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Gottfried W.

Leibniz IL SENSO DEL MALE PREFAZIONE E COMPENDIO DEI SAGGI DI TEODICEA a cura di Gianfranco Bertagni (redattore della collana "arcipelago") (c)Copyright FARA Editore 1999 Progetto grafico: KalEidon Rimini Prefazione [1] Si visto in ogni tempo che l'uomo comune ha messo la devozione nelle formali t: la solida piet, cio la luce e la virt, non mai stata condivisa dalla massa. Non b isogna stupirsene, non c' niente di pi conforme alla debolezza umana; siamo colpit i dall'esteriore, e l'interno richiede una discussione di cui pochi sono capaci. Poich la vera piet consiste di convinzioni e di pratica, le formalit devozionali l a imitano, e sono di due tipi; le une si riconducono alle cerimonie della pratic a, e le altre ai formulari della fede. Le cerimonie assomigliano alle azioni vir tuose, e i formulari sono come ombre della verit, e si avvicinano pi o meno alla p ura luce. Tutte queste formalit sarebbero lodevoli, se coloro che le hanno invent ate le avessero rese capaci di mantenere ed esprimere ci che esse imitano; se le cerimonie religiose, la disciplina ecclesiastica, le regole delle comunit, le leg gi umane, fossero sempre come una recinzione alla legge divina, per allontanarci dalle insidie del vizio, accostumarci al bene, e per renderci familiare la virt. Era lo scopo di Mos e di altri buoni legislatori, dei saggi fondatori di ordini religiosi, e soprattutto di Ges Cristo, divino fondatore della pi pura e illuminat a religione. " cos anche per i formulari di fede; essi sarebbero accettabili, se non ci fosse niente di non conforme alla verit salvifica, anche quando non vi fos se l'intera verit di cui si tratta. Ma troppo spesso accade che la devozione soff ocata dai riti, e che la luce divina oscurata dalle opinioni degli uomini. [2] I pagani, che riempivano la terra prima che si stabilisse il cristianesimo, non avevano che una sola specie di formalit; avevano delle cerimonie nel loro cul to, ma non conoscevano alcun articolo di fede, e non avevano mai pensato a redig ere dei formulari della loro teologia dogmatica. Non sapevano se i loro di erano dei veri personaggi, o dei simboli delle potenze naturali, come il sole, i piane ti, gli elementi. I loro misteri non consistevano in dogmi difficili, ma di cert e pratiche segrete, a cui i profani, cio coloro che non erano iniziati, non dovev ano mai assistere. Tali pratiche erano assai spesso ridicole e assurde, e bisogn ava nasconderle per preservarle dal disprezzo. I pagani avevano le loro supersti zioni, si vantavano di miracoli; tutto fra loro era colmo di oracoli, auguri, pr esagi, divinazioni; i sacerdoti inventavano dei segni della collera o della bont degli di, di cui si pretendevano interpreti. Ci tendeva a governare gli spiriti co n il timore e la speranza degli avvenimenti umani; ma il grande avvenire di un'a ltra vita era poco prefigurato, non ci si preoccupava di dare agli uomini delle vere convinzioni su Dio e sull'anima. [3] Di tutti i popoli antichi, solo degli Ebrei si sa che avevano dei dogmi pubb lici della loro religione. Abramo e Mos hanno stabilito la fede in un solo Dio, f onte di ogni bene, autore di tutte le cose. Gli Ebrei ne parlano in un modo assa i degno della sostanza sovrana, e ci sorprende vedere gli abitanti di un piccolo angolo della terra pi illuminati del resto del genere umano. I saggi di altre na zioni hanno forse detto a volte qualcosa di simile, ma non hanno avuto la fortun a di essere abbastanza seguiti e di mutare il dogma in legge. Tuttavia Mos non av eva fatto entrare nelle sue leggi la dottrina dell'immortalit delle anime: essa e ra conforme alle sue convinzioni, essa si insegnava di bocca in bocca, ma non er a autorizzata a livello popolare; finch Ges Cristo non sollev il velo, e senza aver

e il potere in mano, insegn con tutta la forza di un legislatore che le anime imm ortali passano a un'altra vita, dove devono ricevere la ricompensa delle loro az ioni. Mos aveva gi dato le belle idee della grandezza e bont di Dio, su cui molte n azioni civili oggi concordano: ma Ges Cristo ne stabil" tutte le conseguenze, e f ece vedere che la bont e la giustizia divine risplendono perfettamente in ci che D io prepara alle anime. Non entro qui negli altri punti della dottrina cristiana, e faccio solo vedere come Ges Cristo riusc" a far passare la religione naturale in legge, e a darle l'autorit di un dogma pubblico. Lui solo fece ci che tanti fil osofi avevano invano tentato di fare; e avendo infine i cristiani avuto il sopra vvento nell'impero romano, padrone della parte migliore della terra conosciuta, la religione dei saggi divenne quella dei popoli. Maometto, poi, non si allontan dai grandi dogmi della teologia naturale: i suoi seguaci li diffusero persino tr a le nazioni pi emarginate dell'Asia e dell'Africa dove il cristianesimo non era stato portato; e abolirono in molti paesi le superstizioni pagane contrarie alla vera dottrina dell'unit di Dio, e dell'immortalit delle anime. [4] " evidente che Ges Cristo, adempiuto ci che Mos aveva iniziato, ha voluto che l a divinit fosse l'oggetto, non solo del nostro timore e della nostra venerazione, ma anche del nostro amore e della nostra tenerezza. Significava rendere gli uom ini beati in anticipo, e dar loro quaggi un assaggio della felicit futura. Perch no n c' niente di cos piacevole che amare ci che degno d'amore. L'amore quell'affetto che ci fa trovare il piacere nelle perfezioni di ci che si ama, e non c' niente di pi perfetto di Dio, niente di pi affascinante. Per amarlo, sufficiente considerar ne le perfezioni; il che facile, perch troviamo in noi stessi le loro idee. Le pe rfezioni di Dio sono quelle delle nostre anime, ma lui le possiede senza limiti; lui un oceano, di cui noi non abbiamo ricevuto che delle gocce: ci sono in noi delle potenze, delle conoscenze, delle bont; ma esse sono tutte intere in Dio. L' ordine, le proporzioni, l'armonia ci incantano, la pittura e la musica ne sono d elle scintille; Dio tutto ordine, conserva sempre la giustezza delle proporzioni , fa l'armonia universale: tutta la bellezza una effusione dei suoi raggi. [5] Ne consegue evidentemente che la vera piet, e anche la vera felicit, consiston o nell'amore di Dio, ma un amore illuminato in cui l'ardore sia accompagnato dal la luce. Questa specie di amore fa nascere quel piacere nelle buone azioni che d rilievo alla virt, e rapportando tutto a Dio, come al centro, trasporta l'umano a l divino. Infatti facendo il proprio dovere, obbedendo alla ragione, si compiono gli ordini della ragione suprema, si dirigono tutte le proprie intenzioni al be ne comune che non differente dalla gloria di Dio; si trova che non c' pi grande in teresse particolare che quello di sposare quello generale, e si in s stessi soddi sfatti nel dedicarsi a ottenere i veri vantaggi degli uomini. Che ci si riesca o meno, si contenti di ci che avviene, quando si rassegnati alla volont di Dio, e q uando si sa che ci che lui vuole il meglio: ma prima che lui dichiari la sua volo nt di fatto si cerca di andarle incontro facendo ci che sembra pi conforme ai suoi ordini. Quando siamo in questa situazione di spirito, non siamo affatto abbattut i dagli insuccessi, non ci dispiace che dei nostri errori; e le ingratitudini de gli uomini non ci distraggono dall'esercizio del nostro benefico umore. La nostr a carit umile e piena di moderazione, non ambisce al comando: ugualmente attenti ai nostri difetti e ai meriti altrui, siamo portati a criticare le nostre azioni e a scusare e raddrizzare quelle degli altri: questo per noi perfezionare noi s tessi e non far torto a nessuno. Non c' piet dove non c' carit, e senza essere servi zievoli e benfici, non si potrebbe esprimere una devozione sincera. [6] Il bene naturale, l'educazione proficua, la frequentazione di persone pie e virtuose, possono contribuire molto a mettere le anime in questa bella disposizi one; ma ci che ve le conserva maggiormente sono i buoni princip". L'ho gi detto, b isogna unire la luce all'ardore, bisogna che le perfezioni della comprensione co mpletino quelle della volont. Le pratiche della virt, cos come quelle del vizio, po ssono essere l'effetto di una semplice abitudine; ci si pu prendere gusto; ma qua ndo la virt ragionevole, quando essa si rapporta a Dio che la suprema ragione del le cose, essa fondata sulla conoscenza. Non si potrebbe amare Dio senza conoscer

ne le perfezioni, e questa conoscenza contiene i princip" della vera piet. Il fin e della vera religione deve essere di imprimerli nelle anime: ma non so perch cap ita assai spesso che gli uomini, che i dottori della religione si siano assai al lontanati da tale compito. Contro l'intenzione del nostro divino maestro, la dev ozione stata ridotta alle cerimonie, e la dottrina stata riempita di formule. Mo lto spesso tali cerimonie non sono state in grado di conservare l'esercizio dell a virt, e le formule a volte non sono state affatto luminose. Ci si crederebbe? D ei cristiani si sono immaginati di poter essere devoti senza amare il loro pross imo, e pii senza amare Dio; o si creduto di poter amare il proprio prossimo senz a servirlo, e di poter amare Dio senza conoscerlo. Diversi secoli sono trascorsi senza che il pubblico si sia ben reso conto di tale mancanza; e ci sono ancora grandi resti del regno delle tenebre. Si vedono talvolta delle persone che parla no molto della piet, della devozione, della religione, che sono perfino occupate a insegnarle; e non le si trova molto bene istruite sulle perfezioni divine. Han no una cattiva concezione della bont e giustizia del sovrano dell'universo; si ra ffigurano un Dio che non merita d'essere imitato n d'essere amato. Ed questo che mi parso di pericolosa conseguenza, perch estremamente importante che la fonte st essa della piet non sia intaccata. Gli antichi errori di coloro che hanno accusat o la divinit o che ne facevano un principe cattivo, sono stati talvolta rinnovati ai nostri giorni: si ricorsi alla potenza irresistibile di Dio, quando si tratt ava piuttosto di far vedere la sua suprema bont; e si impiegato un potere dispoti co, quando si doveva concepire una potenza regolata dalla pi perfetta saggezza. H o osservato che queste convinzioni, capaci di indurre in errore, si appoggiavano particolarmente su nozioni improprie che ci si era formate riguardo alla libert, alla necessit e al destino; e ho preso pi di una volta la penna all'occasione, pe r dare chiarimenti su tali importanti materie. Ma infine mi sono visto obbligato a riunire i miei pensieri su tutti questi argomenti legati insieme, e di farne parte al pubblico. " quanto ho intrapreso nei Saggi che qui d, sulla bont di Dio, la libert dell'uomo, e l'origine del male. [7] Ci sono due labirinti famosi in cui la nostra ragione assai spesso si smarri sce: uno riguarda la grande questione del libero e del necessario, soprattutto n ella produzione e nell'origine del male; l'altro consiste nella discussione dell a continuit e degli indivisibili che sembrano esserne gli elementi, in cui deve e ntrare la considerazione dell'infinito1. Il primo imbarazza quasi tutto il gener e umano, l'altro non occupa che i filosofi. Avr forse un'altra volta l'occasione di spiegarmi sul secondo, e di far notare che mancando una giusta concezione del la natura della sostanza e della materia, si sono assunte delle posizioni false che portano a difficolt insormontabili, la cui vera funzione dovrebbe essere il r ibaltamento di quelle stesse posizioni. Ma se la conoscenza della continuit impor tante per la speculazione, quella della necessit non lo di meno per la pratica; e questa sar l'oggetto di questo trattato, assieme ai punti ad essa collegati, cio la libert dell'uomo e la giustizia di Dio. [8] Gli uomini quasi in ogni tempo sono stati tormentati da un sofisma che gli a ntichi chiamavano la ragione pigra, perch portava a non far niente, o almeno a no n preoccuparsi di niente, e a non seguire che l'inclinazione dei piaceri present i. Perch, si diceva, se l'avvenire necessario, ci che dovr accadere accadr qualsiasi cosa io possa fare. Ora l'avvenire, si diceva, necessario sia perch la divinit pr evede tutto, e anzi lo prestabilisce, governando tutte le cose dell'universo; si a perch tutto accade necessariamente per la concatenazione delle cause; sia infin e per la natura stessa della verit, che determinata nelle enunciazioni che ci si pu formare sugli eventi futuri, come lo in tutte le altre enunciazioni, poich l'en unciazione deve essere sempre vera o falsa in s stessa, bench noi non conosciamo s empre in quale stato sia. E tutte queste ragioni di determinazione che sembrano diverse, concorrono infine come delle linee a uno stesso centro: perch c' una veri t nell'avvenimento futuro, che predeterminato dalle cause, e Dio la prestabilisce stabilendo le cause. [9] L'idea mal intesa della necessit, essendo impiegata nella pratica, ha fatto n

