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Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore
Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore
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Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore

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Prefazione di Gabriele La Porta
Traduzioni di Daniela Palladini e Isabella Donfrancesco
Edizioni integrali

«Non c’è racconto degno di questo nome se dalla prima parola non suscita l’interesse del lettore che deve giungere all’ultima riga per comprendere la soluzione finale», scriveva Baudelaire. Tutte le opere di Poe presenti in questa raccolta possiedono una simile caratteristica. Sono un labirinto, una pianta carnivora che non lascia più la preda; il lettore che, anche solo per caso, si lasci attirare dalla prima parola, non può più tirarsi indietro ed è costretto a proseguire. In questo volume è raccolta la migliore produzione di Poe, da Ligeia a La mascherata della Morte Rossa, da I delitti della via Morgue a Lo scarabeo d’oro. Nei suoi racconti l’analisi e il ragionamento si fondono con l’immaginazione visionaria, creando capolavori indimenticabili nei quali il macabro s’allea col delitto, l’incubo con la follia, l’amore con la morte.

«Una notte, mentre giacevo in una taverna più che malfamata, mezzo intontito, la mia attenzione fu attratta all’improvviso da qualcosa di nero che riposava sulla sommità di una delle enormi botti di gin e di rum, che costituivano l’arredamento principale del locale.»



Edgar Allan Poe
considerato il maggior rappresentante di un nuovo genere letterario, quello cosiddetto “del terrore”, nacque a Boston, nel 1809. Rimasto orfano a due anni fu allevato dalla famiglia Allan, di cui volle assumere il cognome. Tra il 1815 e il 1820 soggiornò in Inghilterra, poi, di nuovo negli Stati Uniti, si iscrisse all’Accademia militare di West Point, ma venne espulso per la sua condotta dissoluta. Dopo un’esistenza difficile e sofferta, morì a Baltimora nel 1849. La Newton Compton ha pubblicato Tutti i racconti, le poesie e “Gordon Pym” in un volume unico; Il Corvo e tutte le poesie; Le avventure di Gordon Pym e Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788854125964
Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore
Author

Edgar Allan Poe

Edgar Allan Poe (1809–49) reigned unrivaled in his mastery of mystery during his lifetime and is now widely held to be a central figure of Romanticism and gothic horror in American literature. Born in Boston, he was orphaned at age three, was expelled from West Point for gambling, and later became a well-regarded literary critic and editor. The Raven, published in 1845, made Poe famous. He died in 1849 under what remain mysterious circumstances and is buried in Baltimore, Maryland.

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    Tutti i racconti del mistero, dell'incubo e del terrore - Edgar Allan Poe

    218

    Traduzioni di D. Palladini, I. Donfrancesco, N. Rosati Bizzotto, P. Collesi,

    E. Giachino, T. Pisanti, R. Reim

    Prima edizione ebook: settembre 2011

    © 2009 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-2560-5

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Edgar Allan Poe

    Tutti i racconti, le poesie

    e

    le «Avventure di Gordon Pym»

    Racconti del mistero, dell'incubo e del terrore, racconti fantastici

    e grotteschi, «Gordon Pym», poesie complete e saggi sulla poesia

    Introduzione di Tommaso Pisanti

    Edizioni integrali

    Newton Compton editori

    Edgar Allan Poe «ritrovato»

    Non è da molto tempo, si può dire, che si è vittoriosamente conclusa la lunga battaglia per il «recupero» di Edgar Allan Poe. Battaglia cominciata, come si sa, già all'indomani della sepoltura dell'infelice scrittore, «con l'arrivo dei primi necrologi»: tra cui quello firmato «Ludwig», pseudonimo del reverendo Rufus Wilmot Griswold, da Poe stesso scelto, per ironica e paradossale sorte, come curatore delle sue opere. E sarà lui, col suo famigerato Memoir a distorcere ogni cosa, a diffondere l'immagine di un Poe vittima dell'alcool e della droga, strambo, fosco, monomaniaco e «satanico».

    È accaduto perciò che per un periodo abbastanza lungo la figura e l'opera di Edgar Allan Poe siano apparse, come si sa, di ardua collocazione non soltanto in un «mito» americano (e ciò potrebbe anche intendersi), ma entro una qualsiasi «linea di svolgimento» della letteratura degli Stati Uniti, di una letteratura, cioè, così spesso presentata, d'altronde, in chiave di avventurosità e di espansività orizzontale e d'esaltazione di un «new brave world» proiettato verso il futuro. Un Poe che finiva con l'apparire, insomma, ben poco «americano», «molto lontano dalle grandi correnti del pensiero americano» (Parrington).

    Perfino a un Matthiessen Poe sembrò, in qualche modo, «marginale», per quanto può riferirsi appunto a una «linea di svolgimento», serrato in quella sua oniricità totale ed assoluta, che inevitabilmente lo sequestra — a una considerazione di ricalco, diciamo, desanctisiano — da più dirette forme di partecipazione o presenza etico-civile, quando l'American Renaissance si poneva proprio, fondamentalmente, come una confluenza, sia pure da diversissime vie ed esperienze individuali e personali, in un quadro, in una coralità di tipo «epocale», di «civiltà americana». E Poe era invece ostile o estraneo a quel mondo americano pieno di pittoresche contraddizioni quale s'andava sviluppando, chiassoso, immediato, estroverso e alimentato, insieme, dal rigido deposito del puritanesimo: il regno della gente comune, dell'espansione democratica jacksoniana, del processo così esemplarmente descritto dal Tocqueville nel suo De la démocratie en Amérique (1835). Ma Poe ne vedeva invece il lato di crudezza «materialistica» e quantitativa.

    Infine, conclude il Matthiessen, «dovendo trattare di lui, la questione più interessante da studiare sarebbe quella delle conseguenze che ebbero le sue ristrette, ma dense teorie sulla natura della poesia e su quella del racconto...», per cui «il valore della sua opera non sta tanto nell'opera stessa quanto nell'influenza da essa esercitata...»¹. Influenza che, come tutti sanno, è stata in effetti vastissima, ha anzi costituito uno dei capitoli più fenomenali della letteratura mondiale, dei rapporti fra le letterature, attraverso la «riscoperta» straordinaria che del poeta americano — dopo la tragico-paradossale morte a Baltimora, nel 1849 - fecero Baudelaire e poi i simbolisti francesi. E, tuttavia, questo successo francese e poi internazionale di Poe non smosse di molto gli americani e anche gli inglesi, che spesso anzi quel successo interpretarono come il portato d'un sostanziale equivoco, magari fondato sulla stessa pur sempre inadeguata, ovviamente, ricezione linguistica presso gli ammiratori stranieri. Henry James scrisse che «un entusiasmo per Poe è il segno di uno stadio di riflessione decisamente primitivo». E a T.S. Eliot, l'intelletto di Poe sembrerà quello di una persona dotatissima, «che resti però alle soglie della pubertà».

    Ma il «recupero» si realizza intanto via via che procede l'indagine stessa sul generale background americano, aggrovigliato, come si sa, e tutt'altro che lineare e semplice, ricco anzi di lati di ombra e di inquiete ambivalenze e lacerazioni: per cui si è giustamente parlato di «una frequentazione di zone oscure» come di una connotazione stessa, e fondamentale, della letteratura nordamericana², alle spalle e in conflitto (e in rapporto) con le altre connotazioni (di fiducia, di speranza proiettiva, di pursuit of happiness, di «sogno americano»). E in realtà la tradizione «nera» e «gotica» (senza dire, s'intende, della tesa drammaticità puritana) trovò subito facile cittadinanza nella letteratura americana, già con i romanzi di Charles Brockden Brown, nel quale «il genuino orrore di una sensibilità torturata» — è ancora il Matthiessen a sottolineare — con cui si riscattarono alcuni soliti espedienti del gusto gotico-preromantico, «fu qualcosa di tipicamente americano». Da un tale lato dunque, Poe veniva ancor più a rientrare, infine, in una configurazione «perfettamente americana»³: non come vittima (della famosa «barbarie illuminata a gas», di cui parlò suggestivamente Baudelaire), ma come partecipe, come si vede, a pieno titolo.

    Questo fu però soltanto il primo passo: in quanto il «gotico» di Poe s'andrà sempre più imponendo, sia pure tra riserve e contrasti forse non del tutto ancora sopiti, come un «gotico» tutto particolare rispetto anche al gotico tedesco romantico-hoffmaniano («io riaffermo che il terrore non è della Germania bensì dell'anima», si legge nella prefazione ai Tales of the Grotesque and Arabesque). Come un aguzzo e, insieme, adeguatamente duttile strumento, appunto, di esplorazione negli umani oscuri meandri psicologici, negli orrori inquietanti di una condizione lacerata, contraddittoria, enigmatica.

    Ma non basta. Giacché sarebbe, d'altra parte, del tutto fuorviante identificare tout court con una tale blackness, la posizione di Poe. Che è molto più sfumata e composita. Ha non soltanto valore di allusività analogica e simbolizzante la blackness di Poe, ma è altresì una vasta sineddoche, è «una parte per un tutto». Un tutto che include altre vie e altri strumenti. La blackness ha in Poe innanzi tutto, come sua base e suo vertice e contraltare, una struggente e spasmodica ricerca di assolutezze, di bellezza, di «platoniche» idealità, come di un mito di armonie remote e perdute. Un ardore di mitopoiesi classico-neoclassica, soffuso d'ombre orfico-pitagoriche, che accosta Poe persino, per certi aspetti, alla linea dei poeti del classicismo romantico (Hölderlin, Keats, Foscolo). «Helen, thy beauty is to me/like those Nicéan barks of yore...», «Elena, la tua bellezza è per me/come quei navigli nicèi di un tempo...»

