Congregazione per gli Istituti religiosi e gli Istituti secolari si istitu una sezione apposita per gli Istituti secolari sotto limmediata direzione di un proprio sottosegretario (art. 72). Durante il lavoro di elaborazione del nuovo Codice, gli Istituti secolari in vari modi hanno fatto pervenire le loro attese alla Commissione istituita per realizzare la revisione del Codice del 1917. Inoltre il gruppo specifico della Commissione istituito per la formulazione dei canoni dedicati a questa forma di vita, ha potuto ricevere lapporto di alcuni consultori esperti di essa e anche di alcuni fondatori di Istituti. Da ci si deduce che linformazione che la Commissione ha potuto utilizzare stata non solo abbondante ma anche di prima mano 7. La composizione del gruppo di studio e della Commissione e il modo di procedere adottato per lelaborazione del Codice, hanno consentito non solo di rendere sempre pi articolato il Titolo dedicato agli Istituti secolari, ma, soprattutto, di cogliere e ratificare in modo normativo un carisma e una vocazione cogliendone elementi di fondo cos come il Vaticano II, prima, e il magistero pontificio, poi, li
7

Cf J. BEYER, Verso un nuovo diritto degli Istituti di vita consacrata, Centro Studi USMI - ncora, Roma - Milano 1976, 244.

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avevano posti in luce sia pur tipologicamente, ossia facendo pi attenzione alla realt della vita e della testimonianza delle persone che agli schemi teologici preesistenti 8. Basti notare che nello schema 1977 si prevedevano solo 4 canoni dedicati agli Istituti secolari, anzich i 21 del testo definitivo 9. Finalmente con la promulgazione del CIC del 1983 gli Istituti secolari hanno ricevuto un pieno riconoscimento legislativo, alla pari degli Istituti religiosi e delle Societ di vita apostolica, come una delle forme di vita consacrata approvate dalla Chiesa. I cc. 710-730 specificamente trattano degli Istituti secolari, nel Libro II sul Popolo di Dio, parte III Istituti di vita consacrata, sezione I, titolo III Gli Istituti secolari. Il posto che gli Istituti secolari occupano nel CIC del 1983 significativo e importante, perch dimostra che il Codice assume pienamente due affermazioni del Concilio (PC n. 11); che gli Istituti secolari sono veramente e pienamente Istituti di vita consacrata; che gli Istituti secolari non sono Istituti religiosi, o una brutta copia, o una edizione riveduta e aggiornata di essi. In merito al rapporto con gli organi centrali della Chiesa, dopo lentrata in vigore della costituzione Pastor Bonus si segue lordine del CIC del 1983, assumendo la distinzione in Istituti di vita consacrata (religiosi e secolari) e Societ di vita apostolica. Tale il nome attuale del dicastero competente: Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Societ di vita apostolica. Per gli Istituti secolari esiste ancora una sezione particolare con a capo un proprio sottosegretario 10. Particolare attenzione questa sezione della Congregazione pone nellelaborazione dei testi costitutivi dei vari Istituti, anche per le approvazioni di diritto diocesano, per cui i vescovi diocesani sono tenuti a consultare la Sede Apostolica (c. 579). In occasione della promulgazione del nuovo Codice, la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Societ di vita apostolica tenne unassemblea plenaria (3-6 maggio 1983) dedicata per la prima volta totalmente agli Istituti secolari. A conclusione di essa, lo stesso dicastero elabor un

A. OBERTI, Gli Istituti secolari nel nuovo Codice di Diritto Canonico, in Vita Consacrata 4 (1983) 297. Cf PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI RECOGNOSCENDO, Schema canonum de institutis vitae consecratae per professionem consiliorum evangelicorum, Citt del Vaticano, 1977, 35-36. Il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium racchiude in pochi canoni una normativa di carattere generale sugli Istituti secolari e rimette ogni specificazione al diritto particolare di ciascuna Chiesa sui iuris (cf CCEO, cc. 563-569). 10 Cf S. MARY LINSCOTT, La Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e per le Societ di vita apostolica, in AA.VV., La Curia Romana nella Cost. Ap. Pastor Bonus, Citt del Vaticano, 1990, 343-358.
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documento informativo, dovuto alla constatazione che gli Istituti secolari erano poco conosciuti tanto dai cristiani quanto dai loro pastori. Il documento datato 6 gennaio 1984. Suo fine quello di promuovere tra i pastori della Chiesa la conoscenza degli Istituti secolari. Per questo nelle tre parti di cui composto storica, teologica, giuridica sintetizza a scopo informativo le principali note di questi Istituti. Questa necessit dinformazione tuttora valida 11. Nel considerare i canoni specifici degli Istituti secolari, al fine di avere una identit di essi pi completa, occorre fare attenzione anche a quanto nel Codice riguarda i membri laici e chierici della Chiesa, ai canoni comuni agli Istituti di vita consacrata, e ai vari rimandi al diritto particolare di ogni Istituto, che il CIC riconosce come applicazione del principio di giusta autonomia. Ma esaminiamo meglio i principi esposti dai 21 canoni specifici degli Istituti secolari. Si pu comunque notare da questo semplice excursus che lidentit degli Istituti secolari, derivante dalla coscienza collettiva di essi in merito ai valori di vita del loro ideale, cos come si venuta affermando fino ad oggi, emerge dal loro rapporto con il mondo: la loro consacrazione consacrazione del mondo. Di fatto, come diceva Paolo VI, essi rappresentano quasi il laboratorio sperimentale nel quale la Chiesa verifica le modalit concrete dei suoi rapporti con il mondo 12. 2. Consacrazione. Indole secolare. Assunzione dei consigli evangelici (cc. 710-712) Distinguendo nettamente gli Istituti religiosi da quelli secolari, con un titolo differente, il CIC non intende fare una distinzione di carattere gerarchico. Infatti basti pensare che lintero Libro II dal titolo Il popolo di Dio, in cui ambedue le specie di vita consacrata sono inserite (religiosa e secolare), dispiega un ecclesiologia che pone al suo centro la partecipazione di tutti i fedeli allufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo e leguale dignit e la comune missione dei fedeli, senza comunque negarne la diversit ministeriale, per fugare una simile impressione. Tale distinzione costituisce comunque la diversit esistente quanto alla vocazione, al carisma, e al ruolo da ricoprire nella Chiesa. proprio questa chiara distinzione che rende possibile il primo canone degli Istituti secolari.
11 12

In Enchiridion Vaticanum, Bologna, 1987, vol. IX, 498-553; 566-604. PAOLO VI, Gli Istituti secolari una presenza viva nella Chiesa e nel mondo, op. cit., 63.

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2.1. Una definizione positiva di Istituto secolare (c. 710) Il c. 710 ci d una definizione positiva di cosa sia un Istituto secolare. un Istituto di vita consacrata, secondo quanto espresso dal c. 573, i cui membri vivono nel mondo, e quindi non si separano da esso come i religiosi, tendono alla perfezione della carit, scopo di ogni cristiano, ma assunto come coscientizzazione di tutte le esigenze battesimali, di modo che questo amore di Dio sovranamente amato, investa tutte le dimensioni della vita. Il tendere ci dice che uno scopo che non sar raggiunto pienamente in questa vita. Nonostante ci simpegnano a contribuire alla santificazione del mondo, soprattutto operando allinterno di esso (ab intus). La fonte principale di questo canone (PC n. 11) esprimeva negativamente gli stessi concetti, incominciando dallaffermazione non sono religiosi. sufficiente porre a confronto questa definizione con quella di Istituti religiosi data dal c. 607, per verificare la diversit di natura e funzione 13. La vita consacrata secolare pu essere dunque definita, come una vita consacrata a Dio e agli uomini, vissuta nella carit perfetta seguendo Cristo nella discrezione della sua vita nascosta, e operando sul mondo che egli consacrava al Padre suo come una presenza santificante 14. 2.2. Non si muta condizione canonica (c. 711) Il c. 711 contiene unaffermazione di grande portata, e cio in forza della consacrazione, un membro di Istituto secolare non cambia la sua condizione canonica in seno al popolo di Dio, ma se laico resta laico, se chierico secolare resta chierico secolare. Il canone aggiunge linciso, salve le disposizioni del diritto a proposito degli Istituti di vita consacrata. Sembra questultima una precisazione alquanto sovrabbondante. Questo canone pone cos la problematica degli stati di vita nella Chiesa. La vita consacrata uno stato di vita: ci affermato dal c. 207 e dal c. 574. Ora un chierico si distingue dal laico, che viene definito non-chierico. Ambedue, chierici e laici, possono appartenere a una forma di vita consacrata. La vita consa13

Cf S. HOLLAND, Religious and Secular Consecration in the Code, in Seminarium 4 (1983) 519-528; IDEM, Instituta saecularia et Codex 1983, in Periodica 74 (1985) 511-533. 14 J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, Milano, 1989, 449.

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crata religiosa richiede una separazione dal mondo; la vita consacrata secolare invece presenza nel e per il mondo. Se si vuole instaurare una distinzione si pu farlo tra chierici e laici in rapporto allordine sacro; religiosi o secolari in rapporto al mondo; consacrati e non consacrati in rapporto alla consacrazione mediante i consigli evangelici. Sembra inoltre che, nonostante le fonti del canone siano LG n. 36 e AA n. 2, il termine laico sia da intendersi qui nel significato di LG n. 31: laico colui che non n chierico n religioso. Chierico e laico conservano qui la loro primaria definizione: chi non chierico laico, ambedue possono prendere parte alla vita consacrata. Tale vita di consacrazione potr essere religiosa o secolare. Mentre la prima chiede una separazione dal precedente stato di vita, la seconda lo rafforza. In pratica, un chierico a motivo della sua consacrazione secolare a titolo nuovo inserito nel suo presbiterio diocesano; un laico in forza della sua secolarit consacrata inserito a titolo di una vocazione nuova e specifica nel suo ambiente che egli non cambia 15. Volendo ancor pi mostrare questa differenza con lo stato consacrato religioso, si pu dire che i membri laici degli Istituti secolari in forza della loro peculiare consacrazione mantengono tutti i diritti e i doveri dei laici, nel senso che non sono sottoposti a restrizioni circa cariche pubbliche, attivit commerciali, iscrizioni a partiti e sindacati previste dal c. 672 per i consacrati religiosi. Lo stesso dicasi per il chierico membro di un Istituto secolare, nel suo rapporto con il Vescovo che non cambia per la sua appartenenza allIstituto (cf c. 715, par. 1), con alcune eccezioni (cf c. 266, par. 3). Ancora i membri laici non dovrebbero essere sottoposti a norme che, per i religiosi, richiedono invece particolari licenze dellOrdinario locale o del rispettivo superiore (cf cc. 831-832). Oppure la norma del c. 535, par. 2, in cui si prescrive che nel libro dei battezzati si annoti tutto quanto pertinent ad statum canonicum christifidelium in rapporto al matrimonio, allordine sacro, alla professione perpetua emessa in un Istituto religioso. Nulla previsto per lincorporazione perpetua o definitiva negli Istituti secolari 16.
15 16

Cf Ibidem, 450-452. Si veda inoltre: S. LEFEBVRE, Scularit et Instituts sculiers. Bilan et perspectives, Montral, 1989. Cf S. RECCHI, Consacrazione mediante i consigli evangelici. Dal Concilio al Codice, Milano, 1988, 193194.

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2.3. Lassunzione dei consigli evangelici (c. 712) Il c. 712 richiama innanzitutto i cc. 598-601, comuni a tutti gli Istituti di vita consacrata, per i consigli evangelici. Infatti anche la particolare consacrazione secolare avviene mediante i consigli evangelici. I membri degli Istituti secolari non professano i consigli evangelici ma li assumono, termine che appare pi idoneo ad indicare la tipologia di apostolato che li caratterizza (cf anche cc. 720, 723). Infatti il termine professione legato per la sua stessa evoluzione al consacrato religioso 17. Viene lasciato alle costituzioni di ogni Istituto stabilire i vincoli sacri con cui vengono assunti i consigli evangelici che possono essere i voti o altro tipo di vincoli, purch siano riconosciuti dalla Chiesa, come anche definire gli obblighi che essi comportano. Con lassunzione dei consigli evangelici, i consacrati secolari sono chiamati ad impegnarsi nella radicalit della vita evangelica. Non una semplice assunzione di qualche obbligo complementare, ma impegna tutto il genere di vita per cui si vuole scegliere la sequela Christi pi da vicino. Tuttavia si deve sempre salvaguardare, nello stile di vita, la secolarit propria dellIstituto. Con questa precisazione si introduce qui la nozione di indole secolare, che sar poi evidenziata dagli altri canoni nelle seguenti espressioni: ab intus (c. 710), ad instar fermenti (c. 713, par. 1), in saeculo et ex saeculo (c. 713, par. 2), in ordinariis mundi condicionibus (c. 714). Si deve precisare che anche i religiosi assumono i consigli con la professione. Cos come si pu dire che anche i membri degli Istituti secolari, da un punto di vista liturgico, professano i consigli. Di fatto, le norme comuni del CIC, seguendo il Concilio, parlano di professione dei consigli per la specie di Istituti consacrati religiosi e secolari. Ma in questi ultimi, il termine non ha il senso di pubblicit 18. Cio i consigli evangelici assunti negli Istituti secolari, dal punto di vista giuridico sono pubblici in quanto ci si riferisce alla loro natura, ma non alla forma. Sperimentare limpatto con il mondo nello spirito delle beatitudini evangeliche dovere di ogni cristiano, ma nella vocazione specifica degli Istituti secolari questo spirito delle beatitudini si concretizza nella sequela di Cristo in castit, povert, obbedienza. Lunit di vita in una persona, la sintesi tra consacrazione e secolarit domanda di trovare nelle dimensioni della vita secolare i contenuti per vivere i
17 18

Cf AA.VV., Professione, in Dizionario degli Istituti di perfezione, vol. VII, Roma, 1983, 884-971. Cf S. RECCHI, Consacrazione mediante i consigli evangelici. Dal Concilio al Codice, op. cit., 191-192.

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consigli evangelici. Certamente i consigli evangelici vissuti nel mondo presentano valori specifici. Specifico il modo con cui ogni singolo consiglio va vissuto dal secolare consacrato: specifici sono i valori spirituali che si allacciano a ciascuno dei tre consigli che la Chiesa definisce evangelici in qualunque forma di consacrazione. Lassunzione di questi consigli per i membri degli Istituti secolari non qualcosa di attenuato, ma impegno di una consacrazione vera e completa nel secolo. In saeculo ac veluti ex saeculo, cio il mondo la prospettiva particolare con cui vanno vissuti i consigli evangelici dai membri degli Istituti secolari. Il mondo sempre presente nella vita del secolare consacrato. Lattivit del secolare consacrato nel mondo, attinge dalla sua vita consacrata un orientamento verso Dio: il dono di s a lui coinvolge e trascina tutta la sua attivit apostolica 19. Il canone positivamente richiama ad un aspetto pluralistico di assunzione dei consigli. Pluralit del vincolo sacro che definisce lassunzione del consiglio evangelico; pluralit degli obblighi; pluralit dellindole secolare adeguata al carisma di ogni Istituto. 3. Missione di evangelizzare. Modo di vita. Incardinazione (cc. 713-715) Questi tre canoni approfondiscono il concetto di indole secolare, collocando la vita consacrata secolare nella missione di evangelizzare comune a tutta la Chiesa. Dallesplicitazione comune e specifica del modo e luogo in cui si manifesta questa missione, si passa alle conseguenze che essa comporta nellunitariet di vita. Si deve comunque qui notare che mentre per gli Istituti religiosi il CIC parla dellapostolato sia dei membri che degli Istituti (cf c. 673 ss.), per gli Istituti secolari si parla solo delle persone. Se da un lato questo pu essere intravisto come espressione caratteristica di essi, in quanto non un impegno da prendere in comune, c comunque sempre in essi una dimensione comunitaria, espressa dalla comunione fraterna. Dallaltro lato pu essere indice di una carenza dottrinale dei canoni che li riguardano. Infatti non si dice, come per i religiosi, che agiscono in nome e mandato della Chiesa (c. 675, par. 3), sebbene tutte le associazioni pubbliche agiscano in nome e mandato della Chiesa (cf cc. 301, par. 1; 313).
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Cf G. SOMMARUGA, Consacrazione secolare, valori comuni e valori specifici, Milano, 1986, 45-64; anche J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, op. cit., 452-458.

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3.1. Missione di evangelizzare (c. 713) Con una formula alquanto espressiva il c. 713, par. 1, dice che i consacrati secolari (laici e chierici) esprimono e realizzano la propria consacrazione nellattivit apostolica e secondo limmagine del lievito che fermenta la pasta, si sforzano di permeare ogni realt di spirito evangelico, al fine di consolidare e far crescere il Corpo di Cristo, cio la Chiesa. Il canone supera qui il dualismo tra il dono di s a Dio e la missione. Colui che si donato interamente al Padre non pu che essere mandato ai suoi fratelli per dire loro il dono di Dio; lapostolato non si aggiunge alla consacrazione, ma un elemento essenziale di esso. Paolo VI, con una frase stupenda, coglieva questa duplice configurazione sia della natura della consacrazione che dei membri degli Istituti che sono chiamati a viverla: nellintimo dei vostri cuori che il mondo viene consacrato a Dio 20. Vale a dire che: ogni consacrato, sia esso chierico secolare o laico, perci stesso porzione del mondo, e in quanto tale si dona interamente a Dio; come un punto in cui ha inizio e si realizza la consecratio mundi, che dallintimo deve diffondersi ed estendersi a tutto il mondo che lo circonda. Specificamente il canone precisa la funzione di evangelizzare per i laici e i chierici. a) Per i laici (c. 713, par. 2) il CIC esprime due modi. Il primo quello di partecipare nel mondo e dal di dentro del mondo alla missione di evangelizzazione della Chiesa: questa anche unespressione buona della secolarit. Inoltre la partecipazione pu compiersi sia con la testimonianza della vita cristiana e soprattutto con la fedelt alla consacrazione di vita radicalmente evangelica; sia cooperando allopera di una Chiesa secolare che vuole ordinare le realt temporali secondo Dio, per trasformare il mondo con la potenza del Vangelo. Il secondo modo quello di offrire la propria collaborazione a servizio della comunit ecclesiale (secondo lo stile di vita secolare). Poich questo posto in secondo luogo si pu dedurre che il CIC insista di pi sullinserimento nelle realt temporali. Da questo consegue che gli Istituti non dovrebbero prendersi carico, in linea generale, di opere ecclesiali: mentre i suoi membri possono prendervi parte, se si pu dire, a titolo personale.
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PAOLO VI, Gli Istituti secolari una presenza viva nella Chiesa e nel mondo, op. cit., 44.

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b) Per i chierici (c. 713, par. 3) il testo non molto espressivo, e dimostra una certa povert dottrinale. In due modi i membri chierici esprimono la loro missione: aiutando i loro confratelli con una peculiare carit apostolica attraverso la testimonianza della vita consacrata nel presbiterio, lavorando in mezzo al popolo di Dio per la santificazione del mondo con il loro ministero 21. Data limportanza di questo canone ci si permetta di compiere una ulteriore riflessione pi unitaria e con prospettiva teologica sullargomento. I membri degli Istituti secolari partecipano alla missione di evangelizzare della Chiesa nel secolo e partendo dal secolo: tale espressione comprende tutti gli aspetti della loro vita, non solo limpegno apostolico o una forma di esso. La partecipazione alla missione di evangelizzare si attua in due caratteristiche peculiari. La prima di queste caratteristiche si pu definire come testimonianza di vita cristiana nella fedelt alla consacrazione di vita. Testimonianza rivolta ai credenti e ai non-credenti. Il modo di realizzare questa testimonianza di inserimento e non di provocazione. La dinamica della sua spinta le viene dalla vita consacrata, come fedelt alla consacrazione a Dio, alla consacrazione di vita in unione al sacrificio di Cristo, alla Parola vissuta alla luce del carisma del proprio Istituto. Linteriorit della vita consacrata lanima della testimonianza di vita cristiana che danno i membri degli Istituti secolari. La seconda caratteristica, conseguenza della prima, quella di ordinare secondo Dio le realt temporali e di penetrare il mondo con la forza del Vangelo. Spetta ad ogni Istituto tradurre queste formule nella vita concreta e nei propri testi costitutivi, facendoli permeare dal carisma specifico 22. Vivendo nel cuore del mondo, non si ha solo il compito di elevarlo con la preghiera verso Dio, offrirlo a Lui insieme allofferta di
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Cf F. MORLOT, Gli Istituti secolari. Breve commento al nuovo Codice, in AA.VV., Gli Istituti secolari nel nuovo Codice di Diritto Canonico, Milano 1984, 34-35. opportuno notare con il suddetto autore, che gi il magistero pontificio aveva apportato alcune suggestioni pi soddisfacenti sullargomento. Paolo VI parlava di una responsabilit specificatamente sacerdotale per una giusta conformazione dellordine temporale che il sacerdote esercita principalmente con la sua azione ministeriale e mediante il suo ruolo di educatore della fede, aggiungendo anche che il mezzo pi elevato per contribuire a che il mondo si perfezioni costantemente secondo lordine e il senso della creazione (2 febbraio 1972). Giovanni Paolo II riprendeva dapprima brevemente il compito delleducazione della fede dei laici impegnati nel mondo; poi osservava che un sacerdote dIstituto secolare pu portare agli altri sacerdoti tre cose: unesperienza di vita evangelica, un aiuto comunitario, una sensibilit esatta del rapporto Chiesa-mondo (28 agosto 1980). 22 Una analisi di alcuni testi costitutivi di Istituti secolari, su questi aspetti specifici offerta da T. VANZETTO, I secolari consacrati ovvero: vocazione ad essere laici, in Quaderni di diritto ecclesiale, 3 (1989) 363-379.

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Cristo, ma si ha anche la responsabilit di compiere un discernimento, da cristiani, sugli atteggiamenti pi consoni da adottare circa persone e cose, cio nei riguardi di ogni realt terrena. Questa attenzione a dare risposte concrete a tali esigenze, richiede, daltra parte, un approfondimento sul senso del mistero della Chiesa della quale si vuole impregnare il mondo in tutte le relazioni: familiari, sociali, economiche e politiche. La consacrazione secolare si vive in un ambiente sociale determinato per irradiarvi la propria forza e vigore. Questo ambiente per il chierico anzitutto il presbiterio, e la sua testimonianza una vita sacerdotale esemplare; per il laico il mondo vasto in tutte le sue possibilit, e la sua testimonianza quella di una vita cristiana esemplare. La missione di evangelizzare a cui gli Istituti secolari si consacrano costantemente presentata con limmagine del lievito che fermenta la pasta dellumanit in modo cristiano. Si tratta dunque di una testimonianza capillare, diffusa, che incontra gli uomini negli ambienti in cui quotidianamente vivono, lavorano, soffrono, progettano. La radicalit evangelica, richiesta a tutti i battezzati, trova nella consacrazione secolare unespressione esemplare. Esemplare non perch tutti i consacrati secolari sono perfetti e quindi di esempio agli altri cristiani, ma perch la loro forma di vita offre un modello concreto di rapporto con la realt secolare, e in questo rapporto sono chiamati a giocare la propria identit e a realizzare la propria santificazione (cf LG nn. 31-32; LG nn. 16-17). Il carisma proprio degli Istituti secolari di vivere la missione di tutta la Chiesa accentuandone un aspetto particolare: quello della sua relazione al mondo. Ecco perch i membri degli Istituti secolari devono essere testimoni specializzati, esemplari, della disposizione e missione della Chiesa nel mondo 23. Con questo intento Paolo VI indicava il n. 70 dellEvangelii Nuntiandi come rivolto esplicitamente ai membri degli Istituti secolari (laicali). La secolarit connota la missione, come la missione connota la consacrazione, che pertanto si qualifica anche a questo titolo, come consacrazione secolare 24. Ambedue i membri, laici e chierici consacrati secolari, sono chiamati a vivere la loro missione come impegno apostolico in una
Cf J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, op. cit., 458-467. Cf D. LAFRANCONI, La consacrazione negli Istituti secolari, in AA.VV., La teologia della vita consacrata, Centro Studi USMI, Roma, 1990, 135-139. Si vedano anche E. TRESALTI, La missione degli Istituti secolari laicali, Milano, 1982; M. POMA, La spiritualit e la missione dei laici nellesperienza degli Istituti secolari, Milano, 1987; E. PIRONIO, Identit, attualit e missione degli Istituti secolari, Milano, 1985.
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particolare e qualificante dedizione alla Chiesa locale nel suo insieme e nella sua vita ordinaria. Come valore spirituale questa dedizione si configura nella diocesanit e costituisce la loro vocazione specifica. La diocesanit non solo una prospettiva ideale, ma un modo concreto di portare il peso, cio di assumere la fatica del servizio di una Chiesa particolare, presa nella sua concretezza, storicit e localit. Questo comporta che in un robusto spirito di fede si accetti lidea che nella Chiesa concreta non tutto sia ideale gi raggiunto. I sacerdoti membri degli Istituti secolari non si distinguono sostanzialmente dagli altri membri dello stesso presbiterio. Essi desiderano ricordare, con saggia discrezione, alla Chiesa particolare ed eventualmente alle Chiese di altre diocesi, che essa dispiega in un dato luogo lopera di Dio, gi presente nella creazione del mondo, culminata nellIncarnazione e nella Pasqua di Ges e diffondentesi al soffio del vento di Pentecoste. Nella Chiesa particolare i presbiteri non dicono nulla del mistero della salvezza se non in dialogo con i laici, e con i membri degli altri Istituti. Essi hanno dunque due specifici modi della loro presenza e mediazione: rendersi sempre pi attenti alla situazione dei laici; portare al presbiterio diocesano non solo unesperienza di vita secondo i consigli evangelici e con laiuto comunitario, ma anche una sensibilit esatta del rapporto della Chiesa con il mondo. Per compiere questa ardua missione secolare devono collegare in modo radicale ed esemplare nella loro vita contemplazione ed azione 25. Essi non hanno altra sicurezza che il Cristo e non hanno altro dinamismo che la loro fede nellazione dello Spirito, che opera continuamente in essi e nella storia del mondo. I laici membri di Istituti secolari, nellambito propriamente secolare della loro vita cristiana, non si distinguono sostanzialmente dagli altri laici impegnati per vocazione nella corresponsabilit apostolico-pastorale. Essi condividono con tutti gli altri laici il compito dellanimazione cristiana delle realt temporali, con tutta la coerenza che questo compito richiede. Essi si devono per sentire chiamati a sottolineare alcuni aspetti della loro secolarit rispetto agli altri. In primo luogo senza cedere a tentazioni di integrismo, proselitismo e
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Cf C. ROCCHETTA, La secolarit consacrata dei presbiteri membri di Istituti secolari, in AA.VV., Secolarit e radicalismo evangelico. Una risposta alla sfida della secolarizzazione, Torino, 1990, 89-123. Ivi anche 124-129. Si veda inoltre E. ERRAZURIZ, La secularidad de los sacerdotes en los Institutos seculares segun Pablo VI, in Dialogo, 57 (1983) 37-55.

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strumentalizzazione delle realt temporali, saranno particolarmente attenti e sensibili a tutte le occasioni in cui opportuna una evangelizzazione diretta ed esplicita anche nellambito delle realt secolari e dei rapporti umani che vi si intrattengono. In secondo luogo, saranno attenti a trasferire e valorizzare la propria esperienza secolare nella fatica di pensare, programmare e servire il cammino di fede della comunit cristiana, arricchendolo cos della doverosa attenzione alla storia, alla giusta concretezza di quel fecondo rapporto tra fede e vita. In terzo luogo la spiritualit del laico secolare consacrato trova nellimpegno professionale, che lo porta nel cuore della consacrazione laica del mondo, che lo colloca ogni giorno a fianco dei compagni di lavoro, in una comunit che oggi si allarga e si articola per la partecipazione in atto a contatto con altre realt sociali, il primo posto dove esprimersi e configurarsi sempre meglio. E ci sia perch il lavoro accomuna pi di ogni altra realt umana il cammino e il compito di tutti gli uomini sulla terra; sia perch la missione che incarna la spiritualit e ne rivela i tratti, nasce dal di dentro della vita stessa del mondo, della capacit di mostrare nel fatto, quanto la vita cristiana rechi di apporto alla perfezione degli stessi negotia saecularia, e riveli cos la operante presenza di Dio nelluomo 26. Anche nel campo politico e sociale, la prima offerta che limpegno sociale e politico fa a chi si messo alla sequela di Cristo, per servirlo nella vita ordinaria di tutti i giorni, la gente, la moltitudine delle persone che non nellanonimato, ma singolarmente, egli tenuto a considerare e a servire, qualunque sia il suo incarico specifico 27. Entrambi i membri, laici e chierici consacrati in Istituti secolari, come istanza loro propria devono inoltre essere consapevoli del nesso esistente tra evangelizzazione e promozione umana. La carit apostolica peculiare di ambedue i membri caratterizzata dalla comunione, li spinger ad una scelta preferenziale, ma non unica, degli ultimi. E la loro carit senza limiti dar spazio allannuncio della Parola realizzato cos con profezia, come risposta ai segni dei tempi. Levangelizzazione avviene soprattutto attraverso la carit. Nella enciclica Redemptoris Missio, Giovanni Paolo II dice: Nellinesauribile e multiforme ricchezza dello Spirito si collocano le vocazioni degli Istituti

Cf M. BADALONI, Vocazione secolare e impegno professionale, Milano, 1980, 46. Cf M. BADALONI, Vocazione secolare e impegno sociale e politico, Milano, 1981, 69; e A. OBERTI, Politica e Istituti secolari, in Dizionario degli Istituti di perfezione, vol. VII, op. cit., 33-37.
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di vita consacrata, i cui membri, dal momento che si dedicano al servizio della Chiesa in forza della loro stessa consacrazione, sono tenuti allobbligo di prestare lopera loro in modo speciale nellazione missionaria con lo stile proprio dellIstituto (n. 69). 3.2. Modo di vita (c. 714) In questo canone, valido per i membri laici e chierici, si ribadisce il concetto che i consacrati secolari conducono la loro vita nelle condizioni ordinarie del mondo, e lo possono fare in tre modi: vivendo soli, o ciascuno nella propria famiglia, oppure in gruppi di vita fraterna, secondo le proprie costituzioni. Non detto nulla dellabito, poich vivere nelle situazioni ordinarie del mondo, suppone che ci si vesta come gli altri uomini e donne del proprio paese e del proprio tempo. Non si accenna neppure allimpegno professionale, poich si suppone che i laici possano esercitare tutte le professioni oneste. Circa la vita in gruppo che pu essere con membri del proprio Istituto o altre persone, si deve notare che essa messa al terzo posto, e si deve fare attenzione a non trasformarla in vita comune, se i membri sono dello stesso Istituto. Il rischio di una somiglianza con gli Istituti religiosi molto facile. Poich questo equivale sia per i membri chierici che laici, si deve tener conto quanto il CIC al c. 280 raccomanda per la vita comune dei presbiteri. Un aspetto, che appare opportuno qui trattare, quello del cosiddetto riserbo dei membri degli Istituti secolari. La natura stessa della consacrazione, nel modo di esplicarsi in persone secolari, fin dal suo caratterizzarsi stata accompagnata da un certo atteggiamento di riserbo. Il modo stesso di presenza e mediazione nelle realt temporali, come inserimento e non come provocazione dei consacrati secolari, richiede questo senso di discrezione. La non pubblicit dellassunzione dei consigli evangelici nella forma pi adatta al carisma dellIstituto, aggiunge una differenza sostanziale con la professione dei consigli evangelici negli Istituti religiosi, e quindi del modo di rapportarsi con gli altri. La presenza nelle realt sociali, politiche, economiche e nei vasti campi della cultura umana, richiedono questo senso di discrezione, soprattutto negli Istituti laicali. necessario mantenere questo atteggiamento, che deve per essere recepito, nel suo significato spirituale e, oserei dire, teologico. Ecco perch preferiamo parlare di discrezione. Il singolo consacrato secolare deve sentire questo at-

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teggiamento come responsabilit personale, nel senso di presentare la sua identit nella maniera ritenuta pi adatta al suo ambiente e professione. Infatti una certa conoscenza come consacrato, soprattutto nellimpegno professionale, potrebbe compromettere linserimento stesso dei valori evangelici e, se non di pi, creare pregiudizi. Ci naturalmente vale anche per i presbiteri. Con senso di giudizio, non obbligatorio chiedere lautorizzazione al proprio Vescovo per appartenere ad un Istituto secolare; pu essere opportuno informarlo, ma tanto meno necessario farlo sapere a tutto il presbiterio della diocesi. Oggi sembra utile valorizzare dunque il significato teologico del termine discrezione, e su questo si pu porre pi risalto. Daltra parte una eccessiva segretezza tra gli stessi membri di un Istituto non sembra essere pi opportuna. Si comprende inoltre come il suddetto atteggiamento comporti alcuni problemi di carattere vocazionale. 3.3. Incardinazione (c. 715) Il canone interessa i sacerdoti e i diaconi che in linea generale sono incardinati in una diocesi e dipendono dal Vescovo diocesano. Esercitano dunque il loro ministero e conducono la loro vita come gli altri membri del presbiterio diocesano, salvo in ci che riguarda la vita consacrata nel proprio Istituto. Gran parte degli Istituti hanno cura di precisare che il rapporto con il Vescovo che ha precedenza in caso di qualche difficolt. Daltronde alcune difficolt possono facilmente sorgere, e si pu correre il rischio che la partecipazione alla vita dellIstituto secolare rientri in una certa sottomissione diocesana. utile dunque ricordare che il Vaticano II riconosce la libert di associazione dei chierici (cf PO n. 8) e che il CIC la tutela nei cc. 215 e 278, parr. 1-2. Comunque esistono Istituti, anche se pochi, in cui tutti i membri o alcuni sono incardinati nellIstituto a norma del c. 266, par. 3, con una autorizzazione speciale della Sede Apostolica. Il par. 2 del c. 715 pone un principio che richiede lincardinazione in una diocesi come espressione di vera secolarit. Linciso del canone: se sono destinati alle opere proprie dellIstituto o a funzioni di governo allinterno di esso (cf c. 717, par. 2), ci dice che questa una misura particolare. Infatti non dovrebbe essere normale che Istituti secolari abbiano opere proprie o centri di formazione soprattutto per i chierici. Ci daltronde li accosterebbe troppo agli Istituti religiosi o alle societ di vita apostolica. Anche riguardo ai membri che hanno

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funzioni di governo, risulta che tali responsabili continuano ad esercitare il loro ministero diocesano e ci positivo, poich per diversi motivi si potrebbe correre il rischio di formare un gruppo elitario allinterno dellIstituto per fattori umani facilmente comprensibili. Il canone dispone comunque che i chierici incardinati in un Istituto dipendano dal Vescovo ad instar religiosorum 28. L incardinazionenellIstituto comporta alcune conseguenze previste del CIC: la formazione dei chierici da parte dellIstituto (cf c. 1028), la promozione agli ordini (c. 1029), e la concessione delle lettere dimissoriali ad opera del competente superiore maggiore. Il c. 1052, par. 2 sembra non considerare questultima possibilit per un responsabile maggiore di Istituto secolare, e il c. 1019, par. 1, lo nega direttamente. Pertanto lincardinazione concessa in un Istituto secolare, non comporta che tale membro, se responsabile maggiore, possa concedere lettere dimissoriali per le ordinazioni diaconali e presbiterali, ma si richiede una concessione fatta appositamente in occasione dellapprovazione dellIstituto, o delle sue costituzioni, oppure di un indulto speciale ottenuto su richiesta dellIstituto 29.
(continua)

VINCENZO MOSCA Piazza Carmelitani, 3 72028 Torre S. Susanna (BR)

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Cf F. MORLOT, Gli Istituti secolari, op. cit., 37-38. Cf J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, op. cit., 470-471.

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IV. La simulazione del consenso. Nozioni generali. V. Lesclusione della prole
di Paolo Bianchi

IV. LA SIMULAZIONE DEL CONSENSO. NOZIONI GENERALI Interrogando dei testimoni in processi di nullit matrimoniale soprattutto zelanti parroci che hanno con cura preparato i fidanzati alle nozze e scrupolosamente eseguito il cosiddetto esame dei fidanzati ci si sente domandare: Come mai si dichiara nullo il matrimonio di una persona che ora contraddice quanto dichiar solennemente nella preparazione e nel rito nuziale? non c il rischio di premiare chi cambia le proprie dichiarazioni secondo convenienza? non c pure il rischio di mettere in pericolo la stabilit dellistituto matrimoniale? e che senso ha il lavoro dei parroci, se poi i Tribunali contraddicono tale lavoro?. Sono domande non da poco e che spingono ad entrare in un capitolo molto complesso del diritto matrimoniale canonico (sostantivo e processuale): quello della c. d. simulazione del consenso. Prima per di addentrarci nel difficile argomento, pare giusto sottolineare alcune premesse. In questa Rubrica della Rivista, coerentemente col titolo stesso di essa: Il pastore danime e la nullit del matrimonio, si intende esclusivamente proporre un aiuto ai pastori (e ai laici impegnati) che prestano il loro soccorso a coppie in difficolt, al fine di offrire loro una prima verifica circa lopportunit di vagliare la eventuale nullit del loro matrimonio. Per questo, si cura qui di dare una esposizione semplice e priva di tecnicismi, limitata alla giurisprudenza comune ed alla comune interpretazione del diritto matrimoniale, senza presumere di addentrarci in interpretazioni discusse della legge, soprattutto innovative di essa. Vi sono, allo scopo, molte ed ottime riviste

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scientifiche che propongono ricerche di carattere dottrinale e giurisprudenza recente, ove chi avesse interesse a problematiche particolari e allo studio della evoluzione o meno della giurisprudenza pu trovare notevole materiale. Coerentemente col taglio pratico del contributo, nellaffrontare il fenomeno della simulazione di consenso, invece di sviluppare per primo il tema della cosiddetta simulazione totale dello stesso, si partir dopo alcune nozioni di carattere generale sul fenomeno simulatorio da uno dei casi in cui pi frequentemente questo fenomeno si presenta, almeno nella nostra nazione e nel mondo c. d. Occidentale: quello della esclusione della prole. Lo schema del contributo sar quello seguito nei precedenti articoli: alla presentazione di alcuni elementi di diritto sostantivo, seguiranno una guida per il consulente e alcuni esempi pratici dal valore indicativo. 1. Elementi di diritto sostantivo 1. Va richiamato anzitutto uno dei principi per cos dire cardine dellordinamento matrimoniale canonico: principio di derivazione romanistica e affermatosi indiscutibilmente nel corso dei secoli XII e XIII: il matrimonio prodotto dal consenso delle parti. Il consenso , come si esprimono i classici, la causa efficiente del matrimonio. Anche la normativa vigente ribadisce questo principio nel c. 1057, par. 1, dichiarando solennemente matrimonium facit partium consensus = il consenso delle parti crea il matrimonio. Si noti che si tratta di un principio non solo giuridico, ma anche dai risvolti teologici e, per cos dire, spirituali: basti pensare che esso alla base della comune affermazione secondo cui gli sposi stessi sono i ministri del sacramento nuziale. Essendo essi i protagonisti del contratto matrimoniale appunto attraverso il loro consenso ed essendo stato il matrimonio dei battezzati elevato dal Signore Ges alla dignit di sacramento, consegue che i ministri del contratto, del patto nuziale, siano pure i ministri del sacramento. Ma cosa il consenso? Il Codice stesso ne d una definizione al c. 1057, par. 2: il consenso un atto della volont attraverso il quale i contraenti effettuano una donazione personale al fine di costituire fra di loro il rapporto coniugale. Questa definizione densa di contenuti e carica di conseguenze. Definendo il consenso come un atto della volont, il Codice stabilisce

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anzitutto che lordinamento giuridico canonico richiede, per contrarre matrimonio, il compimento di un atto umano, cio di un atto basato su di una sufficiente funzionalit delle facolt naturali della intelligenza e della volont. Per sposarsi, occorre quindi, da parte dellintelletto, una sufficiente funzionalit della ragione (c. 1095, n. 1); una minimale conoscenza della sostanza del matrimonio (c. 1096); nonch una sufficiente capacit di valutare in concreto gli obblighi del matrimonio (c. 1095, n. 2). Da parte della volont, una sufficiente libert, sia interiore (ancora il c. 1095, n. 2), sia estrinseca (c. 1103). Ma: a cosa si dirige la volont matrimoniale dei coniugi? Ovvero: quale loggetto del consenso matrimoniale? La legge canonica stabilisce molto chiaramente che loggetto diretto del consenso matrimoniale il dono di s. Coloro che contraggono matrimonio, dice la legge, sese mutuo tradunt et accipiunt = si donano e si ricevono scambievolmente. Questa espressione normativa stata scelta dal Legislatore per esprimere il profondo significato personale del matrimonio e del consenso matrimoniale. una espressione forse giuridicamente meno facile da circoscrivere, ma certo indica una linea di tendenza e di politica che la nuova legislazione persegue. Ci si pu documentare dal confronto con la definizione che la legislazione previgente dava del consenso matrimoniale, nel c. 1081, par. 2 del Codice del 1917: dal punto di vista soggettivo, il consenso era pure definito come atto della volont; dal punto di vista oggettivo, il consenso era invece presentato come diretto allo scambio fra i coniugi (o, pi rettamente, alla costituzione fra di loro) di un diritto sul corpo, perpetuo ed esclusivo, in ordine agli atti per s adatti alla generazione della prole. Sarebbe scorretto operare una lettura riduttiva di questa norma, p. e. affermando che mirasse al solo atto procreativo (parla in realt di un diritto, e ben circoscritto e limitato negli ambiti che delinea); ovvero che fosse prova di una concezione biologistica del matrimonio (vorrebbe dire isolare la norma dal contesto e dalla tradizione canonica). Ancora pi scorretto sarebbe presentare questa definizione delloggetto del consenso su di una linea di rottura e non invece di continuit con quella oggi vigente: infatti quel diritto di cui il Codice del 1917 (quello perpetuo ed esclusivo agli atti per s adatti alla procreazione) rientra senza dubbio nella analisi giuridica dei contenuti del dono di s di cui parla la legislazione attuale. Certo per che il Legislatore del 1983, scegliendo di non replicare semplicemente la formula della codificazione precedente, ha voluto

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attirare la attenzione sul contesto interpersonale allinterno del quale anche la donazione fisica di s va inquadrata. Lanalisi delloggetto del consenso matrimoniale non deve per fermarsi al suo oggetto per cos dire materiale (cosa si dona = le persone dei coniugi); bens deve estendersi anche alla considerazione del suo oggetto formale = a quale scopo, a quale fine avviene tale donazione. La norma canonica stabilisce che il fine della donazione interpersonale coniugale la costituzione del matrimonio: come ribadisce il c. 1057, par. 2, i contraenti si donano ad constituendum matrimonium = per costituire il matrimonio. Questa precisazione circa loggetto del consenso di fondamentale importanza, anche per il discorso che vogliamo affrontare in questo contributo. Infatti, prescrivere che la volont matrimoniale deve dirigersi a costituire il matrimonio, comporta almeno nel sistema canonico che gli elementi essenziali di quellistituto non possano essere diversi da quelli previsti normativamente dallordinamento stesso: quindi, volendo creare il matrimonio, la volont dei contraenti deve assumere, almeno implicitamente, e non pu respingere positivamente i cardini del concetto di matrimonio come lordinamento stesso li definisce: la costituzione di un consorzio di vita, perpetuo ed esclusivo, ordinato alla procreazione ed educazione della prole e al bene dei coniugi, avente per i battezzati la dignit di sacramento (cf cc. 1055 e 1056). 2. Alla luce di quanto appena detto si comprende un altro principio cardine del sistema matrimoniale canonico e del discorso che vogliamo in questa sede approfondire: la presunzione del c. 1101, par. 1. Questo canone stabilisce una regola generale di esperienza, che assurge a principio giuridico di interpretazione dei fatti. Precisamente, che quanto uno dice di volere, corrisponda in verit a ci che egli realmente vuole. Pi in concreto: quando una persona dice di volere il matrimonio canonico, affronta le dovute verifiche e celebra il rito nuziale, si deve ritenere che voglia veramente sposarsi e fare propri (almeno accettandoli implicitamente come contenuti nel concetto canonico di matrimonio) tutti gli elementi e le propriet essenziali che descrivono il matrimonio come inteso dallordinamento. Questa presunzione della corrispondenza della volont dichiarata a quella reale, interna al soggetto, pu essere meglio apprezzata se compresa nella sua ragione profonda. Essa non solo quella di costituire una guida derivante dallesperienza per intendersi nei rapporti umani (devo ritenere che Tizio voglia davvero ci che mi

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chiede); nemmeno solo quella di essere una regola giuridica per garantire la certezza del diritto in seno alla comunit (considero davvero sposati quelli che hanno celebrato le nozze); ma anche, se non soprattutto, il fondamento della norma affermare e coltivare il senso di rispetto e di fiducia che la Chiesa esercita nei confronti della persona, soprattutto quando essa dispone di s in modo solenne e in relazione a scelte decisive di vita, come ad esempio la scelta della vocazione matrimoniale e la sua consacrazione nel rito nuziale. 3. La Chiesa per, ha come interesse primario, anche nel suo ordinamento giuridico, non tanto quello di garantire lordine sociale e la certezza dei rapporti giuridici; quanto piuttosto quello di garantire ai singoli e alla comunit di orientarsi al proprio fine soprannaturale, ponendosi di fronte alle proprie responsabilit e alla verit oggettiva della propria condizione. In questa linea si spiega la previsione del c. 1101, par. 2: rendere assoluta la presunzione di cui al paragrafo primo (la volont dichiarata corrisponde a quella reale) vorrebbe dire realizzare una certezza di rapporti solo formale, nellottica della quale dovrebbero essere considerati validi matrimoni che in realt non lo sono. La realt deve invece prevalere sulla certezza formale. Per questo lordinamento stabilisce che la presunzione del paragrafo 1 del c. 1101 deve essere considerata una presunzione c. d. semplice, ovvero che ammette la prova diretta del suo contrario. appunto quanto stabilisce il paragrafo 2 del canone: possibile provare che nonostante le dichiarazioni fatte al momento del matrimonio in quello stesso momento, con un atto positivo della volont, uno dei contraenti respingeva lo stesso matrimonio nel suo complesso, ovvero uno dei suoi elementi essenziali (ordinazione alla prole e al bene dei coniugi), ovvero ancora una delle sue propriet essenziali (unit-fedelt, indissolubilit e, qualora la si voglia considerare tale, sacramentalit). In tale caso, quello cio della volont positivamente contraria a uno di questi aspetti essenziali del matrimonio, lo stesso matrimonio sarebbe nullo in quanto non fondato su di un consenso autenticamente coniugale: esso non sarebbe infatti indirizzato alla costituzione del matrimonio come inteso dallordinamento canonico (si ricordi quanto detto a commento del c. 1057, par. 2), ma a qualcosa di essenzialmente diverso da esso.

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4. Questa possibile ragione di nullit matrimoniale viene genericamente chiamata, non dalla legge, ma nella pratica forense, simulazione. Questo per indicare non necessariamente la mala fede da parte di chi rende nullo con un proprio atto volontario il matrimonio (la cattiva fede non sempre presente in queste ipotesi di nullit: ad esempio il soggetto potrebbe agire spinto da un errore invincibile, che annulla la colpa morale), quanto piuttosto ad indicare la obiettiva discrepanza fra quanto viene esteriormente dichiarato (la accettazione del matrimonio canonico) e la volont reale del soggetto, che, in ipotesi, quella di respingerlo totalmente o in qualcuno dei suoi aspetti essenziali. Per questo, da un punto di vista sistematico, le simulazioni sono inquadrate fra i difetti del consenso: proprio per indicare la intrinseca non coniugalit di quellatto di volont. Esso in se stesso naturalmente insufficiente a creare il matrimonio, non semplicemente viziato da un fatto per cos dire esterno, come potrebbe essere, ad esempio, nel caso di chi desse il proprio consenso nuziale viziato da una costrizione (cf il c. 1103 e il primo numero di questa Rubrica, in QDE 5 [1992] 78-95). fortemente da sottolineare quanto la norma canonica precisa: per esserci simulazione del consenso deve esserci un atto positivo di volont. Cosa significano queste parole? Esse vogliono indicare che latto simulatorio deve essere una vera decisione, per cos dire un contro-consenso, cio un atto volontario della stessa forza del consenso. Solo in questo caso, infatti, potrebbe contrastarlo e per cos dire paralizzarne lefficacia. Anche SS. Giovanni Paolo II, nella sua ultima allocuzione al Tribunale apostolico della Rota Romana (allocuzione dal valore generale, dato il ruolo della Rota di conferire anche alla unitariet della giurisprudenza canonica) ha ribadito la necessit di un atto positivo della volont perch si possa dare una simulazione del consenso matrimoniale (cf LOsservatore Romano del 30 gennaio 1993, p. 5). Volendo spiegare meglio questo concetto, possiamo utilizzare le illustrazioni di esso che vengono fatte comunemente. In primo luogo si pu esprimere cos la intenzione della legge: atto positivo di volont non pu essere una semplice mancanza di volont, ovvero una volont solo negativa: p. e. non voglio sposarmi, mi sposo malvolentieri, non penso di avere figli.... Atto positivo di volont deve significare piuttosto voglio non sposarmi (nonostante il rito), voglio non avere figli (nonostante dichiari di accettarli) ecc.. Molte volte

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difficile distinguere fra i diversi gradi di intensit della volont, ma, in linea generale, appare abbastanza chiaro cosa la norma vuole richiedere. In secondo luogo, per via di differenza, si pu cercare di illustrare latto positivo della volont distinguendolo da fenomeni che appartengono ad unaltra facolt della persona, p. e. lintelligenza, come sono gli errori (p. e. penso che il matrimonio sia dissolubile), ovvero le previsioni (temo che il mio matrimonio finir male e che finiremo per lasciarci) o, ancora p. e. il sentimento (mi sposo poco innamorato, mi sposo incerto): fenomeni che possono certo influire sulla volont, ma che non necessariamente lo fanno. Ovviamente, non si intende con ci negare il principio antropologico della unit della persona e la comune esperienza secondo la quale normalmente si agisce in rapporto al proprio pensiero ed ai propri sentimenti; nondimeno, appare possibile e talvolta utile e doveroso distinguere fra i diversi aspetti e le diverse funzioni dellagire umano. 5. Chi ha considerato con attenzione il testo del par. 2 del c. 1101, si sar certo posto la domanda: quante forme di simulazione esistono? Infatti, la norma indica, seppure genericamente, diversi possibili oggetti di un atto di volont simulatorio. Il testo legale attuale evidenzia anzitutto la possibilit di una esclusione del matrimonium ipsum = dello stesso matrimonio. quanto la tradizione chiama con il nome di simulazione totale. Di essa ci occuperemo in un altro contributo, data anche la minore frequenza statistica di questa fattispecie. La giurisprudenza ha evidenziato diverse forme in cui questa simulazione totale pu presentarsi: qui basti sinteticamente affermare che essa per lo pi si risolve nella volont di non sposarsi davvero, escludendo di accettare globalmente laltra persona come coniuge e di far discendere dalla celebrazione del matrimonio efficaci obblighi sul piano morale e giuridico. La norma ipotizza poi la possibile esclusione volontaria di un elemento essenziale o di una propriet essenziale del matrimonio: sono le ipotesi comunemente denominate simulazione parziale. Ci perch la persona, di per s, avrebbe anche la volont di sposarsi, ma non accetta in modo completo il concetto canonico di matrimonio: ne esclude quindi un aspetto, una parte. Di qui il nome di queste forme di simulazione. Si gi sopra richiamato cosa debba intendersi per propriet essenziali del matrimonio: la indissolubilit, la unit-fedelt (a meno

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che si voglia far rientrare la fedelt nel bene dei coniugi), la sacramentalit del matrimonio (a meno che la si voglia far rientrare nella simulazione c. d. totale: di ci la nostra Rivista si gi occupata con un articolo apparso in QDE 4 (1991) 79-96 e per questo non ritorneremo ulteriormente sulla questione). Si pure richiamato cosa debba intendersi per elementi essenziali del matrimonio: la sua ordinazione alla procreazione ed educazione della prole; la sua ordinazione al bene dei coniugi. noto che questo concetto di recente introduzione nella normativa canonica e che non ancora ultimata la riflessione su quali siano i suoi contenuti giuridicamente esigibili: appare abbastanza certo che vadano ricondotti ad esso i fini c. d. secondari della previgente legislazione (c. 1013, par. 1 del Codice del 1917), cio il mutuo aiuto e il rimedio della concupiscenza. In questultimo concetto potrebbe essere ricompresa la possibilit di svolgere una vita sessuale normale che conduca a una minimale integrazione psicosessuale, come si sostiene da una parte almeno della giurisprudenza. Pure su altri possibili contenuti del concetto di bene dei coniugi (relazioni interpersonali essenziali, diritto alla comunione di vita) il dibattito ancora aperto e non pare sia giunto a risultati conclusivi. Quanto alle possibili forme di simulazione del consenso matrimoniale, resta da accennare che alcuni, studiosi e giudici, fondandosi sul fatto che leffetto di ogni simulazione di rendere insufficiente il consenso e quindi nullo il matrimonio, hanno voluto negare la distinzione fra simulazione totale e parziale. Ragioni sia di tradizione che di sostanza rendono per ancora prevalente la ammissione della distinzione. Basti, a solo titolo di esempio, richiamare il fatto che, nella simulazione totale, non pu sfuggire al simulatore la sua stessa volont di non sposarsi e quindi la nullit del suo matrimonio (anche se magari non riflessamente espressa con termini giuridici); mentre in quelle parziali, la volont di escludere un elemento o una propriet essenziali (p. e. la prole), pu accompagnarsi con la volont di contrarre matrimonio, non riuscendo linteressato a cogliere la improduttivit matrimoniale del suo consenso difettoso. questa una questione per di scuola, che poco rileva per il taglio di carattere pastorale in cui ci collochiamo con queste riflessioni. La possiamo quindi lasciare tranquillamente impregiudicata.

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V. LESCLUSIONE DELLA PROLE 6. Fra le varie, possibili, forme di simulazione, ci occupiamo anzitutto di quelle statisticamente pi diffuse nella nostra societ, cominciando dalla esclusione della prole. Gli stessi dati giornalistici circa landamento demografico della popolazione italiana fanno da sfondo sociale e culturale al riscontro in campo giuridico canonico. Per la dottrina cattolica precetto di diritto naturale che il matrimonio sia ordinato alla procreazione: lo ribadisce la norma canonica al c. 1055, par. 1 e lo espongono in modo illuminante le pi autorevoli espressioni del Magistero degli ultimi decenni: la costituzione pastorale del Concilio Ecumenico Vaticano II Gaudium et spes e la esortazione apostolica postsinodale di SS. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio sui compiti della famiglia nel mondo contemporaneo. Questo dato costante dellinsegnamento della Chiesa stato coerentemente trasfuso nella sua disciplina: cos, il Codice del 1917 affermava al c. 1013, par. 1 che il fine primario del matrimonio la procreazione e la educazione della prole; al c. 1081, par. 2 che loggetto del consenso matrimoniale il diritto sul corpo, perpetuo ed esclusivo, in ordine agli atti per s adatti alla procreazione della prole; e al c. 1086, par. 2, che nullo il matrimonio di chi, con atto positivo di volont, esclude omne ius ad coniugalem actum = ogni diritto allatto coniugale. Questa rigorosa e coerente impostazione normativa ha regolato per decenni la disciplina canonica in materia di esclusione della prole. La sua applicazione giurisprudenziale e la riflessione dottrinale non hanno mancato per di mettere alla luce alcuni problemi di interpretazione. Se ne ricorda, qui, il principale. Quale fosse, precisamente, lambito possibile della simulazione. La norma che direttamente regolava la fattispecie, il c. 1086, par. 2, si esprimeva infatti in un modo molto preciso: contrae invalidamente matrimonio chi esclude in modo radicale il diritto agli atti coniugali. La domanda che ne conseguiva, in una lettura rigorosa della disposizione normativa giustificata dal fatto di essere una legge c. d. irritante, che cio prevede le condizioni di invalidit di un atto giuridico era: fa un matrimonio nullo anche colui che, pur concedendo al coniuge il diritto agli atti adatti alla procreazione, si riservi di renderli inefficaci con forme di contraccezione che non modifichino lo svolgimento naturale degli atti stessi? ovvero si riservi di far ricorso al-

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laborto? ovvero ancora si riprometta di lasciar morire per quanto sta a lui disinteressandosene la prole dopo la eventuale nascita? Parte della dottrina e della giurisprudenza avevano cercato di risolvere la difficolt ipotizzando una duplice fonte normativa di nullit matrimoniale per esclusione della prole: una esplicita, il c. 1086, par. 2, che dichiara ragione di nullit la negazione del diritto agli atti per s adatti alla procreazione; una implicita, desunta dal c. 1013, par. 1, che avrebbe coinvolto nella nullit qualsiasi negazione di principio della finalit procreativa del matrimonio, comunque realizzata. Questa soluzione stata contestata per pi ragioni, ad esempio che presupponeva una norma invalidante non prevista dallordinamento positivo (le leggi scritte), e, come vedremo subito, il Codice rinnovato adotta una modalit di espressione che pare superare la problematica. Il Codice del 1983, abbandona la terminologia di fini del matrimonio: in materia di prole, preferisce affermare che, indole sua naturali = per sua stessa natura, per la sua struttura allinterno dellordine naturale delle cose, listituto matrimoniale orientato alla procreazione ed educazione della prole (cf c. 1055, par. 1). Diversa anche la definizione delloggetto del consenso: non pi il diritto sul corpo, perpetuo ed esclusivo, in ordine agli atti per s adatti alla procreazione, ma, come abbiamo visto commentando il c. 1057, par. 2, il dono di s in vista della costituzione del rapporto matrimoniale. Infine, diversa anche la previsione della possibile simulazione in materia di prole: non pi ricorre lomne ius ad coniugalem actum, ma si prevede, assai pi genericamente e comprensivamente, la esclusione di un elemento essenziale del matrimonio. Queste modalit espressive del Codice vigente inducono a ritenere che vada intesa come oggetto principale della simulazione, nel caso di nostro interesse, lordinazione naturale del matrimonio alla procreazione, la fecondit strutturale insita nel matrimonio e nella sessualit, in qualsiasi modo essa venga di fatto frustrata: con la negazione al coniuge degli atti intimi; con la concessione al coniuge di atti intimi, ma non coniugali, perch programmaticamente contraccettivi; col proposito di ricorrere allaborto in caso di gravidanza; ovvero di sopprimere i nati, anche abbandonandoli a se stessi. Come forse gi emerge dai concetti appena esposti, non ci si deve dimenticare che produce la nullit del matrimonio non qualsiasi abuso nellesercizio della sessualit, ovvero qualsiasi mancanza di responsabilit verso la vita concepita o nata, ma solo la esclusione di

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principio della fecondit strutturale del matrimonio e del diritto del coniuge agli atti che vi corrispondono. Come gi si esprimevano i classici del pensiero cristiano (p. e. S. Tommaso dAquino), rileva solo quella esclusione della prole che tocchi la intentio prolis = la intenzione, la disponibilit di fondo alla prole; ovvero che sia relativa alla prole in suis principiis = in linea di principio. appena poi da ricordare che, per essere causa di nullit di matrimonio, la esclusione in linea di principio della prole e la negazione al coniuge degli atti funzionali al suo concepimento, deve essere operante nella volont del soggetto al momento del matrimonio, almeno in modo virtuale (sotto forma cio di una vera decisione gi presa e non ritrattata). Qualsiasi decisione che sia successiva alle nozze, anche qualora fosse una vera preclusione di principio (p.e. il matrimonio va male, quindi voglio non avere figli, per non coinvolgerli nelle sofferenze del fallimento; mio marito si ammalato in modo incurabile, quindi escludo di avere figli da lui, per non mettere al mondo degli orfani in prospettiva prossima...), non rileva sulla validit del matrimonio in quanto non incide sul consenso, rettamente e integralmente prestato al momento della celebrazione nuziale. 7. Quanto detto aiuta ad orientarsi in alcuni casi concreti, che pongono non poche difficolt di interpretazione dei fatti e di applicazione delle norme. Si danno a loro proposito solo dei cenni, i pi semplici possibili, in coerenza con la finalit di questo lavoro. Difficile pu essere distinguere il rimando della prole dalla vera esclusione temporanea di essa. Chi rimanda accetta in linea di principio la prole e la vuole differire per un certo tempo (p. e. i primi due anni di matrimonio), non alieno per dallaccoglierla se venisse e usando normalmente mezzi leciti per procrastinare la procreazione: ci facendo non nega in linea di principio lorientamento alla procreazione del matrimonio, n quanto al fine, n quanto ai mezzi. Chi esclude, anche temporaneamente, nega invece per principio la venuta della prole nel tempo stabilito, si oppone al diritto del coniuge di chiedere nel frattempo atti di per s fecondi e utilizza mezzi contraccettivi ad alta sicurezza (indipendentemente dalla loro ammissibilit morale), talvolta nemmeno escludendo la eventualit di interrompere una gravidanza accidentalmente originatasi. Non sempre facile isolare i due atteggiamenti, ma la loro diversit un fatto obiettivo. Cos non sempre facile distinguere il rimando della procreazione dalla esclusione condizionata di essa. Schematizzando, mentre

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chi rimanda dice: voglio la prole, ma ritengo il momento presente non opportuno, anche qui normalmente scegliendo mezzi secondo morale per raggiungere lo scopo; chi esclude condizionatamente afferma: attualmente non voglio avere prole; mi riservo di cambiare idea quando si sar verificato un certo fatto che per me ha valore di condizione per aprirmi alla procreazione, come potrebbe essere una certa posizione economica, laccertamento di un buon andamento del matrimonio, o altro. In linea generale, appare la differenza fra i due atteggiamenti: nel rimando prevale il desiderio della prole e la disponibilit a rispettare la struttura del matrimonio e dellatto coniugale; nella esclusione condizionata prevale la negazione attuale, praticata con mezzi spesso immorali (e spesso anche unilateralmente, in spregio al diritto del coniuge), e la subordinazione della propria disponibilit a cambiare atteggiamento ad un giudizio arbitrario e personale. Si noti poi che la esclusione condizionata, mentre apparentemente temporanea (e lo pu essere talvolta in linea di fatto), potenzialmente sempre perpetua: infatti il soggetto, escludendo condizionatamente la prole, implicitamente disponibile a rendere definitiva e perpetua la propria esclusione nel caso non si verifichino a suo giudizio le condizioni per rendersi disponibile alla procreazione. Cos, diversa la posizione di chi esclude (definitivamente, temporaneamente, condizionatamente) la prole e di chi attua invece la cosiddetta paternit responsabile: questo concetto suppone infatti la accettazione della ordinazione strutturale del matrimonio e degli atti coniugali alla procreazione (senza sospensioni temporali e condizionamenti) e lutilizzo di quei mezzi di regolazione delle nascite che, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, linsegnamento della Chiesa dichiara come rispettosi dei valori antropologici e morali implicati nella problematica. Per esprimerci in modo ancora pi semplice, in questo atteggiamento c anzitutto laccettazione della paternit (maternit), che rappresentano la sostanza (il sostantivo, grammaticalmente) del concetto. La responsabilit relativa alle modalit attuative di quella accettazione di base, che deve essere effettuata secondo morale. Ovviamente, quelli ricordati non sono tutti i casi problematici che possono presentarsi correlativamente a potenziali simulazioni di matrimonio per esclusione della prole (si pensi ai problemi correlati alle nuove tecniche bioetiche; si pensi al problema dibattuto se il nuovo testo normativo consenta di prevedere come oggetto della simulazione contro il bene della prole anche il proposito di negare un minimo di

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educazione alla stessa); pare per che le indicazioni offerte possano rappresentare una base sufficiente per il consulente matrimoniale che voglia inizialmente orientarsi nella materia in chiave pastorale. 8. Prima per di dare alcuni suggerimenti operativi al consulente matrimoniale al fine di individuare possibili nullit di matrimonio, occorre affrontare il problema della possibilit di prova della simulazione. un problema delicato, che vale per tutte le forme possibili di simulazione. La delicatezza del problema discende dal concetto stesso di simulazione. Essa , come detto, una volont positivamente contraria: al matrimonio stesso, a un suo elemento essenziale, ad una sua propriet essenziale. Ora, la volont un fatto interiore, noto direttamente e completamente solo a Dio e al soggetto interessato. Loggetto della prova, in altre parole, un fatto s reale, ma interno, che sfugge nella sua realt pi intima alla percezione dei terzi, anche di coloro che devono giudicare. Se vero quanto stato appena detto, pure vero che la volont delle persone spesso si manifesta esteriormente: ci avviene normalmente in due modi: o con le parole, attraverso le quali la persona esprime ci che intende, ci che vuole; ovvero con le azioni, che, come insegna la giurisprudenza nella sua saggezza, spesso sono verbis eloquentiora = pi eloquenti delle stesse parole. in questa direttrice che si struttura la possibilit di prova, secondo una linea detta diretta e una, invece, indiretta. La prova diretta quella che ricostruisce la volont dellinteressato al momento del matrimonio andando alla ricerca delle sue manifestazioni verbali. La persona, infatti, pu avere parlato delle sue decisioni, p. e. in materia di prole, ad altri e costoro possono riferirne in giudizio. chiaro che le testimonianze che si acquisiscono in un giudizio non devono essere valutate in termini materiali, quantitativi, ma piuttosto in relazione ad altri parametri: il tempo cui relativa la testimonianza (tanto pi importante quanto pi prossima al matrimonio); la profondit dei colloqui che pu riferire (diverso infatti se abbia colto battute o spezzoni di frasi, ovvero se abbia condotto discorsi approfonditi con linteressato); la possibilit di riscontrare la presenza di con-testi, cio altre persone che abbiano assistito agli stessi colloqui e li possano confermare; la credibilit, anche estrinseca, del teste, che pu ad esempio essere ben cono-

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sciuto da persone, soprattutto sacerdoti e/o religiosi che possano attestare positivamente di lui. La prova indiretta quella invece che ricostruisce la volont dellinteressato per via logica, desumendo da fatti e circostanze. appena da ricordare che tali deduzioni presuntive vanno fatte, come la legge stessa richiede (c. 1586) da fatti certi e determinati: non basta che una cosa venga asserita da una delle parti o da un teste per essere ritenuta provata e per essere quindi la base di deduzioni: occorre che essa sia davvero certa. Quali possono essere poi i fatti utili dal valore indiziario? Nelle cause di simulazione ha particolare valore la cosiddetta causa simulandi = causa della simulazione, cio la ragione per cui una determinata persona avrebbe agito in quel modo. In altre parole, la presenza di un plausibile movente al suo comportamento. Quanto pi forte il movente, anche solo soggettivamente, tanto pi probabile che la simulazione si sia davvero verificata. Per fare un esempio proprio relativo alla forma di simulazione che vogliamo approfondire: una persona che sapesse di essere affetta da una grave malattia ereditaria avrebbe un movente forte, specifico e credibile. Occorre qui sottolineare che la presenza di un movente d, per s sola, la possibilit e non la prova completa della simulazione, a meno che ci si voglia collocare in una visione deterministica e meccanica dellagire umano, a detrimento del riconoscimento della responsabilit personale. Cos avverrebbe se un Tribunale in assenza di altri veri riscontri ragionasse p. e. dicendo: provato che Tizio era egoista, poco responsabile, che aveva avuto una infanzia difficile... quindi non poteva volere figli. Ci si consenta il paragone, che non vuole essere irriguardoso, ma solo chiaro ed alleggerire lesposizione: anche nei libri gialli non sempre chi ha il movente pi forte poi anche il colpevole. Fra gli elementi indiziari, solitamente si considera anche la cosiddetta causa contrahendi = causa della celebrazione, cio il motivo per cui la persona che avrebbe simulato ha contratto il matrimonio: quanto pi debole (da un punto di vista morale e cristiano) la ragione per cui la persona si sposata (interesse, riparazione, pressioni di terzi o dellambiente,...), tanto pi forte appare la possibilit di una simulazione. Quanto pi genuina invece la ragione del matrimonio (p. e. lamore reciproco, non nel senso per della mera attrattiva sentimentale), tanto meno probabile diviene la simulazione. Un ruolo particolare hanno poi le circostanze: sia precedenti le nozze; sia relative alla celebrazione di esse; sia relative alla vita co-

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niugale nel suo concreto andamento. Ad esempio: se nel fidanzamento vi furono fra gli interessati litigi, rotture, discussioni, dubbi, sar maggiormente plausibile una riserva contro la indissolubilit del matrimonio che se il fidanzamento fosse stato invece idilliaco. Ovvero: se nel giorno del matrimonio uno dei coniugi mostr insofferenza o tristezza, ci potr essere indizio coerente (anche se in s generico) del suo affetto amoroso per altra persona, nellambito del la prova di una eventuale esclusione della fedelt. Infine: se nel corso della vita coniugale fu praticata sistematicamente la contraccezione con mezzi ad alto tasso di sicurezza, ovvero furono anche commesse interruzioni volontarie di gravidanze, ci sar indizio coerente con un dichiarato rifiuto della procreazione. da ricordare, a precisazione di quanto detto, che le due vie indicate di prova quella diretta e quella indiretta normalmente vengono percorse congiuntamente, nel senso che sia dalle testimonianze, sia dal soppesare indizi e circostanze, il giudice trae abitualmente il proprio convincimento circa il caso da risolvere. bene anche sottolineare che questo schema di prova uno schema in aiuto del giudice, non una gabbia da applicare meccanicamente: ogni caso umano, quindi anche ogni caso matrimoniale, possiede una sua unicit e specialit. Quindi gli equilibri fra i diversi elementi dello schema tradizionale di prova possono essere i pi diversi: in alcuni casi basteranno pochi testi (se sicuri e ben informati), in altri ne occorreranno molti (p. e. perch conoscono solo particolari e unicamente dal concorso di molti si pu ricostruire la vicenda); in alcuni casi le circostanze appariranno univoche, in altri equivoche, pur non mancando elementi a favore della nullit, e cos via. Va ricordato infine che il vigente ordinamento processuale canonico, per favorire il pi possibile ladeguamento della verit processuale alla verit effettiva delle cose, consente lapplicazione a tutte le cause del cosiddetto argomento morale di prova, desunto dai cc. 1536, par. 2 e 1679. Esso ruota intorno alla credibilit delle parti stesse ed al reperimento di indizi e circostanze che ne avallino in modo inoppugnabile (omnino = del tutto) le dichiarazioni in giudizio. La nostra Rivista si gi occupata esplicitamente di questa possibilit probatoria e quindi il Lettore pu riferirsi per il suo approfondimento alla trattazione gi svolta (cf QDE 3 [1990] 394-410).

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1. Guida per il consulente Applicando tutto quanto sopra detto alla tematica della esclusione della prole, il pastore danime che prudentemente cerca di indagare sulla eventuale invalidit di un matrimonio in difficolt, dovr prestare attenzione ai seguenti punti. 1. Se linteressato abbia mai parlato in genere di tematiche familiari, esponendosi circa la procreazione e la presenza di figli in una famiglia. un dato di mentalit e di cultura che pu servire da sfondo alla indagine. 2. Se linteressato abbia mai preso esplicita posizione circa i figli nel proprio matrimonio: quando ne abbia parlato; in che termini e in quale contesto (p. e. in un discorso serio o scherzoso); se vi siano persone che possano ricordare e confermare queste sue espressioni. 3. In particolare, andr vagliato se la persona che avrebbe commesso la simulazione sia disposta ad ammetterla in giudizio, indicando eventuali altri testi a riscontro. La mancanza di questa disponibilit, in caso non ci siano testi comunque informati e disponibili, potrebbe essere una seria difficolt per una eventuale causa. 4. Andr possibilmente indagato se linteressato si esprimeva in termini di rifiuto definitivo, per sempre, dei figli; ovvero se per un certo tempo o subordinatamente a certe circostanze, per cercare di capire se ci si trovi di fronte a una vera esclusione di principio (seppure temporanea o condizionata), ovvero a un semplice rimando della prole. 5. Andr almeno sommariamente illustrata la ragione per la quale veniva esclusa la prole. La causa della simulazione, il movente della stessa, un elemento molto importante per attestarne la plausibilit. Seppure, da sola, la causa della simulazione non rappresenti la prova piena del fatto, come sopra gi sottolineato, vero per che riveste grande rilievo: in giurisprudenza essa viene chiamata sovente regina probationum = la regina delle prove, proprio ad indicarne il peso probatorio. 6. Andr vagliata la ragione per cui il soggetto asserito simulatore accett di sposarsi in Chiesa pur escludendo la prole. Se era praticante. Se era a conoscenza del fatto che il rifiuto della prole un fatto non ammesso dalla Chiesa e causa di nullit del matrimonio. La lontananza dai principi cristiani e una ragione meno impegnata di

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contrarre matrimonio(lamore in senso emotivo e superficiale; condurre una vita pi libera dalla famiglia di origine; potersi dedicare col coniuge ai passatempi pi comunemente graditi) sono un indizio genericamente compatibile con la simulazione. 7. Andr anche chiesto se siano nati figli dalla vita comune coniugale. noto che una gravidanza pu verificarsi anche nonostante una volont negativa di uno degli interessati (talora anche di entrambi), ma, ordinariamente, la presenza di uno o pi figli rappresenta un controindizio rispetto alla simulazione. Nel caso, andr vagliato come lasserito simulatore abbia reagito di fronte alle gravidanze non volute: se abbia p. e. proposto di interromperle, se sia stato contento alla nascita dei figli, se li abbia seguiti con interesse e affetto o meno. 8. Con prudenza e rispetto, andr anche approfondito se, nel corso della vita coniugale, vi siano stati fra i coniugi rapporti potenzialmente fecondi. Se sia stata praticata contraccezione: per volont di chi e con quali mezzi. Se di essi vi sia la possibilit di prova, attraverso testimoni al corrente del fatto, ovvero attraverso la deposizione (o almeno una certificazione) dei medici che hanno seguito la applicazione delle tecniche contraccettive. 9. Con molta discrezione andr anche sondato se, nel corso della vita comune delle parti, siano state praticate interruzioni volontarie di gravidanze. Questo fatto, che non perde in ogni caso la sua qualifica negativa sia morale che canonica, ha per un rilievo assai forte come dato indiziario, se ricollegabile a una volont originaria (= al momento della celebrazione delle nozze) del soggetto contraria alla procreazione. chiaro che anche di questo fatto andr vagliata la possibilit di prova, per testi, ovvero per documentazione, qualora lintervento sia stato praticato in strutture sanitarie pubbliche. 10. Importante sar anche informarsi se, nel corso della vita coniugale, il discorso sulla prole sia stato ripreso dalle parti. Se vi siano state esplicite richieste di figli da parte di uno di essi e come laltro abbia risposto. Se vi siano state discussioni e contrasti in merito. Quale peso abbiano avuto gli eventuali contrasti sulla prole sul fallimento della vita coniugale. 11. Di qualche valore indiziario sar anche lappurare se la persona che si sostiene abbia escluso la prole abbia avuto figli da altre unioni eventualmente contratte dopo quella per cui si svolge la consulenza. Tale circostanza non un controindizio in ogni caso diri-

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mente, ma certo un fatto da spiegare ragionevolmente al Tribunale, soprattutto se la causa della asserita simulazione sia di carattere generale, non cio legata alla persona del coniuge, come p. e. potrebbero essere legoismo e il desiderio di libert, che sembrerebbero cause atte a perdurare indefinitamente. 2. Esempi Primo esempio Il fidanzamento fra Laura e Paolo dur circa tre anni. Paolo era e rimase sempre sinceramente innamorato di Laura; questa invece lo era assai di meno, anzi, nei mesi precedenti le nozze ebbe dei seri dubbi sui suoi sentimenti e, quindi, sulla opportunit di contrarre matrimonio. Ne parl a sua madre e anche al proprio parroco, che la incoraggiarono nel senso di continuare nel progetto nuziale; ne parl al fidanzato, che rimase amareggiato nel constatare lincertezza di Laura. Non sapendo come risolversi, Laura decise di provare a sposarsi: facendo cio il matrimonio con Paolo ma riservandosi, se la prova fosse fallita, di lasciarlo definitivamente, riprendendosi la propria libert. Per conseguenza, non voleva alcun figlio da lui, almeno fino a quando avesse potuto constatare che la prova di matrimonio aveva avuto successo. Per questo, circa un mese prima delle nozze, si fece prescrivere da un ginecologo un contraccettivo per via orale. La vita matrimoniale dur solo alcuni mesi, nei quali Laura mantenne degli atteggiamenti che manifestavano la sua sfiducia in partenza verso quel matrimonio: non complet nemmeno il trasferimento dei suoi oggetti personali nella casa coniugale e fece mancare a Paolo ogni affetto e dialogo. Luso del contraccettivo orale fu ininterrotto. In giudizio, fu possibile provare (ammesse dallo stesso Paolo e dal parroco che laveva consigliata) le incertezze prenuziali di Laura; la sua volont di fare un matrimonio di prova e la sua volont di non avere figli, almeno fino allesito positivo della prova stessa, dal momento che Laura aveva manifestato gi prima di sposarsi queste sue intenzioni ad alcune persone attendibili. Anche luso del contraccettivo fu provato, tramite certificazione del medico che laveva prescritto.

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Lesempio vuole sottolineare la importanza di una causa, di un movente, per la simulazione, anche se di natura soggettiva (la mancanza di vero amore coniugale per una determinata persona), nonch il fatto che il capo di esclusione della prole pu in alcuni casi assommarsi anche ad altri motivi di nullit matrimoniale, soprattutto lesclusione della indissolubilit, come avvenne appunto nel caso di Laura, che aveva ricusato di impegnarsi per sempre con Paolo. Secondo esempio Allet di quattordici anni, e nel giro di pochi mesi, Chiara rest orfana di entrambi i genitori, assieme a due fratellini parecchio minori di lei. Per evitare che tutti e tre finissero in istituti per orfani, magari diversi fra loro, Chiara convinse uno zio che abitava nello stesso paese ad assumere lufficio di tutore. Per questo pot continuare ad abitare nella casa dei genitori assieme ai due fratelli, sotto la sorveglianza dello zio e della moglie di lui. Chiara si responsabilizz verso gli stessi fratelli, non solo seguendoli personalmente, ma anche mettendosi a lavorare, per concorrere al loro mantenimento. Attorno ai diciotto anni conobbe Alfredo, un giovane dello stesso paese, che si mostr affezionato a lei, servizievole e ben disposto verso i fratellini di Chiara. Alfredo era innamorato della ragazza, la quale seppure non si sentiva molto attratta verso di lui e nonostante avesse da sempre avvertito un senso di timore nei confronti della sessualit e della generazione ne accett la proposta di matrimonio, dal momento che Alfredo era disposto ad accogliere anche i fratelli della ragazza che amava. Chiara per, per il timore appena detto, non riusc per diversi anni a donarsi al marito, e il loro matrimonio rimase inconsumato. Dopo diversi anni per, Chiara cedette alle lusinghe di un altro uomo, col quale ebbe qualche incontro intimo. Confess pentita subito la cosa ad Alfredo, che la perdon. Facendosi forza e per un senso di riparazione della infedelt commessa, Chiara riusc ad avere qualche rapporto anche col marito, ma con profonda sofferenza psichica e fisica. Trovatasi anche incinta, sia per la paura del parto, sia per la incertezza della paternit (data la vicinanza cronologica dei rapporti avuti con laltro uomo e col marito), Chiara procur linterruzione della gravidanza. La vita coniugale si concluse poi con la separazione e il divorzio.

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Dopo alcuni anni da questo, Chiara si un civilmente con unaltra persona. Era risolto il problema dei fratelli, ormai entrambi sistemati, ma rimanevano ancora i timori di lei in rapporto alla generazione. Rimasta di nuovo incinta, Chiara questa volta port a termine la gravidanza, con il necessario massiccio supporto di uno psicologo e, in alcuni momenti, anche di uno psichiatra. In giudizio, la scarsa prova diretta (derivante cio da testimoni che conoscessero le intenzioni di Chiara circa la prole al momento di sposarsi), venne supplita dalla possibilit di ricostruire con certezza la sicura prova indiretta, rappresentata dai fatti sopra riassunti: la infelice storia familiare di Chiara, la sua preoccupazione per i fratelli ancora piccoli, il suo timore per la generazione, come giunse a poter avere rapporti col marito, laborto procurato, come visse e riusc a portare a termine la gravidanza nel matrimonio civile successivo alla separazione da Alfredo. Questo complesso di fatti avall lattendibilit delle parti in causa e delle poche risultanze dirette. Lesempio vuole ancora sottolineare la rilevanza della causa della simulazione (in questo caso un timore verso la prospettiva del parto quasi ai confini della psicopatologia) e mostrare il concorso degli elementi indiziari di prova al raggiungimento della certezza morale che il giudice deve raggiungere per pronunciare la invalidit di un matrimonio. da una valutazione complessiva e integrata di tutti gli elementi di prova che si possono risolvere la maggior parte dei casi, anche quelli pi difficili. Terzo esempio Teodoro era un giovane di semplice estrazione, ma onesto, generoso e lavoratore. Andando proprio al lavoro conobbe sui mezzi pubblici Carmela, della quale si innamor. Carmela per aveva gi un figlio, Luigi, di alcuni anni, avuto da una relazione con un uomo sposato che non aveva riconosciuto il bambino. Teodoro si affezion a Carmela ed anche a Luigi e propose il matrimonio, dicendosi anche disponibile a riconoscere Luigi, dichiarandolo figlio proprio. Stimolata dalla propria madre, Carmela accett la proposta di Teodoro. Il riconoscimento di Luigi venne perfezionato pochi giorni dopo le nozze. Dopo questo fatto, per, Carmela rivel i suoi reali sentimenti nei confronti di Teodoro: cominci a condurre una vita sregolata (probabilmente ma non fu provato con certezza si incontrava ancora col padre naturale di Luigi); se ne and dalla casa

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coniugale dopo poche settimane di vita comune; quando Teodoro denunci lallontanamento della moglie, questultima lo controdenunci infondatamente di averla maltrattata; afferm di aver praticato un aborto per una gravidanza insorta dai pochi rapporti intimi concessi a Teodoro, seppure rudimentalmente contraccettivi. Nonostante le apparenze, il caso fu di difficilissima soluzione. Carmela infatti, mai si present a collaborare secondo verit con il Tribunale, chiarendo le intenzioni circa i figli da lei avute al momento del matrimonio. Fu per possibile reperire alcuni testi attendibili che avevano parlato con lei prima delle nozze e anche dopo di esse, ma in tempo non sospetto (cio quando ancora non si pensava ad una causa di nullit matrimoniale), ai quali Carmela aveva espresso coerentemente la propria volont di non avere figli nel timore che Teodoro potesse disaffezionarsi a Luigi. Fu possibile anche provare per testi i comportamenti di lei subito dopo il riconoscimento di Luigi da parte di Teodoro e, per testi, laborto dichiarato da Carmela, la cui prova sarebbe stata impossibile in modo diverso, dato che i fatti di causa risalivano a ben prima della entrata in vigore della legge tollerante dello Stato. Lesempio vuole illustrare che la mancata collaborazione nella verit dellasserito simulatore di matrimonio rappresenta una difficolt molto seria alla prova, ma non assolutamente insuperabile, laddove sia possibile ricostruire da altre fonti la sua volont circa la fecondit del matrimonio, ossia attraverso testimonianze attendibili o circostanze inequivocabili. Quarto esempio Cos non fu nel caso di Maria Elena, persona peraltro attendibile e meritevole di stima. Essa asseriva in giudizio che il marito Riccardo aveva escluso la prole, ma pot portare solo scarsissimi elementi di prova. Prima delle nozze, Riccardo, pavoneggiandosi con un comune conoscente al quale mostrava la sua nuova auto sportiva, quando quegli, pure prossimo al matrimonio, espresse giudiziosamente i suoi seri progetti di famiglia, disse baldanzosamente che lui agli impegni familiari preferiva le corse in automobile. Dopo pi di due anni di matrimonio, nel corso di un grave esaurimento nervoso subito da Riccardo, questi disse a diverse persone che, prima di avere figli, avrebbe lasciato trascorrere diversi anni.