ascere ci che io chiamo fatum mahumetanum, il destino alla turca; perch si attribu isce ai Turchi di non evitare i pericoli, e di non abbandonare neppure i luoghi infettati dalla peste, su ragionamenti simili a quello che abbiamo appena menzio nato. Infatti ci che si chiama fatum stoicum non era cos nero come lo si dipinge: esso non distoglieva gli uomini dalla cura dei loro affari; ma tendeva a dar lor o la tranquillit riguardo agli eventi, attraverso la considerazione della necessi t che rende le nostre preoccupazioni e dispiaceri inutili: in ci questi filosofi n on si allontanavano del tutto dalla dottrina di nostro Signore, che dissuade da tali preoccupazioni per il domani, paragonandole con le inutili pene che si dare bbe un uomo che si sforzasse di aumentare di statura.2 [10] " vero che gli insegnamenti degli stoici (e forse anche di qualche celebre filosofo dei nostri giorni) limitandosi a questa pretesa necessit, non possono da re che una pazienza forzata; mentre nostro Signore ispira dei pensieri pi sublimi , e ci insegna anche il mezzo di avere delle soddisfazioni, quando ci assicura c he Dio, perfettamente buono e saggio, ha cura di tutto, fino a non tralasciare n eppure un capello della nostra testa,3 e che la nostra fiducia in lui deve esser e totale di modo che noi vedremmo, se fossimo in grado di comprenderlo, che non c' neppure modo di desiderare niente di meglio (tanto in assoluto che per noi) di ci che lui fa. " come se si dicesse agli uomini: fate il vostro dovere, e siate contenti di ci che ne conseguir, non solo perch non potreste resistere alla provvid enza divina o alla natura delle cose (ci che pu bastare per essere tranquilli e no n per essere contenti), ma anche perch avete a che fare con un buon maestro. E qu esto quel che si pu chiamare fatum christianum. [11] Tuttavia si trova che la maggior parte degli uomini, e perfino dei cristian i, fanno entrare nella loro pratica qualche mescolanza di destino alla turca, be nch essi non lo riconoscano tale. " vero che essi non sono nell'inazione e nella negligenza, quando dei pericoli evidenti, o delle speranze grandi e manifeste si presentano; perch essi non mancheranno di uscire da una casa che sta per crollar e, e di allontanarsi da un precipizio che vedono sul loro cammino; e essi scaver anno la terra per dissotterrare un tesoro semiscoperto, senza aspettare che il d estino finisca di farlo emergere. Ma quando il bene o il male lontano, e dubbio, e il rimedio penoso, o poco di nostro gusto, la ragione pigra ci pare buona: pe r esempio, quando si tratta di conservare la salute e addirittura la stessa vita con una buona dieta, le persone a cui si d tale consiglio, rispondono assai spes so che i nostri giorni sono contati, e che non serve a niente voler lottare cont ro ci che Dio ci destina. Ma queste stesse persone ricorrono perfino ai rimedi pi ridicoli, quando il male che avevano trascurato si avvicina. Si ragiona pressapp oco nello stesso modo, quando la decisione un po' spinosa, come per esempio quan do si chiede, quod vitae sectabor item? quale professione si deve scegliere; qua ndo si tratta di un matrimonio che si contrae, di una guerra che si deve intrapr endere, di una battaglia che si deve dare; perch in questi casi molti saranno por tati a evitare la pena della discussione e ad abbandonarsi alla sorte o all'incl inazione; come se la ragione non dovesse essere impiegata che nei casi facili. S i ragioner allora alla turca assai spesso (bench ci si chiami a sproposito rimetter si alla Provvidenza, il che ha luogo propriamente, quando si adempiuto il propri o dovere) e si impiegher la ragione pigra, tratta dal destino irresistibile, per esentarsi dal ragionare come si deve; senza considerare che se questo ragionamen to contro l'uso della ragione fosse buono, avrebbe sempre luogo, sia che la deci sione sia facile oppure no. " questa pigrizia che in parte la fonte delle pratic he superstiziose degli indovini, a cui gli uomini si danno altrettanto facilment e che alla pietra filosofale, perch essi vorrebbero delle scorciatoie, per raggiu ngere la felicit senza pena. [12] Non parlo qui di coloro che si abbandonano alla fortuna, perch sono stati fe lici in precedenza, come se si avesse in ci qualcosa di fisso. Il loro ragionamen to dal passato all'avvenire cos poco fondato quanto i princip" dell'astrologia e delle altre divinazioni; e essi non considerano che c' abitualmente un flusso e r iflusso nella fortuna, una marea,4 come gli Italiani giocando a bassetta5 sono s

oliti chiamarla, ed essi vi fanno delle osservazioni particolari, delle quali no n consiglierei pertanto a nessuno di fidarsi troppo. Tuttavia questa confidenza che si ha nella propria fortuna serve spesso a dare coraggio agli uomini, e sopr attutto ai soldati, e fa loro effettivamente avere quella buona fortuna che si a ttribuiscono, come le predizioni fanno spesso accadere ci che stato predetto, e c ome si dice che l'opinione che i maomettani hanno del destino li rende determina ti. Cos gli stessi errori hanno la loro utilit talvolta; ma di solito per rimediar e ad altri errori, e la verit assolutamente meglio. [13] Ma si abusa soprattutto di questa pretesa necessit del destino, quando ce ne serviamo per scusare i nostri vizi e il nostro libertinaggio. Ho spesso sentito dire a giovani svegli, che volevano fare un po' i duri, che inutile predicare l a virt, biasimare il vizio, far sperare a ricompense e far temere castighi, perch si pu dire del libro dei destini, che ci che scritto, scritto, e che la nostra con dotta non potrebbe cambiar niente; e che cos la cosa migliore seguire le proprie inclinazioni, e non fermarsi che a ci che ci pu far contenti al presente. Non rifl ettevano sulle strane conseguenze di questo ragionamento, che proverebbe troppo, perch proverebbe (per esempio) che si deve prendere una bevanda gradevole, pur s apendo che avvelenata. Infatti con la stessa motivazione (se essa fosse valida) potrei dire: se scritto negli archivi delle Parche che il veleno mi uccider subit o, o mi far male, ci accadr, anche se non prender tale bevanda; e se questo non scri tto, non accadr, quand'anche prendessi la stessa bevanda; e di conseguenza potrei impunemente seguire le mie inclinazioni a prendere ci che gradevole, per quanto pernicioso: il che implica una manifesta assurdit. Tale obiezione li arrest un att imo, ma ritornavano sempre al loro ragionamento, rivoltato in diversi modi, finc h non gli si fece capire in cosa consiste il difetto del sofisma. " che falso che l'evento accada a prescindere da ci che si fa; accadr, perch si fa ci che ad esso c onduce; e se l'evento scritto, la causa che lo far accadere anch'essa scritta. Co s la catena di effetti e cause, ben lontana dallo stabilire la dottrina di una ne cessit pregiudizievole alla pratica, serve a distruggerla. [14] Ma senza avere delle intenzioni cattive e portate al libertinaggio, si poss ono prevedere in altro modo le strane conseguenze di una necessit fatale; conside rando che essa distruggerebbe il libero arbitrio, cos essenziale alla moralit dell 'azione; perch la giustizia e l'ingiustizia, la lode e il biasimo, la pena e la r icompensa non potrebbero aver luogo in relazione ad azioni necessarie, e perch ne ssuno potrebbe essere obbligato a fare l'impossibile o a non fare ci che assoluta mente necessario. Non si avr l'intenzione di approfittare di questa riflessione p er favorire la sregolatezza, ma non potremo evitare di trovarci a volte in imbar azzo quando si tratter di giudicare delle azioni altrui, o piuttosto di risponder e alle obiezioni, fra le quali ce ne sono che riguardano addirittura le azioni d i Dio, di cui parler presto. E dato che una necessit insormontabile aprirebbe la p orta alla empiet, sia per l'impunit che se ne potrebbe inferire, sia per l'inutili t che si avrebbe nel voler resistere a un torrente che trascina via tutto, import ante mostrare i diversi gradi della necessit, e fare vedere che ce ne sono alcuni non in grado di nuocere, come ce ne sono altri che non potrebbero essere accett ati senza dar luogo a cattive conseguenze. [15] Alcuni vanno ancora pi lontano: non contenti di servirsi del pretesto della necessit per provare che la virt e il vizio non fanno n bene n male, essi hanno l'ar dire di rendere la divinit complice dei loro disordini, e imitano gli antichi pag ani, che attribuivano agli di la causa dei loro crimini, come se una divinit li sp ingesse ad agire male. La filosofia dei cristiani, che riconosceva meglio di que lla degli antichi la dipendenza delle cose dal primo autore, e il suo concorso c on tutte le azioni delle creature, sembrata aumentare tale imbarazzo. Alcune gen iali persone del nostro tempo sono giunte al punto di togliere ogni azione alle creature; e il Sig. Bayle, che indugiava un po' in questa opinione straordinaria , se n' servito per ristabilire il dogma desueto dei due princip", o dei due di, u no buono, l'altro cattivo, come se questo dogma soddisfacesse meglio le difficol t sull'origine del male;6 bench, per altro, riconosca che questa un'opinione insos

tenibile, e che l'unit del principio incontestabilmente fondata su ragioni a prio ri; ma vuole inferirne che la nostra ragione si confonde e non sarebbe in grado di soddisfare le obiezioni, anche se non si deve perci smettere di aggrapparsi ai dogmi rivelati, che ci insegnano l'esistenza di un solo Dio, perfettamente buon o, perfettamente potente e perfettamente saggio. Ma molti lettori che sarebbero persuasi dell'insolubilit di tali obiezioni, e le riterrebbero per lo meno tanto forti quanto le prove della verit della religione, ne tirerebbero conseguenze per niciose. [16] Quand'anche non si avesse il concorso di Dio nelle azioni cattive, non si p otrebbe evitare di trovare delle difficolt nel fatto che egli le prevede e le per mette, potendole impedire con la sua onnipotenza. " ci che fa s" che alcuni filos ofi, e persino alcuni teologi, abbiano preferito negargli la conoscenza particol are delle cose, e soprattutto degli eventi futuri, piuttosto che riconoscere ci c he credevano intaccare la sua bont. I sociniani e Conrad Vorstius7 pendono da que sta parte; e Thomas Bonartes,8 pseudonimo di un gesuita inglese, ma molto sapien te,9 che ha scritto un libro De concordia scientiae cum fide, di cui parler pi sot to, pare anch'egli prospettarla. [17] Sono senza dubbio in grave torto; ma altri non lo sono di meno, i quali, pe rsuasi che non si fa niente senza la volont e senza la potenza di Dio, gli attrib uiscono delle intenzioni e delle azioni cos indegne del pi grande e migliore di tu tti gli esseri, che si direbbe che tali autori abbiano rinunciato di fatto al do gma che riconosce la giustizia e la bont di Dio. Essi hanno creduto che essendo l ui sovrano padrone dell'universo, potrebbe, senza pregiudicare affatto la sua sa ntit, far commettere dei peccati, solo perch ci gli piace, o per avere il piacere d i punire; e perfino che lui potrebbe avere piacere ad affliggere eternamente deg li innocenti, senza fare alcuna ingiustizia, perch nessuno ha il diritto o il pot ere di controllare le sue azioni. Alcuni poi sono giunti al punto di dire che Di o si comporta effettivamente cos; e con il pretesto che noi siamo come un niente nei suoi confronti, essi ci paragonano ai lombrichi, che gli uomini non si preoc cupano di calpestare camminando, o in generale con gli animali che non apparteng ono alla nostra specie, che non ci facciamo alcuno scrupolo di maltrattare.10 [18] Credo che pi persone, peraltro ben intenzionate, indugino in tali pensieri, perch non ne conoscono affatto le conseguenze. Non vedono che ci praticamente dist ruggere la giustizia di Dio; perch quale nozione assegneremmo a una tale specie d i giustizia, che non ha per regola che la volont: vale a dire in cui la volont non diretta dalle regole del bene, e si dirige anche direttamente al male; a meno c he questa non sia la nozione contenuta in quella definizione tirannica di Trasim aco in Platone,11 che diceva che il giusto non altro che ci che piace al pi potent e? Allo stesso punto giungono, senza pensarci, coloro che fondano ogni obbligo s ulla costrizione, e prendono di conseguenza la potenza come misura del diritto. Ma abbandoneremo presto delle massime cos strane, e cos poco adatte a rendere gli uomini buoni e caritatevoli per imitazione di Dio, quando avremo ben considerato che un Dio che provasse piacere del male altrui non potrebbe essere distinto da l principio cattivo dei manichei, supposto che tale principio fosse diventato il solo padrone dell'universo; e che, di conseguenza, bisogna attribuire al vero D io dei sentimenti che lo rendano degno di essere chiamato il principio buono. [19] Per fortuna questi dogmi scandalosi non sussistono quasi pi fra i teologi; t uttavia alcune persone di spirito, che si dilettano a fare delle difficolt, li fa nno rivivere: cercano di accrescere il nostro imbarazzo sommando le controversie che la teologia cristiana fa nascere alle contestazioni filosofiche. I filosofi hanno considerato le questioni della necessit, della libert e dell'origine del ma le; i teologi vi hanno aggiunto quelle del peccato originale, della grazia e del la predestinazione. La corruzione originale del genere umano, venuta dal primo p eccato, ci pare avere imposto una necessit naturale al peccare, senza il soccorso della grazia divina; ma essendo la necessit incompatibile con la punizione, se n e inferir che a tutti gli uomini dovr essere stata data una grazia sufficiente; ci

che non sembra troppo conforme all'esperienza. [20] Ma la difficolt grande, soprattutto in rapporto al ruolo di Dio nella salvez za degli uomini. Ce ne sono pochi di salvati o di eletti;12 Dio non ha dunque la volont decretoria di sceglierne molti. E poich si ammette che coloro che ha scelt o non lo meritano pi degli altri, e non sono in fondo neanche meno cattivi, ci che hanno di buono non venendo che dal dono di Dio, la difficolt risulta maggiore. D ov' dunque la giustizia (si dir) o almeno, dov' la sua bont? La parzialit o la cernit a delle persone va contro la giustizia; e chi limita la sua bont senza motivo non deve averne molta. " vero che coloro che non sono scelti si perdono per colpa l oro, mancando di buona volont o di fede viva; ma non spettava che a Dio di dargli ela. Si sa che, oltre alla grazia interna, sono solitamente le occasioni esterne che distinguono gli uomini, e che l'educazione, la conversazione, l'esempio cor reggono spesso o corrompono il naturale. Ora, se Dio fa nascere delle circostanz e favorevoli agli uni, e abbandona gli altri a incontri che contribuiscono alla loro sventura, non si avr motivo di esserne sorpresi? E non basta (sembra) dire c on qualcuno che la grazia interna universale e uguale per tutti, perch questi ste ssi autori sono costretti a ricorrere alle esclamazioni di San Paolo, e a dire, "O profondit!"13 quando essi considerano quanto gli uomini siano distinti dalle g razie esterne, per cos dire, cio che appaiono nella diversit delle circostanze che Dio fa nascere, di cui gli uomini non sono i padroni, e che hanno tuttavia una c os grande influenza su ci che riguarda la loro salvezza. [21] Non si avanzer dicendo con sant'Agostino, che essendo gli uomini tutti inclu si nella dannazione a causa del peccato di Adamo, Dio poteva lasciarli tutti nel la loro miseria, e che dunque per pura bont che ne ne sottrae qualcuno. Poich oltr e ad essere strano che il peccato di un altro debba dannare qualcuno, la questio ne resta sempre perch Dio non li sottrae tutti, perch ne sottrae la parte minore, e perch gli uni piuttosto che gli altri. " il loro padrone, vero, ma un padrone b uono e giusto; il suo potere assoluto, ma la sua saggezza non permette ch'egli l o eserciti in maniera arbitraria e dispotica, il che sarebbe effettivamente tira nnico. [22] Per di pi, la caduta del primo uomo non essendo avvenuta senza il permesso d i Dio, e Dio non avendo deciso di permetterla senza prima averne valutato la con seguenze, che sono la corruzione della massa del genere umano e la scelta di un piccolo numero di eletti, con l'abbandono di tutti gli altri; inutile nascondere la difficolt, limitandosi alla massa gi corrotta: perch bisogna risalire, checch se ne dica, alla conoscenza delle conseguenze del primo peccato, conoscenza anteri ore al decreto con il quale Dio l'ha permesso, e con il quale ha permesso allo s tesso tempo che i condannati siano compresi nella massa di perdizione, e non ne siano sottratti; perch Dio e il saggio non decidono niente, senza considerarne le conseguenze. [23] Si spera di eliminare tutte queste difficolt. Si mostrer che la necessit assol uta, che si chiama anche logica e metafisica, e a volte geometrica, e che sarebb e la sola da temere, non si trova affatto nelle azioni libere; e che cos la liber t esente, non solo dalla costrizione, ma anche dalla vera necessit. Si mostrer che Dio stesso, bench scelga sempre la cosa migliore, non agisce per necessit assoluta ; e che le leggi della natura che Dio le ha prescritto, fondate sulla convenienz a, sono a met strada fra le verit geometriche, assolutamente necessarie, e i decre ti arbitrari: ci che il Sig. Bayle e altri nuovi filosofi non hanno ben capito. S i mostrer pure che c' una indifferenza nella libert, perch non c' necessit assoluta pe r l'uno o l'altro partito; ma che non c' comunque mai un'indifferenza in equilibr io perfetto. Si mostrer anche che c' nelle azioni libere una spontaneit perfetta, a l di l di tutto quello che si finora pensato. Infine si giudicher che la necessit i potetica e la necessit morale che restano nelle azioni libere non hanno inconveni enti, e che la ragione pigra un vero sofisma. [24] E quanto all'origine del male, in relazione a Dio, si fa una apologia delle