    E produce splendidi lampeggiamenti, nelle poesie, per esempio, questa mixture di richiami mitizzanti e d'ombre gotiche, di funerei avvolgimenti e cadenze d'immemoriali memorie: da Serenade a The Lake (Il lago), da Eulalie a Romance, fino a Ulalume («The skies they were ashen and sober», «i cieli erano cinerei e mesti») e a Annabel Lee. Poe cominciò, del resto, come poeta. La poesia fu per lui «not a purpose, but a passion», «non un proponimento, ma una passione». Quella del poetare e quella del raccontare sono in Poe dimensioni che s'intrecciano, che reciprocamente s'influenzano (e poesie sono inserite in racconti come Il crollo della casa Usher e Ligeia), come due esemplificazioni, si può dire, di uno stesso «principio».

    Ma ancora non basta. Si sono andati sempre più sottolineando gli aspetti, in Poe, di affilata consapevolezza, d'impostazione stilistica, d'attrezzature e costruttività retorico-stilistiche. Con qualche eccesso, magari, in senso contrario: fino all'evidenziazione comunque, in Poe, di sensi lucidi, parodici, istrionici, mistificatori. Per fare delle sue «immagini losche e abbaglianti un sistema funzionale, Poe doveva costruire una retorica intimidatoria e duramente coerente»⁵. Perché, pur immergendosi in modo così drastico nei suoi incubi e nella sua visionarietà e oniricità, Poe ne tenne, al tempo stesso, un lucido controllo di direzione, di orientamento, di «gestione» e sbocco ultimo: benché saltassero, certo, di tanto in tanto i livelli di guardia nel vissuto biografico, e andassero anche in frantumi, soprattutto negli ultimi anni, dopo la morte di Virginia Clemm, la cugina e moglie-bambina. L'alcolismo, gli squilibri sui quali barò Griswold. Ma — ha scritto poi William Carlos Williams sempre a proposito di Poe — «quel suo bere è bere per disperazione, come prova definitiva di una serietà e di una dedizione troppo perfetta»⁶. Vi è largo posto, s'intende, per l'indagine psicoanalitica: ma con juicio, quando c'è scatto e significazione, quando, a dar connotazione, sono poi infine, pur sempre, le forme dell'organizzazione, dell'organicità stilistica⁷.

    «Fin da fanciullo, non fui come altri erano.»Naturalmente, vi è tutto un itinerario da ripercorrere, da ridefinire.

    Poe era nato a Boston il 19 gennaio 1809, secondogenito di due giovani attori itineranti, dalla vita stentata. Il padre, David, di famiglia d'origine irlandese, era sparito, a un certo punto, senza lasciar tracce. Più brava e più fine la madre, Elizabeth Arnold, stroncata, non ancora ventiquattrenne, da una recrudescenza della sua affezione polmonare. Un'identità divisa, in Poe, sembrerebbe, fin dall'inizio, con confusi, precoci intravvedimenti di zone-limite, di drammatici distacchi, di sfocate immagini di vita/morte. I tre piccoli Poe (oltre a Edgar, il fratello William Henry e la sorella Rosalie) erano stati collocati presso familiari (William Henry presso il nonno paterno, il «generale» Poe, che aveva partecipato, con Washington, alla guerra dell'indipendenza) o presso altre famiglie.

    Così, di Edgar avevano preso cura i coniugi Allan, di Richmond, in Virginia: John Allan, scozzese di origine, prospero mercante e uomo d'affari, e sua moglie Frances (senza che si arrivasse però mai a una vera adozione, a causa dei posteriori dissensi). E Richmond era stata lo scenario «sudista» di un'inquieta adolescenza, con l'interruzione di alcuni anni d'educazione in Inghilterra, dove la famiglia Allan s'era trasferita per qualche tempo (1815-20). E lì il giovane Poe s'era distinto in latino e in francese, aveva ben assimilato i classici (e assorbito nella memoria visioni di nebbiosi paesaggi, di castelli e houses in rovina). L'Atlantico fu per Poe il vecchio Fiume-Oceano, non divideva con le sue «rabbiose onde», ma collegava. E la condizione americana, «spaziale»-orizzontale, poteva, per lui, ben arricchirsi di spessore «temporale», agganciarsi a un biancore di templi greci, a Platone, «to the glory that was Greece,/ and the grandeur that was Rome»⁹.

    Messosi in urto con il padre adottivo, che rifiutò di pagare i debiti contratti al gioco (come avveniva, d'altronde, molto spesso tra gli studenti) mentre frequentava l'Università della Virginia a Charlottesville (la nuova Università da poco fondata da Jefferson), deluso nel contrastato amore per Sarah Elmira Royster, Poe lasciò la casa degli Allan e «ritornò» a Boston, iniziando quella sua vita di irrequieto errabondo, di passer-by, che condurrà, tra esaltazioni e depressioni, sino alla fine. E a Boston pubblicò, con gli ultimi denari fornitigli, nascostamente, dalla signora Frances, la sua prima smilza raccolta di versi: Tamerlane and Other Poems (1827). Della quale, regolarmente, non s'accorse quasi nessuno.

    Ha anche lui, all'inizio, il giovane Poe, la mente colma di parole e stilemi byroniani; si vede in atteggiamento di «proud spirit», di fierezza e orgoglio contro tutta la «mediocrità» umana: come Tamerlano, appunto, il duro ed effimero conquistatore mongolo, le cui titaniche ambizioni, il cui «ferreo cuore» sono tuttavia incrinati dalla «debolezza» dell'amore. Un giovanile struggersi per la gloria che può, d'altra parte, ricordare, al di là delle stesse gonfiezze e sonorità byroniane, il giovane Leopardi chiuso laggiù, tra le placide colline marchigiane, nel suo «paterno ostello» e «disperatissimo» (Oh giorni orrendi/in così verde etade!). Ma Leopardi è fermo, asciutto, e tende a circoscrivere; Poe si muove ancora in una sorta di vaporosa indeterminatezza, d'incessante dilatazione, in relazione con il romanticismo (ma anche con gli arditi slanci) di Shelley e di Keats, nonché degli influssi di Blake e di Milton: come è facile riscontrare in Al Aaraaf, l'altro e più ampio poemetto (con i suoi 422 versi), che apre la seconda raccolta di poesie, in cui ricompaiono, riveduti, parecchi poems già presentati nella prima. Tamerlane è ora quasi dimezzato. Al Aaraaf, Tamerlane, and Minor Poems: 1829. Poe si è trasferito a Baltimora, presso la zia paterna Maria Poe, vedova Clemm: la madre di Virginia.

    Si vanno ormai delineando e precisando i peculiari nuclei tematici di Poe, le fondamentali tensioni e connotazioni del suo «mondo poetico», della sua scrittura: con le sue particolari risonanze e «strane novità». Ma prima ancora che vi sia un più lucido e più articolato dominio complessivo, è, a colpire, la stupefacente varietà di intrecci strofici e metrici e col vivissimo senso di quanto vi è di più fluido e di più espansivamente musicale, prezioso, e balenante e inafferrabile in ciò che è la poesia, la volatile «stoffa» della poesia. Così, al di là della stessa sua diffusività e dell'eccesso d'irradiazione verbale, vi è, ad attraversare Al Aaraaf, un'ininterrotta fluidità ritmico-musicale in parallelo con gli svolgimenti «di pensiero»: una fusione, se così si vuol dire, che è e resterà una connotazione precisamente poesca.

    Musica di parole «esotiche», di etimologie «preziose», citazioni rare (Al Aaraaf indica, nel Corano, una sorta di limbo di serena e calma felicità), suggestioni di un esotismo orientaleggiante che se era tanta parte dell'usuale bagaglio dei romantici (Byron, Thomas Moore, la pittura di Delacroix, ecc.), si protende, in Poe, già verso ulteriori forme e sviluppi (dai preraffaelliti a Baudelaire, appunto, ai simbolisti), con accentuazioni e tonalità sue proprie. E in un arduo disegno, qui, epico-cosmogonico (benché, qui, anche con troppi accumuli), di respiro d'«infinità di mondi» che sempre affascinerà, intensamente, la mente di Poe. Respiro di idee, di visioni del mondo, di fini ultimi e di esplorazioni «metafisiche» che ritornerà così spesso anche nei racconti (e in Eureka, il «poema in prosa», vent'anni dopo, nel 1848). E se, dapprima, Poe sembra sentimentalmente rimpiangere, nel sonetto To Science, i guasti provocati da un «progresso» che ha, leopardianamente, distrutto i vecchi miti e gli «ameni inganni», tenta anche, poi, nel sonetto Silence, un'analiticità rigorosa e «metafisica».