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Dato il contesto in cui le due manifestazioni avvennero, la loro forza apparve ai giudici assai scarsa. Inoltre la stessa Maria Elena ammise sinceramente che, prima delle nozze, Riccardo mai aveva messo con lei in discussione il progetto di una famiglia regolare e che, dopo il matrimonio, erano almeno talora intercorsi tra loro rapporti sessuali potenzialmente fecondi, cosa che un serio indizio contro una vera esclusione della prole. Infine, lo stesso Riccardo neg in giudizio di aver escluso i figli dal progetto di matrimonio e port quattro testi che affermarono di averlo sentito parlare con disponibilit di figli prima delle nozze. Di queste testimonianze non fu dato di riscontrare la falsit. Lesempio vuole ribadire come sia delicata la prova in fatto di simulazione del matrimonio e come, prima di consigliare una causa, sia bene accertare, direttamente o attraverso il rinvio ad altri esperti, che vi siano elementi di ragionevole probabilit di successo per introdurla. La dichiarazione di nullit, infatti, dipende dalla possibilit di accertamento di fatti oggettivi e non solo come sicuramente nel caso di Maria Elena dalla attendibilit e dal merito morale della persona richiedente. Quinto esempio Luca era figlio di contadini, ma, conseguito un diploma di carattere tecnico, riusc a trovare un posto di impiegato in una banca di provincia. Frequentava compagnie dispendiose, dedite ai giochi dazzardo e alla continua caccia di ragazze. In una delle scorribande con gli amici conobbe Rosa, figlia di piccoli imprenditori, che si innamor di lui. Vedendo sullo sfondo un possibile matrimonio di interesse, Luca si mostr sempre galante con la ragazza, affetta da una grave forma di scogliosi. In qualche occasione in cui ella aveva intuito e paventato i secondi fini di lui, Luca era stato sempre pronto a coprirla di baci, di giuramenti e di promesse, fino a condurla al matrimonio. Dopo le nozze, Luca mostr il suo vero volto anche a Rosa: sempre assente di casa; dedito al gioco e ad altre donne, cosa che non nascondeva nemmeno alla moglie, per umiliarla; era infatti anche incattivito verso Rosa, perch i genitori di lei, persone sagge e prudenti, dopo aver aiutato i due per lacquisto della casa, avevano detto che, siccome entrambi avevano buoni e sicuri posti di lavoro, avrebbero da allora in poi dovuto arrangiarsi da soli. A Luca veniva quindi meno il miraggio di quei regali dai suoceri che avrebbero po-

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tuto dargli maggiori fondi per il gioco e per le avventure sentimentali. Rosa, rattristata e costretta costantemente a casa da sola, chiedeva insistentemente un figlio a Luca, onde poter dare al desiderato bambino laffetto che al marito evidentemente non interessava. Luca per rifiut sempre categoricamente questa possibilit, dileggiando ed offendendo crudamente Rosa per le sue richieste e per il di lei stato fisico e negandole in pratica ogni vita coniugale, condotta nelle rare occasioni di intimit in modo non naturale per volont imposta di lui. La causa ebbe la possibilit di un esito positivo, ammettendo Luca che si dichiar rinsavito e pentito per il benefico influsso di unaltra donna, conosciuta dopo la separazione da Rosa le proprie disoneste intenzioni verso Rosa allepoca del matrimonio, cio la volont strumentalizzatoria di lei in vista di sperati vantaggi materiali, senza peraltro voler assumere seriamente con lei gli impegni del matrimonio, p. e. appunto la disponibilit alla procreazione. Conoscenti comuni e amici di Luca, da lui chiamati in giudizio, comprovarono il suo stile di vita e la volont avversa alla prole, gi dichiarata prima delle nozze ai compagni di baldoria. Lesempio vuole sottolineare una problematica particolare: potrebbe sembrare infatti, ad una prima considerazione, strano che un Tribunale della Chiesa presti fede a individui come Luca: una persona, cio, che gi una volta ha ingannato cos crudelmente una donna e irriso un sacramento. Occorre per rilevare che il Tribunale, in questi casi, procede in modo molto accorto, riscontrando puntualmente con verifiche obiettive le affermazioni di una persona come Luca, nonch approfondendo lanalisi circa la credibilit delle testimonianze da lui indicate. Inoltre non bisogna dimenticare che, in casi come il presente, il Tribunale, nel dare la propria sentenza dichiarativa della nullit del matrimonio, impone al responsabile della simulazione, nel caso a Luca, una sanzione amministrativa denominata divieto di contrarre nuove nozze. In questo caso, lOrdinario di luogo dove la persona volesse di nuovo sposarsi canonicamente, non pu procedere lecitamente senza aver condotto una approfondita analisi sulleffettivo cambio di intenzioni dellinteressato e sulla conoscenza, da parte della terza persona coinvolta, della precedente vicenda matrimoniale del simulatore di consenso. La Chiesa, in questo modo, si preoccupa, con sensibilit pastorale, di fomentare una autentica conversione in chi ha sbagliato; ma anche di proteggere i terzi interessati da nuovi inganni e i propri isti-

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tuti giuridici dalle strumentalizzazioni di individui non rettamente intenzionati. Rendendo pi gravosa al provato simulatore di consenso la ammissione a un nuovo matrimonio (con verifiche pi puntuali), la Chiesa mette la coscienza di lui di fronte alle proprie gravi responsabilit, in relazione al passato e in prospettiva del futuro, coerentemente con una delle finalit proprie dellordinamento giuridico canonico, che porre le condizioni perch i singoli possano raggiungere la salus animarum = la salvezza della propria anima. PAOLO BIANCHI Piazza Fontana, 2 20122 Milano

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di G. Paolo Montini

D.

Decretale

Dalla Cancelleria papale


Onorio III papa allarcivescovo di Manfredonia. Tramite una tua comunicazione (Te referente) abbiamo appreso che per antica consuetudine sei tenuto a consacrare il crisma il gioved santo nella Cattedrale di Manfredonia. Quando per al mattino del medesimo giorno, com consuetudine, ti rechi alla Chiesa che vi sul Gargano per accogliervi i pellegrini, il popolo ed il clero di quella Chiesa ti costringono a celebrare la Messa prima che tu torni a Manfredonia. Su questo hai chiesto una decisione (consilium) nostra e della Sede Apostolica. Si deve considerare da un lato che la consacrazione del crisma deve avvenire nel corso della celebrazione della Messa; dallaltro che tutti i sacerdoti, di qualsiasi dignit siano rivestiti, devono contentarsi (sufficiat) di celebrare una sola Messa al giorno, anzi si reputino oltremodo felici, se celebrano degnamente anche quella sola. Ora la nostra decisione per te, caro fratello, (fraternitati tuae mandamus) la seguente: cura di celebrare solo nella Cattedrale di Manfredonia, dove sei tenuto a consacrare il crisma nel giorno del Gioved santo. [Data a ... il ...] 1.

Il testo riprodotto quello di una decretale, scelta per dare un esempio degli elementi essenziali che la compongono 2. Essi appaiono i seguenti: 1. Indirizzo contenente sia il mittente sia il destinatario, designato con il proprio titolo di dignit e di ministero, sia il saluto.

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Il testo riportato si pu leggere nel libro III, titolo 24, capitolo 4 della V Compilatio Antiqua [anno 1226]. Cf FRANSEN Grard, Les dcrtales et les collections de dcrtales, Turnhout 1972, 29.

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Da ci si arguisce immediatamente che le decretali sono delle lettere o epistole. Si inseriscono senzaltro nel genere epistolare. Lo stesso nome decretale aggettivo allorigine, che richiede il sostantivo, a volte allorigine espresso, di epistola: epistola decretalis 3. Lindirizzo della lettera serve sia alla spedizione materiale della lettera sia al riconoscimento e allindividuazione della lettera, e ci sia da parte di coloro che mandano e ricevono la lettera sia da parte di coloro che la conserveranno e la rileggeranno in seguito. Il mittente sempre e solo il Romano Pontefice, designato nellindirizzo solo per nome. Il destinatario di solito un vescovo (ma pure uno o pi prelati, uno o pi presbiteri, uno o pi dignitari laici [re, consoli, magistrati, popolo ecc.]), designato con il titolo, la sede e a volte pure con il nome. Citiamo di seguito alcuni esempi di indirizzo, tratti da Holtzmann Walther, Decretales ineditae saeculi XII, Citt del Vaticano 1982: Alessandro [III] vescovo, servo dei servi di Dio al diletto fratello in Cristo Bernardo, vescovo di Nola, salute e apostolica benedizione; Alessandro III agli arcivescovi, vescovi e altri prelati dei regni di Francia, Inghilterra e Scozia; Alessandro III al prevosto, decano e capitolo di Reims; Lucio III a Ugo, arcidiacono di Lisieux; Alessandro III allarcivescovo di Trondheim e ai suoi suffraganei; Alessandro III allabate di S. Remi e a Fulk, decano di Reims; Alessandro III
Cf ad esempio nella Collectio Dionysiana [sec. VI]: Incipit epistola decretalis papae Siricii; nella Collezione di Freising [sec. VI]: Incipiunt epistolae decretales diversorum episcoporum urbis Romae per diversas provincias missae. Ben presto viene omesso il termine epistola e decretalis viene usato come sostantivo o aggettivo sostantivato. Cf, ad esempio, la Collezione di Albi [sec. VI], nellindice: Decretalis Leonis papae ad episcopos per Campaniam. Ancora in Graziano [1140 circa] si trova epistola decretalis (cf c. 1, D. 10; dictum ante c. 1, c. 1, c. 6, dictum post c. 7, D. 19; dictum ante c. 1, D. 20; dictum post c. 96, C. I, q. 1); il termine sostantivo decretalis/decretales si affermer definitivamente allinizio del secolo XIII. A volte si trova pure laggettivo neutro decretale/decretalia, dovuto ai sostantivi (a volte espressi) capitulum/capitula, constitutum/constituta che evidenziano o il passaggio delle decretali in collezioni in cui opportuna la partizione in capitoli (cf Collezione di Albi) oppure lattenzione ormai prevalente non alla forma epistolare, quanto ai principi in essa stabiliti (cf, ad esempio, la decretale di papa Siricio [anno 385]: ad servandos canones et tenenda decretalia constituta; la collezione del ms. di Corbie [sec. VI]: Incipiunt capitula decretalia Innocentii; cf pure c. 21 del concilio di Tours del 567: Quis sacerdotum contra decretalia, quae a sede apostolica processerunt, agere praesumat...?; c. 19 del IV concilio di Toledo [633]: secundum sinodalia vel decretalia constituta [cf c. 5, D. 51]). Non mancano designazioni diverse ad indicare le lettere decretali, per gli stessi motivi sopra accennati: cf epistola, constitutio, auctoritas, responsio, rescriptum, instructio, indiculus, commonitorium, epistola tractatoria, [epistola] tractoria, praeceptum, regula ecc. Cf su tutto questo MAASSEN Friedrich, Geschichte der Quellen und der Literatur des canonischen Rechts im Abendlande bis zum Ausgange des Mittelalters, Gratz 1870, 227-229.
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al re dInghilterra; Alessandro III al priore e ai fratelli della comunit di Dunstable; Alessandro III ai monaci di Lenton. 2. Preambolo. Contiene principalmente laccenno alla richiesta di risposta e le circostanze della medesima. Da questo elemento si desume che la decretale non mai una lettera del Romano Pontefice originata da se medesimo e dalla sua volont autonoma ed indipendente: piuttosto sempre la lettera di risposta ad una richiesta avanzata ed indirizzata in precedenza allo stesso Romano Pontefice, da colui o da coloro che nella decretale sono ora i destinatari. questo un tratto che distingue la decretale da altre forme di intervento del Romano Pontefice 4. Nella decretale sopra riportata questo elemento dato da due accenni fugaci: Tramite una tua comunicazione abbiamo appreso [= Te referente didicimus] e Su questo hai chiesto una decisione nostra e della Sede Apostolica [= Super quo nostrum et apostolicae sedis consilium implorasti]. A volte invece viene dato pi spazio nella decretale alle circostanze ed alle motivazioni della consultazione previa ricevuta dal Romano Pontefice, come pure alle motivazioni che hanno spinto lo stesso Romano Pontefice a rispondere alla consultazione ricevuta. Sia la prassi di rivolgersi al Romano Pontefice per una consultazione e di averne una risposta sia la dottrina interpretativa di questa prassi hanno un grande rilievo nella definizione del ruolo del primato del Romano Pontefice nella Chiesa del primo millennio. Non infatti da considerare il fenomeno delle decretali un tentativo di centralizzazione o di accentramento da parte del Papato 5, ma un moto quasi spontaneo nella Chiesa di ricerca dellunit intorno al Vescovo di Roma. Mi piace qui riferire alcuni passi di preambolo che si trovano nella decretale di papa Siricio a Imerio, vescovo di Tarragona, del4

Lassenza della richiesta, e perci lemanazione di un testo normativo di propria e autonoma volont, darebbe origine al decretum o alla constitutio (cf VILLIEN A., Dcrtales, in Dictionnaire de droit canonique, IV, Paris 1949,206): Constitutio est, qua Princeps facit proprio motu. Decretalis epistola est, quando respondet ad consultationem (Glossa ordinaria Libri X in Constitutionem Rex Pacificus ad verbum constitutiones, cit. in STICKLER A.M., Historia iuris canonici latini. I. Historia fontium, Roma 1950, 18, nota 4). 5 Cf FRANSEN, Les dcrtales, 13. Certo per che lassodamento dellautorit papale, con per la verit altri fattori, quali soprattutto la nascita della scienza canonica e una certa debolezza dellautorit civile, hanno portato ad avere nella seconda met del secolo XII tante decretali [7.000 circa] quante se ne ebbero pi o meno negli undici secoli precedenti [10.583](ib.).

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lanno 385: La lettera (relatio) che tu, caro fratello, hai mandato al nostro predecessore di santa memoria Damaso, mi ha trovato gi posto in questa sede, come Dio stesso aveva preordinato. Quando, trovandomi in assemblea (conventu) coi miei fratelli, abbiamo preso in considerazione con sollecitudine la tua lettera, vi abbiamo trovato molte cose da correggere e che desidereremmo vedere gi corrette. Ora noi siamo succeduti al nostro predecessore non solo nellonore, ma pure nelle fatiche dellufficio. Pertanto non possiamo negarti, seguendo in ogni cosa lispirazione di Dio, la risposta alla tua lettera di consultazione. Non possiamo infatti noi, in ragione del nostro ufficio, scegliere la dissimulazione ed il silenzio, poich a noi precisamente incombe una pi grande sollecitudine per la Chiesa. Portiamo i pesi di tutti coloro che sono da essi gravati, anzi li porta in noi il beato apostolo Pietro, che confidiamo assista e protegga i suoi successori (haeredes). 3. Esposizione. Consiste nella descrizione del caso o della vicenda che allorigine della consultazione, loggetto in altre parole, della consultazione stessa. Tale descrizione normalmente assai distesa e comprende nomi, particolari e divagazioni tipici di uno stile epistolare che ad un tempo confidenziale e fraterno, e formale e giuridico. La descrizione stessa si struttura diversamente a seconda se da chiedere un parere circa un fatto avvenuto; una decisione circa un fatto che [ accaduto e che] accadr; una grazia per una vicenda locale; un intervento giudiziario (o meglio giurisdizionale) in una intricata vicenda processuale. Le questioni sottoposte al giudizio del Romano Pontefice a volte sono numerose e riguardano (soprattutto nelle decretali pi antiche) come una lista di argomenti, coagulata precisamente allo scopo di avere un responso. 4. Dispositivo. Riporta la risposta definitiva e precisa al quesito o al problema posto nella consultazione. Trae la conclusione logica sia della prospettazione del caso sia dei principi enunciati come pertinenti al caso. In alcuni casi si tratta di un nuovo principio che viene stabilito come punto di composizione, in un caso concreto, di principi che in s si oppongono. Quasi sempre la risposta alla consultazione accompagnata dalla enucleazione dei principi e delle ragioni che si sono dovute prendere in considerazione per risolvere il problema presentato o per ri-

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spondere al quesito posto. Nel nostro caso sono due: la necessit di consacrare il crisma durante la messa e la sufficienza di una Messa al giorno per ogni sacerdote. 5. Sanzione. Nel caso da noi sopra riportato non si trova, ma in altre decretali presente o richiesta esplicitamente dal tipo di consultazione effettuata o come rafforzamento e tutela del dispositivo cui giunto il Romano Pontefice per una sua esecuzione pronta e fedele. 6. Datazione. Della decretale sopra riportata non si conosce se non estrinsecamente la datazione approssimativa (anni 1216-1226), ma in altri casi la datazione completa di luogo e tempo in cui la decretale stata scritta. Che anzi a volte si rinviene pure lindicazione dellubicazione della medesima decretale nel Registro in cui stata trascritta per poterne conservare il testo pure da parte del mittente. Si pu in conclusione definire decretali in senso proprio le lettere con le quali il Romano Pontefice d risposta ad una consultazione che proviene normalmente da un vescovo (ma pure da altri prelati, presbiteri costituiti in qualche dignit e laici rivestiti di una qualche responsabilit civile) e che ha per oggetto un quesito in materia canonica o disciplinare oppure un appello o un ricorso oppure una richiesta di grazia 6. A questo significato proprio si collega la stessa etimologia del termine decretale, che deriva chiaramente, come aggettivo, da decretum, nellaccezione di cosa decisa (decernere, decretum) 7. Alle collezioni di decretali
Lo stesso. Te referente. Et infra. Poich tutti i sacerdoti, di qualsiasi dignit siano rivestiti, devono contentarsi

Cf ad esempio la definizione di decretale data dalla Summa Elegantius in iure canonico seu coloniensis [1169 circa] l dove si chiede que differentia inter canonem, decretum et decretalem epistolam (cap. 49): ...decretalis epistola dicitur quam summus pontifex ad determinandam ecclesiastice cause dubitationem consultatus rescribit. Cf pure le definizioni date dalla Glossa Ordinaria ai dicta introduttivi alle Distinzioni III e XIX (cit. in STICKLER, Historia iuris canonici, 18, note 2-3). 7 Cf GAUDEMET Jean, Les sources du droit de lglise en Occident du IIe au VIIe sicle, Paris 1985, 58-59. Questa tecnica legislativa richiama da vicino quella dei rescritti imperiali. Limperatore, coi suoi rescritti (risposta scritta), forniva ai suoi funzionari e ai suoi giudici la risposta in diritto alla questione che li poneva in difficolt (ib., 59).

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(sufficiat) di celebrare una sola Messa al giorno, anzi si reputino oltremodo felici se celebrano degnamente anche quella sola. Ora la nostra decisione per te, caro fratello, (fraternitati tuae mandamus) la seguente: cura di celebrare solo nella Cattedrale di Manfredonia, dove sei tenuto a consacrare il crisma nel giorno del Gioved santo 8.

La decretale citata allinizio appare sotto questa forma nel Liber Extra, ossia nella Collezione di Decretali promulgata dal Papa Gregorio IX nel 1234. I mutamenti principali intervenuti dal testo come uscito dalla Cancelleria papale a come stato recepito nella Collezione canonica, sono comuni a tutte le decretali ogni volta che entrano a far parte di una collezione 9. Sono i seguenti. 1. Lindirizzo (o inscriptio, iscrizione) perde il saluto, viene spesso coordinato con le decretali che precedono e viene a volte omesso il destinatario. Lo stesso (Idem) significa che lautore della decretale il medesimo della o delle decretali che precedono (= Onorio III) 10. 2. Vengono conservate le prime due o tre parole della lettera decretale (incipit), che non hanno in s significato compiuto, ma servono solo a identificare la decretale ed a citare la decretale della e nella collezione. Nel nostro caso le parole sono Te referente. Da questa prassi nasce perci luso ancor oggi vigente di citare documenti pontifici con le prime parole, di solito scelte perch indichino gi il tema, lintenzione e lo stile del testo. Cf, ad esempio, le costituzioni che in questo secolo hanno riformato la Curia Romana: Sapienti Consilio (Pio X), Regimini Ecclesiae Universae (Paolo VI) e Pastor bonus (Giovanni Paolo II). 3. Si introduce la locuzione Et infra, che si pu tradurre con E pi avanti. Essa intende rendere avvertito il lettore che il compositore della collezione ha qui omesso una parte considerevole della decretale e riprende la citazione pi avanti nel testo della decretale 11.
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Il testo riportato si trova nel libro III, titolo 41, capitolo 12 del Liber Extra di Gregorio IX [anno 1234]. Non tutte le decretali furono accolte nelle collezioni, anche se queste ultime sono la fonte privilegiata della conoscenza delle decretali, almeno delle pi importanti. Nel concetto di decretali entrano anche quelle lettere decretali che non sono mai state raccolte in collezioni canoniche, ma che sono state riscoperte e conosciute attraverso altre vie. 10 Questo procedimento provoca oggi una notevole difficolt nella esatta identificazione del Romano Pontefice che ha emesso una decretale, in quanto le decretali venivano recepite in successive collezioni, in cui si conservava la iscrizione Idem nonostante lordine delle decretali fosse diverso (cf FRANSEN, Les dcrtales, 28) 11 Luso di porre Et infra non coerente nelle Collezioni canoniche. Non raro infatti il caso in cui esso venga tralasciato. Non viene di solito usato l dove le omissioni riguardano solo poche parole, reputate dallautore della collezione inutili per i fini normativi della collezione stessa.

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La parte di testo che viene omessa con le parole Et infra di solito comprende il preambolo e (parte del)lesposizione, che non interessano il collettore o per s stesse o perch poi riprese sinteticamente nel dispositivo. Non raro il caso in cui la locuzione Et infra indica che della decretale in causa si riporta solo un capitolo, in quanto adatto tematicamente al titolo o sezione della collezione in cui ci si trova, lasciando poi la citazione del/i capitolo/i rimanente/i ad altre parti della collezione. In questo modo avviene la divisione della decretale in pi capitoli, collocati ognuno nella parte tematicamente pi adatta della collezione 12. 4. Viene invece sempre conservato il dispositivo (e la sanzione), omettendo anche qui, a volte, i riferimenti troppo diretti ed abbondanti allesposizione. Il dispositivo diventa in tal modo lelemento qualificante la decretale contenuta in una collezione. 5. Viene sistematicamente omessa la data e il luogo, nonch ogni altro riferimento alla collocazione della decretale in registri o archivi. Tale operazione non applicata in modo unico in ogni epoca ed in ogni collezione. Le prime collezioni, ad esempio, dei secoli V e VI, a carattere prevalentemente cronologico, tendono a riprodurre le decretali cos come sono, introducendo solo a volte la partizione in capitoli. Le ultime collezioni tendono ad introdurre esplicitamente e coscientemente correzioni e modifiche anche nel testo stesso della decretale, in modo da renderlo adatto a situazioni nuove della Chiesa. Il significato di tali operazioni sulle decretali molteplice. A noi qui preme individuare tre aspetti principali. * Le decretali sono raccolte. Le lettere che il Romano Pontefice invia per rispondere ai quesiti postigli non vanno perse n da parte del mittente n da parte del destinatario. Entrambi le conservano o in copia o in originale. Non solo, ma le raccolgono, le fanno conoscere a diocesi o vescovi vicini, ordinano o desiderano che vengano fat-

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A volte, in questi casi, la locuzione Et infra sostituita da p.c. [= pars capituli], posta prima delle due o tre parole con cui inizia la decretale. Cf, ad esempio, il capitolo 1 del titolo 12 del libro I della I Compilatio Antiqua: Alex. III. p.c. Licet praeter. De presbytero...; Alexander III Cantuariensi archiepiscopo, pars capituli Dilecti, in HOLTZMANN, Decretales ineditae, 69.

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te conoscere e diffuse 13 e questo avviene di fatto per un grandissimo numero di decretali. La prima decretale risale alla fine del secolo IV 14. Si incerti sulla sua individuazione. Se infatti si considera di papa Damaso la Lettera ai Vescovi della Gallia, questultima sarebbe la pi antica decretale; se invece la si considera del successore, la prima decretale sarebbe la Lettera di papa Siricio a Imerio, vescovo di Tarragona del 385. Le prime raccolte o collezioni di decretali si avrebbero gi nella prima met del secolo V 15. * Le decretali tendono a ridursi al dispositivo. Allontanate dal contesto storico-geografico concretissimo in cui sono state generate, le decretali sono raccolte per il principio giuridico che affermano e che trova ormai una messe di canonisti ed esperti capaci di interpretarlo e di elaborarlo ulteriormente attraverso sempre pi precisi strumenti interpretativi. Anzi sar la stessa scienza canonica nascente che proceder a mettere in rilevo nelle decretali il principio giuridico affermato. In fondo potremmo considerare i canoni del Codice di diritto canonico come la parte dispositiva delle decretali, ormai purificate da tutti gli altri elementi caduchi. * Le decretali tendono ad assumere maggiore valore giuridico. Il fatto di essere raccolte in collezioni canoniche, che hanno in alcuni casi il riconoscimento di unautorit (a volte quella stessa del Romano Pontefice), che promulga la collezione (a volte come autentica e pure esclusiva), fa lasciare alle decretali raccolte il valore giuridico
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Cf ad esempio la parte finale della Lettera di papa Siricio a Imerio, vescovo di Tarragona, del 385: Ora, caro fratello, ti incitiamo vieppi ad osservare i canoni e le decretali e a far pervenire quanto ti abbiamo rescritto su tue istanze a conoscenza di tutti i nostri confratelli vescovi (e non solo quelli della tua zona): a tutti i vescovi della zona di Cartagine, dellAndalusia, del Portogallo, della Gallia e a quelli delle province confinanti con la tua. Cos farai anche con quanto ti indicheremo autoritativamente in seguito, in occasione delle tue future consultazioni. vero che si sa come non sia lecito ad alcun sacerdote ignorare quanto stabilito dalla Sede Apostolica e dai concili; tuttavia sar alquanto utile e pure di merito per te, se quanto stato scritto in generale per te personalmente (speciali nomine generaliter) giunger per il tramite della tua sollecitudine per lunit (per unanimitatis tuae sollicitudinem) a conoscenza di tutti i nostri fratelli.... 14 noto come le decretali precedenti al secolo IV e contenute soprattutto nelle c.d. Decretali pseudoisidoriane sono dei falsi composti e raccolti allinizio del secolo IX. 15 Cf GAUDEMET, Les sources, 88-91. La esistenza di queste collezioni certa, anche se non sono possedute. Si pu desumere la esistenza (ed anche una qualche strutturazione) dalle collezioni di decretali del VI secolo (cf Collezioni di Freising, di Kln, di Corbie, di Lorsch, di Albi [cf ib., 142-144]), le quali riportano sezioni unitarie di decretali con titolazione propria.

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G. Paolo Montini

del tutto particolare posseduto allorigine, per far loro assumere un valore giuridico pi elevato o pi vasto 16. Il primo passo fu effettuato ponendo insieme nelle collezioni canoniche canoni conciliari (la cui autorit era indiscussa) e decretali, che acquistano cos pari autorit. Laltro passo fu nella qualificazione autonoma di queste collezioni, quali autentiche ed in alcuni casi esclusive. Graziano nella Distinctio 19 affronta esplicitamente la questione se le lettere decretali abbiano forza autoritativa, anche qualora non si trovino in corpore canonum. La risposta definitiva sar duplice: le decretali sono assimilabili (pari iure) ai canoni dei concili (cf dictum ante c. 1, D. 20); le decretali hanno forza giuridica (vis auctoritatis: cf c. 1, D. 19) e vanno annoverate fra gli scritti canonici (cf c. 6, D. 19). Si possono definire decretali in senso lato tutte le lettere del Romano Pontefice contenute in una collezione di testi canonici, ancorch non tutte e singole rispondenti ai requisiti formali di una decretale, soprattutto a quello di essere una risposta in re peculiari 17. Nellambito della scienza del diritto si definiscono decretali per eccellenza lintera collezione nota come Liber Extra, composta da san Raimondo di Peafort e promulgata da Gregorio IX nel 1234. I commentatori di questopera sono detti decretalisti. Limportanza e il rilievo delle decretali e delle loro collezioni dal secolo XII in poi fecero del termine decretali pure il sinonimo di tutto il Diritto canonico. in questo senso traslato che Dante usa il termine, polemizzando sulleccessivo amore al Diritto nella Chiesa del suo tempo, a scapito della lettura della Sacra Scrittura e dello studio dei Padri della Chiesa:
Per questo lEvangelo e i dottor magni Son derelitti, e solo ai Decretali Si studia s, che pare a lor vivagni (Paradiso IX, 133-5).

Mi pare chiaro che si possa condividere lopinione di FRANSEN, secondo cui le collezioni di decretali non possono considerarsi come opera legislativa in senso proprio (cf ID., Les dcrtales, 34-36): i testi raccolti rimangono comunque sempre connotati da un carattere di particolarit che fa sempre esigere per il loro utilizzo lapplicazione di principi interpretativi peculiari. Ci non toglie per che la recezione di una collezione canonica da parte di un vescovo o la promulgazione di una collezione come autentica (e esclusiva), comporti una vera e propria opera normativa, e non semplicemente, come afferma lo stesso FRANSEN, una mera opera di certificazione di autenticit storica dei testi raccolti o una mera autorizzazione alla citazione ufficiale dei medesimi testi canonici riportati. 17 Cf VAN DE WOUW H., Decretalis, in Lexikon des Mittelalters, III, Monaco-Zurigo 1986, ad vocem.

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Il Diritto Canonico dalla A alla Z

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Alle decretali dei nostri giorni Fra i documenti pontifici di questo secolo le Litterae Decretales (= Lettere decretali) sono riservate ai solenni testi per la canonizzazione di Santi, per la ascrizione cio nellAlbo dei Santi di fedeli gi dichiarati in precedenza Beati. Tale denominazione si ha a partire da Pio X 18 ed coerente e continua da Benedetto XV in poi. Pi discontinua invece la forma del documento, che conosce una quindicina di varianti in poco meno di un secolo, stando almeno alla rivista ufficiale della Santa Sede, cio ad Acta Apostolicae Sedis. La struttura del documento si compone dei seguenti elementi. 1. Intitolazione. prevalente la formula seguente: Ioannes Paulus Episcopus. Servus servorum Dei. Ad perpetuam rei memoriam (cf ad esempio AAS 84[1992] 561 del 9 dicembre 1990). A volte la intitolazione appare anche sotto la forma Ioannes Paulus PP. II. Ad perpetuam rei memoriam (cf AAS 82[1990] 929 del 9 aprile 1989; ib., 80[1988] 1375 del 6 maggio 1984) 19. 2. Testo. Si nota in questi ultimi anni una contrazione notevole del testo, che appare sempre pi breve. Vi sono Lettere decretali che non raggiungono tre pagine della rivista (cf, ad esempio, AAS 83[1991] 169-171 del giorno 11 dicembre 1988). Allinizio secolo le Lettere decretali erano di media sulla decina di pagine (cf, ad esempio, AAS 28[1936] 185-204 del 19 maggio 1935). 3. Escatocollo 20. Si compone della datazione, delle sottoscrizioni e di varie note. Il Romano Pontefice sottoscrive con la formula EGO (o Ego) IOANNES PAULUS Catholicae Ecclesiae Episcopus. Segue la rota. Gi presente nei pi solenni documenti pontifici dal secolo XI, contiene tra due circonferenze concentriche il motto del Romano Pontefice regnante ed una crocetta; il centro, diviso in

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Delle quattro canonizzazioni di Pio X, le prime due (4 dicembre 1904) avvengono attraverso Litterae Decretales (cf ASS 39[1906]390. 405), le altre due (20 maggio 1909) attraverso semplici Litterae Apostolicae (cf AAS 1[1909] 605. 637), come daltronde era prassi comune e costante fino a Leone XIII (cf ad esempio ASS 36[1903-4] 257. 641). 19 Non sembra concepibile se non come un errore di pubblicazione la assenza completa di titolazione che appare nelle Lettere decretali del 12 novembre 1989 (AAS 83[1991]113); del 9 ottobre 1977 (ib., 70[1978]224); del 19 giugno 1977 (ib., 217); del 23 gennaio 1977 (ib., 69[1977]193); del 3 ottobre 1976 (ib., 129); del 14 settembre 1975 (ib., 68[1976]689); del 12 ottobre 1975 (ib., 69[1977]65). 20 Cf RABIKAUSKAS PAULUS, Diplomatica pontificia (Praelectionum lineamenta), Roma 1987, passim.

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quattro parti, contiene sia il nome dei santi Pietro e Paolo sia il nome del Romano Pontefice. Fino al 1970 seguivano le sottoscrizioni dei Cardinali presenti in Curia, come pure varie firme di natura notarile. Lultima Lettera decretale a riportarle fu quella del 25 ottobre 1970 (in AAS 64[1972] 257-269). Segue la indicazione Loco + plumbi, che sta ad indicare lapposizione del sigillo di piombo, che d poi il nome di bolla al documento pontificio. Non poche Lettere decretali mancano di questa indicazione (cf AAS 82[1990] 1365-1367 del 1 novembre 1989; ib., 929-932 del 9 aprile 1989; ib., 83[1991] 169-171 del giorno 11 dicembre 1988; ib., 68[1976] 97-106 del 25 maggio 1975; ib., 44[1952] 553565 del 24 giugno 1951). Si possono definire decretali in senso moderno le lettere del Romano Pontefice con cui vengono stabiliti gli onori degli altari, come santi, per fedeli gi dichiarati beati. MONTINI GIAN PAOLO Via Bollani, 20 - 25123 Brescia

Hanno collaborato a questo numero: DON EGIDIO MIRAGOLI Docente di Diritto canonico nel Seminario diocesano di Lodi MONS. PIER GIORGIO MICCHIARDI Vescovo Ausiliare di Torino FRA PIER MARIO DA SONCINO Licenziato in Diritto canonico DON MASSIMO CALVI Docente di Diritto canonico nel Seminario diocesano di Cremona PADRE VINCENZO MOSCA Licenziato in Diritto canonico DON PAOLO BIANCHI Giudice del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo DON GIAN PAOLO MONTINI Docente di Diritto canonico nel Seminario diocesano di Brescia

QUADERNI DI DIRITTO ECCLESIALE

SOMMARIO
233 Editoriale 236 Le situazioni matrimoniali irregolari e difficili 249

PERIODICO TRIMESTRALE ANNO VI N. 3 - LUGLIO 1993


DIREZIONE ONORARIA

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di G. Paolo Montini I divorziati risposati possono assumersi delle responsabilit nella vita della Chiesa? di Gianni Trevisan I divorziati risposati in un recente documento della Chiesa in Francia di Raymond L. Burke Nullit di matrimonio non dimostrabili. Equivoco o problema pastorale? di Paolo Bianchi Commento ad un canone. Il primo canone del Codice di Jean Beyer Lidentit degli Istituti secolari nel Codice di Diritto Canonico di Vincenzo Mosca Il diritto pubblico ecclesiastico: una disciplina canonistica tra passato e futuro di Giuseppe M. Siviero Bibliografia di mons. Francesco Coccopalmerio

Jean Beyer, S.I.


DIREZIONE E REDAZIONE

Francesco Coccopalmerio Paolo Bianchi - Massimo Calvi Egidio Miragoli - G. Paolo Montini Silvia Recchi - Carlo Redaelli Mauro Rivella Giangiacomo Sarzi Sartori Gianni Trevisan Tiziano Vanzetto - Eugenio Zanetti
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Editoriale

I divorziati risposati sanno che il matrimonio indissolubile e leggono la propria situazione come unesclusione. Ecco la necessit perci di ricordare loro che continuano ad essere membri della Chiesa in forza del battesimo, e di favorire in loro la scoperta di quel cammino di vita cristiana che si apre proprio per loro. [...] La situazione si evolve positivamente se si permette loro di inserirsi nelle attivit della comunit parrocchiale, poich in tal modo toccano con mano che conservano un posto nella vita e nella missione della Chiesa. E ci sono difatti attivit che non toccano la loro situazione matrimoniale: le attivit caritative e ricreative, ad esempio. [...] I parroci ed i consigli pastorali devono essere attenti e aperti a offrire iniziative che possano attagliarsi per questi fedeli. Cos i Vescovi francesi affrontano il problema pastorale dei divorziati risposati in un recente documento. Sono coscienti che lo sforzo principale della Chiesa devessere non gi quello di escluderli (gi spessissimo per conto proprio si escludono dalla vita della Chiesa!), quanto piuttosto di far loro comprendere il nuovo posto che occupano nella medesima, di cui la astensione dallEucaristia solo uno degli aspetti, ben lungi per dallesaurire la loro posizione nella Chiesa. In questo spirito si intende affrontare un tema tanto spinoso e difficile per i pastori danime, stretti fra la sofferenza di questi fedeli e la propria avvertita incapacit (almeno apparente) di prestare loro un aiuto che sia efficace. Si voluto anzitutto fare chiarezza sulla posizione della Chiesa, e della Chiesa in Italia, sulla pastorale per le situazioni matrimoniali irregolari e difficili (Montini), certi che il pri-

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Editoriale

mo contributo alla soluzione pastorale dei problemi ecclesiali la lettura precisa e serena dei pronunciamenti della Chiesa, al di fuori di pressapochismi o di sentito-dire, magari per il tramite dei mass-media. In seguito si voluto passare in rassegna i ministeri e le attivit che rimangono accessibili nella Chiesa ai divorziati risposati (Trevisan), enucleando in una materia molto fluida e incerta alcuni principi cui il pastore danime possa attenersi nel valutare la possibile inserzione di tali fedeli nellattivit pastorale. Lattenzione si poi spostata sulla Chiesa in Francia (Burke), in quanto tale Chiesa soffre da pi tempo ed in forme pi accentuate (come daltronde altre Chiese) del fenomeno dei divorziati risposati, ed in essa si manifestano in modo vistoso proposte pastorali, a volte censurabili, di accoglienza verso questi fedeli. Il recente documento dei Vescovi francesi presenta un modo particolare di affrontare la problematica. Con un ultimo articolo (Bianchi) si voluto rispondere allimpegnativo quesito posto da coloro che (forse, per la verit, in modo un po confuso ed affrettato) ipotizzano per (almeno alcuni) divorziati risposati una soluzione di foro interno o di coscienza, presupponendo presente, ma indimostrabile in foro esterno (ossia secondo la procedura canonica) la nullit del primo matrimonio (ossia quello fallito). Nella parte dedicata ad articoli di vario argomento, la rubrica Commento a un canone affronta il primo canone del Codice (Beyer), mettendo in rilievo non tanto la destinazione esclusiva del Codice ai fedeli della Chiesa latina, quanto piuttosto il nuovo significato assunto da questo canone dopo la promulgazione (18 ottobre 1990) del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Segue la seconda parte dellarticolo che presenta in modo completo tutta la normativa codiciale sugli Istituti secolari (Mosca), tenendo conto pure dellesperienza ormai consolidata in questo settore, che permane comunque agli inizi del suo sviluppo. La nostra Rivista propone poi la prima parte di un articolo che tratta del Diritto Pubblico Ecclesiastico (Siviero). Nonostante la tecnicit dellargomento e dellimpostazione, il tema riveste senzaltro un interesse speciale sia per tutti coloro che si sono formati sulla dottrina preconciliare della Chiesa societas perfecta ed ora intendono conoscerne criticamente lorigine, il significato, il valore e il destino; sia per coloro che formati dopo il Concilio alla nuova dottrina conciliare della libertas Ecclesiae, intendono scoprirne i prodromi.

Editoriale

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Viene proposta infine la bibliografia canonistica di Mons. Coccopalmerio, annunciata nel fascicolo precedente in occasione della sua elevazione alla dignit vescovile. Oltre ad essere omaggio ad un membro della nostra redazione, intende fornire ai lettori un itinerario canonistico di letture e di studio su argomenti che sempre attingono sia dalla tradizione canonica sia dalla attualit ecclesiale.

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Le situazioni matrimoniali irregolari e difficili


Tutta la chiarezza possibile in una pastorale difficile
di G. Paolo Montini

Lo scopo del presente articolo modesto. Intende semplicemente leggere la nota pastorale dei Vescovi Italiani del 1979 sulle situazioni matrimoniali irregolari 1 [in seguito: Nota pastorale]. Le ragioni di tale lettura sono molteplici e mi limiter ad indicare le principali. Il tema dei divorziati risposati, e pi in generale delle situazioni matrimoniali irregolari, di vivissima attualit sia nella pastorale concreta, come anche nel dibattito sulla pastorale. Non sempre le posizioni appaiono condivisibili. In tale contesto non assolutamente scontato leggere con attenzione i documenti della Chiesa che intendono affrontare con autorevolezza e acribia questo argomento. Una lettura mancata, o anche solo parziale oppure affrettata, di questi testi pu portare sia nei pastori danime sia nelle discussioni di pastorale ad errori grossolani, ad equivoci perniciosi e pure ad accuse infondate, nonch a prassi pastorali non sorrette, non dico da principi sani, ma da conoscenze sufficienti e adeguate.

Si tratta di una Nota [sic] pastorale elaborata dalla Commissione Episcopale per la Famiglia in collaborazione con la Commissione per la Dottrina della Fede, la Catechesi e la Cultura. La pubblicazione avvenne il 26 aprile 1979 e fu autorizzata dal Consiglio Permanente della CEI, che nella sessione di gennaio aveva esaminato la bozza del documento, presentata ed illustrata da Mons. Pietro Fiordelli, ed aveva autorizzato a procedere alla rifusione della bozza, secondo le indicazioni emerse. Il testo fu pubblicato ufficialmente nel Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, 1979, 66-84, con il titolo: La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari o difficili. Per il suo iter di approvazione e per la materia trattata, non rientra fra i documenti normativi della Conferenza Episcopale.

Le situazioni matrimoniali irregolari e difficili

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E ci vale sia per coloro che intendono proporsi come rigidi osservanti dellortodossia sia per coloro che suppongono di proporre iniziative coraggiose o di essere portatori di idee innovative. La scelta della Nota pastorale dei Vescovi Italiani del 1979 giustificata a partire dal fatto che stata emanata dai Pastori delle nostre Chiese particolari e tiene presente in modo particolare la situazione ecclesiale e civile italiana; che riguarda esclusivamente e complessivamente questa materia, per la quale stata pubblicata; che si raccomanda per la accuratezza con cui viene affrontato il problema, sia sul versante pastorale sia su quello teologico. Conformemente a questa analisi landamento dellarticolo avr carattere esclusivamente didattico, intendendo proporre in modo chiaro e schematico la posizione dei Vescovi italiani sulle situazioni matrimoniali irregolari, limitando al necessario sia le osservazioni critiche sia i richiami ad altri documenti della Chiesa universale su questo argomento. Terminologia Chi si trova in situazione matrimoniale irregolare? Sono indicate nel documento tre categorie di persone: 1. I divorziati risposati. la categoria di persone cui il documento presta maggiore attenzione (come risulta pure dal titolo della Nota pastorale) ed quella meglio identificabile. La trattazione del documento si incentra su questi ed in altri casi analoghi applica i principi per questi enucleati. Sono quei cattolici che, contratto validamente un vincolo matrimoniale ed in permanenza di questo vincolo, hanno attentato un nuovo matrimonio ed in esso vivono. Tale situazione viene a crearsi di solito attraverso la sentenza, emessa dallo Stato, di divorzio (o di cessazione degli effetti civili, nel caso di un matrimonio concordatario) e la (pretesa) contrazione di un nuovo vincolo matrimoniale, attraverso il c.d. matrimonio civile. Sono per nella medesima situazione dei divorziati risposati e ad essi equiparati coloro che, tralasciato comunque un precedente vincolo matrimoniale valido, vivono di fatto una convivenza (che appare) matrimoniale, sia stata essa sancita o no da una formalit civile.

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G. Paolo Montini

2. I conviventi. Si tratta dei cattolici che, senza avere alle spalle alcun vincolo matrimoniale valido, simulano lo stato matrimoniale, condividendo tetto, mensa e letto, comunanze tipicamente matrimoniali, ma cui non soggiace nel caso alcun vincolo matrimoniale. Sono equiparati in tutto a costoro quei cattolici che hanno alle spalle una convivenza basata solo sul c.d. matrimonio civile e poi, lasciata comunque questa esperienza, convivono ora solo in una relazione di fatto. essenziale per questa categoria lassenza di qualsiasi precedente matrimonio valido e lassenza di qualsiasi formalit, anche solo civile, che ratifichi la loro convivenza. 3. Gli sposati solo civilmente. Sono quei cattolici che convivono senza avere alle spalle alcun matrimonio valido e fondando la loro attuale convivenza sulla sola formalit della celebrazione di un rito matrimoniale pubblico di fronte allo Stato. Chi si trova in situazione matrimoniale difficile? 1. I separati. Sono quei cattolici che, in costanza di un vincolo matrimoniale valido, hanno interrotto la convivenza matrimoniale e non condividono pi col proprio coniuge tetto, mensa e letto. Meraviglia che la Nota pastorale, in genere molto attenta e scrupolosa, accenni in modo del tutto indiretto alla competenza della Chiesa nel costituire o dichiarare la separazione fra i coniugi, a norma del diritto (cf cc. 1128-1132 del Codice piano-benedettino e cc. 1151-1155; 1692-1696 del Codice vigente). La separazione infatti non decisione autonoma dei coniugi (cf invece il n. 42c della Nota pastorale), ma soggiace a criteri oggettivi determinati dalla Chiesa ed al giudizio della medesima (anche se, a volte, demandato materialmente ai tribunali civili) 2. La ragione di tale trascuratezza si pu rinvenire nella preoccupazione pastorale della Chiesa catalizzata da situazioni pi gravi (vedi il divorzio). Non si dovrebbe per dimenticare il noto principio di saggezza che situazioni pi gravi possono esAllepoca della pubblicazione della Nota pastorale vigeva la delega generale alla giurisdizione dello Stato italiano della competenza sulle cause di separazione per i matrimoni concordatari (cf art. 34 ult. cpv. del Concordato Lateranense). Nel silenzio dellAccordo di revisione di quel Concordato e sulla scorta del n. 55 del Decreto generale della CEI sul matrimonio canonico e del Codice vigente, la competenza sulle cause di separazione matrimoniale non appare sostanzialmente mutata.
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Le situazioni matrimoniali irregolari e difficili

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sere prevenute insistendo sul rispetto di norme che attengono a situazioni meno gravi, ma preventive di mali peggiori (cf daltronde il n. 43 della medesima Nota pastorale). 2. I divorziati. Sono quei cattolici che, in costanza di un vincolo matrimoniale valido, hanno interrotto la convivenza, ricuperando la possibilit di contrarre un altro matrimonio di fronte allo Stato, ma non hanno finora di fatto approfittato di tale possibilit. La Nota pastorale distingue puntigliosamente fra varie tipologie di divorziati a seconda della loro partecipazione allottenimento del divorzio. V infatti chi si oppone al divorzio, chi lo subisce, chi lo richiede ed ottiene. Nessuna di queste posizioni in se stessa possiede rilevanza (per il nostro argomento) e una significazione univoca: v infatti chi si oppone al divorzio unicamente per ottenere dalle more del giudizio maggiori vantaggi economici, come vi pu essere chi, abbandonato di fatto dal coniuge, chiede il divorzio per scindere anche pubblicamente ogni responsabilit economica. Qual la differenza fra situazioni matrimoniali irregolari e situazioni matrimoniali difficili? La differenza essenziale. Mentre coloro che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari sono in uno stato oggettivamente contrario alla legge della Chiesa, coloro che si trovano in situazioni matrimoniali difficili si trovano solo nel pericolo di cadere in uno stato oggettivamente contrario alla legge della Chiesa. La terminologia della Chiesa mutata in questambito. Perch? Chi certo ricorda la condanna del Vescovo di Prato per aver denominato nel 1956 pubblici concubini due persone sposate solo civilmente 3, non pu non chiedersi donde vengano queste nuove denominazioni con cui sono individuati coloro che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari 4.
Cf sulla vicenda ROSA Luigi, Il caso di Prato e il processo di Firenze, in Aggiornamenti sociali 9 (1958) 193-208bis. 265-280. 4 Anche nella Nota pastorale vi una ampia fluttuazione nella terminologia, che certo non giova n alla chiarezza dottrinale n alla chiarezza del discorso.
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E non si pu non riconoscere che provengano dallesperienza civile odierna. Ci riveste daltronde un grave pericolo, analogo al pericolo che proviene dalla legislazione civile odierna. Le parole non sono mai innocenti modi di denominare le cose per riconoscerle convenzionalmente; modificano la mentalit e rendono spesso la gente impermeabile a comprendere nuovi messaggi. La ragione principale che ha portato la Chiesa ad accettare queste nuove denominazioni, distinguendo fra situazioni di vita, tra loro notevolmente varie, consiste nella volont di riconoscere eventuali aspetti parzialmente positivi che in esse si trovano... incoraggiare gli sforzi operati in sincerit anche se spesso solo incompleti (n. 34b; cf poi specialmente i nn. 38d e 40b della Nota pastorale). Forse per questa preoccupazione pastorale la Nota pastorale sembra assumere in alcuni passi una terminologia almeno discutibile 5. Non si potr comunque mai approvare una terminologia che confonda, equiparando il valido vincolo matrimoniale con le apparenze del medesimo. Qual la posizione ecclesiale di coloro che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari? 1. Non sono scomunicati. La scomunica, infatti, quale pena medicinale o censura che la Chiesa irroga nei casi pi gravi per spingere i cristiani alla conversione, non prevista per coloro che sono in situazioni matrimoniali irregolari. N si pu ritenere che la posizio-

Anche se prevalente il riferimento a situazioni matrimoniali irregolari e/o difficili, da cui viene isolato il caso pi difficile dai divorziati risposati, a volte si parla di situazioni matrimoniali disordinate (n. 13; cf pure n. 18), unioni matrimoniali irregolari o difficili (n. 14a), situazioni matrimoniali che non si configurano come regolari e legittime, o che, comunque, suscitano particolari problemi morali e religiosi (n. 34a). A volte si ricorre addirittura alla prassi di porre tra virgolette quei termini matrimoniali che solo impropriamente sono applicati per coloro che vivono ununione senza il valido vincolo canonico: cf coniuge (n. 40a), coniugale (n. 40c). 5 Si vedano ad esempio le varie espressioni usate ad indicare il passaggio da ununione matrimoniale irregolare al vincolo matrimoniale valido: spianando cos la strada verso la regolarizzazione del loro stato (36c); di fronte alla richiesta di cattolici, sposati solo civilmente, di regolarizzare la loro posizione (n. 39a); ai quali nulla proibisce di regolarizzare la loro posizione o di sposarsi anche religiosamente (n. 53); sistemare [sic], per quanto possibile, la loro posizione (n. 53); perch si regolarizzi la loro situazione coniugale (n. 55). Eppure in questi casi la Nota pastorale aveva preavvertito che non si poteva procedere in forma sbrigativa e quasi burocratica come se si trattasse di una mera sistemazione di una situazione anormale (n. 39a).

Le situazioni matrimoniali irregolari e difficili

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ne della Chiesa nei loro confronti equivalga ad una punizione (cf n. 31b). 2. Sono tuttora nella Chiesa e in comunione con essa: i divorziati risposati sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio (n. 16 b); e non solo, come sembra affermare la Nota pastorale, in forza del battesimo che imprime il carattere indelebile di membri del corpo di Cristo che la Chiesa e in forza di una fede non totalmente rinnegata (n. 16b): questo vale anche per qualsiasi scomunicato. Piuttosto in forza dei molteplici vincoli che, anche oltre il battesimo e la fede, permangono fra i divorziati risposati e la Chiesa. Se infatti la piena comunione con la Chiesa costituita dal triplice vincolo, di fede, cio, di sacramenti e di pastori, che tutti i fedeli unisce (cf LG 14), i divorziati risposati non differiscono quanto ad inserimento nella Chiesa dagli altri cristiani. Permangono perci tuttora in seno alla Chiesa, che li considera ancora come suoi figli, anzi li invita e li incoraggia ad una vita cristiana ancora pi intensa. 3. Non sono nella pienezza della comunione ecclesiale (cf n. 16b). La mancata pienezza della comunione ecclesiale qui non dipende perci dalla carenza di uno o pi vincoli che costituiscono la comunione e incorporano alla Chiesa. Si tratta piuttosto di una mancanza di piena comunione nella linea manifestativa pi che costitutiva della stessa comunione. La mancata possibilit di accedere alla comunione eucaristica infatti non pu non configurare una diminuzione nella pienezza di comunione. Perch non possono partecipare alla comunione eucaristica? questo laspetto pi conosciuto e ripetuto 6, pi appariscente e che attira di pi lattenzione dei pastori danime, come pure della opinione pubblica.
I documenti del Magistero sono concordi su questa esclusione. Cf recentemente e tra i pi autorevoli: COMMISSIO THEOLOGICA INTERNATIONALIS, documento La sacramentalit du mariage chrtien. Seize thses de christologie sur le sacrement de mariage, 1-6 dicembre 1977 [testo di MARTELET G., approvato in forma generica], n. 12, in Enchiridion Vaticanum VI, Bologna 1980, n. 474; ID., documento Foedus matrimoniale. Propositiones de quibusdam quaestionibus doctrinalibus ad matrimonium christianum per tinentibus, sessio 1967 (1-6 dicembre), n. 5.3, ibidem, n. 508; GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981, n. 84; ID., Esortazione apostolica postsinodale Reconciliatio et paenitentia, 2 dicembre 1984, n. 34.
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1. Perch non possono ricevere la assoluzione sacramentale. la risposta che la Nota pastorale fornisce in pi punti. La argomentazione consta qui di tre passaggi logicamente legati. Il primo attiene alla proibizione per chi conscio di essere in peccato grave di mangiare il corpo e bere il sangue del Signore senza riconciliazione sacramentale (cf n. 27a; cf. al n. 27b la citazione di 1 Cor 11, 7-29; cf pure il c. 916). Il secondo attiene alla necessit, per la riconciliazione sacramentale, che vi sia il distacco dai propri peccati (confessati) e quindi il proposito di non pi commettere peccati. La conversione necessaria per la riconciliazione esige che il peccatore penitente dica non solo mi pento del mio peccato, ma anche propongo di non commetterlo pi, secondo lesplicito appello di Cristo: Va e non peccare pi (Gv 8, 11). Ma un simile proposito di fatto assente quando i divorziati risposati continuano a rimanere in una condizione di vita che contraria alla volont del Signore (n. 26d). In altre parole, dato il perdurare di ununione che non nel Signore (cf n. 26b), mancherebbe, per definizione, nei divorziati risposati la volont di conversione, che si identificherebbe con linterruzione della convivenza e pertanto con la cessazione della loro situazione matrimoniale irregolare. Il terzo la conclusione logica dei primi due: vista la impossibilit di accedere al sacramento della Riconciliazione, permanendo nella situazione matrimoniale irregolare, ne segue la esclusione dal sacramento della comunione. Una siffatta argomentazione, ancorch stringente, non riesce per a rendere completamente ragione della proibizione, che colpisce coloro che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari, di accedere alla comunione eucaristica. Infatti questa argomentazione vale finch ci si ponga su un piano rigorosamente morale: Chi consapevole di essere in peccato grave... non comunichi al Corpo del Signore senza premettere la confessione sacramentale (c. 916). Mi pare che lo slittamento sul piano morale 7 non contribuisca molto alla chiarezza del discorso e forse sarebbe pi opportuno mantenersi sulla costante attenzione alla situazione, alla condizione di vita, allo stato matrimoniale in cui ci si trova.
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Cf, ad esempio, il n. 31c che parla di reale situazione di disordine morale; cf pure il n. 34b.

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Di ci probabilmente conscia la stessa Nota pastorale se, ancor prima, pone unaltra motivazione e principale. 2. Perch il loro stato oggettivamente contrario al Vangelo (cf n. 16). La loro condizione di vita in contrasto con il Vangelo, che proclama ed esige il matrimonio unico e indissolubile: la loro nuova unione non pu rompere il vincolo coniugale precedente, e si pone in aperta contraddizione con il comandamento di Cristo... Se la comunit cristiana vive in profondit le esigenze della fede, non pu non sentire il divorzio e il nuovo matrimonio civile come gravemente contrastanti con le indicazioni del Vangelo... (nn. 16a. 17a). Coerentemente con questa qualificazione i divorziati risposati non potranno essere ammessi alla comunione. La celebrazione sacramentale il momento vertice nel quale la Chiesa attua la sua missione di annunciare il Vangelo edificando la comunit dei credenti... Come pu, allora, la Chiesa offrire i sacramenti di Cristo ai divorziati risposati, senza cadere nella contraddizione di celebrare i misteri dellunit della fede cristiana tollerando uno stato di vita in contrasto con il Vangelo del Signore e quindi con la fede stessa della Chiesa? (nn. 25a. 25c). Tale considerazione (esclusivamente) oggettiva della situazione matrimoniale irregolare rende ragione di una fra le principali (ma non unica) 8 motivazioni della normativa della Chiesa a loro riguardo: La Chiesa non pu ingannare i fedeli e tradire la propria missione di evangelizzazione e salvezza: con una prassi pastorale che accomunasse nella celebrazione sacramentale coniugi legittimi e divorziati risposati, tanti non comprenderebbero pi il motivo per cui il divorzio un male, e cos la situazione del battezzato che ha ottenuto il divorzio ed passato a nuove nozze civili, finirebbe per essere ritenuta ammissibile e lecita (n. 32). Anzi la sofferenza sia di coloro che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari sia della Chiesa, mentre conserva limpido il cammino indicato dal Vangelo, pu diventare forza spirituale capace di sostenere altri fratelli di fede nei momenti di crisi, perch non cedano alla tentazione di ricorrere al divorzio e di passare al matrimonio civile (n. 33a).
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inesatto sostenere che lunica ragione addotta attiene allo scandalo che conseguirebbe dallammissione dei fedeli in situazioni matrimoniali irregolari alla comunione. Vi prima una contraddizione interna nel dare il segno pi intenso della comunione con Cristo a chi si trova in una situazione oggettivamente contraria alla vita, pensiero e lo stesso essere del Signore come sposo della chiesa (COMMISSIO THEOLOGICA INTERNATIONALIS, La sacramentalit, n. 12); poi una contraddizione esterna, nellinsegnare contemporaneamente indissolubilit (con le parole) e dissolubilit (con la prassi) del matrimonio.

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A quali condizioni si possono ammettere dei divorziati risposati al sacramento della (confessione e della) comunione eucaristica? Da quanto si venuti dicendo potrebbe apparire che lunica risposta alla questione proposta consista nella cessazione della convivenza matrimoniale che ha seguito il divorzio (ed il nuovo matrimonio), ossia nella cessazione della situazione matrimoniale irregolare. E di fatto la Nota pastorale riconosce che non mancano casi nei quali i divorziati risposati si lasciano illuminare dalle esigenze del Vangelo e guidare dallintervento pastorale della Chiesa, fino a decidersi di reimpostare la propria vita secondo la volont del Signore (n. 28a). Non si pu passare sotto silenzio, anche se la Nota pastorale non d quel rilievo che essa meriterebbe, unaltra possibile risposta: esaminare con cura se il primo matrimonio sia invalido (n. 20). Nel caso di fondato motivo per linvalidit sar dovere del pastore danime invitare linteressato a rivolgersi al Tribunale ecclesiastico, al fine di vedersi eventualmente riconosciuta la nullit del primo matrimonio. Tale eventualit permetterebbe di togliere di mezzo alla radice la situazione matrimoniale irregolare. Non si insister mai a sufficienza nel ricordare ai pastori danime lappartenenza di tale attenzione alla pastorale matrimoniale Per i casi in cui tali soluzioni appaiono impossibili, la Nota pastorale indica le condizioni, adempiute le quali, anche dei divorziati risposati, che rimangano tali, possono accedere al sacramento (della Riconciliazione e della) comunione eucaristica. Esse sono le seguenti: pentimento sincero; giusta causa; impegno di interrompere la reciproca vita sessuale, ed in particolare i rapporti coniugali; impegno di trasformare in amicizia, stima e aiuto vicendevoli la loro convivenza matrimoniale; richiesta della comunione eucaristica in una chiesa ove non siano conosciuti, per evitare lo scandalo (cf n. 28b). Ci si pu porre, di fronte a questa indicazione autorevole, la domanda seguente: in questo caso i Vescovi hanno enucleato con coe-

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renza, per una circostanza determinata, delle condizioni che rispettano tutti i principi in gioco nella normativa generale? Limpressione prevalente che si tratti precisamente di una concessione pastorale, se si esaminano con attenzione le condizioni proposte. Le giuste cause che possono far procedere in questa concessione possono essere principalmente let avanzata o la malattia di uno o di ambedue, la presenza di figli bisognosi di aiuto e di educazione (n. 28b). Non la semplice astensione dai rapporti coniugali che d diritto ad accedere alla comunione: richiesta ulteriormente una ragione proporzionata, che avvicina tale concessione ad una sorta di favore o dispensa. Limpegno di vivere in piena continenza, cio di astenersi dagli atti propri dei coniugi 9, devessere serio, ossia sorretto dalla certezza morale di poterlo mantenere, con la grazia di Dio e la messa in opera di mezzi adatti alluopo. Dato per che non viene messo in opera lo strumento principe per evitare il pericolo prossimo di venir meno al proprio impegno (e questo strumento sarebbe appunto la interruzione della convivenza) e daltro canto non si pu esigere di pi della certezza morale, tale assunzione di impegno non potr escludere la possibilit (e la prevedibilit) che vengano posti atti coniugali. Il discorso qui non pu che essere rigorosamente a pari con quello di chi, confessandosi di una relazione adulterina, richiesto di non commettere pi peccato. Non agevole comprendere che cosa richieda di ulteriore la terza condizione (impegno di trasformare in amicizia, stima e aiuto vicendevoli la loro convivenza matrimoniale) rispetto alla seconda (interruzione dei rapporti coniugali). Tanto vero che nella Esortazione apostolica Familiaris consortio si prescinde da questa indicazione, o meglio si identificano queste due condizioni (cf n. 84e). Lultima condizione si riduce poi ad evitare lo scandalo, secondo i principi generali che reggono la normativa canonica. oltremodo significativo, infatti, che tale condizione sia dimenticata dalla Esortazione apostolica Familiaris consortio (cf n. 84e). La richiesta perci di comunicarsi in una chiesa ove non siano conosciuti sola-

GIOVANNI PAOLO II, Omelia alla chiusura della VI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 25 ottobre 1980, in Acta Apostolicae Sedis 72 (1980) 1082.

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mente indicativa del modo concretamente pi comune per evitare lo scandalo, ma pu essere sostituita da altre prassi che comunque raggiungano lo stesso fine, quello cio di evitare lo scandalo. Si prenda, ad esempio, lanonimato che domina in certe parrocchie di citt o di periferia; una catechesi sistematica e precisa su questa normativa pastorale specifica, la canizie dei divorziati ecc. E gli altri che si trovano in situazione matrimoniale irregolare? Si tratta dei conviventi e degli sposati solo civilmente. Per costoro non vi pu essere accesso n alla Riconciliazione sacramentale n alla comunione eucaristica. Sono in questo equiparati ai divorziati risposati. Non per previsto per loro il verificarsi delle condizioni di cui sopra per accedere alla comunione eucaristica. Ci dipende dal fatto che il loro stato matrimoniale pu essere regolarizzato attraverso la celebrazione sacramentale oppure attraverso la convalidazione o la sanazione in radice. Non loro richiesto di lasciare la convivenza, ma di farla riconoscere come valida, ratificarla, di fronte alla Chiesa, convertendola in vincolo matrimoniale valido ed in sacramento. Solo nelle more di tale procedura pensabile la applicazione a costoro delle stesse condizioni per laccesso alla comunione eucaristica dei divorziati risposati. E per gli altri che si trovano in situazioni matrimoniali difficili? Sono i separati e i divorziati non risposati. Non trovandosi costoro in situazione matrimoniale irregolare, possono accedere sia al sacramento della Riconciliazione sia al sacramento della comunione eucaristica. La Nota pastorale sembra qui porsi su una posizione rigoristica, in quanto enuncia pure in questi casi delle condizioni perch costoro possano accedere ai sacramenti. Nel caso dei separati si richiede che mantengano viva lesigenza di perdono propria dellamore e la disponibilit ad interrogarsi per agire di conseguenza sulla opportunit o meno di riprendere la vita coniugale (n. 45).

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Tali condizioni, nel senso proprio di condizioni, non possono essere poste nel caso di separati con sentenza giudiziale n di separati che comunque hanno subito la separazione 10. Nel caso di divorziati, che abbiano chiesto ed ottenuto il divorzio, si richiede il pentimento sincero e la riparazione del male compiuto (cf n. 48b). In particolare, perch possa ricevere il sacramento della riconciliazione, il semplice [sic] divorziato deve far consapevole il sacerdote che egli, pur avendo ottenuto il divorzio civile, si considera veramente legato davanti a Dio dal vincolo matrimoniale e che ormai vive da separato per motivi moralmente validi, in specie per linopportunit o anche impossibilit di una ripresa della convivenza coniugale (n. 48c). Come si vede la problematica si fa esclusivamente penitenziale. E ancora penitenziale il caso in cui cattolici considerino pubblicamente e manifestamente come uno stato di libert matrimoniale assoluta, ossia come vero e proprio scioglimento dal precedente vincolo matrimoniale valido, il proprio divorzio o la propria separazione. Il caso pu sembrare pi da manuale, che reale, dato che normalmente non solo non agevole, ma non neppure comune, che un separato o un divorziato, manifesti pubblicamente la propria (presunta) libert di stato. Si potrebbe considerare come rientrante in questa categoria il caso di un divorziato che abbia gi pubblicamente annunciato il suo nuovo matrimonio (c.d. civile) con unaltra persona. In tal caso il confessore non potr impartire lassoluzione sacramentale, ma siamo ormai di nuovo in ambito penitenziale. Conclusione La Nota pastorale dei Vescovi italiani non poteva avere direttamente motivazioni didattiche, pur in una fondamentale chiarezza di stile e di linguaggio. Certamente per appare, da quanto si detto, lopportunit di distinguere accuratamente quanto compete in essa allambito giuri10

Se pu essere prospettato un caso in cui queste condizioni possono essere richieste per lassoluzione sacramentale, potrebbe essere quello di un coniuge, il quale si allontanato dalla convivenza matrimoniale per propria colpa e, qualora ritornasse, sarebbe accolto dalla comparte, senza pregiudizio per il bene della famiglia. Ma qui saremmo non pi in un ambito di situazione matrimoniale irregolare, con le sue caratteristiche, ma in una problematica concernente il sacramento della confessione.

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dico, quanto allambito pastorale e quanto allambito penitenziale. Questi ambiti infatti, ancorch fra loro connessi e richiamantisi a vicenda soprattutto in una visione complessiva della realt, possiedono principi e dinamiche proprie attraverso cui si sviluppano e con i quali si rapportano ai problemi. Ogni passo verso la chiarezza e la distinzione aiuta a circoscrivere correttamente il problema di coloro che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari o difficili, ad individuarne gli esatti contorni e la precisa consistenza: da qui potranno emergere gli opportuni rimedi. GIAN PAOLO MONTINI Via Bollani, 20 - 25123 Brescia

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I divorziati risposati possono assumersi delle responsabilit nella vita della Chiesa?
di Gianni Trevisan

Quando si considera la condizione ecclesiale dei divorziati risposati, o comunque dei cristiani che convivono irregolarmente, si fa riferimento prevalentemente alla disciplina che vieta loro di ricevere lEucaristia e i sacramenti, mentre si trascura di analizzare il loro possibile ruolo attivo nella Chiesa. Il presente articolo vuole presentare le disposizioni canoniche con le quali la Chiesa non pu che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non per per quella dei sacramenti, della penitenza e dellEucaristia, finch non abbiano raggiunto le disposizioni richieste (De reconciliatione et poenitentia, n. 34, EV 9, 1330). Fra tali vie da enumerare anche quella dellassunzione di responsabilit, di incarichi e di uffici nella comunit ecclesiale. Di questa possibilit, anche se illustrata soprattutto indicando cio cosa non possono fare, fanno riferimento i nn. 21-23 della Nota pastorale dei Vescovi Italiani sulle situazioni matrimoniali irregolari (di seguito Nota pastorale) 1. Il recente Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1650 afferma: Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perci essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilit ecclesiali.

Nota pastorale della CEI: La Pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari o difficili (26.04.1979) ECEI 2, 3406-3467.

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C una differenza sostanziale tra il ricevere i sacramenti e lassumersi responsabilit nella vita della Chiesa. Nel primo caso, infatti, c un diritto fondamentale del cristiano (cf c. 213), il cui esercizio pu essere limitato solo per gravissimi motivi:
I ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano ben disposti e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli (c. 843, par. 1).

Nel caso invece dellassunzione di qualche incarico o di qualche ufficio da svolgere nella Chiesa, vale il disposto del c. 228:
I laici che risultano idonei, sono giuridicamente abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto.

A differenza dellamministrazione dei sacramenti, quindi, il ruolo dellautorit non solo quello di constatare se si verificano determinate condizioni stabilite dal diritto, ma anche quello di scegliere, valutando quale persona, tra tante che si offrono, quella pi indicata. Il rifiuto pu quindi essere motivato non solo dalla mancanza dei requisiti, ma anche dal fatto che ci siano altri pi idonei. Quanto diremo quindi sullassunzione da parte dei divorziati risposati di responsabilit nella comunit ecclesiale vuole solo illustrare la possibilit di una partecipazione (labilit ad essere assunti), che non costituisce un diritto a esercitare tali incarichi, senza lulteriore scelta dellautorit. Il problema di una partecipazione di queste persone ad alcune responsabilit nella Chiesa non riguarda probabilmente la maggioranza dei divorziati risposati, che hanno fatto una scelta contraria al vangelo, anche a causa della perdita della vita di fede e dellindifferenza religiosa. Ci sono per dei casi in cui il problema merita un serio esame, soprattutto quando ci troviamo di fronte a una conversione successiva al divorzio e al nuovo matrimonio civile, e al contempo allimpossibilit morale di una cambiamento di situazione. Oppure come indica la Nota pastorale al n. 15 altre volte i coniugi divorziati e passati a nuove nozze, pur conservando la fede, per ignoranza pi o meno colpevole circa la dignit e i doveri del ma-

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trimonio, non hanno la piena coscienza che la loro unione sia contro la volont di Cristo e della Chiesa. Non mancano, infine, divorziati risposati che, pur consapevoli che il loro stato di vita sia in contrasto con il Vangelo, continuano a loro modo la vita cristiana, a volte manifestando il desiderio di una maggior partecipazione alla vita della Chiesa e ai suoi mezzi di grazia. invece contraddittorio che chi, potendo sposarsi regolarmente, ha fatto un matrimonio solo civilmente oppure convive, chieda un ruolo e delle responsabilit ecclesiali: il primo ruolo e responsabilit ecclesiale che deve esercitare quello del matrimonio cristiano. 1. Il problema secondo il Codice del 1917
Bigami, idest qui, obstante coniugali vinculo, aliud matrimonium, etsi tantum civile, ut aiunt, attentaverint, sunt ipso facto infames (c. 2356, CJC 1917).

La traduzione di questo latino facile: i divorziati risposati sono per il diritto stesso infames, ossia sono privi della buona fama, sono persone di cattiva reputazione. Il c. 2293 del precedente Codice prevedeva due tipi di infamia: iuris, quando era prevista espressamente dal diritto comune, facti, quando lOrdinario riteneva che una persona, a causa di un delitto compiuto oppure a causa dei pravi mores, avesse perso la bonam extimationem presso i fedeli probos et graves. Nel nostro caso si trattava di infamia iuris. A questa situazione era legata una pena canonica vendicativa 2 che impediva alla persona di accedere agli ordini sacri, di ottenere benefici, pensioni, uffici, dignit ecclesiastiche, di compiere atti ecclesiastici legittimi, di esercitare i suoi diritti o facolt ecclesiastiche e che doveva essere allontanata dal compiere atti di ministero nelle sacre funzioni (c. 2295). Quindi, di fatto, il divorziato risposato non poteva compiere alcuna azione ecclesiale; era una persona relegata ai margini della vita ecclesiale.
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Nel diritto canonico sono contemplate due tipi di pene: medicinali, come la censura, che devono essere rimesse quando il reo recede dalla contumacia (cio interrompe il comportamento illecito) e vendicative (o espiatorie, se si segue la dizione del nuovo Codice), che fanno cio espiare al reo la colpa commessa e cessano trascorso il tempo per le quali sono state date oppure su dispensa dellautorit.

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2. Per una valutazione della situazione attuale Nellattuale legislazione non pi prevista una pena canonica o una qualche sanzione penale per chi colpito da infamia e il termine, usato tre volte nel nuovo Codice, ha un valore molto generico 3. Latteggiamento della Chiesa verso i divorziati risposati non intende inutilmente colpevolizzare le persone che si trovano in tale situazione, perch, come afferma la Nota pastorale al n. 16, i divorziati risposati sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio: non sono quindi del tutto esclusi dalla comunione con la Chiesa, anche se per il loro stato di vita contrario al Vangelo non si trovano nella pienezza della comunione ecclesiale. Tuttavia la loro situazione di divorziati risposati non la stessa degli altri fedeli, perch alcune azioni ecclesiali sono loro proibite. Secondo il c. 96 il battesimo incorpora alla Chiesa di Cristo e rende persona, cio titolare di diritti e doveri, ma lesercizio della titolarit di diritti e doveri condizionata al fatto dellesistenza di un vincolo di comunione (in quanto sono nella comunione ecclesiastica e purch non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta). Da unanalisi delle fonti giuridiche, si pu affermare che ai divorziati risposati vietato esercitare il ministero di accolito e di lettore, anche per deputazione temporanea, fare da padrino nel battesimo e nella cresima, essere catechisti, docenti nelle scuole cattoliche o insegnanti di religione nelle scuole pubbliche e far parte del consiglio pastorale diocesano o parrocchiale. Approfondendo le motivazioni di fondo di questa disciplina possiamo far riferimento a tre principi fondamentali.

C.1048: Nei casi occulti pi urgenti, se non si possa ricorrere al Vescovo o quando si tratti delle irregolarit di cui al c. 1041, nn. 3 e 4, alla Penitenzieria, e se incomba il pericolo di grave danno o infamia, colui che impedito dalla irregolarit di esercitare lordine, pu esercitarlo, fermo per restando lonere di ricorrere quanto prima allOrdinario o alla Penitenzieria, taciuto il nome e tramite il confessore. C. 1352, par. 2. Lobbligo di osservare una pena latae sententiae che non sia stata dichiarata n sia notoria nel luogo ove vive il delinquente, sospeso in tutto o in parte nella misura in cui il reo non la possa osservare senza pericolo di grave scandalo o dinfamia. C. 1548, par. 2. Salvo il disposto del c. 1550, par. 2, n. 2, sono liberati dal dovere di rispondere ad interrogatori giudiziari: 1) i chierici per quanto fu loro manifestato in ragione del sacro ministero; i pubblici magistrati, i medici, le ostetriche, gli avvocati, i notai e altri che sono tenuti al segreto dufficio anche in ragione del consiglio dato, per quanto riguarda gli affari soggetti a questo segreto; 2) coloro che dalla propria testimonianza temano per s o per il coniuge o per i consanguinei o gli affini pi vicini infamia, pericolosi maltrattamenti o altri gravi mali eventuali.

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a. Il principio dellidoneit 1. Perch non possono assumersi delle responsabilit Il divieto ai divorziati risposati di compiere determinate azioni nella comunit ecclesiale si spiega con il fatto che tali servizi esigono quella necessaria pienezza di comunione e di testimonianza cristiana, che non ha chi si trova in uno stato di vita oggettivamente contrario al comando di Cristo sullindissolubilit del matrimonio. Utilizzando un termine, in verit generico, dei documenti del magistero, potremmo dire che la motivazione sta nella loro non idoneit. Leggere nella liturgia la Parola di Dio non infatti unazione puramente tecnica e materiale, ma coinvolge la coerenza della persona che la proclama, perch chiamata a vivere ci che legge; cos pure essere membro del consiglio pastorale, che rappresentativo della comunit ecclesiale, domanda di essere in comunione piena con la Chiesa e la situazione di peccato in cui vive un divorziato risposato rende manifesto a tutti che tale piena comunione non c. Il divorziato risposato non pu compiere determinate azioni ecclesiali, non per una disposizione positiva dellautorit n per una pena inflittagli. Al contrario si tratta di una sua incapacit, perch se lo facesse renderebbe evidente a tutti che non vive ci che mostra di compiere nella Chiesa. Lassunzione del divorziato risposato a svolgere tali responsabilit ecclesiali costituirebbe un reale scandalo da parte della Chiesa stessa, perch ci sarebbe evidente discrepanza fra ci che essa e ci che invece mostra di fare. Ci che ha di mira quindi la normativa non principalmente un ordine esterno da tutelare, ma la vita stessa della Chiesa, che deve manifestarsi anche esternamente con coerenza. Lo scandalo che deriverebbe da tale incoerenza non va confuso con un vago sentimento di antipatia o avversione verso chi ha fatto scelte diverse, neppure con una reazione emotiva che coglie anime pie preoccupate di dove si vada a finire. Neppure da valutarsi sociologicamente, secondo la sensibilit o meno dei fedeli e quindi risolvere il problema con leducazione degli altri cristiani ad accettare i peccatori. Al contrario, secondo la definizione di S. Tommaso, lo scandalo un detto, un fatto e una omissione peccaminosa, che porge agli

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altri occasione di rovina spirituale 4. Non c dubbio che tale situazione si verifica nella comunit quando un divorziato risposato si assume quelle responsabilit ecclesiali che richiedono la pienezza di comunione e di testimonianza cristiana. E qualora non si avvertisse nella comunit cristiana tale scandalo, sarebbe doveroso evidenziarlo per la dovuta reazione di fronte allincoerenza pratica dellagire nella Chiesa. Tale ammonizione alla comunit non sembra opportuna quando ha di mira un caso concreto, perch sarebbe poco rispettosa della persona; pi opportuno appare invece avvisare con intelligenza e per tempo, ad esempio, che i divorziati non possono fare da padrini o essere eletti nel consiglio pastorale parrocchiale, in modo che si evitino le candidature e il conseguente rifiuto. 2. Perch possono assumersi delle responsabilit Il principio dellidoneit, di cui abbiamo appena detto, ci autorizza per a prendere in considerazione tutte le altre azioni ecclesiali, per compiere le quali non richiesta la pienezza di comunione e di testimonianza visibile anche esternamente. Riguardo alla partecipazione alla liturgia, ad esempio, i divorziati risposati sono invitati a frequentare la Messa e la preghiera comunitaria, perch in virt del battesimo, come gli altri cristiani, partecipano alla funzione di santificare della Chiesa con la preghiera, mediante la quale si supplica Dio affinch i fedeli siano santificati nella verit, come pure con le opere di penitenza e di carit, le quali aiutano grandemente a radicare e corroborare il Regno di Cristo nelle anime e contribuiscono alla salvezza del mondo (c. 839, par. 1). Inoltre anche per loro vale il precetto di partecipare alla Messa festiva (c. 1247). La Chiesa afferma la Nota pastorale al n. 22 li invita a partecipare, in forza del battesimo ricevuto, alla messa, quale momento fondamentale della vita e della preghiera del popolo di Dio, anche se non possono ricevere il corpo e il sangue del Signore.
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La morale distingue tre tipi di scandalo: reale, che deriva dalla natura stessa dellatto scandaloso compiuto; dei deboli, che deriva dalla condizione di fragilit della persona sulla quale latto, di per s anche non scandaloso, esercita la sua influenza; farisaico, che deriva unicamente dalla malizia di chi lo percepisce, senza che vi sia stato per vero incentivo da parte di nessuno. Cf BABBINI L., Voce scandalo, in Dizionario enciclopedico di teologia morale, Ed. Paoline, Roma 1974, 942-946.

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Tale presenza non va intesa come la semplice assistenza da spettatore allazione liturgica, ma come la partecipazione attiva, anche svolgendo qualche servizio particolare nella celebrazione, ad esclusione come gi detto del lettore e dellaccolito. Cos ad esempio non sembra in contrasto con la verit dellazione liturgica che un divorziato risposato faccia parte della schola cantorum, o magari ne sia il direttore, che sia commentatore, oppure raccolga le offerte ecc. 5. In tale senso mi sembra vada interpretato il c. 230, par. 2:
I laici possono assolvere per incarico temporaneo (ex temporanea deputatione) la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; cos pure tutti i laici godono della facolt di esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora a norma del diritto.

La distinzione in due parti del paragrafo va intesa come lindicazione di due situazioni diverse: per esercitare il ministero di lettore ex temporanea deputazione, necessario un esplicito incarico (deputare = assegnare) dato dallautorit, che chiamata quindi a scegliere alcuni, valutandone anche la pienezza di comunione e di coerenza di vita 6; invece gli altri incarichi, cio commentatore, cantore o altro previsto dal diritto, possono essere svolti da tutti i fedeli, senza valutare quindi la loro idoneit morale, appunto perch svolgere tali funzioni non richiede di per s la pienezza di comunione e di testimonianza cristiana. In questottica va pure compresa la diversit della normativa nei confronti del padrino del battesimo o della cresima e del testimone alle nozze. Al padrino richiesto che conduca una vita conforme alla fede e allincarico che si assume (c. 874, par. 1 n. 3), pertanto non pu esserlo un divorziato risposato. Al contrario ai testimoni del
Cf Principi e norme per luso del messale romano, nn. 63-64 e 68. Principi e norme per luso del messale romano, al n. 66, equipara di fatto i lettori istituiti a quelli designati temporaneamente per quanto riguarda la loro idoneit: Perch i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore della Sacra Scrittura, necessario che i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne hanno ricevuto listituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno. La delibera CEI al c. 230, sullet e doti dei laici candidati ai ministeri stabili di lettore e di accolito, prevede come dote richiesta la buona fama nella comunit cristiana. da riprovare labuso che nella liturgia qualcuno si alzi, dia unocchiata in giro per vedere se altri si sono alzati e di sua spontanea volont vada a leggere; necessario invece il previo incarico, per dare il quale il celebrante deve essere in grado di esprimere un giudizio di idoneit.
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matrimonio richiesto solo che siano presenti al matrimonio e siano in grado di provare pubblicamente lavvenuta celebrazione 7 e non c alcuna proibizione per i divorziati risposati. Chiarita questa differenza, nulla vieta che, qualora risultasse difficile far capire le ragioni della normativa ecclesiale, i divorziati risposati possano essere ammessi non come padrini, ma come testimoni del battesimo e della cresima (cf, per analogia, c. 874, par. 2). Analoga situazione si verifica nel caso dei consigli economici, che a differenza dei consigli pastorali sono organismi tecnici, che richiedono soprattutto perizia economica. Per far parte del consiglio pastorale diocesano, e analogamente del consiglio pastorale parrocchiale, richiesta la piena comunione con la Chiesa cattolica (c. 512, par. 1); invece per il consiglio per gli affari economici diocesano, e analogamente quello parrocchiale, richiesto ai membri di essere esperti in economia e nel diritto civile ed eminenti per integrit, che dal contesto va intesa come onest professionale (c. 492, par. 1). Pertanto un divorziato risposato veramente esperto di economia potrebbe far parte dei consigli economici. Riguardo allesercizio del munus docendi le possibilit dei divorziati risposati sono molto limitate, perch insegnare nella comunit cristiana esige prima di tutto la testimonianza di vita conforme al vangelo. In tal senso va notato che alcune sentenze di Tribunali italiani hanno riconosciuto la legittimit del licenziamento di un insegnante di una scuola privata cattolica, perch il suo comportamento risultava irrimediabilmente in contrasto con linsegnamento confessionale della scuola 8. b. Un secondo principio: lopportunit Da quanto appena detto, sembrerebbe che tutti i servizi ecclesiali, con alcune eccezioni, possano essere svolti senza problemi. Ma cos non , se analizziamo alcune situazioni particolari.
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Nel Direttorio liturgico-pastorale per luso del Rituale dei sacramenti e dei sacramentali 27.06.1967 (ECEI 1/1020-1306) si inquadra pi ampiamente il ruolo dei testimoni nel matrimonio: Ai testimoni si spieghi che essi non sono solo garanti di un atto giuridico, ma rappresentanti qualificati della comunit cristiana, che partecipa anche per loro mezzo ad un atto sacramentale che la riguarda, perch una nuova famiglia una cellula della Chiesa. 8 Cf ad esempio la sentenza riportata in: Il Diritto Ecclesiatico 103 (1992) II, 134-148.

I divorziati risposati possono assumersi delle responsabilit nella vita della Chiesa?

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Al divorziato risposato viene indicato come luogo prioritario di impegno dentro la comunit ecclesiale limpegno per la carit. Che dire allora di fronte alla possibilit di inserirlo nella Caritas parrocchiale, o magari di farlo presidente, quando nella Chiesa italiana si tende a vedere la Caritas come organismo del consiglio pastorale, per far parte del quale si richiede anche la coerenza di vita e la piena comunione ecclesiale? Nessuna disposizione vieta al divorziato di diventare Presidente della scuola materna parrocchiale: il suo ruolo non educativo, ma soprattutto tecnico. Ma che coerenza dimostrer tale Presidente, qualora dovesse far dimettere uninsegnate laica, che viene a trovarsi nella sua stessa condizione? Un divorziato risposato, come tutti cristiani ha diritto di partecipare alle associazioni cristiane, ma in che situazione si troverebbe qualora ne venisse eletto responsabile? 9 Dobbiamo ammettere un altro principio, in base al quale anche il diritto, sia universale che particolare, potrebbe ulteriormente limitare lagire dei divorziati risposati nella Chiesa: il principio cio dellopportunit. Per diritto particolare si pu intendere genericamente il diritto diocesano, e in senso lato gli statuti delle associazioni ed enti, come anche le disposizioni con le quali il parroco regola la disciplina nella sua parrocchia. Quando da dare una responsabilit ecclesiale non basta interrogarsi sullidoneit, di cui si detto sopra, ma necessario verificare nella concreta situazione se tale scelta di un divorziato risposato non possa apparire come un avallo implicito alla sua scelta. Nel valutare tale risonanza possibile che il giudizio sia differenziato a seconda dellambiente e della comunit: potremmo parlare di uno scandalo dei deboli, indotti in errore sul valore che la Chiesa d allindissolubilit matrimoniale da un comportamento di per s legittimo. Ci troviamo di fronte a un tipo di scandalo diverso da quello che scaturisce dallassunzione di un divorziato a delle responsabilit ecclesiali che richiedono la pienezza di testimonianza e di comunione ecclesiale.

Priva di buon senso ci sembra invece la proposta avanzata da alcuni autori di incaricare proprio i divorziati risposati della pastorale familiare, perch maggiormente esperti nei problemi familiari.

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Lazione pastorale richiede che i pastori educhino la comunit a distinguere le diverse situazioni, senza cadere nello scandalo farisaico. Ma non si pu ignorare la fragilit delle persone ed anche un dovere della prudenza dei pastori, qualora fosse opportuno, fissare ulteriori limiti. Inoltre, per salvaguardare il rispetto e la dignit delle persone, tali ulteriori proibizioni devono richiedere da parte dei pastori una dovuta informazione e spiegazione come pure unapplicazione omogenea senza discriminazioni. Non si vuole infatti giudicare la persona, ma tutelare la comunit dal possibile scandalo. Una riflessione merita anche la situazione di chi si assunto responsabilit e ministeri nella comunit ecclesiale, e poi decide di divorziare e di risposarsi; in questi casi lo scandalo ha una risonanza pi forte, soprattutto se questa persona continua nellesercizio delle sue funzioni. Per evitare inutili equivoci, sembra opportuno che quando qualcuno si assume delle responsabilit nella Chiesa venga anche avvisato dellimpossibilit di continuare nello svolgere lincarico, qualora faccia scelte che sono pubblicamente in contrasto con le fede cristiana. c. Un terzo principio: la necessit Ma che dire del ruolo dei divorziati risposati nei confronti delleducazione dei figli, sancito esplicitamente per i genitori tutti dal canone 226, par. 2:
I genitori, poich hanno dato ai figli la vita, hanno lobbligo gravissimo e il diritto di educarli; perci spetta primariamente ai genitori cristiani curare leducazione cristiana dei figli secondo la dottrina insegnata dalla Chiesa.

Certamente leducazione cristiana dei figli una forma di esercizio del munus docendi, per attuare il quale ci deve essere coerenza fra le parole e la vita. Ora se il ruolo dei genitori per quanto riguarda leducazione dei figli non inferiore a quello dei padrini 10, perch mai ai genitori non si richiede la coerenza di vita, mentre ai padrini s?

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La risposta autentica (EV 9,714) sulla possibilit dei genitori di presentare i figli al ministro della cresima, motiva limpossibilit dei genitori ad essere ammessi allufficio di padrini, in quanto questo ufficio non aggiungerebbe nulla al loro compito di genitori.

