Vous êtes sur la page 1sur 233

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”


Corso di Laurea in Scienze Politiche, Indirizzo Politico-Internazionale

COMMERCIO INTERNAZIONALE E TUTELA


DELL’AMBIENTE:
RICONCILIAZIONE O CLINICAL ISOLATION?

Tesi di Laurea in Organizzazione Internazionale

Relatrice: Prof.ssa Micaela Frulli Candidata: Marina Chiarugi

Anno Accademico 2004-2005

1
2
INDICE

Tavola delle abbreviazioni...................................................................p. 7

Introduzione.......................................................................................p. 9

CAPITOLO I

L’evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente verso il


principio dello sviluppo sostenibile.

1. Le origini: il divieto di inquinamento transfrontaliero.................p. 13

2. La Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano.......................p. 21

2.1. La Dichiarazione di Stoccolma........................................................p. 25

3. Da Stoccolma a Rio...........................................................................p. 29

3.1. La nascita del Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite.......p. 29

3.2. La formazione di norme per la protezione dell’ambiente


globale..............................................................................................p. 31

3.3. I lavori della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo........p. 35

3.4. Il principio dello sviluppo sostenibile..............................................p. 37

3
4. La Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo..............p. 42

4.1. La Dichiarazione di Rio.....................................................................p. 45

4.2. Agenda 21..........................................................................................p. 52

4.3. La Convenzione sulla diversità biologica, la Convenzione sui


cambiamenti climatici ed i rispettivi protocolli attuativi..........................p. 56

5. Il dopo Rio...........................................................................................p. 64

6. Il Summit di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile....................p. 67

CAPITOLO II

L’Organizzazione Mondiale del Commercio: principali


aspetti istituzionali procedurali e normativi

1. La genesi del sistema commerciale multilaterale.............................p. 77

1.2. La struttura istituzionale del GATT..................................................p. 82

1.3. Verso l’OMC: l’evoluzione del sistema GATT attraverso


i “round” di negoziati multilaterali...................................................p. 86

2. Struttura e funzioni dell’Organizzazione Mondiale del


Commercio.........................................................................................p. 88

2.1. La struttura dell’Accordo OMC.......................................................p. 88

2.2. L’assetto istituzionale dell’OMC......................................................p. 91

2.3. La soluzione delle controversie........................................................p. 96

2.4. (segue) Il giudizio d’appello............................................................p. 101

4
2.5. (segue) La fase esecutiva.................................................................p. 105

3. Il diritto sostanziale applicabile.......................................................p. 109

3.1. La normativa di base del sistema degli scambi di merci.................p. 111

3.2. Le clausole di deroga.......................................................................p. 118

3.3. Gli altri Accordi multilaterali sullo scambio di merci: l’Accordo


sugli ostacoli tecnici agli scambi e l’Accordo sulle misure sanitarie
e fitosanitarie....................................................................................p. 124

3.4. (segue) L’Accordo sull’agricoltura e l’Accordo sulle sovvenzioni


e sulle misure compensative.............................................................p. 132

3.5. Il sistema degli scambi di servizi.....................................................p. 137

3.6. Gli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale.............p. 143

CAPITOLO III

Il coordinamento tra commercio e ambiente: l’evoluzione


della giurisprudenza

1. La giurisprudenza antecedente alla creazione dell’OMC.............p. 149

1.1. Il primo caso del tonno e dei delfini................................................p. 149

1.2. Il secondo caso del tonno e dei delfini.............................................p. 154

2. I casi risolti successivamente alla creazione dell’OMC................p. 159

2.1. Il caso della benzina riformulata......................................................p. 159

5
2.2. Il caso del tono e dei gamberetti......................................................p. 165

2.3. (segue) il ricorso della Malaysia ex art. 2, par. 5, del DSU.............p. 178

2.4. Il caso della carne agli ormoni.........................................................p. 180

2.5. Il caso dell’amianto..........................................................................p. 185

3. Le misure restrittive fondate sui processi e i metodi


produttivi...........................................................................................p. 191

4. I rapporti tra l’OMC e il diritto internazionale


convenzionale....................................................................................p. 199

Conclusioni.........................................................................................p. 207

Bibliografia..........................................................................................p. 221

6
TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

AJIL American Journal of International Law

BISD Basic Instruments and Selected Documents

CI La Comunità internazionale

HJIL Harvard Journal of International Law

ILM International Legal Materials

ICJ Reports International Court of Justice Reports

JIEL Journal of International Economic Law

JWT Journal of World Trade

EJIL European Journal of International Law

RECIEL Review of European Community and International


Environmental Law

RDI Rivista di diritto internazionale

RGA Rivista giuridica dell’ambiente

UNRIAA United Nations Reports of International Arbitral Awards

YJIL Yale Journal of International Law

YIEL Yearbook of International Environmental Law

YILC Yearbook of International Law Commission

7
8
INTRODUZIONE

La liberalizzazione degli scambi e la tutela dell’ambiente hanno


costituito il fine di due delle principali linee evolutive tracciate dallo
sviluppo del diritto internazionale contemporaneo.
Nella realizzazione dei rispettivi obiettivi esse presentano un certo
grado di complementarietà e di sinergia reciproca, ma frequentemente
possono dare origine a momenti di conflittualità e attrito.
Dal primo punto di vista, la teoria economica e la realtà empirica
dimostrano che il libero commercio contribuisce ad aumentare la crescita
economica, a ridurre le tensioni internazionali e a incoraggiare uno spirito
cooperativo, consentendo lo sviluppo di economie più efficienti, dotate di
tecnologie più pulite e di una migliore qualità ambientale. Allo stesso tempo
deve essere evidenziato anche il rapporto funzionale che fa del ricorso a
sanzioni commerciali un efficace strumento per garantire l’effettivo rispetto
degli standard ambientali.
Per quanto riguarda le ipotesi di contrasto, è altresì dimostrabile come
il divieto di porre vincoli alla libera circolazione delle merci e dei servizi
riduca sia la possibilità di intervento di un singolo Stato in difesa delle
proprie risorse, sia l’efficacia delle numerose iniziative collettive che, in
molti casi, sono state tradotte in importanti convenzioni multilaterali.
Normalmente le relazioni tra soggetti economici si svolgono in un contesto
che tende a considerare l’ambiente come un bene pubblico, senza che i costi
che comporta l’utilizzo delle risorse ambientali venga internalizzato nel
prezzo finale dei prodotti. Pertanto, l’intervento pubblico si mostra spesso
l’unico sistema efficace per ristabilire un’efficiente allocazione delle risorse,

9
sia a livello nazionale che per quanto riguarda l’amministrazione e la tutela
dei beni globali.
L’accresciuta competitività che consegue all’apertura delle frontiere
produce frequentemente fenomeni di dumping ecologico e di free-riding,
come mostra il costante incremento del tasso delocalizzazione delle
industrie verso paesi che presentano standard ambientali meno rigorosi.
Lo Stato che intenda procedere ad attuare la propria politica
ambientale o che voglia prestarsi a cooperare con altri Stati per tutelare delle
risorse condivise, si trova inevitabilmente di fronte alla necessità di
proteggere la propria economia nazionale. Ciò può avvenire attraverso
l’adozione di standard tecnici e sanitari o tramite il ricorso a strumenti
fiscali, ma, in ogni caso, ogni provvedimento racchiuderà in sé una finalità
ecologista e una protezionista. Se tra la prima e la seconda vi sia un rapporto
di causa o di conseguenza non è una questione di facile determinazione, ma
si mostra assolutamente cruciale al fine di poter valutare la legittimità della
misura stessa.
Combattere il rischio che dietro a pratiche di tutela ambientale
possano effettivamente nascondersi tentativi di garantire un vantaggio
immeritato all’economia nazionale, costituisce un obiettivo fondamentale,
specialmente se si considera che la protezione dell’ambiente si pone
solitamente in termini trasversali rispetto alle problematiche che riguardano
i rapporti di dipendenza economica tra il Nord e il Sud del mondo. Le
argomentazioni addotte dai paesi in via di sviluppo si fondano su
osservazioni che difficilmente possono non essere condivise. Se uno Stato
non dispone di risorse sufficienti a garantire un adeguato tenore di vita alla
propria popolazione, sarà maggiormente propenso a sfruttare l’ambiente e la
sua capacità di assorbire l’inquinamento, al pari di ogni altra risorsa di cui
abbia la disponibilità. In secondo luogo, la crescita economica, che viene
indotta anche dalle possibilità di esportazione, consentirebbe loro di reperire
le risorse finanziarie necessarie a rinnovare le proprie economie e a munirsi
di tecnologie più pulite. Inoltre, frequentemente le esigenze ambientali dei
paesi più ricchi vengono viste come forme di “eco-imperialismo”, le quali

10
finiscono per rispondere soltanto alle necessità di quei paesi che hanno
beneficiato dello sfruttamento incondizionato dell’ambiente che ha
caratterizzato i decenni passati, e che attualmente dispongono delle risorse
necessarie a porvi rimedio.
Gli sforzi verso la riconciliazione della liberalizzazione degli scambi
con la protezione dell’ambiente globale sono stati condotti sulla base dello
schema illustrato dalle considerazioni appena effettuate.
Nei capitoli che seguono verranno evidenziate le caratteristiche
peculiari dei sistemi di diritto che si propongono di perseguire i due diversi
obiettivi e i risultati dei tentativi di bilanciamento.
In primo luogo, verrà illustrato lo sviluppo del vasto e frammentato
panorama degli strumenti giuridici facenti parte del diritto internazionale
dell’ambiente, costituito da una moltitudine di accordi bilaterali e
multilaterali, nonché da un consistente numero di strumenti di soft law,
prevalentemente privi di collegamenti istituzionali tra di loro.
Successivamente, vedremo come, al contrario, sotto il profilo del
diritto del commercio internazionale, la comunità internazionale abbia
saputo dare prova di poter raggiungere livelli elevatissimi di integrazione e
di istituzionalizzazione, giungendo alla creazione un’organizzazione
internazionale capace di disciplinare nel loro complesso gli aspetti
riguardati lo scambio di beni e servizi e, soprattutto, dotata di sistemi
efficaci per garantire l’osservanza delle sue disposizioni, primo tra tutti un
organo per la soluzione delle controversie dotato di poteri particolarmente
incisivi.
Infine, nell’ultima parte vedremo quali siano stati i risultati dei lavori
di tale organo nelle controversie che hanno avuto come oggetto iniziative di
protezione ambientale e sanitaria, tentando di delineare un quadro fedele
della situazione attuale, di apprezzarne gli sviluppi e di evidenziarne le
lacune e le principali sfide per il futuro.