    Della scienza stessa e dello spirito analitico-matematico Poe si servirà anzi sempre più, via via che procede verso un'accentuazione laicizzante della sua macchina stilistica, verso una sempre più stretta simbiosi di visionarietà-misteriosità, da un lato, e di lucidità di metodi e procedimenti, dall'altro. E accanto alle parole dell'inquietezza e della visionarietà («dim» oscuro, fosco; «spirit»; «soul» anima; «mystic»; «magic»; «dream» sogno; «skies» cieli, «al plurale, come cieli neoplatonici e alessandrini» [Cecchi]; «cold», riferito al freddo raggio della luna), colloca parole come «electric»; «magnetic». Il risultato è una «wild light», una «selvaggia luce» livido-magnetica, un taglio di netto rigore e, insieme, denso d'ombre: che dà un particolare risalto oggettivante e perfino, talvolta, ironico-parodico, al concitato coinvolgimento «soggettivo» (spesso in prima persona anche nei racconti) rappresentato da quella frequentazione dell'orrido, del terrorizzante, di luoghi spettrali, d'altri mondi e altre esperienze, lungo confini estremi dì vita/morte, veglia/sonno/sogno, realtà «diurna» e «notturne» rarefazioni.

    Quella simbiosi insomma che così spesso si configura in paesaggi stregati, onirici, in baluginii di fosforescenze (la città sommersa, la «città nel mare» di The City in the Sea,- le dim vales, le «fosche valli» di Fairy-Land, la magic solitude di The Valley of Unrest, «La valle dell'inquietudine», la «selvaggia» visionarietà di The Haunted Palace, «Il Palazzo maledetto»), le situazioni di «doppiezza» e ambiguità angelico-demoniaca, di vampirismo, di abnormità, di mostruose minacce (The Conqueror Worm, «Il Verme Trionfante»), di «sogno dentro a un sogno» (A Dream within a Dream) più tardi, o prende configurazione nella famosa situazione rappresentata «dalla morte di una bella donna»: che è — asserisce Poe — «l'argomento più poetico del mondo»¹⁰: (The Sleeper, «La Dama che dorme»; Lenore; senza dire, naturalmente, dei racconti). Certo, non mancano i ristagni, gli accumuli più torbidi, un certo contorto, necromantico sado-masochismo «dello spirito» e dell'immaginazione, che ha anch'esso le sue orge, non meno di quello fisico-corporeo. Ma basta poi una «correzione», uno spostamento, un balenare d'occhi, un lampeggiare d'associazioni della mente perché subentri una più sottile e variata dialetticità, quella molteplicità di direzioni di cui si è sopra discusso. Ma anche nelle situazioni più sfilacciate interviene quasi sempre un qualche elemento sul quale sembra catalizzarsi o tralucere il dato più vividamente nuovo.

    Poe s'era intanto perfino arruolato nell'esercito tra il '27 e il '29, era entrato nell'Accademia militare di West Point. Ma se n'era fatto espellere, per «disobbedienza agli ordini» nel 1831. La signora Frances è intanto morta, e la rottura con John Allan diventa definitiva. Ma in quello stesso anno Poe ha pubblicato, a New York, Poems by E. A. Poe. Second Edition (e lì appaiono alcuni dei poems sopra citati). E, nella prefazione, «rende omaggio al genio di Coleridge» (Quinn), con una sempre più consapevole e lucida valorizzazione, cioè, della imagination creativa (sulla scia delle rivendicazioni di Kant e dell'idealismo tedesco), dell'idea di poesia svincolata da ogni immediata finalità di praticismo moralistico e didatticistico (che competono invece — preciserà poi, nella lecture sul «principio poetico» [The Poetic Principle] — «al saggista e al predicatore»), svincolata dalla stessa più diretta emotività passionale-sentimentale, rigorosamente obbedendo alle ragioni stilistiche, alle ragioni di costruttività e distribuzione stilistiche (e agli elementi di risonanze fonico-musicali).

    Si va prospettando quella teoria dell'«unità di effetto» (unity of effect) ormai centrale nella poetica e nell'atteggiamento critico di Poe: per cui occorre concentrare e non dilatare, dato che l'effetto di «eccitazione» (excitement) prodotto dalla poesia non può essere che «intenso e breve». Non può esservi perciò poesia «lunga»; e un «poema», fosse anche il Paradiso perduto, non è che, poeticamente parlando, un'aggregazione di singole parti poetiche: giacché «il tutto è privo, per la sua estrema lunghezza, di quell'importantissimo elemento artistico che è la totalità, o unità, d'effetto»¹¹. E se, alla base della poesia, è la «prescienza estatica» che dà il primo scatto, è all'intelletto e alla «tecnica» che tocca poi realizzare il fattuale concentrarsi del poem, della poesia in quanto tale. «Non vi è errore maggiore del presupporre che la vera originalità sia semplicemente questione d'impulso e d'ispirazione. Originalità è combinare con attenzione, pazienza e intelligenza». Ancora una volta, Poe è insomma tutt'altro che immerso nella totalità romantica, resta anzi persino legato ad eredità settecentesche, «è un razionalista del Settecento con inclinazioni occultistiche», ha finanche scritto il Welleck¹². E Poe può spingere un tale fittissimo senso della «combinazione» fino a spiegarci come e in qual modo si può «costruire» la «tetra notte», la dreary midnight, la fascinosa cupezza del fin troppo famoso The Raven (Il Corvo), che darà a Poe, nel '45, uno strepitoso ed effimero «successo»¹³.

    Il poeta ha posto, alla base, il «premeditato effetto» del Nevermore (Mai più), come un «refrain» ritornante alla fine di ciascuna strofa. Ma può, dev'esserne coinvolta anche la prosa, la prosa narrativa. Vale anche per essa l'«unità di effetto», che non può essere mantenuta a lungo. Il romanzo, che non può, certo, esser letto «in un'unica seduta», va perciò rifiutato per le medesime ragioni che rendono inaccettabile una «poesia lunga». La forma ideale e precipua della narrativa è, perciò, il racconto, non il romanzo. «Nel racconto l'autore è in grado di attuare il suo pieno intento senza interruzione. Durante l'ora in cui procede la lettura, l'animo del lettore è sottomesso al suo controllo.» Naturalmente, il racconto prende sviluppo attraverso un plot, una «trama», un «intreccio»; ma «lo scrittore non adatta i suoi pensieri alle esigenze della trama; è dopo aver stabilito con ponderata considerazione un determinato effetto da conseguire, che egli inventerà, al contrario, la trama e creerà via via le situazioni che meglio possano aiutarlo a rendere quell'effetto prestabilito». È l'effetto il prius. «Nell'intero contesto non dovrebbe esservi una sola parola scritta che non tenda, direttamente o indirettamente, a realizzare il disegno prestabilito»¹⁴.

    Anni duri, per Poe, a Baltimora. Ma nel 1852 gli vengono pubblicate due «short stories» (Metzengerstein e The Duke De l'Omelette,) che aveva inviato ad un premio letterario bandito dal Philadelphia Saturday Courier; e, l'anno successivo, al suo racconto II manoscritto trovato in una bottiglia sono assegnati i 50 dollari del concorso indetto dal Baltimore Saturday Visiter. Inizia la stagione dei racconti, pubblicati su giornali e riviste. Poe ebbe vivo il senso di questo comunicare attraverso tali nuovi canali «di massa», come si dirà più tardi, e come egli dimostrerà, di lì a poco, con l'attivissima collaborazione al Southern Literary Messenger, il magazine fondato a Richmond, nel 1854, da Thomas W. White (e per qualche tempo diretto, di fatto, da Poe stesso), sul quale appariranno tre suoi racconti, sei poems, quattro saggi critici e ottantatré recensioni ferme e acute, ispirate ai criteri, appunto, di una crìtica rigorosa, combattiva, intransigente.

    Poe è rientrato in tal modo a Richmond. Ma John Allan, risposatosi e morto in quello stesso 1854, non fa nessuna menzione di lui nel suo testamento. A Richmond lo raggiungono la zia Maria Clemm e Virginia, la cugina ora quattordicenne, che Poe sposa nel '56. Un matrimonio «consumato»? Lawrence vede il rapporto «come un esempio di vampirismo spirituale», di «un vibrare dei nervi all'unisono», di cui Virginia resterà vittima¹⁵. Edgar si è immerso a fondo, freneticamente, nel suo lavoro al giornale. Ha un suo spazio d'ascolto, è apprezzato, ma si fa anche numerosi nemici. Oserà criticare poeti allora famosi e popolari, come «il professor Longfellow». E i racconti piacciono, nel complesso, con quella loro presentazione di drammatiche tensioni e di casi straordinari e «anomali» rapportati, al tempo stesso, a correnti teorie e situazioni scientifiche e filosofiche (la metempsicosi, il mesmerismo, il magnetismo, l'ipnosi, i fenomeni «paranormali», di catalessi, i sogni) o a racconti d'esperienze in terre lontane — e rifiltrati attraverso lo sforzo logico, l'accanimento raziocinante, e collocati in ambiti e zone, apparentemente, di un «ordinario» quotidiano¹⁶.