sue perfezioni, che non riguarda meno la sua santit, giustizia e bont, della sua grandezza, potenza e indipendenza. Si mostra come possibile che tutto dipenda da lui, che lui concorra a tutte le azioni delle creature, che anzi crei in contin uit le creature, se volete, e che ciononostante egli non sia affatto l'autore del peccato. Dove si mostra anche come si debba concepire la natura privativa del m ale. Si fa ben di pi; si mostra come il male abbia un fonte diversa dalla volont d i Dio, e si ha perci ragione di dire del male colpevole, che Dio non lo vuole e c he lo permette solamente. Ma ci che pi importante, si mostrer che Dio ha potuto per mettere il peccato e la miseria, e persino concorrere e contribuire a ci, senza p regiudicare la sua santit e bont supreme: bench parlando in senso assoluto, avrebbe potuto evitare tutti questi mali. [25] E riguardo all'argomento della grazia e della predestinazione, si giustific ano le espressioni pi diffuse, per esempio: che non siamo convertiti che attraver so la grazia proveniente da Dio, e che non possiamo far il bene se non per la su a assistenza; che Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini, e non danna che col oro che hanno una volont malvagia; che d a tutti una grazia sufficiente purch essi la vogliano usare; che essendo Ges Cristo il primo e il centro della elezione, Di o ha destinato gli eletti alla salvezza, perch ha previsto che essi avrebbero ade rito alla dottrina di Ges Cristo per mezzo di una fede viva; bench sia vero che qu esta ragione della elezione non la ragione ultima, e che questa stessa prevision e sia anche una conseguenza del suo decreto anteriore; infatti la fede un dono d i Dio, e lui li ha predestinati ad aver fede in ragione di un decreto superiore, che dispensa grazie e circostanze secondo la profondit della sua suprema saggezz a. [26] Ora, poich uno dei pi geniali uomini dei nostri tempi, la cui eloquenza era g rande quanto l'acutezza, e che ha dato grandi prove di un'erudizione vastissima, si era dedicato per non so quale inclinazione aconsiderare meravigliosamente tu tte le difficolt su tale materia che abbiamo appena trattato per sommi capi, si t rovato un bel campo per esercitarsi entrando con lui nel dettaglio. Si riconosce che il Sig. Bayle (poich facile vedere che di lui che si parla) ha dalla sua tut ti i vantaggi, tranne quello del fondo della cosa; ma si spera che la verit (che lui stesso riconosce trovarsi dalla nostra parte)14 la vincer tutta nuda su tutti gli ornamenti della eloquenza e dell'erudizione, a patto che la si sviluppi com e si deve; e si spera di riuscirci tanto pi che la causa di Dio che si perora, e che una delle massime da noi qui sostenute implica che l'assistenza di Dio non m ancher a coloro che non mancano di buona volont. L'autore di questo discorso crede di averne qui fornito delle prove, per l'impegno che ha riservato a tale materi a. L'ha meditato fin dalla giovinezza, ne ha discusso con alcuni dei primi uomin i del tempo e si ulteriormente istruito attraverso la lettura dei buoni autori. E il successo che Dio gli ha donato (a dire di diversi giudici competenti) in al cune altre meditazioni profonde, fra cui ce ne sono che hanno molta influenza su questa materia, gli d forse qualche diritto di lusingarsi dell'attenzione dei le ttori che amano la verit e che sono adatti a cercarla. [27] Ci sono state anche delle ragioni particolari piuttosto considerevoli, che l'hanno spinto a metter mano alla penna su tale soggetto. Dei colloqui che ha av uto al riguardo con alcune persone di lettere e di corte, in Germania e in Franc ia, e soprattutto con una delle pi grandi e pi colte (accomplies) principesse, lo hanno pi di una volta determinato a ci. Ha avuto l'onore di dire le sue opinioni a quella principessa su diversi luoghi del dizionario meraviglioso del Sig. Bayle , dove la religione e la ragione appaiono come combattenti, e dove il Sig. Bayle vuol far tacere la ragione dopo averla fatta parlare troppo; ci che chiama il tr ionfo della fede15. L'autore fece fin d'allora sapere che era di altra opinione, ma che era ben contento che una cos bella mente avesse avuto occasione di approf ondire tali materie tanto importanti quanto difficili. Ammise anche di averle es aminate da molto tempo, e di avere deciso qualche volta di pubblicare su tale so ggetto dei pensieri il cui fine principale doveva essere la conoscenza di Dio, q uella necessaria per stimolare la piet e per nutrire la virt. Quella principessa l

'esort assai perch eseguisse il suo vecchio progetto, alcuni amici si aggiunsero, e lui era ancora pi tentato di fare ci che gli chiedevano, perch aveva motivo di sp erare che nel corso dell'analisi i lumi del Sig. Bayle l'avrebbero aiutato molto a mettere la materia nella luce che poteva ricevere dalle loro attenzioni. Ma d iversi impedimenti lo ostacolarono; non ultimo fra i quali fu la morte dell'inco mparabile regina. Accadde frattanto che il Sig. Bayle venisse attaccato da uomin i eccellenti che si misero a esaminare lo stesso soggetto; rispose loro ampiamen te e sempre in maniera ingegnosa. Si fu attenti alla loro disputa e quasi sul pu nto di prendervi parte. Ecco come: [28] Avevo pubblicato un nuovo sistema che sembrava atto a spiegare l'unione del l'anima e del corpo:16 venne molto applaudito anche da coloro che non vi si trov avano d'accordo, e ci furono persone competenti che mi testimoniarono di essere gi state del mio avviso, senza essere giunte a una spiegazione cos definita, prima di aver visto ci che ne avevo scritto. Il Sig. Bayle l'esamin nel suo Dizionario storico e critico, articolo Rorario17. Credette che le prospettive che avevo dat o meritassero di essere indagate; ne fece valere l'utilit in certi ambiti, e most r pure ci che poteva ancora fare resistenza. Io non potevo mancare di rispondere c ome si deve a espressioni cos gentili e a considerazioni cos istruttive come le su e, e per approfittarne subito, feci apparire qualche chiarimento nella Histoire des ouvrages des savants, luglio 169818. Il Sig. Bayle replic nella seconda edizi one del suo dizionario. Io gli inviai una controreplica, che non ancora stata pu bblicata; e non so se lui abbia a sua volta controreplicato. [29] Intanto accadde che avendo il Sig. Le Clerc19 messo nella sua Biblioteca sc elta un estratto del Sistema intellettuale del fu Sig. Cudworth,20 e avendo in e sso spiegato certe nature plastiche,21 che quell'eccellente autore applicava all a formazione degli animali, il Sig. Bayle credette (si veda la Continuazione dei Pensieri diversi, cap. 21, art. II) che mancando tali nature di consapevolezza, si indebolisse, presupponendole, l'argomento che prova, mediante la meraviglios a formazione delle cose, che bisogna che l'universo abbia una causa intelligente . Il Sig. Le Clerc replic (4 art. del 5 tomo della sua Bibliot. scelta) che tali na ture avevano bisogno di esser dirette dalla saggezza divina. Il Sig. Bayle insis tette (7 art. della Hist. des ouvr. des savants, agosto 1704) che una semplice di rezione non era sufficiente per una causa priva di conoscenza, a meno che non la si prendesse per un puro strumento di Dio, nel qual caso sarebbe inutile. Del m io sistema si parl di passaggio; e ci mi diede occasione di inviare una piccola me moria al celebre autore della Histoire des ouvrages des savants, ch'egli inser" nel mese di maggio 1705, art. 9,22 dove cercavo di mostrare che in verit il mecca nismo sufficiente a produrre i corpi organici degli animali, senza dover ricorre re ad altre nature plastiche, purch vi si aggiunga la preformazione gi tutta organ ica nei semi dei corpi che nascono, contenuti nelle cellule dei corpi da cui son o nati, fino ai semi originari; ci che non pu venire che dall'autore delle cose, i nfinitamente potente e infinitamente saggio, il quale facendo tutto dall'inizio con ordine, vi aveva prestabilito ogni ordine e ogni artificio futuro. Non c' cao s all'interno delle cose, e l'organismo ovunque, in una materia la cui disposizi one viene da Dio. Ve lo si scoprir sempre pi mano a mano che si approfondir l'anato mia dei corpi; e si continuer a rivelarlo, quand'anche si potesse procedere all'i nfinito, come la natura, e continuare la suddivisione attraverso la nostra conos cenza, come essa l'ha di fatto continuata. [30] Poich per spiegare questa meraviglia della formazione degli animali mi sono servito di un'armonia prestabilita, vale a dire dello stesso mezzo di cui mi ero servito per spiegare un'altra meraviglia che la corrispondenza dell'anima con i l corpo, in cui mostravo l'uniformit e la fecondit dei princip" che avevo impiegat o, sembra che ci fece ricordare al Sig. Bayle il mio sistema, che d ragione di tal e corrispondenza, e che aveva a suo tempo esaminato. Egli dichiar (al cap. 180 de lla sua Rponse aux questions d'un provincial, p. 1253, tomo 3) che non gli sembra va che Dio potesse dare alla materia o a qualche altra causa la facolt di organiz zare, senza comunicarle l'idea e la conoscenza dell'organizzazione; e che lui no

n era ancora disposto a credere che Dio, con tutto il sua potere sulla natura e con tutta la prescienza che ha degli accidenti che possono accadere, abbia potut o disporre le cose, in modo che, per le sole leggi della meccanica, un vascello (per esempio) andasse al porto a cui diretto, senza essere durante la sua rotta governato da qualche direttore intelligente. Fui sorpreso nel vedere che si mett evano dei limiti alla potenza di Dio, senza allegarne prova alcuna, e senza segn alare una qualche contraddizione da temere da parte dell'oggetto, n alcuna imperf ezione da parte di Dio, bench io avessi precedentemente mostrato, nella mia contr oreplica, che persino gli uomini realizzano spesso grazie ad automi delle cose s imili ai movimenti che derivano dalla ragione; e che uno spirito finito (ma molt o al di sopra del nostro) potrebbe anche eseguire ci che il Sig. Bayle crede impo ssibile alla Divinit: oltre al fatto che, regolando Dio in anticipo tutte le cose insieme, la giustezza del cammino di quel vascello non sarebbe pi strana di quel la di un razzo che andasse lungo una corda in un fuoco d'artificio, avendo le re gole di tutte le cose una perfetta armonia tra loro, e determinandosi reciprocam ente. [31] Questa dichiarazione del Sig. Bayle mi impegnava a una risposta, e avevo in tenzione di fargli osservare che a meno di dire che Dio formi lui stesso i corpi organici con un miracolo continuo, o che abbia dato tale compito a intelligenze la cui potenza e scienza siano quasi divine, bisogna giudicare che Dio ha prefo rmato le cose, di modo che le nuove organizzazioni non siano che la conseguenza meccanica di una costituzione organica precedente; come quando le farfalle prove ngono dai bachi da seta, dove il Sig. Swammerdam23 ha mostrato non esserci che u no sviluppo. E avrei aggiunto che niente pi in grado della preformazione di piant e e animali di confermare il mio sistema dell'armonia prestabilita fra l'anima e il corpo, dove il corpo portato dalla sua costituzione originale a eseguire, co n l'aiuto delle cose esterne, tutto ci che fa secondo la volont dell'anima, come i semi per loro costituzione originale eseguono naturalmente le intenzioni di Dio con un artificio ancora maggiore di quello che fa s" che nel nostro corpo tutto venga eseguito conformemente alle risoluzioni della nostra volont. E poich il Sig . Bayle stesso giudica a ragione che vi sia pi artificio nell'organizzazione degl i animali che nel pi bel poema del mondo, o nella pi bella invenzione di cui lo sp irito umano sia capace, ne segue che il mio sistema di relazione fra l'anima e i l corpo tanto facile quanto la comune opinione della formazione degli animali, p erch tale opinione (che mi pare veritiera) comporta in effetti che la saggezza di Dio abbia fatto la natura in modo tale che sia in grado, in virt delle sue leggi , di formare gli animali; ed io la chiarisco e ne faccio meglio vedere la possib ilit per mezzo della preformazione. Dopodich non ci sar pi motivo di trovar strano c he Dio abbia fatto il corpo in modo che in virt delle sue proprie leggi possa ese guire i progetti dell'anima razionale, poich tutto ci che l'anima razionale pu coma ndare al corpo meno difficile dell'organizzazione che Dio ha comandato ai semi. Il Sig. Bayle dice (Rponse aux questions d'un provincial, cap. 182, p. 1294) che non che da poco tempo che ci sono state delle persone che hanno compreso che la formazione dei corpi viventi non potrebbe essere opera naturale; ci che potrebbe anche dire, secondo i suoi princip", della corrispondenza fra l'anima e il corpo , poich Dio ne realizza l'intero commercio nel sistema di cause occasionali adott ato da questo autore. Ma io non ammetto qui il soprannaturale che all'inizio del le cose, a proposito della prima formazione degli animali, o a proposito della c ostituzione originaria dell'armonia prestabilita fra l'anima e il corpo; dopodic h io ritengo che la formazione degli animali e la relazione tra l'anima e il corp o siano qualcosa di tanto naturale al presente quanto le altre pi ordinarie opera zioni della natura. " all'incirca come si ragiona comunemente sull'istinto e sul le operazioni meravigliose delle bestie. Vi si riconosce la ragione, non nelle b estie, ma in colui che le ha formate. Io condivido dunque l'opinione comune al r iguardo; ma spero che la mia spiegazione le abbia dato maggior rilievo e chiarez za, e anche maggiore estensione. [32] Ora, dovendo giustificare il mio sistema contro le nuove difficolt del Sig. Bayle, avevo intenzione al tempo stesso di comunicargli i pensieri che avevo avu