11
12
CAPITOLO I

L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO


INTERNAZIONALE DELL’AMBIENTE VERSO IL
PRINCIPIO DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE

1. Le origini: il divieto di inquinamento transfrontaliero

Negli ultimi trent’anni del secolo scorso l’esigenza di provvedere alla


creazione di un sistema di regole per la tutela ambientale ha caratterizzato
l’azione dell’intera comunità internazionale. Di fronte all’evidenza del
costante deterioramento dello stato di salute del pianeta, della scarsità delle
risorse disponibili a fronte dell’esponenziale incremento demografico e
dell’inefficacia dei regimi di tutela nazionali nel porre rimedio ad un
fenomeno che per sua natura non conosce confini geografici, un approccio
concertato a livello internazionale era divenuto imprescindibile. La
Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (United Nations
Conference on the Human Environment, UNCHE), tenutasi a Stoccolma nel
1972, ha rappresentato il primo tentativo in tal senso.
Prima di allora le problematiche inerenti al degrado ambientale non
erano percepite come prioritarie né dagli Stati né dall’opinione pubblica
internazionale, lo sviluppo economico e industriale non aveva ancora
mostrato il suo impatto sull’ambiente e i rapporti tra Stati erano improntati
al rispetto della sovranità territoriale. Tale visione dei rapporti internazionali
trova un chiaro esempio nella “dottrina Harmon”, dal nome del Procuratore
Generale degli Stati Uniti che, nel 1895, in merito ad una controversia sorta

13
tra Stati Uniti e Messico circa l’inquinamento delle acque del Rio Grande,
definì il danno subito dall’agricoltura messicana una questione meramente
politica, escludendo l’ipotesi di ogni forma di responsabilità internazionale
degli Stati Uniti1.
Progressivamente sia la dottrina che la giurisprudenza internazionale
hanno cominciato a condannare un’impostazione che non lasciava spazio al
bilanciamento di due interessi parimenti meritevoli di tutela: quello a
sfruttare autonomamente il proprio territorio e quello a non vederlo
danneggiato, in osservanza del principio sic utere iure tuo ut alterum non
laedas.
L’esempio più eloquente di tale necessità si ritrova nel disposto della
sentenza arbitrale nel caso Fonderia di Trail (1941)2, riconosciuta come
pietra miliare nella formazione della norma sul divieto di inquinamento
transfrontaliero. Il caso riguardava un’industria canadese che, tramite
emissioni di biossido di zolfo, aveva seriamente danneggiato i campi di
cereali dello Stato di Washington negli Stati Uniti. Il tribunale arbitrale,
chiamato ad applicare una serie di regole di diritto internazionale, di diritto
statunitense e applicando il criterio del giusto risultato, creò un precedente
di importanza storica stabilendo che: “nessuno stato ha il diritto di usare il
proprio territorio, o di consentirne l’utilizzo, in modo da creare danno con
emissioni al territorio di un altro stato o verso le proprietà o le persone che
ivi si trovano, quando vi siano serie conseguenze stabilite con prova chiara e
convincente”3. Ai sensi di tale norma, ormai quasi unanimemente
considerata facente parte del diritto internazionale generale4, allo Stato viene
1
Sugli approcci storici alla sovranità territoriale cfr. KISS, SHELTON, International
Environmental Law, New York, 2000, p. 272 e ss.
2
Consultabile in UNRIAA, vol. III, p. 1907 e ss.
3
“ Under the principles of international law, (…) no state has the right to use or permit to
use of its territory in such a manner as to cause injury by fumes in or to the territory of
another or the property of persons therein, when the case is of serious consequences and the
injury is established by clear and convincing evidence”. Ibidem, p. 1965.
4
Non tutta la dottrina concorda con questa impostazione. A titolo esemplificativo merita di
essere considerata l’opinione dissenziente del Conforti, secondo il quale si può riconoscere
un valore consuetudinario soltanto agli obblighi di prevenzione dell’inquinamento dei corsi
d’acqua comuni e di informazione in caso di incidenti. Il caso della Fonderia di Trail non
risulterebbe rilevante poiché, ai sensi del compromesso arbitrale, Canada e Stati Uniti
avrebbero già concordato l’obbligo di risarcimento (cfr. CONFORTI, Diritto
Internazionale, Napoli, p. 222 e ss.). A tali argomentazioni si obietta che il compromesso
non fa altro che dare conferma del riconoscimento della doverosità del risarcimento

14
fatto obbligo di astenersi dal danneggiare il territorio di un altro Stato per
mezzo di comportamenti posti in essere dai suoi organi, cioè dal commettere
un illecito di natura commissiva. La responsabilità dello Stato può sorgere
anche a seguito di un illecito omissivo, che si concretizza nel mancato
utilizzo della “dovuta diligenza” nel vigilare sulle attività svolte da privati
(come viene chiaramente mostrato dal caso della Fonderia di Trail).
L’obbligo di prevenzione rappresenta un principio di sostanziale
importanza in materia ambientale, dove il verificarsi di un danno potrebbe
eccedere notevolmente qualsiasi possibilità di riparazione. L’illecito, infatti,
si verifica nel momento stesso in cui le doverose misure di vigilanza non
vengono poste in essere, e il consequenziale obbligo di riparazione consiste
anzitutto nell’adozione di misure adeguate. Nel momento in cui, in seguito a
tale condotta colposa, dovesse verificarsi un danno sorge l’obbligo sia di
minimizzarne le conseguenze che di risarcirle.
L’ampliamento dell’ambito spaziale in cui la norma trova
applicazione costituisce un efficace esempio di come, nel corso di una
ventina d’anni, sia evoluta la sensibilità della comunità internazionale nei
confronti delle necessità ambientali. Il disposto della sentenza arbitrale si
limitava a tutelare il territorio di uno Stato dagli eventuali pregiudizi che le
attività sottoposte alla giurisdizione di un altro Stato avrebbero potuto
provocare, secondo un criterio meramente utilitaristico, limitando ogni
forma di regolamentazione ai rapporti bilaterali. Altre sentenze hanno
contribuito all’affermarsi della norma nel diritto consuetudinario, come la
sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sullo Stretto di Corfù5 del
1949, ai sensi della quale nessuno Stato ha il diritto di usare il proprio
territorio in modo tale da violare i diritti di un altro Stato, e la sentenza

richiesto dagli Stati Uniti. Inoltre la sentenza non si limita a determinare l’ammontare della
riparazione, ma riguarda anche le attività future, stabilendo l’obbligo di prevenzione
dell’inquinamento, fissando massimali per le emissioni e prevedendo meccanismi di
monitoraggio che ancora oggi costituiscono un modello di supervisione degli standard
ambientali (Cfr. FRANCIONI, Per un governo mondiale dell’ambiente: quali norme?
quali istituzioni?, in SCAMUZZI (a cura di), Costituzioni, razionalità, ambiente,Torino,
1994, p. 431 e ss.; SANDS, Principles of International Environmental Law, New York,
1995, p. 191 e ss.)
5
Corfù Channel Case (Gran Bretagna vs. Albania), 1949, ICJ Report, p. 4 e ss.

15
arbitrale del 1956 sul Lago Lanoux6 relativa alla lesione dei diritti di uno
Stato che può derivare dall’inquinamento delle acque che attraversano il
confine.
Successivamente la norma è andata evolvendosi verso la protezione
dei beni ambientali a prescindere dalla loro collocazione geografica,
estendendo il regime di tutela anche ad aree non sottoposte alla sovranità di
alcuno Stato, quali l’alto mare, la piattaforma oceanica, l’Antartide e lo
spazio extra-atmosferico7 . Nella sua accezione più estensiva è stata poi
solennemente affermata nella Dichiarazione di Stoccolma sull’ambiente
umano8 del 1972 al principio 21: “In conformità allo Statuto delle Nazioni
Unite ed ai principi del diritto internazionale , gli Stati hanno il diritto di
sfruttare le loro risorse secondo le loro politiche in materia di ambiente, e
hanno il dovere di assicurarsi che le attività esercitate entro i limiti della loro
giurisdizione o sotto il loro controllo non causino danni all’ambiente di altri
Stati o a regioni che non sono sottoposte ad alcuna giurisdizione nazionale” 9
.
Per quanto inclusa in un documento non vincolante, la regola che
impone agli Stati un obbligo di prevenzione nei confronti dell’intera
comunità internazionale è riconosciuta come parte del diritto internazionale
generale. E’ stata infatti recepita da un notevole numero di atti
internazionali, da molte dichiarazioni adottate dalle Nazioni Unite10 ed

6
Lake Lanoux Case (Francia vs. Spagna), 19 novembre 1956, UNRIAA, vol. XII, p. 281 e
ss.
7
Ad esempio la Convenzione di Ginevra del 1958 sull’alto mare, all’art. 25, par. 1, dispone
che tutti gli Stati siano tenuti a prendere le misure necessarie per evitare l’inquinamento del
mare dovuto all’immersione di rifiuti radioattivi, tenendo conto delle norme elaborate in
sede internazionale. Lo stesso criterio permea il Trattato di Washington del 1959
sull’Antartide, il Trattato del 1967 sui principi che regolano l’attività degli Stati
nell’esplorazione e nell’uso dello spazio extra-atmosferico ivi compresi la luna e gli altri
corpi celesti, la Convenzione di Ginevra del 1979 sull’inquinamento atmosferico
transfrontaliero a lunga distanza, la Convezione di Montego Bay del 1982 sul diritto del
mare.
8
Consultabile sul sito dell’UNEP, www.unep.org (pagina base).
9
“States have, in accordance with the Charter of the United Nations and the principles of
international law , the sovereign right to exploit their own resources pursuant to their own
environmental policies, and the responsibility to ensure that activities within their
jurisdiction or control do not cause damage to the environment of other States or of areas
beyond the limits of national jurisdiction”
10
Quali la Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati del 1974, la Carta Mondiale
della Natura del 1982 e la Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo del 1992.