    Apparizioni, sdoppiamenti, esperienze di paurose «surrealtà», casi «troppo orribili» (ma è il narratore stesso, spesso in prima persona, a dichiararlo) «per gli scopi di una legittima finzione»; ma anche spunti «grotteschi», paradossali, comico-satirici, di black humor. Vi sarà insomma tutta una gamma di variazioni nei racconti, anche se sarà meno direttamente presente, rispetto alle poesie, l'ardore, in termini «classici», per la Bellezza, e più diffusa invece l'intensità visionaria. Berenice, Morella, e poi, sull'American Museum di Baltimora, Ligeia, e, sul Gentleman's Magazine di Filadelfia, The Fall of the House of Usher. Ancora, «la morte di una bella donna»; e Eleonora: la luminosa-tenebrosa magia dei nomi femminili di Poe: di donne dall'inquietante fascino, «depositarie di un sapere mistico e arcano»¹⁷. E l'ossessione di ciò che rivive e ritorna, il vampirismo, ambigue identificazioni fra atmosfere e vicende ossessivamente «corrispondenti», il «doppio» malvagio ed elusivo che è in ciascuno di noi (in William Wilson,). Un più «puro», lineare fantastico porta «un certo Hans Pfaall» a raggiungere la luna con un pallone di sua fabbricazione (The Adventures of One Hans Pfaall). Con anticipazioni fantascientifiche¹⁸. Senza dire delle impressionanti intuizioni sociologico-metafisiche che sono in The Man of the Crowd (L'uomo della folla).

    Poe raccoglie in volume le venticinque short stories fino ad allora pubblicate: Tales of the Grotesque and Arabesque (Filadelfia, 1840), con un richiamo a definizioni che Walter Scott aveva adoperato per il tedesco Hoffmann e con allusività anche ironica alle dimensioni del «mostruoso», dell'abnorme e, insieme, a quella di più liberi ed eleganti ghirigori della fantasia. Una eccentuazione in più o in meno è comunque «essenziale a un'appropriata rappresentazione della vita stessa; per cui - scrive Poe al direttore del Southern Literary Messanger — «il ridicolo va esasperato nel grottesco, lo spaventoso caricato nell'orribile, lo spiritoso esagerato nel burlesco, lo strano trasformato nello straordinario e nel mistico.»

    Ma restano precarie e instabili le condizioni economiche (e di salute) di Poe. Al di là dei «successi», Poe scrive al Kennedy, l'avvocato-scrittore di Filadelfia che l'ha apprezzato: «Ho lottato invano contro la malinconia. Sono in uno stato miserevole e non so perch黹⁹. Ha ripreso a bere, ha litigato con White, ha lasciato Richmond ed è passato, con Virginia e «mamma» Clemm a New York, dove completa intanto e pubblica The Narrative of Arthur Gordon Pym (1838), iniziato a puntate sul Messenger. «Resoconto» di un immaginario viaggio per mare alla ricerca del Polo Sud, fitto di «corrispondenze» e d'intensità simbologica, con quel biancore stregato di ghiacci. Un quasi-romanzo, contraddittoriamente, si direbbe: ma anch'esso affidato a una suggestività interna più che a una estensione propriamente narrativa. L'altro quasi-romanzo è The Journal of Julius Rodman (Il diario di J. R.), a puntate sul Gentleman's Magazine, e rimasto incompiuto. Anche una tragedia in versi Poe aveva lasciato incompiuta, in questo fervido periodo, dal titolo Politian, ambientata in una Roma rinascimentale: ne apparve solo qualche scena, sul Messenger (1835-36)²⁰.

    Poe si è spostato a Filadelfia, diventa redattore del Graham's Magazine, sogna di fondare una propria rivista. Ma, soprattutto, moltiplica, quasi freneticamente, i suoi racconti: The Oval Portrait (un pittore dipinge il ritratto della moglie che adora e non s'accorge che mentre dà vita al quadro la toglie all'originale); il pauroso e mentalmente controllato Una discesa nel Maelström; le cupe ossessioni di The Black Cat (Il gatto nero), l'allucinante sincronismo in The Pit and the Pendulum (Il pozzo e il pendolo), il meccanismo di ossessione-confessione in The Imp of the Perverse (Il demone della perversità) o di The Teli-Tale Heart (Il cuore rivelatore), l'atroce vendetta in The Cask of Amontillado (Il barile di Amontillado); o in Hop-Frog; la macabra visione, al colmo di una splendida festa, di The Masque of the Red Death (La maschera della morte rossa). Trionfo dell'orrore, spazio onirico e, insieme, minuteness of detail. E, ancora, il ribaltamento, accanto o subito dopo, nel satirico, nel «grottesco», nel gioco e nella beffa crudeli: in racconti come Lionizing, Non bisogna scommettere la testa col diavolo, Gli occhiali («The Spectacles»), o tra grottesco, orrore e comicità, come in Il sistema del Dr. Catrame e del Prof. Piuma. Con sprazzi perfino più sereni, in The Domain of Arnheim (Le terre di Arnheim).

    Ma l'accanimento laicizzante apre anche altri peculiari «canali». The Murders of the Rue Morgue (I delitti della Rue Morgue), sempre sul Graham's Magazine, crea quello che Poe stesso definisce il «racconto di raziocinio», affidato all'analisi meticolosamente dissezionante di Auguste Dupin, primo protagonista di una detective story, ironico e prestigioso solutore-prototipo di enigmi e misteri, che dedurrà infine che l'assassino è un... orangutan. Dupin ritorna come personaggio centrale in The Mystery of Marie Rogèt e in The Purloined Letter (La lettera rubata), fittamente intricato e con una sorta anche qui di finale deflazione comico-ironica. La lettera in questione è stata sempre «in evidenza», ma lì dove nessuno poteva pensare che fosse. E in The Gold-Bug (Lo scarabeo d'oro) il protagonista è in grado di decifrare la complicata mappa di un tesoro con le sue astruse istruzioni. E sarà da tali suggestioni d'esplorazione e di «mistero razionalizzato» che prenderanno poi anche sviluppo, se si vuole, il racconto fantascientifico, il racconto «giallo».

    Ma le cose precipitano, per Poe. Nel '42 Virginia si ammala di tisi: e ne morirà cinque anni dopo. Poe ne è sconvolto, disperato. Scrive in una lettera (del 1848): «Io attraversai esattamente lo stesso dramma... La mia costituzione è sensibile, il mio nervosismo molto al di là del normale. Diventai pazzo, con lunghi intervalli di lucidità. Durante queste crisi di completa incoscienza bevevo, Dio solo sa quanto spesso e quanto. Ovviamente, i miei nemici fecero risalire la mia pazzia all'alcool, anziché l'alcool alla mia pazzia». Per quanto vi fossero stati, nel 1845, il grande «successo» del Corvo e la pubblicazione dei Tales (Racconti), bene accolti dalla critica, e di The Raven and Other Poems, tutto restava stentato e precario nella vita di Poe. È ora a New York, dove s'è nuovamente trasferito, in un modesto cottage, a Fordham; lì Virginia è morta nel '47. È anche lui malato, è depresso; ma continua a lavorare intensamente. Gravato di debiti, ha dovuto sospendere la pubblicazione del Broadway Journal rilevato grazie a un prestito. E The Stylus, la «sua» rivista, è ormai un sogno proibito.

    Ha iniziato, per la Democratic Review, la serie dei Marginalia: brevi, acute notazioni critiche su argomenti vari. Continua, fra calunnie, polemiche e sbandamenti a pubblicare articoli e racconti, nonché profdi critici di letterati ('The Literate of New York) ; dà forma definitiva al saggio The Rationale of Verse (Il fondamento logico del verso), fermo e lucido; e legge, in varie città, il suo saggio Il principio poetico²¹. È vivacemente attratto dalla signora Nancy Richmond (l'«Annie» delle ultime poesie). E vi è, negli ultimi poems, una delineazione di motivi e situazioni più asciuttamente perseguiti, più musicalmente fusi, da Ulalume a Annabel Lee fino, magari, all'eccezionale virtuosismo di The Bells (Le campane), mentre le ombre sembrano placarsi (proprio in For Annie,) come in un'ardente aspirazione a una non-volontà, a una quasi schopenhaueriana liberazione della stessa «febbre che chiamano Vita» (fever called «Living»). E Eldorado trasforma in una struggente ricerca dell'anima la mobile avventura del «Gold Rush» di quegli anni, la corsa all'oro in California. Giacché il rapporto col milieu americano è in fin dei conti assai più vivo, in Poe, di quanto non si sia in genere pensato e meriterebbe forse tutta una più minuta ricerca: con quel suo vagabondare, quel suo senso del movimento, del journey, con la sua fantasia geografico-spaziale. Senza dire di quella vivacità di fusione tra la mind colta e gli «instincts of the journalist», anche in certi tagli e inflessioni del linguaggio.

    Poe si apre ancor più alle amicizie femminili. Si era infatuato della poetessa Frances Osgood. Corteggia la poetessa Sarah Helen Whitman; ma il fidanzamento è interrotto a causa delle crescenti difficoltà e sregolatezze di Edgar. Nel '48 Poe pubblica Eureka, da lui definito un «poema in prosa». È un ambizioso e un po' confuso tentativo di dare sistematicità al suo «pensiero»: con l'indicazione di una unità originaria perduta, frantumatasi nella molteplicità, nella dolorosa inadeguatezza di ciascuna delle sue parti divise. «Ci fu un tempo nella Notte dei Tempi in cui esisteva un Essere in stato di quiete...». Spirito e materia sono tutt'uno, e la materia si fa spirito attraverso l'energia, l'etere, l'elettricità e il magnetismo, il pensiero, l'anima, fino a Dio. «Misticismo», scienza, senso cosmico-apocalittico: come già in alcuni racconti (in The Colloquy of Monos and Una, per esempio).