to da tempo sulle difficolt che aveva fatto valere contro coloro che cercano di a ccordare la ragione con la fede a proposito dell'esistenza del male. In effetti, ci sono forse poche persone che vi abbiano lavorato pi di me. Avevo appena impar ato a comprendere passabilmente i libri latini, che ebbi l'opportunit di sfogliar li in una biblioteca: saltavo da un libro all'altro; e dato che le materie di me ditazione mi piacevano tanto quanto le storie e le favole, fui affascinato dall' opera di Lorenzo Valla contro Boezio, e da quella di Lutero contro Erasmo, bench vedessi bene che avevano bisogno di un'attenuazione24. Non mi astenevo dai libri di controversia e, fra altri scritti di tale natura, gli Atti del Colloquio di Montbliard,25 che avevano rianimato la disputa, mi parvero istruttivi. Non tralas ciavo gli insegnamenti dei nostri teologi; e la lettura dei loro avversari, ben lungi dal turbarmi, serviva a confermarmi nelle opinioni moderate delle Chiese d ella Confessione d'Augusta. Ebbi occasione nei miei viaggi di conferire con alcu ni uomini eccellenti di diversi partiti, come con il Sig. Peter di Walenburg,26 suffraganeo di Magonza; con il Sig. Johann Ludwig Fabricius,27 primo teologo di Heidelberg; e infine con il celebre Sig. Arnauld, a cui comunicai pure un dialog o latino di mia composizione su tale materia, intorno all'anno 1673, dove gi asse rivo che avendo Dio scelto il pi perfetto di tutti i mondi possibili, era stato p ortato dalla sua saggezza a permettere il male che vi era annesso, ma ci non impe diva che, tutto considerato, questo mondo non fosse il migliore che potesse esse re scelto. Ho poi anche letto ogni sorta di buoni autori su tali materie, e ho c ercato di progredire nelle conoscenze che mi parevano utili a scartare tutto ci c he poteva oscurare l'idea di suprema perfezione che bisogna riconoscere in Dio. Non ho affatto tralasciato di esaminare gli autori pi rigidi, e che hanno spinto pi lontano la necessit delle cose, quali Hobbes e Spinoza, di cui il primo ha sost enuto questa assolut necessit, non solo nei suoi Elementi di fisica e altrove, ma anche in un libro ad hoc contro il vescovo Bramhall28. E Spinoza vuole all'incir ca (come un antico peripatetico chiamato Stratone)29 che tutto provenga dalla pr ima causa o dalla natura primitiva, per mezzo di una necessit cieca e del tutto g eometrica, senza che questo primo principio delle cose sia capace di scelta, di bont e d'intendimento. [33] Ho trovato il mezzo, mi sembra, di mostrare il contrario in maniera che chi arisce e che fa s" che si entri al tempo stesso all'interno delle cose. Infatti avendo fatto nuove scoperte sulla natura della forza attiva e sulle leggi del mo to, ho mostrato che non sono di necessit assolutamente geometrica, come Spinoza p are aver creduto; e che non sono neppure puramente aribitrarie, bench questa sia l'opinione del Sig. Bayle e di alcuni filosofi moderni;30 ma che esse dipendono dalla convenienza, come ho gi osservato qui sopra, o da ci che chiamo il principio del meglio; e che si rivelano in ci, come in ogni altra cosa, i caratteri della sostanza prima, le cui produzioni indicano una saggezza suprema e creano la pi pe rfetta delle armonie. Ho pure mostrato che tale armonia che crea anche il legame , tanto dell'avvenire con il passato che del presente con ci che assente. Il prim o tipo di legame unisce i tempi e l'altro i luoghi. Quest'ultimo legame si mostr a nell'unione dell'anima con il corpo, e generalmente nella relazione delle vere sostanze fra loro e con i fenomeni materiali. Ma il primo ha luogo nella prefor mazione dei corpi organici o piuttosto di tutti i corpi, poich c' organicit ovunque , bench non tutte le masse costituiscano dei corpi organici: come uno stagno pu be n essere pieno di pesci o altri corpi organici, pur non essendo in s un animale o un corpo organico, ma solo una massa che li contiene. E poich avevo cercato di i mbastire su tali fondamenti, stabiliti in modo dimostrativo, un intero corpo di conoscenze principali che la ragione assolutamente pura ci pu insegnare, un corpo , dico, di cui tutte le parti fossero ben legate, e che potesse soddisfare le di fficolt pi considerevoli degli antichi e dei moderni, io mi ero anche formato di c onseguenza un certo sistema sulla libert dell'uomo e sull'intervento di Dio. Tale sistema mi pareva lontano da tutto ci che pu offendere la ragione e la fede, e av evo intenzione di farlo passare sotto gli occhi del Sig. Bayle come pure di quel li che sono in disputa con lui. Ci ha appena lasciati, e non una piccola perdita quella di un autore la cui dottrina e acutezza avevano pochi eguali; ma poich la materia sul tappeto, e delle persone d'ingegno vi lavorano ancora, e il pubblic

o interessato, ho creduto bisognasse cogliere l'occasione per far apparire un sa ggio dei miei pensieri. [34] Sar forse bene osservare ancora, prima di finire questa prefazione, che nega ndo l'influenza fisica dell'anima sul corpo o del corpo sull'anima, cio un'influe nza che faccia s" che l'uno turbi le leggi dell'altra, io non nego l'unione dell 'uno con l'altra che ne un presupposto; ma tale unione qualcosa di metafisico ch e non cambia niente nei fenomeni. " quanto ho gi detto rispondendo a ci che il R. P. de Tournemine,31 il cui spirito e sapere non sono ordinari, mi aveva obbietta to nelle Mmoires de Trvoux. E per tale ragione si pu anche dire, in un senso metafi sico, che l'anima agisce sul corpo e il corpo sull'anima. Cos anche vero che l'an ima l'entelechia o il principio attivo, mentre il corporeo da solo ovvero il sem plice materiale non contiene che la passivit, e che di conseguenza il principio d ell'azione nelle anime, come ho spiegato pi di una volta nel Giornale di Lipsia, ma pi in dettaglio rispondendo32 al fu Sig. Sturm,33 filosofo e matematico di Alt dorf, dove ho pure dimostrato che se non ci fosse altro che la passivit nei corpi , i loro diversi stati sarebbero indistinguibili. Dir anche a questo proposito ch e avendo saputo che l'ingegnoso autore del libro Della conoscenza di s34 aveva fa tto qualche obiezione in tale libro contro il mio sistema dell'armonia prestabil ita, avevo inviato una risposta a Parigi, che fa vedere che egli mi attribuisce delle opinioni da cui sono assai lontano; come ha fatto anche non molto tempo fa un dottore anonimo della Sorbona, su un altro argomento. E tali incomprensioni sarebbero apparse subito agli occhi del lettore, se si fossero citate le mie ste sse parole, sulle quali si creduto di potersi fondare. [35] Questa disposizione degli uomini a non ingannarsi nel riportare le opinioni di altri, fa s" che colga l'occasione di far notare che quando ho detto da qual che parte che l'uomo si avvale del soccorso della grazia nella conversione, inte ndo solamente che egli ne approfitta per mezzo della cessazione della resistenza [che viene] superata, ma senza alcuna cooperazione da parte sua; proprio come n on c' alcuna cooperazione nel ghiaccio quando si rompe. Poich la conversione pura opera della grazia di Dio, a cui l'uomo non concorre se non resistendo; ma la su a resistenza pi o meno grande, a seconda delle persone e delle occasioni. Anche l e circostanze contribuiscono pi o meno alla nostra attenzione e ai moti che nasco no nell'anima; e il concorso di tutte queste cose insieme alla misura dell'impre ssione e allo stato della volont, determina l'effetto della grazia, ma senza rend erlo necessario. Ho sufficientemente spiegato altrove, che, in rapporto alle cos e della salvezza, l'uomo non rigenerato deve essere considerato come morto; e ap provo affatto il modo in cui i teologi della Confessione di Augusta si esprimono su tali argomenti. Tuttavia tale corruzione dell'uomo non rigenerato non gli im pedisce certo di avere delle virt morali autentiche e di fare qualche volta delle buone azioni nella vita civile, che provengono da un buon principio, senza alcu na cattiva intenzione, e senza contaminazione di peccato attuale. In questo sper o che mi si perdoner, se ho osato allontanarmi dall'opinione di S. Agostino, gran d'uomo senza dubbio e di spirito meraviglioso, ma che sembra portato a volte a e nfatizzare le cose, soprattutto nel calore delle sue discussioni. Stimo molto al cune persone che si professano discepoli di S. Agostino,35 e fra le altre il R. P. Quesnel,36 degno successore del grande Arnauld, nella prosecuzione delle cont roversie che li hanno contrapposti alla pi famosa delle Compagnie. Ma ho trovato che di solito nelle dispute fra persone di notevole merito (e qui ce ne sono sen za dubbio da entrambe le parti), la ragione da una parte e dall'altra, ma in pun ti diversi, e che essa pi per le difese che per gli attacchi, bench la malignit nat urale del cuore umano renda di solito gli attacchi pi piacevoli al lettore delle difese. Spero che il R. P. Tolomei,37 ornamento della sua Compagnia, occupato a riempire i vuoti del celebre Bellarmino, ci dar su tutto ci dei chiarimenti degni della sua acutezza e del suo sapere, e, oso anche aggiungere, della sua moderazi one. E bisogna credere che fra i teologi della Confessione d'Augusta, si alzer qu lche nuovo Chemnitz38 o qualche nuovo Calisen;39 cos come da credere che degli Us her40 e dei Daill41 rivivranno fra i riformati, e che tutti lavoreranno sempre pi per togliere le incomprensioni di cui questa materia piena. Per il resto, sarei

ben felice se coloro che vorranno passarla al setaccio leggessero le obiezioni m esse in forma, con le risposte che ho dato, nel piccolo scritto che ho messo all a fine dell'opera, per farne come un sommario42. Ho cercato di anticipare alcune nuove obiezioni: avendo spiegato, per esempio, perch ho preso la volont anteceden te e conseguente per preliminare e finale, su esempio di Tommaso, di Scoto e alt ri; come possibile che ci sia incomparabilmente pi bene nella gloria di tutti i s alvati che male nella miseria di tutti i dannati, bench questi ultimi siano di pi; come, dicendo che il male stato permesso come una condizione sine qua non del b ene, io lo intenda non secondo il principio del necessario, ma secondo i princip " della convenienza; come la predeterminazione che io ammetto sia sempre inclina nte e mai necessitante; come Dio non rifiuter i nuovi lumi necessari a coloro che hanno fatto buon uso di quelli che gi avevano; senza parlare di altri chiariment i che ho cercato di dare su alcune difficolt che mi sono state sollevate da poco. E ho seguito pure il consiglio di alcuni amici, che hanno creduto utile aggiung essi due appendici: una sulla controversia sorta fra il Sig. Hobbes e il vescovo Bramhall, riguardante la libert e la necessit; l'altra sulla sapiente opera sull' Orgine del male,43 da poco pubblicata in Inghilterra. [36] Infine ho cercarto di ricondurre il tutto all'edificazione; e se ho dato qu alcosa alla curiosit, perch ho creduto bisognasse ravvivare una materia la cui ser iet pu scoraggiare. " in quest'ottica che ho fatto entrare in questo discorso la c himera fascinosa di una certa teologia astronomica, non avendo motivo di temere che seduca nessuno, e giudicando che esporla e rifiutarla sia la stessa cosa. In venzione per invenzione, invece di immaginarsi che i pianeti siano stati dei sol i, si potrebbe immaginare che essi siano stati delle masse fuse nel sole e getta te al di fuori, ci che distruggerebbe il fondamento di questa teologia ipotetica. L'antico errore dei due princip", che gli Orientali distinguevano con i nomi di Oromazda e Arimanio,44 mi ha reso pi chiara una congettura sulla storia remota d ei popoli, essendoci la possibilit che fossero i nomi di due grandi principi cont emporanei: uno, monarca di una parte dell'Alta Asia, dove successivamente ce ne sono stati altri con questo nome; l'altro, re dei Celto-Sciti, che irruppe negli stati del primo, e conosciuto anche fra le divinit della Germania. Sembra infatt i che Zoroastro abbia impiegato i nomi di tali principi come simboli delle poten ze invisibili, a cui le loro prodezze li facevano somigliare nell'opinione degli Asiatici. Bench d'altra parte sembri, da quanto riferiscono gli autori arabi, ch e potrebbero essere meglio informati dei Greci su alcune particolarit della stori a orientale antica, che questo Zerdust o Zoroastro, che per loro contemporaneo a l grande Dario, non abbia affatto considerato questi due princip" come assolutam ente primitivi e indipendenti, ma come dipendenti da un unico principio supremo; e che egli credeva, conformemente alla cosmogonia di Mos, che Dio, che senza par i, ha creato tutto e ha separato la luce dalle tenebre; che la luce era conforme al suo disegno orginale, ma che le tenebre sono venute di conseguenza come l'om bra segue il corpo, e che ci non altro che la privazione. Il che esenterebbe ques to antico autore dagli errori che gli attribuiscono i Greci. La sua grande sapie nza ha fatto s" che gli Orientali l'abbiano paragonato a Mercurio o Ermete degli Egizi e dei Greci; proprio come i Nordici hanno paragonato il loro Wodan o Odin o con lo stesso Mercurio. Ecco perch il mercoled", o il giorno di Mercurio, stato chiamato Wodansdag dai Nordici, ma giorno di Zerdust dagli Asiatici, dato che e sso chiamato Zarschamba o Dsearschambe dai Turchi e dai Persiani, Zerda dagli Un gheresi venuti dall'Oriente del nord, e Sreda dagli Slavi, dall'estremit della gr ande Russia fino ai Wendi del paese di Luneburg; anche gli Slavi avendolo appres o dagli Orientali. Queste osservazioni non spiaceranno, forse, ai curiosi; e mi auguro che il piccolo dialogo, che conclude i Saggi in risposta al Sig. Bayle, d ar gusto a coloro che amano vedere verit difficili, ma importanti, esposte in un m odo facile e familiare. Si scritto in una lingua straniera, a rischio di fare mo lti errori, perch in questa lingua tale materia stata da poco trattata da altri, e pu essere letta pi agevolmente da coloro a cui si vorrebbe essere utili con ques to piccolo lavoro. Si spera che gli errori di lingua non dovuti solo alla stampa e al copista, ma anche alla fretta dell'autore, che stato spesso distratto da a ltre preoccupazioni, sarranno perdonati; e se qualche errore si infiltrato nelle

opinioni, l'autore sar fra i primi a correggerlo, appena sar stato meglio informa to: avendo dato altrove tali prove del suo amore per la verit, che spera che non si prender questa dichiarazione per un complimento.