16
infine la Corte Internazionale di Giustizia ha ribadito in termini molto chiari
tale obbligo. Dapprima nel parere consultivo dell'8 luglio 1996 sulla
Legalità della minaccia o dell'uso di armi nucleari11: “L’esistenza di un
obbligo generale per gli Stati di assicurare che le attività all’interno della
propria giurisdizione o controllo rispettino l’ambiente di altri Stati o di aree
al di fuori del controllo nazionale è adesso parte del diritto internazionale
relativo all’ambiente”12. Successivamente, nella sentenza resa il 25
settembre 1997 nella controversia sul progetto delle dighe di Gabcicovo-
Nagymaros13, la Corte ha ulteriormente evidenziato il valore della
protezione ambientale nell’interesse non soltanto degli Stati, ma
dell’umanità intera, sottolineando l’importanza che le misure di vigilanza e
prevenzione rivestono in un campo in cui vi è un’alta probabilità di danno
irreversibile ed irrisarcibile. Lo Stato è pertanto tenuto ad operare con la
dovuta diligenza nel porre in essere le più efficaci misure preventive e nel
minimizzare i rischi connessi alle attività suscettibili di causare un danno al
di là dei confini nazionali. Secondo tale criterio il divieto di inquinamento
transfrontaliero si configurerebbe come un obbligo non assoluto ma relativo,
limitato dalla regola della “dovuta diligenza”. Tale obbligo, di diligenza
quindi, e non di risultato, si sostanzia in varie procedure, difficili da
determinare esaurientemente in astratto, ma tra cui rientrano sicuramente la

11
Advisory Opinion on the Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, 1996,
consultabile in ILM, vol. XXXV, 1997, p. 809 e ss.
12
“The existence of the general obligation of States to ensure that activities within their
jurisdiction and control respect the environment of other States or of areas beyond national
control is now part of the corpus of international law relating to the environment.” Ibidem,
par. 29.
13
Consultabile sul sito della Corte Internazionale di Giustizia: www.icj-cij.org (pagina
base). La controversia, sorta tra Ungheria e Cecoslovacchia (cui poi era succeduta la
Slovacchia), fu portata davanti alla Corte nel 1993 a seguito della formale denuncia del
governo ungherese di un trattato bilaterale del 1977 relativo ad un progetto di dighe sul
fiume Danubio. L’Ungheria decise dapprima di sospendere i lavori per la parte ungherese
del progetto. Successivamente, di fronte alla decisione slovacca di portare avanti comunque
i lavori per la parte che le competeva, optò per la denuncia del trattato invocando lo stato di
necessità come causa di esclusione della propria responsabilità internazionale. Per quanto la
Corte non abbia riconosciuto come legittime le rivendicazioni dell’Ungheria, la sentenza
riveste un’importanza sostanziale nell’evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente,
avendo consentito alla Corte di ribadire l’importanza della tutela ambientale e dello
sviluppo sostenibile nel diritto internazionale contemporaneo, nonché di dare per la prima
volta un pieno e completo riconoscimento allo “stato di necessità ambientale” come causa
di esclusione dell’illiceità. Per un’attenta analisi del caso cfr. MONTINI, La necessità
ambientale nel diritto internazionale e comunitario, Padova, 2001, p. 198 e ss.

17
valutazione di impatto ambientale, la messa in opera di efficaci meccanismi
di monitoraggio, delle migliori tecniche possibili in materia di prevenzione
dei rischi14 e soprattutto l’obbligo cooperare in buona fede, ai sensi del quale
lo Stato è tenuto a informare gli altri Stati di eventuali attività che possano
pregiudicarne l’ambiente, a notificare le relative conseguenze e a
consultarsi con essi e a partecipare a negoziati “con lo scopo di arrivare ad
un accordo e non soltanto di esperire una procedura formale (…) in modo
che i negoziati abbiano un senso, il che non avviene quando l’una o l’altra
[parte] insistono sulla propria posizione, senza contemplare alcuna
modificazione della stessa.”15. Anche all’obbligo di cooperazione in materia
ambientale va attribuito valore consuetudinario. Enunciato dalla sentenza
sulla Fonderia di Trail16, è stato da recepito dal principio 24 della
Dichiarazione di Stoccolma17 e costituisce il logico corollario dell’obbligo
di prevenzione.
Oltre all’eventualità in cui la responsabilità internazionale derivi da un
comportamento doloso o colposo dello Stato, merita di essere preso in
considerazione anche il caso in cui il danno transfrontaliero si verifichi
nonostante lo Stato di origine abbia operato con la massima diligenza
possibile. Si tratta di capire se il divieto di inquinamento transfrontaliero
imponga agli Stati anche un obbligo di risultato, se la loro responsabilità
appartenga al campo delle norme primarie o se invece essa derivi soltanto
da norme secondarie, cioè dalla violazione dell’obbligo primario di
prevenzione.
14
A titolo esemplificativo del grado di diligenza richiesto si può richiamare l’art. 8, par. 4,
della Convenzione sulla disciplina delle attività minerarie antartiche (Wellington, 1988) che
esclude la responsabilità dello Stato solo nel caso in cui si verifichino un disastro naturale ,
un conflitto armato o un atto di terrorismo “against which no reasonable precautionary
measure could have been effective” . Il testo della Convenzione è consultabile sul sito del
Australasian Legal Information Institute: www.austlii.edu.au (pagina base).
15
Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sulla Piattaforma continentale del mare
del Nord (North Sea Continental Shelf) del 30 febbraio 1969, I.C.J. Reports, 1969, p. 48.
16
“The Tribunal expresses the strong hope that any investigations which the Governments
may undertake in the future, in connection with the matters dealt with in this decision, shall
be conducted jointly”. Cfr. op. cit., p. 1971.
17
“International matters concerning the protection and improvement of the environment
should be handled in a co-operative spirit by all countries, big or small, on an equal
footing. Co-operation through multilateral or bilateral arrangements or other appropriate
means is essential to effectively control, prevent, reduce and eliminate adverse
environmental effects resulting from activities conducted in all spheres, in such a way that
due account is taken of the sovereignty and interests of all States”

18
Nel 1978 la Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni
Unite ha deciso di inserire nella propria agenda un progetto di codificazione
sulla “Responsabilità internazionale per conseguenze dannose derivanti da
attività non proibite dal diritto internazionale”18, parallelamente al progetto,
cui lavorava dal 1949, sulla codificazione della responsabilità internazionale
degli Stati per atti illeciti. La responsabilità per atti leciti può essere vista
come un’applicazione del principio “chi inquina paga”, dal momento che
non essendoci alcun illecito non può esistere l’obbligo di cessazione e di
non reiterazione dello stesso e pertanto l’attività inquinante, una volta che
ogni ragionevole misura precauzionale sia stata adottata e sia stato riparato
il danno comunque verificatosi, può tranquillamente proseguire.
La Convenzione del 1972 sulla responsabilità internazionale per danni
causati da oggetti spaziali19 costituisce uno dei pochi esempi di trattati che
riconoscono chiaramente una forma di responsabilità oggettiva, basata non
sulla colpa ma sulla semplice assunzione di un rischio20. Al contrario, nella
prassi internazionale relativa all’ambiente non si riscontra alcuna
propensione degli Stati a riconoscere l’esistenza di un obbligo generale di
riparazione basato sulla semplice esistenza di un nesso causale tra
un’attività pericolosa e il danno eventualmente derivante, e la
giurisprudenza in materia ha quasi sempre riguardato attività lecite in cui lo
stato aveva colpevolmente omesso di adempiere agli obblighi di
prevenzione e cooperazione21. Inoltre, al fine di incontrare l’approvazione
degli Stati, sarebbe opportuno evitare di estendere il regime di responsabilità
da fatto lecito a tutte le attività suscettibili di causare un danno
transfrontaliero, limitandosi a quelle ultrapericolose (“activities (…) which
involve a risk of causing significant transboundary harm” secondo il
progetto della Commissione) cioè quelle che hanno un’alta probabilità di
18
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: http://www.un.org (pagina base).
19
Consultabile sul sito del Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite:
www.oosa.unvienna.org (pagina base).
20
L’art. II prevede la responsabilità totale dello Stato di lancio per danni alla superficie
terrestre e ad aeromobili in volo, mentre, ai sensi dell’art. III, nel caso in cui vengano
danneggiati altri oggetti spaziali o persone a bordo di essi, in un luogo diverso dalla
superficie terrestre, lo Stato sarà chiamato a risponderne solo in caso di condotta colposa
21
Cfr. PISILLO MAZZESCHI, Le Nazioni Unite e la codificazione della responsabilità
per danno ambientale, in RGA, 1996, p. 381 e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p. 605 e ss.

19
causare danni significativi o una bassa probabilità di avere effetti disastrosi.
Del resto, si potrebbe argomentare che per tali attività il grado di diligenza
richiesto dovrebbe essere così elevato da costituire quasi un obbligo di
risultato, o quantomeno da giustificare la presunzione di colpevolezza per lo
Stato danneggiante, invertendo quindi l’onere della prova. Ad ogni modo,
durante la sua quarantanovesima sessione, nel 1997, la Commissione ha
istituito un gruppo di lavoro per definire le linee guida che avrebbe dovuto
seguire nella redazione del progetto. Nell’opinione del gruppo di lavoro si
mostrava necessario distinguere tra due questioni che emergevano dai lavori
della Commissione, da un lato la responsabilità da fatto lecito e dall’altro
l’obbligo di prevenzione22. La Commissione ha deciso di focalizzare
l’attenzione su quest’ultima, completando un progetto di articoli sulla
“Prevenzione del danno transfrontaliero da attività pericolose” durante la
sua cinquantatreesima sessione, nel 2001. Dalla sessione successiva
l’argomento è stato ripreso in considerazione e continua ad essere presente
nell’agenda della Commissione, ma va tenuto presente che una parte dei
membri della Commissione ha espresso seri dubbi circa la possibilità di
stabilire una normativa che possa essere largamente accettata23. Del resto gli
Stati hanno mostrato una notevole riluttanza a riconoscere la propria
responsabilità, optando solitamente per il risarcimento del danno a titolo
grazioso, come nel caso Fuyuku Maru, relativo ai danni causati ai
pescherecci giapponesi dagli esperimenti nucleari statunitensi, secondo un
regime di “soft responsibility” circoscritto al campo del diritto
internazionale privato24.
In conclusione merita di essere considerata anche la controversa
questione dell’esportazione del rischio, inerente al decentramento produttivo

22
Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite (CDI), Commento al progetto
di articoli International Liability for Injurious Consequences Arising out of Acts not
Prohibited by International Law, p. 368 e ss., consultabile sul sito delle Nazioni Unite:
www.un.org (pagina base).
23
Cfr. ROSENSTOCK, The ILC and State Responsibility, in AJIL, 2002, p. 802 e ss.
24
Sulla prassi internazionale relativa al risarcimento del danno transfrontaliero, cfr.
CASSESE, International Law, Oxford, 2001, p. 389 e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p.
618 e ss.; LEME MACHADO, Nuove strade dopo Rio e Stoccolma, in RGA, 2002, p. 173 e
ss.; PISILLO MAZZESCHI, op. cit., p. 373 e ss.; SCOVAZZI, La responsabilità
internazionale in caso di inquinamento transfrontaliero, in RGA, 1986, p. 272 e ss.

20
e all’utilizzazione di tecnologie rischiose in paesi con un più basso livello di
tutela ambientale. Essa non viene presa in esame dai lavori della
Commissione di diritto internazionale, i quali contemplano soltanto l’ipotesi
di danno transfrontaliero verificatosi tramite un mezzo fisico, e non tramite
il processo decisionale di un impresa multinazionale. Invece, nell’ipotesi di
mancato utilizzo della dovuta diligenza nell’attività preventiva, il principio
21 della Dichiarazione di Stoccolma estende la responsabilità dello Stato
non soltanto alle attività che si svolgono nel suo territorio o sotto la sua
giurisdizione, ma anche a quelle esercitate “sotto il controllo” dello Stato
stesso. Ciò implica che se uno Stato è in grado di esercitare un effettivo
controllo sull’operato della società madre di un gruppo multinazionale, esso
sia anche tenuto a garantire un’efficace opera di vigilanza e prevenzione,
almeno in relazione alle attività altamente pericolose, quali le attività del
settore nucleare, della produzione chimica e della manipolazione genetica.
Tale dovere sarebbe anche conforme all’esigenza di tutelare i diritti
fondamentali della persona umana, garantendo un’applicazione uniforme e
non discriminatoria del diritto all’integrità fisica. In relazione a determinate
tipologie di rischi, l’ipotesi di un doppio standard di prevenzione sembra del
tutto incompatibile con il principio dell’universalità dei diritti umani25.