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Per capire questa disposizione va fatto riferimento ad un terzo principio: il caso di necessit, perch non possibile cambiare i genitori, con altri pi idonei, come invece possibile per i padrini. I genitori divorziati risposati esercitano pertanto un vero ministero che scaturisce dal battesimo quando educano i figli, o collaborano con il Parroco per decidere della loro iniziazione cristiana. Questa spiegazione non intende sminuire il loro ruolo, anzi intende affermare una loro reale ministerialit, anche se essa si fonda nel battesimo ricevuto e non sul sacramento del matrimonio. Questo principio vale evidentemente anche per altri casi. Se ad esempio i familiari impediscono al sacerdote e ad altri fedeli di portare la comunione a un loro congiunto ammalato che la desidera, nulla vieta che, se altri non possono, lo faccia un divorziato risposato amico dellammalato. un caso di necessit in cui solo questa persona lo pu fare. Analoga disciplina e soluzione esplicitamente prevista se va dato il battesimo in pericolo di morte (c. 861, par. 2). In questa linea va inteso quanto disposto dal c. 230, par. 3:
Ove le necessit della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cio esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto.

Conclusioni Latteggiamento ecclesiale verso i divorziati risposati richiede in tutti i cristiani un sincero amore che riconosce nella verit come la loro situazione di vita sia in contrasto con linsegnamento di Ges, ma al tempo stesso continua a considerarli fratelli, ancora inseriti nella Chiesa per il battesimo ricevuto. La disponibilit e laccoglienza sembrano il terreno adatto per far nascere la conversione in essi. Avendo questa preoccupazione, la Chiesa prevede anche per loro dei mezzi di grazia, come lascolto della Parola di Dio, la preghiera, la partecipazione alla liturgia e alla Messa domenicale e lesercizio della carit. La loro situazione per rivela pubblicamente che non sono in piena comunione ecclesiale e pertanto non possono accostarsi ai sacramenti.

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possibile che esercitino nella comunit alcune responsabilit, soprattutto dove non richiesta la piena coerenza di vita e comunione ecclesiale, evitando per anche nei cristiani deboli lindifferentismo verso il valore dellindissolubilit del matrimonio. Su questo campo il diritto particolare ha delle precisazioni importanti da dare. Rimane infine unultima domanda: ma non risulta sempre inopportuno dare responsabilit ai divorziati risposati ? Leggendo i documenti del magistero sulla questione, ci sembra di dover rispondere negativamente. Per quanto riguarda la partecipazione liturgica, i frutti di grazia che derivano ai fedeli esigono una partecipazione attiva e responsabile; se questo non si pu ottenere con la partecipazione alla comunione eucaristica, si pu avere invece conferendo anche i possibili ruoli liturgici. Riguardo poi alla partecipazione alla vita della Chiesa, assumendosi anche delle possibili responsabilit al suo interno, va notato che il discorso si apre sulla maggior partecipazione di tutti i cristiani alla vita della Chiesa, che fa loro sentire come loro famiglia la comunit tutta. E in famiglia si cerca di distribuire i servizi fra tutti in modo che ognuno abbia qualcosa che pu fare per lutilit comune, in modo che si senta a casa sua. GIANNI TREVISAN Via Mercato, 12 32043 Cortina dAmpezzo (BL)

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di Raymond L. Burke

I. Introduzione: genesi e scopo del documento Il 29 marzo 1992 la Commissione per la Pastorale della Famiglia dellEpiscopato francese ha pubblicato il documento intitolato: Les divorcs remaris dans la communaut chrtienne (I divorziati risposati nella comunit cristiana) 1. Lo scopo del documento, come lo definisce Mons. Jean Cuminal, Vescovo di Blois e Presidente della Commissione, nella prefazione della pubblicazione, di precisare la situazione dei cattolici divorziati risposati (p. I). Il documento in questione infatti il terzo della predetta Commissione in questa delicata e difficile materia: nel 1974 la Commissione (a quel tempo chiamata la Commission piscopale de la famille) ha pubblicato un documento elaborato da teologi, pastori e laici, Communauts chrtiennes et divorcs remaris (Comunit cristiane e divorziati risposati) 2, con lo scopo di trasformare la mentalit delle comunit cristiane riguardo ai divorziati che si sono risposati (pp. III); e nel 1980 la Commissione ha preparato un dossier pastorale, destinato ai sacerdoti, che metteva in evidenza laumento delle questioni pastorali suscitate dallincremento nel numero dei divorziati nella Chiesa 3.

COMMISSION FAMILIALE DE LPISCOPAT, Les divorcs remaris dans la communaut chrtienne, Paris [Centurion] 1992; anche pubblicato, senza la prefazione di Mons. Jean Cuminal, Presidente della Commissione, in La documentation catholique 89 (1992) 699-710. 2 COMMISSION PISCOPALE DE LA FAMILLE, Communauts chrtiennes et divorcs remaris, Paris [ditions du Cerf] 1974. Cf La documentation catholique 72 (1975) 192-193. 3 Les divorcs remaris, II; cf La documentation catholique 78 (1981) 43.

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Lattuale documento risponde una volta ancora al cambiamento della situazione pastorale durante gli anni intercorsi dalla pubblicazione del secondo documento della Commissione nel 1980. Spiega Mons. Cuminal nella prefazione al documento: In dodici anni, il numero e la condizione dei divorziati risposati si sono modificati nella nazione, nella vita sociale e anche nella Chiesa (p. II). Ma il motivo della redazione del nuovo documento non stato soltanto un cambiamento statisticamente rilevabile nella situazione dei cattolici divorziati risposati; tale cambiamento ha provocato piuttosto sulla Commissione, come scrive apertamente Mons. Cuminal, una forte pressione da parte dei vescovi, dei sacerdoti, dei membri di movimenti ed associazioni, e dei responsabili per la pastorale della famiglia a rispondere alle loro domande, talvolta alla loro sofferenza di pastori, a quella di sposi abbandonati o di amici rattristrati (p. II). In altre parole, la gravit delle questioni pastorali oggi, e anche allo stesso tempo, il fatto del loro aumento rispetto al 1980, che ha richiesto un nuovo documento della Commissione. Per rispondere adeguatamente alle suddette domande, la Commissione ha deciso di iniziare il suo lavoro conducendo unampia indagine in tutte le diocesi della Francia. Questa indagine, come scrive Mons. Cuminal ha prodotto molti suggerimenti poco omogenei; ha provocato varie testimonianze e ha rilevato la diversit delle prassi ecclesiali (cf pp.II- III). Se, per ragioni di discrezione, cio per rispetto alla natura personale e, alle volte, intima delle risposte allindagine, i risultati non sono stati pubblicati, la loro sintesi, per, si trova nel primo capitolo del documento. Un risultato dellindagine, tuttavia, ha meritato una menzione speciale nella prefazione di Mons. Cuminal, e cio linsistenza dei divorziati non risposati nel sottolineare che anche loro hanno diritto alla nostra prima sollecitudine, a un accompagnamento spirituale assiduo, particolarmente da parte del movimento Renaissance, come pure da parte di tutte le organizzazioni del laicato che sono aperte a loro 4. Una volta che lindagine stata portata a compimento, la Commissione ha cominciato a scrivere il documento che subir diverse

Pour souligner queux aussi ont droit notre premire sollicitude, un accompagnement spirituel attentif, de la part du mouvement Renaissance tout particulirement, mais aussi de toutes les organisations du lacat qui leur sont ouvertes (Les divorcs remaris, III). Renaissance un gruppo cristiano di donne separate o divorziate non risposate; cf La documentation catholique 78 (1981) 45.

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redazioni con lintervento di sacerdoti, teologi, canonisti ed altri fedeli. In pi, le successive redazioni sono state sottomesse al Consiglio nazionale della pastorale della famiglia (Conseil national de pastorale familiale) ed allUfficio di studi dottrinali dellepiscopato (Bureau dtudes doctrinales de lpiscopat). Alla fine, il testo definitivo stato redatto da alcuni vescovi e presentato al Consiglio permanente dei vescovi francesi (Conseil permanent des vques franais). Non indicato nel testo quale risposta ha dato il Consiglio permanente dei vescovi al documento, ma si pu supporre che stato questo Consiglio che ha ordinato, o almeno permesso, la pubblicazione del documento. Concludendo, si deve indicare a chi la Commissione intese indirizzare il documento. Nonostante che la Commissione si sia augurata una larga diffusione del documento e unampia discussione su di esso, i destinatari principali, secondo Mons. Cuminal, sono i sacerdoti, diaconi, i responsabili dei movimenti dellAzione cattolica e di educazione, gli uffici di cappellano dellinsegnamento pubblico, ed i responsabili pastorali dellinsegnamento cattolico (p. VI). Il documento allora principalmente scritto per luso di quelli che devono conoscere ed essere in grado di enunciare responsabilmente linsegnamento della Chiesa nella materia. II. Impostazione e struttura del documento Di fronte alla delicatezza e complessit della situazione stessa dei cattolici divorziati risposati ed alle domande pastorali in materia indirizzate alla Commissione, come ha impostato la medesima Commissione la sua risposta? Gi si trova unindicazione indiretta dellimpostazione nel fatto che la redazione del testo definitivo stata affidata ad un gruppo di vescovi. Dopo tutti i contributi alla redazione del documento, dati da vari individui, gruppi e organismi ufficiali nella Chiesa, la Commissione ha ritenuto che la risposta finale dovesse essere pastorale nel senso pi tecnico della parola, cio una risposta data da quelli che sono incaricati dellufficio pastorale nella Chiesa, i pastori che sono i maestri della Fede e della disciplina della Fede (cf LG 25a). La gravit della situazione del divorzio, in costante aumento nella societ odierna, ha infatti portato la Commissione a ritornare alle fonti dellinsegnamento dogmatico della Chiesa per quanto riguarda il matrimonio e la sua indissolubilit. Come osserva Mons. Cuminal,

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in effetti impossibile capire e assumere i requisiti della morale cattolica senza accettare di riflettere deliberatamente sul significato divino, ecclesiale e umano del vincolo coniugale secondo il Cristo 5. Il documento, perci, presentato come un documento della gerarchia cattolica che esprime la disciplina ecclesiale, ma nello stesso tempo vorrebbe renderne comprensibili i motivi 6. Il testo dichiara apertamente il desiderio di essere in piena comunione con linsegnamento del Papa Giovanni Paolo II, appoggiandosi esplicitamente sulla sua Esortazione apostolica Familiaris consortio, la cui dottrina il documento caratterizza come iscritta nella continuit dellinsegnamento dei suoi predecessori dei quali molti testi rimangono particolarmente attuali 7. La struttura del documento riflette la sua impostazione dottrinale. Il primo capitolo, che si intitola Situazione attuale: le domande dei pastori, la sintesi dei risultati dellindagine fatta dalla Commissione, insieme ad integrazioni portate dalla Commissione stessa. Il secondo capitolo, Il matrimonio, sacramento dellamore, e il terzo capitolo, La coscienza e la sua formazione, presentano subito la riflessione dottrinale senza la quale non si pu interpretare giustamente la situazione attuale e senza la quale non si pu capire e vivere linsegnamento della Chiesa sul matrimonio e la sua indissolubilit. Il quarto capitolo, Chiamati alla conversione, presenta la chiamata profetica della Chiesa alla perfezione evangelica, in vista dellinsegnamento perenne della Chiesa in materia, e cio specialmente indirizzata alla situazione dei divorziati risposati. Il quinto capitolo una nota canonica in materia, con unappendice sulla nullit del matrimonio e sullo scioglimento per dispensa di un vincolo matrimoniale valido. Il sesto capitolo, Laccoglienza e laccompagnamento dei divorziati risposati, offre delle indicazioni pratiche pastorali. Il documento si conclude con un rinnovato appello alla santit, indirizzato a tutti i membri della comunit cristiana.
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Il est, en effet, impossible de comprendre et dassumer les requtes de la morale catholique sans accepter de rflchir lentement la signification divine, ecclsiale, humaine du lien conjugal selon le Christ (Les divorcs remaris, IV). 6 Exprime la discipline ecclsiale, mais il voudrait dans le mme mouvement en faire comprendre les motivations (Les divorcs remaris, V). 7 Dans la continuit de lenseignement de ses prdecesseurs dont plusieurs textes demeurent particulirement actuels (Les divorcs remaris, V).

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III. La situazione attuale Il primo capitolo presenta una sintesi delle note statistiche che distinguono gli ultimi dodici anni, cio il tempo intercorso dalla pubblicazione del documento del 1980: 1) labbassamento notevole del numero di matrimoni; 2) lincremento del numero delle nascite fuori il matrimonio; 3) la banalizzazione del concubinato; e, soprattutto, 4) laumento del numero dei divorziati 8. Viste rapidamente le caratteristiche della situazione, il documento passa direttamente al cuore delle sue considerazioni: la situazione pastorale che risulta da questi cambiamenti degli ultimi dodici anni. Dal punto di vista pastorale, come afferma il documento, i divorziati, siano risposati o no, sono dei feriti dellamore, verso i quali il Vangelo richiede dai pastori una premura speciale; i divorziati stessi aspettano dai messaggeri del Vangelo una parola di accoglienza, di comprensione, di speranza, di perdono 9. Insieme con i divorziati, allora, i pastori della Chiesa soffrono della situazione attuale e trovano questo aspetto del loro ministero particolarmente doloroso. Il documento analizza le questioni pastorali sorte nel contesto sotto quattro punti secondo lo stadio del matrimonio o la situazione dei divorziati: 1) la preparazione al matrimonio; 2) la vita coniugale diventata difficile; 3) la situazione degli sposi divorziati; e 4) la situazione dei divorziati risposati. 1) Riguardo alla preparazione matrimoniale i pastori della Chiesa sono colpiti dalla distanza che separa la realt del matrimonio cristiano dalla visione dello stesso condivisa da molti giovani che domandano di sposarsi. In questo i giovani sono largamente dipendenti dalla mentalit e dalla cultura della societ nella quale vivono, che ammette sempre pi facilmente, compreso a livello di legislazione, modelli di famiglia ben diversi dal modello cristiano 10. Risulta, come afferma il documento, che frequentemente i giovani, pur sapendo teoricamente che la Chiesa crede che il matrimonio sia indissolu-

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Les divorcs remaris, 3. Une parole daccueil, de comprhension, desprance, de pardon (Les divorcs remaris, 4). 10 De la mentalit et de la culture de la socit dans laquelle ils vivent, qui admet de plus en plus facilement, y compris au niveau de la lgislation, des modles de famille bien diffrents du modle chrtien (Les divorcs remaris, 5).

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bile, non scartano lidea che il loro [matrimonio] potrebbe durare soltanto un tempo limitato 11. In pi, il documento nota due altri fattori che aggravano la situazione dei giovani che si pongono di fronte al matrimonio. a) Primo, c un clima di erotismo e di permissivit che permea la vita della societ e favorisce la ricerca egoistica di se stessi e pu chiudere i futuri sposi in un atteggiamento molto lontano dal dono reciproco, del quale lunione tra Cristo e la Chiesa il modello 12. b) Il secondo fattore aggravante che leducazione nella fede dei battezzati spesso rudimentale, addirittura inesistente 13. Il documento poi elenca una serie di altri fattori che aggravano ancora di pi la situazione dei giovani: gli studi prolungati, una indipendenza precoce dei bambini nel rapporto con i genitori, il desiderio dei genitori di educare senza contraddire, il rango allargato dei rapporti estesi a tutto il mondo grazie ai mass-media, la possibilit di acquistare una certa facilit di vita senza assumere le responsabilit immediate, i numerosi disequilibri familiari, le prospettive sul futuro spesso scoraggianti. Notando tutto questo, il documento afferma: ben difficile, in queste condizioni, che le coppie giovani alla soglia del matrimonio comprendano ed ammettano le esigenze della morale cristiana, presentate con compiacenza da numerosi mass-media come anacronistiche 14. Le questioni pastorali intorno alla preparazione al matrimonio indirizzate alla Commissione sono: 1) la questione della validit di certi matrimoni celebrati nelle condizioni di maturit umana e cristiana che sembrano chiaramente insufficienti; 2) lopportunit di rimandare, in certi casi, la celebrazione del sacramento del matrimonio; e, nel caso di una risposta affermativa, la questione sulla possibilit di celebrare una sorta di accoglienza per manifestare il desiderio della Chiesa ad accompagnare il cammino di una coppia che di buona volont, ma con una fede esitante.
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Ncartent pas lide que le leur pourrait ne durer quun temps limit (Les divorcs remaris, 5). Favorise la recherche goste de soi et peut enfermer les futurs poux dans un attitude fort loigne du don rciproque dont lunion entre le Christ et lglise est le modle (Les divorcs remaris, 6). 13 Lducation de la foi des baptiss est souvent rudimentaire, voire inexistante (Les divorcs remaris, 6). 14 Il est bien difficile, dans ces conditions, que les jeunes couples au seuil du mariage comprennent et admettent les exigences de la morale chrtienne, complaisamment prsentes comme anachroniques par de nombreux mdias (Les divorc remaris, 7).

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2) Il secondo stadio nella vita matrimoniale considerato dal documento la vita coniugale diventata difficile. Riconoscendo che la vita matrimoniale ha sempre subito delle difficolt, il documento identifica il carattere speciale del fenomeno odierno, e cio la sua tendenza a diventare rapidamente drammatica. In altre parole, le difficolt sono viste e vissute come incompatibili con il mantenimento del vincolo coniugale. In tale situazione, come dice il documento, spesso si finisce per una separazione avventata e un divorzio prematuro 15. Il documento identifica la sorgente di tale fenomeno in un concetto irrealistico dellamore coniugale gi dallinizio del matrimonio. Secondo questo concetto, lamore coniugale pu essere autentico, e perci duraturo, soltanto se pu essere vissuto senza alcun difetto, senza alcuna ombra. Allora, non si considera neppure la possibilit di affrontare e superare delle difficolt, di perdonarsi vicendevolmente, di riconoscere il proprio egoismo e bisogno di purificazione. Finalmente, come osserva il documento, siccome non hanno neanche coscienza di poter contare sulla grazia del sacramento ricevuto, si trovano sprovvisti di ogni speranza 16. Di fronte a tale fenomeno il documento pone per il sacerdote la domanda: Che cosa potrebbe e dovrebbe fare egli stesso e gli altri fedeli per aiutare le giovani coppie a superare le difficolt che sorgono, se possibile da quando cominciano a manifestarsi? 17. Anche il documento si chiede se questa incapacit ad affrontare le difficolt della vita matrimoniale non dipenda dalla insufficiente preparazione al matrimonio. 3) La prima situazione di divorziati trattata dal documento quella dei divorziati. Il documento subito riconosce il dolore con il quale i divorziati vivono la rottura del loro matrimonio, frequentemente suscitando delle domande personali che veramente riflettono un desiderio di luce e il loro bisogno dessere ascoltati, compresi e consolati. Avendo di fronte agli occhi questa situazione dolorosa dei divorziati in genere, il documento nota che non tutti si risposano (in
Une sparation htive et un divorce prmatur (Les divorcs remaris, 9). Comme ils nont pas non plus conscience de pouvoir compter sur la grce du sacrement reu, ils se trouvent dpourvu de toute esprance (Les divorcs remaris, 8). 17 Ce que lui-mme e dautres pourraient et devraient faire pour aider les jeunes couples surmonter les difficults qui surgissent, si possible ds quelles commencent apparatre (Les divorcs remaris, 9).
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genere gli uomini sono pi propensi a risposarsi che le donne) e indica una variet di risposte possibili da parte dei divorziati: 1) certi, profondamente feriti dal fallimento, assorbiti nella responsabilit di educare i bambini o scettici sul valore degli impegni o sentimenti umani, preferiscono vivere indipendenti e si organizzano di conseguenza; 2) alcuni progressivamente scoprono il valore del perdono e decidono di vivere nella fedelt al sacramento ricevuto; qui si notano dei gruppi che appoggiano spiritualmente tali persone, per esempio, il gruppo Renaissance o il gruppo Notre-Dame de lAlliance 18; 3) altri, per i quali la solitudine affettiva diventa troppo pesante, vogliono costituire una nuova coppia, che o sar effimera o si alterner tra attaccamento e indipendenza, o sar una vita comune duratura; 4) un certo numero si orienta, pi o meno rapidamente, verso un nuovo matrimonio civile. Riguardo a questi ultimi il sacerdote incontrer frequentemente la domanda, perch la Chiesa non possa celebrare in una forma o nellaltra questa nuova unione, specialmente quando il risposato riconosce la sua colpa nel fallimento del primo matrimonio e vuol adesso vivere con seriet e vero impegno il nuovo matrimonio. Il documento nota inoltre che talvolta succede che il sacerdote si domandi se debba sperare o anche contribuire a provocare unattenuazione della posizione della Chiesa, che condurrebbe in casi particolari, come fanno altre Chiese cristiane, a dare un certo riconoscimento al nuovo matrimonio contratto da una coppia di divorziati, o da una persona libera che sposa una persona divorziata 19. 4) La seconda situazione dei divorziati che il documento tratta quella dei divorziati risposati. Qui si tratta di quelli che sono divorziati e hanno contratto un nuovo matrimonio civile. Per quelli, la difficolt pastorale il loro desiderio di trovare nella Chiesa un posto non troppo a disagio. Tale desiderio prende una forma pi viva al momento di un battesimo o al tempo dellentrata in qualche gruppo di animazione parrocchiale o di Azione Cattolica o al tempo della catechesi. In quei momenti i divorziati risposati si trovano di fronte
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Cf SALN PAUL, Spars, divorcs: Une possible esprance, Paris [Nouvelle Cit] 1990. Questo libro descrive il movimento Notre-Dame de lAlliance e contiene molte testimonianze di divorziati che vivono nella fedelt al sacramento ricevuto, cio al primo matrimonio. 19 Sil ne devrait pas esprer et mme contribuer provoquer un assouplissement de la position de lglise, qui la conduirait dans des cas particuliers, comme le font dautres glises chrtiennes, donner une certaine reconnaissance au nouveau mariage conclu par un couple de divorcs, ou par une personne libre pousant une personne divorce (Les divorcs remaris, 12).

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ad una barriera: non sono ammessi ai sacramenti della riconciliazione e delleucaristia, se non accettano di vivere come fratello e sorella (cf p. 13). In tale situazione, alcuni decidono per conto proprio di ricevere i sacramenti, mentre altri invece cercano un sacerdote che li ammetta ai sacramenti. Qui il pastore delle anime si domanda: Quali sono le ragioni della posizione della Chiesa, e non possibile attenuarla? Siccome i divorziati risposati desiderano sinceramente avanzare sul cammino della santit, ma non possono vedersi separati, specialmente a causa dei figli, non potrebbe la Chiesa, senza imporre a loro di vivere la continenza, dare loro lassoluzione e ammetterli alla comunione eucaristica? Non potrebbe la Chiesa almeno riconoscere loro il diritto di decidere in coscienza che cosa devono fare? 20. Alla fine di questo capitolo, la Commissione risponde alle domande annotate. 1) Alla domanda sulla preparazione al matrimonio, il documento dichiara che va oltre il suo scopo e rimanda il lettore ad un altro documento recentemente pubblicato dalla Commissione della famiglia dellepiscopato 21. 2) Sullopportunit di consigliare un tempo di attesa per una coppia che sembra molto lontana dalle fede, la Commissione ritiene necessario una riflessione approfondita e rimanda al summenzionato documento e al libro di Francis Deniau, Mariage, approches pastorales (Il matrimonio: approcci pastorali), pubblicato nel 1984. La prudenza della Commissione in questo punto senza dubbio proviene dal rispetto per il diritto naturale di tutti gli uomini al matrimonio. 3) Riguardo allaccompagnamento delle coppie in difficolt, la Commissione augura lo sviluppo ulteriore dellazione dei molti movimenti che si occupano di questo e nota nello stesso tempo limportanza dellintervento di consiglieri matrimoniali ben formati e decisi a lavorare in fedelt allinsegnamento della Chiesa (cf p. 16). 4) Per quanto riguarda infine specificamente i divorziati risposati, la Commissione risponde cos: a) nei casi nei quali esiste un ve-

Lorsque les divorcs remaris souhaitent sincrement avancer sur le chemin de la saintet, mais ne peuvent pas envisager de se sparer, notamment cause des enfants, lglise ne pourrait-elle pas, sans leur imposer de vivre dans la continence, leur donner labsolution et les admettre la communion eucharistique? Ne pourrait-elle pas au moins leur reconnatre le droit de dcider en conscience de ce quils doivent faire? (Les divorcs remaris, 13-14). 21 Cf Lentretien pastoral en vue de mariage, Paris [Centurion- Tardy] 1990.

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ro dubbio sulla validit del matrimonio, si deve ricorrere alla procedura canonica prevista dalla Chiesa e si rimanda per questo al quinto capitolo del documento che tratta della giurisprudenza in materia di nullit e di dispensa; b) nei casi in cui entra in questione la disciplina della Chiesa riguardo ai divorziati risposati, ci vuole un approfondimento dottrinale che allo stesso tempo pastorale, quale appunto si trova nel secondo, terzo e sesto capitolo del documento. IV. Lapprofondimento dottrinale Il cuore del documento si incontra nel secondo, terzo e quarto capitolo, in cui la Commissione riflette sul matrimonio come sacramento dellamore umano, coniugale e procreativo, sulla formazione della coscienza in conformit con questa verit della fede e finalmente sulla chiamata alla conversione che questa verit di fede indirizza a tutti i fedeli. La qualifica di sacramento significa immediatamente che il matrimonio radicato nel mistero pasquale di Cristo, e questo in due sensi complementari, come dice il documento, seguendo linsegnamento riportato nei nn. 11-13 della Familiaris consortio. 1) Nel primo senso, lamore coniugale voluto da Dio nella creazione come una partecipazione del suo proprio amore divino. Il documento, riferendosi al n. 11 della Familiaris consortio, afferma: Questo amore unisce luomo e la donna in una stima e tenerezza reciproche; allorigine dellattrazione che sentono luno per laltro e che esprimono con tutto il loro essere affettivo e sessuale. pure lamore della coppia che costituisce la paternit e la maternit degli sposi e li unisce ai bambini che hanno generato e che aiutano a crescere 22. Questo amore, sacramento dellamore divino, ha subto per una grave ferita per il peccato originale, ma viene purificato, santificato e restaurato al piano originario di Dio Creatore da Cristo, e cio per la nuova vita che Egli comunica. Qui il documento si sforza di precisare che non si tratta dellaggiunta della sacramentalit alla realt umana, ma della redenzione della realt umana stessa: Non
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Cet amour unit lhomme et la femme dans une estime et une tendresse rciproques; il est lorigine de lattrait quils ont lun pour lautre et quils expriment avec tout leur tre affectif et sexu. Cest aussi lamour du couple qui fonde la paternit et la maternit des poux et les attache aux enfants quils ont engendrs et quils aident grandir (Les divorcs remaris, 22).

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c, da una parte, lumanit profana dellunione matrimoniale e, dallaltra, il carattere sacro del matrimonio religioso. la realt stessa dellamore umano, sigillato nel matrimonio, che da ora in poi vissuto nel Signore (1 Cor 7, 39) 23. 2) Nel secondo senso, lamore coniugale partecipa dellalleanza che Dio ha stretto con luomo, e che Ges ha stabilito per sempre nella sua Pasqua, opera della nostra redenzione. La verit del matrimonio cristiano si basa sul fatto che significa e raffigura il mistero di Cristo e della Chiesa, esso stesso segno e compimento dellalleanza di Dio con gli uomini 24. Partecipando dellalleanza di Dio con luomo, di Cristo con la Chiesa, il matrimonio si caratterizza per le stesse qualit di questa alleanza, cio unit, fedelt e indissolubilit. Su questa partecipazione il documento cita linsegnamento del Sommo Pontefice nel n. 13g della Familiaris consortio: In virt della sacramentalit del matrimonio, gli sposi sono vincolati luno allaltro nella maniera pi profondamente indissolubile. Qui, insiste il documento, si devono prendere le parole di Ges, una caro (= una sola carne), in tutto il loro realismo, riconoscendo che la vita matrimoniale veramente una vita pasquale, una vita intimamente vissuta in Cristo e perci nel mistero della Sua morte e risurrezione. Approfondendo il senso della vita matrimoniale come vita pasquale, il documento illustra come il vero senso della fedelt e della fecondit del matrimonio viene capito soltanto attraverso il mistero pasquale di Cristo (cf pp. 29-34). Alla fine di queste considerazioni il documento si domanda se linsegnamento della fede sulla realt matrimoniale non sia troppo idealistico, troppo elevato ed esigente. Ricordando le parole del Signore sulla perfezione evangelica alla quale tutti sono chiamati (cf Mt 5, 48), si ricorda che la perfezione evangelica non si acquista tutta in un momento, ma che ci si deve mettere giorno per giorno sulla via che porta a tale perfezione. In questo senso, il Sommo Pontefice ha illustrato la legge della gradualit nel n. 34 della Familiaris consortio, alla quale il documento rimanda. La Commissione perci

Il ny a pas dun ct lhumanit profane de lunion matrimoniale et de lautre le caractre sacr du mariage religieux. Cest la realit mme de lamour humain, scelle dans le mariage, qui est dsormais vcue dans le Seigneur (1 Cor 7, 39) (Les divorcs remaris, 24). 24 La vrit du mariage chrtien se fonde sur le fait quil signifie e quil figure le mystre du Christ et de lglise, lui-mme signe et accomplissement de lalliance de Dieu avec les hommes (Les divorcs remaris, 26-27).

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risponde: Al cuore stesso dellamore di questo uomo e di questa donna che si sono promessi davanti a Lui di rimanere fedeli luno allaltro, c il Cristo della Pasqua. Egli rimane presente nel loro cuore, nella loro coppia, nella loro casa 25. Intimamente connessa con la realt dellamore coniugale la questione della coscienza e della sua formazione, per la quale uno si prepara a vivere secondo linsegnamento di Cristo, secondo la verit della vita matrimoniale. Il documento tratta della formazione della coscienza nel terzo capitolo. Affrontando questo argomento la Commissione propone la domanda, che fatta comunemente nelle conversazioni sulle difficolt dei divorziati risposati e che quasi vuole mettere la coscienza individuale su un piano parallelo al magistero: sufficiente agire secondo la propria coscienza?. Il documento subito risponde che la persona non ha soltanto il dovere di seguire la propria coscienza, ma anche il dovere di illuminarla, sostenerla e formarla. Come dice il documento, la coscienza non un oracolo, perch sempre suscettibile dessere informata, formata e illuminata (cf pp. 38-39). E il documento chiarifica come linformazione, la formazione e lilluminazione della coscienza avviene: La preghiera, la conoscenza della Parola di Dio, la partecipazione ai sacramenti, laccompagnamento spirituale, la revisione di vita, la attenzione accogliente del Magistero costituiscono tante luci perch la coscienza personale possa pienamente rispondere alla sua vocazione 26. In questa linea, la nozione della gradualit viene giustamente ripresa, perch il graduale avvicinamento alla perfezione evangelica si realizza attraverso la informazione, la formazione e la illuminazione della coscienza. Il documento nota per che la gradualit non significa che il consenso matrimoniale, il dono originale della persona, viene posto in questione o sospeso: Se la formazione della coscienza alle esigenze e ai valori del matrimonio cristiano pu conoscere una gradualit, la promessa nel matrimonio, una volta sottoscritta, non per25

Au coeur mme de lamour de cet homme et de cette femme qui se sont engags devant Lui demeurer fidles lun a lautre, il y a le Christ de Pque. Il demeure prsent leur coeur, leur couple, leur foyer (Les divorcs remaris, 36). 26 La prire, la connaissance de la Parole de Dieu, la participation aux sacrements, laccompagnement spirituel, la rvision de vie, une attention accueillante aux actes du Magistre constituent autant de lumires pour que la conscience personnelle puisse pleinement rpondre sa vocation (Les divorcs remaris, 40-41).

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mette pi di tornare indietro o di comportarsi come se questo evento dellalleanza non sia mai successo 27. Riguardo ai divorziati risposati, il documento avverte che la grazia del Signore rimane per loro, ma che non possono pretendere di godere della forma sacramentale e della pienezza ecclesiale che ha assunto nella promessa che stata allorigine del matrimonio. Come dice il documento, nessuno, neanche gli interessati stessi, possono separare quello che Dio ha unito (Mt 19, 6) 28. Il documento conclude questa riflessione sulla coscienza, ricordando che tutti i fedeli hanno la responsabilit di formare la coscienza, in questo caso, intorno alle parole di Ges: ci dunque che Dio ha congiunto, luomo non separi (Mt 19, 6). Il quarto capitolo prende in considerazione allora la chiamata alla conversione. Prendendo ispirazione dal n. 84 della Familiaris consortio, il documento indica tutti i modi attraverso i quali i divorziati risposati possono seguire fedelmente il Signore nella via della perfezione. Innanzitutto, possono riconoscere nellimpossibilit di accedere ai sacramenti della Penitenza, della comunione ecc. il loro modo di significare che credono che linsegnamento di Ges sullindissolubilit del matrimonio sempre attuale, e che capiscono che la Chiesa non pu rinunciarvi 29. Talvolta la graduale formazione della coscienza porter la coppia ad atteggiamenti pi esigenti di rinuncia luno al riguardo dellaltro 30. Tale decisione comunque deve essere comune e presa generosamente. V. La nota canonica e lappendice La nota canonica comincia riassumendo le conclusioni dellapprofondimento dottrinale: Chiedendo il matrimonio alla Chiesa, la donna e luomo sono chiamati a vivere il loro amore con le caratteri27

Si la formation des consciences aux exigences et aux valeurs du mariage chrtien peut connatre une gradualit, lengagement dans le mariage une fois souscrit, il nest plus possible de revenir en arrire ou de se comporter comme si cet vnement dalliance navait pas eu lieu (Les divorcs remaris, 43-44). 28 Il nappartient en effet personne, pas mme aux intresss eux-mmes, de sparer ceux que Dieu a unis (Mt 19, 6) (Les divorcs remaris, 44). 29 Quils croient que lenseignement du Christ sur lindissolubilit du mariage est toujours actuel, et quils comprennent que lglise ne peut pas y renoncer (Les divorcs remaris, 47). 30 Des attitudes plus exigeantes de rserve lun lgard de lautre (Les divorcs remaris, 47).

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stiche dellunit e della fedelt totale, da cui segnata ogni alleanza coniugale 31. Il primo passo della nota situa la questione dei divorziati risposati dentro la considerazione della diversit di condizione dei fedeli nella Chiesa (cf c. 96). In questa luce, si specifica che rimangono membri del popolo di Dio, definitivamente incorporati in Cristo per mezzo del battesimo. Rettificando lidea sbagliata, anche se assai diffusa, che i divorziati risposati stiano sotto la pena di scomunica, il documento rende chiaro che il loro stato di vita, cio lessere uniti in un nuovo legame che contrasta con il vincolo coniugale precedente (che non stato dichiarato nullo n stato sciolto per dispensa), non corrisponde allinsegnamento della Scrittura 32. In altre parole, la loro condizione non pienamente segno dellamore indefettibile di Cristo per la Sua Chiesa. La nota allora conclude che la Chiesa non pu equivocare riguardo alla verit della situazione dei divorziati risposati, anche se allo stesso tempo non pretende di giudicare lintimit delle coscienze, dove Dio vede e giudica 33. In secondo luogo, riferendosi al n. 83 della Familiaris consortio, la nota canonica ricorda il dovere della comunit cristiana di offrire ai divorziati risposati accoglienza e accompagnamento. In pi, ricorda ai pastori che per amore della verit, sono obbligati a ben discernere le situazioni dei divorziati risposati (cf p. 51). Specifica inoltre che parte di questa attivit di discernimento deve consistere nellesame attento riguardo alla validit del primo matrimonio, cosicch, nel caso di un dubbio serio, il sacerdote non deve esitare a incoraggiare a ricorrere al tribunale ecclesiastico. A questo serve lappendice alla nota canonica nella quale si offrono una piccola bibliografia di letteratura divulgativa sulla nullit del matrimonio, un breve elenco dei capi di nullit del matrimonio e dei motivi per domandare lo scioglimento per dispensa di un matrimonio valido, ed infine alcuni orientamenti pratici (cf pp. 55-57). Per quanto riguarda lappendice, si deve riconoscere che un po troppo breve rispetto allargomento affrontato. Cos mancano delle distinzioni che anche in un documento indirizzato ai pastori e

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En demandant le mariage lglise, la femme et lhomme sont appels vivre leur amour avec ces caractristiques dunit et de fidelit totale dont est marque toute alliance conjugale (Les divorcs remaris, 49). 32 Ne correspondent pas lenseignement de lcriture (Les divorcs remaris, 50). 33 Lintime des consciences o Dieu voit et juge (Les divorcs remaris, 50).

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lavoratori pastorali sono necessarie; non si distingue, ad esempio, tra la situazione della nullit per difetto nella forma canonica e la situazione dei cattolici che si sposano senza la forma canonica, cio in una chiesa protestante senza la dispensa dalla forma canonica, o di fronte ad un officiale civile. Anche, nellelenco dei capi di nullit, il difetto di deliberazione sufficiente, il difetto di libert interna e il difetto di atto umano, i quali non sono indicati nel Codice come capi di nullit matrimoniale, sono inclusi, e non spiegato il loro rapporto ai capi rilevanti che sono indicati nel Codice, cio linsufficiente uso di ragione, il grave difetto di discrezione di giudizio e lincapacit di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio. Gli orientamenti pratici soffrono pure per la brevit. Non sembrano anzitutto completi. Due degli orientamenti pratici vogliono correggere delle classiche idee false riguardanti le dichiarazioni di nullit, cio che ogni causa debba necessariamente andare a Roma per un giudizio, e che il conseguimento di una dichiarazione di nullit sia una questione di denaro. Un altro orientamento consiglia al sacerdote che sperimenti dei dubbi durante la preparazione per il matrimonio di fare una nota riservata sul dubbio e allegarla alla pratica prematrimoniale. Tornando alla nota canonica vera e (si potrebbe aggiungere, per chiarezza) propria, si offre una descrizione della partecipazione alla vita della Chiesa da parte dei divorziati risposati: 1) con tutti i cristiani sono chiamati a salvaguardare la loro fede e crescere nella fede con la partecipazione, ad esempio, alle sessioni di formazione permanente o di catechesi; 2) sono invitati a comunicare con Dio nel culto divino e nella preghiera; come tutti i battezzati sono invitati a partecipare allassemblea liturgica, anche se non possono ricevere la comunione; 3) hanno la loro responsabilit nel rafforzamento della comunit ecclesiale, specialmente nelleducazione dei loro figli; 4) possono prendere parte nei servizi ecclesiali, sempre rendendosi conto dei limiti e della riserva che la loro condizione pu imporre; e 5) hanno diritto alla celebrazione dei funerali cristiani, essendo i casi di esclusione dalla celebrazione dei funerali nella Chiesa unicamente quelli previsti nel c. 1184 (cf pp. 51-52). La nota canonica termina trattando della questione dellaccesso ai sacramenti. La Commissione ricorda che ogni fedele chiamato a rendere testimonianza viva della fedelt di Cristo alla Chiesa, e che, se anche la partecipazione ai sacramenti la via ordinaria della santificazione, quelli che non possono ricevere questi sacramenti posso-

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no accogliere i doni di Cristo nella preghiera, nella cura costante per la propria conversione , nella comunione spirituale e attraverso una vita riempita di carit 34. VI. Accoglienza e accompagnamento dei divorziati risposati Lultimo capitolo del documento offre dei punti di riferimento pastorali per laccoglienza e laccompagnamento dei divorziati risposati nella Chiesa. Questi punti derivano dal principio fondamentale enunziato nel documento, cio la verit della situazione dei divorziati risposati nella Chiesa, che deve informare la compassione e la comprensione al loro riguardo. Il capitolo infatti una riflessione sulle direttive pastorali contenute nel n. 84 della Familiaris consortio. Prima di tutto, il documento affronta la reazione del divorziato risposato che, riconoscendo lindissolubilit del matrimonio, riguarda la sua situazione nella Chiesa come unesclusione, e consiglia innanzitutto un rapporto di fiducia che permette al divorziato risposato di vedere la sua situazione, non come una situazione di tutto o niente, ma piuttosto nella luce dellinsegnamento della Chiesa sulla misericordia di Dio e la speranza della salvezza in Ges Cristo (cf p. 60). Quando ci accade, la persona pu integrarsi attivamente nei servizi della comunit parrocchiale, ci che realmente le rende possibile di verificare il suo posto nella vita e missione della Chiesa 35. Qui il documento nota il bisogno di sensibilit da parte dei parroci e dei consigli pastorali nel vedere attentamente le iniziative che possono essere adatte allimpegno dei divorziati risposati nella Chiesa (cf pp. 61- 62). Al tempo stesso, il documento consiglia una certa discrezione, indicando per esempio, che posti di direzione nelle organizzazioni raccomandate dai vescovi non potrebbero essere assegnati ai divorziati risposati. Rappresentare la Chiesa nel suo ministero di alleanza tra Dio e lumanit, testimoniare la fedelt eterna di Dio, una tale responsabilit non potrebbe essere affidata loro senza provocare
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Ceux qui ne peuvent pas recevoir ces sacrements peuvent accueillir les dons du Christ dans la prire, dans un souci de conversion permanente, dans la communion spirituelle et par une vie remplie de charit (Les divorcs remaris, 52-53). 35 De sintgrer activement dans ces services de la communaut paroissiale (Les divorcs remaris, 61).

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incomprensioni e difficolt 36. In questo modo si rispetta la verit sul matrimonio e allo stesso tempo si integra il divorziato risposato nella vita ecclesiale secondo le esigenze della sua condizione ferita nella Chiesa. Il documento commenta che la possibilit della direzione spirituale (consiglio spirituale) per il singolo divorziato permette laccompagnamento ecclesiale della persona e favorisce la formazione della coscienza, nellassenza della regolare celebrazione del sacramento di Penitenza. Luomo invitato a seguire la voce della sua coscienza, ma quella della coscienza umile, docile allo Spirito Santo, che accetta dessere illuminata 37. Questo punto strettamente connesso con quello anteriore sullimportanza di un rapporto di fiducia nella Chiesa per il divorziato risposato. Due questioni difficili vengono affrontate alla fine di questo capitolo, questioni fatte ancora pi spinose dalla diversit della prassi pastorale di certi sacerdoti e comunit, come il documento osserva apertamente. 1) La prima questione come rispondere alla richiesta di una celebrazione nelloccasione del matrimonio civile di un divorziato o di divorziati. La risposta si trova nel n. 84f della Familiaris consortio, che il documento cita, concludendo poi: Quello che deve guidare, la cura dessere veri, di non fare gesti che andrebbero pi lontano di quello che possono dire o fare senza ambiguit quelli che vi sono interessati: le parti, i loro compagni e la comunit cristiana 38. Saggiamente il documento osserva: In occasione del matrimonio civile, ogni intervento in chiesa presenta dei rischi maggiori di confusione 39.

Reprsenter lglise dans son ministre dalliance entre Dieu et lhumanit, tmoigner de la fidelit ternelle de Dieu, une telle responsabilit ne pourrait leur tre confie sans provoquer incomprhensions et difficults (Les divorcs remaris, 62). 37 Lhomme est invit suivre la voix de sa conscience, mais celle de la conscience humble, docile lsprit Saint, qui accepte dtre claire (Les divorcs remaris, 63). 38 Ce qui doit guider, cest le souci absolu dtre vrai, de ne pas poser de gestes qui iraient plus loin que ce que peuvent dire ou faire sans ambiguts ceux qui sont concerns: les conjoints, lentourage et la communaut chrtienne (Les divorcs remaris, 65). A questo riguardo, si deve notare la posizione presa dal Consiglio presbiterale della Arcidiocesi di Rouen proponendo un servizio di preghiera in occasione del matrimonio civile, condotto da un sacerdote, anche se fuori della chiesa, per significare laccoglienza fraterna dei divorziati risposati. Cf Pastorale des divorcs remaris: Document du Conseil Presbytral de Rouen, in Lglise de Rouen et du Havre, 21 fevrier 1992, n. 4, pp. 107-109. 39 loccasion du mariage civil, tout passage lglise prsente des risques majeurs de confusion (Les divorcs remaris, 65).

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2) La seconda questione concerne la richiesta dei divorziati risposati di accedere al sacramento della Penitenza e allEucaristia. Questo punto sembra molto esacerbato nella Chiesa in Francia, come anche nella Chiesa in altre parti del mondo; esiste infatti una letteratura cattolica assai popolare in Francia che insiste molto sul fatto che la Chiesa dovrebbe rilassare la sua disciplina in questo riguardo 40. Qui ancora il documento cita la risposta del n. 84e della Familiaris consortio: La riconciliazione nel sacramento della penitenza che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico pu essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dellalleanza e della fedelt a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non pi in contraddizione con lindissolubilit del matrimonio. Qui il documento sottolinea una volta ancora limportanza della direzione spirituale (consiglio spirituale) che pu permettere alla persona di cercare le altre vie di santificazione aperte ai divorziati risposati nella Chiesa e di non paralizzarsi sognando ci che impossibile. La Commissione conclude notando: Alcuni anche scoprono il senso troppo dimenticato della comunione di desiderio, nella speranza del cammino ritrovato al tavolo eucaristico 41. Come chiaro, secondo il principio della gradualit la coppia viene aiutata a vivere sempre pi completamente la verit della sua condizione nella Chiesa. Conclusione Il documento si conclude ricordando una volta ancora che ciascun battezzato chiamato a vivere la sua situazione e la sua vita umana come un cammino di santit, non isolatamente, ma legato alla comunit ecclesiale 42. Cos il documento propone ai divorziati risposati di vivere la loro vita nella Chiesa, ed ai pastori e alle comunit di offrire ai divorziati risposati il sostegno e laccompagnamento, dei quali ha bisogno ogni battezzato, e di contribuire alla formazione della coscienza. A questo punto, sufficiente rinviare a quello che stato detto altrove. Il cammino di santit vissuta nella Chiesa, chiama
Cf, ad esempio, LE BOURGEOIS A., Chrtiens divorcs remaris, Paris [Descle de Brouwer] 1990, 173183, e LEGRAIN MICHEL, Les chrtiens face au divorce: Entretiens avec Herv Boulic, Paris [Centurion] 1991, 63-69. 41 Quelques-uns dcouvrent mme le sens trop oubli de la communion de dsir, dans lesprance du chemin retrouv de la table eucharistique (Les divorcs remaris, 66). 42 Chaque baptis est appel vivre sa situation et sa vie humaine comme un chemin de saintet, non pas isolment, mais en lien avec la communaut ecclsiale (Les divorcs remaris, 67).
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a tenere in conto dei dati diversi: la parola ecclesiale, la verit umana della situazione, i suoi valori e le sue ambiguit, il cammino della fede della persona, il progetto di vita cristiana reale... 43. Per considerare giustamente tutti questi elementi, anche rispettando la gravit propria di ciascun elemento, ci vorrebbe un rapporto di fiducia nella Chiesa, preferibilmente attraverso la direzione spirituale. Il documento presentato certamente ha raggiunto lo scopo proposto di precisare la situazione dei cattolici divorziati risposati attraverso un approfondimento del Magistero della Chiesa sul matrimonio e sulle sue caratteristiche essenziali di fedelt e indissolubilit. Nonostante qualche difetto notato qua e l, questo documento rappresenta uno sforzo serio di portare, con rispetto per la verit e la carit, linsegnamento della Chiesa a quelli che vivono la ferita di un matrimonio fallito e a quelli che li accompagnano nella Chiesa. Linsegnamento presentato nel documento corrisponde allinsegnamento magisteriale in materia, come il Santo Padre di nuovo ha ribadito parlando ai vescovi francesi della regione apostolica centro-est, il giorno prima della pubblicazione dello stesso documento, cio il 28 marzo 1992: Gli uomini e le donne che vivono in situazioni irregolari dal punto di vista religioso hanno bisogno dellassistenza spirituale e dellaiuto pieno di sollecitudine affettuosa della Chiesa e, in primo luogo, i divorziati risposati, come io ho affermato nellEsortazione apostolica Familiaris consortio (cf nn. 79-84). Tuttavia, questo non si pu realizzare fuori dal quadro fissato dal Diritto e dal Magistero della Chiesa, perch la Chiesa custode e non padrona dei sacramenti istituiti da Cristo. Incoraggio i Pastori ad accogliere le persone che vivono in simili situazioni e ad essere attenti ai loro bisogni per consentire loro di vivere la propria vita battesimale 44.

Ce point, quil suffise de renvoyer ce qui a t dit par ailleurs. Le chemin de saintet, vcu en glise, appelle prendre en compte des donnes diverses: ainsi la parole ecclsiale, la vrit humaine de la situation, ses valeurs et ses ambiguts, le chemin de foi de la personne, le projet de vie chrtienne relle... (Les divorcs remaris, 68). 44 Les hommes et les femmes qui vivent dans les situations irrgulires du point de vue religieux ont besoin de lassistance spirituelle et de laide pleine de sollicitude affectueuse de lglise, et en premier lieu les divorcs-remaris, comme je dit dans lexhortation apostolique Familiaris consortio. Cependant, cela ne peut se raliser hors du cadre fix par le Droit et le Magistre de lglise, car lglise est gardienne et non matresse des sacrements institus par le Christ. Jencourage les pasteurs accueillir les personnes vivant dans de telles situations, et rester attentifs leurs besoins pour leur permettre de vivre leur vie baptismale (GIOVANNI PAOLO II, Allocutio Ad quosdam Galliae episcopos occasione oblata ad limina visitationis, 28 marzo 1993, in Acta Apostolicae Sedis 85 [1993] 364, n. 5e). Per la traduzione italiana cf LOsservatore Romano, 30-31 marzo 1992, 9.

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di Paolo Bianchi

Premessa noto a tutti soprattutto ai pastori danime quanto sia dolorosa la condizione di quei fedeli che, con alle spalle un matrimonio canonico fallito, hanno dato vita a nuove unioni, sia di fatto che sancite con rito civile. nota anche la disciplina della Chiesa, che vieta a queste persone la ricezione dei sacramenti e anche lo svolgimento di alcune funzioni e ministeri ecclesiali che comportano una testimonianza di piena corrispondenza alle esigenze evangeliche e di adesione alle regole di vita ecclesiali (cf, per unanalisi pi approfondita, gli articoli di Trevisan e Montini su questo stesso fascicolo di QDE). La disciplina ecclesiale in merito autorevolmente sintetizzata nella Esortazione apostolica Familiaris consortio sui compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo, che SS. Giovanni Paolo II ha reso pubblica il 22 novembre 1981, quale sviluppo dei lavori del Sinodo dei Vescovi del 1980, dedicato appunto al tema della famiglia cristiana. Appare opportuno richiamare il n. 84 di questo documento, che traccia le linee portanti di questa disciplina. Se ne raccomanda la rilettura attenta, come necessario punto di riferimento per tutti coloro che vogliono affrontare queste delicatissime problematiche con un sentire autenticamente ecclesiale. Anche la Chiesa italiana si confrontata col problema della posizione di quei cattolici che, dopo un precedente matrimonio canonico, si sono posti in una situazione matrimoniale obiettivamente irregolare.

Nullit di matrimonio non dimostrabili. Equivoco o problema patorale?

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I principali riferimenti in proposito invero tutti precedenti alla Familiaris consortio, ma certamente nella stessa linea del documento pontificio sono i seguenti: EPISCOPATO ITALIANO, Documento pastorale Matrimonio e famiglia oggi in Italia, 15 novembre 1975, n. 16 f: E.CEI I, n. 2191; EPISCOPATO ITALIANO Documento pastorale Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 20 giugno 1975, n. 106: E.CEI II, n. 2202; COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, LA CATECHESI E LA CULTURA E COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA FAMIGLIA Nota pastorale La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari e difficili, 26 aprile 1979: E.CEI II, n. 3406-3467. Mentre nei primi due documenti, formale espressione dellepiscopato, si fanno alcuni accenni alla questione, nellultimo, opera di due Commissioni episcopali presso la Conferenza episcopale nazionale e la cui pubblicazione venne autorizzata dal Consiglio permanente della CEI, il problema pastorale viene affrontato in maniera molto ampia e con ricchezza di orientamenti pratici. La ragione della situazione di oggettiva irregolarit in cui vengono a trovarsi i divorziati civilmente risposati o conviventi (in questultimo caso, anche i semplici separati) la impossibilit per lordinamento canonico di attribuire significato matrimoniale a questa nuova unione. Questa impossibilit una conseguenza delle cosiddette propriet essenziali del matrimonio (di per s proprie di ogni matrimonio valido, anche non sacramentale): la indissolubilit e la unit (c. 1056). In forza di esse, il matrimonio valido crea di per s un vincolo perpetuo (indissolubilit), mentre non possibile che sussista contemporaneamente per una persona pi di un valido legame coniugale (unit). Queste caratteristiche essenziali del matrimonio si trasformano nellordinamento positivo in un vero e proprio impedimento matrimoniale, cio in una norma che inabilita, che rende cio incapace (cf c. 10 e 1073), una persona gi validamente sposata di contrarre un nuovo matrimonio. quanto viene previsto dal primo paragrafo del c. 1085, che recita:

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Attenta invalidamente il matrimonio chi legato dal vincolo di un matrimonio precedente, seppure non consumato.

questa una norma di grande importanza, fondata per la Chiesa cattolica sia sul diritto cosiddetto naturale (cio nel ritenere il matrimonio monogamico e indissolubile come maggiormente corrispondente alla natura delluomo e, quindi, alla volont del Creatore, che si deve quindi pensare cos abbia voluto il matrimonio fin dal principio); sia sul diritto divino positivo, leggendosi nella Chiesa cattolica i passi di Mc 10, Mt 19 e 1 Cor 7 nella linea di una esplicita conferma di Cristo alla detta volont originaria di Dio. A meno che si intenda mettere in discussione (come del resto viene anche da taluni proposto) il grado di impegnativit dogmatica (la nota teologica) e, quindi, di obbligatoriet disciplinare del principio della indissolubilit del matrimonio, difficilmente si potranno qualificare le situazioni coniugali di cui si fatto cenno come non obiettivamente irregolari, con le conseguenze gi logicamente tratte dallautorit pastorale della Chiesa circa lammissione ai sacramenti e lo svolgimento di alcune funzioni ecclesiali da parte delle persone interessate. Un problema particolare Un problema particolare stante tutto quanto detto in premessa sorge per dalla considerazione del secondo paragrafo del c. 1085, gi poco sopra richiamato. Questa norma recita quanto segue:
Per quanto il precedente matrimonio sia invalido ovvero sciolto per qualsiasi causa, non lecito contrarne un altro prima che consti in modo legittimo e certo della nullit o dello scioglimento del primo.

Cosa significa in concreto questa norma? In primo luogo, che lo stato effettivo della persona dipende dalla realt oggettiva, ossia dalla validit o meno del precedente matrimonio. In secondo luogo, per, che la Chiesa si riserva di verificare questa invalidit (anche con un procedimento giudiziario, se del caso) e di stabilire le cause per un valido scioglimento del legame nuziale, rendendo di conseguenza illecita per chi soggetto alla legge ecclesiastica la celebrazione di un nuovo matrimonio prima della detta verifica.

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Alla luce di questi principi si proposto il problema particolare di cui si faceva cenno. La ipotesi precisamente questa: che vi sia un matrimonio obiettivamente nullo, di modo tale che la persona, per s, avrebbe titolo a poterne contrarre uno valido; ma che laccertamento della nullit sia impossibile, nel senso che non vi sia la possibilit di portare di fronte allorgano competente, cio il Tribunale, le prove necessarie per una sentenza giudiziaria dichiarativa della nullit del precedente vincolo. In questa ipotesi, la proibizione di cui al c. 1085, par. 2 si trasformerebbe di fatto in una preclusione insuperabile per lesercizio del diritto del fedele a un matrimonio valido. In altre parole, si creerebbe nel caso una situazione di conflitto fra un diritto soggettivo (quello a sposarsi in chi non davvero sposato) e una regola comunitaria che gli impedisce di farlo per mancanza di prove sufficienti del suo buon diritto. In questa ipotetica situazione, come pure nel principio del cosiddetto favor matrimonii, espresso dal c. 1060 (fra laltro semplice applicazione alla materia matrimoniale del principio generale di diritto processuale di cui al c. 1608, par. 1 e 4) e che consiste nel riaffermare la solidit del vincolo coniugale in caso di semplice dubbio sulla sua validit giuridica alcuni hanno voluto vedere un ingiusto favore allaspetto istituzionale dellordinamento giuridico ecclesiale, a scapito dellaspetto invece detto personalistico. Prima di fare qualche osservazione sulla correttezza di questa impostazione in linea di principio e prima di occuparci in chiave pratica della possibilit effettiva del verificarsi della situazione di conflitto delineata, appare opportuno offrire ancora qualche notizia e indicazione. Una occasione particolare di emergenza del problema La situazione ipotizzata di completa impossibilit di prova della obiettiva nullit di un matrimonio, gi avanzata come meglio vedremo in dottrina, ha avuto un particolare risveglio proprio in occasione del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, tenutosi in Vaticano nellautunno del 1980. In precedenza, non risulta che a livello di organismi ecclesiali ufficiali fosse stata trattata la questione. Ad esempio, per lItalia, lunica indicazione in materia che era dato reperire era quella della sopra ricordata Nota pastorale del 1979 (n. 20: E. CEI II, n. 3426),

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che suggeriva di indirizzare al Tribunale competente i fedeli nel cui matrimonio ormai distrutto apparissero presenti fondati motivi di nullit matrimoniale. Nel documento conclusivo del Sinodo dei vescovi del 1980, invece (le Proposizioni Post disceptationem circa i compiti della famiglia cristiana nel mondo odierno, 24 ottobre 1980, proposizione 14), si leggono le seguenti espressioni. I Padri sinodali, invitando a tener debito conto delle diverse situazioni soggettive di coloro che si trovano in una condizione matrimoniale oggettivamente irregolare, affermano che vi possono essere persone che sono
in conscentia subiective certi primum matrimonium destructum numquam fuisse validum (soggettivamente certi in coscienza che il primo matrimonio ormai distrutto non fu mai valido) [EV VII, n. 724].

Il Sinodo nelle sue proposizioni non d un chiarimento della situazione descritta, soprattutto identificando su cosa debba basarsi e da chi essere verificata quella certezza soggettiva di cui parla; e nemmeno offre uno sviluppo pastorale circa la detta situazione, p.e. in tema di ammissione o meno ai sacramenti. Una interpretazione del pensiero del Sinodo e una precisazione del problema venne, poco tempo dopo, da una intervista-bilancio sul Sinodo stesso rilasciata dal card. J. Ratzinger, intitolata, nella traduzione italiana, Una valutazione globale del Sinodo sulla famiglia. Il card. Ratzinger, riprendendo il discorso sulla necessit di distinguere le situazioni soggettive di chi si trova in condizione matrimoniale irregolare, descrive il caso di coloro che hanno
una motivata convinzione di coscienza circa la nullit del loro primo matrimonio, anche se non possibile la prova giudiziaria in favore di ci [Il Regno-documenti 26 (1981) 164].

In questo caso, afferma Ratzinger, si potrebbe concedere agli interessati lautorizzazione a ricevere lEucaristia, cautelandosi per dallo scandalo a danno di terzi. Si ritiene che le parole del cardinale costituiscano una interpretazione del pensiero del Sinodo, nel senso che la certezza soggettiva di cui si parla nel testo sinodale viene presentata come motivato giudizio di coscienza (in relazione quindi a motivi, a ragioni) e in rapporto a una autorizzazione a ricevere lEucaristia, il che suppone in qualche modo una verifica appunto autorevole della coscienza soggettiva e individuale dellinteressato.

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Si ritiene poi che le parole del cardinale siano anche una precisazione del problema, perch il caso delineato viene appunto delimitato in rapporto alla impossibilit di portare una prova giudiziaria della nullit del matrimonio, di cui si sarebbe, in ipotesi, convinti in coscienza. Infine, nella Esortazione apostolica Familiaris consortio sui compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo (22 novembre 1981), SS. Giovanni Paolo II, invitando i pastori danime a distinguere fra le situazioni soggettive di chi si trova in esperienze coniugali irregolari, pure sottolineava il caso di coloro che
certi sua in intima conscientia sunt superius matrimonium iam irreparabiliter disruptum numquam validum fuisse (sono certi nel profondo della loro coscienza che il precedente matrimonio, ormai irreparabilmente disgregato, non fu mai valido) [EV VII, n. 1797].

Come si pu notare, il testo del Pontefice riprende molto da vicino quello della proposizione 14 del Sinodo: non si affronta la determinazione delle fonti della certezza del giudizio di coscienza (lasciando verosimilmente la questione alle regole generali della morale); non si ipotizza lautorizzazione in questi casi a ricevere lEucaristia e gli altri sacramenti; non si precisa il caso in rapporto alla impossibilit di una prova giudiziaria che renda oggettiva anche in ambito comunitario e sociale la certezza acquisita nellintimo della coscienza. Nonostante il testo della Esortazione apostolica non abbia voluto entrare cos determinatamente nel problema della ipotesi della impossibilit di prova giudiziaria di una nullit matrimoniale certa in coscienza, appare ugualmente aver stimolato ulteriormente la riflessione e la presa di posizione su questa stessa ipotesi. Una dottrina ancora incerta Sia precedentemente che successivamente allepisodio del Sinodo, s sviluppata una dottrina che ha cercato di affrontare la ipotesi formulata. Si tratta di articoli di diverso valore, spesso non scritti da giuristi e spesso ingiustamente semplificatori circa il lavoro e i criteri operativi dei Tribunali ecclesiastici. Non questa la sede di recensire e di commentare questa serie di approfondimenti dottrinali (fra i pi radicali quelli del noto mo-

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ralista p. Haering, che, nelle sue ultime pubblicazioni giunge a mettere coerentemente in discussione linterpretazione cattolica del precetto della indissolubilit del matrimonio, invitando a condividere la prassi ortodossa della oeconomia, consistente nellautorizzare nuove nozze in caso di matrimoni irrimediabilmente falliti, prescindendo dal giudizio sulla loro validit). Quanto piuttosto qui sinteticamente da richiamare che gli sforzi dei vari autori non sono ancora giunti a presentare soluzioni davvero convincenti, sia dal punto di vista teorico, sia dal punto di vista di organizzazione pratica delle procedure (evidentemente, nel caso, extragiudiziarie) necessarie alla risoluzione del caso ipotetico proposto. Non solo talora i termini teorici della problematica non appaiono chiari; ma anche, almeno in alcuni casi, i testi o gli istituti giuridici cui gli autori si richiamano per elaborare le loro soluzioni non appaiono rettamente compresi. Ad esempio della incertezza sul piano teorico, si pu richiamare il fatto che quasi nessun autore provvede a verificare la effettiva possibilit della ipotesi che si prende in considerazione: quella della certezza di una nullit matrimoniale accompagnata dalla totale impraticabilit della sua prova (con la surrettizia induzione della idea, almeno leggendo certi articoli, che questa situazione non tanto sia tutta da dimostrare e da precisare, ma rappresenti in realt quasi la norma). Ovvero, appare carente la esplicitazione del tipo di certezza di coscienza che si vuole alla base della problematica. Si afferma una certezza soggettiva della nullit del proprio matrimonio, ma senza indagare e precisare fonti e verifiche cui la coscienza dovrebbe sottoporsi per essere autentica. Ovvero ancora, e per conseguenza, si rileva una certa confusione fra il concetto di prova nel senso di norma processuale (le regole per lacquisizione delle prove) e il concetto di prova nel senso sostanziale del termine, che indica il fatto oggettivo sulla base del quale ogni tipo di giudizio (tecnico-giuridico o pi genericamente morale) deve effettuarsi (p.e. le acute osservazioni di POMPEDDA M.F., La questione dellammissione ai sacramenti dei divorziati civilmente risposati, in Notitiae, luglio 1992, 475). Ovvero, infine, appare talvolta esservi una certa scarsa chiarezza circa i concetti di foro interno ed esterno, tendenzialmente rendendo rilevante il diritto solo per il secondo ambito, identificato

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addirittura con le sole norme positive del Codice (p.e. RUSSO G., Matrimonio nullo e conflitto di coscienza, in Apollinaris 65 [1992] 338, dove, riferendo inesattamente le indicazioni del Sinodo dei vescovi del 1967, si parla di coordinazione fra il foro interno e il Codice, quasi questultimo esaurisca il foro c.d. esterno, inducendo fra laltro lidea di una netta separazione fra diritto non solo nel senso di norma positiva e coscienza). Ad esempio invece del non preciso riferimento a soluzioni pratiche vigenti o anche solo ipotizzate, si potrebbero richiamare due semplici casi. P. Francesco Bersini, nel suo commentario al nuovo diritto matrimoniale canonico (Il nuovo diritto canonico matrimoniale, Leumann-TO 1985), affrontando appunto il caso della difficolt di prova nellambito del processo canonico matrimoniale, esprime questa eventualit:
Tuttavia, pur con tutta la buona volont di aprire gli orizzonti del diritto processuale e sostantivo, si potranno dare ancora dei casi non risolvibili con la procedura del processo ordinario. In simili casi e in determinate condizioni si potr far ricorso al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Questo Tribunale [...] con un atto amministrativo dichiara nullo un matrimonio che tale in maniera abbastanza evidente, ma, attese particolari circostanze, difficile provare la nullit con lordinario tramite giudiziario. Dio volesse che tutti i casi di matrimoni nulli che non possono trovare una soluzione col giudizio ordinario potessero trovarla per questa via amministrativa (69-70).

A prescindere da una certa contraddittoriet della impostazione (non si capisce infatti perch, se la nullit del matrimonio abbastanza evidente, il Tribunale non dovrebbe riuscire ad accertarla), il suo significato, cos come esso si pu cogliere dal suo contesto immediato, che la Segnatura apostolica potrebbe intervenire dove dei Tribunali inferiori hanno giudicato di un caso senza giungere, per particolari difficolt (che per non vengono esplicitate nella loro natura), alla pronuncia a favore della nullit del matrimonio. Indagando per meglio la questione, anche attraverso i riferimenti dottrinali citati dallo stesso p. Bersini, si pu verificare che la competenza nel caso della Segnatura apostolica assai differente da come viene presentata: non si tratta di sovvertire il giudizio di altri Tribunali in ipotesi in difficolt di reperimento delle prove; si tratta piuttosto di risolvere casi manifesti ed evidenti (quindi dove le prove ci sono), ma che si verificano in circostanze dove per ragioni partico-

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lari (p.e. mancanza dei Tribunali in regioni di recente evangelizzazione ed organizzazione ecclesiale) non possibile trattarli per la via giudiziaria. Come si pu notare, ci si trova in un caso assai diverso da quello di cui ci occupiamo. A documentazione, si veda la relazione del cardinale Pericle Felici al Sinodo del vescovi del 1980, citata dallo stesso p. Bersini a p. 70, nt. 10, reperibile anche in Communicationes 15 (1980) 217, n. 5 e la dichiarazione dello stesso Tribunale della Segnatura apostolica del 20 ottobre 1970, ove si riafferma che, in forza del n. 105 della Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae, le competenze che il Codice del 1917 attribuiva col c. 249, 3 alla S. Congregazione per i sacramenti sono passate al Tribunale della Segnatura (cf Periodica 60 [1970] 326-327). Il secondo caso esemplificativo rappresentato dal richiamo che lo stesso p. Bersini (o.c., 72) e, in appoggio a lui, il gi citato Russo (a.c., 345) fanno a sostegno della ipotesi della creazione di un Consiglio che i singoli vescovi potrebbero istituire per dare una risposta in foro interno a quei fedeli la validit del cui matrimonio sia stata gi ribadita dal Tribunale ecclesiastico. Si tratterebbe, secondo gli autori citati, di una autorevole risposta sul piano della coscienza e volta appunto a tranquillizzare la coscienza dei fedeli. A parte profili di ben maggiore importanza (p.e. quello della competenza di un simile Consiglio a pronunciarsi sulla validit di un matrimonio, fatto anche pubblico nella Chiesa; quello delle procedure e dei criteri di merito sulla base dei quali questo Consiglio dovrebbe operare; quello sulla opportunit di avere organismi ecclesiali che si pronuncino magari in modo diverso sullo stesso argomento), gi lo stesso riferimento al pensiero di Gasparri alla cui autorit i due autori si richiamano non pare ben operato. Il grande canonista, infatti, precisando fra laltro di esprimere una opinione personale, dopo aver riaffermato la necessit di una sentenza giudiziale dichiarante la nullit di un primo matrimonio avanti di poterne fare un altro, afferma:
soltanto se il primo matrimonio sia da tutti ignorato nel luogo [dove i due attuali interessati si trovano] e, a giudizio dellOrdinario, sia certamente nullo, riteniamo che nel foro interno i coniugi nel nuovo matrimonio eventualmente contratto non siano da inquietarsi (GASPARRI P., Tractatus canonicus de matrimonio, vol.I, Typis Pol. Vat. 1932, n. 561, p. 345-346).

A quanto pare il Gasparri ha di mira un caso diverso da quello prospettato dagli autori che si richiamano a lui: non il caso di un ma-

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trimonio su cui dei Tribunali si siano gi pronunciati incontrando una insuperabile difficolt di prova, e sul quale si chiede un ulteriore giudizio in una sede extragiudiziale; bens il caso ove siano contemporaneamente presenti questi elementi: * un primo matrimonio la cui nullit sia tanto evidente da mettere lOrdinario in condizione di poterla ritenere seppure sommariamente per certa (con un giudizio, ovviamente fondato su ragioni obiettive, diversamente lOrdinario agirebbe arbitrariamente ed abusivamente); * il fatto che quel matrimonio sia da tutti ignorato nel luogo ove ci si trova attualmente; * che una delle persone legate dal primo matrimonio sia unita con altra di modo che esse siano ritenute comunemente coniugate. In tal caso, afferma Gasparri, queste due ultime persone non vanno inquietate in foro interno: cio non si deve urger loro in coscienza losservanza degli obblighi derivanti dal primo matrimonio di una di esse, in quanto certamente invalido. Questo fintanto che il primo matrimonio non sia conosciuto in loco. Il Gasparri non afferma cosa dovrebbe farsi, nel caso, per una soluzione accettabile anche nel foro dei rapporti pubblici della comunit. I due brevi esempi riportati hanno lo scopo di mostrare come, non solo sui principi di fondo, ma anche nel richiamo a normativa e dottrina, non sempre le argomentazioni degli autori che si sono occupati della ipotesi di un matrimonio nullo, ma non dimostrabile come tale, sono ineccepibili. Per questo si ribadisce che la riflessione in merito appare ancora molto incerta e, pertanto, base non sicura per condivisibili prospettazioni in campo canonico e pastorale. Fra i contributi che hanno affrontato questa problematica e che appaiono pi equilibrati e precisi si ricordano qui solo e per un approfondimento larticolo gi richiamato di POMPEDDA M. F., La questione dellammissione ai sacramenti dei divorziati civilmente risposati, in Notitiae, luglio 1992, 472-483 e, soprattutto, quello di NAVARRETE U., Conflictus inter forum internum et externum in matrimonio, in AA.VV., Investigationes theologico-canonicae, Romae 1978, 333-346, anche nella raccolta di scritti di p. Navarrete, Quaedam problemata actualia de matrimonio, Romae 1980, 479-492 (dalla quale si cita in questo lavoro). Questarticolo di p. Navarrete costituisce una guida sicura per configurarsi e per discernere i vari casi che possono presentarsi e, in

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questo senso, se ne far ulteriore utilizzo. Prima di passare ad affrontare le fattispecie pratiche, pare per giusto richiamare alcuni principi cardine per una retta impostazione della questione. Alcuni principi basilari Essi non vanno dimenticati, in quanto dalla loro trascuratezza (ovvero non condivisione) dipende la interpretazione della ipotesi di cui ci si occupa (un matrimonio nullo ma non dimostrabile come tale) e la prospettazione delle soluzioni al problema da essa rappresentato. Fra i principi che devono essere dichiarati come imprescindibili, vi sono sicuramente i seguenti: 1. Il matrimonio un istituto che riguarda non solo il singolo fedele, ma anche laltra parte e tutta la comunit cristiana, per la quale, se celebrato fra battezzati, esso anche e in senso proprio un sacramento della Nuova Alleanza. Per questo mai si potr trattare di matrimonio come di un bene privato, che sia nella libera ed esclusiva disponibilit di una o di entrambe le parti interessate. Il matrimonio ha una dimensione pubblica intrinseca e non pu essere ristretto in una visione privatistica di stampo tendenzialmente individualistico. 2. Nella visione antropologica cristiana e, quindi, anche nella vita morale e nellordinamento giuridico della comunit non possibile ipotizzare, in linea di principio, un bene (vero) individuale che si costituisca in contrasto col bene pubblico, della comunit. Sarebbe come pensare a un uomo solo individuo, in negazione e in contrasto con la propria socialit, chiuso individualisticamente in se stesso. Possono darsi, in singoli casi, delle difficolt di armonizzazione fra il bene del singolo e quello della comunit, ma esse non possono essere presentate come la regola dei casi, n possono essere risolte forzando il contrasto fra la dimensione individuale e quella comunitaria. 3. In questa luce va letta anche la tradizionale distinzione fra i cosiddetti fori interno ed esterno. Il significato, di questi termini, nelluso, non sempre univoco (cf NAVARRETE U., a.c., 480-482). In campo strettamente giuridico pare debba ricomprendersi piuttosto in rapporto alla pubblicit di una determinata situazione giuridica (p.e. la definizione di impedimento occulto e pubblico del c. 1074 e le

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loro possibilit di dispensa in casi particolari e con rapporto ai due fori: c. 1079 e 1080), senza per che vi sia una separazione completa fra i due ambiti (cf il c. 130 circa il potere c.d. di governo) e senza che il diritto possa restringersi ad una osservanza puramente esteriore, irrilevante per la coscienza. In una accezione pi generale (coinvolgente anche ambiti che, seppure solo approssimativamente, possono definirsi morale, di coscienza), la distinzione fra i fori pure andr assunta con molta prudenza e in termini assai sfumati, onde non finire per presupporre in pratica un sistema dove vi siano due verit e due beni da perseguire: da un lato, nel campo, appunto, morale e della coscienza; dallaltro, nellambito dei rapporti comunitari e delle regole di vita della societ ecclesiale. Ogni comportamento della persona (del fedele) ha invero un rilievo morale e di coscienza; non tutti per influiscono direttamente sulla collettivit, toccando direttamente un interesse generale, protetto da una regola comunitaria. Cos, il fatto di essere validamente sposati o meno un fatto che concerne senza dubbio la coscienza, ma non solo questa sfera dellinteriorit personale. Esso concerne anche la sfera dei rapporti pubblici, esterni della comunit, attraverso di essi coinvolgendo la coscienza degli altri associati. Per questo, non si potr per principio pensare a soluzioni di eventuali questioni conflittuali che interessino esclusivamente uno dei due fori: in qualche misura dovranno provvedere per entrambi, prescrivendo cosa fare o cosa omettere per i singoli casi. 4. In questa luce, anche le alternative spesso semplicisticamente proposte quali quelle fra diritto e pastorale; diritto e morale; giustizia e misericordia; coscienza e legge, andranno assunte con molta misura, senso critico e sforzo di precisazione dei termini, onde non lasciar pregiudicare la comprensione dei problemi da fittizie contrapposizioni. Cos ad esempio ci si potrebbe interrogare su quale seria opera pastorale potrebbe istituirsi e quale tranquillizzazione della coscienza si potrebbe offrire ai fedeli senza il rispetto della verit sulla loro effettiva situazione personale; verit acquisita sulla base di elementi oggettivi di giudizio e verificata da chi ne ha la competenza (cf POMPEDDA M.F., a.c., 473). 5. In questo senso non bisogna dimenticare che la coscienza non pu accontentarsi di essere retta, cio in buona fede. Per essere

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veramente guida autorevole dellagire morale ed ecclesiale, la coscienza deve essere certa, ovvero verificata con la realt delle regole comunitarie, confrontata con la condizione personale effettiva, posta in dialogo con lautorit pastorale nellesercizio delle sue funzioni istituzionali. La buona fede sufficiente (se non frutto di ignoranza colpevole) per non peccare, ma non per essere nella verit. Non si deve inoltre estendere lappello alla coscienza come (giustamente) estrema istanza di giudizio sul comportamento etico, alla possibilit per la coscienza individuale di divenire principio di valutazione giuridica della validit di un atto dal rilievo pubblico, attivit che sembra trascendere la competenza formale e tecnica della coscienza morale in quanto tale (cf POMPEDDA M.F., a.c., 474). Richiamati brevemente questi principi guida, si pu ora passare a delineare in modo sommario i casi concreti che possono verificarsi e nei quali si pu ravvisare un conflitto fra il foro interno e quello esterno in materia matrimoniale, ovvero fra la fondata convinzione in coscienza (raggiunta individualmente dallinteressato, ovvero con laiuto di terzi) della nullit di un matrimonio e la possibilit di sua dimostrazione giudiziaria. Casi concreti Seguendo lanalisi di p. Navarrete, nellarticolo pi sopra ricordato e raccomandato, debbono distinguersi diverse ipotesi. Ad esse ci si ispira, cercando di sviluppare la trattazione attraverso la illustrazione di come lordinamento processuale vigente preveda norme che cercano in ampia misura di consentire il reperimento della prova giudiziaria anche in casi difficili: 1. Un possibile e oggettivo contrasto fra la certezza di coscienza e la situazione giuridica esterna potrebbe darsi nel caso di leggi positive ecclesiastiche. Questo, soprattutto in caso di impedimenti occulti di diritto positivo ecclesiastico che fossero stati dispensati in foro interno, particolarmente quello sacramentale. In questo caso la causa della nullit del matrimonio sarebbe effettivamente certa in coscienza, in quanto la base di fatto dellimpedimento con una sufficiente certezza individuabile (p.e. un certo grado di consanguineit, let). La difficolt deriverebbe dal non poter provare lavvenuta dispensa. Come per giustamente nota Navarrete (a.c., 482-484), la semplificazione della

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materia relativa agli impedimenti dirimenti, le ridotte possibilit di dispensa in foro interno, la possibilit di documentare (cf lattuale c. 1082) una dispensa concessa in foro interno non sacramentale concessione questultima che pu essere facilmente evitata rendono praticamente solo ipotetica questa possibilit di conflitto fra i fori. Si potrebbe aggiungere che nelle nostre condizioni attuali di vita appare difficile che un impedimento in senso proprio di diritto ecclesiastico possa essere occulto in senso tecnico e comunque non dimostrabile in senso processuale: lo stato di vita delle persone, la loro nascita e quindi let, i loro rapporti di consanguineit o affinit, il rapporto derivante dalla adozione, sono facilmente ricostruibili attraverso idonea documentazione. 2. Per quanto concerne eventuali nullit derivanti da norme che codificano il c.d. diritto divino, sia naturale che positivo, occorre affermare che raramente pu verificarsi una vera certezza nel fedele, senza la contemporanea possibilit di prove producibili anche in sede giudiziaria. Ci risulta facilmente se si prende in considerazione la natura di queste norme. Quelle che si rifanno ad una incapacit naturale del soggetto (sotto il profilo sessuale, come limpotenza del c. 1084; ovvero sotto il profilo psichico, come le diverse forme previste dal c. 1095), comportano giudizi di carattere tecnico che il soggetto difficilmente pu dare senza quelle possibilit di approfondimento (documentazione clinica, perizie) che consentirebbero anche un giudizio in sede processuale. Senza queste possibilit linteressato (ed eventualmente anche altri consiglieri o guide della coscienza extragiudiziali) potrebbero raccogliere solo degli elementi di dubbio (p.e. la inconsumazione del matrimonio, difficolt sessuali, sintomi di stranezze in campo psichico, la notizia di cure e ricoveri), ma difficilmente una vera certezza circa la incapacit della persona e quindi circa la nullit del matrimonio in esame. Si deve anzi affermare che il Tribunale ha nel caso specifico una possibilit di reperimento di prove superiore a quella del privato, sia esso il diretto interessato, sia il consigliere che ne dovrebbe extragiudizialmente illuminare la coscienza. Infatti almeno nel sistema concordatario italiano, dove vi un rapporto istituzionale e organico fra lordinamento giuridico canonico e quello civile in materia matrimoniale possibile che il Tribunale della Chiesa domandi al

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competente Tribunale dello Stato di autorizzare le Direzioni sanitarie interessate a rilasciare documentazione clinica diversamente non acquisibile in giudizio (p.e. per la non collaborazione alla causa del probando incapace). Se il Tribunale dello Stato in mancanza di normativa univoca fa prevalere nella sua valutazione e il potenziale rilievo del giudizio canonico anche nellordinamento civile e la necessit di accertare la effettiva situazione giuridica dei coniugi rispetto alla tutela della riservatezza dellinteressato, autorizzando per conseguenza il rilascio della documentazione medica, il Tribunale ecclesiastico pu acquisire elementi di giudizio che qualsiasi altro soggetto, individuale o collegiale, non ha titolo per ottenere. 3. Se si tratta poi di ragioni di nullit che attengono a difetti e/o a vizi volontari del consenso (simulazione, costrizione, condizioni, i vari tipi di errore aventi rilievo nella materia), si deve dire che il singolo nonostante le apparenze (in quanto magari si tratta di giudicare un proprio atto di volont) non sempre in condizione di fare una valutazione davvero retta e serena. Sia perch alcune delle fattispecie legali richiamate sono assai complesse e, come tali, agli stessi giudici tecnici causano difficolt di interpretazione e di valutazione nella applicazione della legge al caso concreto. Sia perch il singolo influenzato (seppure in buona fede) dalle modalit affettive in cui ha vissuto la propria vicenda; dalle involontarie deformazioni che il ripensarla centinaia di volte ha procurato; dalla tendenza caratteriale a giudicare severamente ovvero con larghezza se stesso; e da altri fattori che in un giudizio individuale o basato programmaticamente solo sulla esposizione del singolo possono risultare causa di inconvenienti. Per questo, normalmente a livello individuale il fedele pu raggiungere al massimo uno stato di dubbio circa la validit del proprio matrimonio, restando la certezza della nullit dello stesso (in assenza contemporanea di possibilit di prova) una ipotesi s pensabile, ma in linea di franca eccezionalit. Il dubbio positivo e insolubile (derivante p.e. anche da un procedimento giudiziario intentato e giunto a motivata risposta negativa) non sufficiente, sia nellordine giuridico che in quello morale, a disattendere la validit e gli obblighi del proprio matrimonio. A maggior ragione, quelle situazioni equivocamente chiamate di buona fede, nelle quali semplicemente ci si trova davanti ad una seconda unione, senza alcun serio dubbio sul valore della prima, ovvero con dubbi non positivi e fondati su elementi oggettivi, bens solo su sen-

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sazioni o estrapolazioni effettuate a partire dal fallimento della prima unione. Si deve a quanto detto aggiungere che il sistema processuale canonico presenta delle norme che favoriscono il reperimento di prove da sottoporre al giudizio competente del Tribunale, anche laddove gli elementi di dimostrazione non siano molti. Ci riduce ulteriormente la possibilit di veri conflitti fra certezza interiore e riscontri esterni della cui eventualit si argomenta e favorisce un chiarimento autorevole e informato della coscienza anche in casi di vero dubbio. Ad esempio, e per il tipo di cause relative ai motivi di eventuali nullit da ultimo richiamati, si debbono recensire: le norme dei c. 1536, 2 e 1679, gi commentate dalla nostra Rivista (3 [1990] 394-410), che stabiliscono le regole in base alle quali pu essere attribuito valore di prova anche piena alle confessioni e dichiarazioni in giudizio delle parti. noto come questa attribuzione di peso probatorio sia una innovazione assai sensibile della normativa processuale, fondata su di una fiducia di fondo nei confronti della persona in materie anche attinenti la vita morale (il foro interno) ed attuata proprio per ridurre al massimo gli ipotetici conflitti fra la situazione reale del soggetto e la sua posizione legale; la norma del c. 1573, che attribuisce valore di prova piena pure al teste unico non solo se qualificato (deponente cio circa fatti correlati con lesercizio del proprio ufficio), ma anche se confortato da circostanze di fatto e personali conclusive; cos pure non si deve dimenticare come la giurisprudenza, nella sua sostanziale equit, attribuisca grosso peso alla prova indiziaria e circostanziale (cf i c. 1527, 1 e 1586) proprio nelle cause matrimoniali e su capi di nullit come quelli da ultimo richiamati. Ad esempio, nelle cause di simulazione: riconoscendo valore spesso decisivo alla prova c.d. indiretta, basata sullapprezzamento degli indizi e delle circostanze del caso che abbiano attinenza con loggetto della prova (p.e. una relazione con altra donna gi precedente alle nozze delle quali si impugna la validit e proseguita nonostante quelle, in un caso ove si asserisca la esclusione della fedelt). Nelle cause di costrizione: dando rilievo alla prova dellavversione del soggetto che dichiara di essere stato costretto alle nozze, fino a trarne la presunzione del fatto costrittivo. In altre e pi semplici parole: una volta provata una vera avversione di Tizio ad unirsi in

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matrimonio con una determinata persona, meno onerosa diviene la dimostrazione della costrizione su di lui, se le nozze vennero poi effettuate, essendo logicamente ammissibile che egli abbia potuto giungervi non spontaneamente. Nelle cause di errore (doloso o meno) o di condizione: attribuendo ai comportamenti degli interessati (p.e. di stima o timore verso un certo fatto o qualit; ovvero di reazione di fronte: allinganno subito, alla scoperta dellerrore, al non avveramento della condizione) valore indiziario a comprova delle asserzioni giudiziali delle parti e dei testimoni. Ad esempio: la prova del fatto che una donna abbia bruscamente interrotto la vita coniugale col marito, cui pure voleva bene, scoprendo che egli tornato al vizio prenuziale del gioco dazzardo, costituisce forte indizio che le minacce di lei di rompere il matrimonio in tal caso, fatte prima del matrimonio, costituissero una vera condizione ovvero, forse pi propriamente, una esclusione condizionata della indissolubilit del suo impegno matrimoniale; e ci anche se in giudizio la prova di quelle dichiarazioni prenuziali della donna non sia ricostruita in maniera apodittica o con espressioni univoche da parte di lei riportate dai testi, ovvero ancora qualora sia mancata la collaborazione dei testi col tribunale, davanti al quale non abbiano voluto presentarsi. Conclusioni Si ritiene di poter offrire le seguenti, sintetiche, conclusioni: 1. I casi di vero conflitto fra la certezza individuale (c.d. di foro interno) circa la nullit di un matrimonio e la condizione giuridica della persona (c.d. foro esterno) a causa della impossibilit di provare giudizialmente la nullit del matrimonio sono s pensabili ma, nella realt, estremamente rari. Non si pu quindi equivocare presentando queste situazioni ipotetiche come un problema pastorale generale. 2. Lordinamento giuridico processuale vigente offre soluzioni assai atte a favorire ladeguamento della verit processuale alla situazione reale delle persone interessate. La giurisprudenza canonica, poi, ha sempre dato esempio di equit, rifuggendo da formalismi fini a se stessi, pur senza rinunciare alle esigenze sostanziali della prova e quindi alla fondazione metodologicamente corretta di un giudizio che valga non solo giuridicamente, ma anche per la coscienza, cio per il c.d. foro interno.