COMPENDIO DELLA CONTROVERSIA, RIDOTTA AD ARGOMENTI FORMALI Alcune persone intelligenti hanno desiderato che si facesse questa appendice, e ci si conformati tanto pi facilmente al loro consiglio, in quanto si avuto modo c on ci di soddisfare anche a qualche difficolt, e di fare qualche osservazione che non era stata ancora sufficientemente trattata nell'opera. I. Obiezione - Chiunque non prende il partito migliore, manca di potenza, o di conoscenza, o di bont. - Dio non ha preso il partito migliore creando questo mondo. - Dunque Dio ha mancato in potenza, o conoscenza, o bont. Risposta. Si nega la minore, cio la seconda premessa di questo sillogismo; e l'av versario la prova per mezzo di questo prosillogismo. - Chiunque fa delle cose in cui c' del male, che potrebbero esser fatte senza mal e alcuno, o la cui produzione potrebbe essere omessa, non prende il partito migl iore. - Dio ha fatto un mondo in cui c' del male ; un mondo, io dico, che potrebbe esse re fatto senza alcun male, o la cui produzione poteva essere di fatto omessa. - Dunque Dio non ha preso il partito migliore. Risposta. Si accorda la minore di questo prosillogismo; perch bisogna ammettere c he c' del male nel mondo che Dio ha fatto, e che era possibile fare un mondo senz a male,45 o anche non creare il mondo, poich la sua creazione dipesa dalla libera volont di Dio: ma si nega la maggiore, cio la prima delle due premesse del prosil logismo, e ci si potrebbe contentare di richiederne la dimostrazione; ma per dar e pi chiarezza alla materia, si voluto giustificare questa negazione, facendo not are che il partito migliore non sempre quello che tende a evitare il male, poich pu darsi che il male sia accompagnato da un bene pi grande. Per esempio, un genera le d'armata preferir una grande vittoria con una leggera ferita, che una stasi se nza ferita e senza vittoria. Ci si dimostrato pi ampiamente in quest'opera, facend o anche vedere per mezzo di argomenti tratti dalle matematiche, e altrove, che u na imperfezione nella parte pu essere necessaria a una pi grande perfezione nel tu tto. In ci si seguita l'opinione di S. Agostino, che ha detto cento volte che Dio ha permesso il male per trarne un bene, cio un bene maggiore; e quella di Tommas o d'Aquino (Scriptum super libros Sententiarum, II, dist. 32, qu. I, art. 1), ch e il permettere il male tende al bene dell'universo. Si dimostrato che presso gl i antichi la caduta di Adamo stata chiamata Felix culpa, un peccato felice, perc h era stato riparato con un immenso vantaggio attraverso l'incarnazione del figli o di Dio, che ha dato all'universo qualcosa di pi nobile di tutto quel che vi sar ebbe stato senza di essa fra le creature. E per maggior chiarezza, si aggiunto, seguendo molti buoni autori, che apparteneva all'ordine naturale e al bene gener ale che Dio lasciasse a certe creature l'occasione di esercitare la loro libert, anche se ha previsto che esse si sarebbero rivolte al male, ma che lui poteva co munque raddrizzare; perch non conveniva che per impedire il peccato, Dio agisse s empre in modo straordinario. " stato allora sufficiente per annientare l'obiezio ne, dimostrare che un mondo con il male poteva essere migliore di un mondo senza male: ma si andati ancora pi avanti nell'opera, e si pure mostrato che questo un

iverso deve essere effettivamente migliore di ogni altro universo possibile. II. Obiezione - Se c' pi male che bene nelle creature intelligenti, c' pi male che bene in tutta l 'opera di Dio. - Ora c' pi male che bene nelle creature intelligenti. - Dunque c' pi male che bene in tutta l'opera di Dio. Risposta. Si nega la maggiore e la minore di questo sillogismo condizionale. Qua nto alla maggiore, non accettabile, perch questa pretesa conseguenza dalla parte al tutto, dalle creature intelligenti a tutte le creature, suppone, tacitamente e senza prova, che le creature prive di ragione non possano essere comparate e m esse in conto con quelle che l'hanno. Ma perch non supporre che il surplus di ben e nelle creature non intelligenti, che riempiono il mondo, ricompensi e anche so rpassi in modo incomparabile il surplus di male nelle creature ragionevoli? " ve ro che il valore di queste ultime maggiore; ma, in compenso, le altre sono incom parabilmente di pi; e pu essere che la proporzione del numero e della quantit sorpa ssi quella del valore e della qualit. Quanto alla minore, non la si deve del pari accettare, cio non si deve accettare che ci sia pi male che bene nelle creature intelligenti. Non si ha nemmeno bisogn o di convenire che ci sia pi male che bene nel genere umano, perch pu darsi, ed add irittura assai ragionevole, che la gloria e la perfezione dei beati sia incompar ibilmente pi grande della miseria e imperfezione dei dannati, e che qui l'eccelle nza del bene totale, nel numero pi piccolo, prevalga sul male totale nel numero p i grande. I beati si avvicinano alla divinit per mezzo del Mediatore divino, per q uanto pu convenire a tali creature, e fanno dei progressi nel bene che impossibil e ai dannati fare nel male, quando si avvicinano il pi che possono alla natura de i demoni. Dio infinito, e il demonio limitato; il bene pu andare e va all'infinit o, mentre il male ha i suoi limiti. Pu accadere dunque, e credo sia cos, nella com parazione fra beati e dannati, il contrario di ci che abbiamo detto poter accader e nella comparazione tra creature intelligenti e non intelligenti, cio pu essere c he, nella comparazione fra felici e infelici, la proporzione dei gradi [di valor e] superi quella dei numeri, e che, nella comparazione fra creature intelligenti e non intelligenti, la proporzione dei numeri sia pi grande di quella dei valori . Si ha diritto di supporre che una cosa possibile, finch non si prova che imposs ibile; e comunque quello che qui si propone supera la supposizione. Ma in secondo luogo, quand'anche si ammettesse che c' pi male che bene nel genere umano, si ha poi ogni motivo di non ammettere che ci sia pi male che bene in tutt e le creature intelligenti; perch c' un numero inconcepibile di geni, e forse anch e di altre creature razionali; e un avversario non potrebbe provare che, nell'in tera citt di Dio, composta tanto di geni che di animali razionali senza numero e di una infinit di specie, il male superi il bene; e, bench non si abbia bisogno, p er rispondere a una obiezione, di provare che una cosa , quando basta la sua sola possibilit, non si tralasciato di mostrare in quest'opera che una conseguenza de lla perfezione suprema del sovrano dell'universo che il regno di Dio sia il pi pe rfetto di tutti gli stati o governi possibili, e che, di conseguenza, il poco di male che c' sia richiesto per la pienezza di bene immenso che vi si trova. III. Obiezione - Se sempre impossibile non peccare, sempre ingiusto punire. - Ora sempre impossibile non peccare; ovvero, ogni peccato necessario. - Dunque sempre ingiusto punire. Se ne prova la minore. 1. Prosillogismo. - Ogni cosa predeterminata necessaria. - Ogni evento predeterminato.

- Dunque ogni evento (e di conseguenza anche il peccato) necessario. Si prova anche cos la seconda minore.46 2. Prosillogismo. - Ci che futuro, ci che previsto, ci che implicato nelle cause predeterminato. - Ogni evento tale. - Dunque ogni evento predeterminato. Risposta. Si ammette in un certo senso la conclusione del secondo prosillogismo, che la minore del primo; ma si negher la maggiore del primo prosillogismo, vale a dire che ogni cosa predeterminata necessaria, intendendo per necessit di peccar e, per esempio, o per l'impossibilit di non peccare, o di non fare qualche azione , la necessit di cui qui si tratta, vale a dire quella che essenziale e assoluta, e che distrugge la moralit dell'azione e la giustizia delle punizioni; infatti, se qualcuno intendesse un'altra necessit o impossibilit, vale a dire una necessit c he non fosse che morale o che non fosse che ipotetica (che spiegheremo presto), evidente che gli verrebbe negata la maggiore dell'obiezione stessa. Ci si potreb be contentare di tale risposta, e chiedere la prova della proposizione negata; m a si voluto anche dare ragione del suo procedimento in quest'opera, per chiarire meglio la cosa, e per far pi luce su tutta questa materia, spiegando la necessit che deve essere respinta, e la determinazione che deve aver luogo. Cio che la nec essit, contraria alla moralit, che deve essere evitata, e che comporterebbe che la punizione fosse ingiusta, una necessit insormontabile che renderebbe ogni opposi zione inutile, quand'anche si volesse con tutto il cuore evitare l'azione necess aria, e quando si facesse a tal fine ogni sforzo possibile. Ora evidente che ci n on affatto applicabile alle azioni volontarie; perch non le si farebbe se non lo si volesse. Anche la loro previsione e predeterminazione non assoluta, ma suppon e la volont: se certo che le si far, non meno certo che le si vorr fare. Tali azion i volontarie, e le loro conseguenze, non accadranno checch uno faccia, ossia che le si voglia o no, ma perch si far e perch si vorr fare ci che ad esse porta. E quest o contenuto nella previsione e nella predeterminazione, e ne rende anche ragione . E la necessit di tali eventi chiamata condizionale o ipotetica, o necessit conse quenziale, perch suppone la volont e gli altri requisiti; mentre la necessit che di strugge la moralit, e che rende la punizione ingiusta e la ricompensa inutile, ne lle cose che saranno checch uno faccia e voglia fare, e, in una parola, in ci che essenziale; ed ci che si chiama necessit assoluta. Cos non serve a niente, riguardo a ci che assolutamente necessario, preparare difese o comandamenti, proporre pen e o premi, biasimare o lodare; non cambierebbe niente. Mentre, nelle azioni volo ntarie e in ci che ne dipende, i precetti, armati dal potere di punire e ricompen sare, molto spesso servono, e sono compresi nell'ordine delle cause che danno es istenza all'azione; ed per questa ragione che non solo le attenzioni e i lavori, ma anche le preghiere sono utili; avendo Dio previsto queste preghiere prima di regolare le cose, e avendoci dato l'attenzione che era adeguata. " per questo c he il precetto che dice: Ora et labora (pregate e lavorate), sussiste tutto inte ro; e non solo coloro che pretendono, sotto il vano pretesto della necessit degli eventi, che si possano trascurare le attenzioni che gli affari richiedono, ma a nche coloro che ragionano contro le preghiere cadono in ci che gli antichi gi chia mavano il sofisma ozioso. Cos la predeterminazione degli eventi da parte delle ca use giustamente ci che contribuisce alla moralit anzich sostituirla, e le cause inc linano la volont, senza necessitarla. " per questo che la determinazione di cui s i tratta non una necessitazione: certo (a colui che sa tutto) che l'effetto segu ir tale inclinazione; ma tale effetto non consegue per una conseguenza necessaria , cio il cui contrario implichi contraddizione;47 ed per una tale inclinazione in terna che la volont si determina, senza esserci della necessit. Supponete che si a bbia la pi grande sofferenza del mondo (per esempio, una grande sete); mi concede rete che l'anima pu trovare qualche ragione di resistervi, se non altro quella di mostrare il suo potere. Cos, bench non si sia mai in una perfetta indifferenza d' equilibrio, ed essendoci sempre una prevalenza di inclinazione per il partito ch e viene preso, essa non rende comunque mai la risoluzione che si prende assoluta mente necessaria.

IV. Obiezione - Chiunque pu impedire il peccato altrui e non lo fa, ma anzi vi contribuisce, pu r essendone bene informato, ne complice. - Dio pu impedire il peccato delle creature intelligenti; ma non lo fa, e anzi vi contribuisce con il suo concorso e con le occasioni che fa nascere, bench ne abb ia una perfetta conoscenza. - Dunque, ecc. Risposta. Si nega la maggiore di tale sillogismo; infatti, pu darsi che uno possa impedire il peccato, ma non lo debba fare, perch non lo potrebbe [fare] senza co mmettere lui stesso un peccato o (se si tratta di Dio) senza fare un'azione irra zionale. Si sono dati argomenti, e si sono applicati a Dio stesso. Pu anche esser e che uno contribuisca al male, e che gli apra pure la strada a volte facendo co se che si obbligati a fare; e quando si fa il proprio dovere, o (parlando di Dio ) quando, tutto considerato, uno fa ci che chiede la ragione, non si responsabili degli eventi, quand'anche li si prevedesse. Non si vogliono quei mali, ma li si vuole permettere per un bene pi grande, che non si potrebbe dispensarsi ragionev olmente di preferire ad altre considerazioni; ed una volont conseguente che risul ta da volont antecedenti, per mezzo delle quali si vuole il bene. So che alcuni, parlando della volont di Dio antecedente e conseguente, hanno inteso per antecede nte, quella che vuole che tutte gli uomini siano salvati; e per conseguente, que lla che vuole, in conseguenza del peccato reiterato, che ce ne siano di dannati. Ma non sono che esempi di una nozione pi generale, e uno pu dire, per la stessa r agione, che Dio vuole con la sua volont antecedente che gli uomini non pecchino, e che, con la sua volont conseguente o finale e decretoria (che ha sempre il suo effetto), vuole permettere che pecchino; questo permesso essendo conseguenza di ragioni superiori; e si ha motivo di dire in generale che la volont antecedente d i Dio porta alla produzione del bene e all'impedimento del male, ciascuno preso in s e come distaccato (particulariter et secundum quid, Tommaso, Summa Theologia e I, qu. 19, art. 6), secondo la misura del grado di ciascun bene o di ogni male ; ma che la volont divina conseguente, o finale e totale, porta alla produzione d i tanti beni quanti se ne possono mettere insieme, la cui combinazione diventa c on ci determinata, e comprende anche il permesso di qualche male e l'esclusione d i qualche bene, come il miglior progetto possibile dell'universo richiede. Armin io,48 nel suo Antiperkinsus, ha molto ben spiegato che la volont di Dio pu essere chiamata conseguente, non solo in relazione all'azione della creatura considerat a precedentemente nell'intelletto divino, ma anche in relazione ad altre volont d ivine anteriori. Ma basta considerare il passaggio citato di Tommaso d'Aquino, e quello di Scoto (Opus oxoniense, I, dist. 46, qu. XI), per vedere che essi pren dono tale distinzione come la prendiamo qui. Tuttavia se qualcuno non vuole acce ttare questo uso dei termini, metta pure volont preliminare, al posto di antecede nte, e volont finale o decretoria, al posto di conseguente; perch non si vuole dis cutere sulle parole.49 V. Obiezione - Chiunque produce tutto ci che di reale c' in una cosa, ne la causa. - Dio produce tutto ci che c' di reale nel peccato. - Dunque Dio la causa del peccato. Risposta. Ci si potrebbe accontentare di negare la maggiore o la minore, perch il termine di reale riceve delle interpretazioni che possono rendere tali proposiz ioni false. Ma per spiegarsi meglio si disinguer. Reale significa o solamente ci c he positivo, o comprende anche gli esseri privativi; nel primo caso, si nega la maggiore, e si accetta la minore; nel secondo caso, si fa il contrario50. Ci si sarebbe potuti limitare a ci; ma si voluto andare ancora oltre, per dar ragione d

i tale distinzione. Si dunque stati diposti a far considerare che ogni realt pura mente positiva, o assoluta, una perfezione; e che l'imperfezione viene dalla lim itazione, cio dal privativo: infatti limitare, rifiutare il progresso, o l'ulteri ore. Ora Dio la causa di tutte le perfezioni, e di conseguenza di tutte le realt, quando le si consideri come puramente positive. Ma le limitazioni o le privazio ni risultano dall'imperfezione originale delle creature, che limita la loro rice ttivit. " come un battello carico, che il fiume fa andare pi o meno lentamente, a seconda del peso che porta; cos la sua velocit viene dal fiume; ma il ritardo che limita tale velocit viene dal carico. Cos si fatto vedere in quest'opera come la c reatura, causando il peccato, sia una causa deficiente; come gli errori e le cat tive inclinazioni nascano dalla privazione; e come la privazione sia efficace pe r accidente; e si giustificata l'opinione di S. Agostino (Ad Simplicianum, I, q. 2) che spiega, per esempio, come Dio indurisce, non dando qualcosa di cattivo a ll'anima, ma perch l'effetto della sua buona impressione limitato dalla resistenz a dell'anima, e dalle circostanze che contribuiscono a tale resistenza; di modo che lui non le d tutto il bene che potrebbe superare il suo male. Nec, inquit, ab illo erogatur aliquid quo homo fit deterior, sed tantum quo fit melior non erog atur. Ma se Dio avesse voluto fare di pi, sarebbe stato necessario fare o altre n ature delle creature o altri miracoli per cambiare le loro nature, che il proget to migliore non ha potuto consentire. " come se la corrente del fiume dovesse es sere pi rapida di quanto permette la sua pendenza, o che i battelli fossero meno carichi, se doveva far andare tali battelli pi velocemente. E la limitazione o l' imperfezione originale delle creature fa s" che anche il miglior progetto dell'u niverso non possa essere esente da certi mali, che devono per essere diretti a un bene pi grande. Sono alcuni disordini nelle parti, che evidenziano meravigliosam ente la bellezza del tutto; come certe dissonanze, impiegate come si deve, rendo no l'armonia pi bella. Ma ci dipende da ci che si gi risposto alla prima obiezione. VI. Obiezione - Chiunque punisce coloro che hanno fatto tutto il bene che erano in grado di fa re, ingiusto. - Dio lo fa. - Dunque, ecc. Risposta. Si nega la minore di questo argomento. E crediamo che Dio dia sempre g li aiuti e le grazie sufficienti a coloro che hanno buona volont, cio che non rifi uterebbero queste grazie con un nuovo peccato. Cos, non ammettiamo la dannazione dei bambini morti senza battesimo o fuori dalla Chiesa, n la dannazione degli adu lti che hanno agito secondo i lumi che Dio ha loro dato. E si crede che se qualc uno ha seguito i lumi che aveva, ne ricever indubitabilmente di maggiori di cui a bbia bisogno, come il fu Sig. Hulseman, teologo celebre e profondo a Lipsia, ha osservato da qualche parte; e se un tal uomo ne fosse stato privo durante la vit a, li riceverebbe almeno in punto di morte.