2. La Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano

Fin dalla nascita delle Nazioni Unite si manifestò la necessità di


un’azione concertata a livello internazionale per stabilire un approccio
razionale alla gestione delle risorse naturali. Il Consiglio Economico e
Sociale, con la risoluzione 32 (IV) del 1947, mosse il primo passo in tale
direzione, indicendo per il 1949 la Conferenza delle Nazioni Unite sulla
conservazione e l’utilizzazione delle risorse (United Nations Conference on

25
Sull’esportazione del rischio cfr. FRANCIONI, op. cit., pp. 447 e ss.; SCOVAZZI,
L’incidente di Seveso e il velo delle società transnazionali, in RGA, 1988, p. 277 e ss.;
SCOVAZZI, Considerazioni sulle norme internazionali in materia di ambiente, in RDI,
1989, p. 601 e ss.; ZILIOLI, Il caso di Bophal e il controllo sulle attività pericolose svolte
da società multinazionali, in RGA, 1987, p. 199 e ss.

21
the Conservation and Utilization of Resources, UNCCUR). La conferenza
rappresentò un inizio abbastanza modesto: essa rimase limitata
prevalentemente allo scambio di informazioni, idee ed esperienze e priva
della possibilità di adottare raccomandazioni. Tuttavia la risoluzione con cui
venne istituita determinò la competenza delle Nazioni Unite sulle questioni
ambientali, sulla base della quale verranno successivamente indette le
conferenze di Stoccolma, Rio e Johannesburg26.
Negli anni successivi l’attenzione della comunità internazionale e
l’attività dell’Assemblea Generale si spostarono sulla conservazione della
flora e della fauna e in particolare sugli effetti, disastrosi per l’ambiente
degli esperimenti nucleari e della produzione petrolifera. Ciò condusse, da
un lato, alla Conferenza sulla conservazione delle risorse marine viventi
(Conference on the Conservation of the Living Resources of the Sea) del
1954 e alla conseguente Convenzione di Ginevra sulla pesca e sulla
conservazione delle risorse viventi dell’alto mare del 195827, nonché alla
Convenzione di Londra del 1954 sull’inquinamento del mare causato dal
petrolio28, dall’altro al Trattato di Mosca sulla messa al bando dei test sulle
armi nucleari nell’atmosfera, sott’acqua e nello spazio extra-atmosferico del
196329, meglio noto come Nuclear Test Ban Treaty, per quanto la sua
adozione fosse dovuta a preoccupazioni di natura più politica che
ambientalista. Nel 1962 l’Assemblea approvò la risoluzione 183130 sul
legame intercorrente tra sviluppo economico e protezione ambientale.
All’inizio degli anni settanta si stava quindi formando un sostanzioso
corpus di regole che limitavano la libertà degli Stati di disporre
arbitrariamente delle proprie risorse31. Tuttavia la totale mancanza di
26
Per un excursus sulla storia della Conferenza cfr. SANDS, Principles of International
Environmental Law, New York, 1995, p. 30 e ss.
27
Consultabile sul sito della Internet Guide to International Fisheries Law:
www.oceanlaw.net (pagina base).
28
Consultabile sul sito della Admiralty and Marittime Law Guide:
www.admiraltylawguide.com (pagina base).
29
Consultabile sul sito del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti: www.state.gov, (pagina
base).
30
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base).
31
Merita di essere ricordata la notevole influenza che in quegli anni ebbe, soprattutto tra le
nazioni più sviluppate, la pubblicazione del rapporto del Club di Roma “The Limits to
Growth”, nel 1972. Il rapporto prospettava scenari apocalittici dovuti al futuro esaurimento
delle risorse non rinnovabili su cui di fatto è fondata l’economia internazionale. In meno di

22
coordinamento, di istituzioni competenti, di meccanismi di controllo, sviliva
il proposito di sviluppare una strategia ambientale coerente a livello
internazionale. Questo è il contesto in cui venne indetta la Conferenza di
Stoccolma.
Nel luglio del 1968 il Consiglio Economico e Sociale adottò, su
proposta svedese, la risoluzione 134632, nella quale veniva messo in luce il
continuo e accelerato deterioramento ambientale e si raccomandava all’
Assemblea Generale di promuovere una conferenza internazionale, i cui
principali obiettivi sarebbero dovuti essere la focalizzazione dell’attenzione
dei governi e della pubblica opinione sulle problematiche ambientali e la
promozione di un sistema di coordinamento nel quadro delle Nazioni Unite.
L’idea di elaborare una dichiarazione universale sulla protezione
dell’ambiente emerse durante i lavori della Conferenza sulla biosfera
(Conference of Experts on the Scientific Basis for Rational Use and
Conservation of the Resources of the Biosphere), promossa dall’UNESCO
nel settembre dello stesso anno. Il 3 dicembre la Conferenza fu convocata
dall’Assemblea Generale durante la sua XXIII sessione, con la risoluzione
239833. Il vertice si tenne nella capitale svedese tra il 5 e il 16 giugno del
1972 e vide la partecipazione di 114 capi di stato, varie istituzioni
internazionali e numerosi attori non governativi. Durante la sessione
successiva, con la risoluzione 258134, l’Assemblea Generale istituì un
comitato preparatorio incaricato di consigliare il Segretario Generale della
Conferenza, Maurice Strong, nel predisporre i contenuti del progetto di
dichiarazione da presentare nel corso della Conferenza. Durante le quattro
sessioni del comitato l’arduo processo di negoziazione tra le opposte
esigenze degli Stati partecipanti fu praticamente concluso, contribuendo in
maniera decisiva al successo del vertice, soprattutto riguardo alle
controverse questioni relative agli effetti giuridici degli atti della Conferenza
e alla delicata relazione tra ambiente e sviluppo, alla luce delle emergenti
necessità dei paesi in via di sviluppo.
un secolo ciò avrebbe condotto al totale collasso del sistema economico occidentale.
32
Consultabile sul sito dell’UNEP: www.unep.org (pagina base).
33
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base).
34
Ibidem

23
La Conferenza si concluse con l’adozione di tre strumenti non
vincolanti: una risoluzione contenente proposte in materia istituzionale e
finanziaria35, la Dichiarazione sull’ambiente umano36 comprendente 26
principi e un Piano d’azione composto da 109 raccomandazioni37.
Il primo di questi atti proponeva all’Assemblea Generale l’istituzione
di un Governing Council for Environmental Programmes mirato a dirigere e
coordinare i programmi ambientali, un Environment Fund per il loro
finanziamento stimato in 100 milioni di dollari per i primi cinque anni, un
Environment Secretariat con funzioni di coordinamento e consulenza più
che specificamente esecutive38 e un Inter-agency Environmental Co-
ordinating Board per assicurare la cooperazione e il coordinamento tra
l’operato dei vari organismi con competenze ambientali nel sistema delle
Nazioni Unite.
Il Piano d’Azione si sostanziava in un programma mondiale di
valutazione ambientale (Earthwatch), da attuarsi mediante un sistema
globale di monitoraggio (Global Environmental Monitoring System, GEMS)
e un sistema di scambio di informazioni (International Referral System,
INFOTERRA), in modo da definire i criteri guida per le principali scelte in
materia; in attività di gestione ambientale da promuovere a livello
internazionale al fine di pianificare uno sfruttamento equilibrato delle
risorse naturali; in misure di sostegno ad attività quali l’educazione e la
formazione professionale, l’informazione e la cooperazione tecnica e
finanziaria. Sul documento furono avanzate alcune riserve, in particolare
risulta degna di nota quella opposta dagli Stati Uniti alla raccomandazione
109, con la quale si rifiutavano di accettare il principio di addizionalità
secondo il quale avrebbero dovuto incrementare il loro budget di aiuti verso
l’estero per coprire i costi aggiuntivi imposti dalle misure di protezione
ambientale da integrare nei progetti di sviluppo39.

35
Consultabile sul sito dell’UNEP: www.unep.org (pagina base).
36
Ibidem
37
Ibidem
38
Cfr. FERONE, La Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente, in RDI, 1972, p. 708 e
ss.
39
Cfr. SANDS, op. cit., p. 35 e ss.

24
2.1. La Dichiarazione di Stoccolma

La Dichiarazione sull’ambiente umano costituisce un tentativo di


compromesso tra le esigenze dei paesi industrializzati e quelli in via di
sviluppo, sottolineando a più riprese l’inscindibile legame tra protezione
ambientale e sviluppo economico.
Al principio 1 viene riconosciuto il merito di aver stabilito per la
prima volta un relazione tra protezione ambientale e diritti umani. Agli
esseri umani viene attribuito un diritto all’ambiente che si sostanzia nel loro
“diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita
soddisfacenti, in un ambiente che (…) [consenta loro] di vivere nella dignità
e nel benessere”, nonché “il dovere solenne di proteggere e migliorare
l’ambiente a favore delle generazioni presenti e future”40.
I principi dal 2 al 7 mettono in rilievo come anche l’acqua, l’aria, la
terra, la flora, la fauna e la diversità biologica debbano essere considerate
risorse naturali, al pari dei minerali e delle fonti di approvvigionamento
energetico, e che pertanto debbano essere preservate e gestite secondo
un’attenta pianificazione finalizzata al soddisfacimento delle necessità
presenti e future. Nel progetto del Comitato Preparatorio la formulazione
originale del principio 2, suggerita dal Segretario Generale e fermamente
appoggiata dalla delegazione colombiana, era molto più significativa. Con
essa si disponeva che “gli Stati dovranno economizzare le loro risorse
naturali e dovranno tenere in amministrazione fiduciaria (shall hold in trust)
per le generazioni presenti e future l’aria, l’acqua, la terra, le piante e gli
animali da cui dipende ogni forma di vita”.41 Varie delegazioni di altri paesi
in via di sviluppo obiettarono che un’impostazione del genere avrebbe
costituito un’eccessiva restrizione del concetto di sovranità nazionale ed

40
“Man has the fundamental right to freedom, equality and adequate conditions of life, in
an environment of a quality that permits a life of dignity and well-being, and he bears a
solemn responsibility to protect and improve the environment for present and future
generations. In this respect, policies promoting or perpetuating apartheid, racial
segregation, discrimination, colonial and other forms of oppression and foreign domination
stand condemned and must be eliminated”.
41
Citato in SOHN, op. cit., p. 456.