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3. Per quanto detto nelle due prime conclusioni e per lo stato di incertezza della dottrina in proposito sia nel merito di alcune prospettazioni di fondo, sia nel metodo attraverso cui le relative soluzioni sono raggiunte o giustificate non appare opportuno che si creino con provvedimenti di carattere generale degli organismi che in via stragiudiziale e sovrapponendosi al lavoro delle istituzioni deputate a ci diano pronunciamenti in merito alla validit dei matrimoni, seppure limitati, tali giudizi, al foro della coscienza e senza pubblicit esteriore. 4. Ai rarissimi casi di vero conflitto si pu provvedere secondo i principi classici della morale, come p.e. ricordato con precisione da p. Navarrete:
1) chi ha la certezza della nullit del proprio matrimonio tenuto ad astenersi dal suo uso, a meno che lo scusi la buona fede dellaltro coniuge. 2) se questa certezza davvero obiettiva, quel matrimonio, in quanto nullo, non costituisce impedimento di legame. Questo impedimento infatti esiste o non esiste in quanto il vincolo matrimoniale esista o meno nella realt. 3) Ci posto, se gli pseudoconiugi hanno celebrato un altro matrimonio, osservati tutti gli altri requisiti giuridici per la sua validit, questo secondo matrimonio sar valido. Infatti, non vi nessuna legge divina o ecclesiastica, che inabiliti tali pseudoconiugi a celebrare un altro matrimonio. 4) Per quanto attiene poi la liceit, la celebrazione del secondo matrimonio, sar sempre illecita, stante la legge ecclesiastica che la vieta [...]. Questa prescrizione, poich tende a proteggere un bene pubblico di grande valore, ha un grande rilievo, urgendo anche in coscienza. 5) Tuttavia, trattandosi di legge puramente ecclesiastica, e poich il diritto al matrimonio un bene tanto fondamentale per la persona, possono darsi delle circostanze nelle quali sia lecita la celebrazione del secondo matrimonio, ovvero: se dalla privazione del matrimonio discendano gravi inconvenienti, se non vi sia scandalo e non si preveda alcun conflitto di carattere pratico fra questo e il primo matrimonio che, per ipotesi, viene considerato e continuer ad essere considerato come valido nel foro esterno. Cos pu accadere, p.e., se i coniugi siano emigrati in una regione assai lontana e abbiano vissuto fra gente del tutto sconosciuta. Nota bene: questa soluzione, che del resto tradizionale, pu aver luogo in casi del tutto determinati, che possono accadere assai di rado. In nessun modo lecito applicarla ad altri casi, nei quali non si verifichino le condizioni richieste (a.c., 485-486).

PAOLO BIANCHI Piazza Fontana, 2 20122 Milano

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Commento a un canone

Il primo canone del Codice


di Jean Beyer, S.I.

Non si pu studiare il canone 1 del codice del 1983 senza confrontarlo con quello del codice del 1917 e senza vedere quale testo viene presentato come primo canone del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, promulgato nel 1990. Vediamo prima i testi stessi. Quello del codice attuale:
Canones huius codicis unam Ecclesiam latinam respiciunt.

Il codice del 1917 aveva un testo con pi sfumature:


Licet in codice iuris canonici Ecclesiae quoque orientalis disciplina saepe referatur, ipse tamen unam respicit latinam Ecclesiam; neque orientalem obligat, nisi de iis agatur quae ex ipsa rei natura etiam orientalem afficiunt.

Questo testo doveva precisare la portata di questo primo codice di diritto ecclesiale. Codice latino, esso faceva esplicitamente menzione del diritto della Chiesa orientale. Il diritto orientale non era stato ancora codificato. Lo sarebbe stato pi tardi. Un progetto era pronto. Una parte fu promulgata da Pio XII. Giovanni XXIII annunci la sua promulgazione completa in occasione dellannuncio del Concilio Vaticano II. Questa promulgazione fu rimandata poi a pi tardi. I codici, latino e orientale, avrebbero dovuto tener conto di ci che il Concilio avrebbe insegnato, del fatto che esso si centr, un po alla volta, sul mistero della Chiesa. Infatti il Concilio suscit poi, pi che una revisione del codice del 1917, come aveva previsto Giovanni XXIII, un Codex novus. Il codice orientale attuale ha anchesso un canone iniziale, del quale vale la pena analizzare il testo. Esso suona cos:

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Canones huius codicis omnes et solas Ecclesias Orientales catholicas respiciunt, nisi, relationes cum Ecclesia latina quod attinet, aliud expresse statuitur.

Si notano direttamente vari elementi importanti. Il codice del 1983 preciso e chiaro: esso riguarda la sola Chiesa latina. Non fa menzione di possibili applicazioni alle Chiese dOriente. Il codice del 1990, al contrario, si indirizza a tutte le Chiese orientali cattoliche e prende alcune disposizioni riguardo ai rapporti dei membri di queste Chiese con quelli della Chiesa latina. Sono cos entrati in vigore due codici. Luno di portata universale, vista lestensione che ha assunto la Chiesa di rito latino nel mondo; laltro pi ristretto, a causa della territorialit di queste Chiese orientali; territorialit pi specifica, visti i loro riti e le loro proprie tradizioni. Donde norme pi generalizzate, valevoli per tutte queste Chiese. La Chiesa latina ha approfittato di unesperienza pi lunga e pi forte; aveva gi un diritto generale prima della sua prima esperienza di un codice comune. Questo codice vale per le Chiese cattoliche dOriente. Esso deve tener conto dei loro diritti particolari. Breve schizzo sulla codificazione del diritto ecclesiale La codificazione del diritto latino fu decisa da Pio X, come sembra, la notte stessa che segu la sua elezione (4.8.1903). Dopo aver consultato i cardinali, egli decise questa codificazione con il MP Arduum sane del 19 marzo 1904; il 25 marzo egli chiede a tutti gli arcivescovi di consultare gli ordinari che assistono ai sinodi provinciali e di inviare entro quattro mesi ci che sarebbe stato da cambiare o da correggere nel diritto in vigore (Cf ASS, 36 [1903-4] 549). Fu designato un primo gruppo di cardinali, del quale il Papa stesso prese la direzione. Poco tempo dopo fu costituito un consiglio di cardinali, con Pietro Gasparri come segretario. Divenuto cardinale nel 1907, egli divenne relatore. A questo consiglio si aggiunse una commissione di consultori. Questi consultori furono nominati dalla Santa Sede, su proposta del Consiglio dei cardinali, o degli ordinari che furono invitati a segnalare uno o due esperti. Essi furono riuniti in due gruppi distinti, sotto la presidenza rispettivamente del Cardinale Gasparri e del Cardinale De Lai; segretario del primo gruppo fu Mgr. Pacelli, che un giorno sarebbe diventato Papa Pio XII, e del se-

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Jean Beyer

condo Mgr. Sapieha, che in seguito sarebbe stato nominato vescovo di Cracovia. Infine, come collaboratori, furono nominati dei canonisti che erano soprattutto professori di universit, e ai quali si chiese il parere riguardo agli schemi proposti. Il lavoro di codificazione ebbe inizio il 13 novembre 1904. Gli schemi furono il frutto del lavoro di due consultori o collaboratori; essi furono presentati ad un gruppo di consultori, secondo le materie che erano state affidate al loro studio. Tutti i consultori furono quindi invitati a dare il proprio parere riguardo a questi schemi. Infine ciascuno schema fu sottoposto al giudizio del consiglio dei cardinali. Nel frattempo Pio X promulg varie leggi, che erano come degli elementi del codice; cos vennero pubblicati il decreto Ne temere, concernente la forma canonica del matrimonio e del fidanzamento (2 agosto 1907), la costituzione Sapienti consilio, come riforma della Curia (29 giugno 1908). A questa costituzione verranno aggiunti dei regolamenti speciali per i dicasteri e i tribunali della Curia. Infine il decreto Maxima cura (20 agosto 1910) trattava della rimozione dei parroci e di altri punti, che non sono stati ripresi nel codice del 1917. Tutti questi schemi furono sottoposti, tra il 1912-1914, ad un esame generale dei vescovi e dei superiori degli ordini religiosi, che di diritto potevano partecipare ad un Concilio ecumenico. Le loro osservazioni furono studiate da una commissione ristretta di cardinali, sotto la presidenza del Cardinale Gasparri, per vedere come includerle nel nuovo codice. Infine il codice, cos elaborato, fu inviato per la consultazione a tutti i cardinali e prelati della Curia. Tutte le loro osservazioni furono sottoposte al Cardinale Gasparri. Egli fu aiutato dal Padre Ojetti S.J., professore di diritto canonico, il cui lavoro sarebbe ancora da studiare, un giorno, se sar possibile. Probabilmente si deve a lui lA.M.D.G. finale del codice del 1917. Persino quando era gi alla stampa, furono apportati alcuni ritocchi al testo del codice da promulgare. Pio X mor il 20 agosto del 1914. A causa della guerra, il codice non pot essere promulgato il 29 giugno 1915, data prevista. Benedetto XV lo promulgher il 27 maggio 1917, con la costituzione Providentissima Mater Ecclesia (AAS, 9/II [1917]). Il codice, promulgato a Pentecoste, entr in vigore la Pentecoste dellanno seguente, il 19 maggio 1918. Furono pubblicate numerose correzioni dopo la promulgazione, dalla segreteria di Stato, il 17 ottobre 1917 (AAS, 9

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[1917] 557). Con il MP Cum iuris canonici Codicem Benedetto XV costitu la Commissione pontificia per linterpretazione autentica dei canoni del codice (AAS, 9 [1917] 483-484). La maniera in cui fu progettato e redatto il codice di diritto canonico, sarebbe da studiare pi nei dettagli. A vedere come i consultori le due commissioni generali, le commissioni cardinalizie hanno lavorato, non si pu oggi ignorare lunit del codice che si cos assicurata. Unit tanto pi difficile, in quanto una compilazione di diritto esistente era un lavoro che presupponeva uninformazione scientifica e una competenza pi che ordinaria. Che il codice rispondesse a un bisogno, confermato da alcuni tentativi di codificazione pubblicati altrove. Citiamo qui A. PILLET, Ius canonicum generale distributum in articulos, apparso a Parigi nel 1890; H.M. PEZZANI, Codex sanctae Catholicae Ecclesiae, apparso a Roma nel 1898-1902; F. DESHAYES, Memento Iuris publici et privati, Parigi, 1895; F. RUSSO, Iuris canonici privati codex vigens sive legum ecclesiasticarum novissima collectio, Palermo 1904. Alcune codificazioni parziali furono utili, come quella di G. PERIES, Code de procdure canonique, in Le Canoniste contemporain 15 (1892) e 16 (1893); quella di J. CEDENA Y ELETA, Projecto de Codigo procesal canonico, Madrid 1895. Importante fu lopera di J. HOLLWECK, Die kirchlichen Strafgesetze, apparsa a Mainz nel 1899. Bisogna dire ora una parola riguardo alla codificazione del diritto delle Chiese orientali: Chiese orientali cattoliche, che dal 1990 hanno il loro codice, intitolato: Codex canonum Ecclesiarum Orientalium. Promulgato da Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1990, esso entrato in vigore il 1 ottobre 1991. La codificazione del diritto orientale fu decisa da Pio XI nel 1929. Questa decisione rispondeva ad unattesa. Essa fu preparata da una serie di pubblicazioni, apparse tra il 1939 e il 1980. Molte parti di questo codice furono promulgate da Pio XII: il diritto matrimoniale con il MP Crebrae allatae del 22.9.1949 (AAS, 41 [1949] 89-119); il diritto processuale, con il MP Sollicitudinem nostram, del 6.1.1950 (AAS, 42 [1950] 1-120); il diritto della vita religiosa, dei beni temporali, cos come un testo concernente il significato dei termini (De verborum significatione), con il MP Postquam apostolicis, del 9.2.1952 (AAS, 44 [1952] 65-164). Giovanni XXIII, annunciando la celebrazione del Concilio Vaticano II e prevedendo la revisione del codice latino, annunciava an-

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che la promulgazione completa del codice orientale. Questa promulgazione fu rimandata. E in effetti il Concilio aveva provocato pi che una revisione del Codice del 1917 e cio un Codex novus. Questo codice del Vaticano II, sar promulgato il 25 gennaio 1983; il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, invece, il 18 ottobre 1990. In seguito al Concilio, la codificazione del diritto delle Chiese Orientali ha ricevuto, sotto Paolo VI, un nuovo impulso. Con una lettera al Cardinale segretario di Stato, datata il 10 giugno 1972, fu costituita una nuova commissione. Nel 1987, un numero speciale della rivista di questa commissione, Nuntia (1987, nn. 24-25), conteneva uno schema del codice orientale. Cosa che permise un lavoro ancor meglio ordinato, che sarebbe terminato con la promulgazione del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, valevole per le sole Chiese cattoliche di rito orientale. Queste Chiese sono di riti differenti. La liturgia in esse espressione duna propria visione teologica e spirituale. La loro diversit esprime pure diverse discipline per queste Chiese. Discipline, che tuttavia hanno una base comune, che il codice orientale esprimer, pur rispettando la variet dellautonomia dei diritti propri o particolari di queste Chiese. Le Chiese cattoliche dOriente conoscono oggi cinque riti differenti. 1. Il rito alessandrino, proprio della Chiesa copta e della Chiesa armena. 2. Il rito antiocheno e siro-occidentale: il rito antiocheno diffuso in India, in Libano, a Cipro (Maroniti), in Palestina, in Egitto, in Siria, in Brasile, negli Stati Uniti, in Australia, in Canada. Il rito cosiddetto siriano in Libano, Iraq, Palestina, Egitto, Siria e Turchia. 3. Il rito bizantino o costantinopolitano diffuso oggi in Albania, Bielorussia, Bulgaria, Grecia, Italia del Sud, in Siria, Giordania, e a Grottaferrata (Abbazia di S. Nilo); nella ex-Yugoslavia; in Libano, Palestina, in Brasile, negli Stati Uniti e in Canada, in Messico, in Iraq, Egitto e Giordania, nel Kuwait e in Australia, in Romania e in Russia. Si trovano i Greci melchiti cattolici, come anche dei ruteni in Ucraina (Carpazi) e negli Stati Uniti, in Slovacchia, in Ucraina e in Russia, in Polonia. Gli Ucraini, a causa dellemigrazione, sono presenti negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna, in Australia, in Francia, in Brasile, in Argentina. Infine questo rito presente anche in Ungheria.

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4. Il rito caldeo o siro-orientale presente come rito caldeo in Iraq, Iran, Palestina, in Libano, in Egitto, Siria, Turchia e negli Stati Uniti, e come rito siro-malabrese in India. 5. Il rito armeno in Libano, in Iran e in Iraq, in Egitto, in Siria e in Turchia, in Palestina. Fuori dei patriarcati, fedeli di questo rito si trovano in Polonia, in Francia e in Grecia, in Romania e in America Latina, in Argentina e in America del Nord, negli Stati Uniti e in Canada. 6. Vista la dispersione di questi fedeli orientali, senza Chiese proprie del loro rito, degli ordinariati li raggruppano in Argentina, in Austria e in Brasile, in Francia e in Polonia. La variet dei riti, lespansione dei cattolici orientali in migrazione, bastano per far vedere limportanza di un codice comune e la variet delle Chiese particolari, che, grazie al codice del 1990, troveranno nuova forza nel loro patrimonio ecclesiale comune. La situazione di queste Chiese cambier in modo evidente, se in un avvenire pi o meno prossimo le Chiese ortodosse di questi differenti riti potranno riunirsi nelle Chiese orientali cattoliche. A vedere la variet dei riti dOriente non si pu fare a meno di sottolineare la forza del rito latino. Lunit tuttavia affievolita, a causa dellimportanza che hanno assunto le lingue nazionali nella liturgia. Le norme del Concilio Vaticano II (Cost. Dogm. Sacrosanctum Concilium), non sono state osservate. Si pu tanto pi rammaricarsi che come le Chiese dOriente la Chiesa latina dovr far fronte a una mobilit umana sempre pi grande, a causa delle migrazioni, dellesilio, dei numerosi spostamenti, senza trascurare il turismo mondiale. La portata del primo canone del codice latino Il primo canone del codice, sia latino, sia orientale, non una semplice introduzione. Questo testo ha una portata giuridica. A considerarlo pi da vicino, esso pu avere uninfluenza su tutta la legislazione dei rispettivi codici e sullinterpretazione che necessariamente li accompagna. La distinzione tra Chiesa latina e Chiese dOriente prima di tutto storica. La divisione dellImpero Romano, definitiva nel 395, sotto limperatore Teodosio, ha unito i patriarcati dAntiochia, Alessandria, di Gerusalemme e di Costantinopoli, nella parte orientale dellImpero, e quello di Roma nella parte occidentale.

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Le Chiese dOriente e dOccidente si sono sviluppate in maniera differente per ci che riguarda la liturgia, la teologia, la spiritualit e la disciplina. La rottura causata dal rifiuto del primato del Papa, ha rotto lunit della Chiesa cattolica. Un po alla volta alcune Chiese hanno ripreso una certa unit cattolica, della quale hanno riconosciuto la forza pratica e soprattutto il valore dogmatico. Bisogna tuttavia sottolineare qui il fatto che il Concilio Vaticano II si opposto a qualsiasi latinizzazione di queste Chiese, e ha riconosciuto il valore per la Chiesa cattolica delle loro tradizioni dottrinali, spirituali, liturgiche e disciplinari (si vedano i decreti Orientalium Ecclesiarum n. 12 e Unitatis redintegratio nn. 14-18). Anche se il codice latino non tratta gli aspetti che sarebbero comuni al rito latino e ai riti orientali; anche se esso non impone alcunch ai fedeli di questi riti, vanno tuttavia considerati due canoni, cio il 111 e il 112. Il c. 111 stabilisce che il battesimo, nella Chiesa latina, comporta lentrata in questa Chiesa, se il bambino battezzato col rito latino, su richiesta dei due genitori di rito latino, che hanno deciso cos: se uno dei genitori di un altro rito, e laccordo non raggiunto, il bambino sar membro della Chiesa del rito del padre. Il c. 110 consente in via di deduzione logica lapplicazione del c. 111 per i bambini adottati secondo il diritto civile. Il secondo paragrafo del c. 111 stabilisce inoltre che un giovane che abbia compiuto 14 anni, possa domandare il battesimo scegliendo personalmente di riceverlo nella Chiesa latina o nella Chiesa di un altro rito. Per questa scelta, il giovane cos battezzato di diritto membro della Chiesa di sua scelta. Lespressione Ecclesia ritualis sui iuris va intesa riguardo ad una Chiesa di rito orientale. Questa espressione non si applica alla Chiesa di rito ambrosiano in Lombardia, n a determinati luoghi di culto francesi, per es. a Lione. Notiamo che il c. 112 cambia qui il termine che veniva usato al c. 98 del codice del 1917, il quale parlava di riti. Lespressione adottata dal codice del 1983 pi esatta. Il c. 372 par. 2 del nuovo codice parla di Chiese particolari, in ragione del rito. Il rito ambrosiano, per esempio, non determina una Chiesa particolare. Il c. 112 tratta del passaggio di un battezzato di un rito latino a una Chiesa cattolica di rito differente, in questo caso una Chiesa di rito orientale.

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Per far ci il c. 112, par. 1 prevede come prima soluzione che si faccia domanda alla S. Sede. A chi rivolgersi in questo caso? La curia diocesana competente quella della Chiesa locale trasmetter la domanda alla Congregazione per i sacramenti e il culto divino, oppure a quella per le Chiese Orientali. Quanto alla presenza di persone di riti differenti in una medesima diocesi la migrazione, il turismo, tutte le forme di mobilit umana vanno prese qui in considerazione , bisogna tener conto del decreto Christus Dominus n. 23, 3 e dei cc. 383 par. 3, 476 e 518. Il par. 2 del c. 112 riguarda liscrizione ad unaltra Chiesa autonoma di un battezzato latino. Questa pu essere fatta liberamente per il passaggio al rito dellaltro coniuge, in questo caso rito orientale. Il coniuge latino, in caso di dissoluzione del matrimonio, pu liberamente riprendere e ritornare alla Chiesa latina (riguardo a questa dissoluzione, si vedano i cc. 1141-1149). Il c. 112 par. 1 n. 3 tratta dei figli dei coniugi di cui ai nn. 1 e 2. Se i genitori latini o uno dei due sono passati alla Chiesa di un altro rito, i loro bambini passeranno a questa Chiesa rituale, se avranno meno di 14 anni. Compiuti i 14 anni, essi potranno tornare al rito latino, che era stato quello dei loro genitori o di uno di essi. Si osserver che il codice del 1983 tratta sempre direttamente di coniugi e di bambini di rito latino e del loro eventuale ritorno a questo rito iniziale. Esso non riprende le norme del c. 98 del codice precedente riguardo al battesimo conferito in modo fraudolento da un ministro di rito differente, n quelle di un battesimo conferito da un ministro non-latino, in caso di grave necessit. Va da s che il ministro, in questo caso, non determina il rito o lappartenenza alla propria Chiesa, per il fatto di aver conferito il battesimo. Non si passa dal rito latino ad un altro rito senza una decisione personale. Per quanto riguarda le gerarchie di rito orientale considerate fuori del loro territorio patriarcale, si veda la dichiarazione Apostolica Sedes della congregazione per le Chiese Orientali del 25 marzo 1970 (AAS, 62 [1970] 178). Quanto ai migranti di riti diversi si veda listruzione Nemo est della Congregazione per i vescovi del 22 agosto 1969 n. 16 par. 2, 31 par. 3 e 38 (AAS, 61 [1969] 614-643]. Verso un Codice comune Limportanza di un Codice comune (Codex communis), che sarebbe un Codice universale (Codex universalis), si fa sentire

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sempre di pi. La Chiesa una. La legge fondamentale della Chiesa, redatta dalla commissione che preparava il codice del 1983, non stata promulgata. E ci per motivi ecumenici. Lo si pu comprendere. La situazione tuttavia cambiata oggi, dopo la promulgazione del codice orientale del 1990. A studiarlo, si osserva facilmente quanti canoni, soprattutto dottrinali, del codice latino sono stati ripresi, cos come si constata che alcuni canoni determinano delle posizioni proprie a queste chiese; ci riguarda i patriarcati, gli arcivescovi maggiori, i sinodi e altre forme sinodali del governo. Uno studio a questo riguardo auspicabile. Il primo canone, sia quello del codice latino, come quello del Codice dei Canoni delle Chiese dOriente, pone la medesima domanda, si apre su queste nuove prospettive dunit in una legittima diversit.

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Lidentit degli Istituti secolari nel Codice di Diritto Canonico*


di Vincenzo Mosca, O.Carm.

4. Partecipazione e animazione della vita dellIstituto (cc. 716-718) La particolare tipologia di vita dei membri degli Istituti secolari richiede un consequenziale modo di partecipazione alla vita dellIstituto per tutti i suoi membri, ma anche di governo e animazione da parte dei Responsabili. I canoni seguenti mettono in risalto questi aspetti, sottolineando la sostanziale differenza con gli Istituti religiosi, e lasciando aperta una pluralit di forme, gi richieste dalla natura stessa della consacrazione secolare, tramite lesplicitazione nel diritto proprio. Questi canoni dovrebbero comunque sottolineare la partecipazione al medesimo carisma, come dono di Dio, sulla quale si basa lunit dei membri e la responsabilit di governo. 4.1. Partecipazione e Comunione di tutti i membri (c. 716) Non richiedendo la vita comune, il CIC raccomanda a tutti i membri degli Istituti secolari, la partecipazione attiva alla vita dellIstituto, secondo le determinazioni del diritto proprio (c. 716, par. 1). Queste possono configurarsi come presenza agli incontri, riunioni, ritiri, esercizi spirituali, corsi di aggiornamento a vario livello della vita dellIstituto, oppure come consultazioni in occasioni di assemblee, o contributi finanziari per le necessit dellIstituto e i suoi pro* Seconda parte del testo della relazione tenuta al XVIII Incontro di studio del Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (Mendola, 1-5 luglio 1991). La prima parte stata pubblicata in Quaderni di Diritto Ecclesiale 6 (1993) 177-195.

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getti, o altre simili motivazioni. Ma sembra che il canone ponga in risalto anche il significato stesso della vita fraterna come comunione di quanti partecipano ad un medesimo carisma, che da conservare; la cura con sollecitudine dellunit dello spirito e del rapporto fraterno (genuinam fraternitatem), (c. 716, par. 2) e di cui ogni membro dovrebbe sentirsi promotore allinterno e allesterno dellIstituto. Questi valori rimandano certamente ad una considerazione pi ampia della fraternit come segno di comunione ecclesiale gi ribaditi dal c. 602 per tutti gli istituti di vita consacrata, ma caratterizzati dalla vocazione di vita consacrata secolare con alcuni elementi specifici (servizio reciproco, aiuto vicendevole, fedelt al carisma dellIstituto e alla sua finalit). Nel c. 717, par. 3 si ribadir poi il compito dei responsabili verso la cura di questi valori. Questa della partecipazione una sottolineatura degna di rilievo che riflette lattenzione al cammino della storia, la valorizzazione della persona umana e la comprensione del contributo che ogni secolare pu dare alla sua comunit, in quanto vive lo stesso carisma in situazioni e ambienti diversi e lo incarna con fisionomia personale 30. 4.2. Forma di governo (c. 717) Spetta alle costituzioni di ogni istituto definire la forma di governo pi adatta alla loro vita, la durata in carica dei Moderatori e il modo della loro designazione. Il canone pone chiaramente in rapporto carisma e istituzione, spirito e struttura, come aspetti fondamentali di una identit collettiva ecclesiale. La norma lascia unampia autonomia di determinazione ai singoli istituti (c. 717, par. 1). In generale la forma di governo degli Istituti secolari caratterizzata da una certa centralizzazione, tenendo conto della particolare diffusione logistica dei suoi membri. Lautorit ordinaria e personale del Moderatore supremo o degli altri moderatori, pu essere determinata dai compiti di un consiglio, che deve essere convocato saltuariamente e anche consultato quando necessario. Non sembrano godere ex iure della potest ecclesiastica di governo di cui al c. 596, par. 2, i Responsabili maggiori degli Istituti secolari, anche se leventuale concessione del diritto di incardinazione (cf c. 715, par. 2) pu supporlo;
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M. POMA, La fraternit, in AA.VV., Gli Istituti secolari nel nuovo Codice di diritto canonico, op. cit., 84.

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infatti nella definizione di Ordinario data dal c. 134, par. 1, non rientrano i moderatori degli Istituti secolari. Il modo di governo interessa inoltre il ruolo delle assemblee in modo particolare generali e lautorit suprema di ogni istituto, ma anche il ruolo dei responsabili a vario livello (generale, regionale, provinciale, locale), la loro natura, funzione, poteri, spirito evangelico che deve animarli e il posto dei loro consigli. La durata di questi uffici e funzioni molto variegata, comunque risulta utile una certa continuit. Circa il modo di designazione dei responsabili, almeno per quelli a livello generale e al loro consiglio, si segue abitualmente il criterio dellelezione in assemblea generale, quanto agli altri responsabili e ai membri dei consigli possono essere eletti o nominati. opportuno comunque seguire il criterio della previa consultazione. Per poter accedere allincarico di Moderatore supremo o Responsabile generale si richiede lincorporazione definitiva o perpetua (c. 717, par. 2). Viene comunque lasciata alle costituzioni la possibilit di richiedere altre condizioni, come let, la capacit, un certo numero di anni di incorporazione perpetua ecc. Non si dice nulla per altri incarichi quali quello di consiglieri o responsabili a vario livello, ma il diritto proprio dellistituto pu prevedere norme a riguardo 31. A coloro, comunque, che sono preposti al governo dellistituto (ai vari livelli), il canone in esame raccomanda che abbiano cura di conservare lunit dello spirito, e che sia promossa lattiva partecipazione dei membri (c. 717, par 3). Sarebbe stato meglio se si fosse parlato esplicitamente qui della tutela del carisma dellIstituto, come prevedeva lo Schema del 1980, di modo che questo canone potesse essere recepito pi facilmente come completamento al canone precedente 32. In ogni caso questo paragrafo pone in evidenza un valore fondamentale che i responsabili devono conservare: lo spirito di unit. Infatti persiste sempre il pericolo di deviazioni e disgregazioni per motivi contingenti. Quanto poi al compito di promuovere lattiva partecipazione dei membri, il paragrafo vuole qui sottolineare rispetto al c. 716, la ricerca di unautentica fraternit secolare, sostenuta dallunit dello spirito, dalla partecipazione allo stesso carisma, dal rispetto dello specifico carattere dellistituto, dalla attenzione alla sua

Si veda M. ALBERTINI, Lautorit negli Istituti secolari, in Informationes SCRIS 11 (1986) I, 71-76 PONTIFICIA COMMISSIO CODICIS IURIS CANONICI RECOGNOSCENDO, Schema Codicis Iuris Canonici, Citt del Vaticano 1980, cc. 642-643.
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indole secolare, dallapprofondimento del dono ricevuto dal Signore per la sua Chiesa. Questi aspetti saranno promossi, servendosi di tutti i mezzi delle comunicazioni sociali (realt secolari), oggi pi di ieri necessari e utilizzati dal mondo in cui i consacrati secolari sono inviati. 4.3. Lamministrazione dei beni (c. 718) Gli istituti secolari sono ritenuti persone giuridiche pubbliche nella Chiesa (cf cc. 113-123), in quanto tali hanno dunque il diritto di acquistare, possedere, amministrare ed alienare beni temporali. Il c. 718 prende in considerazione tre aspetti a riguardo: lamministrazione dei beni degli Istituti secolari deve innanzitutto esprimere e promuovere la povert evangelica; deve assumere come norma il diritto sui beni temporali della Chiesa, espresso dal libro V del CIC, e specificato dai testi legislativi dellIstituto; lo stesso diritto proprio deve definire gli obblighi di natura economica dellIstituto verso quei membri che sono impiegati in attivit dellistituto: cio giusta retribuzione e assicurazione sociale. Sarebbe auspicabile che gli Istituti secolari in quanto tali non possedessero opere e propriet, ma fosse tutto lasciato alla responsabilit personale dei suoi membri in questa materia. Il canone in esame considera la realt presente e dunque il fatto che gran parte degli Istituti secolari possiedono beni temporali (mobili e immobili). Essi comunque non sono necessari e potrebbero entrare in contrasto con la loro piena indole secolare, uguagliandosi in questo campo agli istituti religiosi. Sembra per che un minimo di beni (mobili e immobili) sia opportuno per garantire una certa vita allIstituto in quanto tale. Un centro di riferimento dellIstituto, dove spesso risiede il Responsabile Generale, e hanno sede il Segretariato, lArchivio, e quegli uffici utili alla vita dellIstituto, consigliabile; questa struttura diviene a volte un centro di spiritualit e quindi di incontri dellIstituto o per una certa regione di esso, oppure casa di raccolta per i membri anziani, tutto questo dipende anche dalla consistenza numerica dei membri dellIstituto e dalla loro diffusione. Si capisce facilmente che anche le attivit interne dellIstituto, pur se minime, hanno bisogno di una certa disponibilit finanziaria, in modo particolare per il sostentamento di quei membri che vi fossero pienamente impegnati. opportuno dunque che i beni immobiliari siano posseduti dallIstitu-

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to in una forma di associazione civile che sia consentita dal Paese in cui si trovano. In forza del c. 1258 questi beni sono considerati della Chiesa. evidente inoltre che linvito del canone ad una testimonianza di povert evangelica in rapporto ai beni propri dellistituto. Il canone in questione non fa qui riferimento, come altre volte (cf cc. 712, 727, 729, 730) al diritto dei religiosi, ma scontato che l dove vi fosse una certa amministrazione da gestire, risulta utile ispirarsi ai cc. 634-639. Questa amministrazione richieder dei responsabili (economi), rapporti con le autorit superiori, determinazione delle responsabilit, di tutti gli atti da compiere di ordinaria e straordinaria amministrazione, contenute in norme chiare nei testi legislativi degli Istituti. Un criterio valido che in linea generale, prima di essere accettati, i membri degli istituti secolari dispongono di mezzi per il loro sostentamento tramite una professione civile. Se poi non si richiede una testimonianza collettiva di carit, per tutelare lindole secolare dellIstituto, compito di ogni membro vivere una certa disponibilit di carit verso coloro che sono nel bisogno, a incominciare dai membri del proprio Istituto e verso le istituzioni della Chiesa locale e universale. La povert vissuta in un istituto secolare non deve infatti essere obbligatoriamente identica per tutti i suoi membri. Le sue esigenze vengono vissute in ambienti sociali diversi, anche se richiedono un impegno comune di austerit e solidariet personale che tutti i membri sono tenuti a realizzare 33. 5. Formazione iniziale e continua (cc. 719-725) La giusta attenzione da prestare alla formazione dei membri degli Istituti secolari, adeguata alla loro missione nella Chiesa e nel mondo, sempre apparsa un motivo di costante sollecitazione da parte del magistero ecclesiale. Infatti sin dalla Provida Mater, al Perfectae caritatis, allelaborazione pi attenta del CIC 1983, gli Istituti
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Si veda in generale M. DORTEL CLAUDOT, La pauvret dans les I.S., in Vie consacre 44 (1972)156-167; circa il riconoscimento da parte dellautorit civile degli Istituti secolari, per lItalia si veda G. DI MATTIA, Gli Istituti secolari e la qualifica di Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, in Apollinaris, 63 (1990) 655-679.

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secolari sono stati invitati ad una cura particolare del loro itinerario formativo (iniziale e continuo), perch sotto certi aspetti pi esigente rispetto alla loro missione nel mondo e per il mondo, e pi difficoltoso per la lontananza spesso dei membri da formare. A testimonianza di questo impegno, sin dal 1980 la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata, dopo aver opportunamente consultato con un questionario tutti gli Istituti secolari, aveva elaborato un documento su La formazione negli Istituti Secolari, che come dice la sua stessa presentazione, voleva essere un sussidio. Esso sotto diversi aspetti ancora valido per i suoi principi fondamentali 34. Se lobiettivo ultimo e ispirante tutti gli altri nel processo formativo lo sviluppo integrale e unitario della persona stessa, vi una caratteristica pi spiccata per i membri di un istituto secolare: la formazione necessariamente personale, pur richiedendo elementi comuni, in quanto vocazione comune in un istituto specifico. Negli Istituti secolari la formazione deve essere voluta e assunta attivamente dalla persona in formazione che deve sentirsi responsabile; deve tenere conto in modo particolare della personalit del singolo, delle sue doti, tempi e sviluppo; deve tener conto del luogo e della concreta situazione della persona. Oggi si parla appropriatamente di inculturazione della fede, e per gli Istituti di vita consacrata di inculturazione del Carisma. Nellambito degli istituti secolari, considerato dal punto di vista formativo, la dimensione inculturativa appare appropriata a descrivere questa caratteristica fondamentale del processo formativo, anche nellottica di una teologia dellincarnazione. Infatti importante che il consacrato secolare sia aiutato a realizzare la vocazione personale, espressione della vocazione specifica dellIstituto, nel suo contesto di vita e nelle sue relazioni con gli altri. Circa gli ambiti e i tempi della formazione, si pu dire che essa deve abbracciare tutta la vita. Listituto comunque non deve dare un eguale contributo in tutti questi campi. Alcuni infatti sfuggono alla sua diretta competenza, come ad esempio, quello professionale. LIstituto, tramite i suoi responsabili, tenuto a privilegiare due aspetti: offrire una sufficiente trasmissione della conoscenza della vocazione propria di consacrazione secolare, e quanto interessa il carisma specifico, assicurando una solida formazione di base.
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Cf in AA.VV., La formazione negli Istituti secolari, Milano 1985, 7-26.

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5.1. La cura individuale (c. 719) La formazione richiede innanzitutto una educazione fondamentale alla fede e alla preghiera, come rapporto personale con Dio, pi appropriatamente, per i membri degli Istituti secolari, potremmo dire: attenzione a vivere la comunione con Dio nello stesso sforzo di unione con gli uomini. Limpegno formativo risulta sempre un contributo umano al lavoro invisibile della grazia, per portare la persona alla indispensabile collaborazione con lagente principale che lo Spirito Santo. In questa ottica si pu leggere il c. 719, come preoccupazione di cura individuale e spirituale di alcune esigenze della persona consacrata secolare. La fedelt alla vocazione propria di consacrati secolari possibile solo con una vita che scaturisce dallunione con Cristo, e che sia a fondamento dellazione apostolica. A tal fine si raccomanda ai membri di essere assidui allorazione, di attendere convenientemente alla lettura della Sacra Scrittura, di osservare i tempi del ritiro annuale. Questi esercizi spirituali sono il minimo indispensabile come mezzi di partecipazione ad uno sviluppo di antropologia della grazia, infatti il diritto proprio pu consigliare o richiedere altre pratiche (c. 719, par. 1). Una di queste pu essere appunto la liturgia delle ore, per la quale il c. 1174, par. 1, rimanda alle costituzioni di ogni istituto circa lobbligo 35. Questo valido naturalmente per i consacrati secolari laici, poich i chierici vi sono gi tenuti per il loro stato. Il c. 719, par. 2 pone poi laccento sullEucaristia, che deve essere ritenuta come la sorgente e la forza di tutta la vita dei consacrati secolari, e per questo possibilmente quotidiana. Viene quindi ripreso il principio della libert di coscienza rispetto al sacramento della riconciliazione, al quale sono invitati ad accostarsi con frequenza (c. 719, par. 3). I testi propri degli Istituti possono stabilire alcune norme pi specifiche sulla scelta dei confessori (cf c. 587, par. 4), che possibilmente conoscano le esigenze della vita consacrata secolare. Il c. 719, par. 4 insiste poi sulla necessaria direzione di coscienza, ma anche sulla libert di scegliere i propri direttori spirituali o consiglieri, non

Si cf in generale sullimportanza della preghiera nella vita consacrata secolare G. SOMMARUGA, Vocazione secolare e preghiera, Milano 1981; si veda anche CMIS, La preghiera secolare, Atti della seconda Assemblea 1976, Roma 1977; M. ALBERTINI-Y. DAMIANI, Introduzione alla spiritualit degli Istituti secolari, Milano 1981.

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esclusi i propri moderatori. Questo impegno opportuno poich i membri degli istituti secolari sono un po lasciati a se stessi e sono chiamati ad esercitare un discernimento continuo per s e per gli altri, spesso delicato e difficile. Anche la possibilit di rivolgersi ai propri moderatori positiva poich accresce la partecipazione dei membri alla vita dellistituto, ed appare necessaria per i membri in formazione iniziale, almeno in quanto al chiedere consiglio 36. 5.2. Diritto di ammissione e impedimenti (cc. 720-721) Il c. 720 afferma a chi spetta il diritto di ammettere allistituto, richiamando alcuni momenti del processo formativo di un consacrato secolare, che saranno poi considerati nei canoni seguenti. Questi periodi o tappe sono riferiti con la seguente terminologia: ammissione per il periodo di prova: atto con il quale i responsabili maggiori accettano un candidato alla formazione iniziale, periodo in cui il candidato si inizia alla vita dellIstituto e si prepara al primo impegno. Assunzione dei vincoli sacri temporanei oppure perpetui o definitivi: sono due periodi differenti, ma con cui il candidato viene incorporato allIstituto con un legame stabilito tra listituto e il membro, che pu essere temporaneo se fatto per una durata limitata, e con la volont di sperimentare meglio lintenzione e la maturit del soggetto; perpetuo se fatto per sempre; definitivo se fatto per una durata limitata ma con lintenzione di rinnovarlo perpetuamente. Il Codice non dice nulla degli incontri che precedono queste tappe, e durante i quali il candidato e listituto si conoscono, ci si pu riferire per al c. 597, par. 2, lasciando al diritto proprio qualche norma specifica. Il diritto di ammettere, in tutti questi momenti, alla vita dellIstituto competenza dei Moderatori maggiori, che sono il moderatore supremo e quelli regionali, se ve ne sono. bene comunque che le costituzioni dicano esplicitamente chi sono i moderatori che hanno tale diritto. Le costituzioni possono anche distinguere le competenze tra i vari gradi, ad esempio le ammissioni della prima e seconda tappa possono essere fatte dai moderatori maggiori, mentre quella perpetua o definitiva dal moderatore supremo. Questo dipen-

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Cf L. BREVIGLIERI, La direzione di coscienza, in AA.VV., Gli Istituti secolari nel nuovo codice di diritto canonico, op. cit., 89-96.

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de anche dal numero dei membri dellIstituto e dalla sua espansione geografica. Il canone in questione precisa per che questo diritto dei Moderatori maggiori va esercitato con il loro consiglio a norma delle costituzioni. Pertanto le costituzioni dovranno precisare di volta in volta se il Moderatore competente necessita del consenso del proprio consiglio o del semplice parere (cf c. 127). Il c. 721 espone alcune condizioni per lammissione dei membri in un Istituto secolare. Innanzitutto si espongono tre impedimenti di diritto comune e tutti per la validit dellammissione alla prova iniziale; non aver raggiunto la maggiore et canonica, cio i 18 anni compiuti (cf c. 97, par. 1); essere legato da un vincolo sacro in un istituto di vita consacrata o in una societ di vita apostolica (a meno che non si tratti di un passaggio previsto dal c. 730); essere legato da un precedente vincolo matrimoniale ancora valido (c. 721, par. 1). Ciascun istituto libero per di aggiungere altri impedimenti o apporre altre condizioni, dalle quali il Moderatore supremo da solo, con il consenso o il parere del suo consiglio potr dispensare, purch siano chiaramente indicate nelle costituzioni (c. 721, par. 2). Il c. 721, par. 3 espone poi un principio generale per lammissione dei membri, valido per ogni forma di vita consacrata: la maturit necessaria per condurre in modo conveniente la vita propria dellIstituto. importante sottolineare questo aspetto, che sarebbe stato meglio apporre al primo paragrafo del canone in esame, come preoccupazione rivolta ai Moderatori, perch valutino seriamente se la persona ha raggiunto una sufficiente maturit psicologica, affettiva, spirituale, intellettuale, consona al tenore di vita scelto. 5.3. Il periodo di prova iniziale (c. 722) Si pu dire che questo periodo inizi con la decisione stessa di ammettere il candidato da parte dei responsabili competenti. La forma e il modo (celebrazione liturgica, incontro fraterno, con formula approvata dalla Sede Apostolica) viene lasciato alla determinazione di ogni istituto. Questo periodo di prova come gli altri tende a preparare il candidato alla consacrazione a Dio e agli uomini propria della vita consacrata secolare, ma anche allincorporazione nellIstituto. Questa incorporazione avviene con una certa gradualit e a tappe successive, orientate verso il dono totale di s a Dio nellistituto che si scelto.

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Per questo la prova iniziale ordinata allo scopo di far prendere ai candidati pi chiara coscienza della loro vocazione e del carisma specifico dellistituto, avendone una esperienza diretta, nella specifica spiritualit e negli elementi essenziali di consacrazione, secolarit e apostolato. Il canone usa il termine exerceantur, esprimendo una intenzione di seriet e discernimento, non di un semplice esperimento (cf c. 722, par. 1). Spetta al diritto proprio prevedere chi sono i responsabili o incaricati di questa formazione, le capacit richieste, da chi vengono scelti e per quanto tempo, come devono esercitare il loro ufficio e a chi renderne conto, secondo quali metodi e con quali mezzi. Il c. 722, par. 2 esplica quindi i principali elementi di contenuto della formazione iniziale: condurre una vita secondo i consigli evangelici; trasformare integralmente la propria esistenza in apostolato, adottando quelle forme di evangelizzazione confacenti al carisma dellIstituto. Compete poi alle costituzioni di ogni istituto definire il metodo e la durata di tale periodo di prova, che precede il primo impegno con vincoli sacri nellIstituto. Il canone determina la durata minima di due anni, ma come nella prassi di molti istituti, si d pi importanza alla crescita personale del candidato prevedendo un tempo pi lungo. opportuno comunque fissare un limite massimo, lasciando alla discrezione dei Moderatori stabilire la durata pi conveniente. Il canone non prevede un luogo di formazione (cf c. 722, par. 3). 5.4. Dalla prima incorporazione a quella perpetua o definitiva (cc. 723-724) Alla fine del periodo di prova iniziale, dopo essere stato giudicato idoneo, il candidato pu assumere i tre consigli evangelici, nella forma del vincolo stabilito dalle costituzioni, oppure se i responsabili non lo ritengono idoneo, deve lasciare listituto (c. 723, par. 1). Il candidato pu lasciare liberamente listituto alla fine di questo periodo (cf c. 726, par. 1). Questo primo impegno avviene generalmente con una cerimonia alla presenza di alcuni membri dellistituto (oppure da solo) con una formula-tipo prevista dalle costituzioni. Con lassunzione dei consigli evangelici confermati dai vincoli sacri, la persona viene incorporata allistituto, in un rapporto di reciproci diritti e doveri. Le costituzioni devono fissare il tempo di questa prima incorporazione che viene detta temporanea, ma che non pu essere inferiore ai cin-

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que anni (c. 723, par 2). Essa pu rinnovarsi annualmente o pi volte allanno, oppure ogni due-tre anni. preferibile che le costituzioni determinino una durata massima di incorporazione temporanea. Durante questo periodo la formazione deve continuare, secondo le esigenze delle persone, tenuto conto delle varie situazioni. Questa formazione deve riguardare tanto le realt umane quanto gli aspetti spirituali. compito dei responsabili preoccuparsi in modo particolare della formazione spirituale, individuando nei singoli candidati gli aspetti di cui si ritengono pi bisognosi. importante per curare la competenza di ciascun membro nei campi in cui si trova ad agire (c. 724, par. 1-2). Il candidato deve comunque recepire limportanza di una formazione quanto pi completa possibile, anche nel suo campo professionale. Durante il periodo di incorporazione temporanea, il candidato che lo richieda spontaneamente, per una grave causa, pu ricevere dal Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio lindulto di lasciare listituto (cf c. 726, par. 2); con tale indulto cessano tutti i vincoli, i diritti e gli obblighi derivanti della incorporazione (cf c. 728), oppure per una giusta causa pu essere escluso dalla rinnovazione dei vincoli sacri da parte del Moderatore maggiore dopo che questi ha ascoltato il suo consiglio (cf c. 726, par. 1). Trascorso il periodo di incorporazione temporanea, il candidato, se ritenuto idoneo, viene ammesso allincorporazione perpetua o a quella definitiva, secondo quanto previsto dalle costituzioni, anche questa tappa viene confermata da una cerimonia e formula adatta, contenente gli elementi essenziali per la sua validit (c. 723, par. 3). Alcuni istituti prevedono che siano i membri stessi a scegliere tra incorporazione perpetua o definitiva, mentre altri, prevedono luna o laltra forma. Con luna o laltra forma lincorporazione allistituto completa. Sia i diritti che i doveri che ne conseguono vanno specificati nelle costituzioni. Con lincorporazione perpetua i vincoli sacri sono assunti perpetuamente; con lincorporazione definitiva, i vincoli sacri sono assunti temporaneamente con limpegno di rinnovarli ad ogni scadenza. Ci comporta una equiparazione quoad certos effectus iuridicos tra luna e laltra forma di incorporazione (c. 723, par. 4). Daltra parte si deve sottolineare che limpegno assunto con la consacrazione di vita, nella sua intenzionalit non pu mai essere inteso ad tempus, ma deve essere sempre usque ad mortem, altrimenti non potrebbe definirsi come dono totale di s.

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I vincoli cos rinnovati per un tempo determinato con lincorporazione definitiva, fanno s che alla loro scadenza chi li ha emessi rimanga giuridicamente libero di rinnovarli o no; se non li rinnova lascia listituto senza particolari dispense, che invece sono necessarie per chi intenda lasciare listituto avendo assunto vincoli perpetui. Viceversa perch i superiori possano decidere di non ammettere alla rinnovazione dei vincoli sacri quando lincorporazione definitiva, i motivi devono essere molto gravi: in questo caso allora occorre iniziare il processo di dimissione (cf c. 729), ma di per s il membro ha diritto al rinnovo. Con lincorporazione perpetua o definitiva, il membro di un Istituto secolare ha completato il suo itinerario formativo in quanto alla sua responsabilit verso listituto, ma non verso quel processo dintegrazione della propria vocazione, con tutto ci che essa comporta. La consacrazione secolare, proprio per la sua peculiarit di un rapporto continuo con un mondo in perpetua evoluzione, richieder una formazione permanente come atteggiamento di vita, con un rinnovamento continuo per assimilarsi pi intimamente a Cristo e come continua ricerca di promozione del mondo. 5.5. Membri associati (c. 725) La costituzione Provida Mater Ecclesia e il motu proprio Primo Feliciter non fanno menzione di altri membri oltre quelli pienamente incorporati in un istituto secolare. Fu listruzione Cum sanctissimus a stabilire che un istituto secolare potesse avere membri in senso largo, ascritti con maggiore o minore forza o intenzione (n. 7 a). Il c. 725, non previsto nei precedenti schemi, concede la possibilit di associare allistituto altri membri con un vincolo associativo determinato dalle costituzioni dellIstituto. Viene posta la condizione essenziale che tendano alla perfezione evangelica secondo lo spirito dellIstituto e partecipino alla sua missione. Possono dunque far parte come membri associati anche persone sposate. LIstituto pu prevedere che ad associarsi siano persone singole o anche gruppi organizzati (cf c. 311). Tale forma di associazione allistituto avvicina questi gruppi alla forma di associazione dei TerzOrdini secolari previsti per gli Istituti religiosi (cf cc. 677, par. 2, 303) almeno in quanto partecipazione alla spiritualit dellIstituto secolare 37. Si pu inoltre conCf T. VANZETTO, Commento a un canone: lirradiarsi di un carisma oltre listituto di vita consacrata (c. 303), in Quaderni di diritto ecclesiale 3 (1990), 388-390; si veda inoltre G. PUTRINO, Le persone sposa37

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statare che queste forme di vita cristiana istituzionalizzata si ritrovano oggi sotto la forma dei movimenti ecclesiali 38, o anche uniti con convenzione ad una prelatura personale (cf c. 295). I membri cos associati ad un Istituto secolare, possono partecipare ai suoi momenti formativi, ritiri, incontri ecc., o a settori diversi della sua organizzazione, secondo quanto gli stessi istituti prevedono nei loro codici fondamentali. 6. Separazione dei membri dallIstituto (cc. 726-730). Altri riferimenti. Considerazioni valutative e prospettive Al fine di presentare tutti i canoni propri degli Istituti secolari, nella parte loro riservata dal CIC, resta da considerare lintera tematica della separazione dei membri dallIstituto contenuta nei cc. 726-730. Si gi accennato ad alcuni di essi, ora guardiamo la problematica nel suo insieme esaminando specificamente i suoi diversi aspetti. 6.1. Separazione dei membri dallIstituto (cc. 726-730) Si possono verificare in linea di massima tre situazioni generali: luscita volontaria di un membro dallIstituto, la sua dimissione, il passaggio ad un altro Istituto. 6.1.1. Uscita volontaria (cc. 726-727) Alla fine dellincorporazione temporanea il membro pu lasciare liberamente lIstituto oppure pu essere escluso per giusta causa dal rinnovo dei vincoli temporanei dal moderatore maggiore competente, a norma del diritto proprio, dopo che questi ha ascoltato il parere del suo consiglio, che per non tenuto a seguire, n tanto meno obbligato a rendere manifeste le sue ragioni (c. 726, par. 1). comunque auspicabile che questa decisione, la quale si configura come una esclusione, quasi unuscita imposta, venga presa, nei limiti del possibile, in un clima di dialogo e di comune accordo.
te e gli I. S., in Collegamento M.S.P. 17 (1991) 74-89; P.G. CONFALONIERI, Per una lettura del c. 725 CDC, Gli associati negli Istituti Secolari, in Vita Consacrata 27 (1991) 788-797. 38 J. BEYER, Istituti secolari e movimenti ecclesiali, in Aggiornamenti sociali 34 (1983) 295-324.

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Durante il periodo dincorporazione temporanea il membro pu chiedere di sua volont di lasciare listituto. In questo caso le ragioni devono essere gravi, allora il Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, pu concedere lindulto di lasciare lIstituto (c. 726, par. 2). Durante lincorporazione definitiva, di cui il CIC non tratta, e che si dovr determinare nel diritto proprio degli Istituti in cui tale forma dincorporazione prevista, alla scadenza degli impegni, il membro pu ritenersi libero di lasciare listituto, mentre il responsabile maggiore non pu rifiutarne il rinnovo se la persona lo richiede. Al di fuori di questa scadenza lincorporazione definitiva viene in tutto equiparata a quella perpetua. Durante lincorporazione perpetua, se listituto di diritto pontificio, il membro che vuole lasciare listituto, dopo aver seriamente ponderato il suo desiderio coram Domino, sollecita lindulto di uscita, tramite il Moderatore supremo alla Sede Apostolica. Se invece listituto di diritto diocesano, pu anche presentare la stessa domanda al Vescovo diocesano. In questo caso le costituzioni determineranno a chi occorra presentare la pratica: al vescovo della diocesi che ha eretto listituto o al vescovo del domicilio del membro che ha inoltrato la richiesta (c. 727, par. 1). Qualora i membri siano dei chierici incardinati nellistituto, il presbitero o il diacono interessati, non possono ottenere lindulto di lasciare listituto fino a quando non avranno trovato un vescovo che accetti di incardinarli nella sua diocesi o che li riceva in prova (c. 727, par. 2). In questo ultimo caso, dopo cinque anni, linteressato incardinato di diritto nella diocesi ove presta il suo servizio, a meno che il Vescovo non si rifiuti (cf c. 693); allora egli dovr cercarne un altro, poich il diritto non ammette i chierici acefali (cf c. 265). In tale situazione il membro sintende sempre incardinato nellistituto, ma non pu esercitare il suo ministero finch non trover un vescovo che glielo permetta nella sua diocesi (cf c. 701). Con la legittima concessione dellindulto di lasciare listituto, terminano gli impegni, i diritti e i doveri derivanti dallincorporazione in seno allistituto (c. 728). 6.1.2. Dimissione (c. 729) Questa figura giuridica nella sua configurazione si basa sempre su una motivazione negativa di cui responsabile risulta essere il membro che viene dimesso. Essa avviene a norma dei cc. 694 e 695

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e secondo la procedura stabilita nei cc. 697-700 nonch applicando il disposto del c. 701, tutti canoni propri degli istituti religiosi. Le costituzioni possono stabilire altre cause di dimissione, purch queste siano proporzionalmente gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente. Si pu parlare innanzitutto di una dimissione di diritto. I motivi che la determinano fanno s che il membro sia ipso facto dimesso se rifiuta notoriamente la fede, o contrae matrimonio o lo abbia attentato anche civilmente (c. 694, par. 1). In questi casi si procede nel seguente modo: il responsabile maggiore con il suo consiglio, senza indugiare, raccolte le prove emette una dichiarazione che comprovi il fatto, di modo che la dimissione consti giuridicamente (c. 694, par. 2). Si pu poi parlare di una dimissione obbligatoria da parte del responsabile maggiore quando si verificano i seguenti motivi: omicidio, ratto fraudolento, detenzione, mutilazione, ferita grave su altri (cf c. 1397); complicit in un aborto seguito da effetto (c. 1398); delitto contro il sesto comandamento unito a violenza o minaccia, oppure che venga commesso con un minore di sedici anni, a meno che il responsabile non ritenga possibile in altro modo la correzione del membro colpevole e si preveda la reintegrazione della giustizia e la riparazione dello scandalo (cf cc. 1395, par. 1; 695, par. 1). In questi casi si adopera la seguente procedura: il responsabile maggiore raccoglie le prove dei fatti e la loro imputabilit, porta a conoscenza del membro colpevole laccusa e le prove dandogli la facolt di difendersi. Il responsabile maggiore invia quindi al Moderatore supremo tutta la documentazione che deve contenere laccusa e le prove con la sua firma e quella di un notaio, insieme alle risposte del membro verbalizzate e dallo stesso controfirmate (c. 695, par. 2). Si pu inoltre parlare di una dimissione utile per altre cause determinate dalle costituzioni. Il c. 696, par. 1 offre qualche esempio che per analogia pu applicarsi anche ai consacrati secolari. Questi motivi possono essere la negligenza abituale dagli obblighi della vita consacrata; continue violazioni dei vincoli sacri; disobbedienza ostinata ad ordini gravi; grave scandalo derivato da un comportamento colpevole; diffusione o affermazione ostinata di dottrine condannate dal magistero; adesione pubblica ad ideologie materialiste, atee ecc. Questi motivi, lo ricordiamo ancora, devono essere di una certa gravit, esterni, cio non semplici pensieri, imputabili e giuridicamente provati. In tali casi la procedura da seguire questa: il responsabile

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maggiore, udito il suo consiglio, raccoglie o integra le prove, quindi ammonisce il membro, per iscritto o davanti a due testimoni, con lesplicita menzione dellaccusa che grava su di lui e la minaccia di dimissione, e dandogli la possibilit di difendersi. Se lammonizione non ha effetto egli gliela rinnova per una seconda volta dopo un intervallo di almeno quindici giorni. Se anche questa seconda ammonizione risultasse vana, il responsabile maggiore dopo aver giudicato con il suo consiglio la incorreggibilit del membro, invia tutta la documentazione del caso al Moderatore supremo (c. 697). Sia nei casi di dimissione obbligatoria o di dimissione utile il Moderatore supremo, qualora non debba svolgere lui stesso la prima parte di questa procedura, demandata dal Codice al responsabile maggiore, perch listituto non ne ha, seguir il seguente iter: insieme al suo consiglio, che per la validit deve constare di almeno quattro membri, proceder collegialmente ad unaccurata valutazione delle prove, degli argomenti e delle difese, e se ci risulta per votazione segreta, emetter il decreto di dimissione, che per la sua validit deve contenere i motivi in diritto e in fatto (c. 699). Il decreto non ha valore se non confermato dalla Sede Apostolica, alla quale vanno trasmessi tutti gli Atti se listituto di diritto pontificio, dal vescovo diocesano se listituto di diritto diocesano. In tutti e due i casi il membro dimesso pu fare appello sospensivo allautorit competente, entro dieci giorni dalla notificazione del decreto di dimissione (c. 700). Quando il decreto di dimissione risulta essere definitivo, il membro dimesso libero ipso facto dai suoi impegni e dai diritti e doveri derivanti dallincorporazione. Come per luscita volontaria, il chierico incardinato nellistituto e che stato dimesso, non pu esercitare il suo ministero fin quando non avr trovato un vescovo che laccetti nella sua diocesi o che almeno gli permetta lesercizio del suo ministero (c. 701). 6.1.3. Passaggio a o da un altro istituto (c. 730) Per il passaggio da un istituto secolare ad un altro istituto secolare occorre lautorizzazione dei due Moderatori supremi, data con il consenso dei rispettivi consigli, e attenendosi ai cc. 684, par. 1,2,4 e 685. Per il passaggio da un istituto secolare ad un istituto religioso o ad una societ di vita apostolica (cf c. 744, par. 2) o anche inversamente, occorre lautorizzazione della Sede Apostolica alle cui disposizioni ci si deve attenere (c. 730).

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Nel primo caso si osserveranno le seguenti modalit: il membro dopo aver ricevuto lautorizzazione necessaria, inizia un periodo di formazione nel nuovo istituto, della durata di almeno tre anni. Spetta poi alle costituzioni determinare la durata effettiva e le modalit di questo periodo di prova (c. 684, par. 2 e 4). Durante questo periodo di formazione il candidato conserva i suoi impegni, mentre i diritti e gli obblighi che aveva nel precedente istituto sono sospesi (non gode cio di voce attiva e passiva), nel frattempo tenuto ad osservare il diritto proprio del nuovo istituto (c. 685, par. 1). Terminato questo tempo di formazione, se il candidato lo chiede, ed ammesso dal competente responsabile, assume subito gli impegni perpetui senza passare per quelli temporanei. Se invece non vuole rimanere nel nuovo istituto oppure non vi ammesso dal competente superiore, o ritorna nel suo precedente istituto, riassumendo tutti i diritti e i doveri o chiede il permesso di lasciare la vita consacrata (c. 684, par. 2). Questa figura giuridica del passaggio da un istituto ad un altro, pu riguardare solo coloro che sono incorporati in perpetuo e non coloro che hanno vincoli temporanei o definitivi. In questo caso allora meglio attendere la fine degli impegni, a meno che il responsabile generale non voglia concedere lautorizzazione a lasciare listituto. Il candidato inizia eventualmente nel nuovo istituto litinerario formativo normale con lammissione. Lintera tematica della separazione dei membri dallistituto nei canoni che abbiamo esaminato, attenta a porre in risalto unidentit specifica degli istituti secolari connessa alla natura stessa dellimpegno consacrativo secolare. Si nota inoltre una certa attenzione a rispettare fondamentalmente unequanimit necessaria alla tutela dei diritti della singole persone e dellIstituto. vero per che questi canoni rimandano troppo a quelli degli istituti religiosi (lo stesso avviene per le societ di vita apostolica), lasciando anche alcuni aspetti interrogativi. Sarebbe stato preferibile prevedere una tematica pi esaustiva nelle norme comuni a tutti gli Istituti di vita consacrata. Qualche aspetto, come ad esempio nella procedura della dimissione dallistituto, quasi completamente nuova, richieder una giurisprudenza che con il tempo ci permetter di dare giudizi pi ponderati ed eventualmente trovare soluzioni forse pi adatte.

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6.2. Altri riferimenti agli Istituti secolari Si gi accennato ad alcuni canoni che riguardano implicitamente o esplicitamente gli Istituti secolari, ma che sono posti al di fuori della loro parte (cc. 266, par. 3 e 268, par. 2 per lincardinazione dei chierici; c. 311 per i membri associati; c. 1174 per la liturgia delle ore). Ve ne sono per ancora altri che fanno generica menzione di membri di istituti di vita consacrata, comprendendo cos, anche i membri degli Istituti secolari. Per completezza di esposizione brevemente si ricordano. Sui possibili candidati allepiscopato, il c. 377, par. 2, nelle liste di sacerdoti adatti a ricoprire tale ufficio nella Chiesa, e composte ogni tre anni dai vescovi di una provincia ecclesiastica o di una conferenza episcopale, dice che possono essere menzionati anche membri di Istituti di vita consacrata, quindi anche i membri presbiteri degli Istituti secolari. Riguardo al sinodo diocesano, il c. 463 che enumera una lista di persone che possono essere chiamate a prendervi parte, considera tra i fedeli laici anche membri di istituti di vita consacrata, tra i quali sono compresi gli istituti secolari, eletti dal consiglio pastorale secondo criteri stabiliti dal vescovo, o se questo consiglio non esiste ancora, in unaltra maniera determinata dal vescovo (c. 463, par. 1, 5). Inoltre il vescovo conserva il diritto di invitare personalmente altri membri di istituti di vita consacrata, pure quelli degli Istituti secolari, diversi da quelli menzionati nel paragrafo precedente (c. 463, par. 2). Sulla composizione poi del consiglio pastorale diocesano, il c. 512, par. 1 richiede la presenza di membri di istituti di vita consacrata, tra i quali sono compresi quelli degli istituti secolari. In questi casi potrebbe sorgere qualche problema con latteggiamento di riserbo in quegli Istituti dove esso previsto. Una saggia azione di discrezione da parte dei singoli consacrati nel presentarsi nel modo pi consono e da parte dellautorit, non dovrebbe creare imprevisti di una certa rilevanza. Vi poi una serie di canoni, che interessa i membri degli istituti secolari per il loro ruolo nellimpegno di trasmissione della fede. I membri degli istituti di vita consacrata, in virt della loro consacrazione sono chiamati a rendere testimonianza del Vangelo, a tal fine sono di aiuto al vescovo della loro diocesi nel modo che loro pi conveniente (c. 758). I parroci possono richiedere la collaborazione

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dei membri degli Istituti di vita consacrata, per la formazione catechetica, tenendo conto per della natura di ogni istituto (c. 776). Lo stesso si dice sullazione missionaria della Chiesa: i membri degli Istituti di vita consacrata sono tenuti allobbligo di prestare la loro opera, secondo lo stile del proprio istituto (c. 783). Essi risultano inoltre tra coloro i quali possono essere inviati per la missione ad gentes (c. 784); anche in questo caso per, per gli istituti secolari in particolare, ci dovrebbe essere uno scopo preciso tra le finalit dellistituto e un rispetto dellindole secolare. 6.3 Considerazioni valutative e prospettive Oltre alla novit in s che linserimento degli Istituti secolari rappresenta nel CIC 1983 (cosa per altro ovvia), essi dicono molto di pi, da essi emerge una realt: gli Istituti secolari, proprio perch sono una novit introdotta nel Codice, e una novit assunta sostanzialmente come tale sul piano ecclesiologico e degli stati di vita, si presentano come elemento di dinamicit innovativa ecclesiologica e canonica. Il Codice dunque ha avuto la capacit di cogliere le attese espresse dai membri di questi istituti. Attese coerenti con una realt suscitata dallo Spirito, colta nel suo nucleo pi intimo e peculiare. Per poter fare questo, il Codice ha dovuto assumere una prospettiva ecclesiologica nella quale avesse un certo risalto il discorso antico, e ora ripreso in modo nuovo, dei carismi (anche se ha preferito non usare la parola carisma). infatti questa riflessione sui carismi che permette di collegare e in un certo senso modulare e precisare il rapporto che intercorre, nel caso specifico degli Istituti secolari, tra consacrazione e secolarit e inquadrare nel debito modo questi gruppi di persone che trovano nella consacrazione a Dio, vissuta in pieno mondo e a partire dal mondo e con i suoi mezzi, la capacit di essere santificatori del mondo stesso, da laici a fianco ed in sforzo congiunto con tutti gli altri fedeli battezzati o da sacerdoti con gli altri sacerdoti del rispettivo presbiterio 39. Un altro aspetto positivo che emerge con chiarezza il rimando costante alle costituzioni e al diritto proprio. Nei 21 canoni si notano dodici rimandi alle costituzioni (cc. 712, 714, 717, 720, 721, 722, par. 3, 723, par. 2 e 4, 724, 725, 727, 729) e tre rimandi al diritto pro39

Cf A. OBERTI, Gli Istituti secolari nel nuovo codice di diritto canonico, op. cit., 296-297.

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prio (cc. 716, 718, 719). Questo permette maggiore flessibilit verso situazioni, luoghi, ambienti e persone, e anche libert di definizione normativa per i diversi istituti nel rispetto della loro pluralit. Inoltre una caratteristica peculiare della vita consacrata secolare considerare molto importante la responsabilit personale dei suoi membri, alla quale presta la dovuta attenzione in tutte le sue determinazioni. competenza dunque dei testi legislativi dei vari istituti unire sapientemente queste prospettive, in un equilibrato rapporto tra elementi canonici e spirituali, sobriet giuridica e ricchezza dottrinale, perch risulti un progetto di vita ispirante, con un carisma proprio e una specifica identit, che non si limita a enucleare la sola finalit. Questi canoni offrono la possibilit di rispettare lidentit di ciascun istituto in una autonomia relativa allidentit di Istituto secolare che rispecchi il CIC. Per poter accogliere maggiormente queste istanze gi tenute in considerazione dal CIC occorrerebbe approfondire il discorso dei carismi e delle sue implicazioni. Infatti una maggiore ampiezza dottrinale offrirebbe loccasione di fare fronte alla variet di situazioni di vita, che linserimento nel mondo comporta. Ci assicurerebbe al massimo la fedelt alla consacrazione e alla secolarit. Negativamente si notano troppi rimandi ai canoni degli istituti religiosi, espliciti ed impliciti. Sarebbe stato preferibile assumere nelle norme comuni a tutti gli Istituti di vita consacrata le diverse tematiche parallele con una terminologia e linguaggio libero da presupposti di parte. vero comunque che, rispetto agli Istituti religiosi, il numero degli Istituti secolari molto inferiore, dunque il Codice tiene conto anche di questa minore realt. Una realt inferiore degli Istituti secolari che comunque in crescita, come si pu notare dallAppendice statistica, nonostante le difficolt vocazionali generali, e vista la discrezione del loro inserimento nel mondo, non potendo per se stessi far conoscere la portata, la forza e la necessit della loro vita consacrata particolare. Resta inoltre una questione aperta molto importante. Per enuclearla adoperiamo un osservazione del P. Beyer: Se gli istituti di laici consacrati in pieno mondo con la loro vita e con lapprofondimento della loro dottrina hanno dato alla Chiesa una migliore coscienza della natura e della missione del laicato, definendo la sua condizione secolare, il Codice ha messo in maggior luce ci che la

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secolarit consacrata dei chierici come quella dei laici, pur non giungendo a chiarire pienamente la secolarit degli istituti di sacerdoti; lavoro che dovr essere oggetto di una ulteriore riflessione dottrinale partendo dalla vita e dallesperienza di questi istituti 40. In merito poi alle strutture proprie degli Istituti secolari, lattuale legislazione non sembra favorire lapprovazione di un unico Istituto secolare formato da uomini e donne. Nel rispetto dei progetti e dei carismi dei propri fondatori, sarebbe auspicabile, in un futuro non molto lontano, una simile approvazione, unendo in un medesimo Istituto secolare, sacerdoti, uomini e donne, e formando una sezione distinta per ogni categoria di persone, potrebbero godere di unautonomia relativa in seno allistituto, rafforzata dalla vita e dallaiuto reciproco delle altre sezioni. Un governo centrale dellIstituto potrebbe poi garantire lunit di vita e di spirito dellinsieme, rispettando le esigenze delle vocazioni particolari che si riuniscono per sezioni in un unico istituto. Il gruppo dei sacerdoti, ispirati dal medesimo carisma, potrebbe assicurare sopratutto la qualit della sua ispirazione e la seriet della vita interiore dei suoi membri 41. Obiettivamente parlando, il CIC aiuta oggi gli istituti secolari a un convergere sulla terminologia e sui principi essenziali della loro identit. Ma poich la loro vocazione per essere compresa nella sua interezza richiede attenzione alla prassi come alla dottrina, forse giunto il momento di far s che strutture, stili di vita e modo di proporsi allinterno della comunit ecclesiale siano rispondenti a quei principi fondamentali che abbiamo fin qui esposto. A non pochi Istituti secolari il CIC offre la possibilit di un rinnovamento e di un ripensamento del proprio carisma affinch il loro progetto di vita e le mediazioni umane delle loro istituzioni siano sempre pi pervase dalle note caratteristiche della loro indole secolare. Un ulteriore motivo per considerare in tutta la sua ampiezza la realt della vita consacrata anche nella specifica forma degli Istituti secolari offerta dal prossimo Sinodo episcopale 1994 che ha per tema: La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo.
J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, op. cit., 515. Cf J. BEYER, Riflessioni sugli Istituti secolari. Il loro avvenire post-conciliare, in Vita Consacrata 26 (1990) 746-759, ivi 757. Per giungere a questo si potrebbe seguire il metodo utilizzato per lapprovazione dellOpera della Chiesa che sembra per fare riferimento al c. 605, sebbene il nihil obstat della congregazione non lo citi, mentre suggerisce di usare la seguente terminologia: Famiglia ecclesiale di vita consacrata (25.6.1990).
41 40

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I Lineamenta elaborati, che servono a proporre largomento, a favorirne lo studio, indicando una fase del processo sinodale, ci mostrano richiami precisi e questioni proprie sugli istituti secolari. Non di meno il discorso e la terminologia ivi adoperata risultano essere prevalentemente indirizzati agli istituti religiosi. Tutta la seconda parte di tale riflessione quasi unicamente rivolta a problemi e situazioni inerenti gli istituti religiosi, a meno che quando si parla di religiose e religiosi non si voglia intendere anche i consacrati secolari? Certamente le istanze proprie che gli istituti secolari vorranno far pervenire e il dibattito sinodale e i documenti che ne seguiranno, saranno pi attenti a porre in risalto e a distinguere nei contenuti e nella terminologia la specificit e missione (a partire dal mondo e nel mondo e in tutte le realt temporali) degli Istituti secolari 42. A modo di conclusione Lidentit degli Istituti secolari cos definita dal magistero e dal CIC ci sembra recepire fondamentalmente lesperienza degli Istituti secolari nella sua tipologia specifica e nella sua obiettiva intensit, come dono di Dio alla sua Chiesa. Gi Paolo VI, con acume profetico in una sua affermazione, valutava il ruolo della forma di vita rappresentata dagli Istituti secolari nel seguente modo: secolarit indica la vostra inserzione nel mondo. Essa per non significa soltanto una posizione, una funzione, che coincide col vivere nel mondo esercitando un mestiere, una professione secolare. Deve significare innanzitutto presa di coscienza di essere nel mondo come luogo a voi proprio di responsabilit cristiana. Essere nel mondo cio essere impegnati nei valori secolari, il vostro modo di essere Chiesa e di renderla presente, di salvarvi e di annunziare la salvezza. La vostra condizione esistenziale e sociologica diventa la vostra realt teologica, la vostra via per realizzare e testimoniare la salvezza. Voi siete cos unala avanzata della Chiesa nel mondo, esprimete la volont della Chiesa di essere nel mondo per plasmarlo e santificarlo quasi dallinterno a modo di fermento (L.G. 31), compito anchesso affidato principalmente al laicato 43.
42 43

Nei Lineamenta il n. 22 specialmente dedicato agli Istituti secolari, mentre altri richiami diretti si ritrovano nei nn. 17, 18, 42, 46 e nella Questione 9. PAOLO VI, Gli Istituti secolari una presenza viva nella Chiesa e nel mondo, op. cit., 37. Questo testo viene ripreso dallEsortazione apostolica post-sinodale Christifideles Laici per indicare lindole secolare

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La consacrazione secolare, come atto di amore che unifica in un dono reciproco i due aspetti della carit, dono a Dio e agli uomini che Cristo venuto a salvare, dimostra la sua originalit e specificit non solo testimoniando che possono essere unificate secolarit e consacrazione, ma per ci stesso, dimostrando, che possibile fondere in unit di vita due elementi dinamici di fondo della fede cristiana: storia ed escatologia, incarnazione e resurrezione, assumendo e valorizzando luno e laltro polo contemporaneamente e operando una sintesi che non ha riscontro cos puntuale in altre forme di vita cristiana, normalmente orientata a sottolineare luno o laltro aspetto 44. Questa originalit di sintesi la sfida proposta ai membri degli Istituti secolari, soprattutto oggi. In tale ottica risulta di particolare importanza un sapienziale atteggiamento nei riguardi del rapporto con il mondo, per santificarlo nellorizzonte del Regno di Dio. Lunit dellindole secolare della Chiesa, nel suo insieme e dei laici e dei chierici, un fatto che affonda le sue radici nella secolarit di Cristo stesso, sebbene diverse siano le esigenze della spiritualit delle parti e le implicanze esteriori. La missione per una nuova evangelizzazione 45 esige oggi limpegno di uomini e donne consacrati secolari, che sappiano riproporre il valore della secolarit cristiana come epifania della perenne giovinezza della Chiesa, rispetto alle diverse forme di secolarismo che sembrano ostacolare limpegno di salvezza offerto a tutti gli uomini, affinch il mondo sia consacrato a Dio e offerto al Padre. Se si vuole prendere parte seriamente al processo di una nuova evangelizzazione inculturata bisogna accettare il dialogo culturale con il mondo, con senso critico, ma anche con una grande passione comunicativa e orientativa. Non si tratta di subire la modernit o

propria e peculiare dei laici: Cos lessere e lagire nel mondo, sono per i fedeli laici una realt non solo antropologica e sociologica, ma anche e specialmente teologica ed ecclesiale. Nella loro situazione intramondana infatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio (CfL n. 15). Non si chiarifica comunque lindole secolare degli Istituti sacerdotali. Si pu vedere per lintervento del card. Hamer al Sinodo Episcopale 1990: Les instituts seculiers sacerdotaux (2 parte); inoltre si veda: J.J. DORRONSORO, Christifideles laici e institutos seculares, Encuentro latino-americano Mexico 1990, 3-20. 44 Cf A. OBERTI, Una via laicale alla santit. Consacrazione e secolarit, in Vita Consacrata 27 (1991) 168-173; IDEM, Per una teologia degli Istituti secolari, Milano 1983. 45 Si veda J.J. DORRONSORO, Los Institutos seculares y la nueva evangelizacion, in Dialogo 95 (1992), 102109.

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le nuove tendenze, ma neppure di condannare senza dialogo e attenzione. Il futuro iscritto nel carisma che Dio ha dato ad ogni istituto e alla sua Chiesa, ma anche frutto di intelligenza critica e ingegnosit carismatica 46.
Cf B. SECONDIN, I nuovi paradigmi culturali, in AA.VV., Carismi e profezia. Verso il Sinodo sulla vita consacrata, Centro Studi USMI Roma 1993, 97-105.
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APPENDICE STATISTICA GLOBALE DEGLI ISTITUTI SECOLARI (maggio 1991) 1. Gli Istituti secolari riconosciuti in tutto il mondo sono 165. Dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le societ di vita apostolica ne dipendono 162 Dalla Congregazione per le Chiese Orientali ne dipendono 3 (di cui 1 in Brasile, l in Eritrea, 1 in India). 165 2. Sui 162 Istituti secolari dipendenti dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Societ di vita apostolica, di diritto pontificio ve ne sono 53 (= P) di diritto diocesano ve ne sono 109 (= D) 3. Di questi 162 istituti secolari, istituti femminili sono 138 (42 P 96 D) istituti maschili laicali 5 ( 2 P 3 D) istituti clericali 19 ( 9 P 10 D) 4. Secondo le lingue e le nazioni: di lingua francese : 35 di cui 25 in Francia 6 Canada 3 Belgio 1 Burundi (Africa) di lingua inglese : 7 di cui 2 in Gran Bretagna 2 India 2 Sud Africa 1 Giappone di lingua italiana : 64 di cui 61 in Italia 2 Svizzera 1 Laos di lingua portoghese : 3 di cui 1 in Portogallo 2 Brasile di lingua spagnola : 31 di cui 19 in Spagna 11 America Latina 1 Tangeri (Marocco) di lingua tedesca : 16 di cui 11 in Germania 3 Austria 2 Svizzera

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di altre lingue

: 6 di cui

2 in Paesi dellEst 3 Polonia 1 Olanda

5. molto difficile conoscere in modo preciso il numero dei membri. Le ipotesi si aggirano intorno ad un numero complessivo di 45.000 membri, di cui circa 33.000 per gli Istituti di diritto pontificio. 6. Dopo lapertura dei Paesi dellEuropa orientale si sono registrate diverse richieste di approvazione, in via di esame, soprattutto dalla Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria. (Si ringrazia vivamente Mons. J. Dorronsoro, sottosegretario per gli Istituti secolari, per i dati fornitici.)

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Per un prospetto bibliografico anteriore alla pubblicazione del C.I.C. 1983 si veda: F. MORLOT, Bibliographie sur Instituts sculiers (1891-1972), in Commentarium pro religiosis et missionariis 54 (1973) 231-297. F. MORLOT, Conspectus bibliographicus Institutorum saecularium (1973-1982), in Commentarium pro religiosis et missionariis 64 (1983) 193-254. Oltre agli studi gi citati allinterno di questa riflessione si vedano: C.M.I.S., Gli Istituti secolari. Documenti, Roma 1981. J. FUERTES, Instituta Saecularia Instituta Vitae Consecratae, in Commentarium pro religiosis et missionariis 64 (1983) 295-324. F. MORLOT, Des chrtiens comme les autres. Les Instituts sculiers, Parigi 1984. T.E. MOLLOY, Secular Institutes. Canon 710-730, in AA.VV., A handbook on canons 573-746, Collegeville (Minnesota) 1985, 275-285. D.K. OCONNOR, Two forms of Consecrated life: religious and secular institutes, in Review for religious 45 (1986) 205-219. T. RINCON-PEREZ, Evolucin historica del concepto cannico de secularidad consagrada, in Ius Canonicum 26 (1986) 52, 675-717. J. BEYER, Gli Istituti secolari, in Vita Consacrata 18 (1988) 430-442; 510-525; 577594; 756-770. G. GHIRLANDA, Il diritto nella Chiesa mistero di comunione. Compendio di diritto ecclesiale, Milano-Roma 1990, 226-230. A. MONTAN, Gli istituti di vita consacrata e le societ di vita apostolica, in AA.VV., Il diritto nel mistero della Chiesa, vol. II, Roma 1990, 319-323. M. DORTEL-CLAUDOT, De institutis vitae consecratae et societatibus vitae apostolicae Roma 1991, 228-234. V. DE PAOLIS, La vita consacrata nella Chiesa, Bologna 1992, 411-425.

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Il diritto pubblico ecclesiastico: una disciplina canonistica tra passato e futuro


di Giuseppe M. Siviero

I 1. Introduzione Rifacendoci ad una definizione descrittiva, possiamo dire che il diritto pubblico ecclesiastico quel ramo della scienza canonistica, che studia la costituzione della Chiesa (ius publicum ecclesiasticum internum) ed i rapporti esterni tra ordinamento canonico ed altri ordinamenti (ius publicum ecclesiasticum externum) 1. Questa disciplina canonica ha per attraversato, negli ultimi decenni, in coincidenza non casuale con il fondamentale evento del Concilio Vaticano II e il non meno determinante periodo postconciliare, una inevitabile crisi. Pedro Lombardia la definisce, un po laconicamente, una corrente dottrinale oggi in crisi per ragioni di metodo e perch alcuni dei suoi principi propri sono stati nettamente superati dalla dottrina del Concilio Vaticano II 2. Tale crisi stata interpretata dagli studiosi pi avveduti di diritto canonico come crisi di crescenza e non di puro e semplice dissolvimento, crisi interlocutoria anche se difficilmente contestabile, ammettendo che ad una pars destruens sarebbe dovuta succedere una pars construens. Gli stessi autori hanno cio avvertito la necessit di un rinnovamento, pi o meno radicale, del Diritto Pubblico Ecclesiastico (dora
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SPINELLI L., Il Diritto Pubblico Ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II. Lezioni di Diritto Canonico, Milano 1985, 1 (premessa). Lezioni di Diritto Canonico. Introduzione Diritto Costituzionale Parte generale, Milano 1985, 81.

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in poi DPE), da modellarsi sulla nuova ecclesiologia conciliare, sul magistero pontificio che la incarna e la continua e conservando una profonda e vigile attenzione ai mutamenti storici, generali e contingenti, del mondo e della societ nei quali la Chiesa di fatto continuamente coinvolta. Al di l del dibattito terminologico apertosi in un recente passato sulla corretta denominazione da dare a tale branca canonistica, si pu oggi ritenere come definitivamente acquisita la dissoluzione del DPE in quanto sistema teorico ispiratore (e condizionatore) dellecclesiologia. Cosicch, con le parole di Giuseppe Dalla Torre, possiamo considerare questa una vera rivoluzione copernicana operata dal Vaticano II: da uno ius publicum ecclesiasticum paradigmato sul diritto pubblico statuale, ad uno ius publicum ecclesiasticum segnato dalla peculiare natura teologica della Chiesa; da unecclesiologia modellata sul diritto pubblico ecclesiastico, ad un diritto pubblico ecclesiastico modellato sul domma e sulla teologia 3. Non si pu, invece, parlare di dissoluzione del DPE in quanto specializzazione di taluni aspetti e contenuti della teologia della Chiesa. In quanto tale si pu ritenere che esso sia stato oggetto della purificazione conciliare e della rifondazione che, pur tra vistose incertezze, in atto. Va da s che necessario, quindi, anche per quanto concerne il DPE, distinguere ci che appartiene ormai al passato da ci che invece, dato permanente e parte integrante del patrimonio di natura teologica e di esperienza storica della Chiesa. In tale senso questo nucleo genuino non pu essere perduto ma continuamente rinnovato e approfondito. Bench non manchino tentativi efficaci di rifondazione della vasta materia attorno a talune idee-concetti-formule capaci di coagularla in una nuova prospettiva (pensiamo, ad esempio, alla libertas Ecclesiae o alla tematica dei rapporti Chiesa particolare-Comunit politica ecc.), si ha tuttavia limpressione di non riuscire ancora a dominare bene lintero impianto dottrinale teologico-giuridico del DPE, sia sul versante interno che su quello esterno, sia soprattutto linsieme dei due 4.
Chiesa particolare e Comunit politica, Modena 1983, 41. Vedi il tentativo di LUIGI MISTO di impostare il Diritto Pubblico Ecclesiastico attorno al principio della libert religiosa (dalla prefazione di Francesco Coccopalmerio): Libert religiosa e libert della Chiesa. Il fondamento della relazione Chiesa-comunit politica nel quadro del dibattito postconciliare in
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Evidentemente non si deve dimenticare che, a questo proposito, numerose questioni sono ancora in una fase mobile, dinamica, di sviluppo-assestamento (ad esempio, la problematica ecumenica, la fisionomia delle conferenze episcopali, la figura del fedele laico ecc.) di modo che sembra ancora relativamente lontano il momento di una nuova e pi matura sintesi-sistemazione teologicamente e giuridicamente soddisfacente del nuovo DPE nel suo insieme; impresa non impossibile qualora mantenga alto il proprio interesse canonistico anche nel futuro, sia sul versante scientifico che su quello propriamente pastorale. 2. Uno sguardo al passato: il Ius publicum ecclesiasticum 2.1 Lecclesiologia dei trattatisti classici Per capire il DPE necessario affrontare un breve excursus storico-critico per richiamarne le linee essenziali cos come emergevano nella dottrina anteriore al Vaticano II, incominciando da una pur sommaria indagine ecclesiologica. Ci giustificato dal fatto che, in sede teorica, per la connessione delle discipline sacre, esistono evidenti e stretti rapporti tra la riflessione teologica sulla Chiesa e la disciplina del Diritto Pubblico Ecclesiastico. Ma anche in sede storica ci dato di constatare un progresso concomitante dei due trattati e, anzi, una reciproca prevalenza ed influenza, per cui luno stato spesso determinato notevolmente dallaltro, e viceversa 5. Il tipo di indagine che ci qui consentito condurre ed esporre non per uno studio globale sullecclesiologia preconciliare e nemmeno uno studio comparato sullecclesiologia dei singoli autori del DPE: luna e laltra prospettiva ci porterebbero troppo al di l delItalia, Brescia 1982; sulla medesima questione vedasi anche SPINELLI L., Libertas Ecclesiae. Lezioni di Diritto Canonico, Milano 1979, il quale per tenta anche una prospettiva sistematica generale in Il Diritto Pubblico Ecclesiastico dopo il Concilio Vaticano II, Milano, 1985. Altri tentativi ed approfondimenti particolari sono rintracciabili, tra gli altri, nei seguenti studi: DAVACK P.A., La Chiesa e lo Stato nella nuova impostazione conciliare, in Il Diritto Ecclesiastico 82 (1971) I, 21-50; HUIZING P., Chiesa e Stato nel Diritto Pubblico Ecclesiastico, in Concilium 6 (1970) 329-341; LAJOLO G., Libertas Ecclesiae: principio fondamentale nelle relazioni tra Chiesa e Stato, II, in La Scuola Cattolica 98 (1970) 3-31; 113-134; SEBOTT R., De Ecclesia ut societate perfecta et de differentia inter jus civile et jus canonicum, in Periodica 69 (1980) 107-126; TURRINI S., La dottrina del laicato come dimensione informatrice del rapporto Chiesamondo nel Concilio Vaticano II, in Ius Canonicum 12 (1972) 57-82; DALLA TORRE, Chiesa particolare. 5 Sulle vicendevoli implicanze tra Ecclesiologia e Diritto Pubblico cf DALLA TORRE, Chiesa particolare, 40-43.

