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Il Rosso e il Nero

Settimanale di Strategia

MANI DI FORBICE 23 luglio 2009

Dalla business class all’autostop

Fred Fraenkel, che ora fa il


venture capitalist, ha iniziato a lavorare
come analista azionario in Goldman
Sachs e in breve tempo, passato in
Lehman negli anni Novanta, è diventato
responsabile di 110 equity analyst. Sa
quindi di cosa parla quando dice che gli
analisti azionari fanno un buon lavoro tre
quarti del tempo e un cattivo lavoro nel
restante quarto.
Questo quarto, dice, va poi diviso in
due ottavi. Il primo ottavo è quando il
ciclo economico raggiunge il top e inizia
a peggiorare. E’ una fase in cui gli
analisti, inerzialmente, continuano a
pensare in rosa. L’altro ottavo del tempo Hitchhiking Businessman. Fotografia di
Kim Steele. Getty Images.
è quando il ciclo tocca il punto più
basso. Qui gli analisti, proprio perché
sono stati troppo ottimisti durante la discesa, tendono a restare troppo a lungo
negativi durante la prima fase della ripresa.
In pratica, dice Fraenkel, in una fase come questa gli analisti tendono a
sottovalutare l’impatto positivo del cambio (il dollaro si è svalutato in questi
mesi, rivalutando gli utili fatti all’estero dalle multinazionali americane) e quello
dell’esplosione della produttività. Spesso, conclude, gli analisti sottovalutano
questi aspetti positivi perché sono le società stesse a non rendersi pienamente
conto in tempo reale di quello che stanno facendo. Questa situazione di
sottostima dei miglioramenti si prolunga poi per due e spesso tre trimestri.
Gli utili sorprendentemente positivi che stanno uscendo in queste ore
ricordano in grande la sorpresa positiva di tre mesi fa e sono in sostanza il
frutto del terrore che ha pervaso i consigli d’amministrazione di tutto il mondo
tra ottobre e marzo. Ora il terrore non c’è più, ma ha lasciato il posto a una
robustissima diffidenza verso chiunque parli di germogli o di ripresa. Il
portafoglio delle imprese rimane cucito e sigillato verso assunzioni, investimenti
e ricostituzione di scorte.
Il terrore sembra essere un elemento indispensabile per indurre le
imprese a tagliare i costi. Le imprese amano pensare a sé stesse come modelli
di efficienza, ma come tutte le organizzazioni umane sono lente, inerziali e
burocratiche. Se c’è una recessione ma manca il terrore le imprese iniziano a
tagliare la produzione parecchio tempo dopo che il mercato ha cominciato a
mostrare segni di stanchezza. Il risultato è che si riempiono i piazzali di auto
invendute e i magazzini di scorte. Passa poi dell’altro tempo, in recessioni
normali, tra il momento in cui si decide di produrre di meno e quello in cui si
decide di licenziare. Si tende ad aspettare perché ristrutturare è oneroso e
faticoso e anche, a volte, per mantenere relazioni sindacali decenti, per
immagine o per rispetto verso i dipendenti.
Nelle ultime due recessioni il terrore ha prodotto un’accelerazione
formidabile di questi processi. Nel 2001 la reazione ai primi due trimestri di
rallentamento è stata normale, ma l’11 settembre ha comportato il
congelamento completo di investimenti e soprattutto assunzioni e
un’accelerazione dei licenziamenti. Questa volta il terrore è stato duplice. In
ottobre si è verificato
contemporaneamente il collasso della
spesa per consumi e il quasi collasso
del sistema bancario. Le imprese, oltre
a vedersi cancellati gli ordini uno dopo
l’altro, hanno ricevuto la visita del
funzionario della loro banca che
chiedeva di ridurre o cancellare le linee
di credito, non solo quelle lunghe ma
anche quelle di breve, destinate a
finanziare le scorte.
Vedendosi sfilare i finanziamenti da
sotto i piedi le imprese non solo hanno
Johnny Depp in Edward Scissorhands ridotto la produzione in linea con la
di Tim Burton. 1990 domanda, ma molto di più. Le auto sul
piazzale o presso i concessionari infatti
mangiano capitale circolante e, per restituire soldi alla banca, vanno ridotte
drasticamente. Si badi che decisioni di questo tipo non vengono prese a cuor
leggero. Se il compratore di un auto non trova il modello che cerca dopo avere
girato per qualche concessionario di una casa andrà a cercarsi un modello
simile di una casa concorrente. Il cliente, a quel punto, è perso per qualche
anno o forse per sempre.
Si è affermato spesso, in questi mesi, che le imprese che tagliano la
produzione e licenziano risparmiano individualmente e perdono
collettivamente. Il licenziato da un centro commerciale compra, tra l’altro, meno
auto e il licenziato da un produttore di auto spende meno, tra l’altro, al centro
commerciale. Il gioco, però, non è a somma zero. Una parte degli oneri viene
infatti esternalizzata verso lo stato (ammortizzatori sociali, meno imposte da
pagare), una parte verso i paesi emergenti (siamo noi ad avere fabbriche da
loro e non loro da noi) e una parte verso le famiglie, che intaccano il loro
patrimonio per tenere i consumi al di sopra del reddito azzerato dei nuovi
disoccupati.
Oltre a licenziare, naturalmente, le mani di forbice delle imprese