25
avrebbe inevitabilmente pregiudicato le loro prospettive di crescita
economica. Tale contrapposizione di interessi ha rappresentato il leitmotiv
di ogni vertice internazionale su questioni ambientali. Particolarmente
interessante risulta essere la formulazione del principio 7, ai sensi del quale
gli Stati “dovranno prendere tutte le misure possibili per impedire
l’inquinamento dei mari”. Esso costituisce una specificazione del principio
6, relativo all’immissione di sostanze tossiche nell’ambiente in generale, le
quali “devono essere arrestate”, ma è chiaramente formulato in modo da
imporre un obbligo più specifico direttamente in capo agli Stati. Per quanto
tale obbligo sia limitato dal termine “possibili”, attribuendo agli Stati
tecnologicamente avanzati una responsabilità aggravata, essa dimostra che
durante la conferenza non vi era nessun effettivo impedimento a formulare i
principi in termini maggiormente vincolanti42.
I principi dall’8 al 20 elencano i presupposti e gli strumenti per la
realizzazione di un’efficace protezione ambientale a livello globale. In
primis si manifesta l’esigenza di garantire ai paesi in via di sviluppo
adeguate prospettive per il miglioramento del tenore di vita dei propri
cittadini, con particolare riguardo allo sviluppo economico e sociale, al
costante trasferimento di aiuti tecnologici e finanziari e ad una corretta
gestione dei rapporti commerciali, da attuarsi sia tramite la continua
negoziazione di strumenti per ovviare alle conseguenze dannose per il
commercio derivanti da misure di tutela ambientale, sia tramite l’adozione
di strumenti mirati alla corretta remunerazione e alla stabilizzazione dei
prezzi delle materie prime. In secondo luogo si mostra necessario assicurare
la pianificazione razionale delle strategie di sviluppo a livello multilaterale,
organizzando congiuntamente e integrando le politiche demografiche,
l’urbanizzazione, la creazioni di istituzioni nazionali competenti, ponendo
l’accento sull’importanza della ricerca scientifica, della formazione e dello
scambio di informazioni. In proposito il principio 20 prevede che “la ricerca
42
Ibidem, p. 462 e ss. Le ragioni di tale impostazione risalgono alla lentezza dei negoziati
sulla Convenzione per la prevenzione dell’inquinamento marino dovuto allo scarico di
rifiuti tossici. Fallite le speranze di chi intendeva includere la Convenzione tra gli atti aperti
alla firma durante la conferenza, la formulazione del principio, proposta della delegazione
indiana, venne accettata senza obiezioni. La convenzione venne infine firmata a Londra,
Città del Messico, Mosca e Washington il 29 dicembre del 1972.

26
e lo sviluppo scientifico nel contesto dei problemi ambientali (…) devono
(must) essere promossi in ogni paese, specialmente nei paesi in via di
sviluppo. A tale scopo la libera circolazione di informazioni scientifiche
aggiornate e il trasferimento di esperienze devono (must) essere promosse
ed assistite (…); e tecnologie ambientali dovrebbero (should) essere messe a
disposizione dei paesi in via di sviluppo (…) senza tuttavia che
costituiscano un onere economico per i paesi in via di sviluppo”43. Questa
formulazione rappresenta un compromesso tra le esigenze di tutela della
proprietà intellettuale dei paesi industrializzati e gli sforzi delle delegazioni
dei paesi in via di sviluppo mirati a rafforzare un principio di sostanziale
importanza. Quest’ultime hanno ottenuto l’eliminazione della formula “to
the fullest extent praticable” relativa al trasferimento di informazioni, che
avrebbe consentito una maggiore protezione dei brevetti e dei diritti
d’autore. Inoltre è stato inserito un esplicito riferimento al trasferimento di
tecnologie e non soltanto quindi di informazioni e conoscenza scientifica.
D’altra parte tale trasferimento si avvale della formula “should be made
available”, che indebolisce notevolmente la portata della disposizione44.
I restanti principi risultano particolarmente interessanti sul piano dello
sviluppo del diritto internazionale ambientale. Il già citato principio 21
contempera il diritto sovrano allo sfruttamento delle proprie risorse secondo
le proprie politiche ambientali45 con il dovere di non danneggiare aree non
sottoposte alla propria sovranità. Ovviamente non si può ritenere che
all’interno del proprio territorio uno Stato abbia il diritto illimitato di
43
“Scientific research and development in the context of environmental problems, both
national and multinational, must be promoted in all countries, especially the developing
countries. In this connection, the free flow of up-to-date scientific information and transfer
of experience must be supported and assisted, to facilitate the solution of environmental
problems; environmental technologies should be made available to developing countries on
terms which would encourage their wide dissemination without constituting an economic
burden on the developing countries.”
44
Cfr. SOHN, op. cit., p. 483 e ss.
45
Gia riconosciuto da molte risoluzioni dell’Assemblea Generale miranti a preservare le
risorse dei paesi in via di sviluppo dallo sfruttamento arbitrario dei gruppi multinazionali,
pur tentando di trovare un bilanciamento con la necessità di garantire alcuni diritti a
quest’ultime soprattutto al fine di stabilizzare il flusso degli investimenti verso i paesi in via
di sviluppo. Tra tutte riveste particolare rilevanza la risoluzione 1803 del 1962, denominata
“Sovranità permanente sulle risorse naturali”, la quale prevede che: “The rights of people
and nations to permanent sovereignty over their natural wealth and resources must be
exercised in the interest of their national development of the well-being of the people of the
State concerned”. Cfr SANDS, op. cit., p. 187 e ss.

27
disporre delle proprie risorse. Un’interpretazione a tal punto estensiva
sarebbe del tutto incoerente con lo spirito della Dichiarazione, la quale non
manca di enfatizzare i più punti le responsabilità verso le generazioni future.
A tale proposito sarebbe stato proficuo adattare il testo del principio alla
proposta della Santa Sede che faceva riferimento al requisito di equità delle
politiche ambientali determinanti lo sfruttamento delle risorse (“a just
environmental policy”)46. Il principio 21 è strettamente collegato al
successivo, relativo al dovere degli Stati di sviluppare regole comuni
ulteriori sulla responsabilità e il risarcimento del danno, come al già
menzionato principio 24 e al 25, riguardanti il più generale obbligo di
cooperazione nella protezione ambientale, sia tra Stati che nel quadro delle
organizzazioni internazionali. Ai sensi del principio 23, nel corso del
processo di negoziazione dei successivi trattati in materia si dovranno tenere
in particolare considerazione le esigenze e la peculiare scala di valori dei
paesi in via di sviluppo, evitando di pretendere da essi il rispetto di standard
che possano comportare un costo sociale ingiustificato. Infine il principio 26
auspica la rapida adozione di un accordo mirante ad eliminare
completamente le armi nucleari e tutti i mezzi di distruzione di massa.
Il giudizio sui lavori e sui risultati della Conferenza deve essere
formulato tenendo presente che il motivo ispiratore del vertice non era
cercare dei rimedi concreti ed efficaci alla crisi ambientale che andava
profilandosi, ma delineare un nuovo ordine di problemi e impostare i criteri
più opportuni per la loro soluzione. In tal senso si rivela particolarmente
assennata e realistica l’idea di mettere in rilievo l’importanza della
cooperazione internazionale, in modo che possa costituire la causa come la
conseguenza di nuove norme internazionali relative ai problemi ambientali e
che possa rappresentare il fondamento del mutato concetto di sovranità
nazionale, non più incentrata sull’esclusività del potere di sfruttamento delle
proprie risorse.

46
Cfr. SOHN, op. cit., p. 492 e ss.

28
3. Da Stoccolma a Rio

La Conferenza di Stoccolma ha avuto un ruolo fondamentale nel


catalizzare l’attenzione degli Stati e dei popoli del pianeta sul pressante
problema del deterioramento ambientale e sulla necessità di trovare rimedi
su scala globale. L’inquinamento cominciò ad essere percepito come una
possibile lesione ad interessi fondamentali non più dei singoli Stati ma
dell’umanità nella sua interezza. Tale nuova concezione delle problematiche
ambientali ebbe un’influenza determinante nell’evoluzione del diritto
ambientale fino alla Conferenza di Rio del 1992, indirizzandolo verso la
costituzione di strumenti ed organismi funzionali alle rinnovate necessità di
tutela globale.

3.1. La nascita del Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite

Il resoconto della Conferenza di Stoccolma venne esaminato durante


la XXVII sessione dell’Assemblea Generale, durate la quale furono adottate
undici risoluzioni. Di particolare interesse risultano essere le risoluzioni
dalla 2997 alla 3004, riguardanti la cooperazione internazionale in materia
ambientale ed in primo luogo la creazione del Programma per l’ambiente
delle Nazioni Unite (United Nations Environment Programme, UNEP). In
particolare, con la risoluzione 299747, denominata “meccanismi istituzionali
e finanziari per la cooperazione internazionale ambientale”, si procedette a
determinare l’apparato istituzionale dell’ UNEP. Al Consiglio Direttivo
(Governing Council), composto dai rappresentanti di 58 Stati selezionati
geograficamente ed eletti per un periodo di tre anni dall’Assemblea
Generale, furono attribuite funzioni di indirizzo per la promozione e il
coordinamento della cooperazione internazionale ambientale nel quadro
delle Nazioni Unite, raccomandando a tal fine le politiche più idonee; al
Segretariato, e al Direttore Esecutivo che lo presiede, competono funzioni di

47
Consultabile sul del sito dell’UNEP: www.unep.org (pagina base).

29
consulenza e coordinamento della cooperazione ambientale, sia nel sistema
delle Nazioni Unite che in relazione all’operato di altre organizzazioni
regionali, nonché l’esecuzione dei programmi di protezione ambientale
decisi dal Consiglio; le azioni intraprese dall’UNEP vengono finanziate da
un apposito fondo, l’ Environment Fund, la cui entità dipende dai contributi
volontari degli Stati, i quali negli ultimi anni hanno progressivamente
ridotto l’ammontare dei contribuiti o ne hanno vincolato il versamento
all’attivazione di specifici progetti; inoltre al Direttore Esecutivo spetta la
presidenza di un ufficio costituito appositamente per il coordinamento delle
politiche ambientali determinate a livello internazionale, l’ Environment
Co-ordination Board. Le attività dell’UNEP riguardano in prevalenza le tre
categorie previste dal Piano d’Azione di Stoccolma: la valutazione
ambientale, la gestione equilibrata dello sfruttamento delle risorse e le
misure di sostegno ad attività formative e cooperative. L’opera di
valutazione ambientale è demandata all’Earthwatch, il quale, benché privo
di un effettivo quadro istituzionale, coordina l’attività valutativa dei centri di
monitoraggio ambientale ad ogni livello, incluso l’operato del GEMS. Nel
1977, continuando a seguire lo schema delineato a Stoccolma, viene creata
un apposita rete per lo scambio di informazioni a livello internazionale,
INFOTERRA.
Tra le singole iniziative promosse dall’UNEP hanno avuto particolare
rilevanza i 3 programmi di Montevideo per lo sviluppo e il riesame
periodico del diritto internazionale dell’ambiente. Essi, a partire dal 1982,
hanno illustrato le linee guida da seguire e le priorità da tenere in
considerazione e hanno proficuamente stimolato l’attività negoziale degli
Stati attraverso la predisposizione di bozze di trattati preparati dalla
Environmental Law Unit, riesaminati da dei gruppi di lavoro di esperti
istituiti ad hoc e successivamente discussi e adottati dal Consiglio Direttivo
o approvati da un’apposita conferenza, come nel caso della Convenzione di
Vienna del 1985 per la protezione della fascia di ozono. Il ruolo dell’UNEP
nello sviluppo del diritto internazionale è stato senz’altro fondamentale e

30
dalla sua creazione ad oggi più di quaranta trattati ambientali multilaterali
sono stati negoziati sotto la sua guida48.