VII. Obiezione - Chiunque dia solamente ad alcuni, e non a tutti, i mezzi che facciano loro ave re effettivamente la buona volont e la fede finale salvifica, non ha molta bont. - Dio lo fa. - Dunque, ecc. Risposta. Si nega la maggiore. " vero che Dio potrebbe superare la pi grande resi stenza del cuore umano; e lo fa anche, a volte, sia attraverso una grazia interi ore, sia attraverso le circostanze esterne che possono molto sulle anime; ma non lo fa sempre. Da dove viene questa diversit [di comportamento], si dir, e perch la sua bont sembra limitata? " che non sarebbe stato secondo l'ordine [delle cose] agire sempre straordinariamente, e ribaltare i legami tra le cose, come si gi oss

ervato rispondendo alla prima obiezione. Le ragioni di tale legame, per mezzo de l quale uno posto in circostanze pi favorevoli di un altro, sono nascoste nella p rofondit della saggezza di Dio: esse dipendono dall'armonia universale. Il miglio r progetto dell'universo, che Dio non poteva evitare di scegliere, lo comportava . Lo si giudica dall'evento stesso; dato che Dio l'ha fatto, non era possibile f ar meglio. Ben lungi dall'esser questa condotta contraria alla bont, la suprema b ont che ve l'ha portata. Questa obiezione con la sua soluzione poteva essere trat ta da ci che stato detto a proposito della prima obiezione; ma sembrato utile tra ttarla a parte. VIII. Obiezione - Chiunque non pu evitare di scegliere il meglio, non libero. - Dio non pu evitare di scegliere il meglio. - Dunque Dio non libero. Risposta. Si nega la maggiore di questo argomento: piuttosto la vera libert, e la pi perfetta, a poter usare il meglio del suo libero arbitrio, e a esercitare sem pre questo potere, senza essere distratta, n dalla forza esterna, n dalle passioni interne, di cui la prima rende schiavi i corpi, e le altre le anime. Non c' nien te di meno servile e di pi conveniente al grado pi alto di libert che esser sempre rivolti al bene, e sempre per propria inclinazione, senza alcuna costrizione, e senza alcun dispiacere. E obiettare che Dio aveva dunque bisogno di cose esterne , non che un sofisma. Lui le crea liberamente: ma essendosi proposto un fine, ch e quello di esercitare la sua bont, la saggezza lo ha determinato a scegliere i m ezzi pi adeguati a ottenere questo fine. Chiamare ci bisogno, prendere il termine in un senso non ordinario che lo purghi da ogni imperfezione, pi o meno come si f a quando si parla della collera di Dio. Seneca ha detto da qualche parte che Dio non ha comandato che una volta, ma che obbedisce sempre, perch obbedisce alle leggi che si voluto prescrivere: semel jus sit, semper paret. Ma avrebbe detto meglio che Dio comanda sempre, e che viene s empre obbedito; perch volendo, lui segue sempre l'inclinazione della sua propria natura, e tutto il resto delle cose segue sempre la sua volont. E dato che questa volont sempre la stessa, non si pu dire che lui non obbedisce che a quella che av eva precedentemente. Tuttavia, bench la sua volont sia sempre immancabile, e tenda sempre al meglio, il male, o il minor bene che lui rifiuta, non cessa di essere possibile in s; altrimenti la necessit del bene sarebbe geometrica, per dir cos, o metafisica, e del tutto assoluta; la contingenza delle cose sarebbe distrutta, e non ci sarebbe scelta. Ma questo tipo di necessit, che non distrugge la possibi lit del contrario, non ha tale nome che per analogia; essa diviene effettiva, non per la sola essenza delle cose, ma per ci che fuori di loro o al di sopra di lor o, vale a dire per la volont di Dio. Tale necessit viene chiamata morale, perch per il saggio, necessario e dovuto sono cose equivalenti; e quando essa ha sempre i l suo effetto, come essa lo ha di fatto nel saggio perfetto, cio Dio, si pu dire c he per una felice necessit. Pi le creature se ne accostano, pi esse si avvicinano a lla felicit perfetta. Cos, tale tipo di necessit non quella che si cerca di evitare , e che distrugge la moralit, le ricompense, le lodi. Infatti ci che essa comporta non accade checch si faccia, e checch si voglia, ma perch lo si vuole. E una volon t alla quale naturale scegliere bene, merita di essere lodata in maggior grado: c os essa porta con s la ricompensa, che il bene supremo. E dato che tale costituzio ne della natura divina d completa soddisfazione a chi la possiede, essa anche la migliore e la pi desiderabile per le creature, le quali tutte dipendono da Dio. S e la volont di Dio non avesse per regola il principio del meglio, essa tenderebbe al male, ci che sarebbe il peggio; oppure sarebbe in qualche modo indifferente a l bene e al male, e guidata dal caso; ma una volont che si lasciasse sempre guida re dal caso non sarebbe affatto meglio per il governo dell'universo del fortuito concorso dei corpuscoli, senza che ci sia alcuna divinit. E quand'anche Dio non si abbandonasse al caso che in qualche circostanza e in qualche modo (come fareb be se non tendesse sempre integralmente al meglio e se fosse capace di scegliere

un bene minore a un bene pi grande, cio un male a un bene, poich ci che impedisce u n bene pi grande un male) sarebbe imperfetto, proprio come l'oggetto della sua sc elta; non meriterebbe una fiducia integrale; agirebbe senza motivo in tal caso, e il governo dell'universo sarebbe come certi giochi a cavallo fra ragione e for tuna. E tutto ci fa vedere che tale obiezione, che si fa contro la scelta del meg lio, perverte le nozioni di libert e necessit, e ci rappresenta il meglio stesso c ome cattivo; ci che maligno, o ridicolo. Note 1 Era stato il teologo giansenista Libertus Fromondus, nel suo Labyrinthus , sive de compositione continui liber unus (1631), ad aver usato l'immagine dei due labirinti come simbolo della doppia difficolt, relativa alla libert e alla div isibilit dell'infinito. 2 Mt 6,27; Lc 12,25. 3 Lc 21,18; Mt 10,30. 4 In italiano nel testo. 5 Antico gioco di carte d'azzardo, simile a quello del faraone, in voga ne i secc. XVIII-XIX. 6 Cfr. articolo "Manichei" del Dizionario storico-critico di P. Bayle. 7 Teologo tedesco, autore del trattato De Deo, seu disputationes de natura et attributis Dei, diverso tempore Steinfurti publice habitae (1610), accusato egli stesso di essere sociniano. 8 In realt si tratta di Thomas Barton: gesuita accusato di eresia, usc" poi dalla Compagnia e si ritir in Irlanda. 9 Sembra di cogliere qui una sfumatura ironica. 10 Riferimento ai cartesiani. 11 Repubblica, I, 338 c. 12 Mt 22,14. 13 Rm 11,33. 14 "Ecco senza dubbio il buon partito e la vera via per togliere i dubbi: D io l'ha detto, Dio l'ha fatto, Dio l'ha permesso; ci dunque vero e giusto, saggia mente fatto, saggiamente permesso", P. Bayle, op. cit., articolo "Rufin". 15 Cfr. articolo "Pirrone" del Dizionario storico-critico. 16 Riferimento al Systme nouveau de la nature et de la communication des sub stances, aussi bien que de l'union qu'il y a entre l'me et le corps, in "Journal des Savants", 27 giugno 1695. 17 Dedicato al cardinale Gerolamo Rorario, autore di Quod animalia bruta sa epe ratione utantur melius homine (1648). 18 Lettre de M. Leibniz l'Auteur contenant un claircissement des difficults q ue M. Bayle a trouves dans le Systme Nouveau de l'union de l'me et du corps. 19 Jean Le Clerc (1657-1736), professore di storia ecclesiastica al Collegi o dei Rimostranti di Amsterdam. Dirigeva la "Bibliothque choisie". 20 Ralph Cudworth (1617-1688), il pi autorevole rappresentante della scuola platonica di Cambridge. La sua opera fondamentale The True Intellectual System o f the Universe (1678). 21 La natura plastica, emanata da Dio, l'ordinatrice della materia. "Poich D io non fa direttamente tutto [sostengono i platonici di Cambridge] ci dovr essere un principio [la natura plastica appunto] che eseguisca quella parte della prov videnza divina che si riferisce alla regolarit dei fenomeni" (Abbagnano): la natu ra plastica quindi mediatrice tra Dio e il mondo. 22 Considrations sur le principe de la vie et sur les natures plastiques, pa r l'auteur de l'Harmonie prtablie. 23 Jan Swammerdam (1637-1680), naturalista olandese, autore della Biblia ip sius naturae (1737). 24 Nel De consolatione philosophiae, Boezio si era chiesto come possano coe sistere la Provvidenza e la libert, sembrando la prima escludere la seconda. In r ealt, tenendo per vero che Dio prevede tutto, Egli non lo prevede per necessit: ci che dipende dal libero arbitrio presente in Dio nella sua contingenza, quindi re

sta salva la libert umana. Anche Lorenzo Valla, nel De libero arbitrio (1440 circ a), nega il contrasto tra Provvidenza e libert, con un'analoga argomentazione: gl i eventi futuri sono contingenti e quindi non sono causati da Dio; la conoscenza di un evento futuro non lo determina necessaristicamente: quindi l'opera di Val la contro Boezio solo nella misura in cui quest'ultimo sembrava negare la libert. Erasmo, nella Diatribe de libero arbitrio (1524), afferma la libert dell'uomo in tesa come libert di salvarsi, e la concilia con la Provvidenza divina intendendo la grazia come causa principalis e la libert come causa secundaria: Dio e uomo co operano. Lutero replic a Erasmo con il De servo arbitrio (1525): non esiste alcun libero arbitrio, l'onnipotenza di Dio lo esculde. 25 Avvenuto nel 1586, tra teologi luterani e calvinisti. 26 Autore, insieme al fratello, del Tractatus de controversiis fidei (166970). 27 Johann Ludwig Fabricius (1632-1696), professore di letteratura greca all 'universit di Heidelberg. 28 Si tratta di Of liberty and Necessity (1654). Alla controversia tra J. B ramhall (1594-1663) e Hobbes Leibniz dedica una della appendici agli Essais: Rfle xions sur l'ouvrages que M. Hobbes a publi en Anglois, de la Libert, de la Ncessit e t du Hazard. 29 Stratone di Lampsaco, morto circa nel 270 a.C., secondo scolarca del Pe ripato, chiamato "il fisico". 30 Cio i cartesiani. 31 Ren-Joseph de Tournemine (1661-1739), gesuita, diresse i "Mmoires de Trvoux ". In essi apparvero, nel numero del maggio-giugno 1703, le Conjectures sur l'un ion de l'me et des corps, ripubblicate nel marzo 1704 con una nota sulla teoria l eibniziana dell'armonia prestabilita. Leibniz rispose con le Remarques de M. Lei bniz sur un endroit des Mmoires de Trvoux de moi de mars 1704, pubblicate nel nume ro di marzo 1708. 32 Con lo scritto De ipsa natura, sive de vi insita actionibusque creaturar um pro Dynamicis suis confirmandis illustrandisque, pubblicato negli "Acta erudi torum" nel 1698. 33 Johann Christophorus Sturm (1635-1703), cartesiano, professore a Jena, a utore di De naturae agentis idolo (1692), nel quale sostiene essere Dio l'unico agente, negando alla natura un qualsiasi dinamismo indipendente. 34 Franois Lamy (1636-1711), benedettino, cartesiano e occasionalista, autor e di De la connaissance de soi-mme (6 voll., 1694-96). 35 Cio i giansenisti. 36 Pasquier Quesnel (1634-1719), teologo, oratoriano, poi espulso per il su o giansenismo. La sua opera maggiore sono le Rflexions morales sur le Nouveau Tes tament (4 voll., 1692), condannate da Clemente XI. 37 Giovanni Battista Tolomei (1653-1725), gesuita, professore di filosofia, teologo. Cerc di conciliare Aristotele con Cartesio nella sua opera principale P hilosophia mentis et sensuum secundum utramque Aristotelis methodum pertractata metaphysice et empirice (1696). 38 Martin Chemnitz (1522-1586), teologo luterano, pastore a Brunswick, auto re di un Examen Concilii Tridentini (4 voll., 1556-1573). 39 Georg Calisen, detto Callixt (1586-1656), teologo luterano. Cerc di dimos trare, nel suo De vera christiana religione et ecclesia (1633), che la teologia cattolica e la concezione luterana della grazia non contrastano tra loro. 40 James Usher (1580-1655), vescovo di Armagh (Irlanda). Vedeva nel Calvini smo la possibilit di ritornare al Cristianesimo originario. 41 Jean Daill (1594-1670), pastore a Charenton, autore di una Apologia pro d uabus Ecclesiarum in Gallia protestantium synodis nationalibus (1655), si pronun zi per la salvezza di tutti gli uomini credenti (grazia universale), e non dei so li eletti. 42 " l'Abrg de la Controverse rduite des Arguments en forme, che compare in qu esto volume. 43 De origine mali (1702), di William King (1650-1729), arcivescovo di Dubl ino. 44 Ormazd e Ahriman, i due principi opposti della religione mazdea.