    Nell'estate del '49 Poe si reca a Richmond, dove tiene, con successo, una sua lecture. Rivisita la sorella Rosalie, rivede Elmira Royster, la fiamma degli anni giovanili, ora vedova. Le propone il matrimonio. Vuole smetterla col bere, s'iscrive alla Temperance Society. Riparte per New York, fermandosi a Baltimora: e qui viene trovato, in stato di incoscienza, delirante, nei pressi di un seggio elettorale. Ricoverato, muore all'ospedale, dopo qualche giorno, per congestione cerebrale, il 7 ottobre.

    D. H. Lawrence ha scritto che Poe «finì con l'essere più scienziato che artista». Ma i congegni di Poe vogliono solo essere strumenti rigorosi: una geometria per meglio scrutare (e fissare) la morbida mobilità delle «nuove» sensazioni e situazioni («il raggio arancione dello spettro e il ronzio di un insetto... mi danno sensazioni quasi simili», si legge nei Marginalia). Pur con tutte le sue approssimazioni (e ve ne sono, certo), Poe fu insomma scopritore — può dirsi, e concludendo, con Emilio Cecchi — «di una provincia che non è quella dell'orrido, dell'ossessivo, ma è semplicemente la nuova provincia dell'arte d'oggi»²². O, se si vuole, di una delle nuove province.

    TOMMASO PISANTI

    ¹ F. O. MATTHIESSEN, Rinascimento americano, tr. it., Torino 1962, p. 9; nonché il saggio in Sewanee Review, LIV (1946).

    ² H. LEVIN, The Power of Blackness: Hawthorne, Poe, Melville, New York 1958. Per un profilo della critica si veda ora: Poe: The Critical Heritage, a cura di I. M. WALKER, Londra 1986, e Critical Essays on Edgar Allan Poe, a cura di E. W. CARLSON, Boston 1987. Sul Poe «francese»: P. F. QUINN, The French Face of Edgar Allan Poe, Carbondale, III., 1957.

    ³ Op. cit. p. 248.

    ⁴ Per le poesie, rimando a E. A. POE, Tutte le poesie, testo, traduzione e note a cura di T. PISANTI, Roma, Newton Compton 1990. E al mio saggio su «La poesia di Poe», in Dalla Zattera di Huck, Napoli 1990, pp. 121-140.

    ⁵ Nella prefazione a Opere scelte di E. A. Poe, nei «Meridiani» di Mondadori, Milano 1971, p. XIII.

    ⁶ W. C. WILLIAMS, Nelle vene dell'America, tr. it., Milano 1969, p. 299.

    ⁷ Rigide e «sistematiche» le considerazioni di M. BONAPARTE, Edgard Poe. Sa vie et son oeuvre. Con una premessa di S. Freud, Parigi 1933.

    Alone (Solo); «From childhood's hour I have not been / as others were».

    ⁹ Ancora, in To Helen («alla gloria che fu la Grecia/e alla maestosità che fu Roma»).

    ¹⁰ Nel saggio «Filosofia della composizione», tr. it., di E. CHINOL, in E. A. POE, Opere scelte, cit., p. 1314.

    ¹¹ Ibid., p. 1310.

    ¹² R. WELLEK, Storia della critica moderna, tr. it., Bologna 1969, vol. III, p. 227.

    ¹³ «The Raven» apparve sull'Evening Mirror di New York il 29 gennaio 1845. Su Poe poeta: F. STOVALL, Edgar Poe the Poet, Charlottesville, Va., 1969.

    ¹⁴ Nella recensione ai Twice-Told Tales di Hawthorne.

    ¹⁵ D. H. LAWRENCE, Classici americani, tr. it., Milano 1948, p.78.

    ¹⁶ Fra le principali caratteristiche stutturali del «racconto fantastico» Todorov indica il fatto che «il narratore dica abitualmente io», con riferimento a un'ordinaria realtà empirica di partenza. Con susseguente soppressione, poi, della «frontiera tra soggetto e oggetto», trasformazione della dimensione dello spazio e del tempo, moltiplicazione e disintegrazione della personalità. Tutti temi ben riscontrabili nei racconti di Poe. (I. TODOROV, Introduction à la littérature fantastique, Paris 1970). Si veda G. FINK, I testimoni dell'immaginario, Roma 1978, pp. 249-404.

    ¹⁷ R. OLIVA, introduzione a E. A. POE, Tre donne: Berenice, Morella, Ligeia, Milano 1980.

    ¹⁸ Jules Verne dedicò a Poe un suo saggio (1864: recentemente riproposto a cura di M. di Maio, Roma 1991).

    ¹⁹ Letters, ed. J. W. OSTROM, Cambridge, Mass., 1948.

    ²⁰ La tragedy sarà pubblicata solo nel 1923 (a cura di T. O. Mabbott).

    ²¹ Pubblicato poi, postumo, in The Union Magazine (1850). Trad. it. di R. Reim, Roma 1983.

    ²² E. CECCHI, Scrittori inglesi e americani, Milano 1962, vol. 1, p. 91.

    Cronologia della vita e delle opere

    1809. Poe nasce a Boston il 19 gennaio da David Poe e da Elizabeth Arnold, modesti attori itineranti.

    1811. Morte della madre a soli 24 anni. Il padre sparisce senza lasciar tracce. Il piccolo Poe è accolto nella famiglia di John Allan ricco commerciante di Richmond, in Virginia. Poe premetterà perciò al suo cognome quello di Allan. Non sarà tuttavia mai adottato a causa dei posteriori dissensi.

    1815-1820. John Allan si trasferisce in Inghilterra, dove Poe segue, brillantemente, i suoi studi. Ritorno in America, a Richmond.

    1821-1825. Incontro con Jane Stanard, che muore nel 1824. Ispirerà a Poe la poesia To Helen.

    1826. Si iscrive all'Università di Virginia. John Allan si rifiuta di pagare i suoi debiti di gioco. Deve abbandonare l'Università. Si innamora di Elmira Royster, che sposerà un altro, per imposizione della famiglia. Rottura con John Allan.

    1827-1829. «Fuga» a Boston. Pubblica Tamerlane and Other Poems. Si arruola nell'esercito. Si congeda. Pubblica Al Aaraaf, Tamerlane and Minor Poems. Muore la signora Frances Allan.

    1830-1831. Entra nell'Accademia militare di West Point, aiutato poco e malvolentieri dall'Allan, ne è espulso. Pubblica i Poems. Va a vivere a Baltimore, presso una zia paterna rimasta vedova, Maria Clemm.

    1833. Vince un premio con il racconto Ms. Found in a Bottle (Manoscritto trovato in una bottiglia). Inizia un'intensa attività giornalistica, anche se mal ricompensata.

    1834. Muore John Allan, senza menzionare Poe nel suo testamento.

    1835. Diventa vicedirettore del Southern Literary Messenger di Richmond. Pubblica vari racconti, tra cui Berenice e Morella, e saggi e recensioni.

    1836. Sposa la cugina Virginia Clemm, quattordicenne figlia di Maria Clemm.

    1837-1839. In disaccordo con il direttore della rivista, si trasferisce a New York e poi a Filadelfia, dove diventerà redattore del Gentleman's Magazine. Precarietà, tuttavia, di condizioni economiche e di salute. Pubblica racconti come The Fall of the House of Usher e Williams Wilson. Esce (1838) The Narrative of Arthur Gordon Pym. Pubblica «Ligeia» su The American Museum of Literature and the Arts.

    1840. Esce la sua prima raccolta di racconti, Tales of the Grotesque and Arabesque. Pensa a una «sua» rivista letteraria.

    1841. Diventa redattore del Graham's Magazine. Pubblica, tra l'altro, The Murders in the Rue Morgue (I delitti della via Morgue), che inaugura, si può dire, il «genere poliziesco».

    1842-1843. Malattia di Virginia, che morirà nel 1847. Stato di profondo malessere. Poe abusa dell'alcool. Scrive tuttavia alcuni dei racconti più significativi, come The Pit and the Pendulum (Il pozzo e il pendolo), The Oval Portrait (Il ritratto ovale), The Teli-Tale Heart (Il cuore rivelatore), The Black Cat (Il gatto nero), The Gold Bug (Lo scarabeo d'oro).

    1844. Ancora a New York. Esce, sulla Democratic Review, il primo inserto del «Marginalia».

    1845. Pubblica la sua poesia più famosa, «The Raven» (Il Corvo), sull'Evening Mirror. Escono, nello stesso anno, i Tales (Racconti) e The Raven and Other Poems. Periodo di «successo». Diventa redattore del Broadway journal, che cessa però le pubblicazioni l'anno successivo.

    1846. Poe si trasferisce a Fordham, presso New York. Condizioni economiche e di salute sempre più precarie. Pubblica, sul Graham's Magazine, il saggio «Philosophy of Composition».