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le nostre intenzioni. Si tratta invece di un semplice sguardo, per sommi capi, alle principali linee di tendenza ecclesiologiche, cio allidea di Chiesa che emerge dallo studio delle tesi comuni al DPE preconciliare. Perci, entrando senzaltro nel merito della questione, possiamo dire, sintetizzando, che lecclesiologia che sostiene le riflessioni dei trattatisti di DPE e che sottesa a tutte le principali tesi di questa disciplina scientifica, prima del Concilio Vaticano II, appare dominata da quattro note o caratteristiche di fondo. Essa , cio, unecclesiologia di impronta prevalentemente, anche se non esclusivamente, giuridica, apologetica, piramidale e gerarchica. Prima di analizzare in breve ciascuna di queste quattro caratteristiche ci giover notare di passaggio che si tratta di orientamenti globali che determinano il tono generale della riflessione teologicocanonica sulla Chiesa, ma che tuttavia non escludono la presenza di altre dimensioni complementari, pi spirituali e teologiche. Di fatto per queste ultime sembrano essere, allepoca, talmente timide e sfumate e di cos scarso rilievo nellautocoscienza del popolo di Dio e nella determinazione pratica della fisionomia ecclesiastica, soprattutto ad extra, che giustificato non trattarne in questa schematica esposizione 6. Per ecclesiologia giuridica sintende un tipo di riflessione che, allo scopo di penetrare loggetto Chiesa, parte dalla considerazione primaria, se non unica, della sua dimensione giuridico-istituzionale. Usando unimmagine, si pu dire che la porta dingresso della visione ecclesiologica quasi esclusivamente quella della Chiesa-istituzione, non quella della Chiesa-mistero soprannaturale. perci una visione che appare illuminata da nozioni tipicamente giuridiche: basti pensare che la definizione, del resto autorevolissima, di Chiesa del Card. Bellarmino , in questo periodo, la definizione preferita dai trattatisti di DPE 7.

Per quanto riguarda le tendenze ecclesiologiche emergenti tra i due concili vaticani ed in particolare nella Lumen Gentium, vedansi: AA.VV., LEcclesiologia dal Vaticano I al Vaticano II (Facolt teologica di Milano) Brescia 1973; ACERBI A., Due ecclesiologie. Ecclesiologia giuridica ed ecclesiologia di comunione nella Lumen Gentium, Bologna 1975, 30-105, con numerose indicazioni bibliografiche; CITRINI T., Il contesto culturale ed ecclesiologico della Lumen Gentium, in Credere oggi 28 (1985) 5-16. 7 Cos HEINRICH FRIES inquadra la definizione del Bellarmino nellecclesiologia del tempo: La risposta ecclesiologica, che venne data alla Riforma, la troviamo espressa nella maniera pi lucida nelle Disputationes de controversiis christianae fidei di Roberto Bellarmino, il quale evolse e concentr lecclesiologia proprio nei punti controversi e contro i quali si era indirizzato lattacco dei riformatori. Egli designa

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Oggi sappiamo che sono possibili ed auspicabili altre considerazioni come punti di partenza, pi consone alla natura teologica delloggetto in questione; sappiamo anzi che la stessa dimensione giuridica, nella Chiesa, eminentemente teologica, e come tale va compresa 8; non di meno notiamo che vi furono ragioni storiche molto serie che, pur non giustificando tutto, concorrono tuttavia a spiegare la scelta di questo determinato approccio giuridico allecclesiologia, invece daltri. Lungo sarebbe lelenco di correnti di pensiero, autori, tesi dottrinali, teorie e prassi politiche che minavano alcuni aspetti fondamentali della concezione tradizionale della Chiesa, costringendo i pastori ed i teologi (tra i quali in particolare i giuspubblicisti cattolici) a costruire una dottrina che fosse allaltezza del confronto, affermando efficacemente ci che altri negavano. Il rischio maggiore, e perci di gran lunga il pi combattuto, fu quello del pesante discredito gettato da taluni sulla dimensione visibile, istituzionale e giuridica della Chiesa. Questa dimensione veniva di fatto da costoro negata come spuria e contraddittoria con la vera natura spirituale della comunit cristiana. La Chiesa, secondo tale tesi, non avrebbe un diritto proprio n tanto meno un diritto pubblico n potrebbe averlo, in quanto il suo diritto le verrebbe dallo Stato, unica societ perfetta e perci unica vera fonte di ordinamento pubblico. La Chiesa, di conseguenza, non sarebbe pi sovrastatale, universale, autonoma ed indipendente, in una parola sovrana, ma sottomessa alla comunit politica, al rango di una qualsiasi corporazione. Non di chi non veda, al di l della
la Chiesa come Coetus hominum eiusdem christianae fidei professione et eorundem sacramentorum communione colligatus, sub regime legitimorum pastorum ac precipue unius Christi vicarii, Romani Pontificis. Questa frase trova il suo completamento nellaltra: Ecclesia est coetus hominum ita visibilis et palpabilis ut est coetus populi Romani vel regnum Galliae aut Res Publica Venetorum. La Chiesa viene definita per mezzo della sua visibilit, delloggettivazione dei contenuti di fede e del numero settenario dei sacramenti: per mezzo dellistituzione, del governo della Chiesa esercitato dai suoi legittimi pastori, la cui legittimit viene garantita dallordinazione, dalla successione e dallautenticazione; soprattutto per per mezzo della supremazia del pontefice romano, al quale soltanto si riconosce il titolo di vicarius Christi. Cf Mutamenti nellimmagine della Chiesa ed evoluzione storico-dogmatica in AA.VV.. Levento salvifico nella comunit di Ges Cristo (Mysterium Salutis IV-I a cura di Johannes Feiner e Magnus Lohrer), Brescia 1972, 312. 8 Questo anche il pensiero di Paolo VI: cf ad esempio Allocuzione ai partecipanti al secondo Congresso Internazionale di Diritto Canonico, luned 17 settembre 1973, in Insegnamenti XI (1973) 845-855. Sul pensiero di Paolo VI vedansi CAPPELLINI E., Il Diritto Canonico nel Magistero di Paolo VI, in AA.VV., Problemi e prospettive di Diritto Canonico, Brescia 1977, 9-49; LOPEZ QUINTANA P., Pablo VI y la problematica general del Derecho en la Iglesia (Dissertatio ad Doctoratum) Romae 1983; citatissimo linsegnamento di Paolo VI anche nel manuale di GHIRLANDA G., Il diritto nella Chiesa mistero di comunione. Compendio di diritto ecclesiale, Cinisello B.-Roma 1990, in specie 15-83.

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schermaglia terminologica, il reale pericolo di una perdita didentit o quanto meno dautonomia da parte della Chiesa 9. Lecclesiologia ed il DPE dovettero quindi chiarire queste questioni e sottolineare con forza la realt societaria ed istituzionale iure divino della comunit cristiana. Ci detto ci siamo abbondantemente introdotti nella comprensione anche della seconda nota: per ecclesiologia apologetica intendiamo qui una riflessione scientifica sulla Chiesa fatta non sereno animo, partendo cio da pure motivazioni interne e da esigenze propriamente teologiche, quanto piuttosto per bisogno di difesa, di salvaguardia e di tutela di un patrimonio dogmatico che si vedeva minacciato. Storicamente, negli ultimi cinque secoli, ci furono almeno due spinte, luna dallinterno e laltra dallesterno, che costrinsero quanti in ambito cattolico ponevano mano per primi al trattato De Ecclesia, ad accentuarne il tono controversistico e difensivistico. Allinterno, la Chiesa dovette infatti affermare o ri-affermare la propria natura autentica contro le dottrine spiritualistiche della Riforma (XVI sec.); allesterno, dovette tutelarsi contro le pretese assolutistiche e laicistiche dello Stato moderno (XVII-XVIII sec.) 10. Quindi, una corretta comprensione di tale nota apologetica si ottiene solo ricordando che ogni affermazione teologica e canonistica sulla Chiesa e sul suo Diritto Pubblico, rintracciabile nella manualistica cattolica, va valutata allinterno della dialettica che essa stabilisce con la tesi da confutare, o con laffermazione contraria da controbilanciare. Senza questa attenzione metodologica sarebbe impossibile comprendere appieno il posto rilevantissimo, e il cos lungo perdurare di tale condizionamento apologetico nella riflessione sulla Chiesa, fino alle soglie del Concilio Vaticano II 11. La successiva caratteristica che ci proponiamo di considerare la piramidalit dellecclesiologia. Si definisce piramidale questa
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Tale tesi ebbe forse il suo massimo rappresentante in RUDOLF SOHM (1841-1917), teologo protestante, per il quale lessenza del Diritto in contraddizione con lessenza della Chiesa. Cf Kirchenrecht I, Die geschichtlichen Grundlagen, Leipzig 1892 (Berlino 1970). Prima di lui SAMUEL PUFENDORF (1637-1694) contest lo status giuridico della Chiesa cattolica in quanto tutte le Chiese altro non sarebbero che dei collegia, delle societ giuridicamente imperfette, inequivocabilmente circoscritte nellorbita della giurisdizione statale: cf De habitudine Religionis Christianae ad vitam civilem, Bremae 1687. 10 Cf SPINELLI, Il Diritto Pubblico Ecclesiastico, 17-25; ID., Libertas Ecclesiae, 61-111. 11 Cf ANTON A., Lo sviluppo della dottrina sulla Chiesa nella teologia dal Vaticano I al Vaticano II, in AA.VV., Lecclesiologia dal Vaticano I al Vaticano II, 27-86.

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ecclesiologia perch tutto in essa promana dal vertice alla base, con uno schematismo intellettuale che raramente ammette eccezioni. La struttura ecclesiastica infatti ha un apice massimo autoritativo che Cristo Fondatore, il quale rappresentato ed agisce per mezzo del suo Vicario in terra, il Romano Pontefice successore di Pietro. Dallo stesso Ges Cristo deriva, come da sua legittima fonte divina, la sacra potestas. Il Papa, per volont di Cristo, ne il massimo detentore per il bene della Chiesa e dellintera umanit. Egli esercita le sue funzioni in piena libert ed autonomia, interna ed esterna. Scendendo verso il basso (vescovi, clero...) si ha un restringimento progressivo, in estensione e profondit, di tale potest. In particolare i vescovi, nellesercizio del loro ministero pastorale, sembrano essere pi delegati del Romano Pontefice che non reggitori iure divino della porzione di gregge loro affidata. Finalmente i fedeli laici, la base numericamente maggioritaria della piramide ecclesiastica, non detengono alcuna potest 12. Il pericolo che si intendeva a torto o a ragione scongiurare con tale drastica impostazione, era quello di una esautorazione totale della Chiesa, una vanificazione cio della sua libert, rendendola subordinata ad altri fini e ad altre autorit. Tale rischio era insito in talune idee e prassi politico-religiose del secolo XVIII: gallicanesimo, giansenismo, febronianesimo, giuseppinismo, episcopalismo ecc. 13. Questo provoc, per reazione, una ecclesiologia preoccupata quasi esclusivamente del riconoscimento teorico e pratico della sua legittima autorit ecclesiastica, della forma monarchica della medesima e dei titoli che la Sede Apostolica Romana vantava per esercitarla. Per cui, limpressione che alla fine si ricava che credere alla Chiesa significava accettarne lautorit (Congar) 14. Per completare il breve quadro che ci siamo proposti di tracciare ci rimane da parlare dellecclesiologia gerarchica, quale ultima caratteristica dominante nel periodo dei trattati classici di DPE. Dire gerarchia, nel contesto di tutto ci che siamo venuti sin qui

Sui laici cos sintetizza OTTAVIANI: Laicis nulla potestas est, neque ordinis neque iurisdictionis, cf Compendium iuris publici ecclesiastici, Romae 1954, 225. Sullorientazione papalista e piramidale della manualistica ecclesiologica del tempo cf ANTON, Lo sviluppo della dottrina, 52-53. 13 Cf SPINELLI, Libertas Ecclesiae, 61-87. 14 Cf Lecclsiologie de la Rvolution franaise au Concile du Vatican, sous le signe de laffermation de lautorit, in AA.VV., Lecclsiologie au XXe sicle, Unam Sanctam 34, Paris 1960, 77-114, in particolare 90-91.

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esponendo, significa dire soprattutto: ecclesiologia clericale e, dunque, immagine clericalizzata di Chiesa, nella quale tutto sembra essere nelle mani del clero (secolare o regolare, alto o basso che sia) e quasi nulla nelle mani degli altri fedeli. Si nota infatti, a causa di questa pesante sottolineatura ecclesiologica, gravida di conseguenze anche per la pastorale e lecclesioprassi, un evidente squilibrio o almeno una difficile armonizzazione di fatto tra le due componenti, quella gerarchica e quella comunitaria, entrambe co-essenziali alla costruzione della Chiesa ed alla piena realizzazione del suo mistero di salvezza, che non fosse quella di una deresponsabilizzante subordinazione dei laici ridotti, dal punto di vista teologico-giuridico, ad una specie di ceto di minores 15. Inoltre non c un vero sviluppo della teologia della comunit in genere e della teologia del laicato in specie, manca cio una adeguata valorizzazione di ci che accomuna i credenti (fede, speranza, carit, carismi, sacramenti delliniziazione cristiana, chiamata alla sequela di Cristo, vocazione alla santit...), mentre laccento posto con insistenza sulla differenza, sulla disuguaglianza tra le categorie. La gerarchia, in un siffatto contesto, gioca un ruolo ecclesiologico da protagonista; al laicato non rimane che essere beneficiario passivo della sua azione, nulla pi che unumile comparsa, capace al pi di agire in maniera ecclesialmente significativa nel caso in cui riceva una precisa delega da parte della gerarchia. 2.2 La tesi filosofico-giuridica fondamentale del Ius publicum ecclesiasticum Dopo aver alquanto perlustrato il retroterra ecclesiologico dei giuspubblicisti cattolici classici, vediamo adesso di entrare pi propriamente nel campo del DPE, affrontando la questione della tesi fondamentale, sviluppando la quale questa disciplina scientifica ebbe la sua massima fioritura. A fine di chiarezza metodologica, per mettere maggiormente in rilievo ci che in tale questione vi di permanente e di perennemente valido, preferiamo parlare di intenzione fondamentale, mentre

Cf DIANICH S., Voce: Comunit, in Nuovo Dizionario di Teologia, Roma 1977, 148-165; FORTE B., Le forme di concretizzazione storica della chiesa (gerarchia-laicato-vita religiosa), in Credere oggi 28 (1985) 52-64 o, pi estesamente, La Chiesa icona della Trinit. Breve ecclesiologia, Brescia 1984.

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per rilevare ci che vi di storico e di tipicamente legato alla sensibilit del momento, parleremo appunto di tesi fondamentale 16. Anzitutto possiamo generalmente affermare che i giuspubblicisti cattolici preconciliari colgono come determinante la necessit di risolvere il nodo centrale delle questioni che a loro concernevano, per dare carattere di solidit alla costruzione dottrinale del DPE. Tale nodo era costituito dalla giuridicit della Chiesa, non da tutti accettata. Perci, la preoccupazione dottrinale principale e, al contempo, il fine ultimo del trattato classico di DPE (ci che noi qui chiamiamo lintenzione fondamentale del DPE) proprio laccurata presentazione-dimostrazione-difesa teorica della perfezione giuridica della Chiesa 17. Questa intenzione fondamentale viene realizzata attraverso lesposizione scientifica (dimostrazione) della tesi fondamentale cos espressa: Ecclesia est societas (iuridice) perfecta 18. Tale formula diventa rapidamente, nei trattati classici di DPE, lespressione tipica e la concettualizzazione sovrana nella considerazione della perfezione giuridica della Chiesa in quanto affermare che la Chiesa possiede una giuridicit perfetta, essendo essa societas perfecta, significava asserire con efficacia e simultaneit due cose: linsubordinazione del fine ecclesiale e lautosufficienza dei mezzi posseduti dallistituzione ecclesiastica per raggiungerlo 19. Il concetto assai prossimo se vogliamo a ci che si intende con il binomio autonomia ed indipendenza della Chiesa (dal potere politico, dalla sfera giuridica delle altre societ perfette); ma si possono considerare analoghi anche altri concetti quali quelli di sovranit, di pubblicit del diritto (una societ che possiede solo un di-

Non detto che lautonomia della Chiesa sia sempre stata difesa sotto laspetto della parit giuridica, n tanto meno che questa parit giuridica abbia dovuto essere espressa con la formula societas perfecta: FOGLIASSO E., La tesi fondamentale del Ius Publicum Ecclesiasticum, in Salesianum 8 (1946) 73. E pi avanti: Quindi, anche solo per questo, non dobbiamo aspettarci che la perfezione giuridica della Chiesa debba essere espressa inequivocabilmente con la locuzione societas perfecta (88). 17 In tutto il Ius P.E. si ha di mira la difesa della perfezione giuridica della Chiesa di fronte allo Stato: FOGLIASSO, La tesi fondamentale, 83-84; cf anche ID., Il compito apologetico del Ius Publicum Ecclesiasticum, in Salesianum 7 (1945) 49-80. 18 Diremo dunque che tutta lintroduzione del Ius P.E. polarizzata verso la tesi: Ecclesia est societas perfecta, cos come tutto ci che segue alla dimostrazione di questa tesi non che lo sviluppo deduttivo o lapplicazione della asserzione contenuta in essa: FOGLIASSO, La tesi fondamentale, 73. 19 Cf ibidem.

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ritto privato non giuridicamente perfetta) e, fatte le debite distinzioni, quello di parit giuridica con lo Stato 20. Infatti, non vi sono dubbi che il fine della Chiesa sia assolutamente originale rispetto al fine della comunit politica, che nel nostro caso si chiama Stato, e che possieda la totalit dei mezzi che le permettono di raggiungerlo adeguatamente. Fine e mezzi, nella Chiesa, esistono e sono presenti ab initio, e non le sono mai venuti meno 21, in quanto non sono stati n mutuati da altre istituzioni n sono in concorrenza con altri, ma essa li possiede, ne dotata, in esclusiva, se cos si pu dire; infine per volont di Ges Cristo, e perci iure divino positivo, che essa siffatta. Quindi: la sua giurisdizione suprema su tutta larea di sua competenza; essa vi sovrana 22. Precisato brevemente il contenuto della tesi fondamentale del DPE, pu essere utile ricordare che lespressione societas perfecta sembra senzaltro avere antiche radici filosofiche risalendo addirittura ad Aristotele (cf Politica, L.I, c.I). Dal filosofo greco i giuspubblicisti mutuano per pi la veste linguistica che il concetto, in quanto il dualismo di poteri e di societ, che emerge storicamente dal confronto sociale culturale e giuridico di una comunit religiosa (la Chiesa) con il potere politico (lImpero, gli Stati ecc.), un fenomeno assolutamente inedito per lantichit, rilevabile solo dal Cristianesimo in poi 23. Il Medioevo conobbe la formula societas perfecta, ma dato il suo particolare assetto politico-religioso di tipo unitario, realizzatosi nella cosiddetta Respublica Christiana, esso non poteva concepire un dualismo di societ ma soltanto una distinzione di poteri allinterno del medesimo universo culturale e socio-religioso. Sicch il significato che esso d alla formula non il medesimo che ad essa conferir il DPE classico 24. Il fenomeno nuovo che, assieme e pi della Riforma luterana, far scattare le nascoste potenzialit di questa espressione, sar per20

Vedasi, al riguardo, quanto ancora afferma Fogliasso a proposito della distinzione tra il concetto di parit giuridica e la sua espressione mediante la formula societas perfecta: ibidem, 83. 21 Cf OTTAVIANI, Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, I, Citt del Vaticano 1958, 150-151. 22 La ricerca storica del concetto dellautonomia della Chiesa dallo Stato risalendo i tempi pu e deve essere condotta fino a Ges stesso; anzi, non sarebbe inopportuno in sede di Ius P.E. scienza giuridica, ma pur sempre sacra spingere lindagine anche ai vaticini del V.T. prendendo in considerazione la natura e le esigenze del Qahal Jahve: FOGLIASSO, La tesi fondamentale, 83-84. 23 Cf ibidem, 85-86. 24 Ibidem, 86.

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ci la nascita dello Stato moderno, i cui dati salienti per quanto ci riguarda sono: la territorialit e la supremazia assoluta (talvolta sfociata in concezioni assolutistiche) del suo Diritto e dellautorit che esso sancisce, entro tali limiti territoriali 25. Nei trattatisti classici del DPE, infatti, la formula societas perfecta applicata alla Chiesa ne garantisce la difesa per quanto riguarda la parit giuridica con lo Stato moderno, anche se per altri versi finir con il provocare una specie di assolutismo intraecclesiastico e favorire una teologia della Chiesa alquanto monocorde 26. 2.3 La metodologia e alcune conseguenze etico-politiche Pu risultare senzaltro illuminante dire una parola anche sul metodo usato dagli autori classici di DPE nei loro trattati, cio sugli strumenti concettuali da essi utilizzati per raggiungere il proprio fine. Essendo il DPE disciplina di frontiera, in certo senso al confine tra il Diritto, la Filosofia e la Teologia, essa mutua molto da queste scienze madri. Per forza di cose, perci, i suoi postulati primi provengono dalla Teologia, il suo argomentare dalla Filosofia, e il suo linguaggio tecnico dal Diritto 27. Lintento con cui il DPE muove marcatamente apologetico, anzi per taluno esso si identifica con la stessa difesa scientifica (lapologia intesa questa volta in senso classico e non meramente polemicocontroversistico) di questo specifico carattere societario-pubblico della Chiesa e del suo diritto (di fronte allo Stato e alla pretesa onnicomprensivit del diritto statale) 28. Generalmente, i presupposti teologici (che il DPE, di norma non dimostra ma mutua dalla teologia fondamentale, detta allora apologetica, e dalla dogmatica, in specie dal trattato De Ecclesia) sono: 1) Lelevazione del genere umano allordine soprannaturale mediante il conferimento della grazia santificante restituita, dopo il peccato ori-

Sulla moderna concezione dello Stato e sulle dottrine dello Stato nazionale, cf SABINE G.H., Storia delle dottrine politiche, Milano 1983, 253-714. 26 Affermare che la Chiesa societ perfetta non attribuirle una qualifica che ne descriva le note caratteristiche o le prerogative ad intra, ma importa essenzialmente metterla in rapporto con lo Stato negando che esso abbia lesclusivit di tale denominazione, il che evidentemente u affacciarsi ad extra nella difesa del buon diritto della Chiesa: FOGLIASSO, La tesi fondamentale, 74. 27 Circa la problematica metodologica del DPE classico, cf FOGLIASSO, La tesi fondamentale, 67; ID., Efficienza formativa del Diritto Pubblico Ecclesiastico, in Salesianum 10 (1948) 235-240. 28 Cf FOGLIASSO, Il compito apologetico del Ius Publicum Ecclesiasticum, in Salesianum 7 (1945) 49-80.

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ginale, dallopera redentrice di Ges Cristo; 2) la fondazione della Chiesa, cio la positiva volont di Ges Cristo di dare alla Religione rivelata la forma di vera Societ 29. I presupposti filosofici sono tratti dal diritto naturale, per quanto riguarda soprattutto la presentazione del fine dello Stato, societas perfecta nellordine temporale 30. Nellargomentazione, invece, si deriva dalla filosofia perennis il metodo di tipo logico-deduttivo, in cui il sillogismo gioca un ruolo determinante. Infatti, poich le societates (perfectae) sunt ut fines, e non vi sono che due fini principali, quello temporale e quello soprannaturale, non vi possono essere che due sole societ perfette: la Chiesa e lo Stato. E poich non vi pu essere che un solo fine supremo, coordinatore e armonizzatore di tutti gli altri fini (compresi quelli secondari), cio il fine soprannaturale, da ci risulta che la Chiesa superiore ratione finis allo Stato, e ad esso prevalens 31. Questo tipo di approccio metodologico di tipo logico-deduttivo risulta non privo di una sua capacit dimostrativa ma anche di un certo fissismo difficilmente conciliabile sia con la teologia che con il diritto. La cosa diventa palese allorquando, svolgendo ulteriormente il pensiero, se ne deducono conseguenze sul versante sociale ed etico-politico difficilmente conciliabili con una visione antropologica ed ecclesiologica adeguate ai tempi. anzitutto la relazione Comunit ecclesiale-Comunit civile a soffrirne: la societas civilis , infatti, indirecte subordinata alla societas spiritualis vel supernaturalis cio la Chiesa, laddove per il termine Chiesa va inteso di fatto con riferimento esclusivo alla suprema autorit ecclesiastica. Tale subordinazione indiretta e tale ecclesiologia riduttiva tendono cos a giustificare, almeno a livello della dottrina, un regime generalizzato di rapporto autorit ecclesiastica-Stato in cui la prima, estendendo pressoch indefinitamente la classificazione e lenumerazione delle tradizionali materie miste (educazione della giovent, matrimonio...) 32, ritiene di poter rivendicare lesercizio di una vera
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Ibidem, 56-57. Cf FOGLIASSO, Compito e caratteristiche del Diritto Pubblico Ecclesiastico esterno, in Salesianum 16 (1954) 218-257. 31 Cf OTTAVIANI, Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, 150-151. 32 Cf OTTAVIANI, Compendium Iuris Pubblici Ecclesiastici, 382-385, dove lautore distingue tra res mixtae sensu stricto: matrimonio, educazione della giovent, difesa della pubblica moralit, contratti con giuramento, cura dei poveri, repressione delle opinioni che turbano la pace civile, determinazione del calendario delle festivit ecclesiastico-civili ecc. (383), e res mixtae sensu lato: redazione di registri parroc-

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potestas directa vel indirecta (pi raramente directiva ), a seconda delle tesi, ma comunque effettiva e mai meramente religiosa o morale, un po su tutto e finanche sulle leggi dello Stato. Operazione questa che, al di l di ogni lecita discussione sulla libert della Chiesa, sul fine spirituale della sua azione e sullinteresse pastorale che essa coltiva nei confronti della citt delluomo, evidentemente manifesta un non riconoscimento del genuino valore della politica e una propensione verso una sorta di indebita strumentalizzazione della stessa 33. Il Concilio Vaticano II, di l a poco, dimostrer come tutti questi valori, a cominciare dalla libertas Ecclesiae, possano essere in effetti salvaguardati molto meglio dentro una diversa visione delluomo e del mondo e a partire da una comprensione meno condizionata della Chiesa.

2.4 Alcune definizioni scientifiche del Ius publicum ecclesiasticum Non ci resta ormai che vagliare alcune definizioni o, pi precisamente, alcuni tentativi di descrizione, cos come sono emersi dalla maturit della ricerca giuridica dei vari autori, identificando il valore cognitivo di una definizione nella sua astratta capacit di coagulare in una sintetica visione dinsieme i punti centrali di una scienza, focalizzandone al tempo stesso gli obiettivi e il metodo; e il suo limite nella pretesa di voler esaurire in poche parole, attraverso un processo di fissazione concettuale, la complessit non sempre manipolabile

chiali cui siano annessi effetti civili, amministrazione di beni ecclesiastici che richiedano una qualche vigilanza dello Stato, amministrazione urbana, edilizia, igienica di luoghi destinati alla costruzione di chiese ecc. (384). Altri autori distingueranno addirittura le res mixtae in mixtas stricto, lato et latissimo sensu: AICHNER, Compendium iuris ecclesiastici, Brixinae 1915, par. 37, 111; BIEDERLAK, Institutiones iuris ecclesiastici, Romae 1907, n. 54. 33 Cf OTTAVIANI, Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, 133-144. Lo stesso autorevole rappresentante del DPE preconciliare cos sentenzia in un illuminante paragrafo che tratta della potestas indirecta della Chiesa nei confronti della legislazione civile, nel contesto di un articolo intitolato Quaestiones speciales de potestate indirecta: Ostensum est iam quo sensu vindicanda sit facultas Ecclesiae condendi leges de rebus civilibus vi potestatis indirectae in temporalibus; dictum est insuper Romanos Pontifices posse legem civilem, qua aliquid rationi aut legi eternae ac positivo imperio divino contrarium praescribatur, nullam ac irritam declarare; sed potest insuper Rom. Pont. principes civiles invitare ut legem, de se non irritam sed quae propter aliqua adiuncta fiat bono animarum noxia, vel abrogent vel corrigant. Ad hoc autem procedere potest non solum consiliis et monitis, ut vellent assertores potestatis mere directivae, sed etiam poenis: cum agatur de vera, licet indirecta, potestate iurisdictionis, qua sane uti possunt Romani Pontifices ad civitatem rectores cogendos, ut imperium exerceant, ea ratione quam bonum populorum spirituale postulat cf ibidem, 161.

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delle questioni e le sottili sfumature dei problemi, escludendo forzatamente aspetti nuovi o solo apparentemente secondari, che una scienza viva va di continuo acquisendo. In questo senso, per dimostrare che anche il DPE classico ha avuto il suo sviluppo, talora notevole ed imprevisto, la spia migliore appunto quella di confrontare le varie definizioni-descrizioni datene dagli autori 34. certo a questo proposito che la dottrina canonistica antica o premoderna possedeva gi in s elementi necessari e sufficienti per effettuare lanalisi della Chiesa in quanto societ giuridica, distinta dalla societ statale. Ma, come abbiamo accennato pi sopra, i canonisti del Medioevo non sentirono il bisogno di studiare la questione della giuridicit della Chiesa sotto questo determinato punto di vita. I tempi infatti non erano maturi, nel senso che non richiedevano un tale particolare sviluppo. Pertanto, la disciplina detta Ius publicum ecclesiasticum dorigine relativamente recente: essa si costituisce pienamente come scienza autonoma verso il XVIII secolo, per iniziativa dei professori dellUniversit di Wrzburg, stimolati a loro volta dal principe-vescovo della stessa citt, arcicancelliere dellImpero 35. Il debutto del DPE, com facile immaginare, non fu facile: le difficolt si ponevano soprattutto nel definire loggetto esatto della scienza, il metodo da seguire ecc 36. Il DPE elaborato dalla Scuola di Wrzburg, particolarmente per opera di GIOVANNI A. VON ICKSTADT (1702-1776), presenta la Chiesa sotto la figura di Respublica cattolica universale, malgrado essa non possieda territori esclusivi ma esista dentro regni e territori, i pi diversi 37. Cos come ogni Stato costruisce il suo assetto pubblico su leggi fondamentali, parimenti nella Chiesa lassetto pubblico garantito dalle sacre costituzioni. Il Sovrano Pontefice detiene in essa limperium assoluto, non solo sulle persone che amministrano le cose sacre al popolo cristiano, ma su tutti i fedeli. Egli possiede una giurisdi-

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Intendiamo far riferimento, per quanto riguarda questo punto, soprattutto al contributo di DE LA HEA. - MUNIER CH., Le droit public ecclsiatique travers ses dfinitions, in Revue de droit canonique 14 (1964) 31-63. 35 Ibidem, 32. 36 Ibidem. 37 Cf VON ICKSTADT, Meditationes preliminares de studio iuris ordine atque methodo scientifica instituendo, Wirceburgi 1731, 123.
RA

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zione indipendente che esercita attraverso magistrati subalterni (vescovi, prelati...) 38. In tutto questo sistema, in cui di primaria importanza far risaltare i diritti del Sovrano Pontefice, e dei magistrati a lui subordinati, nonch la forma di regime della societ ecclesiastica (monarchica, aristocratica, mista...), si notano evidenti gli influssi del diritto pubblico generale dellImpero romano-germanico 39. Da tali influssi la Scuola di Wrzburg non seppe liberarsi per poter meglio mettere in rilievo lirriducibilit della societ ecclesiastica a qualsiasi modello politico per quanto perfetto, condizione questa essenziale per delinearne anche lassoluta indipendenza ed autonomia. Dal punto di vista canonistico poi il DPE inteso da questa Scuola in senso puramente compilativo-normativo, come un insieme di leggi e di costituzioni, ma non ancora al rango di organizzazione sistematica di una materia in parte nuova, cio di disciplina scientifica. Il suo interesse primario, infine, rimane fermo alla costituzione interna della Chiesa, cio al cosiddetto Ius publicum internum 40. Tuttavia, questo modo naturalistico ed in certo qual modo ingenuo di impostare le questioni canoniche, ha aiutato a capire meglio la differenza esistente tra il diritto pubblico e il diritto privato, fino allora alquanto oscura, segnando perci un netto progresso metodologico 41. Su questa scia in seguito, autori come ANTONIO SCHMIDT (17341805), FRANCESCO GIORGIO DITTERICH (1741-1811), GIACOMO ZALLINGER (1735-1813) e altri, determinarono una svolta importante nella concezione del DPE, da essi inteso come parte integrante della Scienza del Diritto canonico, cio come vera disciplina ecclesiastica. Il DPE, secondo questi autori, non si occupa pi solo della organizzazione costituzionale della Chiesa (Ius publicum internum), ma anche delle relazioni tra Chiesa e Stato (Ius publicum externum). La Chiesa da essi compresa come societ eminentemente sacra, dotata perci di un potere sacro, anche se per il fatto di essere sacro non meno potere; ed quanto basta per delineare formalmente la linea di si-

38 39 40 41

Cf ibidem. Cf DE LA HERA - MUNIER, Le droit public, 39. Cf ibidem, 40-41. Cf ibidem, 43.

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milarit, ma anche e soprattutto di confine che intercorre tra essa e lo Stato, tra il suo Diritto e il Diritto statale 42. Il XIX secolo, finalmente, sposter pian piano lattenzione dalla parte al tutto, cio dai diritti della gerarchia ecclesiastica al Diritto e ai diritti della Chiesa in quanto tale, portando cos a compimento tutto un processo evolutivo precedente 43. La nozione di societ giuridicamente perfetta entra ormai a pieno titolo nel trattato di DPE, diventando il pilone centrale di tutto ledificio. Ricordiamo a questo riguardo le Institutiones del CARD. SOGLIA (1779-1856), pubblicate nel 1842; e soprattutto quelle del CARD. TARQUINI (1810-1874), pubblicate nel 1860. La semplicit del piano, il rigore logico, la coerenza del metodo usati dal Tarquini, in questa sua opera, si imporranno come modello: il suo decisivo apporto consist nellanalisi delle propriet della societ perfetta, applicate alla Chiesa 44. Riportiamo, dunque, cinque definizioni-descrizioni del DPE che, tra le tante, ne mettano in rilievo levoluzione storica. Esse appartengono, nellordine, a Von Ickstadt, Schmidt, Cavagnis, Fogliasso, Ottaviani. I GIOVANNI ADAMO VON ICKSTADT, esimio rappresentante della Scuola di Wrzburg, con il suo libro Meditationes de studio iuris ordine ac methodo scientifica instituendo, dedicato al principe-vescovo Federico Carlo de Schonborn, determiner di fatto lorientamento del primitivo Ius publicum ecclesiasticum, di cui abbiamo pi sopra visto le caratteristiche salienti. Il DPE definito da Von Ickstadt nel solco della concezione normativa, come:
Complexus legum atque sacrarum costitutionum, tam iuris divini positivi tum humani quibus status Ecclesiae publicus, summi atque magistratuum ecclesiasticorum determinantur 45.

Cf SCHMIDT, Institutiones Juris ecclesiastici Germaniae adcomodatae, Heidelbergae 1771, 1-3; DITTERIPrimae lineae iuris publici ecclesiastici, Argentorati 1778, 239; ZALLINGER, Institutiones iuris naturalis et ecclesiastici publici libri quinque, Augustae Vindelicorum 1784, 641-682 e 741-744. Altri autori importanti sono: GIORGIO CRISTOFORO NELLER (1709-1783), STEFANO RAUTTENSTRAUCH (1734-1785), GIOVANNI NEPOMUCENO ENDRES (+ 1791). Circa le caratteristiche di questa scuola cf DE LA HERA MUNIER, op. cit., 32-50. 43 Cf DE LA HERA MUNIER, op. cit., 51. 44 Cf TARQUINI C., Institutiones iuris ecclesiastici, Romae 1892; vedasi anche SOGLIA I., Institutiones iuris ecclesiastici, publici et privati, Neapoli 1860. 45 Meditationes preliminares, 123.
CH,

42

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II FILIPPO ANTONIO SCHMIDT, professore di Heidelberg, il primo che supera le riduttive opinioni sulla costituzione della Chiesa proprie della Scuola di Wzrburg. Il suo trattato, Institutiones Juris ecclesiastici Germaniae adcomodatae, il pi perfetto di questa fase iniziale, completo sia dottrinalmente che scientificamente. Tale trattato ha valso, tra laltro, al suo autore il prestigioso appellativo di fondatore del DPE. Schmidt ritiene che sia proprio del Diritto canonico, il cui fine Ecclesiae regimen, morum instructio et animarum salus, trattare questioni di diritto privato e questioni di diritto pubblico. Egli afferma, infatti, che:
Cum Juris Ecclesiastici finis sit Ecclesiae regimen, morum instructio et animarum salus, ipsius quoque erit rite ordinare Ecclesiae statum tum publicum, eum nimirum qui non concernit actiones singulorum sed coetus hujus sacri iura communia eorumque qui coetui hujus cum potestate sacra praesunt; limites item nexumque genuinum cum potestate profana: tum ipsas has privatorum causas et negotia animae salutem concernentia dirigere: inde aliud Jus ecclesiasticum publicum aliud privatum 46.

Inoltre gli stessi tempi moderni con le loro esigenze scientifiche richiedono che anche la Chiesa consideri ormai le proprie materie di diritto pubblico in modo peculiare, per mezzo di una trattazione sistematica di tali questioni canoniche, cio attraverso una peculiare disciplina. Cos sesprime il nostro autore:
Utraque negotia ab antiquissimis temporibus ad nos usque ferme promiscue, prout res ferebat, pertractata; genio aetatis nostrae magis arridet, utrumque rite secernere: inde in ipsa utriusque Iuris pertractatione desiderio huic obsecundabimus... Juri dein Ecclesiastico publico partem peculiarem adsignavi: ea enim est hodie in hac Jurisprudentiae parte, dum ex amoeniori Saeculi nostri gustu magis quotidie excolitur, et materiam amplitudo et necessitas; ut, nisi qui studiose inter vulgum et plebem reperi volunt, praecipuam eidem curam impendendam sua sponte sint existimaturi 47.

III Il cardinale FELICE CAVAGNIS nel primo volume delle sue Institutiones, mette nel giusto rilievo la differenza che sussiste tra le societ perfette, indipendenti e sovrane nella sfera della propria

46 47

Institutiones iuris ecclesiastici. Ibidem.

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competenza, e le societ imperfette (collegi, associazioni, ecc.), che si inseriscono nellordinamento giuridico superiore. Nella sua definizione di cui riportiamo di seguito tre felici formulazioni, il DPE collegato strettissimamente al concetto di societas perfecta:
Ius competens societatis perfectae uti tali est publicum; ius competens personis et societatibus imperfectis est privatum 48. Cum Ecclesia sit societas iuridice perfecta... sequitur ius publicum ecclesiasticum esse ius competens Ecclesiae ut societati perfectae 49. Scientia iurium et officiorum Ecclesiae tamquam perfectae societatis, ex divina eius institutione promanantium 50.

IV EMILIO FOGLIASSO, in diversi magistrali articoli sui temi metodologico-contenutistici pi scottanti del DPE 51, analizza la connessione di tale disciplina scientifica con la Teologia fondamentale, detta un tempo Apologetica, per mettere in risalto il compito essenzialmente apologetico del Ius publicum ecclesiasticum. Tale la definizione di DPE che egli ci d:
Limmediata ed esplicita difesa dei diritti della Chiesa (Jus externum) da cui sorga come logica conseguenza la difesa del diritto della Chiesa (Jus internum) esposto nelle sue linee essenziali 52.

Emerge da queste poche righe la prevalenza o precedenza del Ius publicum externum su quello internum, essendo in fondo anche questultimo, fondato su motivazioni esterne 53.
48 49

Institutiones iuris publici ecclesiastici, Romae 1882, vol. I, par. VIII, n. 18, 8. Ibidem, Par. IX, n. 19, 8. 50 Ibidem, Par. IX, n. 21, 10. 51 Cf FOGLIASSO, La tesi fondamentale del Ius Publicum Ecclesiasticum, in Salesianum 8 (1946) 67-135; ID., Efficienza formativa del Diritto Pubblico Ecclesiastico, ibidem, 10 (1948) 212-241; ID., Compito e caratteristiche del diritto pubblico ecclesiastico interno, ibidem, 12 (1950) 1-36; Compito e caratteristiche del diritto pubblico ecclesiastico esterno, ibidem, 16 (1954) 218-257; ID., Pio XII e il Ius Publicum Ecclesiasticum, ibidem, 21 (1959) 407-481; ID., Per la sistematica e la funzionalit del Ius Publicum Ecclesiasticum, ibidem, 25 (1963) 412-482. Lautore ha continuato il suo approfondimento delle tematiche giurispubblicistiche anche dopo levento conciliare, dimostrando di saperne integrare gli insegnamenti: cf ID., LEnciclica Ecclesiam Suam e la scienza del Ius Publicum Ecclesiasticum, ibidem, 27 (1965) 425435; ID., Avremo il Codice del Ius Constitutivum Ecclesiae? Che ne sar allora del Ius Publicum Ecclesiasticum?, in Palestra del Clero 46 (1967) 48-59; ID., Il Ius Publicum Ecclesiasticum e il Concilio Vaticano II, in Salesianum 30 (1968) 243-301, 462-522. 52 La tesi fondamentale, 74. 53 Si pu quindi affermare che il Ius P. E. Externum ha non solo ragione di priorit sul Ius P. E. Internum, perch la dimostrazione della sovranit interna della Chiesa presuppone quella della sovranit esterna, ossia della propria autonomia, ma gode inoltre di un vero primato sul Ius P. E. Internum, perch in realt non si fa mai del puro Ius P. E. Internum: La tesi fondamentale, 77, nota 23.

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V Infine il cardinale ALFREDO OTTAVIANI, nelle sue Institutiones, a pi riprese riviste e perfezionate, ci offre la definizione forse pi completa tra quelle prodotte dalla manualistica, insistendo particolarmente sul fine soprannaturale della societ ecclesiale. Egli afferma che il DPE :
Systema legum de constitutione et iuribus Ecclesiae tamquam societatis perfectae in finem supernaturalem ordinatae 54.

Come si vede, il DPE non solo complexus legum (concezione positivistico-normativistica) ma systema (concezione scientifica, dottrinale, sistematica). Inoltre, la Chiesa soggetto del DPE societ perfetta (denominatore giuridico comune anche allo Stato), intrinsecamente ordinata ad un fine soprannaturale (differenza specifica e superiorit della Chiesa rispetto allo Stato). Mirabile, insomma la densit e la completezza di tale definizione, pur nel suo datato orizzonte ecclesiologico. Concludendo questa prima parte, nella quale ci siamo soffermati soprattutto a conoscere il passato, il terminus a quo prossimo e remoto, di quella nuova e singolare disciplina canonistica che fu il Ius publicum ecclesiasticum che per prima si occup, con metodologia e rigore scientifico, del diritto pubblico della Chiesa, si potrebbe avere limpressione di un discorso concluso e di una curiosit soddisfatta. Viceversa il discorso non pu considerarsi che appena iniziato e bisognoso sempre di nuove approssimazioni in ordine alla comprensione e alla soluzione delle questioni oggettive ivi implicate, quali ad esempio: la fisionomia concreta dei diritti-doveri costitutivi interni ed esterni della comunit ecclesiale; il profilo costitutivo e la dinamica generale delle sue principali istituzioni, quelle tradizionali rinnovate dal Concilio ma anche quelle nuove, chiamate a realizzare la nuova autocoscienza teologica e pastorale della Chiesa odierna; la nuova visione dei rapporti Chiesa-Stato, nelle mutate condizioni culturali delle societ avanzate e di quelle in via di liberazione; il ruolo storico che la stessa Chiesa assume nel mondo contemporaneo, oggi sempre pi organicamente collegato alle vicende della comunit internazionale, alle problematiche connesse con le questioni della sog54

Institutiones Iuris Publici Ecclesiastici, 7.

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gettivit e della membership internazionali, e gli strumenti concettuali con cui si pu razionalmente (quindi anche giuridicamente) esprimere tale ruolo. Queste ed altre questioni rimangono di fatto tuttora e non potrebbe essere diversamente sotto lo sguardo attento degli studiosi del fenomeno ecclesiale, teologi e canonisti in primo luogo. La ricerca su questi fronti, a partire dai nuovi problemi e dallapprofondimento continuo della dottrina conciliare, rimane quindi necessariamente aperta e potrebbe apportare allo studio sistematico del diritto pubblico della Chiesa ulteriori sviluppi metodologici, contenutistici e terminologici, superando cos, senza rinnegarla, la lezione del passato. GIUSEPPE M. SIVIERO Via Vescovi, 7 35038 Torreglia (PD)

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Bibliografia di mons. Francesco Coccopalmerio

Mons. Francesco Coccopalmerio nato a San Giuliano Milanese nel 1938. Diventato sacerdote dellArcidiocesi di Milano nel 1962, ha conseguito la licenza in teologia presso la Facolt Teologica dellItalia Settentrionale, il dottorato in diritto canonico presso la Pontificia Universit Gregoriana, il diploma in teologia morale presso la Pontificia Accademia Alfonsiana e la laurea in giurisprudenza presso lUniversit Cattolica del S. Cuore di Milano. Avvocato generale della Curia arcivescovile di Milano e Pro Vicario Generale dellArcidiocesi di Milano, docente presso la Facolt Teologica dellItalia Settentrionale e presso la Facolt di diritto canonico della Pontificia Universit Gregoriana. stato consacrato Vescovo ausiliare dellArcivescovo di Milano il 22 maggio 1993. Anno 1969 La partecipazione degli acattolici al culto della Chiesa cattolica, nella prassi e nella dottrina della Santa Sede dal sec. XVII ai nostri giorni, Brescia, Morcelliana, 1969, 316 p. Anno 1970 La dottrina dellappartenenza alla Chiesa nellinsegnamento del Vaticano II, in La Scuola Cattolica, 98 (1970) 215-238. Anno 1971 Il concetto di diritto soggettivo nella socialit umana e nella Chiesa secondo Wilhelm Bertrams, in La Scuola Cattolica, 99 (1971) 411-451. Anno 1972 Recensione a: W. BERTRAMS, Quaestiones fundamentales iuris canonici, Roma, PUG, 1969, in La Scuola Cattolica, 100 (1972) 158-160. Lex Ecclesiae Fundamentalis. Problemi di possibilit, opportunit, revisione dello schema attuale (1970). A conclusione del 7 Colloquio di studi di diritto canonico degli ex alunni della Gregoriana, in La Scuola Cattolica, 100 (1972) 336-341.

Bibliografia di mons. Francesco Coccopalmerio

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Comunione ecclesiale e communicatio in sacris. Un commento allIstruzione del Segretariato per lUnione dei Cristiani in data 1 giugno 1972, in La Scuola Cattolica, 100 (1972) 458-471. Lintercomunione, problema ecclesiologico, in La Rivista del Clero Italiano, 53 (1972) 857-860. Anno 1973 Recensione a: E. CORECCO, La formazione della Chiesa cattolica negli Stati Uniti dAmerica attraverso lattivit sinodale, Brescia, Morcelliana, 1970; I concili particolari da Graziano al Concilio di Trento, Brescia, Morcelliana, 1971, in La Scuola Cattolica, 101 (1973) 95-97. La collegialit episcopale, in La Rivista del Clero Italiano, 54 (1973) 125-132. Laggiornamento del diritto della Chiesa. A che punto sono i lavori per la riforma del Codice?, in La Scuola Cattolica, 101 (1973) 518-529. Sono necessarie nuove strutture economiche. Recensione a: V. ROVERA, Per il rinnovamento delle strutture economiche della Chiesa. Nuovi spunti di riflessione, Milano, 1973, in Avvenire, 19 luglio 1973, 5. Il consiglio pastorale, in Avvenire, 19 luglio 1973, 11. De collegialitate episcopali in schemate emendato (1970) L.E.F. et de collatione cum doctrina Vaticani II, in Periodica de re morali canonica liturgica, 62 (1973) 69-98. Anno 1974 Natura ecclesialis sacramenti paenitentiae et actualis recognitio iuris poenalis, in Periodica de re morali canonica liturgica, 63 (1974) 223-230. Dimensione ecclesiale della penitenza e diritto penale, in La Rivista del Clero Italiano, 55 (1974) 611-613. Comunione ecclesiale e struttura del diritto di partecipare ai sacramenti, in La Scuola Cattolica, 102 (1974) 758-774. Anno 1975 Sacramentum paenitentiae et ius poenale in structura Ecclesiae, in Periodica de re morali canonica liturgica, 64 (1975) 393-405. Le nuove norme dellimprimatur, in La Rivista del Clero Italiano, 56 (1975) 575577. Dove va il diritto della Chiesa?, in La Scuola Cattolica, 103 (1975) 672-675. Intervento al II Congresso internazionale di diritto canonico, in AA.VV., Persona e ordinamento nella Chiesa. Atti del II Congresso internazionale di diritto canonico, Milano, 10-16 settembre 1973, Milano, Vita e Pensiero, 1975, 552-554.

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Bibliografia di mons. Francesco Coccopalmerio

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Anno 1989 Azione cattolica e comunit ecclesiale. Problemi emergenti e proposte di soluzione, in AA.VV., LAzione Cattolica nella vita ecclesiale del post-Concilio, Roma, AVE, 1989; e in AA.VV., Das konsoziative Element in der Kirche. Akten des VI. Internationalen Kongresses fr kanonisches Recht. Mnchen, 14.-19. September 1987, St. Ottilien, EOS Verlag, 1989, 507-523. Il concetto di parrocchia nel nuovo Codice di diritto canonico, in Quaderni di Diritto Ecclesiale, 2 (1989) 127-142. De parochis, in Periodica de re morali canonica liturgica, 8 (1989) 55-112. De vicariis paroecialibus, in Periodica de re morali canonica liturgica, 78 (1989) 319-344. Anno 1990 Lesercizio dellautorit e dei diritti nella Chiesa, in Presenza Pastorale, 60 (1990), marzo, 33-42. La formazione al ministero ordinato, in Quaderni di Diritto Ecclesiale, 3 (1990) 6-17. Diritto canonico ed etica, in Nuovo Dizionario di Teologia Morale (a cura di F. COMPAGNONI, G. PIANA, S. PRIVITERA), Cinisello Balsamo, Ed. Paoline, 1990, 227-235. Un importante adempimento del Vescovo diocesano: la visita pastorale, in AA.VV., Pastor bonus in populo, figura, ruolo e funzioni del Vescovo nella Chiesa, (a cura di A. Autiero - O. Carena), Roma, Citt Nuova 1990, 445-456. Anno 1991 Prefazione a: C.R.M. REDAELLI, Il concetto di diritto della Chiesa nella riflessione canonistica tra Concilio e Codice, Milano, Glossa, (Dissertatio, Serie romana), Milano 1991, 325 p., 7-10. Teologia della parrocchia, in Comunit, 18/11 (1991) 4-6. De paroecia, Roma, Editrice Pontificia Universit Gregoriana, 1991, 287 p. De paroecia ut communitate christifidelium, in Periodica de re canonica, 80 (1991) 19-44. Anno 1992 La pastorale dei fedeli che si trovano fuori dal loro territorio, in AA.VV., Migrazioni e diritto ecclesiale. La pastorale della mobilit umana nel nuovo Codice di diritto canonico, Padova, Il Messaggero, 1992, 193-200. Anno 1993 Il parroco pastore della parrocchia, in Quaderni di diritto ecclesiale, 6 (1993) 6-21.

QUADERNI DI DIRITTO ECCLESIALE

SOMMARIO
361 Editoriale 363 La Chiesa si interroga sulla vita consacrata

PERIODICO TRIMESTRALE ANNO VI N. 4 - OTTOBRE 1993


DIREZIONE ONORARIA

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Verso il IX Sinodo ordinario dei Vescovi di Jean Beyer Vita consacrata e Chiesa locale di Oliviero Giuseppe Girardi La missione della vita consacrata nella Chiesa missione di Silvia Recchi Attrattiva della vita consacrata sui giovani doggi di fra PierMario da Soncino Commento a un canone. Celebrare la Liturgia delle Ore (c. 1174) di Giangiacomo Sarzi Sartori Le aggregazioni laicali nella Chiesa Una recente nota pastorale della CEI di Carlo Redaelli Il pastore danime e la nullit del matrimonio VI. Lesclusione della indissolubilit del vincolo di Paolo Bianchi Il diritto canonico dalla A alla Z Economia di G. Paolo Montini Indice dellannata 1993

Jean Beyer, S.I.


DIREZIONE E REDAZIONE

Francesco Coccopalmerio Paolo Bianchi - Massimo Calvi Egidio Miragoli - G. Paolo Montini Silvia Recchi - Carlo Redaelli Mauro Rivella Giangiacomo Sarzi Sartori Gianni Trevisan Tiziano Vanzetto - Eugenio Zanetti
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Editoriale

Questo fascicolo della Rivista dedica una particolare attenzione al prossimo appuntamento sinodale dei Vescovi sul tema: La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo. Il tema di grande rilievo non solo per la vita consacrata, ma per la Chiesa tutta. Tutte le categorie dei fedeli, secondo i differenti ministeri, carismi e la variet delle vocazioni, sono chiamate a dare il proprio contributo, come lo stesso Questionario allegato ai Lineamenta intende suggerire ed incanalare. Larticolo di J. Beyer La Chiesa si interroga sulla vita consacrata unampia lettura dei Lineamenta in tutte le sue parti. Vuole mettere in evidenza, alla luce di necessarie considerazioni dottrinali, i reali problemi che riguardano oggi la vita dei consacrati, a confronto con le altre categorie di fedeli. Si concentra poi lattenzione sul rapporto fra le varie forme di vita consacrata e la Chiesa locale (Girardi), mettendo in luce lurgenza di un apporto reale e rinnovato dei consacrati nel progetto pastorale unitario della medesima Chiesa locale, nella visione di Chiesa che sia autenticamente comunione. In tale contesto si pone in risalto la missione specifica degli Istituti di vita consacrata nel progetto globale di nuova evangelizzazione (Recchi). Conclude la parte monografica larticolo di P.M. Da Soncino che intende rispondere allo scottante quanto attuale interrogativo: Perch la vita consacrata ha oggi meno attrattiva sui giovani?. Limpostazione canonistica di una questione rilevante e pluriforme come questa, si avvale qui di unesperienza spirituale personale e comunitaria.

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Editoriale

Gli argomenti affrontati nella seconda parte riguardano vari ambiti della vita ecclesiale e continuano rubriche ormai consolidate nella nostra Rivista. Il canone commentato in questo fascicolo il 1174 che tratta della celebrazione quotidiana della Liturgia delle Ore (Sarzi Sartori). Lallargamento e la contestualizzazione di questopera liturgica alla Chiesa tutta ed ai laici in particolare costituisce una novit notevole, in cui si colloca pi esattamente lo stesso obbligo riconfermato della medesima celebrazione per alcune categorie di fedeli (ministri sacri, consacrati). Lattenzione della nostra Rivista ai documenti dei Vescovi italiani fa considerare la recente Nota pastorale sulle aggregazioni ecclesiali (Redaelli), completando in tal modo quanto gi affrontato a livello pi generale in fascicoli precedenti. Viene poi offerto ai pastori danime un ulteriore aiuto nellesame dei sempre pi frequenti casi matrimoniali che si presentano loro, in vista di una verifica della nullit. Bianchi affronta la simulazione o esclusione dellindissolubilit, che fra i capi pi diffusi di pronuncia di nullit matrimoniale, anche in seguito al diffondersi di un clima favorevole al divorzio, cagionato soprattutto dalla promulgazione di leggi statali permissive. Continua poi il dizionario canonico curato da Montini e attento soprattutto alle voci canoniche che possono aiutare a definire il concetto di diritto e di diritto canonico. Viene descritto il termine economia, non tanto nellaccezione comune, quanto nel significato specifico che possedeva nel diritto della Chiesa primitiva, che possiede nel diritto delle Chiese ortodosse e cui oggi anche nellordinamento della Chiesa cattolica si richiama.

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Verso il IX Sinodo ordinario dei Vescovi
di Jean Beyer, S.I.

Il IX Sinodo ordinario dei Vescovi avr luogo nel 1994. Il suo oggetto susciter una riflessione, che si spera utile e fruttuosa, sulla vita consacrata nella Chiesa e nel mondo. Introduzione Come i Lineamenta del Sinodo precedente, quelli del IX Sinodo possono costituire loggetto di una facile critica. Se, al contrario, questa critica seria, essa potr essere utile in vista della preparazione dellInstrumentum Laboris, che sar pi direttamente loggetto della discussione sinodale. Alcuni rilievi preliminari possono essere significativi. Loggetto di questo Sinodo si colloca in una linea ben conosciuta, la quale distingue gli ordini di persone nella Chiesa tra chierici, religiosi, laici. Questa distinzione classica era stata cambiata dal Concilio, che parla prima dei chierici: vescovi, sacerdoti e diaconi. Laccento fu posto, in quel momento, sui vescovi. I sacerdoti si sentirono trascurati e a ragione. Ci suscit, alla fine del Concilio, il decreto sul Ministero e la vita del sacerdote. Il diaconato ha conosciuto nel Concilio un certo rinnovamento, quello dei diaconi permanenti e, tra essi, la possibilit dei diaconi sposati. Nella stessa linea, ogni vita consacrata fu chiamata religiosa. Concetto astratto, che comprendeva male i diversi carismi di questa vita, che era monastica, apostolica o secolare. Bisognava attendere il decreto elaborato in seguito alla costituzione Lumen gentium, per dare agli Istituti secolari il riconoscimento della loro identit, e per unire in una stessa prospettiva gli istituti votati allattivit apostolica.

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Jean Beyer

Questordine non fu osservato, in seguito, dai Sinodi ordinari. Il VII Sinodo trattava dei laici, designati come fedeli laici; lVIII trattava non del clero, ma dei sacerdoti, e pi specificamente della loro formazione; un terzo sinodo, il IX, non tratter pi dei religiosi, ma della vita consacrata. Questo titolo ha il vantaggio di andare allessenziale. Inoltre esso comprende una vita consacrata sia individuale, che associativa. Ci permette di distinguere meglio le diverse forme di vita consacrata e di rispettare i loro carismi. Trattando dei laici, il primo Sinodo sui gruppi di persone non ha voluto definire chi sia laico. La stessa difficolt si trova nellEsortazione post-sinodale Christifideles laici, ove il punto essenziale in questa materia stato evitato. Avendo come oggetto di riflessione i ministri ordinati, che si chiamano anche chierici, lVIII Sinodo si limitato ai soli sacerdoti e, pi direttamente, alla loro formazione. LEsortazione post-sinodale Pastores dabo vobis sembra ampliare questi orizzonti; essa non tratta tuttavia della missione e della vita di tutti i chierici: vescovi, sacerdoti e diaconi. Avremo un giorno un sinodo che tratter dei vescovi? Un altro riguardo ai diaconi? Un terzo, che prender in considerazione i ministri istituiti, ministri non-ordinati, e di conseguenza, vista la loro posizione post-conciliare, ministri non-chierici, e dunque laici? Quanto al IX Sinodo ordinario, la sua materia sembra, secondo i Lineamenta, molto abbondante. Questo Sinodo dovr occuparsi della vita consacrata e della sua posizione nella Chiesa e nel mondo. Ci presuppone che esso tratter della natura della vita consacrata, della sua vita e della sua azione, delle sue diverse forme. Questa materia, se non verr meglio definita e pi limitata, sar oggetto di una dispersione pericolosa, dispersione che pu avere, di conseguenza, che si trascuri lessenziale. Gi si detto che lattenzione di questo Sinodo si porr prima di tutto sul posto della vita consacrata nella Chiesa e nel mondo. Per inquadrare meglio loggetto di questo sinodo, sono da considerare varie questioni, anche se qui non abbiamo lo spazio per studiarle tutte e il tempo per approfondirle. Queste questioni permettono una riflessione pi seria, pi chiara, e nel contempo pi profonda. Esse sono le seguenti: 1. Non bisogna prima esporre ai vescovi quali sono le forme di vita consacrata riconosciute ed esistenti nella Chiesa?

La Chiesa si interroga sulla vita consacrata

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2. Non auspicabile che si tratti poi della natura di ogni vita consacrata e dei suoi carismi? 3. Non bisogner vedere quale sia la posizione della vita consacrata nella Chiesa e il suo profondo valore per la vita ecclesiale? 4. Non bisogner discernere prudentemente quale sia la sua presenza, e specialmente la sua testimonianza, la sua possibile azione e la sua influenza? 5. Cosa bisogner osservare riguardo alla comprensione di questa vita consacrata, nel Codice latino (C.I.C.) e nel Codice dei canoni delle Chiese orientali (C.C.E.O.)? Queste questioni sono essenziali. Esse possono dare alla discussione sinodale una linea di pensiero pi dottrinale, pi valida e pi attenta ai carismi diversi di questa vita consacrata, che si situa nel cuore stesso della Chiesa, e annuncia gi ci che sar ogni vita cristiana, come vita trinitaria nella vita eterna. 1. Le forme di vita consacrata nella Chiesa Se il Sinodo dei Vescovi vuole facilitare la conoscenza della vita consacrata nella Chiesa, sembra utile, anzi necessario, che venga data uninformazione completa riguardo alle numerose forme di questa vita, affinch lessenziale di essa sia meglio identificato ed approfondito. La vita consacrata non solo la vita religiosa. Come vedremo, questultima denominazione va evitata e perci bisogner anche superare la terminologia del Concilio, e fermamente, visti i motivi teologici e spirituali che lo esigono. Per facilitare questa ricerca, bisogna fare qualche costatazione importante. 1. La vita consacrata non solamente vissuta in istituti approvati o eretti dallautorit ecclesiastica. Esiste una vita consacrata associativa, ma anche individuale, che si vive in solitudine o in pieno mondo. Bisogna dunque considerare queste forme individuali di vita consacrata, quella degli eremiti, degli asceti, delle vergini e delle vedove, alle quali si aggiungono i vedovi, che si consacrano a Dio. 2. Tra le forme di vita consacrata associativa, a motivo dei carismi diversi, bisogna distinguere tra la vita monastica-cenobitica, la

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vita votata allazione apostolica e la vita secolare. Ogni tipo di vita consacrata associativa realizzato in numerosi istituti, fondati in ogni epoca della vita della Chiesa. 3. Tra gli istituti votati allazione apostolica, sono inoltre da distinguere gli Istituti canonicali, gli Istituti conventuali, e quelli di piena mobilit apostolica. 4. Secondo i diversi carismi cos indicati, bisogna considerare numerosi istituti, che hanno voluto liberarsi da un rigore giuridico troppo grande, per votarsi pi facilmente a certe forme di apostolato. Queste societ, dette nel Codice nuovo di vita apostolica, erano chiamate nel Codice del 1917 Societ di vita comune. Esse imitavano la vita religiosa, ma si liberavano da un diritto troppo rigido, soprattutto quello della clausura imposta a tutte le religiose, per donarsi ad un apostolato pi adatto e pi vario. Tra queste ultime bisogna nominare le Figlie della carit, fondate da San Vincenzo de Paoli e da Santa Luisa de Marillac. Esse furono, per tanti istituti apostolici femminili, un esempio ed unispirazione. 5. Solo una visione completa delle diverse forme di vita consacrata, sia individuali, sia associative, permetter al Sinodo dei Vescovi non solo di conoscere la situazione generale della vita consacrata oggi, ma anche di riconoscerne meglio gli elementi essenziali. Il che sar di profitto per tutte le forme di vita consacrata e metter in rilievo il loro ruolo particolare nella Chiesa e nel mondo. A dire il vero, nessuna persona pu conoscere la vita consacrata, se questi elementi non sono ben identificati; per far ci, bisogna conoscere i diversi doni e carismi che permettono di collocare meglio ogni forma di vita, sia individuale che associativa. Notiamo anzitutto che la riflessione facilitata dal fatto che le forme individuali di vita consacrata hanno permesso di identificare questi consacrati come appartenenti a certi ordini di persone, come lo furono lordine delle vergini e lordine delle vedove. Mai gli eremiti sono stati posti sotto una tale denominazione. Ci non tuttavia necessario; tanto pi che un tale intervento potrebbe portare ad unirli in vita associativa, il che sarebbe contro la natura del loro carisma e della loro posizione nella Chiesa. I Lineamenta non offrono alcuna visione globale della vita consacrata. Citando in vari contesti alcune di queste forme, se ne dimi-

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nuisce limportanza, soprattutto se alcune tra le pi importanti non vengono neanche considerate ed altre vengono trattate in maniera critica, come se fossero pericolose o in difficolt. necessario un esposto dottrinale oggettivo. Darlo, una questione di giustizia e risponde ad unesigenza di verit e di vitalit ecclesiale. Cosa abbiamo nei Lineamenta? Un rapido sguardo chiarificante. Vediamo il n. 18. Sono elencati come Istituti religiosi gli Ordini (Canonici regolari, Monaci, Ordini mendicanti, Chierici religiosi), le Congregazioni religiose clericali, le Congregazioni religiose laicali. Si tratta qui di forme di vita religiosa. Bisogna ricordare, cos il testo, gli Istituti religiosi votati specialmente alla vita contemplativa e monastica, o allevangelizzazione e alla missione ad gentes. Inoltre si fa menzione dei monaci e delle diverse specie di monasteri, secondo lantica tradizione. In ci ci si avvicina al C.C.E.O. In seguito sono annoverati tra le forme di vita consacrata gli Istituti secolari i cui membri vivono nel mondo tendendo alla perfezione della carit e sforzandosi di contribuire soprattutto dal di dentro alla santificazione del mondo. Quanto alle Societ di vita apostolica, seguendo il Codice del 1983 esse sono assimilate agli istituti di vita consacrata. Non detto niente di quelle che si obbligano per mezzo di sacri legami alla pratica dei tre consigli (c. 731, par. 2), nemmeno riguardo alla distinzione fatta dal C.C.E.O., tra Societ che imitano la vita religiosa, dette di vita comune e le Societ di vita apostolica. Le forme di vita consacrata individuale non sono dimenticate. Vengono citate, sempre al n. 18, la vita eremitica o anacoretica e lordine delle vergini. Niente vien detto della vedovanza consacrata, di uomini e donne. Dopo questa enumerazione assai sommaria, vengono segnalate al n. 19 certe particolarit allinterno della vita consacrata. considerata per prima la vita consacrata femminile, numericamente la pi importante e la pi estesa, sia nella vita contemplativa, che nella vita attiva. Pu dispiacere che non si faccia alcuna allusione agli Istituti secolari, che per la maggior parte sono anchessi istituti femminili. La vita consacrata femminile costituir pi avanti loggetto di considerazioni, concernenti la promozione della donna e le difficolt che questa pone in certi Paesi (n. 29d). Un femminismo mal compreso e certe esigenze poste riguardo al ministero riservato ai sacerdoti, non possono far dimenticare limportanza che avevano le Abbadesse e i Superiori religiosi nella vita

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della Chiesa. Il governo dei loro istituti e la direzione spirituale che esso comportava, furono dei veri ministeri della Chiesa. Ci comprendeva il discernimento degli spiriti e la direzione della vita di preghiera, come anche quella dellazione apostolica, sotto la guida dello Spirito. Purtroppo la vita religiosa femminile stata in seguito spesso limitata a dei compiti concreti, anche specializzati, che hanno diminuito lattenzione primaria dovuta alla vita nello Spirito. Unattenzione speciale stata data, nei Lineamenta, alla posizione del fratelli laici. Questi costituivano gi loggetto di una raccomandazione particolare al n. 10 del decreto Perfectae caritatis. Certo, se da una parte la vita consacrata che essi conducono uno stato completo di perfezione per essere pienamente religiosi non bisogna essere sacerdoti! ; bisogna comunque notare che questo carattere pienamente laicale si perde, per il fatto che certi fratelli si sono sentiti chiamati al diaconato; altri sono stati ordinati sacerdoti per assicurare celebrazioni eucaristiche quotidiane alle loro comunit. Un rilievo oggi importante. Esso non esplicito nei Lineamenta. Se viene fatto per i fratelli, altrettanto importante per le religiose, ed che la formazione teologica sempre pi necessaria per una attivit apostolica efficace, anche presso ammalati, infermi e persone anziane. Questultimo aspetto incluso nellauspicio espresso al n. 19b. Esso viene ripreso al n. 21, il cui ultimo paragrafo importante. Un ulteriore punto merita di essere sottolineato: lattenzione data agli istituti interamente dediti alla vita contemplativa. Questa forma di vita di fatto poco conosciuta sotto il suo aspetto spirituale. Deriva da qui una mancanza di formazione e di discernimento in rapporto alle vocazioni che sacerdoti e altri responsabili dovranno aiutare a collocare meglio. Un fatto sicuro: raro, nei seminari diocesani, che vi sia previsto o dato un corso sulla vita consacrata, sulla vita pienamente contemplativa, sulle vie della preghiera e del discernimento degli spiriti. Ci riguarda anche la vita consacrata secolare vissuta in pieno mondo, la cui vita spirituale consiste nella forza della loro presenza; essa rinforza sempre linflusso dei suoi membri sullambiente di vita. Quanto ai monasteri, delicato proporre loro unapertura, che ne contraddirebbe il silenzio di solitudine, a motivo di una partecipazione alla loro preghiera liturgica da parte di persone estranee alla comunit. Basta pensare alla vita certosina, per comprendere la por-

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tata di questa riserva, suscitata dal testo dei Lineamenta (n. 20). Ci fa vedere che gli auspici di un Sinodo, di pastori in azione diretta, potrebbero falsare certe prospettive essenziali della vita monastica, sia maschile che femminile. Come abbiamo gi detto, una presentazione globale delle diverse forme di vita consacrata, sia individuale che associativa, non solo auspicabile, ma necessaria. Una tale informazione dovr centrare ogni osservazione e raccomandazione sinodale sul carattere proprio di questi diversi carismi, senza voler, per ragioni pastorali, suscitarvi o aumentarvi un sussidio o unattivit di tipo pastorale, in vista di un aiuto o di un servizio attivo nella vita diocesana o parrocchiale. Per il bene di tutta la Chiesa, il Sinodo concernente la vita consacrata dovr far prendere coscienza del valore proprio di ogni forma di vita consacrata; la sua presenza in ogni ambiente dipende anzitutto dalla natura dei carismi che definiscono le diverse forme di questa vita. Una certa supplenza, che si richiesta l dove manca un numero sufficiente di sacerdoti diocesani, stata negativa; essa lo ancora, laddove dei religiosi e delle religiose sono invitati a fare un lavoro pastorale contrario alla loro vocazione. Non si possono riprendere qui e approfondire tutte le osservazioni fatte dai Lineamenta. Visto il loro numero e la loro diversit, non si pu che temere che lessenziale dellobiettivo proposto allattenzione del Sinodo non possa essere sufficientemente sottolineato, approfondito e meglio espresso. Alcuni di questi aspetti qui ricordati, costituiranno loggetto, cos sembra, di un altro Sinodo, che si occuper di sottolineare la vita e la missione delle giovani chiese, la necessit di uninculturazione, ma anche il pericolo che comporta, a questo riguardo, ogni eccesso e ogni stravaganza, a rischio di perdere lunit e luniversalit della vita cattolica nel mondo, che sempre pi si internazionalizza e conosce una mobilit umana pi che ordinaria. 2. La natura della vita consacrata La questione riguardo alla natura della vita consacrata inevitabile, se se ne considera la realizzazione nelle forme cos varie che essa ha acquisito e nelle quali si esprime. Alcuni teologi, consultori di certi gruppi di vescovi, durante il Concilio Vaticano II hanno fatto di tutto per mantenere la denominazione generale di vita religiosa. Questa denominazione venne

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mantenuta come titolo del Capitolo VI della costituzione Lumen gentium. E ci contro la volont di certi Padri meglio informati, che avrebbero intitolato il capitolo la vita secondo i consigli evangelici, o la vita consacrata a Dio. Ignorando le nuove forme di vita consacrata, questi consultori hanno mantenuto il titolo I Religiosi, non solo per far ammettere limportanza di essi, visto il loro numero e il loro influsso, ma anche per non volerli veder sparire in un capitolo generale, concernente la vocazione universale alla santit. La triplice distinzione: chierici religiosi laici sembrava cos perdersi, a svantaggio dei religiosi... Questa generalizzazione sotto un solo termine: vita religiosa, contraddiceva lidentit degli Istituti secolari, dei quali i redattori del Cap. VI della Lumen gentium ignoravano visibilmente lesistenza. Solo allultimo momento, un intervento diretto di Paolo VI salv la situazione. Il 27 ottobre 1965, alla vigilia dellapprovazione solenne del decreto Perfectae caritatis, che aveva per titolo Il rinnovamento della vita religiosa, il Papa fece introdurre alcune parole cinque in tutto al n. 11 di questo decreto. Fu una rivoluzione. Il titolo del decreto venne contraddetto. La costituzione Lumen gentium fu corretta. Il testo era il seguente: Gli Istituti secolari comportano una professione vera e completa dei consigli evangelici nel mondo, riconosciuta come tale dalla Chiesa. Il testo fu in seguito cos completato e rettificato: gli Istituti secolari etsi non instituta religiosa anche se non sono istituti religiosi comportano comunque tamen , una professione vera e completa dei consigli evangelici. Si trattava qui anche della natura di questa forma di vita consacrata. Il testo diceva in seguito: Questa professione conferisce una consacrazione a uomini e donne, a laici e a chierici che vivono nel mondo.... Questa rettifica ha avuto uninfluenza su tutti i testi conciliari che trattavano della vita consacrata, ma anche su quelli che precedevano il Concilio. A leggere attentamente il n. 11 del decreto Perfectae caritatis, si nota che il Concilio rettificava le posizioni prese dalla costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia, del 2 febbraio 1947, che distingueva tre stati di perfezione: uno completo, quello dei Religiosi, laltro, meno completo, delle Societ di vita comune, ed infine un terzo, ancor meno completo, quello degli Istituti secolari. I motivi di questa valutazione ci appaiono oggi puramente formali, meschini, addirittura irrilevanti. I Religiosi avevano tre elementi obbligatori: i voti, la vita comune, un abito proprio. Le Societ di vita

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comune non avevano necessariamente i voti; gli Istituti secolari non avevano n voti n vita comune n abito che li distinguesse. Per questo erano considerati di minor valore. Il Concilio ha rettificato ci col decreto Perfectae caritatis: essi hanno una vera e completa professione dei consigli; dunque una vera e piena consacrazione di vita. Gli autori del testo della Lumen gentium erano ben mal informati riguardo alla vita religiosa, vittima di una teologia astratta; essi ignoravano che molti istituti non avevano alcun abito distintivo, che la regola di S. Benedetto non conosceva i voti; la vita comune in istituti di piena mobilit non aveva la forma di una vita conventuale. Si sarebbe dovuto ricordare il leitmotiv di Nadal, riguardo alla Compagnia di Ges: Domus nostra est in itinere. La nostra dimora nel viaggio, in piena mobilit apostolica! Il Concilio non ha pi fatto questione della nozione stato di perfezione. Tutti i fedeli sono chiamati alla santit, vocazione universale. Il Concilio non usa che una volta il termine istituto di perfezione, al capitolo VI della Lumen gentium, n. 45. In dottrina stato fatto un progresso. innegabile. Questo progresso dovuto agli Istituti secolari. Il Codice del 1983 non parla pi di vita religiosa, ma di vita consacrata per mezzo dei tre consigli evangelici. In alcuni canoni generali ha mantenuto il termine professione dei consigli, cc. 573, par. 1; 574, par. 1; 603; ma progredendo nella sua redazione lo sopprime per gli Istituti secolari (c. 712); il termine mantenuto invece per gli Istituti religiosi (cc. 607-709). Bisogna ora esaminare pi da vicino la natura della consacrazione di vita, della quale si tratta negli istituti di vita consacrata e che vissuta, checch se ne dica, dalla maggior parte delle Societ di vita apostolica. Una ricerca pi approfondita arrivata ad identificare e definire meglio gli elementi di questa consacrazione. Il termine consacrazione gi in uso durante il Concilio. Inoltre vi si dice che essa fatta da Dio, a Deo facta. Essa un dono a Dio; lui che chiama a questa vita e gli si risponde assumendo come legge di vita i tre consigli evangelici. Questa dottrina stata chiarita dal decreto Perfectae caritatis. Questa consacrazione esprime un rapporto mutuo, che determina latto che pone colui che vi chiamato, in risposta alliniziativa divina, consacratoria e prima. Questa consacrazione una scelta divina, per mezzo della quale il cristiano riceve una missione, che fondamentalmente quella della salvezza del genere umano. Questa salvezza acquistata col sacrificio di Cristo sulla croce, sacrificio rinnovato nellEucaristia. Anche la

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consacrazione di vita non solo si colloca nellEucaristia, ma vi si rinnova, ogni volta che la si celebra. La consacrazione di tutta la vita si fa assumendo i tre consigli evangelici. Questi consigli esprimono la dipendenza filiale del Verbo verso il Padre, nellunico amore che li unisce e nel quale, in piena apertura, il Figlio riceve tutto dal Padre e gli rimette tutto ci che riceve. Come si fa questa consacrazione, assumendo i tre consigli? Riguardo a ci i Lineamenta danno forse poche indicazioni. Ora questo punto essenziale, per comprendere e vivere la vita consacrata per mezzo dei consigli. I tre consigli sono tre aspetti della vita di Cristo, Verbo Incarnato. Essi imitano, si dice, il Cristo povero, casto e obbediente. Cosa che ripetono numerosi documenti postconciliari. da auspicare una comprensione pi profonda di questi aspetti fondamentali della vita di Cristo e dei cristiani. Ci che ha vissuto Cristo sulla terra stato la rivelazione della sua filiazione, che un rapporto unico tra Padre e Figlio, relazione del Padre al Figlio e del Figlio al Padre nello Spirito, loro Spirito dAmore. Ciascuno dei tre consigli esprime questo stesso atteggiamento di dono totale e mutuo, per il quale nellAmore il Padre si dona al Figlio ed il Figlio al Padre. Ci che il Figlio ha ricevuto dal Padre, lo rimette al Padre. Padre e Figlio sono uno in questo Amore unico che il loro Spirito. In questa unit divina i tre consigli si spiegano pienamente come relazioni trinitarie. Colui che vive questi consigli, vive in profondit ci che vive il Cristo. Come lui, egli si dona al Padre, come il Padre si dona al Figlio, e nel suo Figlio, Verbo Incarnato, a tutti coloro che con il Cristo vivono uniti in lui e amati in un solo amore. I tre consigli cos compresi sono una triplice espressione dellamore divino: amore che il Padre; amore amato, il Figlio, che ama a sua volta; lamore di questo amore, che lo Spirito, amore dellamore dal quale procede, che egli ama come amato da Lui. Le tre persone divine sono un solo amore: amor amans, amor redamans, amor amoris: lamore che ama, lamore che contraccambia lamore, lamore che amato e ama a sua volta. Amore che Trinit dAmore. Chi assume i tre consigli come legge di vita, si unisce al Verbo Incarnato e, unito a lui, preso nellamore trinitario; egli ama il Padre, che lo ama nellamore che lo Spirito, amore del Padre e del Figlio, amore del loro amore. Unito cos al Figlio, fissato sul Padre,

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egli vive nello Spirito Santo: in Spiritu Sancto, proprio l che il cristiano vive la propria vita in Cristo, per la gloria del Padre. Cos compresi, i consigli sono pi una partecipazione alla vita divina, che dei mezzi che liberano luomo per meglio amare Dio. I consigli non sono dei mezzi, delle esigenze di ascesi; essi sono una partecipazione alla vita divina sempre meglio compresa, vissuta e amata. in questa comprensione dellAmore trinitario che si chiarisce e si approfondisce la sua partecipazione. La consacrazione per mezzo dei consigli evangelici lespressione trinitaria dellamore che unisce al Cristo e, con lui, per lui e in lui, al Padre. Cos assunto in questo amore mutuo tra Padre e Figlio, nello Spirito del Padre e del Figlio, il consacrato vive in questo Spirito, che amore. La vita cristiana vita trinitaria per il battesimo; i tre consigli lapprofondiscono, per questo essa si costituisce sempre pi perfettamente per mezzo della consacrazione di vita, consacrazione che si inserisce sempre pi profondamente vivendo questi consigli pi radicalmente. La consacrazione di vita va perci distinta dai consigli, ma i consigli la esprimono e la realizzano; questa distinzione non pu dunque essere una separazione, perch i consigli si inseriscono nella consacrazione che si fa e che si vuole vivere sempre pi generosamente. In questa consacrazione, il cristiano vive un culto damore, culto che viene superato nel divenire amore totale in Dio Trinit. Un culto, che si esprime e si eleva nellamore. Perfectae caritatis, lincipit del decreto conciliare, ha perfettamente intravisto ed espresso questo dinamismo della vita consacrata. Se la consacrazione si distingue dai consigli, i consigli vanno distinti dai voti: se essi si assumono tramite voti, non sono pienamente uniti che in un atto damore, che latto damore del Cristo in noi, affinch noi siamo consacrati con lui al Padre e uniti nel loro amore, il loro Spirito. I consigli possono anche essere assunti sotto altre forme di impegno: promessa, giuramento, proposito, ma non si esprimono mai pienamente, se non in una consacrazione di vita per mezzo della quale questi consigli formano una vita pienamente donata a Dio. La consacrazione di vita, vissuta in forme stabili di vita, ma differenti secondo doni e carismi diversi, resta latto unico e fondamentale, per mezzo del quale il cristiano si unisce al Cristo per rispondere alla chiamata di Dio e consacrarsi a lui. Questa consacrazione un atto unico: essa sar latto che unir un giorno tutti i cristiani a

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Dio, nella contemplazione del suo amore. ci che San Giovanni ha espresso con una sola parola nella sua prima lettera: Dio Amore. Egli vedeva cos lunit dellamore trinitario, come dono totale di un solo e medesimo amore, dono pieno, mutuo e completo. 3. La vita consacrata nella vita ecclesiale Una terza questione sembra sempre pi importante ed la seguente: qual il posto della vita consacrata nella Chiesa? Qual il suo significato profondo? Dovremo esaminare qui varie questioni canoniche. Chi considera la vita consacrata nella Chiesa, deve necessariamente confrontarsi col Concilio Vaticano II e con il Codice del 1983, soprattutto col c. 207. Il Concilio, nella costituzione dogmatica Lumen gentium, nn. 43 e 44, afferma che chierici e laici appartengono, come ordini di persone, alla struttura gerarchica della Chiesa. La vita religiosa, dice il Concilio, non appartiene a questa struttura, ma senza alcun dubbio alla santit della sua vita! Queste affermazioni hanno un accento polemico, che esprime delle posizioni rigide, vissute prima del Concilio Vaticano II. Gli stessi termini di queste affermazioni avrebbero dovuto essere chiariti. Cosa che non fu fatta. Non si detto cosa significasse lespressione struttura gerarchica. La difficolt aumentata ancora dal fatto che laici e chierici possono essere religiosi. Il Codice del 1983 sfuma queste affermazioni. Esso dice che i fedeli cristiani, Christifideles, come consacrati appartengono alla vita e alla santit della Chiesa. Queste posizioni conciliari furono riprese dal c. 207 del Codice. La redazione di questo canone fu opera di un gruppo di esperti; essa fu rifiutata dagli esperti che redigevano la parte concernente la vita consacrata. Non ci fu purtroppo sufficiente contatto tra gruppi di esperti e commissioni. di questo che il Codice risente in vari contesti. Si sarebbe dovuta risolvere prima di tutto la questione concernente la struttura gerarchica della Chiesa e quella concernente la vita religiosa, che di per s non identica a ci che la vita consacrata nella Chiesa. Anzi, negli Istituti secolari laici e chierici diocesani appartengono alla vita consacrata, ma restano pienamente ci che sono, laici o chierici diocesani (cc. 711; 713, par. 2-3; 714).

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Per questo il c. 574 considera diversamente le cose. Esso dice quanto segue:
Lo stato di coloro che professano i consigli evangelici in questi istituti appartiene alla vita e alla santit della Chiesa; per questo tutti, nella Chiesa, devono incoraggiarlo e promuoverlo.

Notiamo comunque che secondo il Concilio tutti i fedeli cristiani sono chiamati alla santit, vocazione universale nella vita della Chiesa. Tuttavia il c. 574, par. 1 sottolinea che la vita consacrata, come stato di vita, appartiene alla vita e alla santit della Chiesa. La sfumatura non pu essere trascurata. Il par. 2 di questo c. 574 dice poi:
A questo stato alcuni fedeli sono chiamati in modo speciale da Dio, per godere di un dono particolare nella vita della Chiesa e, secondo il fine e lo spirito dellistituto, contribuiscono alla sua missione di salvezza.

Qui sono importanti ancora alcune sfumature. Visibilmente, lo stato di vita consacrata fatto di istituti. Oggi, ci pu e deve essere messo in questione. Questa posizione implicita nel c. 603 e suggerita allinizio del c. 604. In effetti, la vita consacrata associativa stata considerata dal legislatore di pi della vita consacrata individuale. Il Codice del 1917 ignorava queste forme di vita consacrata individuale e dal 1921 la consacrazione delle vergini fu riservata alle monache, proibita alle persone che volevano consacrarsi come vergini, vivendo in pieno mondo. Il secondo paragrafo del c. 574 colloca la vita consacrata nella Chiesa. Essa una vocazione divina vissuta nella Chiesa; di per s essa non separa dalla vita ecclesiale, anche leremita vive nella Chiesa, a lode di Dio e per la salvezza del mondo (c. 603). Quanto al dono particolare vissuto nella Chiesa, esso un carisma particolare e, come tutti i carismi, donato nella Chiesa e vissuto per il bene della Chiesa. Bisogna tuttavia collocare la vita consacrata nel dinamismo della vita ecclesiale, nella consacrazione battesimale, che unisce il cristiano a Cristo e lo pone nella vita trinitaria. Chiamato da Dio, il consacrato invitato a vivere i consigli evangelici per seguire il Cristo pi da vicino, per imitarlo pi fedelmente. Egli resta sempre nella via dellamore via unica che finalmente condurr tutti i cristiani in Dio, ove ciascuno si collocher definitivamente, secondo lintensit del dono di carit che egli ha vissuto. Questa intensit dono divino.