terrorizzate azzerano i bonus, rinegoziano (in America) le polizze sanitarie e
partono all’attacco di tutti i costi. Dal volo in business class si passa a quello in
economy e da qui, se non proprio all’autostop, alla teleconferenza.
Un’altra tesi degli scettici è che questi risparmi sono una tantum, che
sono già finiti e che quindi sono già riflessi negli utili e quindi nelle quotazioni di
borsa. Questo non è vero. In primo luogo il calo delle scorte continuerà ancora
per tutto quest’anno e i licenziamenti andranno avanti anche per buona parte
del prossimo. In secondo luogo la ripresa della domanda non verrà
accompagnata da assunzioni ancora per un altro anno.
Ieri con 100 persone producevo 100 pezzi. Oggi con 85 persone produco
90 pezzi. Domani con 85 persone produrrò di nuovo 100 pezzi. I dati macro
confermano l’esplosione della produttività, come e di più del dopo 11
settembre.
Negli esempi che abbiamo fatto abbiamo parlato molto di auto e di scorte
perché nei prossimi mesi tutto ruoterà intorno ad auto e scorte. Il crollo della
produzione industriale globale tra ottobre e marzo è partito da lì e da lì è
iniziata la ripresa. Gli analisti del settore
auto di Merrill Lynch ritengono che negli
Stati Uniti nel terzo trimestre vedremo un
balzo delle vendite (entrano in vigore
domani i nuovi incentivi alla
rottamazione) e che nel quarto, smaltite
le scorte, ci sarà un balzo della
produzione del 30 per cento, cui ne
seguirà uno del 50 per cento nel primo
trimestre dell’anno prossimo. JP Morgan,
dal canto suo, parla di una produzione
industriale americana già adesso in
crescita del 10 per cento annualizzato.
Martin Feldstein, che è l’unico
scettico di cui in questo momento
abbiamo sacro rispetto, ha ribadito ieri Rabbitscissors
che avremo ancora altri tre mesi buoni,
aggiungendo però ch la recessione non è
finita. Anche Summers, del resto, dice che il 2010 è tutto da scrivere. Bernanke
ci sembra più ottimista. Interrogato oggi sul secondo pacchetto fiscale ha detto
infatti che al momento non ce n’è bisogno.
Diamo un’occhiata al calendario. Agosto si avvicina e, volendo essere
prudenti, possiamo contare con relativa certezza su agosto, settembre e
probabilmente ottobre. I dati arrivano con un mese di ritardo e possiamo
quindi arrivare a novembre.
Tra ottobre e novembre dovremo stare con gli occhi aperti. Se Bernanke
chiederà al Congresso un pacchetto fiscale vorrà dire che la Fed sarà di nuovo
preoccupata. Al momento lo staff della Fed, che numerosi studi indicano come
più bravo del Fomc a fare previsioni, è piuttosto ottimista sul 2010.
In questo momento sarebbe bene essere sovrapesati di azionario. Chi
aspetta la certificazione di fine recessione da parte del notaio dovrà aspettare a
lungo. L’occupazione continuerà a scendere. Alcune delle imprese che finora
hanno bruciato cassa continueranno a bruciare cassa. Lo faranno più
lentamente, ma a un certo punto la cassa finirà e dovranno chiudere. Chi
lavora in quelle imprese o chi siede nei loro consigli non riuscirà a credere alla
ripresa del ciclo e tanto meno a quella delle borse, ma la ripresa ci sarà.
Probabilmente l’azionario non salirà molto da qui a fine anno, ma il 5 per
cento degli indici vorrà dire il 10 o il 15 per i ciclici. Chi proprio non ce la fa a
mettersi sovrapesato sui massimi dell’anno potrà stare a benchmark e vendere
delle put leggermente out of the money. Chi preferisce in ogni caso rimanere
sottopesato potrà comprare qualche call distribuita tra settembre e novembre.
Chi è ancora più diffidente su questi livelli dovrà approfittare di qualsiasi
debolezza.
Finora i corporate bond sono stati un’alternativa confortevole e sicura
all’investimento azionario. Questi bond, da qui a fine anno, continueranno ad
andare bene, anche perché gli emittenti hanno fatto il pieno in questi mesi e
non faranno nessuna emissione netta nei prossimi. La carta corporate
assumerà dunque un valore di rarità e continuerà ad apprezzarsi, ma sempre
più lentamente e in misura non paragonabile a quella che immaginiamo per
l’azionario.
In generale, ci pare che il momento di farsi un minimo di coraggio
sia quando si ha la ragionevole certezza che il rischio di una crisi con
avvitamenti e circoli viziosi feroci appare superato. Il rischio che si può
intravvedere oggi per fine anno o inizio 2010 è semmai quello di una fine
precoce del ciclo positivo delle scorte. Il ritorno a una vera situazione di grave
pericolo lo vediamo semmai più in là nel tempo. Il double dip del 1929-32 fu nel
1937 e quello giapponese degli anni Novanta fu un dip multiplo che si produsse
grosso modo a intervalli di due anni. Un exit strategy prematura o troppo
aggressiva e il marcire dei titoli e degli impieghi tossici nei portafogli delle
banche ci sembrano i veri grandi rischi a medio termine, anche di più delle
ipotesi di crisi fiscale che i mercati non mancheranno di fabbricarsi
periodicamente.
Alessandro Fugnoli ++39 02 77426.1

Abaxbank SpA. Corso Monforte 34, Milano.


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