3.2. La formazione di norme per la protezione dell’ambiente globale

La Conferenza di Stoccolma ha avuto una certa influenza anche sui


negoziati della Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (United
Nations Conference on the Law of the Sea, UNCLOS), iniziata proprio nel
1972 e conclusasi dieci anni dopo con l’adozione della Convenzione di
Montego Bay sul diritto del mare49. Sono molte le disposizioni della
Convenzione che mirano a preservare l’ambiente marino da eventuali
pregiudizi derivanti dalle varie attività poste in essere dagli Stati in tale
contesto, ma in particolare risulta degna di nota la norma contenuta nell’art.
19250. Ai sensi di tale articolo agli Stati viene imposto l’obbligo generale di
proteggere e preservare l’ambiente marino. Pertanto lo Stato dovrà astenersi
dal pregiudicare anche le aree che rientrano a pieno titolo sotto la sua

48
Sulla nascita e sulle iniziative promosse dall’UNEP cfr. KISS, SHELTON, op. cit., p. 86
e ss.; SANDS, op. cit., p. 38 e ss.
49
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base). La Convenzione
rappresenta lo strumento più importante del settore del diritto ambientale relativo alla tutela
delle acque, ma per quanto riguarda la protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento
già all’inizio degli anni settanta si è assistito allo sviluppo di un articolato regime di tutela
globale, soprattutto in seguito ai numerosi incidenti occorsi alle petroliere e al conseguente
versamento di ingenti quantità di idrocarburi in mare. In particolare si vedano la
Convenzione del 1969 sull’intervento in alto mare in caso di incidenti causati da
idrocarburi, la Convenzione di Londra del 1972 sulla protezione dell’ambiente marino da
immissione di rifiuti e altre sostanze inquinanti e la Convenzione del 1973 sulla
prevenzione dell’inquinamento proveniente da navi, la c.d. Convenzione Marpol,
modificata da un protocollo del 1978. I testi delle convenzioni so no consultabili sul sito
della International Marittime Organization (IMO): www.imo.org pagina base. Per quanto
riguarda il settore, tradizionalmente disciplinato da accordi bilaterali, relativo alla
protezione dei corsi d’acqua internazionali si devono attendere gli anni novanta perché
possa essere osservato lo sviluppo di un regime convenzionale di portata globale. Sul
modello della Convenzione di Helsinki del 1992 sulla protezione e l’uso dei corsi d’acqua
transfrontalieri e dei laghi internazionali, elaborata sotto gli auspici della Commissione
Economica delle Nazioni Unite per l’Europa, nel 1997 è stata aperta alla firma la
Convenzione sugli usi dei corsi d’acqua internazionali per scopi diversi dalla navigazione,
negoziata nell’ambito delle Nazioni Unite. I testi delle convenzioni sono consultabili
rispettivamente sul sito della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa,
www.unece.org pagina base, e sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org pagina base.
50
Art. 192, general obligation: “States have the obligation to protect and preserve the
marine environment”.

31
giurisdizione, senza che l’eventuale nocumento che esso possa arrecare agli
interessi di un altro Stato abbia la minima rilevanza51.
Poche settimane prima della chiusura dell’UNCLOS, il 28 ottobre
1982, l’Assemblea Generale adottò la Carta Mondiale della Natura, annessa
alla risoluzione 37/752. Tre sono le principali innovazioni apportate dal
documento. Come le precedenti dichiarazioni essa era ovviamente priva di
efficacia vincolante, ma differiva dalle stesse nella forma e nella sostanza.
Si trattava infatti di uno strumento apertamente ecologista, che conferiva
alla natura il diritto ad una protezione di tipo assoluto. Alla concezione
antropocentrica della tutela ambientale, che subordinava ogni misura
protettiva all’esistenza di uno specifico interesse, benché dell’umanità nella
sua interezza, si sostituisce il riconoscimento del dovere di preservare
l’integrità della natura in quanto tale, come un fine a sé stante53. Alla Carta
va riconosciuto anche il merito di aver integrato le necessità di tutela
ambientale con quelle dello sviluppo economico, prendendo le mosse
dall’impostazione meramente coordinativa di Stoccolma e iniziando a
delineare quel concetto di sviluppo sostenibile che entro pochi anni diverrà
il cardine del diritto dell’ambiente. Inoltre viene introdotto per la prima
volta in campo internazionale il principio di precauzione. L’art. 11 dispone
che le attività che possano avere un impatto sulla natura dovranno essere
controllate con le migliori tecnologie disponibili e, in particolare, alla lettera
b) si prevede che: “Le attività che comportano un rischio significativo per la
natura dovranno essere precedute da un esame esaustivo (…) e nel
51
La Convenzione di Montego Bay contiene altri obblighi molto specifici e posti
direttamente in capo agli Stati relativi alla protezione dell’ambiente marino. In particolare
nella sezione XII, intitolata “Protection and Preservation of the Marine Environment”,
l’art. 194 par. 1 prevede che gli Stati adotteranno misure preventive sulla base degli
strumenti più idonei in loro possesso e secondo le loro capacità, adoperandosi per
armonizzare le loro politiche di tutela ambientale. Il par. 3 dispone che gli Stati dovranno
dotarsi degli strumenti adeguati per prevenire ogni possibile forma di inquinamento
all’ambiente marino proveniente dalle navi sottoposte alla loro giurisdizione o dalle attività
poste in essere sul loro territorio. Per un excursus sulle disposizioni della Convenzione
relative all’ambiente cfr. KISS, SHELTON, op. cit., p. 445 e ss.; MONTINI, L’ambiente
nel diritto internazionale, in MEZZETTI (a cura di) Manuale di diritto ambientale, Padova,
2001, p. 21 e ss.
52
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base).
53
Tale impostazione viene sintetizzata dall’art. 1: “Nature shall be respected and its
essential processes shall not be impaired.” Analogamente nel preambolo si riconosce
esplicitamente che “every form of life is unique, warranting respect regardless to its worth
to man”.

32
momento in cui i potenziali effetti avversi non siano pienamente compresi
tali attività non dovrebbero essere intraprese”54. Il riconoscimento del
principio precauzionale è, in campo ambientale, di sostanziale importanza,
considerando, da un lato, la possibile irreversibilità del danno e, dall’altro, la
difficoltà di raggiungere la completa certezza scientifica circa le possibili
conseguenze di una determinata attività. Il documento è stato redatto
utilizzando un linguaggio molto generale, riducendo quindi la probabilità
che i principi ivi enunciati possano trasformarsi in diritto consuetudinario e
limitandone la portata alla dimensione etica, senza che possano determinare
un effettivo obbligo di condotta55.
Negli anni immediatamente successivi sono stati adottati due
strumenti56 che meritano di essere menzionati, la Convenzione di Vienna per
la protezione della fascia di ozono57 del 22 marzo 1985 e il relativo
Protocollo sulle sostanze che impoveriscono l’ozonosfera58 adottato a
Montreal il 16 settembre 1987. La riduzione dello strato di ozono, che
protegge ogni forma di vita dagli effetti letali delle radiazioni ultraviolette,
rappresenta un pericolo gravissimo, immediato e a cui a nessuno è dato
sottrarsi. Pertanto non stupisce che in materia sia stata adottata una
normativa fra le più avanzate ed efficaci59. La Convenzione è una

54
“Activities which are likely to pose a significant risk to nature shall be preceded by an
exhaustive examination; their proponents shall demonstrate that expected benefits outweigh
potential damage to nature, and where potential adverse effects are not fully understood, the
activities should not proceed”
55
Sulla Carta Mondiale della Natura cfr. SANDS, op. cit., pp. 42 e ss.; KISS, SHELTON,
op. cit., p. 64 e ss., SCOVAZZI, op. cit., in RDI, 1989, p. 605 e ss.; SCOVAZZI, op. cit., in
RGA, 1986, p. 277 e ss.
56
La Convenzione di Vienna e il relativo protocollo si inseriscono nel settore relativo ala
protezione dell’aria da varie forme di inquinamento. Oltre alla Convenzione di Vienna
sull’inquinamento da clorofluorocarburi e alla Convenzione di Rio sull’inquinamento da
gas serra (vedi par. 4.3.), merita di essere menzionata anche la Convenzione di Ginevra del
1979 sull’inquinamento transfrontaliero a lunga distanza, dovuta principalmente alle
preoccupazioni inerenti al fenomeno delle piogge acide. Anche la Convenzione di Ginevra
si presenta come una convenzione quadro e ha costituito il forum negoziale di cinque
protocolli attuativi, relativi alla progressiva riduzione delle emissioni di zolfo e di ossidi di
azoto. Il testo della Convenzione è consultabile sul sito dell’UNEP: www.unep.org (pagina
base).
57
Ibidem.
58
Ibidem.
59
Cfr. TAMBURELLI, Gli atti internazionali per la protezione dell’ozono stratosferico e
la loro esecuzione in Italia, in RDI, 1994, p. 675 e ss.; MONTINI, L’ambiente nel diritto
internazionale, op. cit. supra, p. 17 e ss.; RUTGEERTS, Trade and Environment.
Reconciling the Montreal Protocol and the GATT, in JWT, 1999, p. 61 e ss.

33
“convenzione quadro” che, richiamando nel preambolo il principio 21 della
Dichiarazione di Stoccolma, obbliga le parti ad adottare misure adeguate
per eliminare gli effetti nocivi delle attività umane sull’ozonosfera,
rinviando ad una successiva definizione obblighi più specifici. Tali obblighi
sono stati stabiliti dal Protocollo di Montreal prima ancora che la
Convenzione entrasse in vigore60. Il Protocollo, attraverso la previsione di
concreti criteri per la produzione, il consumo e il commercio 61 delle sostanze
contenenti clorofluorocarburi, pone in essere per la prima volta una
regolamentazione internazionale di portata globale per una specifica attività
industriale, richiedendo ai paesi firmatari la stabilizzazione delle emissioni
di clorofluorocarburi ai livelli del 1986 e la loro riduzione del 50% entro il
1998. Inoltre, nonostante non venga espressamente menzionato, viene
introdotto anche il principio delle responsabilità comuni ma differenziate, in
ragione del fatto che, pur avendo un comune dovere di cooperazione, i paesi
in via di sviluppo hanno contribuito all’impoverimento dello strato di ozono
in misura decisamente minore e nella fattispecie viene consentito loro di
posporre di dieci anni l’applicazione delle misure previste. Il Protocollo è
stato inoltre emendato ed aggiornato (a Londra nel 1990, a Copenhagen nel
1992 e nuovamente a Montreal nel 1997 ed infine a Pechino nel 1999), con
la previsione ulteriore di istituire un fondo multilaterale, incaricato di gestire
l'assistenza finanziaria e tecnica agli Stati in via di sviluppo.
3.3. I lavori della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo

Durante gli anni ottanta le preoccupazioni della comunità


internazionale circa la velocità a cui l’ambiente andava deteriorandosi
crebbero notevolmente.
Una serie di incidenti catastrofici spinsero la comunità internazionale
verso una maggiore sensibilità ambientale. Ricordiamo il caso di Seveso nel
60
La Convenzione è entrata in vigore il 22 settembre 1988, con il deposito del ventesimo
strumento di ratifica, il protocollo il 1° gennaio 1989.
61
Il protocollo, oltre a regolamentare il commercio di prodotti contenenti clorofluorocarburi
o realizzati secondo processi produttivi che ne necessitano l’impiego, mira a disincentivare
anche l’esportazione di tecnologie che prevedono l’utilizzo di sostanze pericolose per la
fascia di ozono dai paesi industrializzati verso i paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo di
incentivare lo sviluppo e soprattutto la diffusione di tecnologie alternative che facciano uso
di altre sostanze.