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Essa non esclusivamente il fatto della vita consacrata per mezzo dei consigli evangelici. Si impone una riflessione teologica e canonistica, se si vuole progredire nella via indicata o suggerita dai Lineamenta, senza per che essi si siano espressi chiaramente riguardo a questo punto. I chierici sono nella struttura gerarchica per mezzo della loro ordinazione, che li mette al servizio di tutto il Popolo di Dio. Servizio, che essi rendono necessariamente gli uni agli altri. Il Papa stesso deve ricevere da un sacerdote certi sacramenti. Non sempre, per, i chierici appartengono tutti alla struttura di governo e di magistero, servizio esercitato dal Sommo Pontefice e dal Collegio dei Vescovi, come compito primaziale e collegiale. Ciascun vescovo diocesano capo di una Chiesa particolare (c. 381, par. 1). Ma non tutti sono vescovi diocesani (c. 376). Certi sacerdoti esercitano comunque questo stesso incarico come capi di Chiese particolari (cc. 370-371). Inoltre, meglio che nella costituzione Lumen gentium, bisogna dire che non tutti i chierici appartengono pienamente alla gerarchia di santificazione; in effetti, non tutti possono conferire tutti i sacramenti; alcuni sacramenti, nella Chiesa latina, erano riservati ai vescovi; oggi la confermazione permessa, in certi casi, a dei sacerdoti (cc. 883,2; 884, par. 2). LOriente non conosce questa riserva (C.C.E.O. c. 694). La medesima difficolt c per lordinazione sacerdotale, riservata oggi ai vescovi; essa stata tuttavia permessa ai sacerdoti e soprattutto ad abati di certi ordini monastici. Quanto ai diaconi, essi non sono ammessi al sacerdozio, ma al ministero (L.G. n. 29a). Questordine di chierici non certo sacramentale. Il Concilio Vaticano II non ha voluto risolvere questa questione. La Lumen gentium pi discreta al riguardo (n. 29a), mentre il decreto Ad gentes (n. 16e) sembra forzarne il senso, senza tuttavia spiegarsi. Una tale affermazione va dunque interpretata secondo la posizione della costituzione Lumen gentium. Una terminologia che generalizza troppo va sempre riveduta. Essa suscita degli errori che vanno corretti. Dire che i laici appartengono alla struttura gerarchica della Chiesa non pu dunque significare altro, che la loro dipendenza da coloro che dirigono la Chiesa in nome di Cristo. Questa gerarchia, per, come abbiamo visto, va esplicitata. Non tutti i chierici fanno parte della gerarchia. Come anche non tutti i vescovi sono capi di Chiese particolari. Il termine gerarchia, viste le sue ambiguit, va evitato. Esso non significa sempre un medesimo potere,

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una stessa missione, come invece si intende correntemente. Sottolineiamo qui una posizione differente presa dal Codice orientale. I laici sono qui definiti come fedeli che non sono n chierici n religiosi. Questa nozione riprende la descrizione del laico fatta al n. 31 della costituzione Lumen gentium. Ritorneremo pi tardi a questa discordanza nel diritto ecclesiale. Discordanza, che pu avere importanti conseguenze. Che pensare dei membri laici di un istituto secolare? Bisogna porre cos unopposizione, tra vita consacrata religiosa e vita consacrata secolare? Poniamo infine la questione che per noi essenziale: La vita consacrata appartiene alla struttura gerarchica della Chiesa? Una risposta affermativa si impone. Come gruppo ecclesiale qualificato, ma distinto, la vita consacrata, sia individuale che associativa, appartiene alla struttura gerarchica della Chiesa. In questa struttura la gerarchia consiste nella diversit di gruppi di fedeli e nella loro unit fondamentale. Il termine cos espressione non di potere, ma di ordini di persone. Nel gruppi di vita consacrata si esercita un potere nella Chiesa, un potere di governo, potere ecclesiale (cc. 596; 818; 734). Questo potere ha la sua fonte diretta nel Sommo Pontefice, il quale lo trasmette a coloro che devono esercitarlo, come potere ordinario per il loro compito, come nel caso dei Vescovi diocesani, degli Ordinari di altre Chiese particolari, e dei Superiori di Istituti di vita consacrata (cf. cc. 129 e 134, par. 1). Appare chiaramente che il potere necessario per dirigere un gruppo ecclesiale nella Chiesa necessariamente trasmesso o delegato, e si colloca nella struttura gerarchica della Chiesa. Tuttavia non si possono pienamente separare il potere di governo e il compito di santificare e di insegnare. Resta valido ladagio chi dirige insegna, e va aggiunto: chi dirige e insegna, santifica. Si pu dunque comprendere che gli esperti del gruppo di studio sulla vita consacrata non potevano approvare la posizione assunta al c. 207, che riprendeva quella della costituzione Lumen gentium. In questa materia non si pu negare un progresso dottrinale post-conciliare. Purtroppo nel Codice, redatto da varie commissioni, non avvenuta unarmonizzazione delle diverse posizioni. Esso per ha gi attuato un cambiamento, dottrinale e pratico insieme, che si andava preparando. Non parla pi, come il Concilio, di Religiosi, ma di membri di istituti di vita consacrata. Cos al c. 207, par. 2. Questo canone suona cos:

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Ci sono fedeli che appartengono alluna e allaltra categoria (chierici o laici), che sono consacrati a Dio in modo particolare per la professione dei consigli evangelici per mezzo di voti o altri sacri legami, riconosciuti e approvati dalla Chiesa e che concorrono alla missione salvifica della Chiesa...

Chi legge attentamente questo testo, non pu dire che esso non riguarda che i soli membri degli istituti di vita consacrata, perch si applica anche ai fedeli che vivono come eremiti, asceti, in verginit e in vedovanza consacrata, uomini e donne. Da qui si arriva a porre la questione fondamentale, riguardo alla natura del laicato nella Chiesa. Spesso per laico si intende un fedele (christifidelis), ma non sempre. Per spiegare questa situazione, ci si pu domandare: quando che un fedele cristiano, cio un battezzato, diviene laico, nella Chiesa? Un laico tale per vocazione particolare, divina; celibe o coniugato, egli ha unattivit nel mondo, una propria professione e vi assume proprie responsabilit, anche civili. Questo pu costringerci a rivedere certe posizioni. Se ci vero, non si dovrebbe cambiare il nostro modo di parlare? Non si dovrebbe redigere diversamente questo canone 207? Ci sembrerebbe necessario. Si potrebbe farlo nel modo seguente:
Par. 1 Inter Christifideles habentur qui, a Deo vocati, ordinatione in servitio Populi Dei assumuntur. Tra i fedeli cristiani, alcuni sono chiamati da Dio con lordinazione, al servizio del Popolo di Dio.

Il secondo paragrafo suonerebbe cos:


Par. 2 Qui omnes christifideles, etsiami ordinati, vocatione divina, consilia evangelica assumentes peculiari modo possunt sese Deo consecrare et Ecclesiae missioni salvificae devovere.

Noi traduciamo cos questo testo:


Tutti questi fedeli cristiani, anche quelli ordinati, possono impegnarsi a vivere i consigli evangelici e cos, in una maniera particolare, consacrarsi a Dio e votarsi alla missione di salvezza della Chiesa.

Un terzo paragrafo collocherebbe nella maniera seguente la loro posizione nella Chiesa:
Par. 3 Qui ita sese Deo consecrant, vinculis eorum sacris in Ecclesia recognitis, in eius structura proprium habent munus et locum.

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Una traduzione di questo testo si potrebbe intendere cos:


Coloro che si consacrano cos a Dio, a causa dei loro impegni riconosciuti nella Chiesa, hanno, nella sua struttura, una missione e una posizione propria.

A ben rifletterci, la vita consacrata per mezzo dei consigli evangelici introduce ogni consacrato pi profondamente nella vita ecclesiale, nel seguire la sua chiamata particolare, chiamata che pu mantenerlo nel servizio ministeriale, nella vita civile, o allontanarlo, perch si doni a Dio solo. Una tale visione sopprime lopposizione tra chierici e laici, permette di vivere i consigli in ogni stato di vita, secondo una chiamata particolare, nel celibato e anche, se un giorno la cosa si chiarir, nella vita familiare e in comunit di sposati, chiamati a vivere questi consigli nel loro stato di vita, come prova e dono totale dellamore per Dio e per gli uomini. 4. Presenza e influenza della vita consacrata nel mondo Veniamo ora alla quarta questione: che dire della presenza della vita consacrata nel mondo? Che pensare della sua testimonianza, delle sue attivit e del suo influsso? La vita consacrata vissuta nel mondo va considerata. Essa poco conosciuta. Gli Istituti secolari conoscono una lenta evoluzione. Anche se gli istituti stessi sono numerosi, il numero dei loro membri non cresce allo stesso ritmo. Riguardo a questo fatto si ha poca o non si ha alcuna informazione completa. Questi istituti sono di diritto diocesano o di diritto pontificio. Questi ultimi sono enumerati nellannuario pontificio, senza tuttavia indicare il numero dei loro membri, come si fa per gli Istituti religiosi. Un altro punto va rilevato. Tra gli Istituti secolari, anche approvati, non tutti vivono una piena secolarit, nel modo proposto da Pio XII, il 2 febbraio 1948, nel suo motu proprio Primo feliciter, su richiesta di numerosi istituti, tra i quali quelli fondati dal Padre Gemelli O.F.M.: uno femminile, uno maschile e uno di sacerdoti diocesani. Il carisma proprio di questi istituti non era affatto stato definito nella costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia, del 2 febbraio 1947. Due punti erano di capitale importanza in questo motu proprio Primo feliciter, non solo per questi istituti, ma per tutta la vita consacrata per mezzo dei consigli evangelici.

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La secolarit di questi istituti vi era presentata come vita nel mondo e azione con i mezzi del mondo in mundo et veluti ex mundo il che determinava il senso della loro presenza, del loro lavoro, della loro professione civile e del loro contatto familiare, come persone che vivono i tre consigli evangelici. Un altro punto dottrinale riguardava la loro posizione rispetto alla loro consacrazione di vita questa vi era vista come consecratio Deo animabusque consacrazione a Dio e alle anime. Il che significava che la loro donazione a Dio veniva fatta anche per la salvezza delle anime, e ci ammettendo che la loro presenza nel mondo non comportava delle forme di apostolato diretto e attivo. Oggi gli istituti sono tentati di farsi meglio conoscere, senza volere che i loro membri siano conosciuti nellambiente familiare, sociale, professionale. In questi ultimi tempi queste preoccupazioni non vengono espresse, senza mettere in discussione la loro propria identit. Certi istituti credono di far bene a farsi conoscere, per attirare pi vocazioni. La difficolt pi grande per essi, consiste nel fatto che questa presenza di vita consacrata nascosta nel mondo, che santifica la vita umana, la vita sociale, per mezzo del sacrificio e dellesempio silenzioso della loro consacrazione, poco compresa. Un apostolato che non si esercita per mezzo di unattivit completa, pubblica e comunitaria, spesso non compreso n nella Chiesa n nel mondo. Hans Urs von Balthasar, che ha sostenuto listituto fondato da Adrienne von Speyer a Basilea, istituto conosciuto sotto il nome di Comunit San Giovanni, non ha preso come forma di vita questa piena secolarit. Invece di parlare di istituto secolare, egli parlava di Weltgemeinschaften Comunit inserite nel mondo. Il che non supponeva necessariamente una presenza in pieno mondo n unazione apostolica discreta, come apostolato secolare. Questa visione delle cose non corrisponde alla vera natura degli Istituti secolari; anche questi ultimi non hanno ammesso un tale punto di vista. Daltra parte la Comunit San Giovanni voleva formare una sola societ vivente nel mondo: i suoi membri sarebbero stati sacerdoti, laici, uomini e donne. Volendo ottenere unapprovazione ecclesiale da parte della Congregazione per i religiosi e gli Istituti secolari, questa non ammise lunione delle tre diverse sezioni in un solo Istituto. La comunit, cos come von Balthasar laveva concepita, non fu ammessa. Lunit che egli desiderava per questa Weltgemeinschaft, non fu approvata.

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Ci che Hans Urs von Balthasar intuiva, stato realizzato da altri gruppi, meglio chiamati movimenti ecclesiali. Questi movimenti raggruppano tutti gli ordini o categorie di persone. Essi sono erroneamente chiamati movimenti laicali. I laici sono certamente i pi numerosi in essi. Vista tale predominanza, di fatto, dei laici, uomini e donne, vari di questi movimenti hanno ottenuto lapprovazione dal Pontificio Consiglio per i laici. Il Consiglio, che deve occuparsi dei laici, supera in questo caso le proprie competenze, visto il numero dei sacerdoti diocesani e di uomini e donne, che in questi movimenti vivono una vita consacrata per mezzo dei consigli evangelici. I gruppi di vita consacrata formano spesso il primo nucleo, intorno al quale si uniscono a poco a poco laici coniugati e celibi, giovani e bambini, per vivervi una spiritualit comune, impegnarsi a dare una testimonianza cristiana caratteristica per essi come testimonianza di vita cristiana fervente, nella Chiesa e nel mondo. Questa competenza che si attribuito il Pontificio Consiglio per i laici, suscita delle opposizioni, per il fatto che esso si attribuisce delle responsabilit proprie ad altri dicasteri. Bisogna tuttavia riconoscere che esso ha meglio compreso il carattere ecclesiale di questi movimenti e ha saputo sostenerli e aiutarli. La questione della competenza resta aperta. Essa dovr un giorno venir risolta. Queste approvazioni di movimenti ecclesiali pongono altri problemi. Tra questi, loggetto e la portata del c. 605 del Codice del 1983. Tra le disposizioni del Codice del 1983, il c. 605 afferma unapertura al rinnovamento, che permette ai doni dello Spirito di suscitare nuove forme di vita consacrata. Una tale norma potrebbe essere generale; essa permetterebbe di favorire una migliore accoglienza dei doni dello Spirito. Il fatto di aver enunciato questo principio, d al Codice nuovo una fisionomia spirituale che non pu non influenzare tutta la vita della Chiesa. Il c. 605 tratta della vita consacrata, ma non si limita ad essa; esso viene gi applicato a varie forme nuove, ove la vita consacrata rappresenta una maniera di vivere lo spirito del gruppo; essa non stata sempre la prima concezione del gruppo e non stata prevista allinizio di ogni nuovo movimento. Questa fu daltronde lintenzione degli esperti, che hanno concepito questo testo del c. 605; essi prevedevano tali nuove iniziative; molte prendevano forma e desideravano essere riconosciute nella Chiesa, senza vedersi obbligate a subire il rigore di cui abbiamo par-

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lato, considerando gli inizi della Comunit San Giovanni. In questo caso la novit consisteva nellaccogliere in una sola istituzione tutte le forme di vita cristiana, consacrate o meno, ma animate da uno stesso carisma. Daltronde, in questo o quel movimento, religiosi e religiose trovano un nuovo slancio per la loro propria vita consacrata. Riuniti sotto un medesimo carisma, i membri di questi movimenti si radunano secondo il loro tipo di vita in gruppi distinti, in abitazioni separate, in uno stesso ambiente o sotto uno stesso tetto. Animata da un medesimo spirito, volendo un impegno totale verso Dio, vissuto nella Chiesa, lentamente si affermata anche una vita eremitica, che si aggiunta a dei gruppi di vita consacrata gi esistenti, o suscitati anchessi da un desiderio di vita evangelica approfondita. Questa vita evangelica non va messa sullo stesso piano della vita consacrata a Dio e per la salvezza del mondo per mezzo dei tre consigli evangelici. Essa ha tuttavia una Legge di vita ispirata dallo spirito del carisma proprio del movimento. Una vita cos condotta in un movimento ecclesiale, conosce vari gradi di vita, che noi non possiamo che elencare qui rapidamente. 1. Essa ha sposi che promettono di vivere la povert e lobbedienza evangelica secondo il loro stato. 2. Certe coppie e i loro figli vivono insieme in un medesimo ambiente, in una stessa abitazione. 3. Tutte queste coppie si impegnano a vivere al meglio la castit coniugale. 4. Alcune coppie desiderano vivere la verginit nel matrimonio. 5. I bambini, figli e figlie di questi coniugi, sono educati in uno stesso spirito evangelico, pur restando liberi di seguire la propria chiamata, e ci in piena libert di coscienza e di esistenza. Questi brevi tratti, possono essere sufficienti per vedere la profondit di questa vita evangelica, suscitata da nuovi carismi, in questi movimenti ecclesiali e per far comprendere la loro irradiazione e le loro iniziative. Queste nuove realt della vita ecclesiale suscitano necessariamente una riflessione, che chiama in causa certe formule, oggi abituali, il cui senso e significato vanno riveduti e che in certi casi bisogna evitare, o semplicemente abbandonare. Formule ben conosciute sembrano dover essere sottomesse ad un approfondito esame: vivere nel mondo, separarsi dal mondo, essere lievito del mondo.

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La prima questione la seguente: di quale mondo si tratta? Si dice che gli Istituti secolari vivono in pieno mondo e agiscono su di esso con i mezzi del mondo, come sale del mondo, mentre i religiosi si trovano nella posizione opposta: essi abbandonano il mondo, rinunciando al mondo, per vivere per Dio solo e dedicarsi agli altri nellapostolato: predicazione, opere di carit e di misericordia, sia spirituali, sia temporali. Alla fine del Concilio, parlando dei sacerdoti, essi vennero collocati in mundo (P.O. n. 17), cos come la Chiesa intera esiste e vive in pieno mondo. Sacerdoti diocesani, essi vivono in medio laicorum (P.O. n. 9). Essi non sono separati dal Popolo di Dio (non separantur), ma distinti, separati nel seno del Popolo di Dio segregati , per essere totalmente consacrati allopera alla quale il Signore li ha chiamati (P.O. n. 3). In questo essi seguono lesempio del Cristo, il quale, inviato dal Padre, ha abitato tra noi. Egli ha voluto divenire in tutto simile ai suoi fratelli, ad eccezione del peccato. Per quanto riguarda gli istituti religiosi, anche monastici, essi non vanno pi visti fuori del mondo, ma nel mondo, e per la salvezza del mondo, salvezza che costituisce loggetto del loro dono a Dio, in unione al sacrificio di Cristo. Quanto alla separazione dal mondo, essa non unuscita da questo mondo, ma una messa a parte, che pu arrivare fino al silenzio e alla solitudine evangelica, e tutto ci offrendosi per la salvezza del mondo, in unione al sacrificio del Cristo, offerto per la redenzione di tutti gli uomini. Questa messa a parte dei sacerdoti secolari, come quella di ogni vita religiosa, deve essere prima di tutto una liberazione dalle cose terrene, per donarsi pi facilmente tutti a Dio e alla venuta del suo Regno. Nella vita apostolica, religiose e religiosi che esercitano una stessa professione civile devono ottenere una competenza uguale a quella delle altre persone che si impegnano nel medesimo lavoro. Anche dei sacerdoti, diocesani e religiosi, o delle religiose, esercitano una medesima professione, un medesimo mestiere. Essi lo fanno talvolta con una competenza, una devozione, unautorit, che ci si pu e si deve aspettare da loro, ma che gli altri fedeli, che si chiamano ancora laici, possono acquisire e testimoniare come loro. La messa a parte deve ancora determinarsi per gli Istituti secolari, i cui membri non ordinati hanno una missione da compiere in pieno lavoro civile, cos come i sacerdoti, membri di un tale istituto, esercitano sia nel presbiterio, del quale sono membri, sia nel lavo-

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ro professionale, una medesima missione, come gli altri. Nel lavoro professionale civile essi doneranno una testimonianza di devozione e competenza, testimonianza che sono capaci di dare anche i fedeli non ordinati per il ministero; essi raggiungono una competenza niente affatto inferiore a quella dei religiosi e dei sacerdoti diocesani. Cosa concludere? Trovare una migliore terminologia, evitare opposizioni, che non sono reali e gettano unombra sui non-religiosi, i fedeli non-ordinati, sapendo che i ministeri istituiti possono essere affidati ad uomini, senza per questo separarli dai loro uguali (c. 230). difficile parlare di queste realt con chiarezza, con precisione, vista lattuale mancanza di una terminologia appropriata, ma anche a causa dellevoluzione che hanno conosciuto la vita consacrata e i ministeri istituiti.

5. La vita consacrata nei due Codici di diritto nella Chiesa Unultima questione: cosa dobbiamo fare per unificare le posizioni particolari che, in questa materia, distinguono i due Codici tra loro? 1. Certamente lunit della Chiesa va sostenuta con lunit del diritto. Oggi abbiamo due Codici, uno latino (C.I.C.), e un Codice dei canoni delle Chiese orientali (C.C.E.O.). La Chiesa una; diversi sono i riti, differenti le Chiese particolari; una la Chiesa di Dio. 2. Chi studia attentamente questi due Codici, quello del 1983 e quello del 1990, nota che essi differiscono tra loro in tre punti fondamentali. Questi punti sono i seguenti:
a) Il termine laico ha un senso differente nei due Codici. Basta guardare il c. 399 del C.C.E.O. b) La vita consacrata nel C.C.E.O. deriva dalla vita monastica. Viene cos affermato che gli Ordini religiosi imitano la vita monastica, il che non il caso delle Congregazioni. Le Societ, al contrario, sono distinte: le une di vita comune, esse vivono una vita consacrata; le altre di vita apostolica, che vivono, come vi si dice, una vita simile alla vita consacrata, senza per questo essere di vita consacrata. c) Infine il potere patriarcale chiaramente definito nel C.C.E.O., come lo la Chiesa rituale; ricordiamo qui che in Oriente si distinguono le diverse Chiese e i loro pastori.

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3. Riguardo al primo punto, bisogna rilevare pi cose: se, come dice il c. 399 del C.C.E.O., laico colui che non n sacerdote n religioso:
a) La denominazione religiosi laici non pu pi venir usata in diritto; bisogna dire la medesima cosa per un istituto religioso, che non pu essere chiamato: istituto laicale, come nel Codice latino, al c. 588, par. 3. b) Inoltre non si possono pi distinguere chierici e laici, ma fedeli ordinati o ministri sacri e fedeli non ordinati. c) Se il Codice delle Chiese orientali si esprime cos, non si pu pi parlare di laico nel senso di fedele cristiano, come si fatto nel diritto latino. d) Bisogna dunque chiaramente dire che i fedeli cristiani sono tutti i battezzati; tra essi, alcuni sono ministri sacri o fedeli ordinati. Tutti comunque restano fondamentalmente battezzati e dunque fedeli cristiani.

4. Come abbiamo gi detto pi sopra, bisogner vedere quando, nella Chiesa latina, un battezzato un fedele cristiano diviene ed laico. Il laico tale per vocazione; egli celibe o coniugato; egli ha, nella societ civile e nella Chiesa, una vocazione e una missione. Un laico, per appartenere alla vita consacrata, deve essere, nel diritto latino, celibe. Nel C.C.E.O. Il laico non pu appartenere alla vita religiosa. 5. Quanto alla vita monastica, il C.C.E.O. vi situa lorigine della vita religiosa. Essa ne la sorgente ed il fondamento. A questo riguardo bisogna fare varie osservazioni:
a) Tutti gli Ordini, istituti monastici orientali, sono stati dichiarati da Pio XII, nel 1954, come non pi monastici; essi si votano anzitutto allapostolato. Una sola famiglia monastica di fondazione recente non toccata da questa decisione. b) Vedendo le cose in questo modo, tutti i carismi di vita consacrata religiosa non ottengono nel diritto orientale la loro propria identit e la loro propria missione; le Societ di vita comune e gli Istituti secolari sono stati ben definiti. Nel C.C.E.O. le Societ sono state ben valorizzate. c) In questa visione delle cose, gli eremiti sono nellistituto monastico, membri di un ordine religioso. Il C.C.E.O. tiene tuttavia conto di altri eremiti, come pure delle vergini e delle vedove consacrate, in un canone a parte, il c. 570, alla fine del titolo XII, che tratta della vita consacrata sotto una denominazione lunga e altrettanto problematica: I monaci e gli altri religiosi e i membri degli altri istituti di vita consacrata. Questo titolo pu esser letto esattamente nel senso contrario: tra gli istituti di vita consacrata si distinguono gli istituti religiosi, e tra questi gli istituti monastici.

6. Resta da considerare il terzo punto segnalato, quello del potere ecclesiale, sia patriarcale (cc. 55-150), sia metropolitano (cc. 155-

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173). Queste norme sono proprie alle Chiese orientali. Il Codice latino, al c. 438, non considera i patriarchi e i primati, se non come titoli onorifici. Questo non il caso dei metropoliti (cc. 435-437). Il diritto della vita consacrata in Oriente ne tiene conto, tra laltro, ai cc. 413; 414, par. 2; 440 del C.C.E.O. Il Codice orientale distingue chiaramente il potere primaziale del Sommo Pontefice, il potere patriarcale e quello metropolitano. Questa struttura giuridica non senza importanza per la vita consacrata, lapprovazione di nuovi istituti, la loro propria disciplina e le loro attivit apostoliche. Gli istituti sono cos di diritto diocesano (cc. 413; 414, par. 1 e 3; 415; 434; 435, par. 1; 501, par. 3; 505, par. 2; 571, ecc.), o di diritto pontificio, sul territorio patriarcale (cc. 413; 414, par. 2; 434; 435, par. 2; 438, par. 1; 501, par. 3; 505, par. 2, 2; 571, ecc.). Ma vista la mobilit delle persone nel mondo doggi, questi istituti non guadagnerebbero forse di pi se fossero di diritto pontificio, per evitare la dipendenza dei fedeli orientali dalla gerarchia latina (cf c. 412, par. 2)? Questione che merita di essere studiata. Conclusione I Lineamenta trattano di ogni vita consacrata, sia latina che orientale. da auspicare che il C.C.E.O. non sia semplicemente citato, ma venga esplicitamente ripreso. Bisogner infine evitare che i termini: vita religiosa, istituti religiosi, famiglie religiose, non vengano usati l dove si tratta di vita consacrata. Non solo un pericolo immaginario che al Sinodo la vita consacrata venga scambiata per vita religiosa. Anche ove citato il Concilio Vaticano II si pu ben evitare questa terminologia. A vedere lampiezza e il numero delle questioni concernenti la vita consacrata, da temere che non si ponga sufficiente attenzione agli elementi essenziali di questa vita. Si gi rilevata la stessa difficolt durante il Sinodo sui laici. Le proposte fatte dai Vescovi non sono riprese che nella parte del documento post-sinodale Christifideles Laici, che tratta delle questioni pratiche. Il Sinodo dei Vescovi sar certamente confrontato con lampiezza della vita consacrata, la variet delle forme che essa ha preso, le difficolt che essa incontra allinterno degli istituti, nella Chiesa e nel mondo. Non sarebbe stato preferibile ridurre loggetto di questo Sinodo, come stato per lVIII Sinodo, che non trattava dei chierici o dei

La Chiesa si interroga sulla vita consacrata

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ministri sacri e nemmeno dei sacerdoti in generale, ma solamente della loro formazione? ancora possibile ridurre la materia proposta dai Lineamenta alle questioni essenziali, e con ci vitali? Sono questioni che chiariscono e formano la mentalit di tutti i fedeli cristiani e soprattutto quella dei ministri sacri; solo questi aspetti permettono di riconoscere i doni dello Spirito e di riceverli e viverli nella Chiesa. Considerando le dimensioni vere della vita consacrata, si dovr collocarla meglio nella Chiesa, vederla vivere nel cuore della Chiesa, liberarla dal concetto di vita religiosa, considerarla nella sua relazione al Cristo e nella sua posizione in rapporto alla vita trinitaria, per comprendere sempre meglio che essa , per ogni cristiano, una testimonianza di vita, che fa prevedere ci che sar per lui il suo incontro definitivo con Dio, nella Trinit damore, ove un giorno sar inserito pienamente. Visione deternit, che gi presente in ogni vita cristiana sulla terra e di cui ogni fedele deve prendere coscienza, per comprendere meglio e vivere il Vangelo del Signore e le profondit della Rivelazione che essa contiene. JEAN BEYER Piazza della Pilotta, 4 00187 Roma

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di Oliviero Giuseppe Girardi, scj

Largomento, sempre di viva attualit per chi ama la vita consacrata e la desidera bene inserita nella missione della Chiesa, acquista prospettive nuove dopo che lecclesiologia di comunione ha iniziato la sua penetrazione, graduale ma persistente nella riflessione dottrinale, nelle direttive pastorali, nella coscienza delle componenti ecclesiali. Lo stesso tema del Sinodo dei Vescovi per lanno 94 lo colloca al centro dellattenzione: La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo 1. Il profilo del nostro argomento: quale rapporto col progetto pastorale delle Chiese locali? Nelle Chiese locali presente e operante la Chiesa di Cristo (CD 11), il suo mistero, la sua sacramentalit di segno e strumento dellintima unione con Dio e dellunit di tutto il genere umano (LG 1). La vita consacrata, nella variet delle sue forme e dei suoi carismi, rappresenta un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva (LG 43; c. 575). Le scelte evangeliche di vita, che i consacrati con nuovo e speciale titolo fanno proprie, li congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero... Di qui deriva il dovere di lavorare, secondo le forze e il genere della propria vocazione, sia con la preghiera, sia con lopera
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Teniamo presente la precisazione di Lineamenta 1: Per la loro vicinanza alla vita consacrata (c. 731), nel tema scelto per il Sinodo sono anche comprese le Societ di vita apostolica, tenendo conto delle loro peculiarit di vita e di apostolato.

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attiva, a radicare e consolidare nelle anime il regno di Cristo e a dilatarlo in ogni parte della terra (LG 44). Come si realizza, di fatto, questo peculiare e potenzialmente cos fecondo rapporto? I Lineamenta per il prossimo Sinodo, affrontando precisamente questa punto (La vita consacrata nella Chiesa locale, n. 39), riportano un criterio basilare che Giovanni Paolo II, e proprio agli inizi del suo pontificato, comunicava ai superiori generali:
Voi siete con la vostra vocazione per la Chiesa universale, attraverso la vostra missione in una determinata Chiesa locale. Quindi la vostra vocazione per la Chiesa universale si realizza entro le strutture della Chiesa locale. Bisogna far di tutto affinch la vita consacrata si sviluppi nelle singole Chiese locali, affinch contribuisca alledificazione spirituale di esse, affinch costituisca la loro particolare forza. Lunit con la Chiesa universale, attraverso la Chiesa locale: ecco la vostra via 2.

Luniversalit degli orizzonti apostolici e missionari, che caratterizza il multiforme servizio ecclesiale svolto dagli istituti di vita consacrata e dalle societ di vita apostolica, senza dubbio una ricchezza di energie delle quali la Chiesa rende grazie allo Spirito che le ha suscitate:
Per disegno divino si svilupp una meravigliosa variet di comunit religiose che molto ha contribuito a far s che la Chiesa non solo sia bene attrezzata per ogni opera buona (cf 2 Tm 3, 17) e preparata al suo ministero per ledificazione del Corpo di Cristo (cf Ef 4, 12), ma, attraverso la variet dei doni dei suoi figli, appaia altres come una sposa adornata per il suo Sposo (cf Ap 21, 2) e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio (cf Ef 3, 10) (PC 1).

Ma le Chiese locali, pur godendo di numerose e svariate presenze della vita consacrata e delle opere di cui essa feconda, sembrano non trovare ancora, in esse, quella collaborazione organica che faccia di loro una componente pienamente inserita nel progetto pastorale a favore del territorio sul quale Chiesa locale e vita consacrata convivono e per il quale sono volute dallo Spirito al servizio del Vangelo che trasforma, promuove e salva. La preoccupazione, pi volte ritornata successivamente, era gi bene espressa nelle importanti pagine del decreto conciliare sullufOss.Rom., 25 nov. 1978, 2; cf pure Mutuae Relationes 23, d: La Chiesa particolare costituisce lo spazio storico, nel quale una vocazione si esprime nella realt ed effettua il suo impegno apostolico.
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ficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa (CD 33-35). Pur con tutto ci che se ne scritto in seguito nei documenti del Magistero (specialmente nel notissimo Mutuae Relationes della Pentecoste 1978) e in numerose pubblicazioni, quel quarto paragrafo di CD (c. 2) sui cooperatori del Vescovo diocesano merita costante riflessione e una intelligente e coraggiosa ricerca di applicazioni concrete. Ed appunto nel delineare i principi sullapostolato dei religiosi nelle singole diocesi (n. 35) che il Decreto vuole ritornare sulla secolare questione della esenzione e della sua giusta interpretazione in una Chiesa-comunione:
3) Lesenzione, in virt della quale i religiosi dipendono dal Sommo Pontefice o da altra autorit ecclesiastica, e sono esenti dalla giurisdizione dei Vescovi, riguarda principalmente lordine interno degli istituti... La medesima esenzione consente al Sommo Pontefice di disporre dei religiosi a bene della Chiesa universale... Ma tale esenzione non impedisce che i religiosi, nelle singole diocesi, siano soggetti alla giurisdizione dei Vescovi, a norma del diritto, come richiedono sia il ministero pastorale dei Vescovi, sia unappropriata cura delle anime 3.

Chiave di lettura dei testi dottrinali e pastorali: i segni dei tempi Ci si pu ora domandare se non sia giunto il tempo di leggere non pi soltanto dei testi scritti, ma ancor pi i segni con i quali lo Spirito sta tracciando nuovi cammini. E su questi verificare quanto le strutture istituzionali conservino dautentico valore (in corrispondenza, cio, ai valori evangelici ed ecclesiali) e quanto debbano essere vagliate in ordine a una dinamica, ormai di una impressionante urgenza, nel rapporto tra missione della Chiesa e mondo moderno (o, come qualcuno comincia a dire, gi post-moderno, volendo sottolineare la rapidit dei mutamenti culturali, religiosi, sociali, dei quali la nuova evangelizzazione deve tener sommamente conto). Urgenza che non appariva sconosciuta allassemblea conciliare del Vaticano II, ancora a proposito dellapostolato dei religiosi nelle diocesi:
Specialmente in vista delle urgenti necessit delle anime e della scarsit del clero diocesano, gli istituti religiosi, che non siano esclusivamente addetti al-

Cf c. 590, par. 1; c. 591.

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la vita contemplativa, possono essere chiamati dai Vescovi a collaborare nei vari ministeri pastorali, tenute presenti le caratteristiche di ciascun istituto. E i superiori religiosi, per quanto possono, stimolino (i loro religiosi) a prestare tale collaborazione... (CD 35,1) 4.

Il testo dice pi di quanto disponga il c. 678 nel capitolo del Codice che tratta dellapostolato degli istituti di vita consacrata (cc. 673683): qui si ribadisce, come in CD 35, 3, la sottomissione alla potest e giurisdizione dei Vescovi in ci che riguarda la cura delle anime, lesercizio del culto, le opere di apostolato; e allo stesso tempo la sottomissione ai propri superiori anche nellesercizio dellapostolato esterno. Ci suppone una reciproca intesa tra Vescovi diocesani e superiori (c. 678, par. 3; e, per gli istituti secolari c. 713, parr. 2-3; per le societ di vita apostolica, c. 738). Si tratta, dunque, di prendere in vera considerazione non solo le caratteristiche giustificate dellapostolato affidato ai membri di vita consacrata, ma di dare effettiva priorit alle urgenze pastorali:
Se lOrdinario del luogo giudica necessario o molto utile laiuto dei religiosi per lesercizio delle molteplici attivit di apostolato e per sostenere le attivit della carit o del ministero pastorale nelle parrocchie secolari o nelle associazioni diocesane, i superiori, su domanda dellOrdinario, devono, nella misura delle loro forze, fornire laiuto richiesto (ES I, 36, par. 2).

Una giusta direzione per una migliore condivisione nella missione Il profilo cristologico ed ecclesiale dellapostolato svolto dagli istituti di vita consacrata e dalle societ di vita apostolica splendidamente scolpito in LG 46. Senza dubbio la Chiesa continua anche oggi a presentare, per loro mezzo, Cristo ai fedeli e agli infedeli nella pluriforme ricchezza della sua missione. La conclusione, alla quale giunge perci il brano citato, si ritrova nel c. 676 del nuovo Codice, anche se viene, qui, ristretto agli istituti laicali, per ragione della tipologia raccolta nei tre canoni (674, 675, 676) riguardanti gli istituti
Ancor pi esplicito lart. 36 di Ecclesiae Sanctae (I), quando descrive lapplicazione del decreto CD: Par. 1 - Lattivit apostolica dei membri degli istituti di perfezione, che non sono votati alla sola vita contemplativa, non sar circoscritta alle opere proprie dellistituto o ad altre occasionalmente assunte, fino al punto che, in ragione dei bisogni urgenti delle anime o della penuria del clero, gli Ordinari del luogo non possano chiamare, pur avendo riguardo al carattere proprio di ciascun istituto e col consenso del superiore competente, non solo i sacerdoti ma anche tutti i membri, uomini e donne, perch apportino laiuto della loro attivit nei diversi ministeri delle diocesi o delle regioni.
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contemplativi, apostolici e, appunto, laicali: Il sacro Concilio leggiamo in LG 46 conferma e loda gli uomini e le donne, Fratelli e Sorelle, i quali, nei monasteri o nelle scuole e negli ospedali o nelle missioni, con perseverante e umile fedelt alla loro consacrazione, onorano la Sposa di Cristo e a tutti gli uomini prestano generosi e diversissimi servizi. Essi perci esorta il c. 676 perseverino fedelmente nella grazia della propria vocazione. Non si tratta, dunque, di sottovalutare limmensa mole di iniziative e di attivit dogni genere, con le quali la vita consacrata compie la propria missione nella Chiesa universale, attraverso non poche presenze impegnate nelle Chiese locali. E non sarebbe neppure saggio e realistico esaltare forme nuove di vita consacrata sradicate dalla solida esperienza dottrinale e storica di istituti e societ che han dato, e continuano a dare, validissimi contributi alla missione della Chiesa nel mondo. Non sempre viene addotta con propriet e rispetto la celebre espressione di Ges: Non mettere vino nuovo in otri vecchi (Mt 9, 17). necessario perci dare giusta direzione a questo fondamentale rapporto vita consacrata-Chiesa locale, anche per limportanza che opportune soluzioni rivestono per la vitalit dentrambi. E la direzione da dare alla nostra ricerca parte da un interrogativo preliminare, al quale dobbiamo dare risposta: una cos rilevante somma di energie, quale viene dispiegata dai membri di vita consacrata e dalle societ di vita apostolica, potrebbe trovare forme ancor pi adeguate per una autentica e organica condivisione nella missione sul territorio affidato a una Chiesa locale? noto a tutti che le insistenze dottrinali e normative sullargomento, dal Vaticano II in poi, si sono ripetute con convinzione e con forti motivazioni teologiche, ecclesiali, pastorali. Si conoscono anche i frutti: alcuni pregevoli, altri ancora acerbi. Il cammino di comunione passa attraverso una esigente conversione Ci rendiamo tutti conto che il cammino di Chiesa-comunione lungo e passa attraverso mentalit, costumi di vita, strutture che ci condizionano, al di l delle buone volont. Ma proprio su questo terreno che dobbiamo muoverci. Lecclesiologia di comunione lidea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio, ricordava lassemblea straordinaria del Sinodo a ventanni dal Vaticano II

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(1965-1985). Una idea che non pu essere attribuita alla genialit di questi o quei Padri conciliari. limpulso centrale e fondamentale impresso dallo Spirito per rinnovare il volto, la vita e la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo. I Lineamenta per il prossimo Sinodo aprono la riflessione sulla missione della vita consacrata nella Chiesa comunione rinviando alla citata dichiarazione del Sinodo 85 (n. 34), che il Papa riprendeva nella Christifideles Laici (n. 19) per indicare le vie della nuova evangelizzazione. E non poteva partire che da un cos vibrante appello alla comunione, lesortazione a unire tutte le energie ecclesiali per questo obiettivo di straordinaria importanza e urgenza: rifare il tessuto cristiano della societ umana; e, per questo, rifare il tessuto cristiano delle stesse comunit ecclesiali (cf CL 34). Gi nella promulgazione del nuovo Codice 5, Giovanni Paolo II dichiarava senza esitazione:
Lo strumento, che il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come vien proposta dal magistero del Vaticano II in genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonico questa stessa dottrina, cio la ecclesiologia conciliare.

E questa volont di organizzare la vita e lazione pastorale del Popolo di Dio sul fondamento della ecclesiologia di comunione appare chiaramente fin dal primo canone (c. 204) del Libro II (Il Popolo di Dio), che delinea natura e ruolo delle tre componenti della comunit ecclesiale. Tutte trovano ragione e fecondit di vita e di missione nella radice profonda, sacramentale, che tutti consacra e incorpora a Cristo, rendendo tutti partecipi, nella variet e complementariet delle vocazioni, della sua triplice missione: sacerdotale, profetica, regale (cf LG 10-12; 34-36). Di qui la duplice, universale chiamata: alla pienezza della vita in Cristo (la vocazione universale alla santit di LG c. V) e allapostolato della Chiesa nel mondo. Su questa comune, primaria radice, che fonda la Chiesa convocazione di Dio e sacramento di salvezza per tutto il genere umano,

Cost. Apost. Sacrae diciplinae leges, 25 genn. 1983, pp. 27 e 29 delled. Un.Ed.Catt. Ital.

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si ritrovano, prima di diversificarsi per vocazione, carismi e ministeri, tutti i fedeli di Cristo. In questa comunione cristocentrica ed ecclesiale trovano il loro pieno significato gli istituti di vita consacrata e le societ di vita apostolica (Parte III di questo Libro sul Popolo di Dio, ai cc. 573-746), come segno luminoso del Regno, congiunto in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero (c. 573; LG 44). Mentalit nuove e forme nuove perch si realizzi lutopia dello Spirito Lutopia dello Spirito, lanciata per rinnovare la comunit ecclesiale nella sua testimonianza di comunione e nei modi di organizzare e attuare la sua missione nel mondo contemporaneo, si imbattuta in una lunga tradizione, fatta di mentalit radicate e di strutture conseguenti che, almeno in parte, fanno da otri vecchi a vino nuovo. A monte stanno molte cause che non possono sfuggire a chi ha vissuto le rapide e consistenti trasformazioni di questa seconda met del nostro secolo, specialmente nel profilo delle tre fasi: preconciliare, conciliare e del post-concilio, accompagnate e rese ancor pi complesse e travolgenti per i mutamenti culturali, religiosi e sociopolitici. Una inculturazione per molti aspetti inattesa, da molti non desiderata, alla quale sono stati sottoposti tutti i valori che danno ragione di vita e di impegno. E, per fissare lattenzione nel cuore del nostro tema, che ne stato della vita consacrata nella Chiesa locale? Senza ignorare quanto di positivo si potrebbe segnalare, non sembra perdurare nei due campi, quello del clero diocesano e quello degli istituti di vita consacrata, una mentalit di monopolio? Il progetto pastorale della diocesi e, in esso, delle parrocchie, come unesclusiva dellorganizzazione diocesana e parrocchiale, pur sapendo che i religiosi sacerdoti sono veramente da considerarsi, in certo qual modo, come appartenenti al clero diocesano e che tutti i religiosi, uomini e donne, appartengono alla Famiglia diocesana (CD 34), e che anche membri di istituti di vita consacrata fanno abitualmente parte dei consigli presbiterali e pastorali (ES I, 15, par. 2 - 16, par. 3). Certo, lincardinazione nella Chiesa particolare o nellistituto (cf cc. 265-266), insieme alle consuetudini di vita e alle relazioni tra le persone che questo comporta, delimita i settori e crea distanze. Ma queste distanze, dove esistono, tra organizzazione pastorale duna Chiesa locale e vita consacrata, non dipendono anche dalle scelte de-

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gli istituti, dove tutto si svolge in autonomia, non soltanto per la salvaguardia della propria disciplina e per conservare integro il proprio patrimonio di cui al c. 578 (cf c. 586, par. 1), ma anche per il progetto apostolico al quale si dedicano i membri della comunit? Cos che Vescovi e parroci delle Chiese locali, nel cui territorio operano gli istituti, si sentono di fatto tenuti a distanza: pur se le relazioni possono apparire cordiali, non possibile programmare un piano pastorale, a livello di territorio diocesano e parrocchiale, contando sui membri di vita consacrata, al di l del loro pregevole contributo nelle opere proprie dellistituto. Validi apporti alle esigenze pastorali di una Chiesa locale, ma che si muovono su binari paralleli. possibile fare di pi in direzione di comunione? Non si potrebbero rivedere alcune strutture distituto per meglio adeguarne le scelte apostoliche in una comune missione con la Chiesa locale? Forse qualche otre vecchio pu essere rinnovato per far posto al vino nuovo. Altre volte sar meglio pensare a otri nuovi. Ecco due vie che liniziativa di rinnovamento, presa dallo Spirito con lecclesiologia di comunione, e perseguita con perseveranza attraverso i Sinodi, pu suggerire: modi nuovi di presenza e di partecipazione, per le forme esistenti di vita consacrata; forme nuove di vita consacrata, che si propongano con nuove strutture, atte a creare un rapporto diretto con le Chiese locali e con il loro progetto pastorale, nel comune territorio. Modi nuovi di presenza e di partecipazione Un cambio di mentalit, di valutazione e una ricerca di scelte adeguate possono cominciare se ci chiediamo, a livelli concreti, quanto ci sentiamo noi, membri di istituti di vita consacrata, della Famiglia diocesana (CD 34). Quanto siamo veramente interessati ai problemi, ai progetti di questa nostra Famiglia. Quanto vi siamo coinvolti con le nostre opere, ma anche con una disponibilit che va oltre, mossi dallamore di Dio, di Cristo, noi che a Dio sommamente amato ci siamo totalmente donati (LG 44); dallamore per la Chiesa, per lumanit. la motivazione preminente e costante della nostra scelta di vita consacrata, che ci ha dedicati, con nuovo e speciale titolo (LG 44), al servizio di Dio, della Chiesa, dei fratelli. Certo, dobbiamo attenderci dei ripensamenti e revisioni di vita e di rapporto anche da parte del clero e dagli organismi pastorali

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della diocesi; ma, partendo dal desiderio di una collocazione pi piena della vita consacrata e delle sue energie spirituali e apostoliche in seno alle Chiese locali, chiss che un riesame del nostro impegno allinterno dei nostri istituti, una nuova carica di vitalit spirituale e apostolica, non rendano pi vivace ed effettiva la presa di coscienza che urge la necessit di una solerzia apostolica nellescogitare nuove, ingegnose e coraggiose esperienze ecclesiali, sotto limpulso dello Spirito Santo, che , per sua stessa natura, creatore... Ritrovare, insomma, quella genuinit carismatica, vivace e ingegnosa nelle sue inventive, che eccelle nei Fondatori (cf MR, 19, Dovere missionario e spirito diniziativa; n. 23, criteri per un equo ordinamento dellattivit pastorale). Tutto questo potrebbe farci scoprire modi nuovi per essere, nella Chiesa-comunione, una vera Famiglia diocesana, nella quale vocazioni-carismi-ministeri donano il meglio di s, visto che lora venuta per intraprendere una nuova evangelizzazione (CL 34). Potremmo anche chiederci se tanto personale, tante energie, e anche ingenti capitali, che sembrano creare quadri sicuri di azione apostolica, non potrebbero trovare canali adatti per meglio confluire nella comunione di vita e di missione, secondo il progetto pastorale, insieme studiato e programmato, della Famiglia diocesana. Pur sapendo che, specialmente in settori di particolare competenza, gli istituti di vita consacrata e le societ di vita apostolica rendono un servizio qualificato, che va oltre i singoli territori delle Chiese locali, vi sono molte altre situazioni nelle quali possibile condividere preoccupazioni pastorali, spesso lancinanti, delle nostre Chiese locali, senza rimanere bloccati dentro le nostre strutture di vita e di azione. Strutture spesso imponenti che, in parte, mostrano daver perduto le loro finalit collegate con il progetto originario: non perch debba essere meno forte, in noi, il richiamo e il costante ritorno alla ispirazione originaria, fonte autentica, insieme al Vangelo, del nostro continuo rinnovamento (PC 2), ma per attingere da essa e dalla forza del carisma che laccompagna, capacit nuove per entrare nel deserto di un mondo, soprattutto occidentale, per il quale lappello alla nuova evangelizzazione domanda con urgenza una schiera di nuovi evangelizzatori. Sacerdoti, consacrati nelle varie forme oggi accolte dalla Chiesa, laici (cf CL 35), capaci di accogliere con spirito rinnovato landate anche voi nella mia vigna (Mt 20, 3-4; CL 2) e di scendere nei nuovi areopaghi (Redemptoris Missio 37, c), tra la gente: Uscite per le strade, vivete la vostra fede e con gioia portate

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Cristo tra gli uomini! esclamava Giovanni Paolo II nel suo viaggio apostolico in Spagna 6. Si pu vivere separati dal mondo nei modi richiesti dallindole del proprio istituto (c. 607, par. 3) e andare al mondo con lo Spirito e secondo il mandato di Cristo (Gv 17, 18; Mc 16, 15); andare al popolo, come esortava Leone XIII al chiudersi del secolo scorso, quando costatava che lapostasia delle masse derivava anche da modi troppo chiusi doperare nella missione che Dio ha affidato alla Chiesa per il mondo. Vi sono importanti settori dellazione pastorale, in ogni diocesi e parrocchia, ai quali la vita consacrata chiamata a provvedere, sorretta e abilitata, per questo, da specifici carismi. La pastorale dei giovani, delle vocazioni, della famiglia, della carit; quella pi vasta e oggi cos urgente della evangelizzazione, con tutti i mezzi ad essa appropriati; la promozione della donna, del laicato cristiano; la preparazione sociopolitica per un servizio della persona e della comunit umana, fedele al Vangelo... A tutto ci si dedicano numerosi membri di istituti di vita consacrata e delle societ di vita apostolica, spesso con eccellente preparazione e capacit. Perch non cercare le vie per far convergere in un comune progetto, diocesano o anche parrocchiale, lenergia spirituale e apostolica di tutte le componenti della famiglia ecclesiale, sul comune territorio? Dedicandosi al settore di loro competenza, i membri di vita consacrata diverrebbero promotori del loro stesso carisma, in mezzo al popolo di Dio, e qualificati animatori duna pastorale corrispondente alle finalit per le quali lo Spirito li ha suscitati 7. Oppure pensiamo che basti ancora entrare nelle Chiese locali previo consenso scritto del Vescovo diocesano (c. 609, par. 1), magari per andarsene, quando listituto avr le sue ragioni, dopo aver consultato il Vescovo diocesano (c. 616, par. 1)? Se precisa volont dello Spirito farci camminare verso una Chiesa-comunione, necessario rendersi disponibili. Lo Spirito non segue i nostri ritmi del tempo, non d spallate alle nostre strutture, ma pu lasciare che

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Oss.Rom., 17 giugno 1993, p. 4. Cf Religiosi e Promozione Umana, 6, c: Nella Chiesa, aperta ai ministeri, i religiosi possono scoprire nuove forme di partecipazione attiva, coinvolgendo ancor pi la comunit cristiana nelle loro iniziative e opere. Essi avranno, cosi, lopportunit di valorizzare lo specifico loro carisma come una singolare abilitazione per la promozione dei ministeri che corrispondono alle finalit apostoliche e sociali dei propri istituti (EV VII, 457).

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esse si svuotino dallinterno. Le vocazioni e lenergia, che vivifica le opere, vengono da lui. Forme nuove di vita consacrata La storia delle forme con le quali si espressa la vita consacrata, nelle varie epoche, ci testimonia la creativit dello Spirito. Essa si muove nella duplice direzione che anche oggi si enuncia: un servizio alla missione della Chiesa, corrispondente a rinnovate condizioni culturali, religiose, sociali ; una risposta evangelica ai problemi emergenti della comunit umana, per innestarvi la radice del Regno e collaborare, sul piano della storia, con il progetto di Dio sulluomo. Un soffio di novit si coglie anche nel nuovo Codice dove, con il c. 605 si prospettano, sia pure in modo imprecisato, nuove forme di vita consacrata. I Vescovi diocesani sono invitati a discernere i nuovi doni di vita consacrata, che lo Spirito Santo affida alla Chiesa e ad aiutare coloro che li promuovono, perch ne esprimano le finalit nel modo migliore e le tutelino con statuti adatti, utilizzando soprattutto le norme generali contenute in questa parte (cio nel tit. I della sezione sugli istituti di vita consacrata, nel quale si tracciano le norme comuni a tutti gli istituti di vita consacrata). Lesperienza storica, tuttavia, dimostra che la difficolt non sta tanto nel discernimento dei nuovi doni, quanto nel trovare loro le strutture normative, di vita e di azione, che non li costringano in una specie di corazza inadeguata ai movimenti che lo Spirito si attende, ma favoriscano la loro libera e feconda incarnazione nel corpo della Chiesa. Un esempio per tutti pu essere la novit dello Spirito che volle promuovere la vita consacrata in secolarit e il frastagliato cammino del riconoscimento e delle strutture ad essa assegnate (cc. 710-730). Anche la lettura delle nuove forme di vita evangelica, proposta dal n. 24 di Lineamenta per il prossimo Sinodo 94, presenta gi una linea di demarcazione che, guardando allesperienza del passato, fino ad oggi, considera le attuali strutture canoniche della vita consacrata come inamovibili. Per questo vede le comunit nuove, che si presentano con peculiarit simili a quelle della vita consacrata, ma in realt non sono tali, perch prive del dovuto riconoscimento canonico o perch incompatibili con le esigenze richieste per costituire una forma di vita consacrata riconosciuta dalla Chiesa, come nel caso della presenza degli sposati.

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Su questa linea si sempre trovato il diritto della Chiesa, quando si presentavano i nuovi doni che lo Spirito offriva. E non fa meraviglia: lo Spirito precede le istituzioni, che faticano a interpretare loriginalit irripetibile del dono, mentre cercano i modi daccoglierlo nel quadro di vita e dazione fino allora sperimentato. Daltra parte, la saggezza dello Spirito guida con gradualit, preparando e maturando condizioni di crescita, non affrettata e quindi fragile, ma graduale, armonica e solida. Senza tuttavia soffermarci sulle disquisizioni, che andrebbero troppo lontano, pu essere utile al nostro discorso raccogliere una recente esperienza, e precisamente in direzione dellargomento che ora ci interessa: come inserire pi direttamente, con rapporti nuovi verso la Chiesa locale, la vita consacrata? Da qualche tempo sta maturando una forma nuova di vita consacrata nel progetto di Comunit consacrate al servizio delle Chiese locali. Possiamo darne alcuni cenni, che illuminano le prospettive del nostro tema. Un criterio, innanzitutto, guida il discernimento e lorganizzazione di queste comunit: partire dal progetto che lo Spirito intende attuare e attorno ad esso, in proporzione delle sue esigenze, pensare strutture di vita e di azione. Sapendo che cosa comporti, per ora e secondo il nuovo Codice, la vita consacrata, non si pretende dimporre forme nuove che non vi corrispondano. Neppure possibile assumere le attuali strutture se, come si vedr, deve essere realizzato il progetto proposto. Per questo, non si affrettano i tempi di riconoscimenti giuridici; si matura, prima, lesperienza delle scelte evangeliche ed ecclesiali che il progetto domanda; si cercano le vie per armonizzarlo con i valori di consacrazione e di servizio della Chiesa locale, naturalmente sempre in dialogo con il Vescovo o con i Vescovi ai quali il progetto presentato. Ma ecco le forme nuove, rispetto alla tradizionale struttura di vita consacrata: 1) bisogna premettere che queste comunit sono in realt una comunione di persone, avendo come obiettivo di radunare e formare fedeli cristiani che si sentono chiamati a fare del servizio alla propria Chiesa locale una scelta stabile di vita, il loro progetto di vita. Essi, infatti, deporranno questa loro decisione nelle mani del proprio Vescovo, dal quale riceveranno uno specifico mandato. E, poich tutti i fedeli, per la consacrazione battesimale, sono resi partecipi del triplice ufficio di Cristo, tutti sono chiamati ad attuare, se-

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condo la condizione giuridica propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo (c. 204, par. 1; cf CL, capp. 1-2). Tutti i fedeli, quindi, se attirati da una speciale vocazione ad esprimere con scelte concrete luniversale vocazione alla santit e alla missione, possono far parte della comunit. una prima caratteristica (del resto frequente anche se variamente motivata nelle nuove comunit di cui parlano Lineamenta 24). E per questa ragione si pu comprendere che queste comunit non sono soltanto maschili o femminili; non esigono il celibato, anche se lo accolgono come valore evangelico e per un cammino di particolare disponibilit alla ministerialit nella Chiesa; considerano i laici sposati come una componente importante della comunit, per una caratteristica testimonianza della vocazione universale alla santit e per il prezioso, insostituibile contributo che essi possono dare al progetto pastorale della Chiesa locale in settori essenziali come la famiglia, la vita, leducazione dei giovani ecc. 2) Tuttavia, in queste comunit, lobiettivo della disponibilit al servizio della propria Chiesa locale, come scelta stabile di vita, deve radicarsi su una speciale consacrazione, che renda primario il rapporto con Cristo e dia stile evangelico alla vita e alle scelte dei membri. Per questo le comunit si dicono consacrate al servizio della Chiesa locale. Quale sia, sul piano canonico attuale, il senso di questa speciale consacrazione presto detto, se si tratta di membri che abbracciano il celibato consacrato. Per i laici sposati, come si legge intanto in Lineamenta 24, si tratta certamente di una forma nuova di vita evangelica, che essi assumono con un particolare impegno. E non poco, sia per promuovere la santit nella Chiesa, sia per la testimonianza e la collaborazione di questi laici nella Chiesa locale. Il futuro dir se la radice sacramentale della rigenerazione e unzione dello Spirito Santo, per la quale i battezzati vengono consacrati (LG 10; 34), potr assumere espressioni pi perfette (PC 5) anche per laici sposati. Frattanto non auspicabile che essi vengano aiutati, con un concreto progetto di vita, a vivere da consacrati? Tenendo distinta la categoria canonica della vita consacrata, come nel Codice attuale, possiamo considerare gi unimportante novit dello Spirito che anche laici sposati, attirati da una speciale vocazione, siano con nuovo e speciale titolo riconosciuto dal loro Vescovo, dedicati a Cristo e al servizio della sua Chiesa, nel mondo. 3) Ma anche per i membri che assumono la vita consacrata con le note caratteristiche indicate dal c. 573, si prospettano forme nuo-

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ve, motivate dallo scopo che qualifica queste comunit: essere al diretto servizio delle Chiese locali, attraverso il riconoscimento e il mandato dei loro Pastori. Questa precisa finalit non ammette le abituali mediazioni, tra i membri della comunit e il Vescovo della diocesi, che sono proprie degli istituti. Perci queste comunit non intendono divenire istituto, ma cercheranno, in armonia con la competente autorit della Chiesa, la formula appropriata per esprimersi, quale famiglia ecclesiale o associazione ecclesiale. La speciale consacrazione, quindi, non viene emessa nelle mani di responsabili interni, ma nelle mani del proprio Vescovo, dal quale, e non da altri, ricevono il mandato che specifica e qualifica la parte di servizio ecclesiale loro affidata. Cos, queste comunit non prendono a modello, per le proprie strutture di vita e di azione, gli istituti di vita consacrata, ma guardano alle altre componenti pastorali della diocesi (Presbiteri, Diaconi), alle quali si affiancano per completare il quadro operativo del progetto pastorale diocesano. Una guida illuminante, in questo, risultata lEsortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, particolarmente dove presenta la radicalit evangelica per coloro che sono chiamati a viverla nel contesto quotidiano del loro servizio alla Chiesa locale (nn. 27-30) e, per analogia, dove si descrive lappartenenza e la dedicazione alla Chiesa particolare (nn. 31-32). 4) nella logica, inoltre, del progetto di queste comunit, che esse non abbiano iniziative e opere proprie. Il progetto della comunit si rivolge con immediatezza al progetto pastorale della Chiesa locale. Questaltra novit stimola a cercare modi sempre pi efficaci dinserimento nella vita e nella programmazione della diocesi, sotto la guida dei Pastori. 5) Anche lorganizzazione delle comunit , perci, a livello diocesano, per meglio rispondere alle situazioni e alle attese della Chiesa locale e per lesigenza che deriva dal rapporto diretto con il Vescovo e il progetto pastorale. Ma non si trascura il riferimento di tutti al progetto comune, perch la sua fedele realizzazione torna a vantaggio della Chiesa stessa (PC 2, b), oltre al bene che ne deriva per i singoli membri e alla comunione tra loro. A questo provvedono collegamenti adeguati, che coinvolgono la responsabilit delle comunit sparse nelle varie diocesi.

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** * A conclusione, affidiamo questi cammini di rinnovamento della vita consacrata, nella missione della Chiesa, alla Vergine Madre di Dio, modello e patrona di ogni vita consacrata (c. 663, par. 4). Ci accompagna la Vergine del Magnificat, Vergine coraggiosa, alla quale il Papa ci esorta a rivolgere fiduciosi la preghiera: Vergine Madre, guidaci e sostienici perch viviamo sempre come autentici figli e figlie della Chiesa di tuo Figlio e possiamo contribuire a stabilire sulla terra la civilt della verit e dellamore, secondo il desiderio di Dio e per la sua gloria (CL, 64). OLIVIERO GIUSEPPE GIRARDI Via Casale S. Pio V, 20 00165 Roma

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di Silvia Recchi

Lultima parte dei Lineamenta per il IX Sinodo dei Vescovi sul tema La vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo dedicata allaspetto riguardante la missione della vita consacrata nei tempi attuali. La vita consacrata ha una sua indubbia dimensione ad extra, una irradiazione ecclesiale della sua ragione di essere. Il Codice di diritto canonico, nel c. 573 che definisce teologicamente la vita consacrata, parla del suo esistere ad edificazione della Chiesa e per la salvezza del mondo (par. 1). I membri degli istituti di vita consacrata si congiungono in modo speciale alla Chiesa ed al suo mistero (par. 2). Il canone 574 sottolinea ancora che coloro che sono nello stato di vita consacrata giovano alla missione salvifica della Chiesa (eiusdem missioni salvificae prosint) (par. 2). La missione evangelizzatrice della Chiesa Negli anni del post-concilio la riflessione teologica che ha interessato la vita consacrata ha messo in luce la centralit della missione nel progetto globale di essa. La missione dei consacrati prolunga la missione della Chiesa, la quale a sua volta, presenza continuata della missione di Cristo. Questa missione della Chiesa consiste innanzitutto nellevangelizzare. Gi nellIntroduzione infatti i Lineamenta chiarificano che, se da un lato la vita consacrata riconosciuta come dono peculiare di grazia dello Spirito nel popolo di Dio, dallaltro, per la ricchezza dei suoi carismi, essa oggi chiamata a rendersi sempre pi generosa nella nuova evangelizzazione del mondo attuale (n.3).

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Limpostazione globale dei Lineamenta pone in primo piano il problema della vita consacrata in relazione allurgente bisogno di una nuova evangelizzazione, considerata da Giovanni Paolo II un programma pastorale di dimensioni mondiali. Colpisce positivamente nella lettura dei Lineamenta la proposta di riflettere sulla vita consacrata non in astratto, ma in funzione delle grandi sfide ecclesiali. Si tratta di una riflessione certo anche dottrinale, ma pur sempre in funzione della evangelizzazione a cui oggi tutte le forze nella Chiesa sono urgentemente chiamate. Questa esigenza che appare primaria nella lettura dei Lineamenta pu aiutare gli istituti di vita consacrata a guardare in avanti ed a non paralizzarsi in una riflessione sui gravi problemi che oggi li affliggono. Nei Lineamenta presente un forte richiamo per la vita consacrata a collaborare al programma mondiale di evangelizzazione. Evangelizzazione nelle terre dove Cristo sconosciuto ed evangelizzazione nelle terre dove conosciuto, ma dove il suo messaggio svuotato di contenuto vitale. Levangelizzazione il motivo profondo dellesistenza della Chiesa in tutti i tempi e luoghi. Essa comprende tutto un processo di annuncio di una convinzione di fede: che cio in Ges Cristo stato comunicato lamore attraverso la rivelazione della comunione trinitaria. Levangelizzazione avviene anzitutto attraverso la Parola, la trasmissione di ci che Dio ha detto in Cristo. Ma essa non semplice annuncio. Diviene efficace solo attraverso una trasformazione in profondit dellevangelizzato, attraverso la sua adesione autentica a Cristo. Levangelizzazione perci non un processo intellettuale di apprendimento, bens si esprime in termini di una conoscenza che trasforma la vita, che diviene realt. Levangelizzazione ci che nellunica Chiesa di Cristo unifica ed orienta tutti i servizi e le vocazioni, i carismi ed i ministeri. Ogni vocazione cristiana una vocazione apostolica. Questultima in connessione con il sacramento del Battesimo e della Confermazione. La globalit della azione pastorale della Chiesa definita dal suo coordinamento gerarchico delle varie vocazioni apostoliche. Vita consacrata: quale contributo? Riguardo alla vita consacrata, qual la sua caratteristica propria, il suo contributo singolare, indispensabile nella evangelizzazione? Tale apporto la unisce e contemporaneamente la distingue dalle altre

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vocazioni ecclesiali. Se il prossimo Sinodo dei Vescovi sulla vita consacrata vuole sviluppare una riflessione sullapporto di questultima alla nuova evangelizzazione, dovr mettere in luce con grande chiarezza i fondamenti teologici e teologali della sua dimensione apostolica e missionaria. Ci permetter un discorso pi profondo sul contributo della vita consacrata alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Si tratta di mettere in luce lapporto evangelizzatore dei consacrati nella loro originalit e unicit, distinto dallapporto che altre categorie di fedeli (laici, chierici) possono ugualmente ed efficacemente offrire. Il c. 781 (sullazione missionaria della Chiesa) afferma che tutti i fedeli, consci della propria responsabilit, devono assumere la propria parte (partem suam... assumant) nellopera di evangelizzazione. Qual dunque questa parte per i consacrati che in forza della propria consacrazione sono dediti al servizio della Chiesa (cum vi ipsius consecrationis sese servitio Ecclesiae dedicent) 1? Qual poi questa parte propria alle diverse forme di vita consacrata? La consacrazione comporta la missione La vita consacrata esprime uno speciale rapporto con la Chiesa, da cui deriva una partecipazione alla sua missione. Tale relazione situa la vita consacrata in relazione allessere stesso della Chiesa: Siccome i consigli evangelici, per mezzo della carit alla quale conducono, congiungono in modo speciale i loro seguaci alla Chiesa e al suo mistero, anche la loro vita spirituale deve essere consacrata al bene di tutta la Chiesa. Di qui deriva il dovere di lavorare secondo le forme e il genere della propria vocazione, sia con la preghiera sia con lopera attiva, a radicare e consolidare negli uomini il regno di Cristo e dilatarlo in ogni parte della terra (LG 44). La missione della Chiesa si radica nel mistero di missione-consacrazione di Cristo. Cristo eminentemente il missionario del Padre, Egli anche il consacrato dal Padre. Ogni consacrazione e missione trovano un riferimento analogico essenziale in Cristo 2. La missione, quale aspetto dellunica realt a cui anche la consacrazione fa riferimento, si andata affermando progressivamente come un dato culturale nuovo della vita consacrata; essa stata ri1 2

CIC, c. 783. Cf G. GHIRLANDA, Ecclesialit della vita consacrata in AA.VV., La vita consacrata (coll. Il Codice del Vaticano II), Bologna 1983, 20ss.

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scoperta come una dimensione veramente costitutiva di qualsiasi progetto di consacrazione. La riscoperta della centralit della missione nel progetto dei consacrati un fattore altamente positivo. Ci stato rilevato anche recentemente dallindagine svolta dallUnione Superiori Generali (= USG) in vista del prossimo Sinodo. Dalle risposte al questionario proposto dallUSG si registra un rinnovato senso della missione e dellevangelizzazione ed una preoccupazione apostolica pi marcata negli istituti. Lidentit degli istituti stata sempre pi analizzata a partire dalla missione, nel tentativo di vivere una maggiore unit e coerenza tra questultima e la consacrazione: ci ha dato origine ad un nuovo modo di relazionarsi al mondo ed ai suoi problemi 3. Si molto discusso nel post-concilio sulla relazione tra queste due dimensioni; a volte stata messa in luce la complementarit, la dipendenza, la funzionalit e non di rado anche lopposizione tra un termine e laltro. Ci si chiesti se era pi esatto parlare di consacrazione o missione, di consacrazione e missione, di consacrazione per la missione. Dietro questo dibattito si nascondevano visioni differenti sulla vita consacrata ed anche una inquietudine nuova che interpellava i consacrati e faceva venire in emergenza lesigenza di rimettere in discussione posizioni dottrinali che avevano troppo limitatamente ridotto la vita consacrata (allora detta prevalentemente religiosa) ad un personale cammino di santit, un personale cammino ascetico verso la perfezione da raggiungere mediante i tre voti. Il Concilio, affermando la profonda ecclesialit della vita consacrata, la invitava anche a ripensare profondamente il suo modo di essere nella Chiesa e nel mondo, la invitava a riscoprire la sua missione. Non ci addentriamo nei particolari di questo dibattito a volte aspro. I Lineamenta vi fanno un fugace riferimento, considerando tuttavia superate le discussioni. Infatti nella prima parte laddove si accenna ai fondamenti teologici della natura e identit della vita consacrata, leggiamo: La consacrazione, come scelta da parte di Dio e dedicazione della persona, comporta la missione. Sono come due aspetti di una stessa realt. Come il Cristo (...) tutti i consacrati sono, ciascuno secondo il carisma del proprio istituto, necessariamente impegnati nella missione (n. 6). Si tratta di vedere con chiarezza

Cf F. CIARDI, Identit e comunione: a che punto oggi la vita religiosa, in Vita Consacrata 29 (1993) 16-42.

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tutte le implicanze di tale affermazione, di chiarirne sempre pi il fondamento teologico per poi contribuire operativamente alla missione globale della Chiesa. Due aspetti della stessa realt Le dimensioni di consacrazione e missione sono due dimensioni profondamente teologali, in cui il termine consacrazione sta ad indicare che non si parte da se stessi, ma dallamore di Dio, dalla sua chiamata, dal suo progetto ed il termine missione esprime laspetto dinamico, generativo della stessa realt. Da un lato c una grazia donata, dallaltro il dinamismo che da essa sgorga. ci che aveva affermato il decreto Perfectae Caritatis, quando, considerando la consacrazione apostolica, la affermava come sintesi viva di interiorit ed attivit, vissuta allinterno di ciascun progetto di vita consacrata (PC 8). Il decreto voleva in questo modo mettere in luce che Dio, consacrando la persona, ne consacra lazione ed ogni altro aspetto che da quella consacrazione deriva. La missione perci non qualcosa che viene dopo la consacrazione, dopo la comunione con Dio e la Chiesa. La consacrazione in s apostolato. Il decreto conciliare sullattivit missionaria della Chiesa ha voluto sottolineare limportanza degli istituti di vita contemplativa nella evangelizzazione del mondo (AG 40). Il Codice parla della segreta fecondit apostolica di coloro che sono dediti alla contemplazione 4 ed afferma che il primo apostolato dei religiosi consiste nella testimonianza della loro vita consacrata 5. Ci veniva esplicitato con grande evidenza anche dal documento della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata La dimensione contemplativa della vita religiosa 6. Prima ancora di qualsiasi attiva testimonianza la consacrazione il primo apostolato. Un mistero apostolico si sprigiona da chi si configura a Cristo nella radicalit delle esigenze evangeliche. Lapostolato fondamentale per il consacrato ci che . La consacrazione, riguardando la sfera dellessere, ne tocca necessariamente la dimensione apostolica.

4 5 6

Cf CIC, c. 674. Cf CIC, c. 673. Cf n. 26.

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La vita consacrata: soggetto di missione I consacrati sono perci uno dei soggetti della missione globale della Chiesa, per un proprio apporto specifico che li caratterizza. In quanto consacrati essi non evangelizzano solo attraverso la Parola n soltanto mediante i sacramenti. Non evangelizzano neanche mediante le opere, anche se queste hanno avuto un ruolo di rilievo nella storia ecclesiale. Le attivit apostoliche degli istituti, pur importanti ed essenziali in alcune epoche storiche, rimangono pur sempre un mezzo, un veicolo di evangelizzazione 7. La vita consacrata offre il suo contributo pi significativo allopera di evangelizzazione della Chiesa per mezzo dellessere dei propri membri, della loro vita, qualunque forma di azione questultima possa acquistare. Se la vita dei consacrati non in s evangelizzatrice, perde la propria ragione di essere e non collabora con la missione pi globale della Chiesa. Certamente nel mondo contemporaneo occorre che i consacrati seguano tutto lo sforzo della societ e della Chiesa nella cultura, nelle tecniche, nei mezzi di comunicazione sociale. Il mondo contemporaneo esige modalit nuove rispetto al passato. Ma lapporto autentico della vita consacrata alla missione evangelizzatrice della Chiesa rimane pur sempre la forza della vita dei propri membri, del loro essere, della loro testimonianza, in modo fedele e radicale alle esigenze evangeliche vissute nella mediazione del proprio carisma. Levangelizzazione prevede un annuncio, ma anche una testimonianza che d credibilit e forza allannuncio. Evangelizzare anche interpellare levangelizzato ad una risposta di vita vissuta 8. Proprio perch la fede cristiana si situa prima di tutto non a livello intellettuale, ma esistenziale, di rapporto interpersonale con Dio, la forza della testimonianza dei consacrati raggiunge il nucleo pi profondo dellevangelizzazione. La vita consacrata infatti in s segno e realt di unalleanza sponsale con Dio 9. la consacrazione ad inserire i consacrati pi profondamente nella storia, facendoli pi solidali con gli uomini, facendoli assumere i loro problemi, le loro sofferenze, le loro angosce, le loro speranze. Lontano dallessere una evasione dal mondo, la consacrazione rende
7 8 9

Cf J. BEYER, Valori essenziali da esprimere nelle Costituzioni, in Vita Consacrata 22 (1986) 287ss. Cf M. AZEVEDO, I religiosi vocazione e missione, Milano 1988, 191-223. Cf CIC, c. 607.

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capaci di immergersi in esso, di assumerlo pi radicalmente. I consacrati non rompono la relazione al mondo, ma questultima assume modalit particolari. Queste ultime devono rispettare anche le esigenze e le caratteristiche dellistituto: va cercata allinterno del carisma dellistituto la relazione tra la propria consacrazione e la missione, la peculiarit del proprio modo di contribuire alla missione della Chiesa. Le esigenze dei diversi carismi devono essere rispettate, da esse scaturiscono diverse condizioni per la realizzazione della missione; cos come diversi stili di organizzazione, di comunione, di partecipazione, di collaborazione alle attivit della Chiesa. Ci troviamo davanti al problema centrale dellidentit del proprio carisma, che deve essere sempre pi approfondito e vissuto. La vita consacrata nella nuova evangelizzazione I Lineamenta affermano con grande vigore che La chiamata alla nuova evangelizzazione oggi al centro della missione della Chiesa; essa aggiungono concerne tutti: chierici, religiosi, laici ed in essa devono essere impegnate le energie migliori nelle programmazioni dei prossimi anni. I Lineamenta, riportando le parole del Concilio ed in linea a quanto detto, sottolineano che i consacrati non sono estranei alla vita degli uomini (LG 46), anzi essi sono tenuti ancor pi presenti nella profondit della loro consacrazione. Per questo, grandi sono i compiti della vita consacrata nella societ di oggi. (...) Si tratta di una presenza apostolica diretta allevangelizzazione (n. 44). Il significato che i Lineamenta attribuiscono allespressione nuova evangelizzazione quello generale di una evangelizzazione in un mondo nuovo, un mondo trasformato ed in trasformazione, con nuovi problemi e sfide; ed anche il significato di evangelizzare con una nuova coscienza che la Chiesa ha di se stessa e della propria missione (lespressione nuova evangelizzazione, come noto, ha anche un senso pi specifico di evangelizzazione di quei gruppi, persone, societ che un tempo furono cristiani ed ora non lo sono pi). La vita consacrata esprime nella Chiesa la radicalit della ricerca di Dio, amato sopra ogni cosa (PC 5-6; Redemptionis Donum, 7). La testimonianza di questa realt ha un impatto di grande importanza nella evangelizzazione; costituisce il maggior contributo della vita consacrata (Evangelii Nuntiandi, 69; LG 9). Evangelizzare a partire da una profonda esperienza di Dio, cercando comunitariamente la luce e il discernimento per affrontare i problemi della vita quotidiana,

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sar garanzia di una efficace e trasparente predicazione del Vangelo agli uomini e donne del nostro tempo, diceva Giovanni Paolo II in una lettera apostolica indirizzata ai religiosi e religiose dellAmerica Latina 10. La testimonianza della vita cristiana la prima e insostituibile forma della missione: Cristo, di cui noi continuiamo la missione, il testimone per eccellenza e il modello della testimonianza cristiana (Redemptoris Missio, 42) 11. Vivere e presentare Cristo il compito centrale dei consacrati. Le varie forme di vita consacrata infatti esprimono uno speciale rapporto con Cristo, sono lesperienza di un aspetto della sua vita e lespressione di un suo mistero. Ogni carisma di vita consacrata attualizza unesperienza particolare con Cristo ed una partecipazione specifica alla sua missione. Sempre nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II ai religiosi e religiose dellAmerica Latina, si esprime da parte della Chiesa lattesa di un impulso costante e decisivo dei consacrati nella nuova evangelizzazione 12. I Lineamenta individuano indicativamente alcuni punti su cui dai consacrati si attende un contributo particolare. Essi riguardano una peculiare testimonianza dellamore di Dio nel mondo; unattenzione ai giovani che sono il futuro della Chiesa e dellumanit; un amore preferenziale per i poveri, nota costante dei carismi apostolici ed infine una significativa presenza nella trasmissione e nella formazione della cultura, in modo da illuminare i grandi problemi della societ che sono sostanzialmente problemi di cultura e di vita. Questultimo aspetto ha un rilievo fondamentale. Come i Lineamenta specificano: Nella missione della Chiesa si sente oggi in modo particolare il bisogno di contribuire ad una promozione della cultura e al dialogo fra cultura e fede (n. 44d). La rottura profonda tra cultura e fede infatti uno dei grandi drammi della nostra epoca. La vita consacrata nel suo apporto allevangelizzazione chiamata a dare un contributo decisivo nellilluminare le vie del Vangelo in dialogo con la ragione e la cultura umana. Rimane lesempio dei monasteri medioevali che divennero luoghi di trasmissione di una nuova cultura umanistica e cristiana. Ugualmente lesempio del monachesimo occidentale che ha contribuito a costituire la struttura dellEuropa; ed ancora lo splendido esempio di S. Benedetto che fu capace di trasfor10

GIOVANNI PAOLO II, I cammini del Vangelo (29 giugno 1990, in Il Regno Documenti 35 (1990) 513-521, n. 25. 11 Cf anche EN 69. 12 Cf n. 24.

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mare la verit evangelica non solo a regola di vita per le sue comunit monastiche, ma pi ancora in sistema di vita per gli uomini e per i popoli 13. Conclusione La vita consacrata quale uno dei soggetti attivi della missione della Chiesa pu offrire un enorme contributo allevangelizzazione del mondo contemporaneo. Il Sinodo render un grande servizio a tutto al popolo di Dio ed in particolare ai consacrati, se sapr chiarificare sempre pi i fondamenti dottrinali in base ai quali tale contributo pu essere unico ed autentico. La riflessione deve partire da unanalisi realistica dellesperienza degli istituti, dei loro problemi, delle loro specificit carismatiche. Ci aiuter i consacrati a ritrovare una fiducia sulle proprie chanches di collaborare alla nuova evangelizzazione, liberandosi anche di tanti complessi di inferiorit che i gravi problemi che affliggono la vita consacrata hanno contribuito a creare, soprattutto nei confronti di altre categorie ecclesiali, come i laici, che godono oggi di un protagonismo pi marcato. SILVIA RECCHI P.U. Redemptor hominis Socialestraat, 3 3600 Genk (Belgio)

13

GIOVANNI PAOLO II, Ritrovare il senso della vita sul modello di S. Benedetto (23 marzo 1980), in Insegnamenti di Giovanni Paolo II III/1 (1980) 681-687.

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di fra PierMario da Soncino, F.S.F.

1. Tra gli aspetti negativi riguardanti la vita consacrata, che il documento preparatorio alla IX Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi ha messo in evidenza, emerge, pur occupando nel relativo numero lultima posizione, quello concernente la crisi vocazionale degli Istituti, da anni oggetto di numerosi interventi orientativi della loro autorit interna ed esterna, nonch di ampie disamine dottrinali da parte di esperti in varie discipline. Ecco il testo in questione:
In alcune nazioni urge molto il problema delle vocazioni. Si constata una progressiva diminuzione delle persone e un conseguente venir meno delle opere, cosa che mette in pericolo lesistenza di alcuni Istituti. Si tratta di una situazione che deve essere affrontata con verit e prudenza a motivo dei molti problemi che da essa sorgono in campo personale e pastorale. Talvolta si constata nei giovani una mancanza di attrattiva per le odierne forme della vita consacrata, mentre gli stessi cercano un ritorno alla tradizione o verso forme nuove, pi semplici, nel servizio della Chiesa locale 1.

Stimolati da queste constatazioni ad affrontare, con la verit che conosciamo e la prudenza di cui siamo capaci, un problema tra i pi complessi della vita ecclesiale odierna, cerchiamo, anzitutto, di precisare bene lambito entro il quale, nel corso di questo breve articolo, svilupperemo le nostre riflessioni.
1

CONSILIUM SECRETARIAE GENERALIS SYNODI, De vita consecrata deque eius munere in Ecclesia et in mundo. Lineamenta, Citt del Vaticano 1992, p. 34, n. 28/d [abbreviato dora in poi con la sigla Lineamenta seguita o preceduta dalleventuale indicazione del numero]. In vista di quanto stiamo per dire, ci siamo presi la libert di tradurre con mancanza di attrattiva, il corsivo nostro , la locuzione latina defectus fervoris, la quale per s muove il lettore a interrogarsi sulle ragioni che nei giovani provocano il venir meno dellentusiasmo nei riguardi delle proposte loro offerte dalle varie forme della vita consacrata.

Attrattiva della vita consacrata sui giovani doggi

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2. Di fronte a un fatto cos grave qual il calo numerico delle persone impegnate in un cammino di vita consacrata e a cui necessariamente tiene dietro il venir meno di quelle attivit che tanta parte hanno avuto e hanno nel piano di evangelizzazione e promozione umana da secoli portato avanti dalla Chiesa di Cristo, spontaneo interrogarsi sulle cause di questa crisi. Ebbene, chi vuole trovare una risposta a siffatto interrogativo ha davanti a s tre ambiti di indagine, convergenti attorno a quelli che, in definitiva, sono i protagonisti principali della vita consacrata: Dio che chiama, luomo che risponde e la Chiesa, che qui vogliamo considerare non tanto come colei che per mezzo dei suoi organi gerarchici accoglie, interpreta, regola ecc. questa vita, ma piuttosto come colei che nei suoi figli e figlie la propone in varie forme fiorite al suo interno lungo il cammino del tempo. 3. Diciamo subito che, per quanto ci riguarda, vogliamo evitare in queste righe di riflettere sul mistero di Dio che chiama luomo allunione sponsale con s, invitandolo a far proprio, come gi fece Maria, il genere di vita verginale, povero e obbediente che Cristo Ges abbracci quando pose la sua tenda in mezzo a noi 2. Nemmeno vogliamo prendere in esame le molteplici ragioni di ordine personale, familiare, sociale e culturale che possono rendere difficile in un giovane la risposta alla vocazione di speciale consacrazione che Dio gli rivolge 3. Ci che invece ci interessa, offrire alcune considerazioni sul perch spesso la vita consacrata si presenti ai giovani doggi priva di attrattiva in molte delle sue espressioni 4. Il tutto, dunque, si risolve
Non possiamo tuttavia esimerci dallesprimere il nostro convincimento che Dio, da parte sua, non centri per nulla con la crisi vocazionale che investe soprattutto i paesi la cui storia profondamente segnata dallevento cristiano. Siamo, infatti, del parere che la Trinit continui a chiamare numerosi uomini e donne alla vita consacrata, pur con volont condizionata al rispetto della loro libert. In questa prospettiva, la richiesta che Cristo avanza nel Vangelo di pregare il Padrone della messe affinch mandi operai nella sua messe, e che ben si applica anche al caso di persone chiamate alla professione dei consigli evangelici , va interpretata come invito a rimuovere gli ostacoli che nel chiamato possono impedire una risposta positiva allamore di Dio, non certo perch nelle Tre Persone divine nasca nel tempo unamore preferenziale che, come tale, Esse nutrono da tutta leternit nel mistero del loro essere. 3 Tali cause sono le stesse che possono rendere problematico il cammino di formazione istituzionale in chi ha trovato il coraggio di rispondere positivamente alla chiamata di Dio. In questottica, chi vuole pu leggere, come traccia per una riflessione pi approfondita, quanto scritto nel documento sulla formazione negli Istituti religiosi e che pu ben applicarsi a tutte le forme attuali della vita consacrata, gi istituzionalizzate o non ancora. Cf CONGREGATIO PRO INSTITUTIS VITAE CONSECRATAE ET SOCIETATIBUS VITAE APOSTOLICAE, Normae directivae Potissimum institutioni de institutione in religiosis Institutis, Romae 1990, p. 61, n. 88, presentate in Quaderni di Diritto Ecclesiale 4 (1991) 69-78. 4 Ci dispensiamo dalloffrire qui una tipologia della vita consacrata, anche perch, insieme alle sue espressioni gi riconosciute dalla Chiesa e per le quali sufficiente un rimando al Codice di diritto ca2

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per ora in questa domanda: Da parte sua, la vita consacrata ancora in grado di attrarre a s giovani di ambo i sessi in vista dellimpegno definitivo e totalizzante che essa richiede?. 4. In risposta a questo interrogativo necessario anzitutto aver presente che la locuzione vita consacrata indicativa di un genere e che perci la realt cui essa fa riferimento non esiste in s, ma solo nelle singole specie che a questo genere appartengono. Questa osservazione ci sembra molto importante, perch ad essa si collegherebbe il fatto che mentre alcune specie o forme di vita consacrata, strettamente legate nel loro sorgere a particolari circostanze storiche, potrebbero, per il venir meno di quelle circostanze, cessare di esercitare unattrattiva vocazionale, altre, invece, sarebbero in grado di mantenere per intero il loro fascino perch pi libere da condizionamenti provocati da fattori contingenti epocali. 5. Ci premesso, resta pur vero che, almeno concettualmente, si pu parlare di vita consacrata come vita completamente dedicata a Dio nella professione o attuazione pratica dei consigli evangelici, abbracciando con queste due parole tutte le sue possibili espressioni. Di conseguenza torniamo a chiederci se non si diano situazioni tali, legate a una particolare congiuntura storica, in cui un simile genere di vita nel suo complesso, ossia in tutte le diverse specificazioni che pu assumere, cessi oggettivamente di esercitare unattrattiva sui giovani che con questo genere di vita vengono a contatto e che Dio, da parte sua, chiama a s. Per conto nostro non abbiamo esitazioni a dire con forza: no. A noi sembra impossibile che in se stessa la vita consacrata possa, nel suo genere e anche solo per brevi spazi di tempo, perdere il proprio fascino e quindi la sua capacit di attrarre uomini e donne che Cristo Dio ha fatto solo per s e che per questa ragione non troveranno mai il loro pieno equilibrio e la loro vera pace se non nella misura in cui saranno completamente suoi e in lui riposeranno. La vita consacrata manifesta, infatti, in modo eminente rispetto ad altri generi di vita cristiana, lo stesso tipo di vita tenuto da Ges di Nazareth durante il tempo del suo pellegrinaggio terreno e da lui
nonico, vogliamo applicare il nostro discorso pure a quelle nuove forme che stanno lavorando a meglio definirsi e che un domani potrebbero essere giuridicamente approvate dalla Sede Apostolica a norma del c. 605.