    1847-1848. Prostrazione dopo la morte di Virginia. Improbabili relazioni con la poetessa Sarah Whitman, cui propone di sposarlo, con Annie Richmond e con Elmira Royster, la «fiamma» degli anni giovanili, ora vedova. Pubblica il saggio The Rationale of Verse (Il fondamento logico del verso), a Richmond, dove è ritornato per breve tempo. Conferenza su The Poetic Principle. Poe sottolinea, acutamente, non solo il principio dell'autonomia e specificità dell'arte, ma anche i procedimenti di lucida costruttività di cui essa è il frutto. Legge Eureka «poema in prosa», di carattere filosofico.

    1849. Poe riparte per Filadelfia. È trovato in stato d'incoscienza presso un seggio elettorale a Baltimora. Ricoverato, muore in ospedale, il 7 ottobre.

    T.P.

    Nota bibliografica

    TESTI

    Works of Edgar Allan Poe, with Notices of his Life and Genius, a cura di R. W. GRISWOLD, 4 voll., New York 1850-56; The Complete Works of Edgar Allan Poe, a cura di JAMES A. HARRISON, 17 voll., ivi 1902; Poems, a cura di F. STOVALL, Charlottesville 1965; The Letters of Edgar Allan Poe, a cura di IOHN W. OSTROM, ivi 1966; Collected Works of Edgar Allan Poe, a cura di T. O. MABBOTT, 3 voll., Cambridge, Mass. 1969-1978; Edgar Allan Poe: Poetry and Tales, a cura di PATRICK F. QUINN, New York 1984; Edgar Allan Poe: Essays and Reviews, a cura di G. R. THOMPSON, ivi 1984; The Collected Writings of Edgar Allan Poe, a cura di BURTON R. POLLIN (1992).

    BIOGRAFIE, STUDI CRITICI

    Fu BAUDELAIRE, com'è noto, a «riscoprire» l'opera di E. A. Poe e ad inserirla in una nuova e più vasta circolazione. Il suo primo saggio sul poeta americano apparve nel 1852 sulla «Revue de Paris». Seguirono le famose traduzioni dei racconti (1856 e 1857), con le relative introduzioni. MALLARMÉ tradusse poi, in prosa, le poesie (Les Poèmes d'Edgar Poe, Bruxelles 1888). Riserve e diffidenze (di carattere moralistico, nonché di valutazione critica) perdureranno invece, tenacemente, sia in America che in Inghilterra. Si devono all'inglese ). INGRAM una prima biografia del Poe (1880) e i primi tentativi di una raccolta completa delle opere (4 voll., Edimburgo 1874-75), cui seguiranno l'ed. a cura di R.H. STODDARD (6 voll., New York 1884) e l'ed. a cura di E. C. STEDMAN e G. E. WOODBERRY (10 voll., Chicago 1894-95). e. E. WOODBERRY scrisse anche una biografia di Poe (New York, 1885 e 1909).

    Il rapporto con i simbolisti francesi fu già approfondito da L. SEYI.AZ (Edgar Allan Poe et les premiers symbolistes frangais, Lausanne 1923). Su tali aspetti il libro più articolato è ora quello di P. F. QUINN, The French Face of E. A. Poe, Carbondale, III. 1957. La presa di posizione di D. H. LAWRENCE (Studies in Classic American Literature, 1924) provocò le «difese» di W. E. WILLIAMS (in in the American Grain, Norfolk, Conn. 1925; trad, it., Nelle vene dell'America, Milano 1969) e di E. WILSON (ora in The Shores of Light, New York 1952; tr. ital. in Saggi letterari, Milano 1969). Agli anni Venti e ai primi anni Trenta risalgono anche i tentativi d'approccio psicoanalitico: W. E. KRUTCH, E. A. Poe: A Study in Genius, New York 1926; M. BONAPARTE, Edgar A. Poe. Sa vie et son oeuvre, con prefazione di S. Freud, Parigi 1933.

    Molto materiale, a livello biografico, fu raccolto e riordinato da M. E PHII.LIPS, E. A. Poe: The Man, Chicago 1926. A. HUXLEY espresse le sue riserve nel saggio Vulgarity in Literature (1930), poi in Collected Essays, New York 1959, mentre per T. S. ELIOT gli elementi di «incantation» che sono da riconoscere alla poesia di Poe non riescono a portarsi al di là di un «primitive level» (in From Poe to Valéry, New York 1948). Si veda anche I'«Introduction» di w. H. AUDEN a Poe: Selected Prose and Poetry, New York 1950. Un integrale «attacco» è quello di Y. WINTERS, Poe: A Crisis in the History of American Obscurantism (1937), poi in In Defense of Reason, Denver 1947. Ma il fitto lavorio di ricerca e di rielaborazione critica ha via via condotto ad aperture di carattere sempre più rivalutativo. Si citano qui: M. ALTERTON. Origins of Poes Critical Theory, Iowa City 1925; H. ALLEN, Israfel: The Life and Times of E. A. Poe, New York 1926 e 1934; K. CAMPBELL, The Mind of Poe and Other Studies, Cambridge, Mass. 1933 (e New York 1962); A. H. QUINN, E. A. Poe: A Critical Biography, New York e Londra 1941; N. B. FAGIN, The Hystrionic Mr. Poe, Baltimora 1949; C. FEIDERLSON, in Symbolism and American Literature, Chicago 1953; J. CHIARI, Symbolism from Poe to Mallarmé, Londra 1956; P. MILLER, in The Raven and the Whale, New York 1956; A. TATE, «Our Cousin, Mr. Poe e The Angelic Imagination», in The Man of Letters in the Modem World, New York 1955, trad, it., Roma 1957; E. H. DAVIDSON, Poe: A Critical Study, Cambridge, Mass. 1957; H. LEVIN, The Power of Blackness: Hawthorne, Poe, Melville, New York 1958; F. WINWAR, The Haunted Palace: A Life of E. A. Poe, New York 1959; L. FIEDLER, in Love and Death in the American Novel, New York 1960 (trad, it., Amore e morte nel romanzo americano, Milano 1963); R. H. PEARCE, in The Countinuity of American Poetry, Princeton 1961; E. WAGENKNECHT, E. A. Poe: The Man Behind the Legend, New York 1963; V. BURANELLI, Edgar Allan Poe, New York 1961; E. W. PARK, E. A. Poe as a Literary Critic, Athens, Ge., 1964; R. D. JACOB, Poe: journalist and Critic, New York 1969; F. STOVALL, Edgar Poe the Poet, Charlottesville 1969; R. ASSELINEAU, E, A. Poe, Minneapolis 1970; D. HOFFMANN Poe Poe Poe, New York 1972; S. LEVINE, Poe: Seer and Craftsman, New York 1972; D. HALLIBURTON, E. A. Poe: A Phenomenological View, Princeton 1973; R. M. FLETCHER, The Stylistic Development in E. A. Poe, L'Aia 1973; G. R. THOMPSON, Poe's Fiction, Madison 1973; M. DUBANTON, «L'ovale du portrait. La fonction de l'écriture chez E. A. Poe», in «Poétique», 27 (febb. 1979); E. RICHARDS. E. A. Poe journaliste et critique, Parigi 1978; e. MILLER, Building Poe's Biography, Baton Rouge 1977; J. LACAN, Scritti (il seminario su «La lettera rubata»), a cura di G. Contri, Torino 1974; G. POULET. Le metamorfosi del cerchio (il capitolo su Poe), trad, it., Milano 1971, D. KETTERER, The Rationale of Deception in Poe, Baton Rouge 1979; J. SYMONDS. The Teli-Tale Heart, Londra 1978; il «profilo» di D. SINCLAIR, Londra 1977; D. B. STAUFFER, The Merry Mood: Poe's Use of Humor, Baltimore 1982; A. R. LEE (a cura di), E. A. Poe: The Design of Order, New York 1987; J. G. KENNEDY, Poe, Death and the Life of Writing, New Haven 1987; M. J. S. WILLIAMS, A World of Words. Language and Displacement in the Fiction of E A. Poe, Madison 1988. Dal 1968 escono a Pullman, Wa., i «Poe Studies»; K. SILVERMAN, Edgar A. Poe, New York 1991.

    Due antologie di saggi critici: luna a cura di R. REGAN, Englewood Cliffs. N. J. (1967), l'altra a cura di R. P. VELER (1972). The Recognition of E. A. Poe, a cura di E. W. CARLSON (Ann Arbor 1970) raccoglie i fondamentali saggi intomo a Poe; Poe: The Critical Heritage, a cura di I. M. WALKER, Londra 1986. Inoltre: E. F. HYNEMAN, E. A. Poe: an Annotated Bibliography of Books and Articles in English: 1827-1973, Boston 1974; D. R. HAMMOND, An E. A. Poe Companion, Londra 1981; D. THOMAS-D. K. JACKSON, The Poet Log, Boston 1987; J. DAYAN, Fables of Mind: An Inquiry into Poe's Fiction, New York 1987: J. P. MULLER-W. J. RICHARDSON, The Purloined Poe: Lacan, Derrida, and Psychoanalytic Reading, Baltimore 1988; New Essays on Poe's Major Tales, Cambridge University Press, 1993; S. ROSENHEIM-S. RACHMAN, The American Face of E. A. Poe, New York 1995 e The Poe Encyclopedia, 1997; G. DURAND, Le strutture antropologiche dell'immaginario, trad, it., Bari 1996; J. J. WUNENBURGER, Filosofia delle immagini, trad, it., Torino 1999.