45 Un mondo che per sarebbe altro dal migliore dei mondi possibili: non si t ratta, come sembrerebbe indicare la minore del prosillogismo, della possibilit re ale di creare il miglior mondo possibile eliminandone il male. 46 Cio la minore del primo prosillogismo. 47 " la differenza tra le necessit ipotetiche, cio la nacessit morale e quella fisica (quest'ultima fondata sulla prima), il cui contrario possibile, e la nac essit geometrica, propria delle verit eterne, "il cui contrario implica contraddiz ione". 48 Jacob Arminius (1560-1609), capo dei rimostranti (o arminiani), protesta nti contrari alla teoria calvinista della predestinazione, condannati dal sinodo di Dordrecht. 49 Riassumendo: esiste un volere antecedente che riguarda "le cose individu ali, considerate in se stesse, a prescindere dalle altre, e un volere coseguente che risulta dal conflitto e dal concorso di tutti i voleri antecedenti. Dio ha un volere antecedente di salvare tutti gli uomini, di escludere il peccato e di impedire la dannazione; e ci si sarebbe verificato se non ci fossero alcune cause pi forti che lo impediscono. Soltanto il volere conseguente, tuttavia, si realiz za. Il male fisico e quello morale devono quindi essere permessi come risultato dell'obbligo morale, da parte di Dio, a creare un universo che contiene il bene pi grande. Ne consegue che Dio vuole antecedentemente il bene e conseguentemente il meglio" (Eric J. Aiton, Leibniz, Milano, Il Saggiatore, 1991, p. 352). Scrive Leibniz nella Teodicea: "Non tutti i possibili sono compatibili tra loro in una stessa serie d'universo, questa la ragione per cui non tutti i possibili posson o essere prodotti [...] Non appena Dio decreta di creare qualcosa, si stabilisce un conflitto tra tutti i possibili, che pretendono tutti all'esistenza; e quell i che, connessi insieme, comportano pi realt, pi perfezione, pi intelligibilit, preva lgono" (Teodicea, n. 201, trad. Mathieu). 50 Insomma, l'errore del sillogismo sta nel considerare la realt, nella magg iore, in un'accezione che diversa da quella considerata nella minore. Postfazione Tra il 1695 e il 1697 venne pubblicato a Rotterdam il Dictionnaire historique et critique di Pierre Bayle. Opera principale del filosofo francese, nei suoi dive rsi articoli evidenziava il carattere ipotetico, dogmatico di tante opinioni fil osofiche e teologiche che caratterizzavano quel fine '600 di cui Bayle, forse me glio di qualsiasi altro filosofo, rappresenta - iniziandola - la premessa al pen siero illuminista. Il razionalismo cartesiano, il principio di evidenza che ha d a essere guida della ragione, serve a Bayle non gi per la costruzione di un siste ma filosofico, bens" per distruggere quelle teorie che a suo parere sono illegit time soluzioni della indagine umana. Quest'ultima, se strumento capace di denunc iare le aporie nelle pi diverse filosofie, non lo abbastanza per proporre una fil osofia che possa risolvere i problemi che le altre avevano occultati o scordati. Per questo Bayle fu considerato dai suoi contemporanei un ateo scettico. Lui si diceva invece devoto cristiano (era passato dal Protestantesimo al Cattolicesim o per poi tornare alla religione di Lutero) e rispetto all'impossibilit della rag ione di giungere ad alcuna conclusione certa in campo teologico, proponeva una p osizione fideista: se Dio ha fatto s" che il mondo fosse come si presenta a noi, con la presenza del male che sembra contraddire la Sua infinita bont, con la lib ert che pare propria dell'uomo ma che viene contraddetta dalla Sua onniscienza, n oi non possiamo che accettare la nostra incapacit di comprensione e accogliere tu tto ci come certamente "vero e giusto" in quanto da Dio permesso. Il Dictionnaire di Bayle ebbe un successo editoriale strepitoso: tra il 1697 e i l 1702 ebbe due edizioni che andarono a ruba, e per il mercato librario del temp o non era certo cosa di poco conto. Le idee che vi erano espresse, dunque, a vol te pi o meno volgarizzate, circolavano negli ambienti francesi; nei salotti si le ggevano e si commentavano le sue pagine: conoscerlo voleva dire essere informati sulle ultime tendenze del dibattito culturale francese, ma erano anche l'univer salit e l'importanza dei problemi trattati (per non parlare delle [non-]soluzioni

proposte) a incuriosire il pubblico francese. Il fatto poi che il libro non si presentasse come opera per specialisti, essendo scritta in francese, fece il res to. Scrive P. Hazard: Grazie al Dictionnaire, il pensiero critico di Bayle - uscendo dalla cerchia del le controversie tra teologi, rendendosi accessibile a tutti, s" da far apparire "le obiezioni in piena luce", ispirando gli eterodossi di tutti i paesi, - diven ne maestro d'incredulit. La principessa Sofia Carlotta di Hannover, sposa nel 1684 del futuro Federico I di Prussia, aveva incontrato Bayle in Olanda e si era interessata alla sua filos ofia. Cos l'uscita della seconda edizione del Dictionnaire le fu particolarmente gradita: gli articoli bayliani entrarono al centro delle conversazioni filosofic he, che la regina intratteneva con il suo maestro e protetto Gottfried Wilhelm L eibniz nel giardino di Charlottenburg. Cos nacquero gli Essais de Thodice sur la bont de Dieu, la libert de l'homme et l'ori gine du mal: ce ne informa una lettera di Leibniz indirizzata a Thomas Burnet e scritta proprio nell'anno di pubblicazione dell'opera (1710). In tale lettera Le ibniz scrive che la maggior parte degli Essais fu redatta durante la sua permane nza alla corte della principessa Sofia Carlotta: Leibniz cercava di rispondere a lle obiezioni di Bayle, per dimostrare alla regina che solo persone non pienamen te religiose potevano considerarle cos forti da far rimanere, di fronte ad esse, la ragione disarmata. Sofia Carlotta chiese al suo insegnante di fissare su cart a le sue contro-obiezioni per poterle meglio valutare. Sull'origine dell'opera e le discussioni intrattenute con la regina, Leibniz torna anche nella Prface dell a Thodice (vedi pi sopra, pp. 37-39), dove scrive fra l'altro che gli stessi temi t rattati nell'opera, quelli appunto sulla bont di Dio, sulla libert dell'uomo e sul l'esistenza del male, in risposta alle posizioni antireligiose e scettiche di Ba yle, erano stati da lui esaminati gi da molto tempo "e di avere deciso qualche vo lta di pubblicare su tale soggetto dei pensieri". E infatti gi fin dal 1673, data di pubblicazione della Confessio philosophi, possibile far risalire il tentativ o di Leibniz di risolvere la "spinosa questione della giustizia di Dio": gli Ess ais, in larghissima parte, sono la riproposizione di tesi gi esposte in quest'ope ra giovanile, riformulate mediante un maggior rigore filosofico; Bayle solo l'oc casione di tornare ad argomenti gi frequentati da Leibniz da lungo tempo. Non a c aso si parlato della Confessio philosophi come "prima Teodicea" o "proto-Teodice a". "Teodicea" (the-s = dio; dik = giustizia) un neologismo creato da Leibniz stesso, tanto che quando usc" la prima edizione dell'opera, anonima (l'autore non si er a deciso a firmarla non avendo la specifica qualifica di teologo, tuttavia non n ascose mai di esserne l'autore, tantoch apparve nella seconda edizione), ci fu ch i credette chiamarsi "teodiceo" il suo autore. Una spiegazione di questo termine non la si trover all'interno del testo, ma risulta trasparente gi nel titolo stes so: quel sur la bont de Dieu, la libert de l'homme et l'origine du mal non altro c he quella "giustificazione dell'opera di Dio", quella "dottrina della giustizia di Dio" o "della saggezza e della bont sue" di cui Leibniz scrive nelle sue lette re con l'intento di meglio esplicitare il significato di questo nuovo termine. L a teodicea dunque la difesa di Dio nella soluzione del problema del male: cos sta ta intesa da Leibniz e utilizzata anche da altri autori (ad es. Rosmini); errone amente a volte si sono usati "teologia naturale" e "teodicea" come sinonimi (Ros mini definiva l'intero studio razionale di Dio con il termine "teosofia", ma l'u tilizzo di questo termine e tale accezione cadde in disuso da quando nacque il r ischio di equivocarlo con il movimento mistico della Teosofia, fondato dalla Bla vatski). Ma se il termine "teodicea" nasce nel XVII secolo, il tentativo di dare una gius tificazione del male e, dal punto di vista cristiano, anche la giustificazione d i una volont divina che lo permette, antichissimo, tanto da rendere pressoch impos sibile la sua origine storica. Nell'epoca classica le risposte al problema del male erano state - ovviamente diverse. Eraclito considera bene e male in funzione complementare tra loro, indi

cando il tutto come perfettamente razionale; Parmenide identifica Bene ed Essere e quindi male e apparenza. Empedocle vede Phil'a e Neikos in continua lotta tra loro, lotta che determina l e diverse fasi del ciclo cosmico, e che durer in eterno: con il dominio della dis cordia si rompe l'unit primordiale degli elementi, propria invece della fase rego lata dall'amore; Neikos causa dunque la distinzione e la molteplicit, mentre Phil 'a determina la commistione fra gli elementi fondamentali, espressa dallo Sfero. Sembra dunque esservi in Empedocle una sorta di nostalgia dell'Uno e un'implici ta condanna del principio di frammentazione (ma anche vero che il filosofo di Ag rigento non identifica il male con l'odio e il bene con l'amore). Per Socrate l'agire malvagio deriva dall'ignoranza, per cui l'uomo confonde il m ale con il bene e cos lo sceglie. Aristotele vede, metafisicamente, la causa del male nella materia prima: gli neg a cos una qualsiasi consistenza ontologica, anticipando Plotino; moralmente consi dera il male come mancanza di equilibrio, passione, quindi anche qui in senso pr ivativo. Anche per lo stoicismo il male apparenza, ed tale solo per il singolo, in quanto la natura universale coincidente con l'ordine razionale e perfetto, Dio stesso. Per Marco Aurelio bisogna accettare ogni fatto, perch sempre e comunque convenie nte al tutto. Per Epicuro e l'epicureismo il male onnipresente nella realt in cui ci troviamo e compito del saggio mantenersi in perfetta serenit, evitando le passioni. Plotino esplicita maggiormente la vicinanza del non-essere con il male: il male esiste in quanto carenza di essere. In questo senso, il male la materia: essa in fatti ci che pi si avvicina al non-essere, mancanza totale di bene, quindi in real t quasi non . Con la scuola neoplatonica si concludono le riflessioni della filosofia antica, e il pensiero cristiano riprende molti temi propri di Plotino. Viene confermata e rafforzata l'identit tra male e non-essere. Per Agostino il male privazione di bene, e quindi non ha realt sostanziale: quaecumque sunt, bona sunt. Ma la materi a non pi l'origine del male, perch se la forma un bene, anche l'attitudine alla fo rma deve esserlo; inoltre, e soprattutto, dal concetto cristiano di Creazione co nsegue che ogni realt deriva da Dio, pienezza dell'essere, e quindi non pu essere che un bene. Tutta la tradizione medievale cristiana concorde con l'identificazione agostinia na tra non-essere e male: da Origene a Tommaso, da Clemente Alessandrino ad Ales sandro di Hales, da Boezio ad Anselmo; il male definito come assenza di bene. Il Rinascimento non ha apportato significative novit teoretiche nell'indagine sul problema del male e della sua origine rispetto a quelle antiche e medievali; tu ttavia almeno da ricordare Jacob Bhme il quale, considerando la realt come campo d i battaglia tra due princ"pi antagonisti - il bene e il male - la giustifica con la presenza in Dio stesso di una tensione derivante dall'opposizione di queste due forze, che si concluder con la vittoria del bene. Nel '600, con Hobbes, Spinoza e Locke, il male viene concepito all'interno di un a teoria soggettivistica. Per Hobbes non esiste nulla di buono o di cattivo in s enso assoluto, ma sempre e soltanto in riferimento alla persona che si serve di questi termini. Bene e male sono nomi con cui indichiamo gli oggetti delle nostr e appetizioni e avversioni: una cosa la si avversa non perch un male, ma un male perch la si avversa. Spinoza concorda in pieno su questo punto con Hobbes: male e bene sono solo derivati da valutazioni personali, che ignorano l'ordine necessa rio in tutta la natura, coincidente con Dio, e considerano solo il punto di vist a limitato della nostra ragione. Anche Locke chiama bene e male ci che produce in noi piacere o pena; inoltre, il bene e il male morale consistono nella conformi t o meno dell'azione alla legge. La giustificazione del male nella Teodicea parte innanzitutto da un presupposto teologico, prima ancora che filosofico: l'esistenza di Dio. Certamente questa ri tenuta necessaria, in quanto "ragione prima delle cose": tutto ci che sperimentia mo contingente e quindi non giustifica la propria esistenza. Ripercorrere la cat ena delle cause e degli effetti non risolve il problema: la ragione dell'esisten za del mondo non si trova nel mondo, bisogner dunque cercarla nella "sostanza che