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proposto con speciale consiglio a quanti tra i suoi discepoli avessero orecchie per intenderlo. In ultima analisi, la vita consacrata costituisce una peculiare manifestazione della persona di Cristo, che d la possibilit, a chi labbraccia, non solo di seguire pi da vicino il Signore imitandone radicalmente le scelte esistenziali, ma di incontrarsi e di unirsi misticamente a lui con assai meno ostacoli e con maggiori doni di grazia 5. Ecco perch essa non pu smarrire la sua forza attrattiva. Pensare diversamente significherebbe o ritenere la vita consacrata una realt diversa da quello che assai sinteticamente abbiamo appena esposto oppure pensare che sia addirittura il Signore Ges ad aver perso il suo fascino e che perci ogni cosa lo riguardi da vicino non possa pi esercitare una vera e profonda attrattiva sulluomo 6. 6. Se le cose stanno in questi termini, cio se Cristo e la vita consacrata nel suo insieme non possono perdere la loro amabilit, perch oggi si constata nei giovani una mancanza di attrattiva per le odierne forme della vita consacrata? Una prima risposta la si pu trovare nellosservazione fatta sopra circa la presenza nella Chiesa di espressioni di vita consacrata assai legate nel loro fiorire a situazioni storiche, ambientali e culturali contingenti. Fuori da queste coordinate, tali forme di vita costituirebbero una presenza disincarnata di Cristo e, di conseguenza, verrebbero orbate di quella capacit di attrazione che il Verbo di Dio esercita quando prende la nostra carne e si fa uomo in mezzo agli uomini 7. Tuttavia, non certo pensabile che tutte le forme odierne della vita consacrata rientrino nella categoria di quanto in s, sotto questo riguardo, va giudicato obsoleto, soprattutto quando ci si im5

Naturalmente alcuni lettori potranno chiedersi su quali basi poggiano le nostre affermazioni. Non essendo questo il luogo per sviluppare un discorso che ci porterebbe troppo in l rispetto al tema prescelto, ci limitiamo a dire che esse sono fondate su una visione teologica avente come norma prossima il magistero conciliare e quello successivamente proposto dalla Sede Apostolica, nonch su quanto di esperienza abbiamo accumulato in ventanni di vita religiosa. 6 Affermazione che, per uscire un attimo dal seminato, parzialmente e praticamente sottintesa nelle proposte di quellampio movimento che va sotto il nome di New Age, ma che allesame costituisce un assurdo teologico ed negata dai fatti. E difatti, oggi come oggi, Ges di Nazareth continua ad esercitare un forte fascino sulluomo, mantenendosi la sua persona e il suo messaggio al centro dellattenzione dei diversi settori della cultura, sia pure in forma a volte riduttiva o distorta. 7 Per noi non comunque facile giudicare quando ci si trovi di fronte ad una simile situazione, sia per i nostri limiti allorch si tratta di misurare per intero la portata di un carisma di fondazione, sia perch lo Spirito potrebbe aver immesso in un carisma di fondazione, vincolato nel suo sorgere ad elementi congiunturali, una capacit di adattamento e di sviluppo che lo rendono proponibile in ogni fase storica. Il che ci obbliga a cercare in unaltra direzione la risposta alla nostra domanda.

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batte in forme che vogliono essere lattualizzazione del dono di Dio concesso attraverso un Benedetto da Norcia, un Domenico da Guzmn, un Francesco dAssisi o un Ignazio di Loyola, tanto per dare alcuni riferimenti esemplificativi concreti. 7. La ragione, quindi, che ci sembra spiegare il perch persista una crisi vocazionale, anche nel caso in cui fuori discussione lattualit di cui le forme della vita consacrata godono, il venir meno a livello pratico della fedelt al carisma di fondazione ad esse soggiacente, col risultato di offrire unimmagine distorta, se in qualche caso non addirittura caricaturale, del progetto di vita inteso dai rispettivi fondatori. Ci significa, in altri termini, che la persona di Cristo, sia che preghi, sia che annunzi il Regno di Dio, sia che faccia del bene agli uomini, sia che con essi viva nel mondo, facendo sempre, tuttavia, la volont del Padre 8, rimane offuscata nellimmagine che di lui pretendono di offrire le forme odierne della vita consacrata e che, di conseguenza, il Signore non possa esercitare sui giovani, che egli ama, la sua forza seduttrice, tanto per esprimerci nel linguaggio di Giovanni evangelista e di Geremia profeta. 8. Che la realt della crisi vocazionale possa venire interpretata in questo modo ci sembra di poterlo dedurre anche dal resto del n. 28 dei Lineamenta, da noi citato in apertura di articolo solo nella sua ultima parte. Infatti, gli aspetti negativi elencati nei punti a), b) e c) del suddetto numero 9 ci sembra possano essere tutti ricondotti a quella infedelt al carisma di fondazione cui abbiamo appena accennato 10.
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Cf c. 577. Ecco il testo in questione: a) In alcuni istituti o in alcune regioni si sono mostrati dei segni di confusione, in persone ed in gruppi, a motivo delle mutazioni introdotte nei testi costituzionali e nella prassi concreta che in passato erano ignorate. Sono molti coloro che confessano la mancanza di equilibrio fra i diversi aspetti della vita consacrata, in un genere di vita che sia un vero rinnovamento dei suoi beni spirituali, e questo avviene specialmente in ci che riguarda la liturgia, il modo di pregare, lascesi, lobbedienza, la povert, la vita comune, la generosa dedizione apostolica. b) In alcuni campi della vita consacrata, sia maschile che femminile, si accusano segni ed espressioni di individualismo e di secolarismo, che ripugnano al significato della consacrazione e della tensione alla perfezione. Una certa monotonia del modo di condursi e del genere di vita spirituale e comunitaria ha portato ad una debilitazione nella concreta adesione al carisma e alle opere proprie, e al detrimento della pubblica testimonianza della vita consacrata nella societ. c) In alcuni casi, purtroppo, sono stati rilevati anche momenti di tensione con la gerarchia e manifestazioni di dissenso teorico e pratico contro lautorit e il magistero della Sede Apostolica, contro i vescovi, oppure nei riguardi della prassi liturgica, violando in questo modo lindole ecclesiale della vita consacrata, la debita comunione con i pastori della chiesa e la sottomissione ai medesimi Lineamenta 28, a), b) e c). 10 Vogliamo qui precisare che, nel contesto del nostro articolo, il termine fedelt va preso nel senso di conformit alloriginale, rimanendo quindi escluso ogni significato che suoni di condanna morale

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9. Nel riflettere, tuttavia, sulle ragioni che cagionano nei giovani una mancanza di attrattiva per le odierne forme della vita consacrata, il nostro pensiero vorrebbe andare oltre, nel tentativo di cogliere quello che, in definitiva, ci sembra rappresentare il nocciolo della questione. Per far questo dobbiamo tornare per qualche istante indietro nel nostro discorso. Dicemmo, e siamo sicuri di non errare, che il Signore Ges a distanza di duemila anni non pu aver perso nulla del suo fascino e che la sua charme si dispiega in modo particolare attraverso quella particolare condizione esistenziale e giuridica che nella sua Chiesa va sotto il nome di vita consacrata. Meditando sullesperienza storica di Ges, ci rendiamo altres conto che la ragione ultima della sua attrattiva non va tanto individuata nellascetismo da lui praticato, nellelevatezza di una dottrina proposta in modo tanto semplice e accessibile o nel bene operare a pro dei tanti bisognosi da lui incontrati, ma nel fatto che da ogni suo atto, da ogni sua parola, da ogni suo silenzio e da ogni sua sofferenza emergeva la presenza dellUomo che amava. Ora, ogni persona umana fatta per amare e per essere amata; e se a volte le succede di sprecare la propria vita in un falso amore per s, per persone o per cose, resta sempre vero che, incontrandosi con lamore immenso e trasparente di Cristo e la sua proposta di seguire lAgnello ovunque egli vada, impossibile che non ne resti in qualche modo toccata, pur conservando la libert di allontanarsi triste da lui per avergli preferito altro 11. Per quanto la riguarda, la vita consacrata nasce da questi incontri di uomini e di donne con lamore totalizzante ed esclusivo del Figlio di Dio fatto carne. Una volta fiorita in questa o quellaltra forma, la vita consacrata tende fin dai suoi primi passi a diventare espressione dellamore che Cristo nutre per tutte le persone che la Provvidenza di Dio mette sul cammino di quanti, gratificati dalla sconvolgente esperienza di questo amore, da esso si sono lasciati conquistare. tutto qui, ci pare, il succo dellesperienza vissuta dai cosiddetti fondatori o fondatrici.

in un campo dove, tra laltro, non sempre e non per tutti si pu parlare di responsabilit personale. A sua volta la conformit cui facciamo riferimento non e non deve essere intesa come una realt statica, bens dinamica, in quanto nella vita consacrata ogni sforzo di ritorno alle proprie origini carismatiche comporta necessariamente un adattamento alle mutate condizioni di tempo, di luogo e di cultura. 11 Cf Mc 10, 17-22.

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Se poi tra le persone con cui provvidenzialmente gli afferrati dallamore di Cristo vengono a contatto, vi sono alcuni che Dio chiama a s con amore di predilezione, lamore dei primi tende, per natura sua, ad assumere nei riguardi di questi ultimi i medesimi tratti che ci dato di scorgere nellamore di predilezione vissuto dal Signore verso i suoi apostoli; tratti che possiamo elencare in modo esemplificativo con i termini di rispetto, attenzione, disponibilit, dedizione, pazienza, purezza, cortesia, fino al sacrificio totale di s. cos, ci sembra, che tutti i fondatori e le fondatrici veramente mossi da Dio si sono diportati verso i loro primi compagni e discepoli. Questi ultimi, a loro volta, nella misura in cui lesperienza fatta accanto al loro fondatore o fondatrice li ha plasmati, dovrebbero riuscire a fare altrettanto, perch a questo sono chiamati tutti i consacrati: ad essere icone dellamore di Dio verso ogni uomo e in particolare verso quei fratelli e quelle sorelle che il Signore vuole mettere al loro fianco affinch Lo seguano 12. Abbiamo, tuttavia, usato il condizionale dovrebbero sia perch in questo movimento non vi nulla di automatico o di scontato, sia perch proprio su questo piano che, a nostro parere, la vita consacrata si rivela oggi particolarmente debole, col risultato di dar luogo alla tanto denunciata crisi vocazionale. 10. Infatti, anche oggi non mancano nelloccidente post-cristiano giovani dambo i sessi che, sia pure in numero ridotto rispetto a qualche decennio fa, si rivolgono a comunit di vita consacrata nel desiderio, quanto meno, di verificare uneventuale chiamata da parte di Dio a dedicarsi completamente a lui e al suo Regno. Ma spesse volte cosa trovano questi giovani? Niente, intendendo con questo non la carenza, che so, di impegni di studio o di apostolato, dai quali, in taluni casi, sono forse gravati fuori misura , bens il vuoto, la mancanza di quellamore di predilezione che solo ha la capacit di attrarre in modo decisivo il cuore e il destino di una persona, specie quando si trova a dover decidere su quale strada orientare la sua vita. Questo amore, almeno agli inizi e salvo esperienze non comuni a farsi, veicolato dai fratelli e dalle sorelle della comunit alla quale i giovani bussano nella loro ricerca, talvolta molto confusa, di Dio.

questa lanima di quella vita fraterna che, al di l delle sue modalit espressive, essenziale in tutte quelle forme di consacrazione che si distinguono per non essere vissute nella solitudine.

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Non una volta sola, purtroppo, ci per capitato di sentire dei giovani affermare: Cercavo di frequentare quella comunit per verificare se farmi religioso di quellIstituto, ma o quando andavo non trovavo nessuno, oppure, se cera qualcuno e venivo accolto, dopo poco ero quasi sempre lasciato solo. Ancora: Andavo da quei religiosi, ma dopo i primi complimenti nessuno si curava pi di me e se cercavo qualcuno con cui parlare delle cose che avevo dentro, nessuno trovava il tempo per ascoltarmi. E va sottolineato che cose simili accadono anche nelle cosiddette case di formazione, dove ci ben nota la situazione di giovani praticamente abbandonati a se stessi, magari sotto il pretesto dellautodisciplina, ma in realt per lincapacit di amarli nel Signore da parte dei loro educatori e della comunit che li ospita. In campo femminile la situazione la stessa: Sono andata in quel monastero ben intenzionata a cercarvi il Signore, ma laccoglienza stata fredda e lunica cosa che mi sono sentita dire stata di pregare. Volevo conoscere quelle suore, ma n mi hanno accolto per farmi sperimentare qualche giorno la loro vita n ho trovato qualcuna di loro disponibile ad ascoltare quello che passava nella mia anima. 11. Si badi che dicendo questo vogliamo ben guardarci da giudizi affrettati e soprattutto tali da fare di ogni erba un fascio. Inoltre sappiamo bene che la Regola di San Benedetto, e con essa tante regole antiche, esortavano a mettere alla prova la retta intenzione e la forza danimo di quanti bussavano alle porte dei monasteri, ad esempio non permettendo ad essi di entrarvi per diversi giorni e insultandoli in continuazione 13, ma qui proprio il caso di dire che quanto al modo di provare gli spiriti i tempi richiedono altri metodi. Inoltre aggiungiamo che se nel contesto particolare in cui ci troviamo a vivere i nostri giovani non trovano persone e comunit di vita consacrata capaci di far toccare ad essi con mano lamore che Cristo nutre per loro, niente potr attrarli alla vita consacrata e farli in essa perseverare, specie nei difficili anni della loro formazione istituzionale, salvo, sintende, che il Signore si manifesti loro in misura straordinaria, supplendo cos alle deficienze di coloro che dovrebbero essere icone del suo amore sponsale e misericordioso.

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Cf cap. LVIII della Regola di San Benedetto.

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12. A prova di quanto abbiamo appena accennato, conosciamo altri casi di giovani, di cui ci permettiamo di sottolineare lequilibrio umano e le ottime attitudini vocazionali , i quali, a chi li interrogava, hanno giustificato il loro ingresso in questa o in quella comunit di vita consacrata con parole simili alle seguenti: Sono entrato in quellIstituto, perch quando andavo in quella casa trovavo una fraternit che mi aspettava e mi voleva bene. 13. Ed qui che si innesta il discorso in merito a quelle forme della vita consacrata impostate su un ritorno alla tradizione, come anche circa quelle forme nuove, pi semplici, nel servizio della Chiesa locale che stanno fiorendo ai nostri giorni, e alle quali accenna il citato n. 28, d) dei Lineamenta. A nostro parere la loro riuscita vocazionale, al di l di ogni discorso sullattualit del carisma di cui sono portatrici , dovuta al fatto che, grazie allimpegno che questi consacrati mettono nel perseguire il fine che si sono proposti e grazie ai mezzi che al riguardo hanno adottato, essi riescono a realizzare un amore per Dio e per i fratelli pi libero da ostacoli e perci pi grande, pi tangibile, pi convincente; amore che diventa segno credibile, quasi sacramentale, dellamore che Cristo Dio ha per gli uomini, specie per i giovani chiamati a seguirlo pi da vicino. 14. Concludiamo questa nostra riflessione con un richiamo alla famosa affermazione di santa Teresa di Lisieux circa il nostro essere giudicati sullamore al tramonto di questa vita. Ci vale senza dubbio per le singole persone nel momento in cui dopo morte andranno incontro al giudizio particolare di Dio. Ma per le forme della vita consacrata noi siamo convinti che questo giudizio lo attua la storia nel presente in cui questa si consuma: l dove la vita consacrata vissuta in un non adeguato riconoscimento e in una non sufficiente fede nellamore sponsale che Dio ha per i suoi eletti, e l dove manca lo sforzo di amare fraternamente e maternamente i propri fratelli e le proprie sorelle, la storia stessa si incarica di far tramontare quella che ormai, da un punto di vista teologico, ha cessato di essere vita consacrata autentica. Da questo punto di vista, la crisi vocazionale della vita consacrata ci appare non di rado essere tra i segni che accompagnano lo svolgersi di questo giudizio, che comunque osiamo sperare non definitivo, primo perch la vita consacrata tra gli elementi essenziali della vita e della santit della Chiesa e, di conseguenza, partecipa nel suo

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genere allindeffettibilit della sposa di Cristo; secondo perch Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi e il fuoco dellamore che egli ha portato sulla terra ben in grado di estinguere ogni freddezza del nostro egoismo. Gi altre volte il Signore ha saputo suscitare nella sua Chiesa in diversi di quegli Istituti o monasteri che sembravano destinati a scomparire dei santi e delle sante, i quali sono stati il braciere su cui arso questo fuoco. Ebbene, se vero che lagire divino non capriccioso, ma fedele, possiamo ben pensare che la stessa cosa avverr in futuro. Allora, grazie ai nuovi santi suscitati dallo Spirito, la vita consacrata torner ad esercitare su molti giovani e molte giovani unattrattiva assai pi grande di quella che pu scaturire dal semplice amore di un uomo o di una donna, o dal possesso dei beni di questo mondo, o dallaffermazione di s sul piano sociale. Tutte queste cose, infatti, le si possono considerare come spazzatura, pur di raggiungere Colui dal quale luomo stato redento e sul cui volto gli angeli di Dio desiderano fissare lo sguardo. PIERMARIO DA SONCINO Santuario B.V. della Comuna 46035 Ostiglia (MN)

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Commento a un canone

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di Giangiacomo Sarzi Sartori

Par. 1 Sono vincolati allobbligo di celebrare la liturgia delle ore, i chierici a norma del c. 276 par. 2, n. 3; a norma delle proprie costituzioni, invece, i membri degli istituti di vita consacrata nonch delle societ di vita apostolica. Par. 2 Anche gli altri fedeli, secondo le circostanze, sono caldamente invitati a partecipare alla liturgia delle ore, in quanto azione della Chiesa.

Il Codice di diritto canonico dedica alla Liturgia delle Ore il Titolo II della seconda parte del Libro IV sulla funzione di santificare della Chiesa 1. In tre canoni stabilisce la normativa riguardante unazione di preghiera che propria della Chiesa, la quale anche in tal modo cio nella consacrazione del tempo adempie lufficio sacerdotale di Cristo (c. 1173). Il testo normativo che qui consideriamo inerente allobbligo della celebrazione della Liturgia delle Ore (Obligatione ... adstringuntur...) per i chierici e i membri degli istituti di vita consacrata e delle societ di vita apostolica (par. 1), ma contiene anche linvito rivolto a tutti i fedeli (etiam ceteri christifideles) di partecipare a questa preghiera che viene definita azione della Chiesa (par. 2). Azione di tutta la Chiesa proprio questa espressione del canone che ci rivela il significato pi pregnante della Liturgia delle Ore e lintenzione pi profonLa Liturgia delle Ore, con i Sacramenti e lAnno Liturgico, costituisce il terzo grande campo del culto cristiano. Per una introduzione che consenta unintelligenza dei suoi vari elementi dal punto di vista storico, ma soprattutto contenutistico, e per ricavarne una teologia e una spiritualit suggeriamo il volume quinto della collana Anmnesis dei professori del Pontificio Istituto Liturgico S. Anselmo di Roma: J. PINELL, Liturgia delle Ore, Marietti, Genova, 1990.
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da del magistero conciliare (SC 83-101), l dove ha voluto estendere a tutti la possibilit di celebrare lUfficio divino e anzi ne ha vivamente raccomandato la pratica presentandolo come voce della Chiesa, ossia di tutto il corpo mistico che loda pubblicamente Dio (SC 99). La Liturgia delle Ore, secondo lantica tradizione cristiana, infatti preghiera di tutta la Chiesa che continuando lopera sacerdotale di Cristo loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo intero (SC 83). Questa preghiera, dunque, sia pure in maniera diversa e secondo le circostanze (c. 1174, par. 2), riguarda tutti i fedeli ed compito primario di tutto il popolo di Dio cio della comunit ecclesiale, quindi anche dei laici, uomini e donne, grandi e piccoli, superando la mentalit secondo la quale lUfficio divino solo dovere e appannaggio del clero e dei monaci. Ci che risalta nei testi del Vaticano II il carattere di preghiera pubblica della Chiesa che riveste la Liturgia delle Ore (SC 90). E cio risalta il fatto che tutta la Chiesa e non solo quanti vi sono deputati in ragione di un precetto specifico sia chiamata ad una preghiera che parte da Cristo Ges, ne continua lazione, santifica tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode di Dio ispirandosi alla Scrittura e particolarmente ai Salmi, e rende capace la comunit dei fedeli di essere unita e concorde nellopera fondamentale e cio: ascoltando Dio che parla al suo popolo e facendo memoria del mistero della salvezza (c. 1173). Come tutte le altre azioni liturgiche, dunque, la Liturgia delle Ore non unazione privata, ma appartiene a tutto il corpo della Chiesa. Per questo, attuando il dettato conciliare, lInstitutio generalis de Liturgia Horarum (Principi e norme per la Liturgia delle Ore) del 2.2.1971 2, insiste anzitutto sullimportanza dellUfficio divino nella vita della Chiesa (cap 1) come preghiera pubblica e comune del popolo di Dio (nn. 1-2). E la si descrive come preghiera di Cristo Capo della nuova umanit e Mediatore fra Dio e gli uomini presentata al Padre a nome e a beneficio di tutti (nn. 3-4); preghiera della Chiesa che continua la preghiera di Ges, obbediente al suo insegnamento, e docile allo Spirito che la anima (nn. 5-8). Si tratta dunque di una preghiera dallo spiccato carattere comunitario (n. 9) volta alla consacrazione del tempo e di tutta lattivit umana (nn. 10-11), in
Institutio Generalis de Liturgia Horarum, edizione tipica latina e versione italiana in: EV, 4 pp. 94-209. Per una conoscenza pi approfondita del documento si veda lo studio di V. RAFFA, La nuova Liturgia delle Ore. Presentazione storica, teologica e pastorale, Edizioni OR, Milano, 1972.
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stretta relazione con lEucaristia centro e culmine di tutta la vita della comunit cristiana (n. 12) per una santificazione delluomo che incrementa la vita e lattivit del popolo di Dio in virt di una misteriosa fecondit (nn. 13-20). Come azione ecclesiale, tutti i membri della Chiesa sono coinvolti in questa preghiera; tutti possono celebrarla. Non unazione di culto riservata esclusivamente ad alcuni; tutti possono accedervi e anzi sono caldamente invitati a parteciparvi (enixe invitantur, c. 1174, par. 2) mentre alcuni sono anche vincolati ad un particolare obbligo che scaturisce dal loro stato di vita e quindi dalla loro vocazione e missione ecclesiale. Di qui la sottolineatura, presente anche nella normativa canonica, circa la partecipazione di tutti i fedeli alla Liturgia delle Ore, mentre lInstitutio generalis raccomanda anche la celebrazione in forma comunitaria poich laspetto ecclesiale della celebrazione... appare massimamente quando la compie, con il proprio vescovo circondato dai presbiteri e dai ministri, la Chiesa particolare, nella quale c veramente e opera la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica (n. 20). Del resto, il richiamo al carattere essenzialmente comunitario delle azioni liturgiche presente nei canoni preliminari del Libro IV del Codice dedicato alla funzione santificatrice propria della Chiesa, e in cui si delinea in maniera introduttoria ci che fondamentale ritenere in questa materia, che poi viene ampiamente sviluppata a seconda degli ambiti specifici. I due paragrafi del c. 837 desunti direttamente da SC 27-28 affermano che lazione liturgica per sua natura non un fatto privato, ma celebrazione della Chiesa che sacramento di unit, cio popolo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Essa dunque appartiene allintero corpo ecclesiale, lo manifesta e lo coinvolge. Da qui due conseguenze importanti: limpegno dei singoli fedeli in relazione alla vita liturgica di tutta la Chiesa, sia pure tenendo conto della diversit degli ordini, delle funzioni e delleffettiva partecipazione (par. 1); e la presenza e la partecipazione attiva dei fedeli alle azioni liturgiche che per la loro stessa natura (suapte natura), sono di carattere comunitario (par. 2). La Liturgia delle Ore certamente tra queste azioni che evidenziano laspetto prettamente comunitario della preghiera ecclesiale, tanto pi che questo atto liturgico non nacque come atto privato, lo divenne in seguito. In origine la sua celebrazione fu comunitaria e solo in seguito venne assunta dai chierici per il popolo. Si cos pas-

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sati da un atto davvero pubblico e comunitario ad un atto che solo nel segno (il clero che recita lufficio per i fedeli) indica il senso ed il valore di questa tipica preghiera della comunit cristiana tutta 3. Oggi, sulla base delle indicazioni conciliari, favorito il ritorno ad una celebrazione liturgica che sia pubblica, partecipata, coinvolgente e cio un atto di comunione ecclesiale che si esprime in ci che di pi sacro la Chiesa riceve, vive e annuncia: lopera sacramentale e santificatrice in genere di cui depositaria. Un atto che ritorni ad essere davvero comunitario: i fedeli e i loro ministri vescovo, sacerdoti e diaconi uniti nella medesima celebrazione della Liturgia delle Ore, in ununica assemblea liturgica che manifesti nella verit dei fatti questa specifica preghiera ecclesiale 4. Formazione alla vita liturgica Il richiamo del Codice ad una partecipazione estesa a tutto il popolo di Dio, implica limpegno ad una idonea formazione delle comunit cristiane alla preghiera liturgica in tutte le sue forme e quindi non solo la celebrazione eucaristica e particolarmente a questa tipica forma di preghiera che la Liturgia delle Ore. Le indicazioni dei Principi e norme riguardano soprattutto gli ambiti della comunit parrocchiale, della comunit familiare e dei gruppi laicali come spazi per una intensificazione della preghiera in comune utilizzando la Liturgia delle Ore riformata. La normativa canonica e pi diffusamente lInstitutio insistono infatti sulla partecipazione di tutti i fedeli a questo tipo di preghiera e quindi privilegiano la celebrazione della Liturgia delle Ore in forma comunitaria (IG 20),
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Circa lindagine storica sulla Liturgia delle Ore nella Chiesa suggeriamo linteressante e noto studio del Taft, ora tradotto anche in italiano, soprattutto la prima parte in cui approfondisce le origini e il significato della Liturgia delle Ore durante il periodo della tarda antichit mostrando cosera realmente lUfficio divino; e la parte quarta in cui si conduce una riflessione sul significato della Liturgia delle Ore nella vita della Chiesa: R. TAFT, La Liturgia delle Ore in Oriente e in Occidente. Le origini dellUfficio divino e il suo significato oggi, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, pp. 544. Laccurato lavoro corredato da unampia bibliografia e da un utilissimo indice analitico. 4 Nella parte dedicata alla Liturgia delle Ore nelle tradizioni occidentali dellopera citata del Taft, troviamo questa considerazione che val la pena riportare: Dal quindicesimo secolo in poi, la recita privata dellufficio era diventata una pratica generalizzata nel clero parrocchiale. Lobbligo della celebrazione comunitaria, che prima urgeva per tutti, si trasmette gradualmente a una rimanenza di professionisti del coro: i canonici o il capitolo della cattedrale. Doveva passare per almeno un altro secolo perch questa evoluzione giungesse a termine. Fino al Concilio di Trento (1545-1563), non conosco alcun decreto sinodale che obblighi alla recita privata dellufficio. Pi importante ancora che non esiste neppure alcun decreto che approvi tale recita in via ordinaria. Fino al sedicesimo secolo, la legislazione ufficiale della Chiesa continu a considerare la recita privata dellufficio come uneccezione, permissibile solo per necessit (pp. 385-386).

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ma chiaro che oltre alle celebrazioni diocesane in cui, attorno al Vescovo, appare pi visibilmente laspetto ecclesiale di tale preghiera, lassemblea dei fedeli che si raccoglie nelle comunit parrocchiali ad essere pi direttamente interessata a crescere in questa formazione e in questo stile di preghiera comunitaria. Si dice infatti che le comunit parrocchiali sono come le cellule della diocesi. Sono localmente ordinate sotto il loro pastore che fa le veci del Vescovo... e in certo qual modo rappresentano la Chiesa visibile costituita in tutto il mondo. Dove possibile celebrino le Ore principali in forma comunitaria in chiesa (IG 21). , quindi, compito dei pastori o di chi ha una particolare missione canonica non solo di indire e dirigere la preghiera della comunit, ma anche ladoperarsi perch i fedeli siano invitati e siano istruiti con opportuna catechesi a celebrare in forma comunitaria, specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi, le parti principali della Liturgia delle Ore, insegnando loro come giungere a una preghiera autentica, quando partecipano alla detta celebrazione e avviandoli a comprendere i salmi nel senso cristiano, s da condurli progressivamente a gustare e a praticare sempre di pi la preghiera ecclesiale (IG 23). LInstitutio invita anche le varie categorie di laici, quando si riuniscono insieme per la preghiera o per lapostolato o per altra ragione, a imparare ad adorare Dio Padre in spirito e verit principalmente nellazione liturgica e propone espressamente alla famiglia santuario domestico della Chiesa di non limitarsi alle comuni preghiere fatte insieme dai suoi membri, ma a celebrare secondo i criteri della opportunit, qualche parte della Liturgia delle Ore, per inserirsi pi intimamente nel culto della Chiesa (n. 27) Chi tenuto alla Liturgia delle Ore i chierici Il c. 1174 al primo paragrafo parla anzitutto dellobbligo di celebrare la Liturgia delle Ore a cui sono vincolati i chierici a norma del c. 276 par. 2, n. 3, e quindi dellobbligo a cui sono tenuti coloro che appartengono al clero diocesano, ma anche i chierici membri di istituti di vita consacrata e di societ di vita apostolica (cf c. 663, par. 3). Questo dovere perci riguarda i vescovi, i presbiteri e i diaconi aspiranti al presbiterato e concerne la recita quotidiana della Liturgia

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delle Ore (cotidie liturgia horarum persolvendi) secondo i libri liturgici approvati (secundum proprios et probatos liturgicos libros). In questultima annotazione va letto un richiamo alla fedelt che si deve mantenere nella forma della celebrazione, ma anche una sottolineatura circa la dignit che deve avere lazione liturgica la quale va rispettata e apprezzata per le forme con cui si presenta, in continuit con la tradizione ecclesiale, evitando manomissioni arbitrarie circa la sua struttura e i suoi contenuti. Il Codice colloca lobbligo della celebrazione anche nel capitolo dedicato ai diritti e ai doveri dei chierici, in un canone che vuole disciplinare il modo peculiare con cui essi devono tendere alla santit di vita in quanto consacrati a Dio per un nuovo titolo mediante lordinazione (c. 276, par. 1). Tra i mezzi che aiutano efficacemente a perseguire tale perfezione, oltre alladempimento dei doveri propri del ministero pastorale assunti e vissuti con generosa fedelt, la normativa richiama anzitutto la Sacra Scrittura e lEucaristia cio la duplice mensa in cui alimentare la vita spirituale e subito dopo la recita quotidiana della Liturgia delle Ore secondo le indicazioni della Chiesa. Il dettato del Codice a riguardo dei chierici non lascia dubbi sullimportanza dellUfficio divino e sullimpegno della sua celebrazione, e tuttavia occorre almeno accennare a due considerazioni che aiutano a cogliere la norma come unesigenza intrinseca allo stato di vita degli ordinati. a) Un impegno derivante dallordinazione Non si pu dimenticare anzitutto che il compito della preghiera fa parte degli Impegni degli eletti allordine dellepiscopato, del presbiterato e del diaconato, assunti solennemente nel corso della sacra ordinazione prima dellimposizione delle mani e della preghiera di ordinazione. Esplicitamente soltanto nellordinazione del diacono una delle promesse parla della Liturgia delle Ore come compito tipico e preciso derivante dallordinazione, proprio perch il diaconato costituisce il primo grado del sacramento. Si tratta di uno dei testi per linterrogazione dei candidati, celibi o sposati, recentemente rinnovati 5. Il vescovo, infatti, interrogando leletto pronuncia le seguen5

La Rivista Liturgica ha presentato in un suo numero la Editio Typica Altera dei Riti di Ordinazione: maggio-agosto 1991, n. 3-4. Si possono utilmente consultare gli articoli di: F. DELLORO, La Editio typica altera del Pontificale Romano delle Ordinazioni. I nuovi Praenotanda, pp. 281-335; e di: C. MAGNOLI, Varianti rituali ed eucologiche nellEditio altera dei Riti di Ordinazione, pp. 336-367.

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ti parole: Vuoi custodire e alimentare nel tuo stato di vita lo spirito di orazione e adempiere fedelmente limpegno della Liturgia delle Ore, secondo la tua condizione, insieme con il popolo di Dio per la Chiesa e il mondo intero? 6. Ci che espressamente si chiede al candidato allordine diaconale, ripreso anche nellordinazione presbiterale e in quella episcopale laddove, pur senza parlare della Liturgia delle Ore, si domanda alleletto un preciso impegno di orazione in ordine allassiduit della preghiera per il popolo cristiano. A colui che devessere ordinato presbitero il vescovo chiede infatti: Vuoi insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a te affidato, dedicandoti assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore? (...orando mandato indesinenter instans?) 7. E durante lordinazione episcopale al candidato viene chiesto: Vuoi pregare, senza mai stancarti, Dio onnipotente, per il suo popolo santo (pro populo sancto indesinenter orare), ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdozio? 8. Ora, il rinnovato libro liturgico per il conferimento dei sacri ordini fu promulgato dopo il Vaticano II da Papa Paolo VI (1968); stato riveduto da Giovanni Paolo II (1989) ed edito dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 1992 fedele ai suoi criteri ispiratori richiamati nelle premesse, si preoccupa di introdurre, nei testi e nei riti, in modo pi evidente proprio la natura ecclesiologica del servizio da esercitare e da vivere. Di qui, anche limpegno della preghiera con e per il popolo di Dio, assume un rilievo alquanto significativo. Il vescovo come pastore e apostolo del Vangelo... dal quale deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli visto come il liturgo della Chiesa par-

C.E.I., Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Citt del Vaticano, 1992, p. 159. Il testo latino recita cos: Vis spiritum orationis modo tuo vivendi proprium custodire et augere, et hoc spiritu Liturgiam Horarum, iuxta condicionem tuam, una cum populo Dei atque pro eo, immo pro universo mundo, fideliter implere?, Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum, Editio Typica Altera, Typis Polyglottis Vaticanis MCMXC, p. 109. Nella precedente edizione del rito dellOrdinazione del Diacono da parte della Conferenza Episcopale Italiana (1979) la formula presentava qualche elemento di diversit: Vuoi, conformemente al tuo nuovo stato di vita, custodire e alimentare lo spirito di preghiera e in questo spirito secondo la tua condizione di sacro ministro adempiere ogni giorno al fedele servizio della Liturgia delle Ore per la Chiesa e per il mondo intero?. Sembra cio che laccentuazione cada sulla condizione nuova di ministro sacro del diacono e sulla fedelt quotidiana alla Liturgia delle Ore. Infatti le due espressioni sacro ministro e ogni giorno non si ritrovano pi nella nuova edizione, mentre stato inserito il richiamo allunit con gli altri fedeli nella celebrazione delle Ore: insieme con il popolo di Dio. 7 C.E.I., Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Citt del Vaticano, 1992, p.113. Nelledizione originale latina, il rito prevede questa domanda: Vis nobiscum misericordiam divinam pro populo tibi commisso implorare orando mandato indesinenter instans?, op.cit., p. 61. 8 Op.cit., p. 44

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ticolare perch intorno a lui si raduna e si manifesta la Chiesa principalmente nelle celebrazioni liturgiche, e perch lui stesso investito del compito di pregare incessantemente per il suo popolo 9. Il presbitero, cooperatore del ministero episcopale nella guida del popolo di Dio si dovr primariamente dedicare alla preghiera, allascolto e alla predicazione del Verbo di Dio e al servizio dei poveri e dei sofferenti 10. Infine, anche al diacono, animatore della vocazione di servizio nella Chiesa in comunione con il vescovo e con i presbiteri, affidato con la Liturgia delle Ore uno dei primari servizi ecclesiali e cio il compito della Chiesa che loda Dio e per la salvezza di tutto il mondo si rivolge a Cristo, e per mezzo di lui al Padre 11. In questopera egli manifesta la sua pi profonda dedicazione al servizio di Dio e dei fratelli nel nuovo stato di vita in cui entra. Il Concilio aveva del resto evidenziato limportanza dellUfficio divino nella vita dei chierici e soprattutto nella spiritualit del prete. Basti ricordare la ribadita connessione tra la celebrazione eucaristica e quella delle Ore che ne estende la lode e il ringraziamento nei diversi tempi del giorno (Cf PO 5d); e laccentuazione del significato ecclesiale e pastorale dellUfficio quando si tratta dello stretto rapporto tra le funzioni sacerdotali e la crescita in santit dei presbiteri (Cf PO 13b). b) Lobbligatoriet della Liturgia delle Ore LInstitutio generalis de Liturgia Horarum poi annota che la celebrazione dellUfficio divino un compito che spetta in modo particolare ai vescovi e ai sacerdoti che, in forza del loro ufficio, pregano per il loro popolo e per tutto il popolo di Dio, e agli altri ministri sacri, come pure ai religiosi (n. 17). La celebrazione della Liturgia delle Ore costituisce dunque un evidente obbligo per le persone indicate, e principalmente per gli ordinati. La normativa canonica postconciliare ha fedelmente ripreso gli orientamenti del Vaticano II e dei Principi e norme per la Liturgia delle Ore esprimendo in termini di disciplina codiciale quanto gi avevano bene enunciato e motivato le indicazioni conciliari. Basti richiamare le affermazioni della costituzione sulla sacra liturgia quan9

Cf C.E.I., Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi. Nota Introduttiva, pp. 13-14. Ibidem, p. 14 11 Ibidem, Premesse, p. 129
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do riafferma il valore che ha in s lUfficio divino come opera di Cristo e della Chiesa, o quando insiste sul significato pastorale della Liturgia delle Ore per i sacerdoti impegnati nel ministero, o ancora quando presenta la relazione tra questa preghiera pubblica della Chiesa e la preghiera personale evidenziando che questultima trova proprio in quellazione liturgica la fonte di unautentica piet e da essa trae nutrimento 12. Di qui linequivocabile prescrizione conciliare che stabilisce lobbligatoriet dellUfficio divino da recitarsi ogni giorno per le comunit tenute al coro (SC, n. 95) e anche per i chierici non obbligati al coro e che sono per obbligati ogni giorno, in comune o da soli, a recitare tutto lUfficio (cotidie... obligatione tenentur totum Officium persolvendi, SC 96). Con pareri diversi si discute sulla gravit di questo dovere e della eventuale trasgressione di questo impegno. Infatti, i commentatori, pur non dimenticando che i documenti del Vaticano II e lInstitutio generalis hanno posto laccento sul valore dellintegra celebrazione quotidiana dellUfficio divino evidenziando le ragioni di fondo che determinano tale prassi e vincolano i ministri sacri al suo fedele esercizio, si soffermano sul fatto che in questo stesso magistero si trovano pure annotazioni sullimportanza delle varie Ore allinterno della struttura di questa celebrazione liturgica. A questo riguardo, ricordiamo lindicazione contenuta nel n. 89 di Sacrosanctum Concilium sulla preghiera di Lodi e Vespri, duplice cardine dellUfficio quotidiano, che devono essere ritenute le ore principali. Laffermazione poi ripresa nel n. 29 dei Principi e norme quando si dice che i chierici diano prima di tutto la dovuta importanza alle Ore che sono come il cardine della liturgia oraria, cio alle Lodi mattutine e i Vespri. Non tralascino mai queste ore se non per un motivo grave (caveantque ne has Horas omittant, nisi gravi de causa). sembrato pertanto che si fossero stabiliti dei gradi di obbligazione e che lobbligo grave, per coloro che sono tenuti da legge generale a tutto lUfficio divino, riguardasse soltanto la recita quotidiana delle Lodi e dei Vespri 13.

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Si veda il capitolo IV della costituzione Sacrosanctum Concilium nn. 83; 86; 90. In base a questa interpretazione, lobbligo di recitare lUfficio delle Letture resta, ma non grave come per le Ore di Lodi e Vespri. NellInstitutio si dice: celebrino anche fedelmente lUfficio delle Letture (Officium quoque lectionis... fideliter peragant); pi leggero sarebbe lobbligo per lOra Media e la Compieta; si afferma infatti che per santificare meglio lintero giorno, abbiano a cuore la recita dellOra Media e di Compieta (Quo melius totum diem sanctificent, cordi insuper ipsis erit recitatio Horae

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Sappiamo, tuttavia, che lorientamento chiaro e deciso di tutte le fonti liturgiche e normative circa questa preghiera che rientra pure nella funzione di santificare e nel culto pubblico della Chiesa descritti nel c. 834 par. 1 quello di una sua completa, fedele e quotidiana celebrazione da parte di quanti, in forza del loro ufficio, sono preposti alla guida e alla santificazione del popolo cristiano (SC 84; 96; c. 1174, par. 1). La stessa Institutio dichiara: perci i vescovi, i presbiteri e gli altri ministri sacri, che hanno ricevuto dalla Chiesa il mandato di celebrare la Liturgia delle Ore, devono eseguire tutto intero il suo ciclo (integrum eius cursum cotidie persolvant IG 29). Dunque, circa il tema dellobbligazione per i chierici occorre riconoscere una coerenza ed una continuit di pensiero e di prescrizione evidenti dal Concilio al Codice, come stato di recente ben documentato 14. Per gli ordinati, infatti, in materia di obbligazione circa la quotidiana e completa recita della Liturgia delle Ore il Codice del 1983 non ha voluto mutare le precedenti indicazioni del Vaticano II e dei Principi e norme, ma ha chiaramente espresso lobbligazione gi vigente nella Chiesa. Tuttavia, circa questo dovere materia non sempre ben presentata dagli autori che indagano sulle questioni inerenti alla Liturgia delle Ore occorre considerare non soltanto laspetto vincolante nei suoi elementi prettamente disciplinari, ma soprattutto lintenzione profonda che ha guidato la Chiesa nello stabilire questo preciso obbligo. Nella disciplina conciliare, infatti, dalla costituzione Sacrosanctum Concilium fino alla Institutio generalis de Liturgia Horarum, si ritrova anzitutto laffermazione del senso teologico e pastorale dellUfficio divino; e quindi lobbligo quotidiano a cui tenuto il clero tranne il caso dei diaconi permanenti ad assolvere lintero corso di tale liturgia opportunemente motivato allinterno della presentazione generale di questa azione liturgica e del suo rilievo nellorazione ecclesiale. N va trascurato il fatto che la disciplina conciliare insiste particolarmente sul nesso esistente tra lobbligo della recita dellUfficio divino e lordine sacro ricevuto. Come abbiamo visto, infatti, vi un mandato peculiare della Chiesa affidato ai chierici, ed quello della preghiera: una preghiera non soltanto personale, ma per
mediae et Completorii), si veda: V. RAFFA, Istruzione Generale sulla Liturgia delle Ore. Versione italiana e commento, Edizioni O.R., Milano, 1971, pp. 56-57. 14 A questo proposito si veda larticolo chiaro e ben documentato del prof. Julio Manzanares pubblicato su un recente numero della rivista Notitiae la cui parte monografica sul tema Ministero e Liturgia delle Ore: J. MANZANARES, De obligatione Liturgiam Horarum cotidie persolvendi, in Notitiae, 27 (1991) 189-206.

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tutto intero il popolo di Dio; una preghiera che scaturisce dal significato stesso del sacramento dellOrdine e della missione che i ministri sacri sono chiamati a svolgere. Cos, non pu essere avallato ci che attenua limpegno dellosservanza diligente di questa quotidiana pratica di orazione ecclesiale per i chierici n ci che sminuisce le ragioni ed il valore della disciplina sullesercizio della preghiera nella vita dei ministri sacri e sul senso dellorazione nel ministero salvifico che essi esercitano a favore dei fratelli 15. i diaconi permanenti Anche per i diaconi permanenti la normativa canonica stabilisce la recita obbligatoria della Liturgia delle Ore nella misura stabilita dalla conferenza episcopale (c. 276, par. 2, n. 3). La Conferenza Episcopale Italiana ha recentemente approvato (36 Assemblea Generale, 29.10.1992) e promulgato (1.6.1993) il documento: I Diaconi permanenti nella Chiesa in Italia. Orientamenti e norme (Notiziario C.E.I., 6, 1993) riprendendo una riflessione che era partita da circa ventanni e cio dal momento della restaurazione del diaconato permanente in Italia 16 e aggiornando gli indirizzi che accompagnano la crescita e lapporto di questo specifico ministero ordinato nelle chiese particolari. Al n. 26 del testo, trattando della formazione dei diaconi, si sottolinea come anche la Liturgia delle Ore quotidiana debba contrassegnare il cammino e il progresso spirituale dei candidati. Al n. 38 poi, nel capitolo in cui si parla del ministero dei diaconi, si afferma che con lordinazione diaconale si diventa chierici e si incardinati nella chiesa particolare o in un istituto di vita consacrata o in una societ di vita apostolica, con le determinazioni dettate in materia dalla vigente legislazione canonica. E successivamente si dichiara che dal momento dellordinazione i diaconi sono tenuti allobbligo quotidiano della celebrazione delle Lodi mattutine, dei Vespri e della Compieta, e ci in base al c. 276, par. 2,
Si veda larticolo sopra citato pp. 198-202. Dopo lemanazione del documento di Paolo VI Sacrum Diaconatus Ordinem (18 giugno 1967) in cui furono fissate le norme canoniche circa il diaconato permanente, la Conferenza Episcopale Italiana aveva approvato la restaurazione del diaconato permanente (VII Assemblea Generale, 12 novembre 1970) e aveva gi promulgato il documento La restaurazione del diaconato permanente in Italia (8 dicembre 1971). In quel testo, per quanto riguarda la vita spirituale, al n. 41 veniva stabilito che per la particolare configurazione a Cristo realizzata dallordine sacro, il diacono si impegner allimitazione amorosa e generosa di lui, alimentandola con la frequente lettura della Scrittura, con lintensa vita liturgica e sacramentale, con la recita quotidiana delle Lodi e dei Vespri (Enchiridion Cei, 1, p. 1155)
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n. 3 e in conformit con quanto fu stabilito dalla Delibera C.E.I. n. 1 del 23.12.1983 17. i membri degli istituti di vita consacrata e delle societ di vita apostolica Sia i chierici, sia coloro che non hanno ricevuto il sacramento dellOrdine e appartengono ad istituti di vita consacrata o a societ di vita apostolica sono pure vincolati allobbligo della recita dellUfficio divino ma a norma delle proprie costituzioni. Il c. 663, par. 3, soprattutto a riguardo dei religiosi, trattando del loro primo e particolare dovere che risiede nella contemplazione delle verit divine e nella costante unione con Dio nellorazione (c. 663, par. 1), prescrive che attendano... alla dignitosa celebrazione della Liturgia delle Ore secondo le disposizioni del diritto proprio 18. Tra le comunit di vita religiosa lInstitutio generalis evidenzia quelle di canonici, di monaci, di monache e di altri religiosi, le quali celebrano la Liturgia delle Ore in forza della regola o delle costituzioni, nel rito comune o in quello particolare, in maniera completa o parziale. Esse rappresentano in modo speciale la Chiesa orante ed esprimono pi pienamente il modello della Chiesa che loda Dio senza interruzione e nella fusione delle voci; in tal modo assolvono il compito di collaborare alledificazione e allincremento di tutto il Corpo mistico di Cristo e al bene delle Chiese particolari prima di tutto con la preghiera (n. 24) 19. Ai religiosi e alle religiose esenti dallobbligo della celebrazione comune e ai membri di qualsiasi istituto di perfezione lInstitutio fa invece viva raccomandazione di riunirsi insieme fra loro e con il popolo per celebrare la Liturgia delle Ore tutta o in parte (n. 26).

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Su questo argomento rimandiamo senzaltro allarticolo di M. CALVI, Il diaconato permanente nel diritto particolare della Chiesa italiana. Commento alle delibere CEI, in Quaderni di diritto ecclesiale 2 (1989) 223-227. 18 Per un commento circa gli obblighi spirituali principali dei membri di istituti religiosi, rimandiamo al testo: J. BEYER, Il diritto della vita consacrata, Editrice ncora, Milano, 1989, pp. 343-346. 19 Dopo la promulgazione dei Principi e norme in risposta a petizioni giunte da alcune comunit religiose, in particolare fra quelle dedite alla vita contemplativa, la Sacra Congregazione per il Culto Divino, il 6 agosto 1972 con il documento Universi qui (EV 4, pp. 1093-1101) pubblicava norme ulteriori su La Liturgia delle Ore per alcune comunit religiose in cui confermava il dettato conciliare, dichiarava la fedelt dellInstitutio Generalis al mandato del Vaticano II e tuttavia concedeva la possibilit di varianti e adattamenti, soprattutto in ordine ad una pi prolungata celebrazione dellUfficio di Lettura, che per essere introdotte richiedono il consenso della comunit con almeno i due terzi dei voti favorevoli in votazione segreta.

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Per i membri di istituti secolari il c. 719 richiama la necessit di unintensa vita spirituale per rispondere fedelmente alla propria vocazione e perch la loro azione apostolica scaturisca dallunione con Cristo; e pur senza parlare esplicitamente della Liturgia delle Ore, al par. 1 si dice che devono attendere alla lettura della Sacra Scrittura, osservare i tempi del ritiro annuale e compiere le altre pratiche spirituali secondo il diritto proprio 20. Qui non viene data nessuna norma generale rigida. La Liturgia delle Ore era gi menzionata nel c. 663 par. 3, e nel c. 1174 par. 1 si rimanda agli statuti. Ci significa che la celebrazione dellUfficio divino da prevedersi anche per gli istituti secolari, sia pure con le semplificazioni o gli adattamenti che tengono conto delle particolarit della consacrazione secolare. Anche per le societ di vita apostolica la normativa canonica stabilisce che tutto ci che riguarda il loro modo di tendere alla perfezione della carit e quindi anche ci che rientra nellambito della vita spirituale sia vissuto nellosservanza delle costituzioni e degli obblighi previsti (cf cc. 731; 735, par. 3; 739). In realt i riferimenti sono molto sobri, al punto che non si specificato nulla a proposito della celebrazione delle Ore. Forse la grande variet di queste societ pu essere un motivo che ha indotto a questo silenzio comunque colmabile, anche a livello generale, con il rimando ad altri riferimenti codiciali paralleli e facendo appello allanalogia del diritto, tenuto conto del fatto che nonostante la discussione su questo punto sia aperta le societ di vita apostolica sono assimilate (accedunt, c. 731) agli istituti di vita consacrata. Vi quindi certamente un obbligo sancito dal Codice nel primo paragrafo del c. 1174 circa la celebrazione delle Ore canoniche per gli istituti di vita consacrata in genere, a seconda delle rispettive costituzioni (ad normam suarum constitutionum). La disciplina canonica poi nel Libro II rende particolarmente esplicito questo dovere per i religiosi e le religiose sempre secondo la disciplina del diritto proprio di ogni istituto. Vi inoltre un richiamo del Codice ad unintensit di vita spirituale che segua le pratiche di preghiera stabilite dalle proprie normative (e quindi compresa anche la Liturgia delle Ore in tutte o in alcune delle sue parti) per gli istituti secolari e le societ di vita apostolica.
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Per un commento approfondito del c. 719 sulla vita spirituale dei membri di tali istituti e in particolare sulle modalit della loro partecipazione alla lode divina della Chiesa si veda il testo gi citato del Padre Jean Beyer, alle pp. 483-487.

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gli alunni del seminario Il Libro IV del Codice, quando parla della Liturgia delle Ore non cita i seminaristi tra le persone che devono celebrare questa preghiera tipicamente ecclesiale. Ma nel Libro II, trattando della formazione dei chierici (Titolo III) si dispone che gli alunni del seminario siano formati alla celebrazione della Liturgia delle Ore (Efformentur ad celebrationem Liturgiae Horarum) e si aggiunge una sobria ma efficace motivazione sul valore pastorale di questa importante preghiera. Mediante la Liturgia delle Ore, infatti, i ministri di Dio pregano il Signore a nome della Chiesa per tutto il popolo cristiano loro affidato, anzi per il mondo intero (c. 246, par. 2). Ed a questo primo ed essenziale impegno di preghiera apostolica che vanno preparati i futuri presbiteri. Su questo solido fondamento si costruir ogni altra opera ministeriale e trover significato il compimento di ogni altra attivit apostolica. Il Codice, infatti, ricorda che proprio mediante la formazione spirituale che gli alunni sono resi idonei allesercizio fecondo del ministero pastorale e sono permeati di spirito missionario, consapevoli che ladempimento fedele del ministero in atteggiamento costante di fede viva e di carit contribuisce alla propria santificazione (Cf c. 245 par. 1). Del resto, nel documento conciliare sulla formazione dei preti Optatam Totius, quando si tratta della necessit di un maggior impegno per lapprofondimento della vita spirituale, si afferma innanzitutto lo stretto collegamento esistente tra la formazione spirituale e quella dottrinale e pastorale, e per questo si invitano gli educatori dei seminari ad insegnare ai futuri presbiteri a cercare Cristo in ogni attivit: nella fedele imitazione della Parola di Dio; nellattiva partecipazione ai misteri sacrosanti della Chiesa, soprattutto nellEucaristia e nellUfficio divino; nel vescovo che li manda e negli uomini ai quali sono inviati... (n. 8a). E poi si ricorda che gli esercizi di piet raccomandati dalla tradizione della Chiesa, e quindi anche la fedele celebrazione della Liturgia delle Ore, devono essere vivamente inculcati (enixe foveantur pietatis exercitia) ma facendo attenzione al fatto che la formazione spirituale non consista solo in questi esercizi... Gli alunni imparino piuttosto a vivere secondo lideale del Vangelo, a radicarsi nella fede, nella speranza e nella carit, in modo che attraverso lesercizio di queste virt possano acquistare lo spirito di preghiera, ottengano forza e difesa per la loro vocazione, rinvigoriscano le altre virt e crescano nello zelo di guadagnare tutti gli uo-

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mini a Cristo (n. 8b). In questa preziosa indicazione si intravvede il senso e limportanza della preghiera, e specialmente della Liturgia delle Ore, nella formazione al sacerdozio e nella vita del prete in connessione con tutta lazione ministeriale a cui chiamato. Anche negli Orientamenti e norme per i seminari italiani pubblicati dalla C.E.I. nel 1980, si trovano dei riferimenti al senso e alla pratica della Liturgia delle Ore nel cammino formativo dei futuri presbiteri. Segnaliamo due criteri che vengono opportunamente stabiliti. Il primo riguarda la comunit del seminario minore (parte terza) quando, a proposito della formazione spirituale, si chiede di favorire sia la preghiera personale, sia la preghiera della Chiesa e cio la preghiera liturgica, anche mediante una graduale introduzione alla Liturgia delle Ore soprattutto alle Lodi e ai Vespri alla comprensione dellAnno Liturgico e alla celebrazione comunitaria dei Sacramenti (La formazione dei presbiteri nella Chiesa Italiana, n. 55). Il secondo criterio riguarda la vita della comunit del seminario maggiore (parte quarta del documento su: La formazione al presbiterato) e attribuisce un posto primario alle celebrazioni liturgiche della S. Messa e della Liturgia delle Ore tra quelli che sono ritenuti i momenti indispensabili per la vita comunitaria. Si dice che queste azioni liturgiche saranno normalmente comunitarie, pur senza escludere che in qualche circostanza possano avvenire opportunemente nei gruppi (Ibidem n. 111). Sul tema della crescita vocazionale nel seminario e quindi dellesperienza di preghiera, il documento pastorale dellepiscopato italiano Seminari e vocazioni sacerdotali (16 ottobre 1979) fa considerazioni illuminanti quando vede questa crescita come lattestazione del primato di Dio nella vita del prete. Questo senso religioso sar lispirazione e la misura della sua attivit pastorale, il suo interesse dominante, cos che gli si riveli significativa anche lumile cura quotidiana della sua gente... Questo senso di Dio si esprime e si alimenta nei tempi della preghiera che ritmano la vita del seminario. In particolare viene curata nel seminario la preghiera liturgica. Ma si sottolinea che i candidati al sacerdozio non si addestrano a cerimonie o a riti, ma piuttosto si educano a coglierne e a viverne il senso profondo nellesperienza diretta e nella riflessione teologica su di essa (n. 77) 21.

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Enchiridion CEI, 2, pp. 1328-1329.

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i Capitoli dei Canonici Va pure ricordata la funzione, oggi quasi esclusivamente liturgica, di organismi come il Capitolo dei Canonici della Cattedrale e delle Chiese Collegiate, di cui il Codice di diritto canonico tratta nei cc. 503-510, e che riguarda anche la celebrazione della Liturgia delle Ore sia in obbedienza ad unantica consuetudine di tali Capitoli, sia in conformit allattuale situazione e allaccentuarsi del loro ruolo nellanimazione esemplare della vita liturgica nelle Chiese particolari. I Capitoli, che si distinguono in cattedrali e collegiali (c. 503), sono infatti unantichissima istituzione della Chiesa che nel corso della storia ecclesiastica ha avuto grande prestigio e influsso sulla vita diocesana. I Capitoli delle Cattedrali, soprattutto in epoca medievale, hanno goduto di unimportanza talora decisiva nel governo delle Chiese locali, sia nella stessa elezione del Vescovo, sia nel compito di assisterlo e coadiuvarlo durante lesercizio del suo ministero e della sua potest. La loro autorit e il loro ruolo istituzionale documentato sino al Codice del 1917 in cui il Capitolo della Cattedrale definito come il senato ed il consiglio del vescovo (c. 391). Oggi, dopo la rivalutazione del presbiterio diocesano e del Consiglio Presbiterale da istituire in ogni diocesi come un gruppo di sacerdoti che sia come il senato del vescovo, in rappresentanza del presbiterio (cf CD 27; PO 7; c. 495 ss.), la normativa canonica gli attribuisce principalmente la funzione di celebrare le funzioni liturgiche pi solenni nella chiesa cattedrale o collegiale (c. 503). Dunque, questo collegio di sacerdoti (sacerdotum collegium) ha ormai carattere prevalentemente liturgico; i suoi compiti sono determinati dagli statuti del Capitolo approvati dal vescovo (cc. 505 e 506 par. 1) e in tali normative proprie vanno anche definiti i compiti del Capitolo e dei singoli canonici in ordine alla celebrazione del culto di Dio e allesercizio del ministero (c. 506 par. 1). Il Codice non va oltre queste indicazioni di carattere generale, ma chiaro che nel compito affidato ai Capitoli di celebrare le funzioni liturgiche pi solenni rientra anche la Liturgia delle Ore celebrata comunitariamente nella Chiesa Cattedrale dai ministri sacri compreso il vescovo e da tutti i fedeli specialmente nelle festivit maggiori e in alcune occasioni di particolare rilievo, per manifestare come lUfficio divino sia veramente voce della Chiesa, ossia di tutto il corpo mistico che loda pubblicamente Dio (SC 99). Il Concilio (SC 95) e lInstitutio generalis de Liturgia Horarum (n. 31) elencano i membri dei Capitoli cattedrali e collegiali tra quan-

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ti sono tenuti a quelle parti dellUfficio che vengono loro imposte dal diritto comune o particolare, ma stabilire i giorni e le Ore liturgiche per la celebrazione corale spetta agli statuti da cui questi Capitoli sono retti. Il documento Pastorale munus (30 novembre 1963) al n. 24 concesse ai vescovi la facolt di ridimensionare il tipo di obbligazione per i Canonici tenendo conto delle situazioni concrete. Tuttavia, al di l delle determinazioni particolari che le norme proprie devono stabilire per i Capitoli in materia di Ufficio divino corale, va detto che linsistenza del magistero ecclesiale e della disciplina canonica sullunit della Chiesa orante e sul carattere comunitario della preghiera porta a ritenere che lattivit liturgica dei Capitoli e specialmente del Capitolo della Cattedrale debba avere un particolare riguardo nelle diocesi. Essa ha il senso di unazione emblematica in quanto espressione significativa della preghiera liturgica di una Chiesa diocesana e di fatto deve qualificarsi come unazione liturgica del pi alto livello, sia per la partecipazione delle varie ministerialit ecclesiali radunate nella Chiesa Cattedrale per celebrare il culto cristiano, sia per il ruolo specifico affidato al gruppo dei Canonici di svolgere normalmente lattivit di orazione pubblica nella sede del vescovo, ma anche di guidare esemplarmente la preghiera ecclesiale e, quindi, di contribuire decisamente alla formazione di tutto il popolo di Dio allorazione comune. A questo proposito la Liturgia delle Ore assume un particolare rilievo nellambito del culto pubblico che si celebra nella Cattedrale ed effettivamente, oltre che un impegno proprio del Capitolo, un compito che il Capitolo svolge a favore dei fedeli che partecipano alla vita liturgica della Cattedrale e pi ampiamente a vantaggio dellintera diocesi. Il segno posto dal Capitolo e in generale dai chierici di una preghiera liturgica comune risulta grandemente positivo per tutto il popolo cristiano. Non va perci dimenticata una indicazione ripresa dal Vaticano II (SC 99) e inserita nellInstitutio, circa la recita comunitaria dellUfficio divino da parte dei chierici e, quindi, a maggior ragione da parte dei Canonici, data la loro specifica attivit liturgica: I ministri sacri e tutti i chierici... se convivono o hanno modo di riunirsi insieme, procurino di celebrare in comune almeno qualche parte della Liturgia delle Ore, specialmente le Lodi alla mattina e i Vespri alla sera (n. 25) 22.
Ricordiamo che nei paragrafi 20-27 e 33, lInstitutio generalis d estrema importanza alla celebrazione fatta in forma comunitaria. A proposito di ci va distinta lassemblea liturgica a forma gerarchica
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Celebrare la Liturgia delle Ore (c. 1174)

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Laudis Canticum La costituzione apostolica Laudis Canticum del Papa Paolo VI (1 novembre 1970) promulg lUfficio divino o Liturgia delle Ore secondo i decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II ed anche un testo che trasmette un grande fascino spirituale circa il senso di questa preghiera ecclesiale: quel canto di lode, che risuona eternamente nelle sedi celesti, e che Ges Cristo sommo sacerdote introdusse in questa terra di esilio, la Chiesa lo ha conservato con costanza e fedelt nel corso di tanti secoli e lo ha arricchito di una mirabile variet di forme 23. Dopo aver tracciato i criteri seguiti per lordinamento della Liturgia delle Ore, nel documento si raccomanda di escludere qualunque opposizione tra preghiera della Chiesa e preghiera privata, anzi di dice di mettere in maggior rilievo e sviluppare pi ampiamente i rapporti che esistono tra luna e laltra. E si annota che se la preghiera dellUfficio divino diviene preghiera personale, pi evidenti appariranno anche quei legami che uniscono tra di loro la liturgia e tutta la vita cristiana. Lintera vita dei fedeli, infatti, attraverso le singole ore del giorno e della notte, quasi una leitourgia, mediante la quale essi si dedicano in servizio di amore a Dio e agli uomini. Questa sublime verit del tutto inerente alla vita cristiana, la Liturgia delle Ore la esprime con evidenza e la conferma in maniera efficace. Di qui la costituzione trae sinteticamente le conseguenze per i vari stati di vita. Per la loro efficiacia ed autorevolezza le riportiamo a conclusione di questo commento al c. 1174 del Codice di diritto canonico. Anzitutto si dice che per questa ragione cio il fatto che la Liturgia delle Ore manifesta quel culto o liturgia della vita cristiana che si eleva a Dio aderendo al Cristo le preghiere delle Ore vengono proposte a tutti i fedeli, anche a coloro che non sono tenuti per legge a recitarle. Poi si afferma che quelli che hanno ricevuto dalla Chiesa il mandato di celebrare la Liturgia delle Ore, ne adempiano devotamente ogni giorno la recita completa. Inoltre, quelli che insigniti dellordine sacro, partecipano alla dignit sacerdotale di Cri-

(LG 28; PO 5), cio presieduta da un ministro ordinato (vescovo, presbitero o diacono) dalle altre assemblee. Questa assemblea realizza il popolo santo riunito e ordinato sotto la presidenza del vescovo (SC 26) o di chi ne fa gerarchicamente le veci (SC 42; PO 5); ed la forma di celebrazione che esprime pi compiutamente la Chiesa. Essa raggiunge il massimo di perfezione quando si tratta della comunit diocesana presieduta dal vescovo, assistito dai preti e dagli altri ministri (IG 20). 23 EV 3, p. 1671.

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Giangiacomo Sarzi Sartori

sto in forza di un particolare sigillo sacramentale, o coloro che, mediante i voti della professione religiosa si sono consacrati in maniera speciale al servizio di Dio e della Chiesa vengono esortati affinch non celebrino la Liturgia delle Ore solo per obbedienza a una legge, ma si sentano spinti dalla considerazione della sua intima importanza e dalla sua utilit pastorale e ascetica. Infatti molto auspicabile che la preghiera pubblica della Chiesa sia riconosciuta come un naturale frutto del rinnovamento spirituale e una evidente necessit interiore di tutto il corpo della Chiesa. Questa, infatti, a somiglianza del suo capo, non pu essere definita altrimenti che come Chiesa orante 24. GIANGIACOMO SARZI SARTORI Piazza Sordello 15 46100 Mantova

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Ibidem, 1681-1683.

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Le aggregazioni laicali nella Chiesa


Una recente nota pastorale della CEI
di Carlo Redaelli

Lo scorso 29 aprile stata pubblicata una nota pastorale della Commissione episcopale per il laicato della Conferenza episcopale italiana, intitolata Le aggregazioni laicali nella Chiesa 1. Come viene precisato nella Premessa, scopo della Nota riaffermare la ragione ecclesiologica delle aggregazioni laicali e il loro diritto di presenza nella Chiesa, favorire e rinsaldare il dialogo tra loro e quello di ciascuna con le altre realt ecclesiali, accompagnare la necessaria opera di discernimento con la guida autorevole e con lincoraggiamento (n. 1). Altra finalit caratterizzante il documento quella di mostrare il rapporto tra le aggregazioni ecclesiali, in particolare quelle laicali, e lattuale impegno della Chiesa per la cosiddetta nuova evangelizzazione (cf n. 1). La nuova Nota pastorale si pone in esplicito collegamento con laltra Nota pastorale emanata dalla CEI nel maggio del 1981 e intitolata: Criteri di ecclesialit dei gruppi, movimenti e associazioni. Di essa vengono ripresi e sviluppati gli argomenti afferma sempre la Premessa alla luce del Codice di Diritto Canonico del 1983, dellEsortazione apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II e dei successivi documenti della Conferenza Episcopale Italiana, in particolare del documento Evangelizzazione e testimonianza della carit (n. 1). Riteniamo utile presentare sinteticamente i contenuti del documento, seguendone larticolazione ed evidenziando in particolare i
Cf Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, 1993, n. 4, 81-119. Si tratta del terzo fascicolo del 1990 con articoli di: J. BEYER, G. FELICIANI, A. MONTAN, C. REDAELLI, J. HENDRIKS.
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Carlo Redaelli

punti di raccordo con i documenti sopra ricordati, che possono essere definiti le fonti della Nota stessa, per poi proporre alcune osservazioni e riflessioni da un punto di vista canonistico. 1. Una precisazione terminologica Nella Premessa viene ripreso, sia pure brevemente, il tentativo, operato dalla Nota del 1981, di dare un contenuto alle diverse denominazioni in uso per definire il fenomeno aggregativo ecclesiale: associazioni, movimenti, gruppi (cf Criteri di ecclesialit, nn. 6-7). In modo pi esplicito, rispetto al documento precedente, si propende per per preferire il termine generico di aggregazione, gi contenuto nel titolo della Nota, tenendo presente che ci si trova in un campo nel quale ben raramente si danno realt rigide e fisse (n. 2) e diventa pertanto difficile utilizzare una terminologia univoca. Sempre in continuit con Criteri di ecclesialit, viene precisata anche la distinzione tra le associazioni ecclesiali di animazione cristiana delle realt temporali, il cui impegno specifico la pastorale sociale e le organizzazioni di ispirazione cristiana, nelle quali i fedeli laici, interpretando le diverse situazioni culturali, professionali, sociali e politiche, agiscono in nome proprio, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana (n. 3). Di questultime realt il documento si occupa solo marginalmente, dal momento che non costituiscono aggregazioni propriamente ecclesiali, anche se non ne misconosce limportanza (cf anche il n. 43). 2. I principi ecclesiologici La prima parte della Nota dedicata allenucleazione dei principi ecclesiologici sottesi al fenomeno associativo nella Chiesa. Lidea fondamentale e ricorrente quella espressa dal n. 4: Le forme associative dellapostolato dei fedeli laici hanno un significato pieno solo nel mistero della Chiesa comunione e missione. Ad esso, perci, sono relativi il diritto e la libert di aggregazione. Tale intuizione viene sviluppata al n. 5, alla luce del Concilio e dei pi recenti pronunciamenti magisteriali, in particolare la Christifideles laici e la Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, pubblicata nel 1992 dalla Congregazione per la dottrina della Fede.

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Un secondo principio richiamato dalla Nota il rapporto tra Chiesa particolare e Chiesa universale e linserimento delle aggregazioni nella Chiesa particolare, con specifico riferimento alla parrocchia (nn. 6-7; circa la parrocchia vengono riprese le significative espressioni della Christifideles laici, n. 26, sulla parrocchia come ultima localizzazione della Chiesa e come comunit eucaristica). Si sottolinea poi il fondamento del diritto di aggregazione dei fedeli laici nella natura sociale della persona umana, anche se poi esso viene riconosciuto nella Chiesa in forza della condizione battesimale dei fedeli (n. 8). dal battesimo, infatti, che sorge, tra gli altri, anche il diritto di scegliere una realt aggregativa, quale forma per vivere la propria partecipazione alla comunione e alla missione della Chiesa (n. 8). Alla luce di questi principi ecclesiologici, la Nota affronta la problematica dei criteri di ecclesialit, meglio precisati come criteri di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni (n. 15). Si tratta di un tema ampiamente sviluppato dal documento del 1981, non a caso intitolato Criteri di ecclesialit .... La nuova Nota preferisce, per, riprendere i criteri presentati al n. 30 della Christifideles laici, cercando di ricondurli alla Chiesa quale mistero di comunione missionaria (n. 18): dallessere la Chiesa mistero deriva il primo criterio: il primato da riconoscere alla vocazione alla santit; [...] dallessere la Chiesa mistero di comunione derivano gli altri due criteri, che riguardano la responsabilit di confessare la fede cattolica e di testimoniare una comunione salda e convinta in relazione filiale con il Papa e con il Vescovo; [...] dallessere la Chiesa mistero di comunione missionaria derivano il quarto e il quinto criterio circa la conformit e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa e limpegno di una presenza nella societ umana. Anche per lattuale Nota, come per quella del 1981 (cf n. 14), la verifica dei criteri di ecclesialit si trova nei frutti concreti che devono emergere dalla vita e dallopera delle aggregazioni. Pure in questo caso, per, il nuovo documento preferisce riferirsi, nellelencare i frutti spirituali, direttamente allesortazione Christifideles laici, n. 30. Infine, nel contesto della parte dedicata ai principi ecclesiologici, il documento tratta anche la particolare situazione dellAzione cattolica e il suo rapporto con la gerarchia (cf n. 20).

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3. La normativa canonica La parte seconda dellintervento della CEI dedicata a una presentazione sintetica della normativa del Codice di diritto canonico in tema di associazioni. Dopo un accenno al rapporto tra istituzione e carisma (cf n. 23), la Nota affronta il problema della tipologia delle associazioni. Tre sono le categorie ricavate dalla normativa codiciale: le associazioni private di fatto, le associazioni private riconosciute dallautorit e le associazioni pubbliche. Le prime, di cui si parla al n. 25, sono le associazioni che nascendo non per un atto dellautorit ma per un atto di fondazione dei fedeli e quale frutto del loro accordo [...] esistono, come si suol dire, di fatto e legittimamente nella Chiesa. Tali associazioni possono anche non chiedere particolari autenticazioni e autorizzazioni, ma non per questo sono esentate dal dovere di vivere la comunione con la Chiesa e possono sottrarsi al diritto-dovere del Vescovo di esercitare nei loro confronti la cura pastorale e la vigilanza. Quanto alle seconde, la Nota sostiene: Associazioni private sono chiamate dal Codice tutte quelle associazioni che vengono costituite liberamente dai fedeli per fini spirituali e apostolici derivanti dalla loro condizione battesimale e dallesercizio del loro sacerdozio comune, e che nei loro riguardi lautorit ecclesiastica, su loro libera richiesta, opera un provvedimento idoneo a riconoscere la loro rilevanza giuridica (n. 26). Un primo provvedimento, secondo la Nota, la presa visione degli statuti, mediante la quale lautorit ecclesiastica, conoscendo lassociazione nella sua concreta realt, ne verifica la conformit al Diritto Canonico e ne riconosce anche giuridicamente lecclesialit (n. 26). Nelleventualit poi che unassociazione privata venga lodata o raccomandata dallautorit ecclesiastica, essa riceve, per cos dire, unaccresciuta credibilit ecclesiastica di fronte ai soci e anche gli altri fedeli ne ricevono assicurazione circa la significativit ecclesiale e lutilit pastorale (n. 26). Lintervento pi rilevante dellautorit ecclesiastica nei confronti di unassociazione privata costituito dal decreto formale di conferimento della personalit giuridica. Il documento della CEI fa notare a tale proposito che la presenza nella Chiesa di associazioni private di fedeli con personalit giuridica anchessa nuova rispetto alla codificazione anteriore, ed molto significativa perch dice la volont di promuovere le realt aggregative attraverso una pluralit di moduli che risultano di grande vantaggio per la comunione ecclesiale (n. 27).

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Esistono, infine, le associazioni pubbliche, quelle cio costituite ed erette dalla competente autorit ecclesiastica, per la particolare importanza delle finalit che perseguono (n. 28). Dopo aver delineato la tipologia delle associazioni, la Nota affronta il problema del riconoscimento delle aggregazioni. Citando il n. 31 della Christifideles laici, si definisce il riconoscimento come unapprovazione esplicita della competente autorit ecclesiastica (n. 29) e si sottolinea che condizione precedente a esso il previo esame degli statuti e, nel caso di conferimento della personalit giuridica privata o dellerezione delle associazioni pubbliche, lapprovazione degli stessi. 4. Le indicazioni pastorali Lultima parte del documento offre alcune indicazioni di carattere pastorale. La prospettiva sintetica di esse la nuova evangelizzazione di cui ripetutamente Giovanni Paolo II richiama lindilazionabile urgenza. Anche la Conferenza Episcopale Italiana, negli orientamenti pastorali per gli anni 90, ne ricorda con forza la necessit (n. 31: il riferimento a Evangelizzazione e testimonianza della carit). Circa le aggregazioni in rapporto alla nuova evangelizzazione si sottolinea la singolare congenialit [...] tra limpegno per la nuova evangelizzazione e quello proprio dei fedeli laici (n. 32) e delle loro aggregazioni (cf n. 33). Tale congenialit dovuta allindole secolare tipica dei laici, che permette un particolare e insostituibile apporto alla nuova evangelizzazione: questa, infatti, ha come finalit il rifacimento del tessuto cristiano delle nostre comunit ecclesiali, come condizione per rifare il tessuto cristiano della societ umana (n. 32). Limpegno per la nuova evangelizzazione, anche per le aggregazioni laicali, dovr privilegiare le tre scelte pastorali che i Vescovi hanno proposto alla Chiesa italiana per gli anni 90: unorganica, intelligente e coraggiosa pastorale giovanile; il servizio a quanti sono spiritualmente e materialmente poveri [...]; una rinnovata e responsabile presenza nel sociale e nel politico (n. 33). In questo contesto due sono le indicazioni che la Nota offre alle aggregazioni. La prima la comunione e la missione di esse nella Chiesa particolare, con particolare riferimento alla pastorale diocesana e alla partecipazione alla vita della parrocchia (cf nn. 34-37) . La seconda linsistenza sul fatto che le realt aggregative siano scuo-

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le di formazione (n. 37), una formazione integrale e permanente, su tutti i livelli: umano, spirituale, dottrinale, culturale (cf nn. 37-43). La parte pastorale del documento si conclude infine con linvito alla collaborazione e allo scambio di doni tra le aggregazioni ecclesiali (cf n. 44) e con la sottolineatura del ministero dei pastori, i Vescovi anzitutto, ma anche i presbiteri, in particolare gli assistenti e i consulenti ecclesiastici, a favore delle realt aggregative (cf nn. 46-49). 5. Alcune osser vazioni Dopo aver presentato i contenuti della Nota, pu essere utile, tenendo conto del taglio che caratterizza la nostra rivista, presentare alcune osservazioni da un punto di vista canonistico. Non inutile ricordare che largomento delle associazioni e delle aggregazioni in genere uno di quelli pi vivaci e pi in evoluzione nella vita della Chiesa oggi e, conseguentemente, nella riflessione ecclesiologica e canonistica contemporanea. Anche le indicazioni codiciali danno limpressione di essere pi che una sedimentazione normativa di una realt gi vissuta e giunta a maturazione, un tentativo di orientamento, offerto dal legislatore ecclesiale, ancora provvisorio e non del tutto soddisfacente. Se ci vero, inevitabile che anche il documento della CEI risenta di questa situazione e che non si possa pretendere da esso la soluzione di tutti i problemi ancora aperti. Per avere un quadro di una certa ampiezza e completezza sulla tematica delle associazioni, rinviamo il lettore al fascicolo che Quaderni di diritto ecclesiale ha dedicato a questo argomento nel 1990 2. Gli approfondimenti l contenuti ci servono di riferimento per le osservazioni che si stanno presentando. a. Il genere letterario del documento La notevole produzione di documenti magisteriali, normativi e pastorali, che caratterizza la presente epoca della vita della Chiesa a tutti i livelli Chiesa universale, Conferenze episcopali nazionali, Chiese particolari rende particolarmente urgente lo sforzo di ben
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A proposito della concreta influenza esercitata sul Popolo di Dio dalla risonanza massmediale di ciascun documento, significativo il caso del Catechismo della Chiesa cattolica, anche da un punto di vista normativo. Molti fedeli, infatti, si sono accorti dellesistenza di alcune norme nella Chiesa, leggendo il Catechismo e non ... il Codice, molto meno pubblicizzato dai mass media.

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qualificare la natura e la portata di ciascun intervento. Il moltiplicarsi di documenti, infatti, forse anche giustificato dalla particolare complessit e articolazione della vita ecclesiale odierna, comporta, a nostro giudizio, almeno due rischi. Il primo quello della pratica inefficacia e ininfluenza sulla vita del Popolo di Dio dei vari interventi, visto il loro continuo susseguirsi e la quasi impossibilit persino per gli specialisti di leggerli e studiarli, oltre che di attuarli. Il secondo rischio, dovuto non tanto a motivi intraecclesiali, quanto piuttosto alla caratterizzazione della nostra societ come societ dei mass media, quello di legare lefficacia di ciascun documento non allautorevolezza ecclesiale del soggetto che lo emana o alla natura dello stesso intervento, ma allimpatto massmediale che ogni singolo pronunciamento riesce ad avere (rischia di contare maggiormente un documento di un qualsiasi organismo ecclesiale presentato con una conferenza stampa e ripreso con evidenza dai giornali, che un intervento di carattere dottrinale o normativo promulgato con tutte le previste procedure, ma ignorato dai mezzi di comunicazione sociale) 3. Senza indulgere ulteriormente su queste riflessioni, che pure andrebbero approfondite e potrebbero forse suggerire qualche correttivo alla prassi attuale 4, importante qualificare il documento che stiamo esaminando nel contesto della produzione della Conferenza episcopale italiana 5. Anzitutto il soggetto che lo ha pubblicato: la Commissione episcopale per il laicato. Non si tratta quindi dellAssemblea generale della CEI, ma di una delle Commissioni costituite nellambito della Conferenza a norma degli artt. 40-44 dello Statuto della Conferenza episcopale italiana 6, Commissioni che per loro natura non hanno potest deliberativa n funzioni esecutive (Statuto, art. 40, par. 1) e i cui documenti sono sottoposti allesame e allapprovazione del Consiglio episcopale permanente (Nuovo regolamento della Conferenza episcopale italiana, art. 115) 7. Gi dal soggetto,
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La riflessione canonistica dovrebbe affrontare anche oggi il tema della recezione delle leggi argomento che per s non ignoto alla sua tradizione dottrinale allargandolo, in collaborazione con gli studiosi del magistero ecclesiastico, al problema della recezione in generale di tutti gli interventi del magistero, di qualunque natura essi siano (dottrinale, morale, normativo, pastorale). 5 Sulla produzione di carattere normativo della CEI si veda lottimo volume del Direttore dellUfficio nazionale della CEI per i problemi giuridici: M. MARCHESI, Diritto canonico complementare italiano, Bologna 1992. Sarebbe interessante allargare lo studio a tutti gli interventi della CEI e non solo a quelli di carattere strettamente normativo. 6 Cf ECEI 3/2344-2348. 7 Cf ECEI 3/2631. Come informa il Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, 1993, n. 4, 82, la Nota che stiamo presentando stata sottoposta allesame del Consiglio permanente per tre volte. In

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quindi, si pu concludere che il documento non per s un pronunciamento della Conferenza episcopale italiana, ma solo di una sua Commissione 8 e che esso non ha valore normativo in senso stretto, e neppure sempre parlando in termini canonistici si pu configurare come unistruzione di cui al c. 34 (atto la cui pubblicazione riservata a chi ha potere esecutivo) 9. La stessa denominazione del documento come Nota pastorale fa propendere per unidentica conclusione, anche se, in positivo, resta difficile definire che cosa sia una nota pastorale, termine molto usato per contraddistinguere i pi svariati interventi delle Commissioni CEI, insieme a quello di orientamenti pastorali 10. In termini molto semplici 11, si pu dire che lo scopo di una nota pastorale quello di richiamare dei contenuti dottrinali e normativi, dando indicazioni per la loro attuazione nel concreto contesto ecclesiale. Nel caso di una Nota pastorale proveniente dalla Conferenza episcopale italiana, il contesto di riferimento quello italiano; detto pi precisamente, quello delle Chiese particolari esistenti in Italia. Proprio per il fatto di rivolgersi non a una Chiesa, ma a pi Chiese particolari caratterizzate da una reale e autonoma soggettivit in campo pastorale e normativo, gli interventi pastorali della CEI non potranno sostituirsi alla responsabilit pastorale delle singole Chiese e dei loro pastori, ma accentueranno quegli aspetti destinati a favorire un coordinamento e unazione pastorale comune tra le Chiese italiane. Anche il documento sulle aggregazioni va quindi inteso cos.

ogni occasione il Consiglio ha offerto alla Commissione rilievi e suggerimenti e ha infine concesso lapprovazione. 8 Di fatto nellopinione pubblica ecclesiale, anche pi avvertita, i vari interventi provenienti dallambito CEI non solo non sono distinti per qualificazione oggettiva, ma anche vengono recepiti come tutti documenti della CEI, senza ulteriori distinzioni tra i soggetti che li emanano (Assemblea generale, Consiglio permanente ecc.). 9 Le istruzioni, afferma il c. 34, rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nelleseguirle [...]; le pubblicano legittimamente, entro i limiti della loro competenza, coloro che godono della potest esecutiva. 10 Che rapporto c tra le aggregazioni laicali nella Chiesa e la progettazione di nuove chiese? Entrambi i problemi sono stati recentemente oggetto (il secondo tema in data 18 febbraio 1993) di una nota pastorale da parte di Commissioni episcopali della CEI. interessante notare che nella Premessa alla Nota pastorale concernente la progettazione di nuove chiese, si afferma: La Nota vuole anche porsi come riferimento normativo [!] per la valutazione dei progetti ai fini di un esito positivo e delleventuale finanziamento previsto dalla CEI (Notiziario della Conferenza Episcopale italiana, 1993, n. 3, 52): una nota pastorale avrebbe quindi un valore precettivo con relativa previsione sanzionatoria (ossia la negazione del finanziamento da parte della CEI)! 11 Anche il senso del termine pastorale, non tanto a livello teoretico, ma nelluso ecclesiale corrente meriterebbe un approfondimento.