    CONTRIBUTI ITALIANI

    Vivace risonanza ebbe anche in Italia l'opera di Poe, sulla scia, dapprima, del «successo» francese, e poi con caratteri propri e autonomi, nel quadro delle esperienze della «scapigliatura» e poi del decadentismo e delle prime innovazioni novecentesche: nonché in quello delle ricerche teoriche sull'arte e sulla poesia. Per gli influssi sul Pascoli si veda G. GETTO, «Pascoli e l'America», in Carducci e Pascoli, Bologna 1957. Per un più generale quadro: F. DONINI, Edgar Allan Poe eia letteratura italiana, in «Maestrale», 12 (1941-42): A. GIACCARI, Poe nella critica italiana e La fortuna di E. A. Poe in Italia, in «Studi americani», 5 (1959); A. CECCARONI, Poe in edizione italiana, in «Il lettore di provincia», 35 (lug. 1978); Repertorio bibliografico della letteratura americana in Italia, a cura di B. TEDESCHINI LALLI, Roma 1966.

    Una traduzione di racconti anonima apparve già nel 1858, a Torino, col titolo di Storie orribili; poi, Storie incredibili, a cura di B. E. MAINERI, Milano 1869. Qualche poesia o parti di poesie apparvero citate in conferenze e articoli, come nell'articolo su Poe di G. TIRINELLI, in «Nuova Antologia», apr. 1877. Il Corvo fu tradotto nel 1881 da S. SALVOTTI. Nel 1896 apparvero le prime «versioni ritmiche» di A. E. RAGAZZONI, ripubblicate poi, con l'aggiunta di altre poesie, nel 1927. L'intero corpus poetico di Poe (quale era stato fissato nelle edd. Ingram o Stedman-Woodberry) è tradotto da U. ORTENSI (Lanciano 1892; Torino-Roma 1902; Lanciano 1915) e da F. OLIVERO (Bari 1912 e 1939). Una nuova traduzione sia delle poesie che dei racconti: a cura di C. IZZO (Tutti i racconti e le poesie, Roma 1953). Infine, Poe: Opere scelte, a cura di G. MANGANELLI, Milano 1971 (con traduzioni di G. BALDINI, E. CHINOL, D. CINELLI, T. GIGLIO, V. MANTOVANI, E. VITTORINI). Inoltre: Il Corvo e tutte le poesie, a cura di T. PISANTI, Roma 1982; Racconti, trad, di G. MANGANELLI, Torino 1983; Racconti del terrore, introd. di A. BRILLI, trad, di M. GALLONE, Milano 1990; Racconti, cura e trad, di M. MANCUSO, Milano 1998; Misteri, trad, e introd. di B. DELL'AGNESE, Milano 2006.

    Spesso rilevanti i contributi critici, E. NENCIONI scrisse su Poe in «Nuova Antologia» (1885), poi in Saggi critici di letteratura inglese, con prefazione di G. Carducci, Firenze 1897; P. JANNACCONE si occupò dell'«estetica di Edgard Poe», già nel 1895 (in «Nuova Antologia», lug.-ag.). Il saggio di G. PAPINI, Edgardo Poe, è del 1908. Si vedano: F. OLIVERO, Edgar Allan Poe, Torino 1932; M. PRAZ, in Studi e svaghi inglesi, Roma 1933 e in Cronache letterarie anglosassoni, Roma 1966, iv; E. CECCHI, in Scrittori inglesi e americani, Milano 1947 e 1962; L. ANCESCHI, in Autonomia ed eteronomia dell'arte, Firenze 1936 (e 1959); G. MACCHIA, in Baudelaire critico, Firenze 1939; S. ROSATI, in «Parallelo», 2 (1943) e nel vol. coll. Il simbolismo nella letteratura americana, Firenze 1965; E. CHINOL, introduzione ai Tre saggi sulla poesia, Padova 1946; B. CROCE, in Letture di poeti, Bari 1950; G. BALDINI, E. A. Poe, Brescia 1947; C. IZZO, Introduzione alle citate traduz. e in Civiltà americana, Roma 1967, I; N. D'AGOSTINO, Poe, Withman, Dickinson, in «Belfagor», 5 ( 1953); A. GUIDI, in Occasioni americane, Roma 1958; s. ROSSI, E. A. Poe e la Scapigliatura lombarda, in «Studi americani», 5 (1959); ancora, in «Studi americani»: L. WAINSTEIN, La situazione limite di E. A. Poe, (1960); M. BULGHERONI, Poe e il demone americano, 9 (1964); M. BIGNAMI, E. A. Poe di fronte alla natura, 11 (1965); R. BIANCHI, Il problema dell'arte e dell'artista in Poe, Hawthorne e Melville, 18 (1972); E. MENASCE, E. A. Poe e i suoi contemporanei, 19-20 (1973-74); A. PORTELLI, E. A. Poe e due canzoni femministe dell'Ottocento, 23-24 (1977-78); G. FINK, in I testimoni dell'immaginario, Roma 1978; E. A. Poe dal gotico alla fantascienza, a cura di R. BIANCHI, Milano 1978; e. G. MASTRO-DONATO sul «Paradosso del narrare»: 25-26 (1979-80); E. GIORCELLI, in E. ZOLLA (a cura di), L'esotismo nella letteratura angloamericana, II, Roma 1979; o. RISTIVO, sulla «Riflessione estetica di Poe», Palermo 1981; G. GIORELLO, introd. a Eureka (trad. A. Quadrino), Roma 1982; G. BALESTRA, su «scrittura e magia», Milano 1983; e. GORLIER, introd. a Racconti, Novara 1983; E. ROMEO, su «fantastico e raziocinio in Poe», in B. PISAPIA, I piaceri dell'immaginazione, Roma 1984; S. PEROSA, introd. a Racconti, Milano 1985; R. CAGLIERO (SU Eureka) in «Quaderni di lingua e letteratura dell'Università di Verona» (1987 e 1989); N. FUSINI, in introd. a Stravaganze, Roma 1987; L. MARCHETTI, E. A. Poe: la scrittura eterogenea, Ravenna 1988; M. PAGNINI, Semiosi, Bologna 1988; R. CAGLIERO, Poe e Freud, Verona 1990; le pagine su Poe in in T. PISANTI, Le Muse erranti, Cultura e poesia in America, Napoli 1991 ; S. PEROSA, Poetica di Poe, Bologna 1994; P.M. DE DONNO, L'estetica giovanile di Poe, Galatina 1996; in L. BUDD-E. LADY (a cura di), On Poe, Durham 1995; F. PISELLI, Interpretazioni di Mallarmé e Poe, Napoli 2000; T. PISANTI, La poesia in America (1650-2000), Napoli 2002; J. CORTAZAR, Vita di Edgar Allan Poe, Firenze 2004.

    T.P.

    Nella pagina precedente: Aubrey Beardsley, La maschera della morte rossa, illustrazione per i racconti di E. A. Poe.

    Il gatto nero (Titolo originale: «The Black Cat»); Il barile di Amontillado (Titolo originale: «The Cask of Amontillado»); Il genio della perversione (Titolo originale: «The Imp of the Perverse»); Hop-Frog (Titolo originale: «Hop-Frog»); La sfinge (Titolo originale: «The Sphinx»); Il ritratto ovale (Titolo originale: «The Oval Portrait»); William Wilson (Titolo originale: «William Wilson»); Rivelazione mesmerica (Titolo originale: «Mesmeric Revelation»); La mascherata della Morte Rossa (Titolo originale: «The Masque of the Red Death»); L'isola della fata (Titolo originale: «The Island of the Fay»); Un racconto delle Ragged Mountains (Titolo originale: «A Tale of the Ragged Mountains»); Metzengerstein (Titolo originale: «Metzengerstein»); L'uomo della folla (Titolo originale: «The Man of the Crowd»); Il silenzio. Una favola (Titolo originale: «Silence-A Fable»); L'ombra. Una parabola (Titolo originale: «Shadow-A Parable»); Eleonora (Titolo originale: «Eleonora»); Ligeia (Titolo originale: «Ligeia»); La caduta della Casa Usher (Titolo originale: «The Fall of the House of Usher»); L'appuntamento (Titolo originale: «The Assignation»); La verità della vicenda del signor Valdemar (Titolo originale: «The Facts in the Case of M. Valdemar»); Il colloquio di Monos e Una (Titolo originale: «The Colloquy of Monos and Una»); Conversazione tra Eiros e Charmion (Titolo originale: «The Conversation of Eiros and Charmion») ; I delitti della Rue Morgue (Titolo originale: «The Murders in the Rue Morgue»); Lo scarabeo d'oro (Titolo originale: «The Gold-Bug»); Il cuore rivelatore (Titolo originale: «The Teli-Tale Heart»); Il mistero di Marie Rogèt (Titolo originale: «The Mystery of Marie Rogèt»); La lettera rubata (Titolo originale: «The Purloined Letter»); Una discesa nel Maelstrom (Titolo originale: «A Descent into the Maelstrom»); Il manoscritto trovato in una bottiglia (Titolo originale: «MS. Found in a Bottle»); Il pozzo e il pendolo (Titolo originale: «The Pit and the Pendulum»).