34
1976, il naufragio della petroliera Amoco Cadiz nel 1978, la strage di
Bophal nel 1984 e l’esplosione del reattore nucleare di Cernobyl nel 1986.
La desertificazione, le piogge acide, il depauperamento del patrimonio
forestale tropicale divennero motivo di preoccupazione crescente per
l’opinione pubblica mondiale. Lo scoppio della crisi del debito
internazionale dei paesi in via di sviluppo, cominciata nel 1982, rese ancora
più pressante il problema. La necessità di massimizzare le entrate di valuta
pregiata per fare fronte al servizio del debito si tradusse in politiche di
sfruttamento selvaggio delle proprie risorse naturali, sia su iniziativa delle
élites locali che conformemente alle indicazioni contenute nei piani di
aggiustamento strutturare formulati dalle istituzioni finanziarie
internazionali. Inoltre si diffuse la consapevolezza che la desertificazione, la
scarsità d’acqua potabile, la deforestazione tendono a determinare un’alta
conflittualità sociale, costituendo una minaccia anche per la sicurezza di
Stati estranei a tali fenomeni. In sostanza si cominciò a comprendere non
soltanto che lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo era un problema che
riguardava molto da vicino anche gli Stati industrializzati, ma anche che la
necessità di colmare il divario tra i due sistemi economici non poteva in
nessun caso prescindere dalla compatibilità con la tutela dell’ambiente.
E’ in questo clima che l’Assemblea Generale, con la risoluzione
38/16162 del 19 dicembre 1983, accolse con soddisfazione la proposta del
Consiglio Direttivo dell’UNEP di istituire una Commissione Speciale per
collaborare con un comitato preparatorio intergovernativo all’elaborazione
di una “Prospettiva ambientale per l’anno 2000 ed oltre”. L’Assemblea
suggerì vari termini di riferimento su cui la Commissione avrebbe dovuto
focalizzare il proprio lavoro, tra cui, principalmente, “proporre una strategia
ambientale di lungo periodo per conseguire uno sviluppo sostenibile per
l’anno 2000 ed oltre”63. Sulla base di tale risoluzione fu istituita la
Commissione mondiale su ambiente e sviluppo presieduta dalla norvegese
Gro Harlem Brundtland. Dopo essere stato discusso dal Consiglio Direttivo
dell’UNEP il Rapporto della Commissione, intitolato “Our Common
62
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base).
63
Par. 8 a) della risoluzione.

35
Future”, venne sottoposto all’esame dell’Assemblea Generale durante la
sua quarantaduesima sessione64, nel dicembre del 1987, perché potesse
costituire la base per la preparazione e l’adozione, da parte dell’Assemblea,
della Prospettiva Ambientale65.
Il Rapporto Brundtland, indirizzato ai governi del pianeta, alle
organizzazioni internazionali e ai semplici cittadini, ha rappresentato
un’effettiva svolta nel modo di intendere le problematiche internazionali:
“Fino a tempi recenti, il pianeta era un vasto mondo in cui le attività umane
ed i loro effetti erano chiaramente compartimentati nell’ambito di nazioni e
di settori (energia agricoltura, commercio), oltre che in vaste categorie di
problemi (ambientali, economici, sociali). Tali compartimenti hanno
cominciato a dissolversi, e ciò vale in particolare per le grandi “crisi”
globali (…). Non ci sono crisi separate: non c’è una crisi ambientale, una
crisi dello sviluppo, una crisi energetica. Esse sono un tutt’uno.”66 In base al
riconoscimento di tale interdipendenza la Commissione decise, durante la
sua riunione inaugurale tenutasi Ginevra nell’ottobre del 1984, di
focalizzare i propri lavori su otto punti chiave: l’incremento demografico, la
sicurezza alimentare, l’approvvigionamento energetico, lo sviluppo
industriale, l’urbanizzazione, i rapporti economici internazionali, i sistemi di
supporto decisionale alla gestione ambientale, la cooperazione
internazionale. Nel tentativo di adempiere alle richieste formulate
dall’Assemblea Generale nei termini di riferimento contenuti nella
risoluzione 38/161, la Commissione suggerì alcune misure essenziali,
sintetizzate nella “Dichiarazione di Tokyo”, un comunicato adottato durante
la sua riunione finale del 27 febbraio 1987. Un’assoluta priorità venne
attribuita alla necessità di riformare l’attuale ordine economico
internazionale. La crescita economica dei paesi in via di sviluppo deve
essere rianimata attraverso la soluzione della crisi debitoria, un cospicuo
aumento, preferibilmente a livello multilaterale, dei flussi finanziari per lo

64
Cfr. la risoluzione 42/187, consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina
base).
65
Annessa alla risoluzione 42/186, Ibidem.
66
Rapporto della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, Il futuro di tutti noi,
1988, p. 27.

36
sviluppo, la stabilizzazione dei proventi delle esportazioni67, il trasferimento
di tecnologie e la facilitazione dell’accesso ai mercati. Il diritto ambientale
nazionale ed internazionale deve essere sviluppato e costantemente
aggiornato alle più recenti esigenze, l’apparato istituzionale deve essere
rafforzato. La partecipazione della cittadinanza, delle organizzazioni non
governative, della comunità scientifica deve essere incentivata, la base delle
risorse deve essere conservata e possibilmente incrementata.
Lo strumento più efficace per raggiungere tali obiettivi è il
rafforzamento della cooperazione internazionale, secondo le parole dello
stesso Presidente Brundtland: “il nostro compito più urgente oggi consiste
forse nel persuadere le nazioni della necessità di tornare al
multilateralismo.”68 Il fine ultimo a cui mira tale processo di riforma
strutturale è “ la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì
che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la
capacità di quelle future di rispondere ai loro”69.

3.4. Il principio dello sviluppo sostenibile

Grazie al contributo della Commissione Brundtland veniva ad


affermarsi il principio più importante del diritto internazionale
dell’ambiente, veicolo per l’integrazione della tutela ambientale in ogni altra
politica, il principio dello sviluppo sostenibile70. Di tale principio non esiste
una definizione giuridica. Già al termine sviluppo può essere attribuita una
molteplicità di significati. L’aggettivo sostenibile complica il concetto,
implicando l’esistenza di un limite imposto alle possibilità di sviluppo.

67
In modo particolare per quanto riguarda le materie prime, che costituiscono in media più
del 70% delle esportazioni dei paesi in via di sviluppo.
68
Rapporto della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, op. cit., p. 17.
69
Ibidem, p. 32.
70
Sul principio dello sviluppo sostenibile cfr. PEPE, Lo sviluppo sostenibile tra diritto
internazionale e diritto interno, in RGA, 2002, pp. 215 e ss.; MONTINI, L’ambiente nel
diritto internazionale, op. cit., p. 8 e ss.; MONTINI, La necessità ambientale, op. cit., p. 32
e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p. 66 e ss.; SANDS, op. cit., p. 182 e ss.; MARCHISIO, Il
principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale, in MARCHISIO,
RASPADORI, MANEGGIA, Rio cinque anni dopo, Milano, 1998, p. 57 e ss.

37
Quale sia la natura di tale limite dipende da fattori storici e sociali, che
mutano con l’evolversi delle possibilità di azione degli esseri umani. Gli
elementi che compongono il concetto sono essenzialmente quattro,
strettamente correlati, spesso usati in combinazione e frequentemente
intercambiabili.
Il primo di questi, e probabilmente il più importante, è il concetto di
equità intergenerazionale. Esso può essere accostato all’istituto di diritto
privato del trust, di matrice anglosassone, inteso come affidamento
fiduciario di un bene ad un soggetto (l’attuale generazione) che ne può
disporre pur essendo responsabile nei confronti di un beneficiario (le
generazioni future). Si individua quindi nelle generazioni future un soggetto
di diritto avente titolo alla conservazione dei beni ambientali e all’uso
ragionevole delle risorse71. Tale linea di tendenza può essere fatta risalire al
Caso della pesca delle foche nel mare di Behring del 1983, quando gli Stati
Uniti avanzarono la pretesa di prevenire la pesca indiscriminata delle foche
anche in acque al di fuori della loro giurisdizione. Il Tribunale Arbitrale
negò tale diritto agli Stati Uniti, ma contestualmente elaborò un regolamento
di pesca negoziato tra le parti per prevenire l’estinzione delle foche 72. Il
principio di equità intergenerazionale è esplicitamente o implicitamente
incluso nella maggioranza dei recenti trattati ambientali.
Il secondo elemento riguarda l’uso sostenibile delle risorse naturali.
Questo aspetto pone l’accento principalmente sull’adozione di standard che
garantiscano un tasso di sfruttamento razionale delle risorse, piuttosto che
sulla loro preservazione per le generazioni future. Nel tentare di porre un
71
A tale proposito riveste un particolare interesse la sentenza, del 30 giugno 1993, della
Corte Suprema delle Filippine nel caso Minor Oposa vs. Secretary of Department of the
Environment and Natural Resources (consultabile su ILM, 1994, p. 173 e ss.)che riconosce
ad un gruppo di minori il diritto di rivendicare, anche a nome delle generazioni future, il
diritto ad un uso razionale delle risorse. La Corte si spinge a riconoscere al diritto “to a
balanced and healthful ecology” un valore addirittura superiore a quello delle norme
costituzionali, in quanto relativo all’autopreservazione e alla riproduzione dell’umanità,
indiscutibilmente appartenenti al diritto di natura. La sentenza in questione però si basa
soltanto sul diritto interno delle Filippine, dove le generazioni future sono espressamente
menzionate, ad esempio all’art. 16 della costituzione o nel decreto presidenziale 1151 del
1977, il quale attribuisce espressamente ad ogni generazione il dovere di custodire le risorse
in nome e per conto di quelle successive. Cfr. SCOVAZZI, Le azioni delle generazioni
future, in RGA, 1995, p. 165 e ss.
72
La sentenza è citata da MONTINI, L’ambiente nel diritto internazionale, op. cit., p. 8 e
ss.; SANDS, op. cit., p. 199 e ss.