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In conclusione, la Nota pastorale sul fenomeno associativo, visto il suo genere letterario, va vista come un documento che non ha un valore normativo, se non in quanto riporta le disposizioni codiciali vigenti. Pastoralmente, poi, va considerata come un intervento che vuole offrire alle Chiesa italiane delle indicazioni per affrontare in modo coordinato e unitario la realt delle aggregazioni ecclesiali, senza ovviamente nulla togliere alla responsabilit pastorale di ciascuna Chiesa, ma tenendo conto che spesso il fenomeno associativo non si ferma allinterno dei confini di una Chiesa particolare, raggiungendo dimensioni interdiocesane e, talvolta, nazionali e internazionali: da qui la particolare urgenza di ununiformit di discernimento e di azione pastorale delle Chiese italiane. b. La presentazione della normativa canonica sulle associazioni Si appena affermato che dal punto di vista normativo la Nota ha valore solo in quanto riprende le vigenti disposizioni canoniche in materia di associazioni. La seconda parte del documento, che sopra si sinteticamente presentata, si intitola Normativa canonica e ha precisamente lo scopo di offrire un quadro della legislazione ecclesiale concernente il fenomeno associativo. Ci si pu quindi domandare: la Nota presenta fedelmente le disposizioni del Codice di diritto canonico? A nostro parere e cercheremo ora di dimostrarlo occorre rispondere per lo meno che la Nota presenta una interpretazione della normativa del Codice, tra le diverse presenti in dottrina, interpretazione che, sempre a nostro giudizio, suscita perplessit su due punti, che si richiamano a vicenda: la tipologia delle associazioni e il problema del riconoscimento. Prima di entrare nel merito della questione, pu essere interessante notare un particolare curioso: linterpretazione data dalla Nota differisce, su un aspetto, da quella presentata nella Istruzione in materia amministrativa pubblicata dalla CEI il 1 aprile 1992. La Nota, infatti, parla delle associazioni lodate o raccomandate dallautorit ecclesiastica nel paragrafo intitolato Le associazioni private riconosciute dallautorit (n. 26), evidenziando la lode e la raccomandazione quasi come un secondo livello di riconoscimento, destinato a dare alla associazione unaccresciuta credibilit ecclesiastica. LIstruzione, invece, dopo aver sottolineato che le associazioni che non hanno chiesto o ottenuto un provvedimento formale di riconoscimento da parte dellautorit ecclesiastica [...] non presentano una specifica ri-

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levanza giuridica nellambito dellordinamento canonico, aggiunge: n tale rilevanza pu ritenersi acquisita in virt di un provvedimento di laus o di commendatio, cui fa riferimento il c. 299, par. 2, poich un provvedimento di tal genere non basta ad attribuire ad unassociazione la qualifica di associazione riconosciuta 12. Affrontando ora la ricostruzione della tipologia delle associazioni offerta dalla Nota pastorale, riteniamo che il punto meno convincente sia laffermazione dellesistenza di associazioni private di fatto e la descrizione delle loro caratteristiche. Come possibile, infatti, definire le associazioni di fatto come quelle che non hanno una specifica rilevanza giuridica nellordinamento canonico e subito dopo affermare che: esse hanno pur sempre il dovere di vivere la comunione nella Chiesa; e su di esse il Vescovo ha sempre il diritto-dovere di esercitare la cura pastorale, perch sia conservata lintegrit della fede e dei costumi, e la vigilanza, perch non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica (cf c. 305) e aggiungere ancora: di qui il concreto impegno dei responsabili delle associazioni a presentarsi al Vescovo della diocesi dove operano e a offrirgli gli elementi necessari perch possa esercitare, anche nei loro riguardi, il suo ministero (n. 25)? In altre parole: non avere rilevanza giuridica lessere soggetto di doveri, di impegni, ... lessere oggetto di diritto-dovere di cura pastorale, di vigilanza...? O ancora: il presentarsi al Vescovo [...] e offrirgli gli elementi necessari perch possa esercitare, anche nei loro riguardi [delle associazioni], il suo ministero in che cosa pu consistere, per unassociazione, se non nel presentare al Vescovo anzitutto il proprio statuto perch lo verifichi e ne prenda atto, posto che unassociazione deve avere obbligatoriamente (cf c. 304, par. 1) tale documento, in cui sono definiti il fine, la sede, il governo, le modalit dazione ecc. (cf sempre il c. 304, par. 1)? Unassociazione che cos agisce si pu chiamare ancora unassociazione solo di fatto? Pi radicalmente, la domanda da porre alla Nota della CEI : si cos certi che la normativa ecclesiale contenuta nel Codice di diritto canonico preveda le associazioni solo di fatto? Se si intende il termine associazione in senso stretto, cos come lo intende il Codice e il n. 2 della Nota (col nome di associazioni si indicano le aggregazioni che hanno una struttura organica e istituzionalmente caratterizzata quan-

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La Nota non ignora lesistenza dellIstruzione (la cita alla nota 63), ma stranamente non vi fa riferimento quando descrive la tipologia delle associazioni.

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to alla composizione degli organi direttivi e alladesione dei membri), se cio nel concetto di associazione non si comprendono i gruppi, le realt aggregative articolazioni di comunit pi vaste (ad es. i gruppi in cui si articola una comunit parrocchiale o la comunit di un seminario), i movimenti, altre realt aggregative meno formalizzate, risulta evidente che non pu esistere una associazione solo di fatto, cio non rilevante giuridicamente nellordinamento canonico e avulsa da ogni rapporto con lautorit pastorale, se non per quel solo ipotetico e ristrettissimo periodo che va dal momento della sua costituzione (che, tra laltro, non avviene solitamente in clandestinit ...) al primo suo agire come associazione nellambito ecclesiale. A quanto andiamo affermando si potrebbe obiettare che la distinzione tra associazione puramente di fatto e associazione privata non di fatto, che la Nota e qualche canonista chiama riconosciuta, fondata sul terzo paragrafo del c. 299 (Nessuna associazione privata di fedeli riconosciuta nella Chiesa, se i suoi statuti non sono esaminati dallautorit competente), che sembrerebbe implicitamente distinguere tra associazione i cui statuti sono stati esaminati dallautorit, conseguendo cos una sorta di riconoscimento, e associazione che non desidera fare esaminare i propri statuti e quindi resta solo di fatto e non riconosciuta. In un precedente articolo pubblicato su Quaderni, a cui rinviamo 13, si cercato di illustrare la genesi e il senso di tale disposizione, da vedersi pi sulla linea di fornire uno strumento concreto di conoscenza dellesistenza delle associazioni (quasi in vista della creazione di un albo delle associazioni), che sulla linea di un criterio discriminante tra associazioni di fatto e associazioni riconosciute. Lesame degli statuti si spiegherebbe con la gi ricordata obbligatoriet degli stessi perch ci sia una vera e propria associazione: spontaneo, e cos avverrebbe sicuramente anche in mancanza della disposizione del c. 299, par. 3, che per conoscere unassociazione si debba guardare ai suoi statuti. A nostro giudizio lesame da parte dellautorit, dovrebbe concludersi con una presa datto dellesistenza ecclesiale dellassociazione (= agnitio), salvo risultassero dagli statuti elementi contrari allintegrit della fede e dei costumi o abusi circa la disciplina ecclesiastica (c. 305, par. 1). Unassociazione, quindi, non diventerebbe ecclesiale dopo lesame

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Cf C. REDAELLI, Alcune questioni pratiche riguardanti le associazioni di fedeli nel contesto italiano, in Quaderni di diritto ecclesiale 3 (1990) 345-355; in particolare: 348-350.

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degli statuti, quasi che lagnitio le conferisse una patente di ecclesialit, ma verrebbe soltanto conosciuta per quello che gi , cio unassociazione ecclesiale, salvo che dallesame degli statuti (ma anche della sua attivit concreta) si dimostrasse non ecclesiale per carenze dottrinali, morali, disciplinari. In conclusione, la distinzione implicitamente introdotta dal c. 299, par. 3 non sarebbe, a nostro giudizio, tra associazioni di fatto e associazioni riconosciute, ma tra associazioni ecclesiali formalmente conosciute dallautorit e associazioni ecclesiali la cui esistenza non ancora conosciuta dallautorit o che sono ancora sottoposte a verifica da parte della stessa. Strettamente connesso con la distinzione tra associazioni di fatto e associazioni riconosciute il tema del riconoscimento. Anche su questo riteniamo che la Nota susciti qualche perplessit. Sembra che non ci sia dubbio che, a parte nel discusso c. 299, par. 3, il Codice ignori il problema del riconoscimento. Una prova indiretta di ci si ha dal fatto che la Nota, non a caso, quando deve definire il concetto di riconoscimento deve citare non il Codice di diritto canonico, ma la Christifideles laici: Per riconoscimento si intende unapprovazione esplicita della competente autorit ecclesiastica (n. 29). Proseguendo, il documento della CEI afferma che lautorit competente per il riconoscimento quella del c. 312, par. 1. da notare che tale canone concerne le associazioni pubbliche erette dallautorit ed richiamato, oltre che in altre disposizioni riguardanti le associazioni pubbliche, nel canone che parla dellautorizzazione ad assumere il nome cattolica (c. 300) e nel c. 322 relativo al conferimento della personalit giuridica privata dopo lapprovazione degli statuti. Nel c. 312, par. 1 e nei canoni che a esso fanno riferimento non c traccia del termine riconoscimento. La Nota pastorale non quindi fedele al Codice? In un certo senso occorre riconoscere che proprio cos. Non per un misconoscimento o tradimento della normativa ecclesiale, ma per un diverso orizzonte di riferimento tra il documento CEI e il Codice. Lorizzonte della Nota la problematica soggiacente al documento che lha immediatamente preceduta, cio Criteri di ecclesialit ..., e allesortazione apostolica Christifideles laici, in particolare i nn. 29-31. La problematica a cui questi tre documenti fanno riferimento identica 14: il mondo delle aggregazioni ecclesiali, lelaborazione di criteri per una
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Si noti il parallelismo tra il documento CEI del 1981 e i numeri citati della Christifideles laici.

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verifica della loro ecclesialit, il loro riconoscimento o approvazione. Occorre prendere atto che questa problematica non quella del Codice. Esso non d disposizioni su ogni fenomeno aggregativo ecclesiale, ma solo su quello propriamente e formalmente associativo. Non sente il bisogno di dare criteri di ecclesialit, ritenendoli impliciti nella definizione di associazione di cui al c. 298, par. 1. Vuole piuttosto regolamentare il fenomeno associativo perch sia garantito il diritto dei fedeli e salvaguardata la comunione ecclesiale. Non si interessa di particolari forme di approvazione n dellAzione cattolica (cf n. 31 della Christifideles laici ); ma solo di offrire norme per lerezione e lesistenza delle associazioni pubbliche, per il conferimento della personalit giuridica a quelle private, eccetera. Una prova della diversit di impostazione tra Codice e Christifideles laici pu essere data dal fatto che nei paragrafi sopra indicati lesortazione apostolica cita una sola volta il Codice: il generico, anche se fondamentale, c. 215 sul diritto di associazione; ignora invece la restante normativa. difficile dire se ci sia avvenuto volutamente: in questo caso sarebbe di fatto evidenziata linsufficienza della normativa codiciale ad affrontare il fenomeno aggregativo, e non solo associativo in senso stretto, nella Chiesa. Anche la Nota risente, ma inconsapevolmente, di questa diversit di impostazione. Basta notare come nella prima e nella terza parte essa si riferisca sempre, e a ragione, alle aggregazioni; nella seconda parte parla invece sempre di associazioni salvo che al n. 29 dove parla del riconoscimento. Forse avrebbe giovato alla chiarezza del documento CEI, ma anche alla stessa Christifideles laici e alla concretezza della vita ecclesiale dove nasce e si sviluppa il fenomeno aggregativo, il riconoscere che la normativa del Codice si applica direttamente alle sole associazioni e soltanto analogicamente ma tale analogia sarebbe tutta da precisare alle altre aggregazioni ecclesiali. CARLO REDAELLI Piazza Fontana, 2 20122 Milano

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VI. Lesclusione della indissolubilit del vincolo
di Paolo Bianchi

Gi in un precedente numero della Rivista ci siamo occupati della cosiddetta simulazione del consenso matrimoniale, dando alcune informazioni di carattere generale ed approfondendo uno dei suoi casi pi frequenti, lesclusione della prole (cf QDE 6 [1993] 196-219). Dobbiamo ora dedicarci a sviluppare la considerazione di una seconda forma purtroppo relativamente frequente di simulazione del consenso: la esclusione della indissolubilit del vincolo matrimoniale. Seguiremo anche in questo caso lo schema di esposizione gi utilizzato negli altri contributi: cenni di diritto sostantivo, guida per il consulente, esempi pratici. Per le nozioni generali circa il fenomeno simulatorio ci si pu richiamare allarticolo gi ricordato pi sopra. 1. Elementi di diritto sostantivo Lordinamento canonico considera il matrimonio un istituto di diritto naturale, ossia un istituto giuridico e uno stato di vita iscritto da Dio nella stessa natura delluomo per consentirgli un retto ed ordinato sviluppo della sua tensione alla comunione interpersonale nel mutuo completamento psicosessuale con una persona dellaltro sesso. Detto istituto, il matrimonio, realizza in modo sommo le esigenze dellautentico amore: per questo non chiuso in se stesso, ma fecondo; per questo non divisibile fra pi persone, ma unico; per questo non limitato nel tempo e sottoposto alle evoluzioni dei sentimenti dei suoi protagonisti, ma indissolubile. importante notare subito due cose: la indissolubilit del legame matrimoniale non in questa impostazione un mero obbligo legale, imposto dallesterno dalla sola volont del Legislatore. Corri-

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sponde invece, come accennato, alle esigenze pi profonde dellamore autentico, che non pu che essere dono totale di s e, quindi, per sempre. Da ci appare la artificiosit e anzi la oggettiva falsit della contrapposizione fra le esigenze dellamore e quelle dellistituto giuridico matrimoniale. Equivoco questo purtroppo oggi assai diffuso nella cultura comune dei nostri paesi occidentali. In secondo luogo si deve notare che, per quanto detto circa la sua origine nel diritto naturale, la indissolubilit una caratteristica di ogni matrimonio valido, anche quello non sacramentale. La Chiesa infatti rispetta la volont di Dio iscritta nellistituto naturale del matrimonio e riconosce la caratteristica della perpetuit propria di ogni vera unione coniugale. Riesprimendo in termini canonistici quanto accennato, si deve affermare che la indissolubilit una propriet essenziale del matrimonio, come si esprime il c. 1056; propriet che caratteristica di ogni unione matrimoniale valida acquisisce nel matrimonio sacramentale una particolare forza obbligante per i contraenti, in ragione del significato simbolico che il matrimonio cristiano ha in rapporto allunione di Cristo con la Chiesa. Cosa significa la espressione propriet essenziale? Essa stata coniata per indicare che ci si trova di fronte non alla essenza del matrimonio (lessenza del matrimonio in quanto patto infatti il consenso, come ricorda il c. 1057, par. 1; mentre lessenza del matrimonio in quanto stato di vita il consorzio di tutta la vita stessa, come definisce il c. 1055, par. 1): ci si trova appunto di fronte ad una sua propriet, ad una caratteristica del matrimonio in quanto vincolo giuridico. Esso per sua natura perpetuo. Ma cosa significa che questa propriet, questa caratteristica, denominata essenziale? Ci significa che questa propriet, pur appunto non costituendo lessenza del matrimonio, tuttavia in linea di principio tanto pertinente allo stesso che esso non pu, appunto in linea di principio, esistere senza di essa. Per principio il matrimonio indissolubile e, seppure pu venir meno di fatto laffetto e persino la vita comune fra i coniugi, tuttavia non pu venire meno il rapporto giuridico che li lega appunto in quanto coniugi. In conseguenza di quanto detto, la accettazione del vincolo indissolubile deve essere almeno implicita nel consenso, ossia nella volont matrimoniale: essa accettazione non altro infatti che un aspetto della volont di fare un vero matrimonio. Laddove, al contrario, tale propriet venisse negata, rifiutata, in linea di principio per il

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proprio matrimonio e con atto di vera volont, lo stesso consenso matrimoniale ne risulterebbe difettoso, in quanto verrebbe ad essere indirizzato verso un oggetto che non il vero matrimonio, il matrimonio cio inteso dallordinamento canonico (cf c. 1101, par. 2). per opportuno a questo punto fare alcune precisazioni ed approfondimenti. Non insistiamo nella illustrazione del concetto di atto positivo di volont, in quanto se ne gi diffusamente parlato in sede di introduzione generale circa il fenomeno della simulazione del consenso matrimoniale. Ricordiamo solo che esso deve costituire una vera decisione del soggetto. Non sono tali ad esempio una semplice previsione (temo che il mio matrimonio finir male e che ci separeremo), ovvero una opinione erronea in materia matrimoniale (a mio giudizio giusto che il matrimonio di due coniugi in grave e permanente disaccordo venga sciolto, p.e. col divorzio civile). Questultimo esempio spinge ad affrontare subito un tema molto delicato, relativo allaspetto per cos dire soggettivo della simulazione: quello della rilevanza dellerrore sulla volont matrimoniale. Per errore si intende qui una concezione oggettivamente erronea, sbagliata, in materia matrimoniale, ovviamente dal punto di vista dellordinamento canonico: come appunto quella di chi sostenesse la opportunit e la liceit dello scioglimento del vincolo tramite il ricorso alla autorit civile. Il sistema matrimoniale canonico, basato sulla distinzione fra intelletto e volont e, soprattutto, sul principio che il consenso-atto di volont la causa efficiente del matrimonio, mantiene tuttora in sostanza questa posizione: lerrore un fatto dellintelletto, un giudizio falso, che appartiene alla sfera della conoscenza e della intelligenza. Perci, come tale, non influisce necessariamente sulla facolt della volont e, fintanto che non lo fa, rimane giuridicamente irrilevante, essendo fra laltro, nel nostro caso, relativo non allessenza ma ad una caratteristica dellatto giuridico. quanto afferma la disposizione principale del c. 1099 del Codice, che stabilisce appunto la irrilevanza dellerrore relativamente alle propriet del matrimonio (unit e indissolubilit) e alla sua dignit sacramentale. Per fare un esempio concreto: Tizio potrebbe essere in linea di principio convinto della opportunit dello scioglimento dei matrimoni falliti: non per ci stesso e in modo meccanico si potrebbe per dire che egli voglia solubile anche il proprio matrimonio con Caia, da lui amata e desiderata come coniuge per tutta la vita.

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Pur ribadendo nella sostanza questa posizione tradizionale, la dottrina e la giurisprudenza canoniche non dimenticano per sia lunit della persona umana (si possono distinguere le funzioni della sua attivit spirituale, per esempio lintelletto e la volont, ma non separarle rigidamente); sia il concreto dinamismo psicologico delle decisioni personali, secondo il quale normalmente la persona portata a decidere in coerenza con le proprie convinzioni, seppure oggettivamente erronee. Pertanto la legge stessa, ancora nel c. 1099, prevede la possibilit di una determinazione della volont da parte dellerrore, che diventa quindi operativo, ossia principio di decisione e di azione del soggetto, che appunto sceglie ed agisce in coerenza con le sue convinzioni. chiaro che ragione della eventuale nullit di matrimonio resta la volont, la decisione del soggetto e che lerrore rappresenta per cos dire la base ideologica per lesercizio della volont stessa in una determinata direzione. per altrettanto vero che secondo un modo di esprimersi divenuto ormai comune in dottrina e giurisprudenza quanto pi radicato, pervicace, sar lerrore, tanto pi probabile sar la sua influenza sulla volont e sulle decisioni del soggetto. Anzi, la prova di tale tipo di errore radicato divenuta un comune elemento indiziario della prova della simulazione. Essa rappresenta infatti una circostanza personale coerente con quella ipotesi; ovvero, in linguaggio maggiormente tecnico (gi noto per ai lettori e che sar comunque ripreso anche pi avanti) una causa, un movente, della simulazione. Per illustrare meglio e con un esempio: una persona di cultura e sentire radicali, convinta divorzista, magari pubblicamente attiva nella campagna referendaria del 1974 a favore della conservazione della legge sul divorzio ha una causa, un movente ideale molto forte per rifiutare il matrimonio indissolubile. Tale causa, tale movente ideologico e culturale sar assai pi debole nel giovane disimpegnato che passivamente si abbandona alla mentalit comune e ritiene il divorzio ormai un fatto abituale e si dichiara ad esso favorevole solo per moda o per non sembrare arretrato. Lo spessore ideale del suo convincimento erroneo assai pi superficiale e, come tale, meno fortemente orientato a guidare operativamente la volont. La volont contraria alla indissolubilit del vincolo, seppure sempre positiva nel senso ormai acquisito, pu assumere diverse forme: pu essere infatti esplicita o implicita; assoluta ovvero condizionata, eventuale. Chiariamo questi concetti.

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La volont esplicita se ha come suo oggetto diretto il rifiuto della indissolubilit del vincolo: rifiuto il legame perpetuo con questa persona; implicita se questo rifiuto contenuto in una scelta logicamente contraria alla accettazione del matrimonio indissolubile: voglio il matrimonio a patto che sia solubile, a condizione che si possa sciogliere e solo cos. La volont assoluta quando soprattutto per una motivazione ideologica o culturale quali quelle esemplificate sopra in linea di principio avversa la indissolubilit del legame matrimoniale: non accetter mai un legame per sempre. eventuale, condizionata, quando, magari pur non essendovi ragioni di principio contrarie al legame perpetuo, si teme per un cattivo esito del matrimonio e, pertanto, ci si vuole lasciare una via di uscita: se le cose andranno male, ognuno riprender la sua libert: scioglieremo il legame matrimoniale e ciascuno sar libero di farsi una nuova vita. Questultima forma di esclusione della indissolubilit fra le pi diffuse: come infatti acutamente sottolinea la giurisprudenza, chi esclude lindissolubilit del matrimonio non ha di per s il desiderio del fallimento dello stesso, ma solo intende cautelarsi verso tale eventualit. Queste ultime puntualizzazioni ci orientano a considerare brevemente anche laspetto per cos dire oggettivo della esclusione della indissolubilit del matrimonio. Oggetto proprio di essa appunto la caratteristica della indissolubilit. Cio il fatto che il vincolo non possa essere sciolto: n dai due contraenti (la c.d. indissolubilit intrinseca); n da alcuna autorit umana (la c.d. indissolubilit estrinseca). noto infatti che i due casi di scioglimento di matrimonio ammessi dallordinamento canonico come riferibili alla azione di una autorit esterna ai coniugi quello non consumato e quello non sacramentale sono riservati al Pontefice e giustificati in ragione della sua autorit non gi come capo della Chiesa, come vescovo di Roma, come successore di Pietro: ma come Vicario di Cristo; una autorit, appunto, pi che umana. dunque lo scioglimento del vincolo che rappresenta il contenuto specifico della esclusione della indissolubilit. Ci molto importante da mettere a fuoco. Sia da un punto di vista sostanziale, allo scopo di saper discernere quali fattispecie realizzano veramente una esclusione invalidante; sia da un punto di vista probatorio: infatti, seppure non da tutti ci si possa aspettare una esposizione in termini giuridici della questione, sar compito del giudice vagliare attraver-

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so le parole e i concetti usati da parti e testi cosa effettivamente abbia voluto chi accusato o si accusa di aver simulato il matrimonio escludendone la indissolubilit. Per fare alcuni esempi: una parte in causa che dicesse: io non pensavo alla indissolubilit del matrimonio; ovvero: non credevo alla indissolubilit del matrimonio; ovvero ancora: in caso di fallimento della unione, ci saremmo separati, esprimerebbe salve ulteriori specificazioni concetti troppo generici per comprovare una simulazione. Infatti: chi non pensa a una cosa non pu decidersi contrariamente ad essa; chi non crede nella indissolubilit rimane, salve appunto ulteriori delucidazioni, nel campo del mero errore; chi pensa alla separazione, per s intende la cessazione della vita comune, senza nulla dire circa la sorte del vincolo coniugale. Certo, occorre non fermarsi alla superficie delle parole. Espressioni troppo generiche, per, possono rivelare che, nel caso specifico, non di vera esclusione della indissolubilit si trattava, ma di intenzioni che solo ad essa assomigliavano senza esserlo. Sar compito del giudice, senza forzare la realt, cercare di capire facendo operare al soggetto le dovute precisazioni cosa quegli realmente intendesse. Cos anche espressioni che maggiormente farebbero pensare ad una vera esclusione della indissolubilit, quali: se andr male, romper tutto, ognuno se ne andr per la propria strada, ritorneremo liberi come prima, mi cercher una altro coniuge e simili, richiedono una prudente e ulteriore indagine e precisazione. Da quanto detto, emerge anche che la presunzione di poter rompere il vincolo che realizza la esclusione della indissolubilit, non gi il mezzo che si ipotizza eventualmente di adoperare per causare e sanzionare la rottura. Il fatto quindi che linteressato conoscesse le possibilit giuridiche di rottura del vincolo e le programmasse, ad esempio parlando di eventuale divorzio civile, non rappresenta la sostanza della simulazione, ma solo un indizio, ossia una circostanza di fatto, a favore del suo effettivo essersi verificata. la volont di sciogliere il legame coniugale, ossia di non impegnarsi per sempre, che realizza la esclusione della indissolubilit, anche se il soggetto non ha progettato una soluzione giuridica per quella eventualit e anzi ha pensato anche solo di ritenere chiusa in linea di fatto la esperienza sua di matrimonio. Cos anche il c.d. patto contro lindissolubilit, cio laccordo fra i due contraenti il matrimonio di non impegnarsi per sempre e riservarsi la possibilit di sciogliere il relativo legame, per il diritto canonico solo una circostanza che

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rende pi chiara la fattispecie e pi agevole la prova ma non la sostanza del fatto simulatorio. Possiamo ora passare ad alcune indicazioni circa la prova della esclusione della indissolubilit. Come gi anticipato nella introduzione generale sul fenomeno simulatorio, nella prassi vi uno schema tradizionale di inquadramento delle prove, che ruota attorno alle manifestazioni verbali e non verbali della volont, che appunto ci che deve essere ricostruito nel suo essersi opposta o meno al momento delle nozze alla indissolubilit dellimpegno matrimoniale. La ricostruzione diretta della volont deriva dalle dichiarazioni delle parti e dei testi che ne riferiscono le manifestazioni verbali. Oltre alle regole generali per la valutazione delle dichiarazioni delle parti e dei testi (p.e. la loro attendibilit, il tempo e la fonte della loro informazione, ecc.) si ribadisce nel caso specifico la necessit, gi segnalata, di far precisare il pi puntualmente possibile a chi viene sentito (per i consiglieri delle persone in difficolt matrimoniale cui si dirigono queste note soprattutto ed essenzialmente i diretti interessati) i concetti e le parole usate, per individuare meglio a cosa ci si trovi di fronte: se a una vera esclusione, o solo a qualcosa che le somiglia, senza esserlo formalmente (un errore, ad esempio, una previsione timorosa, una velleit o vanteria...). Fra gli elementi della riscostruzione indiretta della volont, rappresentati dagli indizi e circostanze utili al caso, in tema di esclusione della indissolubilit possono avere un peso probatorio peculiare i seguenti. I convincimenti del soggetto che avrebbe escluso lindissolubilit in campo religioso e matrimoniale: quanto pi forti e rispondenti alla impostazione cattolica sono le convinzioni del soggetto in materia religiosa e matrimoniale, tanto pi improbabile diventa il rifiuto duna caratteristica essenziale del matrimonio cristiano e viceversa. Come infatti detto sopra, convincimenti erronei circa la religione e il matrimonio possono rappresentare un elemento di base, una causa, un movente, remoti di simulazione. Certo a meno che questo elemento di cultura e convinzioni ideali non sia particolarmente sviluppato dovranno indagarsi e reperirsi moventi pi prossimi al concreto matrimonio: quali ad esempio dubbi, incertezze, titubanze prenuziali; ovvero litigi e interruzioni nel fidanzamento, tali da far ritenere verosimile che il soggetto abbia voluto cautelarsi di fronte a un previsto e temuto fallimento.

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In questo senso, anche le vicende familiari degli interessati (per es. le storie matrimoniali di genitori, fratelli, amici) possono costituire una occasione prossima di germinazione della volont simulatoria. Rilievo indiziario pu avere anche la resistenza alla celebrazione religiosa del matrimonio o la proposta di celebrazione civile: sia perch la indissolubilit pur fondata come detto in inizio sul diritto naturale una caratteristica del matrimonio che richiede ormai in linea di fatto, per la sua accettazione, una qualche motivazione religiosa che il rito cattolico obiettivamente esprime come presente nel soggetto almeno in qualche misura; sia perch la scelta della unione civile indica, almeno genericamente, la apertura a una unione coniugale istituzionalmente dissolubile. Infine, valore indiziario avr nel caso indagare come linteressato abbia reagito di fronte alle difficolt matrimoniali, soprattutto quando si sia reso conto della loro insuperabilit e della inutilit di ogni tentativo di recupero. Latteggiamento del soggetto in questi frangenti spesso assai illuminante circa la sua reale volont al momento del matrimonio, a conferma o a smentita delle parole dette in giudizio o ai testi fuori di esso. 2. Guida per il consulente Sulla scorta di quanto esposto al punto precedente, il Pastore danime o il consulente di persone in difficolt matrimoniale, che volesse indagare circa la possibilit di una esclusione della indissolubilit del vincolo, dovrebbe informarsi almeno sommariamente sui seguenti punti. 1. I convincimenti religiosi della persona che avrebbe escluso limpegno perpetuo nel matrimonio: come accennato, meno verosimile che un cattolico osservante abbia simulato un sacramento, mentre meno difficolt logica rappresenta il fatto che labbia simulato una persona con minori convinzioni religiose. 2. I convincimenti matrimoniali della medesima persona: p.e. se fosse un divorzista; se avesse mai commentato vicende matrimoniali di amici, parenti, conoscenti approvando eventuali separazioni e divorzi; se militasse o simpatizzasse per movimenti culturali e politici che ritengono il divorzio un diritto e un segno di civilt. Eventuali convincimenti contrari alla dottrina cattolica ben radicati nel soggetto rappresentano un movente remoto, di sfondo, della simulazione

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e possono divenirne se teorizzati con rigore e coerenza il movente principale. 3. Come sia trascorsa la relazione prenuziale: in particolare se vi siano state interruzioni, difficolt, litigi. Se le ragioni di difficolt sussistessero ancora allepoca delle nozze, ovvero fossero state almeno a giudizio dei nubendi superate. 4. Se, in ragione di quanto al punto immediatamente precedente, vi fossero nei nubendi, o in uno di essi, dubbi, timori, preoccupazioni o altri motivi di inquietudine. Se essi erano intensi e non risolti al momento delle nozze possibile rappresentino una verosimile causa prossima di simulazione. Come insegnamento della giurisprudenza, questi dubbi o timori devono essere apprezzati soggettivamente, cio in rapporto al soggetto e alle sue caratteristiche specifiche: temperamentali e di contesto sociale e familiare. Anche se appare eccessivo dedurre la simulazione dalla considerazione della personalit degli interessati, occorre riconoscere che i dati caratteriali, culturali, familiari possono portare preziosi elementi indiziari a riscontro o a smentita della asserita simulazione. 5. Occorrer pure approfondire se il supposto simulatore sia disposto ad ammettere in giudizio la propria simulazione e in che termini. In sede di consulenza previa occorrer cercare di chiarire il pi possibile cosa il soggetto intendesse realmente circa la perpetuit del proprio impegno matrimoniale, prima di incoraggiare cause canoniche che, a una pi accurata indagine col diretto interessato, si rivelino poi prive di ogni fondamento: o perch egli mai aveva realmente deciso di rompere il vincolo coniugale, ovvero perch lo aveva s deciso, ma solo dopo le nozze, di fronte al fallimento di fatto della unione. 6. A riscontro (o eventualmente in supplenza) delle ammissioni in giudizio dellinteressato, andr vagliato se vi sia la possibilit di riscontri diretti della volont di escludere la perpetuit del vincolo matrimoniale: ovvero se laltro coniuge e altri possibili testimoni siano al corrente di quella volont e siano disposti a confermarla. Come noto, non il numero delle testimonianze che conta, quanto la loro qualit: data dal tempo della loro informazione; dalla fonte di essa; dalla profondit della loro testimonianza; dalla conferma che essa pu ricevere da altri testi o da circostanze obiettive; dalla attendibilit del teste. 7. Andr anche cercato di chiarire come mai pur in ipotesi escludendone una propriet essenziale (lindissolubilit, appunto) il

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soggetto abbia celebrato il matrimonio canonico; se lo abbia fatto volentieri o forzato; se abbia proposto o meno lunione civile o anche la libera convivenza, come detto possibili segni della volont di volersi legare meno strettamente che col vincolo indissolubile del matrimonio valido canonicamente. 8. A questo proposito cio del perch si sia fatto il matrimonio canonico pur escludendone in ipotesi la indissolubilit la giurisprudenza ha affrontato e risolto una difficolt: quella rappresentata dallamore verso laltra parte. La presenza di amore venne infatti talvolta presentata come un possibile ostacolo alla esclusione della indissolubilit, con un ragionamento di questo tipo: chi ama una persona la vuole per sempre con s, quindi non credibile che escluda la indissolubilit. Questo ragionamento appare per vero solo in parte e non pu fondare una presunzione generale: molto realisticamente, la giurisprudenza invita a considerare quale tipo di amore muoveva il soggetto a ricercare il matrimonio. La mera attrazione erotica e sentimentale, ad esempio, intensa ma passeggera, non rappresenta soverchio ostacolo alla plausibilit di una esclusione della indissolubilit; molto di pi invece lamore come donazione cristianamente intesa, che si dedica al bene dellaltro e della prole anche nella cattiva sorte e nello scemare dei sentimenti. Andr dunque indagato che tipo di amore vi fosse nel caso per cui si d la consulenza. 9. Fra le circostanze postnuziali dal valore indiziario relativamente alla esclusione della indissolubilit, va anche indagata la presenza o meno di prole nata dalla unione coniugale. vero che il rapporto di filiazione e quello coniugale sono realt formalmente diverse, almeno sul piano strettamente giuridico, e che sciogliere il matrimonio non significa sciogliere i rapporti, giuridici e di affetto, con i figli; vero per che, ordinariamente, lavere dei figli significa stringere in qualche modo il legame anche con il cogenitore. La presenza di pi figli, magari a diversi anni di distanza uno dallaltro, quindi un elemento da soppesare attentamente nelle sue cause e spiegazioni, apparendo per s un indizio genericamente contrario al rifiuto di un impegno proiettato nel futuro fino anche alla accettazione della sua perpetuit. 10. Utile sar anche indagare come il soggetto indicato come esclusore della indissolubilit del matrimonio si sia comportato di fronte alle difficolt coniugali. Un rapido disimpegno e la scelta della soluzione pi facile, quella della separazione e dello scioglimento di

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fatto o civile del legame, indizio favorevole alla simulazione, soprattutto se il disimpegno unilaterale e avviene in contrasto alla buona volont del coniuge, che ancora vorrebbe provare a rimediare alle difficolt della vita coniugale. Peraltro, anche tentativi di superamento delle difficolt e di prosecuzione della vita comune non sono di per s indizio contrario alla simulazione: come infatti la giurisprudenza ritiene ormai comunemente, la esclusione della indissolubilit avviene molto spesso non nel desiderio della sua pratica applicazione, ma solo come cautela di fronte a un temuto fallimento del matrimonio che, per s, si vorrebbe per tutta la vita. Essa si realizza quindi non come casus desiderium (desiderio della rovina del matrimonio), ma come casus cautio (cautela di fronte alla temuta rovina del matrimonio). 3. Esempi Come abitualmente nella nostra rubrica sul Pastore danime e la nullit del matrimonio, si offrono alcuni esempi pratici ad illustrazione del motivo di nullit presentato e delle sue problematiche principali, di diritto sostantivo e di prova. Primo esempio Flavio era un giovane di ottima famiglia, gentile ed educato, dal carattere delicato e forse un po debole; per lunghi anni quelli del liceo e delluniversit frequent come compagna di studi e di vacanza Clara, pure di ottima famiglia, persona di intelligenza superiore e dalla volont ferrea. La praticamente quotidiana frequentazione dei due, protrattasi per circa dieci anni, sfoci quasi naturalmente nel matrimonio, celebrato pochissime settimane dopo la laurea di entrambi. Pi di ventanni dur la vita coniugale e gli interessati ebbero concordemente due figli, ai quali diedero prova di dedicarsi con amore. Circa ventiquattro anni dopo le nozze, per decisione unilaterale di Flavio, momentaneamente legatosi ad altra donna, si ebbe la fine di fatto della vita comune coniugale. Per chiarire e forse anche per regolarizzare la sua nuova situazione Flavio accus se stesso di aver escluso, dal proprio consenso matrimoniale, la indissolubilit del vincolo, essendosi gi prima delle nozze accorto del carattere molto forte e dominante di Clara, temen-

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do un esito infelice dellunione e desiderando riservarsi una via di uscita, da essa. Flavio port anche alcuni testimoni, in particolare due, che confermarono tale sua volont; nonch altri, che riferirono del modo abitualmente brusco in cui, anche involontariamente, Clara trattava Flavio gi prima delle nozze e del disagio che egli ne provava. La prova portata da Flavio venne ritenuta per insufficiente e per le seguenti ragioni. Sembr strano ai giudici che i due testimoni informati della esclusione della indissolubilit da parte di Flavio fossero persone con le quali egli aveva rapporti assai raramente, mentre nulla di tale volont sapessero i numerosi amici e conoscenti comparsi in giudizio, coi quali Flavio e Clara avevano rapporti assai frequenti. Senza discutere la buona fede di Flavio e dei testi, i giudici spiegarono quelle dichiarazioni come occasionali e fatte in contesti particolari, senza che comprovassero una vera e formata decisione da parte di Flavio: uno dei testi era infatti allora in difficolt coniugali e parl di ci con Flavio, verosimilmente condizionandone le espressioni; delle sue stesse dichiarazioni allaltro teste Flavio stesso non aveva pi memoria, a testimonianza che esse esprimevano un sentimento di timore momentaneo verso il futuro matrimoniale, ma non una vera e propria decisione di non impegnarsi per sempre. In secondo luogo Clara, fieramente opponentesi alla causa, riusc a ridimensionare fortemente la prova dei dubbi e delle titubanze prenuziali di Flavio. Anche i testi che riferivano dei modi decisi di lei e del risentimento di lui sono dimostrati aver frequentato le parti per periodi brevi e ancora lontani dalle nozze, mentre nulla di incertezze o di disagi da parte di Flavio sanno gli abituali compagni di studio e di vacanze. In terzo luogo, il fatto che Flavio, nonostante dichiari che il carattere di Clara sia stato sempre uguale cio duro e volitivo anche nei primi tempi di matrimonio, abbia protratto cos a lungo la vita coniugale; il fatto che abbia ricercato positivamente i figli, nemmeno ormai pi nei primissimi anni di nozze; il fatto che la fine della vita comune sia avvenuta non in applicazione della riserva che Flavio dichiara di avere apposto al proprio consenso ma in conseguenza della relazione di lui con altra donna: vennero ritenuti dai giudici circostanze troppo contrarie alla ipotesi della simulazione da poterla ritenere certa moralmente, nonostante le dichiarazioni in giudizio di Flavio e la conferma dei testi ricordati.

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Lesempio vuole richiamare alla necessit, comunemente sottolineata dalla giurisprudenza, di valutare complessivamente le circostanze di un caso. Non basta che un elemento di prova sembri sussistere (nel caso di Flavio, la prova diretta). Occorre anche valutare il peso effettivo di tali testimonianze e la loro coerenza con lo svolgimento globale della vicenda. chiaro che una valutazione conclusiva, su questi punti, potr farsi solo a istruttoria finita; in sede di consulenza per, un ascolto attento del caso potr far gi emergere previamente eventuali elementi contraddittori e problematici, invitando gli interessati a riflettere meglio e pi profondamente sulla loro vicenda ed evitando eventualmente iniziative processuali utili solo a suscitare dolori aggiuntivi a quelli derivanti dal fallimento del matrimonio di persone peraltro degne e stimabili. Secondo esempio Filippo, giovane operaio, e Caterina, pure operaia, si conobbero e frequentarono come fidanzati per diversi anni. Filippo aveva una mentalit molto pragmatica, volta soprattutto allapprezzamento degli aspetti pi concreti e materiali dellesistenza. Caterina, dal carattere buono e sinceramente innamorata, accettava Filippo cos comera e desiderava il matrimonio con lui. Ad esso Filippo si fece piuttosto trascinare, poco entusiasta e dubbioso, anche perch, avendo dovuto cambiare posto di lavoro, si era trovato in una fabbrica pi grande della prima piccola officina di paese, con colleghe operaie e impiegate delle quale avvertiva lattrattiva. Ci soprattutto nei confronti di una di queste, che cominci a frequentare regolarmente con la scusa di affrontare con lei questioni sindacali. Il pragmatico Filippo non manc di far trapelare il proprio poco entusiasmo nei confronti del matrimonio con Caterina, sia con gli atteggiamenti esteriori, sia con discorsi nei quali spudoratamente affermava che, se avesse trovato qualche ragazza che gli avesse fatto girare la testa, non avrebbe esitato a lasciare Caterina e ad unirsi con laltra. Testi attendibili e circostanziati riportarono in giudizio queste espressioni di Filippo. Nel corso della vita coniugale Filippo accentu il suo disinteresse per Caterina: mai nessun segno di affetto verso di essa, poca presenza in casa e molte ed egoistiche pretese da un punto di vista intimo. Dopo soli cinque mesi di matrimonio, senza alcuna grave ragio-

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ne e per pura disaffezione alle minime esigenze della vita coniugale, unilateralmente Filippo abbandon Caterina. Filippo manifest in questa occasione il suo dispregio per la moglie e per il legame matrimoniale: Caterina infatti rientrava dallospedale dopo aver perso per aborto naturale una incipiente gravidanza, da Filippo non ricercata e della quale mai si era interessato. Egli segu, anche in questa occasione, il suo istinto e il desiderio di una vita pi libera e disimpegnata di quella che la pur remissiva e affezionata Caterina gli consentiva. Lesempio sottolinea: sia limportanza della considerazione della personalit del soggetto indiziato di simulazione del consenso, potendo risiedere nella mentalit di lui (nel caso legoismo pragmatico di Filippo) la principale causa di rifiuto del vincolo coniugale: sia il rilievo del comportamento del soggetto dopo le nozze, soprattutto il suo atteggiamento nei confronti della seriet del legame coniugale: un suo evidente spregio a pochi mesi dalle nozze, senza che sia subentrata qualche causa grave per la separazione ascrivibile al coniuge, rappresenta un indizio del rifiuto di un impegno indissolubile nel legame matrimoniale. Terzo esempio Gennaro era un giovane magistrato di prima nomina in una Procura della Repubblica, lontano dalla sua regione di origine. Egli era di estrazione culturale laica e aveva svolto, prima di entrare in magistratura, attivit politica ed amministrativa in un partito della c.d. sinistra. Conobbe nella citt del suo lavoro Laura, ragazza molto religiosa: Gennaro ne rispettava la religiosit, ma non la condivideva, non corrispondendo al suo sentire ed alla sua formazione. I due giunsero al matrimonio per iniziativa di Laura, che volle lunione religiosa. Gennaro laccett, per compiacere la fidanzata, ma determinato ad accogliere solo quegli aspetti del matrimonio che corrispondevano alle sue convinzioni culturali e civili. da notare, in particolare, che il matrimonio di Gennaro e Laura avvenne nel 1970, quando ormai era certa lapprovazione della legge che introduceva la possibilit di divorzio in Italia, anche per i matrimoni cosiddetti concordatari. Gennaro conosceva i termini giuridici e parlamentari del problema e professava apertamente la sua adesione al divorzio, non solo come istituto giuridico ritenuto in genere positivo per i suoi effetti sociali, ma anche come possibilit ed

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eventualit per se stesso. Questo Gennaro ebbe modo di dichiarare anche a colleghi che discutevano con lui del suo matrimonio. La convinzione che aveva espresso anche prima delle nozze a parole, Gennaro ebbe modo di mostrarla nel suo spessare pratico dopo le nozze: egli risult insofferente dello stato coniugale, nonostante la moglie cercasse di assecondarlo, per esempio adattandosi ad un trasferimento al Sud, dove Gennaro desiderava tornare a vivere. Al contrario, Gennaro mostrava di non adattarsi alle aspirazioni della moglie, avversandone il desiderio di procreazione e, solo dopo pochi anni di vita comune, iniziando una tenace opera di convincimento per portarla ad accettare la prospettiva della separazione. Non appena trascorso il termine di legge, Gennaro fece poi ricorso al divorzio civile, successivamente al quale si un in nozze civili con altra donna. Gennaro, nel giudizio canonico intentato da Laura ad anni di distanza dalla separazione, ammise limpostazione che aveva voluto dare al suo matrimonio, che venne creduta dai Giudici non solo per le conferme testimoniali dirette di essa, ma anche per la coerenza che essa esprimeva con le concezioni globali di Gennaro in materia matrimoniale: la sua visione laica della vita, il suo favore esplicito per il divorzio sul punto di essere introdotto in Italia, la sua conoscenza dei termini giuridici del problema furono ritenuti elementi adatti a dimostrare la presenza in Gennaro di un errore radicato in materia matrimoniale, tale da aver spinto la sua volont ad aderire ai soli aspetti dellistituto matrimoniale da lui condivisi, esclusa, quindi, in specie, la indissolubilit. Lesempio intende illustrare la forza che pu avere, in alcuni casi una mentalit radicata e culturalmente consolidata contraria alla indissolubilit, tale da divenire principio operativo della volont nellescludere dal proprio oggetto quanto non si compone con i propri convincimenti. Tale errore per avere rilievo indiziario di causa della esclusione della indissolubilit deve essere provato come moralmente certo. Nel caso di Gennaro anche alla luce dellepoca dei fatti e della professione dellinteressato esso era reale e radicato. Sar compito del consulente dei casi matrimoniali, discernere quando esso sia realmente tale, ovvero sia solo espressione di superficialit, vanteria, conformismo epidermico alla mentalit corrente.

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Quarto esempio Lultimo esempio vuole illustrare di nuovo il ruolo sostanziale e probatorio della causa della simulazione, indicando che essa pu sintetizzare gli elementi osservati nellesempio secondo e terzo: da un lato la superficialit e legoismo, dallaltro motivazioni di carattere ideologico. Luca e Katia erano due giovani sessantottini, adolescentemente eversori a parole di istituzioni e convenzioni borghesi. Nella realt, vivevano dei beni delle rispettive, facoltose, famiglie, conducendo la loro relazione reciproca con grande libert dal punto di vista morale, non solo nel senso che tra di loro erano divenute ormai abituali intimit complete, ma che si riconoscevano reciprocamente la facolt di realizzare esperienze sentimentali e sessuali con terze persone. Il loro ideale era continuare in quel modo la loro relazione: solo aggiungendovi la coabitazione, desiderando trascorrere un certo periodo di tempo assieme allestero. Escludevano anche il vincolo civile, contrario pure, nella loro mentalit, alla libert dellamore. Per quieto vivere nei confronti delle famiglie, di stampo tradizionale, e forse soprattutto per usufruire del loro aiuto economico, in vista della realizzazione del detto soggiorno estero, Luca e Katia si accostarono al matrimonio religioso non facendo mistero (tranne purtroppo al parroco competente ad ammetterli alle nozze) del fatto che la celebrazione religiosa era per loro vuota forma e che essi non intendevano rinunciare alla loro mentalit e stile di vita. Ci fu ulteriormente comprovato non solo dallatteggiamento supponente tenuto al rito nuziale, ma anche e soprattutto dalla impostazione concreta della vita coniugale, vissuta allinsegna dalla libert da ogni legame e assai presto conclusasi con ladesione ad altri partner. Il complesso delle prove acquisite port a riconoscere che laspetto giuridicamente rilevante rifiutato da Luca e Katia nel contrarre matrimonio era quello di un vincolo impegnativo e duraturo. Forse anche altri aspetti del loro consenso avrebbero potuto essere messi in discussione, ma dalle parole riportate dai testi e dai fatti provati proprio il rifiuto di un impegno definitivo verso il coniuge emerse dalla rattristante vicenda come pi specificamente rilevabile. PAOLO BIANCHI Piazza Fontana, 2 20122 Milano

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E.

Economia Oikonomia

I vocabolari della lingua italiana non possono sovvenire al canonista che ricerchi il significato canonico proprio del termine economia. In essi infatti si registra solamente il significato comune del termine, che deriva in italiano direttamente dalluso francese del termine conomie. Il significato comune del termine In questambito economia, pur rivestendo una pluralit di sfumature, attiene alla produzione, utilizzazione e consumo di ricchezze, di risorse e di merci. La etimologia del nome spiega completamente tale area di significato, poich il termine deriva da oikos (= casa) e nemo (=amministro): si riferiva allinizio allamministratore o responsabile dellandamento della casa, intendendo con questo sia la direzione della servit e del loro lavoro, sia lutilizzo a tale scopo delle risorse messe a disposizione dal padrone di casa. Questi infatti affidava alleconomo la responsabilit gestionale dei servi e degli schiavi, destinati alle pi disparate mansioni legate alla casa. In questo significato si trova nel Vangelo secondo Luca (16, 2ss). Era questo delleconomo nellantichit un compito stimato e importante, sia perch spesso le dimensioni della casa cui provvedere erano notevoli, sia perch lotium letterario e politico del padrone dipendeva in gran parte dal successo di tale gestione concreta. Non

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meraviglia perci che grandi autori della grecit classica come Senofonte abbiano dedicato dei testi a questa mansione particolare. La principale capacit richiesta alleconomo era indubbiamente quella di saper assegnare a ciascun servo la mansione che potesse rendere il maggior vantaggio alla casa, sia quanto ad individuazione delle abilit del singolo servo, sia quanto a controllo delleffettivo svolgimento dellincarico, sia quanto a coordinamento tra compiti effettuati (in ragione dellimportanza, della precedenza, dellurgenza) sia quanto ad armonia fra i servi destinati al medesimo lavoro o comunque alla medesima casa 1. In tal modo leconomia, da attivit concreta, pass a designare anche larmonica proporzione delle parti tra loro e col tutto. Confermano tali significati anche le traduzioni che il termine economia ebbe nella lingua latina. Esso veniva tradotto o con dispensatio, riferendosi in tal modo, sembra, alla principale attivit delleconomo, di essere cio dispensator, distributore di incarichi e di risorse; oppure con dispositio, riferendosi in tal modo alla armonica collocazione delle parole allinterno del discorso. Molto pi spesso per il termine rimaneva senza traduzione, poich si riconosceva che in latino il termine esatto di traduzione mancava 2, e pertanto si ricorreva alla semplice traslitterazione, che poi ebbe il maggior successo nelle lingue moderne, come attesta appunto il termine economia. Nel nostro Codice di Diritto Canonico luso del termine economia (nelle sole forme di oeconomus 3 - oeconomicus 4) rientra unicaNel testo di Senofonte, impostato come un dialogo con Socrate, ben posto in evidenza il rapporto fra economia e saggio comando degli uomini. Nel capitolo III Socrate afferma che appartiene alleconomia la spiegazione del fatto che dei servi tutti incatenati tentino ogni tanto di fuggire, mentre altri sono liberi di catene, contenti di lavorare e di restare presso i loro padroni. Nel capitolo XXI poi confronta due modi diversi di amministrare una traversata in mare su una trireme: quando si naviga in alto mare e si devono compiere a forza di remi traversate che durano giorni interi, alcuni capi-rematori sanno dire e fare tali cose da stimolare lo spirito degli uomini, che allora volentieri si sottopongono alla fatica, altri, invece, ignorano talmente tutto questo che impiegano pi del doppio a compiere la stessa rotta. E gli uni sbarcano tutti sudati e felicitandosi a vicenda capo e ciurma gli altri arrivano senza stillare una goccia di sudore, ma guardandosi di mal occhio, la ciurma il capo, e il capo la ciurma. 2 QUINTILIANUS Marcus Fabius, Listituzione oratoria, III, 3, 9, Torino 1968, 332-333: Ermagora subordina giudizio, partizione, ordine e quanto fa parte dellelocuzione alla economia, che prende nome, in greco, dalla cura del patrimonio domestico e che qui usata abusivamente per mancanza di un termine corrispondente in latino. 3 Cf cc. 239 par. 1, 423 par. 2, 492 (tit.), 494 par. 1-4, 636 par. 1-2, 1278. la voce assolutamente prevalente nel Codice del 1917, nel quale una volta appare anche al femminile. La voce oeconomus si trova anche nel Decretum di Graziano. 4 Cf cc. 637, 718, 1148 par. 3, 1277, 1292; nella locuzione res oeconomica cf cc. 492 par. 1, 494 par. 1, 520 par. 2, 681 par. 2; nella denominazione consilium a rebus oeconomicis cf cc. 423 par. 2, 492 (tit.), 492 par.
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mente in questarea complessiva di significato comune, riferendosi esclusivamente alla sfera dei beni patrimoniali, o come il Codice stesso preferisce, dei beni temporali. pertanto compito dellEconomo diocesano amministrare i beni (temporali) della diocesi sotto lautorit del Vescovo, fare sulla base delle entrate stabili della diocesi le spese che il Vescovo o altri dal medesimo legittimamente incaricati abbiano ordinato...presentare il bilancio delle entrate e delle uscite (c. 494 par. 3-4). cos compito del Consiglio per gli affari economici diocesani predisporre ogni anno il bilancio preventivo delle questue e delle elargizioni per lanno seguente in riferimento alla gestione generale della diocesi e approvare, alla fine dellanno, il bilancio delle entrate e delle uscite (c. 493). Il principio delleconomia nel diritto ortodosso Lattualit dellargomento Sono due i fatti che recentemente hanno portato allattenzione generale della Chiesa il principio delleconomia, vigente nellordinamento giuridico ortodosso. Il primo interno allOrtodossia. Nel 1973 venne pubblicato dalla Commissione Interortodossa incaricata di preparare il Concilio panortodosso, lo schema di un documento, predisposto originariamente dalla Chiesa ortodossa di Romania, sulla economia 5. Il testo ricevette unaccoglienza fortemente critica e dopo alcuni anni la I Conferenza Presinodale Panortodossa decise di togliere largomento dallordine del giorno del futuro Concilio panortodosso 6. Linteresse continua comunque ad essere alto nellOrtodossia, soprattutto per lapplicazione molto vasta del principio delleconomia allambito delle relazioni ecumeniche.
1-3, 493, 494 par. 1-4, 537, 1263, 1277, 1280, 1281 par. 2, 1287 par. 1, 1292 par. 1, 1305, 1310 par. 2. Nel Codice del 1917 appare in due soli canoni: 535 par. 3, 1 , 618 par. 2, 1 . Non presente nel Decretum di Graziano. 5 Cf ARCHONDONIS Bartholomeos, The Problem of Oikonomia Today, in Kanon. Jahrbuch der Gesellschaft fr das Recht der Ostkirchen 6(1983)39-40. Il testo in traduzione italiana si pu leggere in Il Regno/documenti 18(1973)33-37. 6 Cf ARCHONDONIS, The Problem, 40-41; PETR Basilio, Tra cielo e terra. Introduzione alla teologia morale ortodossa contemporanea, Bologna 1992, 112-117.

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Tale principio infatti interviene tradizionalmente decretando la accettazione o il rifiuto dei sacramenti celebrati al di fuori della Chiesa ortodossa, e si manifesta soprattutto nella decisione se far ripetere oppure no tali sacramenti quando il fedele che li ha ricevuti vuole entrare a far parte della Chiesa ortodossa. Le posizioni in questambito sono discordanti nelle varie epoche della storia e nelle stesse varie Chiese che compongono lOrtodossia, a seconda dellampiezza del potere che viene riconosciuto alla Chiesa. La posizione estrema riconosce alla Chiesa il potere di far s che i sacramenti di per s validi siano considerati come invalidi, e che i sacramenti di per s invalidi, siano considerati come validi 7. Il secondo interno alla Chiesa cattolica. A partire dagli anni del Concilio Vaticano II, teologi, moralisti e canonisti sempre con maggiore insistenza si appellano al principio delleconomia vigente nellOrtodossia, soprattutto allo scopo di risolvere alcuni impasses della dottrina o della prassi della Chiesa cattolica. Il 4 ottobre 1965 Mons. Elias Zoghby, vicario patriarcale dei Melchiti di Egitto, interveniva nellaula conciliare e appellandosi precisamente al principio delleconomia spiegava e giustificava il suo precedente intervento del 29 settembre, in cui aveva invitato la Chiesa a ripensare alla propria prassi circa il rifiuto assoluto del divorzio: Nella teologia ortodossa il divorzio non che una dispensa accordata al coniuge innocente in un caso ben definito e con uno scopo puramente pastorale, in virt di quello che gli ortodossi chiamano il principio delleconomia, ci che significa dispensa o concessione. Questa dispensa non esclude il principio dellindissolubilit, ma chiamata a servirlo...si fonda sullautorit indiscutibile di santi Padri e di santi Dottori delle Chiese dOriente 8. Il richiamo alleconomia in questo caso, sia detto per inciso, non appare pertinente, in quanto, se si legge la clausola di Matteo (eccetto in caso di concubinato) come una eccezione prevista da Nostro Signore alla indissolubilit, non vi alcuna economia nellapplicarla, anzi vi senzaltro acribia. La Chiesa ortodossa usa leconomia

la posizione di Costantino DYOVOUNIOTIS (1872-1943): cf SPITERIS Yannis, La teologia ortodossa neogreca, Bologna 1992, 182. Per tutta la problematica cf CONGAR Yves, Diversit e comunione, Assisi 1983, 81-92. 8 Acta synodalia sacrosancti Concilii oecumenici vaticani II, IV/III, 47 e 257-258. Il testo della replica in latino e in francese.

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in questo caso quando amplia ed applica estensivamente quella clausola 9. La 14a propositio della V Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi del 1980 sulla famiglia intende certamente appellarsi al principio delleconomia quando afferma: Mosso da sollecitudine pastorale per questi fedeli [ossia in situazione matrimoniale irregolare] il sinodo si augura che venga messa in atto una nuova e pi approfondita ricerca, tenendo conto anche della prassi delle chiese orientali, allo scopo di rendere ancora pi completa la misericordia pastorale (14.6) 10. Lambito dove questo richiamo , come si vede, pi insistente e consistente quello matrimoniale 11. Con lappello a questo principio si intenderebbero soprattutto risolvere situazioni difficili di matrimoni falliti, permettendo seconde legittime nozze, senza la necessit di procedere prima alla dichiarazione di nullit del primo matrimonio, oppure permettere laccesso alla comunione eucaristica per coloro che si trovano in seconde nozze illegittime. Emerge quindi con prepotenza la necessit di definire il principio di economia nel diritto ortodosso. Il che impresa affatto ardua per una molteplicit di fattori, che qui mette conto ricordare: lassenza (di fatto, storicamente motivata, ma pure concettualmente molto significativa e coerente dal punto di vista sistematico) nel diritto ortodosso di una codificazione moderna o anche solo di una puntuale dottrina unitaria; una certa ritrosia a riconoscere comparativamente nel diritto canonico (cattolico) analogie al principio delleconomia;

Cf PETR, Tra cielo e terra, 111-112 (nt. 14: bibliografia). Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. Le 43 proposizioni, in Il Regno/documenti 26(1981)390. Gli accenni alleconomia nel Sinodo non furono numerosi: cf lintervento di Mons. Joachim NDayen, arcivescovo di Bangui e la richiesta del circolo minore francese A (CAPRILE Giovanni, Il Sinodo dei Vescovi. Quinta Assemblea Generale, Roma 1982, 238. 349). Cf pure ibidem, 332. 341. 764. 11 Cf PETR, Tra cielo e terra, 123-127. Tra gli autori mi limito a citare il recente testo di HRING Bernhard, Pastorale dei divorziati. Una strada senza uscita?, Bologna 1990, 43-61 (3. La nuova prospettiva auspicata: una spiritualit e una prassi ispirate alla oikonomia; 4. Il cammino verso una prassi ispirata alla oikonomia nella nostra chiesa), cui rispose polemicamente, su autorevole richiesta, LOsservatore Romano pubblicando un articolo di MAY William E. (cf 6 marzo 1991, p. 2). Da tener presente in questo campo lavvertimento dei Vescovi francesi allindomani della chiusura dellAssemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia: la richiesta di vagliare le implicanze del principio delleconomia in materia matrimoniale un vero interrogativo e non la supposizione di un problema gi risolto (cf CAPRILE, Il Sinodo, 572).
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una diversa lettura sia del concetto che delle applicazioni in ambito ortodosso, che non conosce definizioni delleconomia, ma, ancor pi in generale, che non solo non ha bisogno di definire, ma che ha bisogno di non definire 12; linteresse ed il tentativo da parte cattolica di estendere il concetto di economia per usi propri interni. Per ovviare a tali difficolt e per poter attingere al pi autentico concetto di economia, ripercorreremo storicamente anzitutto il nascere del concetto, rinvenendone in tal modo i diversi piani e le loro connessioni 13. Economia salvifica divina Limmagine di Dio che crea, che provvede alla sua creazione, che sceglie ed accompagna il suo popolo, che manda il suo Figlio; limmagine del Verbo di Dio che si fa uomo, che conduce una vita umana accanto ai suoi discepoli; limmagine dello Spirito che conduce la vita della Chiesa; come pure infine la stessa vita divina connotata da tali azioni, non potevano sfuggire nella prima comunit cristiana allambito semantico del termine oikonomia. Il cosmo creato da Dio unarmonia secondo una economia (katoikonomian) sinfonica 14; come lagricoltore nelle diverse stagioni compie i diversi lavori richiesti tutti dalla terra, cos Dio amministra (oikonomei) il corso di tutti i secoli come se fosse costituito da qualche anno soltanto 15. Ma soprattutto quando lazione di Dio appare evidente nel corso della storia di un popolo, che emerge il piano di salvezza che Dio ha escogitato e che provvede a porre in atto progressivamente, fino a disporre (eis oikonomian: Ef 1,10) la pienezza dei tempi per realizzarlo ed insieme rivelarlo in Cristo (cf pure Ef 3,9) 16.
CONGAR, Diversit, 91. Sul significato del principio delleconomia nella concezione del diritto canonico in ambito ortodosso, si vedano le osservazioni di CORECCO Eugenio, Teologia del diritto canonico, in Nuovo Dizionario di Teologia, a cura di BARBAGLIO Giuseppe - DIANICH Severino, Roma 1979, 1713-1722. 13 Cf in modo speciale DUCHATELEZ K., La notion dconomie et ses richesses thologiques, in Nouvelle revue thologique 92(1970)267-292; LHUILLIER Pierre, Lconomie dans la tradition de lglise orthodoxe, in Kanon. Jahrbuch der Gesellschaft fr das Recht der Ostkirchen 6(1983)19-38. 14 TAZIANO, Discorso ai Greci 12, in Patrologia Graeca 6, 832. 15 ORIGENE, Contro Celso IV, 69, in Patrologia Graeca 11, 1137. 16 Cf MICHEL O., Oikonomia, in Grande Lessico del Nuovo Testamento VIII, KITTEL Gerhard - FRIEDRICH Gerhard edd., Brescia 1972, 427-432.
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Economia sar pertanto lintero piano della salvezza ed i suoi singoli momenti e tappe; economia sar lincarnazione di Cristo; economia sar la stessa attivit di relazione allinterno della Trinit 17. Un concetto siffatto talmente ampio e inglobante da poter rendere alla fine tutta la teologicit, ossia lintera interpretazione teologica della storia a partire dallautorivelazione e autodonazione di Dio agli uomini. Conoscono tale concetto e termine (oikonomia e oeconomia) non solo i Padri orientali, ma pure alcuni Padri ed autori occidentali, come Tertulliano, Agostino, Filastrio, Girolamo. Leconomia qui pertanto un concetto teologico che designa il piano di salvezza per tutti gli uomini, lopera della divina Sapienza. Secondo questo progetto, Dio Padre ha inviato il suo Figlio nel mondo, dandogli tutto il potere necessario per compiere la sua missione, salvare tutti gli uomini 18. Economia ecclesiale Ci sono dei fattori che traslano il concetto di economia dallagire di Dio a quello della Chiesa. Il primo attiene alla visione segmentata o particolareggiata dei misteri della storia della salvezza e della vita di Cristo. In altre parole gli autori cristiani scoprono delle economie minori, allinterno della grande economia divina. Se Dio si arrabbia come un adulto fa con un bambino, non per passione, ma per economia, ossia per indicare e muovere il suo popolo a conversione 19. Se Ges presente sulla nave con gli apostoli e pure scoppia una tempesta che li impaurisce, per economia, perch si possa imparare che senza tentazione nessuno pu passare questa vita e la tentazione tiene in esercizio la fede 20.
17

Appare questultimo il significato proprio di economia (o meglio, oikonomia) nellAdversus Praxean di Tertulliano (cf le note introduttive di SCARPAT Giuseppe alledizione di Torino [Loescher] 1959, LXXXII-XC). 18 Nuntia 6/10(1980)92: sono le parole del gruppo minore della Pontificia Commissio Codici Iuris Canonici Orientalis Recognoscendo nella conclusione del 7 febbraio 1976. 19 Cf DUCHATELEZ, La notion, 284-285. 20 Cf AMBROSIUS, Expositio Evangelii secundum Lucam, VI, 39. Cf pure ibidem, VI, 13.

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In tal modo possono essere letti anche quegli episodi della storia della salvezza che rivestono un forte carattere di problematicit per ragioni morali o teologiche. Economia qui diventa sinonimo di pedagogia divina nel rivolgersi agli uomini. Il secondo attiene alla denominazione degli apostoli e dei ministri come economi, amministratori (cf 1Cor. 4,1; Gal. 4,2; Tit. 1,7; 1Pt. 4,10) 21 e del loro ministero come economia (cf 1Cor. 9,17; Ef. 3,2). Se qui lorigine da ricercare forse principalmente nel significato comune del termine, nondimeno la significazione teologica non pu non aver influito nel rafforzare la valenza della denominazione. Non pi Dio direttamente opera, ma attraverso lopera di economi ed amministratori al suo posto. Il terzo attiene allinfluenza anche in ambito ecclesiale dei significati profani, o meglio comuni, del termine, che permane nel significare lintelligenza delluomo di affari e del buon economo che intende raggiungere il suo fine, il sotterfugio e lartificio con cui si persegue il proprio scopo, la dissimulazione saggia ordinata ad un fine buono. In tal modo economia viene a significare linsieme delle attivit ecclesiastiche o ecclesiali messe in atto dal buon amministratore (vescovo: cf Tit. 1,7) nella guida della sua porzione di popolo di Dio. Leconomia qui pertanto lopera che la Chiesa svolge continuando a mettere a disposizione dei fedeli lopera redentrice di Cristo nel mondo 22. Economia canonica o ecclesiastica Lintera attivit pastorale del vescovo economica e lintera attivit pastorale imita da vicino leconomia divina, lattivit pastorale di Dio e di Cristo: Leconomia imitazione (=mimesis) dellamore di Dio per gli uomini, scrive il Patriarca Nicola il mistico, del X secolo (cf Lettera XXXII , in Patrologia Graeca 111, 213A). Se c per un ambito dove questo si manifesta con evidenza quando il vescovo nella sua attivit mostra una condiscendenza, una

21 22

Cf MICHEL O., Oikonomos, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, 420-427. Cf VI documento preparatorio al Concilio panortodosso, n. 2, in Il Regno/documenti 18(1973)34.

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misericordia, un amore particolari verso la Chiesa, i suoi fedeli, alcuni di questi o anche uno solo. Tale amore evidente quando supera qualcosa; quando supera una disposizione generale; quando fa uneccezione rispetto alla regola generale. Questa misericordia leconomia canonica. infatti del buon amministratore non solo stabilire lordine che deve reggere una casa, ma anche le attuazioni reali e concrete di questordine, con tutte le duttilit richieste al buon amministratore al presentarsi di casi nuovi, situazioni non previste in cui il compromesso e ladattamento non possono non prevalere sulla stessa disposizione generale. opera molto difficile identificare il momento storico in cui avvenuto questo ulteriore passaggio di significato, sia perch strettamente connesso con il significato pi generale sia perch le fonti non sono abbondanti. Sembra si possa affermare che tale traslazione del concetto di economia sia avvenuta in ambito bizantino, con un impiego limitato ed in epoca relativamente tarda 23. La definizione di economia canonica Si dice economia (canonica) o oikonomia una qualsiasi derogazione concessa dalla competente autorit ecclesiastica alla normativa canonica per il bene dei fedeli 24. , per usare le parole di un esimio canonista ortodosso, una derogazione temporanea o permanente allacribia, per necessit o
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Cf LHUILLIER, Lconomie, 28-38. Nellantichit il concetto di economia o sarebbe stato espresso con altri termini (cf ad esempio philanthropia) o non avrebbe avuto alcun termine tecnico. Lautore (cf pp. 30ss) tenta pure di confutare unopinione pressoch comunemente accettata (cf ad esempio DE HALLEUX Andr, Lconomie dans le premier canon de Basile, in Ephemerides Theologicae Lovanienses 62[1986]381-392): luso in san Basilio gi del termine economia in senso canonico, opposto a acribia. Anzi secondo lo stesso autore il concetto di economia canonica, non avrebbe alcun parallelo nella Chiesa primitiva, in cui losservanza dei canoni era inderogabile (cf p. 38), ma apparterrebbe piuttosto a un periodo di decadenza della teologia ortodossa. Cf pure PETR, Tra cielo e terra, 119-123; MEYENDORFF, Byzanz, in Theologische Realenzyklopdie VII, Berlin - New York 1981, 522-523; KAUFHOLD Hubert, Ein syrischer Brief aus dem 9. Jahrhundert ber die kirchenrechtlicher Oikonomia, in Oriens christianus 73(1989)44-67. 24 Oikonomia is the suspension, by the competent authorities of the Church, of the exact observance of the canons and ecclesiastical laws in specific cases (RODOPOULOS Panteleimon, Introduction to the Topics of the fifth International Congress of the Society for the Law of the Oriental Churches. I. Oikonomia, in Kanon. Jahrbuch der Gesellschaft fr das Recht der Ostkirchen 6[1983]15);Le terme grec oikonomia employ avec une connotation canonique signifie une drogation la norme, ou plus prcisment une attitude ecclsiastique impliquant la possibilit concrte dappliquer une telle mesure (LHUILLIER, Leconomie, 19). Cf le definizioni riportate in KOTSONIS Jrme, Problemes de lconomie ecclsiastique, Gembloux 1971, 41-46.

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per il maggior bene di alcuni o dellintera Chiesa, accordata con competenza e a certe condizioni, sempre restando comunque salve sia la piet sia la purezza del dogma 25. Il termine si oppone a akribeia, che sta ad indicare la stretta e diligente aderenza ed osservanza degli ordinamenti canonici. Economia e acribia sono pertanto come due poli, canoni o modi diversi con i quali si governa e si regge la Chiesa di Dio: La Chiesa si serve non solo della akribeia (ossia della rigida applicazione della legge canonica), ma anche della oikonomia (= economia: modificata e duttile applicazione della legge canonica) 26. Con la derogazione, che costituisce leconomia, la Chiesa si propone di realizzare, in modo diretto e nel caso concreto, il proprio fine supremo, la ragione della sua esistenza, ossia la salvezza di tutti (cf 1Tim. 2,4); intende promuovere un maggior bene spirituale dei fedeli; intende prevenire e, se del caso, rimuovere scandali nella vita della Chiesa 27. Il soggetto delleconomia canonica lo stesso soggetto posto alla guida della Chiesa e che richiamato alleconomia dal suo stesso compito di saggio amministratore della casa di Dio: il vescovo nella sua Chiesa locale, tutte le istanze episcopali collegiali, con al vertice il Concilio Ecumenico. Non perci colui che soggetto alla legge ecclesiastica lautore delleconomia n il confessore 28 n un ministro sacro sprovvisto della guida complessiva di un gruppo di fedeli (il presbitero, ad esempio). Leconomia svolge i suoi effetti in ambito canonico e non pu applicarsi certamente al campo dogmatico, anche se non sembra esclusa una utilizzazione nel campo dellinterpretazione dei dati dogmatici 29. Si d economia nel diritto canonico della Chiesa cattolica? I canonisti ortodossi negano recisamente che leconomia equivalga alla dispensa conosciuta nel diritto canonico della Chiesa catto-

25 26

KOTSONIS, Problmes, 182. Cf VI documento preparatorio del Concilio panortodosso, 1, in Il Regno/documenti 18(1973)33. 27 Cf RODOPOULOS, Introduction, 17. 28 Cf PETR, Tra cielo e terra, 108-110. 29 Cf ARCHONDONIS, The problem, 42-43. Cf pure, sullapplicazione delleconomia alla questione del Filioque, CONGAR, Diversit, 92-99.

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lica 30, ancorch si riconosca a volte che non mancano una solida base linguistica di collegamento fra i due termini ed alcune analogie. Nella preparazione del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (Cattoliche) ci si pose espressamente il problema se si dovesse far riferimento nel medesimo alla economia 31. La decisione fu sofferta. Dapprima (1976) si pens che fosse necessario introdurre almeno un canone fra quelli preliminari sulla economia e si proposero pure dei testi; in un secondo momento (1978) si ritorn sulla decisione per delle perplessit e si demand lultima parola ad un gruppo speciale; questultimo poi (1980), allunanimit, fu per la negativa 32. Non si doveva perci nominare n riferirsi alleconomia nel Codice, poich si era convinti che la concezione delloikonomia sorpassa la stretta competenza del Codice e non pu essere espressa che attraverso alcuni termini come epicheia, aequitas canonica, dispensatio. Esiste poi pure il principio per i casi dubbi, secondo il quale supplet Ecclesia la potest di regime. Tutti questi concetti sono parsi chiari e sufficienti per risolvere tutte le questioni che implicano la nozione di oikonomia, almeno per la parte di questultima che attiene al diritto 33. Difatti nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali non posto alcun canone specifico sulla economia, anche se in occasione della normativa sulla preparazione ai ministeri, in due canoni si accenna esplicitamente allattenzione da rivolgere alla oeconomia salutis (cf cc. 348 par. 2 e 350 par. 2). Ancora pi impegnativo, ma al di fuori del testo dei canoni, il riferimento che si trova nella Costituzione Apostolica Sacri Canones con cui il Romano Pontefice ha promulgato quel Codice: La fedele custodia dei riti deve senzaltro essere confacente al fine supremo delle leggi universali della Chiesa, che risiede tutto nelleconomia della salvezza delle anime (p. XII). Il Codice di Diritto Canonico ignora completamente la voce economia.
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Cf ad esempio ARCHONDONIS, The problem, 50 (la dispensa sarebbe a legal institution applied in the same form in all the analogous cases). 31 Cf ZUZEK Ivan, Lconomie dans les travaux de la Commission Pontificale pour la Rvision du Code de Droit Canonique Oriental, in Kanon. Jahrbuch der Gesellschaft fr das Recht der Ostkirchen 6(1983) 66-83. 32 Contribu senzaltro a questa decisione la cancellazione delleconomia dalla agenda del futuro Concilio panortodosso, in seguito alle polemiche sorte sul documento preparatorio. 33 Nuntia 6/10(1980)94.

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Non si pu per affermare che il diritto canonico latino manchi del principio delleconomia. Solamente che nel diritto canonico latino tale principio strutturato, mentre nel diritto orientale ortodosso rimasto nella sua valenza indeterminata e globale. Il diritto canonico latino conosce infatti una notevole messe di istituti giuridici equitativi, che spesso solo la superficialit dello sguardo dato alla normativa e alla dottrina canonica permette di ignorare. Vorrei qui limitarmi alla loro elencazione esemplificativa, senza alcuna pretesa n di ordine n di completezza: dispensatio, excusatio, epicheia, privilegium, dissimulatio, sanatio in radice, suppletio, licentia, tolerantia, dubium iuris, fictio iuris, stricta interpretatio in odiosis, gratia, legitimatio, periculum mortis, grave incommodum, necessitas, compensatio lucri cum damno, actio de in rem verso, remonstratio, consuetudo contra legem, la distinzione dei fori, la circoscrizione delle leggi irritanti da quelle proibenti, lesclusione della res iudicata nelle cause sullo stato delle persone, e istituti simili fanno parte delleconomia 34 Il diritto canonico latino conosce poi un istituto giuridico complessivo che copre gran parte dellarea di significato degli istituti giuridici particolari predetti e pu essere ritenuto lequivalente concettuale del principio delleconomia: laequitas canonica 35. Tale principio infatti non da limitare allinterpretazione della normativa canonica, ma presentato dalla dottrina come principio di applicazione della normativa stessa 36. Economia e diritto canonico Tale rapporto giustificato soprattutto dalla rilevazione che anche in questo campo il cammino delle Chiese Orientale ed Occidentale nel primo millennio stato comune, mentre solo la separazione

Cf HUIZING Peter, Lordinamento della Chiesa, in Mysterium Salutis IV/II, a cura di FEINER J. - LHRER 2 M., Brescia 1977 , 196-197; ZUZEK, Lconomie, 72; 76; BERLING Salvatore, Giustizia e carit nelleconomia della Chiesa. Contributi per una teoria generale del diritto canonico, Torino, 1991, 101. 35 Cf MLLER Hubert, Barmherzigkeit in der Rechtsordnung der Kirche?, in Nach Scheidung wieder verheiratet: Informationen, Reflexionen, Perspektiven, hrsg. von RBERG Rudolf, Kevelaer - Bornheim Dsseldorf 1993, 130. (Il testo pure apparso in Archiv fr katholisches Kirchenrecht 159[1990]353367). Sullequit canonica cf pure URRUTIA Fr. J., Aequitas canonica, in Periodica 73(1984)33-88. 36 Cf MLLER, Barmherzigkeit, 135-138.

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fra le due Chiese ha generato due cammini diversi 37, che per molti aspetti possono comunicare, proprio perch coerenti sviluppi possibili da una medesima radice. Si potrebbe addirittura dimostrare nel nostro campo unidentit in molti casi di problemi, di soluzioni e di immagini 38. Non si pu cos parlare semplicemente di principio delleconomia come di principio della Ortodossia, se appartiene alla indivisa storia dei primi secoli e dei primi concili ecumenici 39. Il vantaggio indubbio che si pu riconoscere al principio delleconomia duplice: richiamare in se stesso (cio nella sua stessa denominazione) alla economia salvifica divina. Tutti e tre i testi proposti dalla Pontificia Commissione per la riforma del Codice di Diritto Orientale menzionavano infatti allinterno della definizione di economia ecclesiastica lopera salvifica di Nostro Signore Ges Cristo: Leconomia ecclesiastica, attraverso la quale lopera salvifica di Nostro Signore Ges Cristo si applica, sia esercitata sotto la vigilanza dei Gerarchi del luogo, cosicch, l dove losservanza delle leggi divenga difficilissima per luomo, la misericordia divina e lamore materno della Chiesa suppliscano 40. possedere nella sua indeterminatezza un richiamo costante allo spirito generale cui rifarsi nella applicazione della normativa canonica. Trovandosi al di fuori di ogni codificazione, il principio delleconomia ha realmente una freschezza 41 e una openness, che lo qualificano essenzialmente; veramente molto elastico 42; pu realmente

Cf KOTSONIS, Problmes, 92-94: i termini oikonomia e dispensatio fino allundicesimo secolo avevano lo stesso contenuto; sono pertanto da considerarsi parti di un medesimo principio, salvo il fatto che nel corso del tempo hanno preso una forma diversa, o meglio, leconomia ha mantenuto il suo carattere iniziale. 38 Propongo un solo esempio in una materia che meriterebbe maggiore approfondimento anche per verificare le reciproche influenze fra Oriente e Occidente. Limmagine del pericolo di naufragio, di fronte al quale il marinaio getta a mare tutto quanto non indispensabile pur di salvare la vita e la nave, usata sia in Oriente per descrivere leconomia (cf Teodoro di Mopsuestia nellepistola 56, in Patrologia Graeca 77, 319) sia in Occidente per giustificare la dispensa (cf Ivo di Chartres, testi citati in Quaderni di Diritto Ecclesiale 4[1991]119 e nt. 15). 39 Cf lintervento fermo del Patriarca Maximos V Hakim alla V Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia: CAPRILE, Il Sinodo, 389. 40 Cf Nuntia 6/10(1980)93. 41 Cf KOTSONIS, Problmes, 93. 42 Cf RODOPOULOS Panteleimon, Oikonomia nach orthodoxem Kirchenrecht, in sterreichisches Archiv fr Kirchenrecht 36(1986)230

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svolgere un compito di inspiration, di richiamo cio a far tornare sempre lapplicazione della norma canonica al suo senso e al suo significato originari 43. Al contrario levoluzione occidentale (strettamente legata alla predominanza assunta dal diritto scritto e aggiornato) rivela lindubbio vantaggio di permettere una uniformit ed un consenso diffuso sulle forme concrete e specifiche di applicazione delleconomia, fino a tentare di porre nello stesso diritto scritto i principi equitativi di applicazione dello stesso. Leconomia non perde certo il suo carattere per il solo fatto di istituzionalizzarsi giuridicamente 44. Anzi sembra svolgere in modo pi complessivo e incisivo il suo ruolo nellordinamento giuridico, fino a connotarlo nella sua generalit come mutabile, elastico e provvisoriamente definitivo 45. Con questo non si pu intendere esaurito il vigore delleconomia: permane nella sua valenza critica verso il diritto scritto e verso lapplicazione delle stesse applicazioni equitative. Finch rimarr qualcosa da conoscere nella volont di salvezza di Cristo, non potr essere definita e del tutto istituzionalizzata leconomia 46. in altre parole la coscienza della mutabilit del diritto che il principio delleconomia promuove, pur non dando esso stesso indicazioni semel pro semper sulla direzione verso cui volgere tale mutabilit. Ancorch nellEnciclica di Giovanni Paolo II Dives in misericordia (30 novembre 1980) tutta largomentazione sembri tendere ad indicare unazione illuminante della Chiesa verso gli uomini, la loro coscienza e la loro convivenza strutturata anche giuridicamente, la Chiesa non pu non sentire rivolte a s, nei confronti del proprio ordinamento giuridico, le seguenti affermazioni: La Chiesa deve considerare come uno dei suoi principali doveri in ogni tappa della storia e, specialmente, nellet contemporanea quello di proclamare e di introdurre nella vita il mistero della misericordia, rivelato in som43

Cf RSY Ladislas, In Search of the Meaning of Oikonomia: Report on a Convention, in Theological Studies 43(1982)318: secondo questo autore caratteristica fondamentale (essential quality) della economia lopenness (cf p. 317) e loperare into the world of mysteries, mentre il diritto latino coi suoi istituti equitativi si manterrebbe within the confines of the world of law (p. 318). 44 Cf ZUZEK, Lconomie, 72. 45 Cf le osservazioni interessanti e suggestive, ancorch non sempre condivisibili di BERLING, Giustizia e carit, 99; 104. 46 Cf RSY, In Search, 319.

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mo grado in Cristo. Questo mistero, non soltanto per la Chiesa stessa come comunit di credenti, ma anche in certo senso, per tutti gli uomini, fonte di una vita diversa da quella che luomo, esposto alle forze prepotenti della triplice concupiscenza, operanti in lui, in grado di costruire (14 i; si veda pure tutto il n. 14). MONTINI GIAN PAOLO Via Bollani, 20 25123 Brescia

Hanno collaborato a questo numero: PADRE JEAN BEYER Docente emerito della Facolt di Diritto canonico alla Pontificia Universit Gregoriana PADRE OLIVIERO GIUSEPPE GIRARDI Procuratore generale della Congregazione Sacerdoti del Sacro Cuore SILVIA RECCHI Giudice del Tribunale Ecclesiastico di Roermond (Olanda) e membro della Comunit Redemptor Hominis FRA PIERMARIO DA SONCINO Licenziato in Diritto canonico DON GIANGIACOMO SARZI SARTORI Docente di Diritto canonico nel Seminario diocesano di Mantova DON CARLO REDAELLI Addetto alla Avvocatura generale della Curia arcivescovile di Milano DON PAOLO BIANCHI Giudice del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo DON GIAN PAOLO MONTINI Docente di Diritto canonico nel Seminario diocesano di Brescia

INDICE DELLANNATA 1993

AMENTA P. - Appunti sulla vacanza della sede episcopale BEYER J. - Commento ad un canone: Il primo canone del Codice La Chiesa si interroga sulla vita consacrata BIANCHI P. - Il pastore danime e la nullit del matrimonio: IV. La simulazione del consenso. Nozioni generali V. Lesclusione della prole VI. Lesclusione della indissolubilit del vincolo Nullit di matrimonio non dimostrabili. Equivoco o problema pastorale? BONICELLI C. - Il parroco come pastore (c. 529, par. 1) BROGLIO T. - Alcune considerazioni sulla Communicatio in Sacris nel Codice di Diritto Canonico BURKE R.L. - I divorziati risposati in un recente documento della Chiesa in Francia CALVI M. - Commento a un canone: Le sepolture privilegiate: il canone 1242 Commento a un canone: Il restauro delle immagini preziose: c. 1189 COCCOPALMERIO F. - Il parroco pastore della parrocchia DELLANOCE M. - Le esenzioni dei chierici (c. 289, par. 2) GIRARDI O.G. - Vita consacrata e Chiesa locale MICCHIARDI P.G. - Il convisitatore nella visita pastorale MIRAGOLI E. - La visita pastorale: anima regiminis episcopalis Praxis compendiosa de visitatione: unantica guida per la visita pastorale MONTINI G.P. - Il diritto canonico dalla A alla Z: Capitolo Decretale Economia La situazioni matrimoniali irregolari e difficili MOSCA V. - Lidentit degli Istituti secolari nel Codice di Diritto Canonico (I) Lidentit degli Istituti secolari nel Codice di Diritto Canonico (II) PIERMARIO DA SONCINO - La visita del Vescovo diocesano agli Istituti e alle opere dei religiosi Attrattiva della vita consacrata sui giovani doggi RECCHI S. - La missione della vita consacrata nella Chiesa missione REDAELLI C. - Le aggregazioni laicali nella Chiesa

(1) 92 (3) 298 (4) 363 (2) 196 (4) 454 (3) 280 (1) 43 (1) 83 (3) 261 (1) 50 (2) 170 (1) 6 (1) 100 (4) 388 (2) 150 (2) 122 (2) 155 (1) 108 (2) 220 (4) 470 (3) 236 (2) 177 (3) 307 (2) 159 (4) 412 (4) 403 (4) 441

RIVELLA M. - Il parroco come evangelizzatore: lesercizio del munus docendi (c. 528, par. 1) SARZI SARTORI G. - Mons. Francesco Coccopalmerio Vescovo Ausiliare a Milano Commento a un canone: Celebrare la Liturgia delle Ore (c. 1174) SIVIERO G.M. - Il diritto pubblico ecclesiastico: una disciplina canonistica tra passato e futuro TORRES J. - Il Vicario Episcopale per la vita consacrata TREVISAN G. - Il munus sanctificandi del parroco (c. 528, par. 2) I divorziati risposati possono assumersi delle responsabilit nella vita della Chiesa? Bibliografia di mons. Francesco Coccopalmerio

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