ha in s la ragione della propria esistenza". Ma Dio anche "il luogo delle verit e terne", come scritto nella Monadologia; la fonte delle essenze, oltre che delle esistenze: non solo il reale trova giustificazione in Dio, ma anche il possibile . Tuttavia rimane sempre vero che, una volta dimostrata la sua esistenza, Dio ch e permette a Leibniz di giustificare il male. Se l'intelletto divino contiene tutti i mondi possibili (in quanto fonte delle e ssenze), la sua volont (fonte delle esistenze) ha optato per questo mondo, quello in cui noi ci troviamo, in quanto il migliore dei mondi possibili: se ne avesse scelto un altro, Dio non sarebbe stato il dio cristiano perfettamente buono e g iusto. Ora, per ci troviamo di fronte ad un'apparente contraddizione: da una part e Dio perfettamente buono e quindi crea il miglior mondo possibile, dall'altra p arte in questo mondo esiste il male. In che senso dunque il nostro mondo il migl iore dei mondi possibili? non forse vero che vi almeno un mondo migliore del nos tro, quello cio in cui non esistono limitazioni, sofferenze, morti, dove insomma il male non di casa? Questa obiezione pu essere giustificata solo se il suo autore ha un'idea vaghissi ma della filosofia leibniziana, pretendendo di conoscerla avendo alla mente solo i semplicistici slogan quali quelli come "ottimismo leibniziano", "migliore dei mondi possibili", ecc. Lo stesso Candido non affatto una critica, neppure super ficiale, al sistema di Leibniz: Voltaire non tematizza affatto il sistema del fi losofo di Lipsia, bens" ironizza su un semplice slogan: le vicende di Candido e del suo maestro, il dottor Pangloss, si riducono a pura filosofia da salotto. Leibniz in realt non scrisse mai che viviamo nel mondo per noi pi desiderabile, ma nel miglior mondo possibile. E non si trova nella sua opera il motto "Tutto ben e nel migliore dei mondi possibili", sul quale continuamente ironizza Voltaire, semplicemente perch contrario al suo sistema. Innanzitutto Dio, come causa dell'e sistenza di questo mondo, un essere intelligente: ci desunto dal fatto che ogni m ondo possibile contingente, la scelta di questo compiuta da un intelletto che ha le idee di tutti i mondi possibili attraverso "un atto della volont che sceglie" . Ora, Dio non pu che aver scelto il miglior mondo possibile: se avesse scelto un minor bene di quello che era possibile ci avrebbe comportato un'imperfezione, co sa impossibile per la definizione di Dio come saggezza e bont infinite. E un mond o migliore di tutti gli altri c'era sicuramente, altrimenti non sarebbe esistito alcun mondo. In conclusione questo il mondo migliore possibile, altrimenti Dio non sarebbe gi usto: anche il male in esso presente non sarebbe eliminabile se non considerando un altro mondo, che dunque non sarebbe pi il migliore possibile. In realt Leibniz non si propone di dimostrare l'effettiva superiorit del mondo in cui ci troviamo rispetto a quelli presenti nell'intelletto di Dio, ricavandola a posteriori, dall'esistenza del mondo stesso. Cio: esiste questo mondo, Dio non p u non averlo creato senza una suprema ragione che giustificasse la sua esistenza, dunque questo mondo il migliore dei mondi possibili. Questo ragionamento rasenta il fideismo, tanto che a giustificazione dell'inferi orit degli altri mondi possibili rispetto al nostro, Leibniz scrive: Non sarei capace di mostrarvelo nei dettagli, perch come potrei conoscere, mostra rvi e confrontare degli infiniti tra loro? Ma voi dovete con me giudicarlo ab ef fectu, dato che Dio ha scelto questo mondo cos come . D'altro canto, e proprio perch voluto da Dio, da credere che il male presente nel mondo da lui creato causa di un bene tale che altrimenti non sarebbe mai potuto esistere. Inoltre il male presente ci fa gustare meglio il bene, come - un para gone di Leibniz - le ombre danno risalto ai colori. Il male comunque non supera mai in misura il bene, conclusione cui giungono alcuni solo a causa dell'abitudi ne alla nostra condizione che non ci rende sensibili a quei beni che pure sono v icino a noi. Anche se una pagina evangelica ci ricorda che pochi saranno i salva ti e molti i dannati, non dobbiamo smettere di credere alla superiorit del bene r ispetto al male: vi sono - una delle giustificazioni leibniziane - moltissimi pi aneti nei quali si pu ritenere altamente probabile vivano animali razionali, anch e se non uomini come noi. Pu essere che queste siano tutte persone felici: cos la

nostra piccola parte di universo con la sua infelicit nulla se paragonata alla fe licit propria del resto del cosmo. "" possibile che la globalit dei mali sia quasi un niente rispetto ai beni presenti in tutto l'universo". Una visione sconsider atamente antropocentrica contraria, secondo Leibniz, al progetto divino che ha c ome suo oggetto la totalit del reale. Una volta giustificata la presenza del male, qual la sua origine? In realt i due problemi sono strettamente interdipendenti: giustificare il male v uol dire anche identificare la sua causa e fare un discorso su di essa significa implicitamente render conto del male medesimo. Leibniz ravvisa la causa del mal e gi nelle essenze presenti nell'intelletto divino. Le creature hanno quindi un'i mperfezione originaria indipendente dalla volont di Dio: essa si limita a sceglie re quali delle essenze dovranno esistere senza aver alcun potere sulla loro cost ituzione. D'altra parte neanche l'intelletto divino, loro sede, ha alcun potere su di loro: il mondo dei possibili imposto a - e non da - Dio: dunque l'origine del male (come del bene) da porsi in tale intelletto. Questa 'incapacit' di Dio a evitare il male evidente anche nella teoria delle "volont antecedente" e "volont conseguente": Dio antecedentemente, considerando le cose individualmente, vuole salvare tutti, promuovere il bene ed escludere il male. Ma la volont conseguente che si realizza, e questa risulta dal conflitto di tutti i voleri antecedenti, c onsiderando beni e mali nella loro totalit. Dio, ancora un esempio di Leibniz, dona la ragione al genere umano: la considera infatti antecedentemente un gran bene; ma vi sono dei mali che ne derivano e Di o non pu evitarli. O meglio, Dio potrebbe evitarli solo se privasse gli uomini de lla razionalit, ma questa sarebbe una scelta contraria alla saggezza divina, la q uale invece considera la ragione come un bene superiore a tutti i mali (cio gli a busi che molti uomini ne fanno) che l'accompagnano. Leibniz inoltre, pur non concedendo l'ipotesi che la ragione faccia pi male che b ene agli uomini, afferma che se anche ci fosse vero vorrebbe dire che tale esiste nza comunque un bene per la perfezione dell'universo. Dio dunque "vuole antecedentemente il bene e conseguentemente il meglio". Il male metafisico, fisico, morale. Il primo consiste nell'imperfezione che ogni creatura, in quanto altra da Dio, ha; il secondo nella sofferenza, e il terzo i dentificabile con il peccato. Riguardo al male metafisico, Dio non poteva fare altrimenti: diversamente le cre ature sarebbero state come il loro creatore. Esse sono invece imperfette, e le l oro imperfezioni derivano dalla loro stessa natura, in quanto limitata. Il male agostinianamente una privazione d'essere, non ha consistenza ontologica. Famoso il paragone che Leibniz fa con i battelli sul fiume. Quelli pi carichi andranno p i lentamente dei pi leggeri: certamente tutti ridiscendono, seguendo la corrente, ma alcuni, a causa del loro peso, ritarderanno rispetto ad altri. Dunque la materia portata originariamente alla lentezza o alla privazione di vel ocit: non che essa abbia la facolt di diminuire la velocit una volta ricevutala - i nfatti questo significherebbe agire -, bens" ci vuol dire che, con la sua recetti vit, attenua l'effetto dell'impulso quando lo riceve. La corrente come l'azione divina, che produce e conserva le creature comunicando loro tutta la perfezione possibile. Ma queste, come si diceva, sono per natura imperfette, cos come la materia ha una sua inerzia. Inoltre, i difetti delle crea ture constatabili dalle loro qualit e azioni, sono paragonabili alla lentezza dei battelli particolarmente pesanti. Quindi Dio causa solo delle perfezioni che comunica alle creature, essendo i dif etti causati dalla limitata loro recettivit. Solo l'aspetto materiale del male ca usato da Dio, non quello formale. Bayle obiett alla teoria del migliore dei mondi possibili una visione spinoziana dell'azione divina. Dio non sarebbe cio libero se dovesse sottostare alla regola del meglio: vi sarebbe quindi una necessit assoluta che fonderebbe il suo agire. Spinoza, teorizzando una necessit cieca, ha negato intelletto e volont a Dio, auto re di tutto ci che esiste solo per quella necessit che presente gi nella sua natura , e non per scelta libera, quindi negandogli anche la bont. Leibniz non si sarebb

e distanziato molto da questa prospettiva. Leibniz crede di risolvere il problema distinguendo necessit geometrica (o logica , o metafisica) da necessit morale. La necessit logica non propria delle azioni li bere, e di conseguenza neppure dell'azione divina: vero che Dio sceglie sempre i l meglio, ma altrettanto vero che cos facendo non agisce secondo una necessit asso luta e che neppure le leggi da lui prescritte alla natura sono verit geometriche. Dio non costretto a fare quello che sceglie liberamente; le leggi naturali sono state scelte da Dio in quanto le pi convenienti, ed una libera scelta quella che ha indotto Dio a preferirle e a portarle all'esistenza: si tratta sempre di una necessit, ma di necessit morale. Le leggi che Dio ha dato alla natura sono verit positive, che noi conosciamo attr averso l'esperienza (a posteriori) oppure grazie alla ragione (a priori), che co nsidera la convenienza che ha indotto il loro autore a sceglierle: la necessit fi sica si fonda cos sulla necessit morale; invece le verit eterne (il secondo genere delle verit di ragione) sono assolutamente necessarie, in quanto il loro opposto implica contraddizione (di passaggio: se la natura si basasse su verit di questo tipo, non sarebbero possibili i miracoli). Allora il fatto che Dio crei il migli ore dei mondi possibili una necessit morale, non metafisica: la libert divina salv a. Ora, per questa distinzione tra necessit morale e necessit metafisica sembra solo s postare il problema senza risolverlo. Certo, Leibniz non poteva accettare l'arbi trarismo di Cartesio che considerava la Creazione il risultato di un libero decr eto divino, che fa della volont divina un potere irrazionale e di Dio stesso un d espota assoluto, e neppure il matematismo di Spinoza, che escludendo la continge nza nega anche la nozione di scelta. Tuttavia la soluzione leibniziana sembra po rsi non troppo lontano da quella del filosofo di Amsterdam. La necessit morale ri mane pur sempre necessit: Dio non poteva non fare quello che ha fatto. Si dice che Dio non era necessitato a creare, perch altrimenti tutti i possibili sarebbero venuti all'esistenza: non tutti i possibili sono compossibili, ma l'in compossibilit non data da una scelta divina: la ragione invece nella natura stess a dei possibili, cos come il migliore dei mondi possibili dato dalla maggior perf ezione dei compossibili che vengono a costituirlo. La necessit morale si avvicina pericolosamente alla necessit metafisica, e cos anche il possibile e il reale ven gono quasi a identificarsi, essenze ed esistenze si confondono. Cos dal tema della libert di Dio si giunge a quello della libert dell'uomo: l'essen za che Dio sceglie di creare tra tutti i possibili ha gi in s, in quanto possibile , tutto ci che sar in quanto esistenza: I filosofi oggi concordano nel dire che la verit dei futuri contingenti determina ta (...). Era vero gi cent'anni fa che io oggi avrei scritto (...). Questa determ inazione dipende dalla natura stessa della verit (...). [I filosofi] dicono che c i che previsto non potr non esistere, e dicono il vero. Allora il possibile include il necessario. Perch vi fosse un Leibniz che quel gio rno non avesse scritto, era necessario che Dio scegliesse un altro Leibniz tra q uelli possibili. Per escludere il predeterminismo si dovrebbe consentire alla st essa esistenza di poter assumere diverse determinazioni essenziali, ma questo im possibile quando l'esistente non altro che l'essenza passata dal piano dei possi bili a quello del reale. Un'effettiva contingenza, per cui un esistente possa essere diverso mantenendo l a propria identit, non si d nel sistema leibniziano (su questi temi ha molto insis tito V. Mathieu). Cos anche la distinzione tra fato cristiano e fato maomettano c he Leibniz fa nella Prface perde non di poco il suo significato: essa ha infatti ancora pieno valore una volta ammesso, come scritto nei Principes de la Nature e t de la Grace fonds en raison, che "il futuro potrebbe essere letto nel passato"? Questi sono alcuni nodi critici che si sono voluti sottolineare. Il male rimane sempre un grande mistero; le giustificazioni addotte da Leibniz nei suoi Essais non riescono a giustificarlo appieno, ed certo che il nostro non si proponesse a ffatto di risolvere senza residuo questo problema. Tuttavia, come cristiano, si sentiva in dovere di proporre un sistema filosofico che potesse essere in linea

con la fede e di supporto ai suoi contenuti. Il tema "la conoscenza di Dio, quel la necessaria per stimolare la piet e per nutrire la virt". Bayle affermava che l'incomprensibilit di un dogma e l'incapacit di rispondere all e obiezioni che lo contrastano non sono un motivo sufficiente per rifiutarlo. Le ibniz, non negando il mistero e quindi l'incapacit della ragione a comprenderlo, riteneva necessario cercare la conformit tra fede e ragione, organi che non posso no essere in contrasto tra loro in quanto entrambi dono di Dio: la possibilit di un pensiero razionalistico che, pur nel suo uso moderno della ragione critica, n on abbandoni, o contraddica, l'ispirazione religiosa: non a caso stato detto (Do menico Omero Bianca) della Teodicea, essere l'ultima grande opera del Medioevo. Giudizio paradossale, ma significativo. Una teodicea, quindi, impossibile ma necessaria, come recita il titolo del bel t esto di Andrea Poma. Bibliografia Per l'originale si presa in considerazione: C.I. Gerhardt, Die philosophischen Schriften von Gottfried Wilhelm Leibniz, Berl ino, Weidmann, 1875-1890, 7 voll. (la Teodicea si trova alle pagg. 21-365 del 6 v olume). Traduzioni italiane della Teodicea sono quella a cura di G.O. Bianca, nel I volu me degli Scritti filosofici di G.G. Leibniz, Torino, UTET, 1967; quella curata d a Vittorio Mathieu: Saggi di teodicea, Bologna, Zanichelli, 1973; quella tradott a da Massimo Marilli: Saggi di teodicea, Milano, BUR, 1993; e finalmente la nuov a edizione italiana, sempre a cura di Mathieu, l'unica integrale, nella quale co mpaiono tutte e tre le appendici: Saggi di teodicea, Cinisello Balsamo, San Paol o, 1994. Una buona biografia, disponibile anche in italiano : E.J. Aiton, Leibniz. A Biography, Bristol, Techno House, 1985 (trad. it. a cura di M. Mugnai, Milano, Il Saggiatore, 1991). Studi critici di interesse per i temi della Teodicea: D. Campanale, La finalit morale nel pensiero di Leibniz, Bari, Ariatica, 1957. R. Brooks, Voltaire, Leibniz and the problem of Theodicy, New York, Columbia Uni versity Press, 1959. S. Landucci, La Teodicea nell'et cartesiana, Napoli, Bibliopolis, 1986. L. Andreassi Liberatore, "Bayle e Leibniz", in "Logos", 1932, n. 1. S. Del Boca, Finalismo e necessit in Leibniz, Firenze, Sansoni, 1936. C. Giacon, "Necessit e contingenza in Leibniz", in "Actes du XI Congrs Internation al de Philosophie" (Bruxelles 1953), Loviano), 1953, vol. XIII. M.E. Pariani, "Motivi della Teodicea di Leibniz e di Rosmini", in "Citt di vita", 1955, vol. X. A. Lamacchia, "L'obbligazione morale e la libert nel razionalismo leibniziano", i n "Annali della Facolt di Lettere e Filosofia di Bari", 1960, vol. VI. V. Mathieu, "L'equivoco del compossibile ed il problema del virtuale", in "Atti dell'Accademia delle scienze di Torino", 1949-1959. -, "La conciliazione di ragione e fede punto culminante della riflessione leibni ziana", Saggio introduttivo ai Saggi di teodicea, cit. I. Belaval, Leibniz critique de Descartes, Parigi, Gallimard, 1960. A. Galimberti, Leibniz contro Spinoza, Bene Vigienna, Vissio, 1941. J. Guitton, Pascal et Leibniz, Parigi, Montaigne-Aubier, 1951. R. Lazzarini, "Il male etico-metafisico in Leibniz", in Id., Il male nel pensier o moderno. Le due vie della liberazione, Perrella, Napoli, 1936. A. Poma, Impossibilit e necessit della teodicea - Gli "Essais" di Leibniz, Milano, Mursia, 1995.

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