    Traduzioni di Daniela Palladini

    Sei tu il colpevole (Titolo originale: «Thou Art the Man»); La cassa oblunga (Titolo originale: «The Oblong Box»); Re Peste. Racconto contenente un'allegoria (Titolo originale: «King Pest»); Perdita di fiato (Titolo originale: «Loss of Breath»); Berenice (Titolo originale: «Berenice»); Morella (Titolo originale: «Morella»); La sepoltura prematura (Titolo originale: «The Premature Burial»).

    Traduzioni di Isabella Donfrancesco

    Il gatto nero

    Per il più folle e insieme più semplice racconto che mi accingo a scrivere, non mi aspetto né sollecito credito alcuno. Sarei matto ad aspettarmelo in un caso in cui i miei stessi sensi respingono quanto hanno direttamente sperimentato. Matto non sono e certamente non sto sognando, ma domani morirò e oggi voglio liberarmi l'anima. Il mio scopo immediato è quello di esporre al mondo pienamente e succintamente una serie di semplici eventi domestici, senza commentarli. Le loro conseguenze mi hanno terrorizzato, torturato, distrutto, ma non tenterò di spiegarli. Per me hanno significato nient'altro che orrore, ma per molti sembreranno meno terribili che barocchi. Si potrà, forse, trovare qualche intelletto che ridurrà il mio fantasma ad un luogo comune - qualche intelletto più calmo, più logico e molto meno eccitabile del mio che possa cogliere nelle circostanze che io evoco con timore, nient'altro che una normale successione di cause ed effetti naturalissimi.

    Fin dall'infanzia ero noto per la docilità e l'umanità del mio carattere. Ero così tenero di cuore da diventare quasi lo zimbello dei miei compagni. Ero particolarmente affezionato agli animali e i miei genitori mi concedevano di tenere una grande quantità di animaletti domestici. Con essi passavo gran parte del mio tempo e niente mi rendeva più felice del nutrire e carezzare le bestiole. Questa mia tendenza crebbe con gli anni ed anche quando divenni adulto trassi da essi il massimo diletto. Tutti coloro che hanno provato affetto per un cane fedele e intelligente comprenderanno facilmente la natura e l'intensità del piacere che se ne può trarre. C'è qualcosa, nell'amore disinteressato e capace di sacrifici di una bestiola, che va direttamente al cuore di chi ha avuto frequenti occasioni di mettere alla prova la gretta amicizia e l'evanescente fedeltà del semplice Uomo.

    Mi sposai presto e fui felice di trovare in mia moglie una disposizione analoga alla mia. Avendo notato la mia passione per gli animali domestici, non tralasciò occasione per procurarmene delle specie più gradevoli. Avevamo uccelli, pesci rossi, un grazioso cane, dei conigli, una scimmietta ed un gatto.

    Quest'ultimo era un animale grande e molto bello, tutto nero, e intelligente al massimo grado. Parlando della sua intelligenza mia moglie, non aliena da una certa superstizione, faceva frequenti allusioni all'antica credenza popolare che vedeva i gatti neri come delle streghe travestite. Non che fosse una cosa seria per lei; del resto io ne parlo solo perché proprio ora me ne sono ricordato.

    Plutone - questo è il nome del gatto - era il mio animale preferito ed il mio compagno di giochi. Solo io gli davo da mangiare, mi aspettava quando tornavo a casa e a fatica potevo impedire che mi seguisse nella strada.

    La nostra amicizia durò così per molti anni, durante i quali il mio carattere ed i miei modi, per l'azione di una diabolica intemperanza, subirono (arrossisco nel dirlo) una radicale trasformazione in peggio. Divenni giorno dopo giorno più strambo, irritabile, meno rispettoso dei sentimenti altrui. Mi permisi di usare un linguaggio irriguardoso con mia moglie; alla fine arrivai con lei alla violenza. Le mie bestiole sentirono senz'altro il cambiamento dei miei modi. Non solo li trascuravo, ma li maltrattavo. Per Plutone, tuttavia, avevo ancora un certo riguardo che mi impediva di maltrattarlo, mentre non mi facevo scrupolo di maltrattare i conigli, la scimmietta e perfino il cane, quando per caso ο per affetto attraversava la mia strada. Ma il mio malessere cresceva - che razza di malattia è l'Alcool! - ed alla fine anche Plutone, ora divenuto vecchio e conseguentemente un po' più irritabile - persino Plutone, cominciò a provare gli effetti del peggioramento del mio carattere.

    Una notte, tornando a casa ubriaco fradicio, da uno dei miei soliti giri per le bettole della città, mi sembrò che il gatto evitasse la mia presenza. Lo afferrai e quello, impaurito dalla mia violenza, mi fece con i denti una piccola ferita sulla mano. La furia di un demonio si impossessò di me rendendomi irriconoscibile perfino a me stesso. Mi sembrò che la mia anima originale fosse volata via dal mio corpo ed una cattiveria feroce, alimentata dal gin, invase tutte le fibre del mio corpo. Presi dalla tasca un temperino, lo aprii, strinsi la povera bestiola alla gola e deliberatamente gli cavai un occhio dall'orbita! Arrossisco, brucio, rabbrividisco nello scrivere di questa dannata atrocità.

    Quando mi tornò la ragione al mattino - sbolliti nel sonno i fumi dell'orgia notturna - provai un senso per metà di orrore e per metà di rimorso per il crimine che avevo commesso; ma fu solo un sentimento superficiale ed equivoco, l'anima non ne fu toccata. Mi tuffai di nuovo negli eccessi ed affogai nel vino tutti i ricordi del fatto.

    Frattanto il gatto lentamente si era ripreso; l'orbita vuota dell'occhio aveva un aspetto pauroso, ma sembrava che egli non sentisse più dolore. Girava come sempre per casa ma, come era facile attendersi, filava via atterrito appena mi avvicinavo. Mi era rimasto abbastanza del mio vecchio cuore da provare un certo dolore per l'evidente antipatia da parte della creatura che una volta mi aveva amato. Questo sentimento si trasformò presto in irritazione ed infine, come un irrevocabile ribaltamento, comparve lo spirito della PERVERSITÀ. Di questo spirito la filosofia non tiene conto; ma io non sono tanto sicuro dell'esistenza della mia anima, quanto lo sono del fatto che questa forma di malvagità perversa è uno degli impulsi primordiali del cuore umano - una di quelle inscindibili facoltà primarie, ο sentimenti, che governano il carattere dell'Uomo. Chi non si è trovato centinaia di volte a compiere un'azione vile ο stupida, per nessuna altra ragione di quella che non doveva farlo? Non abbiamo forse una perpetua inclinazione a violare, a dispetto dei nostri migliori intendimenti, quella che è la Legge, soltanto perché comprendiamo che di questa si tratta? Questo spirito di perversità causò la mia completa rovina. Fu questa insondabile propensione dell'anima a torturare se stessa - a fare violenza alla propria natura - a compiere il male per il piacere di farlo - che mi spinse a continuare e portare a termine l'offesa che avevo inflitto all'inoffensiva bestiola. Una mattina, a sangue freddo, feci scorrere un cappio intorno al suo collo e l'impiccai al ramo di un albero; l'impiccai mentre le lacrime mi cadevano dagli occhi ed il più atroce rimorso tormentava il mio cuore. L'impiccai perché sapevo che mi aveva amato e perché non mi aveva dato alcun motivo di sentirmi offeso - l'impiccai perché sapevo che così facendo commettevo un peccato - un peccato mortale che avrebbe messo in pericolo la mia anima immortale così da porla - se ciò fosse possibile - al di fuori persino dalla portata della infinita misericordia del Dio Più Misericordioso e Terribile.

    Nella notte che seguì al giorno in cui avevo compiuto quella crudele azione, fui svegliato dal grido «Al fuoco». Le cortine del mio letto erano in fiamme, l'intera casa bruciava. Con grande difficoltà mia moglie, una serva ed io stesso riuscimmo a sfuggire all'incendio. La distruzione fu così completa che tutto il mio patrimonio venne divorato dalle fiamme e da allora mi ritrovai ridotto alla disperazione.

    Non ho la debolezza di cercare di stabilire un nesso di causa ed effetto, tra il disastro e le atrocità commesse, ma sto descrivendo una sequela di fatti e non voglio tralasciare alcun legame tra di loro. Il giorno successivo all'incendio andai a vedere le rovine. Le pareti, con una sola eccezione, erano crollate. L'eccezione era costituita da una parete divisoria, posta all'incirca al centro della casa, contro la quale prima dell'incendio era stata appoggiata la testa del mio letto. L'intonaco aveva qui resistito, in larga misura, all'azione del fuoco - un fatto che attribuii alla circostanza che era stato rifatto da poco. Di fronte a questa parete si era radunata una densa folla e molte persone sembrava stessero esaminando con grande attenzione una particolare zona di essa. Le parole «Strano!» «Singolare!» ed altre espressioni simili eccitarono la mia curiosità. Mi avvicinai e vidi, come scolpita in bassorilievo sulla parete bianca la figura di un gigantesco gatto. L'immagine era di una esattezza sorprendente. Attorno al collo dell'animale c'era una corda.

    Quando vidi la prima volta questa apparizione - non posso classificarla diversamente - la mia meraviglia e il mio terrore furono enormi; ma successivamente la riflessione mi venne in aiuto. Ricordai

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