38
limite all’utilizzo indiscriminato delle risorse si è fatto ricorso ad una
molteplicità di aggettivi: wise, appropriate, judicious, sound, proper,
rational, sustainable. Ciò conduce a considerare tale principio una norma
meramente programmatica e a non poter determinare in maniera univoca il
contenuto degli standard da perseguire, operazione che dovrà essere
necessariamente demandata all’interpretazione che ne verrà data in sede
giudiziale o dall’attività cooperativa degli Stati.
Il terzo elemento è rappresentato dal concetto di equità
intragenerazionale, in relazione al quale si manifesta l’urgenza di tenere
nella più alta considerazione le esigenze degli altri Stati e degli altri popoli
del pianeta. Questo concetto è strettamente correlato sia al principio delle
responsabilità comuni ma differenziate, che distingue i doveri degli Stati
alla luce delle loro diverse possibilità materiali nonché del loro diverso
contributo al deterioramento ambientale, sia al principio del patrimonio
comune dell’umanità73.
Infine il quarto elemento costitutivo del concetto di sviluppo
sostenibile è rappresentato dalla necessaria integrazione tra le politiche dello
sviluppo e quelle di protezione ambientale. Da un lato i piani per lo sviluppo
devono tenere in considerazione le conseguenze che possono avere
sull’ambiente, dall’altro le misure di tutela ambientale non devono
prescindere dal valutare attentamente gli effetti che producono sia a livello
economico che a livello sociale. Si tratta del principio dal contenuto
maggiormente concreto, la sua applicazione richiede la raccolta e la
diffusione di informazioni, la valutazione di impatto ambientale, nonché
legittima l’inclusione di clausole di condizionalità ambientali negli
strumenti di assistenza allo sviluppo (le c.d. green conditionality). Naturale
complemento del concetto di uso sostenibile delle risorse ne amplia il

73
Va segnalato che tale principio ha trovato applicazione in relazione alla tutela ambientale
degli spazi comuni, mentre l’accettazione della ripartizione equitativa delle relative risorse
ha incontrato notevoli difficoltà. Si pensi all’opposizione dei paesi industrializzati alla parte
XI della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del che disciplina lo
sfruttamento minerario della piattaforma oceanica e, analogamente, alle difficoltà
incontrate dalla Convenzione di Wellington sulla regolamentazione delle attività minerarie
antartiche a fronte della rapidità con cui è stata adottato il Protocollo di Madrid sulla
protezione ambientale dell’Antartide. Cfr. FRANCIONI, op. cit. supra, p. 443 e ss.

39
contenuto ed enfatizza la necessità di azioni globali, non limitate ad uno
specifico settore.
All’affermazione del principio ha contribuito significativamente la
Corte Internazionale di Giustizia, la quale, con la già citata sentenza resa il
25 novembre 1997 nel caso Gabcikovo-Nagymaros, al paragrafo 14074 non
soltanto afferma, come abbiamo rilevato in precedenza, che “norme attuali”
impongono l’obbligo di vigilanza e prevenzione, ma si spinge oltre, facendo
riferimento a “nuove norme e nuovi standard” enunciati in molti strumenti
giuridici adottati negli ultimi due decenni. Tali norme sono la logica
conseguenza dell’accresciuta capacità delle attività umane di interferire con
la natura e si sono sviluppate grazie alla consapevolezza dei rischi che tali
attività comportano per le generazioni presenti e future. La necessità di
minimizzare tali rischi conciliando lo sviluppo economico con la tutela
ambientale “è appropriatamente espressa dal concetto di sviluppo
sostenibile”. Risulta quindi evidente quale sia la natura delle nuove norme
in questione, ma quel che è più importante è che la Corte riconosce loro il
valore di diritto positivo75, non si tratta quindi di meri principi etici, ma di
norme concretamente operanti, che devono essere applicate sia alle attività
che verranno intraprese nel futuro, sia a quelle che sono già state poste in
essere.
Probabilmente la Corte avrebbe dovuto utilizzare un linguaggio meno
generico, qualificando lo sviluppo sostenibile come un principio giuridico76
e non come semplice concetto, tuttavia ne trae una regola applicabile al caso
74
“(…) The Court is mindful that, in the field of environmental protection, vigilance and
prevention are on account of the often irreversible character of damage to the environment
and of the limitations inherent in the very mechanism of reparation of this type of damage.
Throughout the ages, mankind has, for economic and other reasons, constantly interfered
with nature. In the past, this was often done without consideration of the effects upon the
environment. Owing to new scientific insights and to a growing awareness of the risks for
mankind — for present and future generations — of pursuit of such interventions at an
unconsidered and unabated pace, new norms and standards have been developed, set forth
in a great number of instruments during the last two decades. Such new norms have to be
taken into consideration, and such new standards given proper weight, not only when States
contemplate new activities but also when continuing with activities begun in the past. This
need to reconcile economic development with protection of the environment is aptly
expressed in the concept of sustainable development (…).” (corsivo aggiunto).
75
Cfr. MARCHISIO, Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale, in op.
cit., p. 70: “E tali nuove norme sono per la Corte diritto positivo, effettivamente vigente
nella comunità internazionale, e non imperativi morali o semplici indicazioni politiche e,
pertanto, devono applicarsi anche al caso che la Corte deve decidere”

40
in specie e afferma esplicitamente l’esistenza di nuove norme ispirate a tale
concetto. Pertanto appare eccessivamente restrittiva la definizione di
“semplice linea di tendenza che va affermandosi in seno alla comunità
internazionale” avanzata da parte della dottrina77.
La Commissione Brundtland, in conclusione dei suoi lavori, fece
appello all’Assemblea Generale affinché essa predisponesse una Conferenza
internazionale per la promozione dei principi emersi dal Rapporto. Essa
considerava l’adeguamento della comunità internazionale alle proprie
raccomandazioni un presupposto essenziale per un effettivo cambiamento e
a tal fine auspicava la trasformazione del Rapporto in un Programma di
azione per lo sviluppo sostenibile78. L’Assemblea Generale mostrò una
notevole disponibilità nei confronti delle richieste della Commissione e già
durante la quarantatreesima sessione, nel dicembre del 1988, con la
risoluzione 43/19679, dette mandato al Segretario Generale, assistito dal
Direttore Esecutivo dell’UNEP, di procedere all’organizzazione della
Conferenza quanto a obiettivi, contenuti, titolo, scopo, modalità di
preparazione, tempo e luogo più idonei, e di trasmettere le proprie
considerazioni, attraverso il Consiglio Economico e Sociale, all’Assemblea
stessa durante la sessione successiva, nonché al Consiglio Direttivo
76
In tal senso, infatti, è orientata l’opinione dissenziente del giudice Weeramantry, il quale
riconosce il principio dello sviluppo sostenibile come parte integrante del diritto
internazionale moderno, criterio per la formulazione di nuove norme e per la risoluzione di
controversie ambientali. Di conseguenza andrebbe ricompreso tra le fonti del diritto cui si
riferisce l‘art 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia in qualità di principio
generale del diritto riconosciuto dalle nazioni civili. Inoltre il giudice si spinge fino a
definire il principio come un’antica idea appartenente al patrimonio culturale dell’umanità,
avendone influenzato la condotta sino dai tempi della civiltà sumerica. L’opinione del
giudice può essere consultata sul del sito della Corte: www.icj-cij.org (pagina base).
77
Cfr. CONFORTI, op cit. supra, p. 225. In generale, sul problema della qualificazione
giuridica dei principi fondamentali del diritto internazionale dell’ambiente cfr. MONTINI,
La necessità ambientale, op. cit. supra, p. 45 e ss.: “(…) se è ormai facile riscontrare sia in
dottrina che nell’opinio iuris della maggior parte degli Stati della comunità internazionale,
una certa unanimità di vedute nell’ammettere l’innegabile progressiva affermazione di tali
principi nel diritto internazionale ambientale contemporaneo in qualità di principi ispiratori
di norme precettive, vi è una certa reticenza nel riconoscere agli stessi principi anche il
possibile ruolo di vere e proprie norme precettive, in grado di imporre direttamente
determinati obblighi agli Stati, ponendosi come autonome fonti di diritto internazionale. Il
problema della corretta qualificazione giuridica (…) rimane pertanto un problema aperto, di
difficile risoluzione nel presente stadio di sviluppo del diritto internazionale. Come
minimo, tuttavia, a tali principi deve essere riconosciuto il ruolo di principi generali di
diritto internazionale.”
78
Cfr. Rapporto della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, op. cit., p. 413 e ss.
79
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base).

41
dell’UNEP. La Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo
(United Nations Conference on Environment and Development, UNCED)
venne indetta il 22 dicembre 1989 con l’adozione della risoluzione 44/228 80
.

4. La Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo

La risoluzione 228 della quarantaquattresima sessione dell’Assemblea


Generale costituisce l’ennesimo tentativo di trovare un compromesso tra le
esigenze dei paesi industrializzati, giustamente preoccupati del costante
depauperamento del patrimonio ambientale, e quelle dei paesi in via di
sviluppo, poco propensi a porre un limite alle proprie possibilità di sviluppo
al fine di trovare un rimedio a problemi ambientali che solo in minima parte
hanno contribuito a generare. In tal senso la risoluzione 44/228 è stata
definita una “creatura degli interessi del Sud”81. In essa vengono messe in
risalto a più riprese ed in maniera particolarmente esplicita le responsabilità
dei paesi del Nord. Nel preambolo si manifesta la più profonda
preoccupazione circa al fatto che “la principale causa del continuo
deterioramento dell’ambiente mondiale consiste nel modello insostenibile di
produzione e consumo che esiste nei paesi sviluppati”, si afferma che “la
responsabilità di limitare, ridurre ed eliminare i danni (…) grava sugli Stati
che ne sono la causa”, si sottolinea che “la povertà e il degrado ambientale
sono fenomeni strettamente connessi”, che nel tentare di porre un freno al
degrado ambientale “i paesi in via di sviluppo devono avere un accesso
facile a tecnologie, procedimenti ed attrezzature ecologicamente sani” e che
ad essi dovrà essere garantito il trasferimento di “risorse finanziarie nuove
ed addizionali (…), al fine di garantire la piena partecipazione all’azione
mondiale per la protezione dell’ambiente”. Inoltre ai paragrafi 9 e 11 si

80
Ibidem.
81
A. NAJAM, An Environmental Negotiations Strategy for the South, in International
Environmental Affairs, 1995, p. 256, citato in RAJAMANI, From Stockholm to
Johannesburg: the Anatomy of Dissonance in the International Environmental Dialogue, in
RECIEL, 2003, p. 24.

42
ribadisce ulteriormente la responsabilità del Nord e si sottolinea l’urgenza di
affrontare efficacemente il problema del debito estero degli Stati del Sud.
Gli obiettivi della Conferenza, delineati nel par. 15, non mancano di
rimarcare la necessità del trasferimento di tecnologie pulite e di risorse
finanziarie nuove ed addizionali, enfatizzando l’importanza della
cooperazione internazionale, dello sviluppo progressivo del diritto
internazionale e del ruolo del sistema delle Nazioni Unite.
La Conferenza delle Nazioni Unite su l’ambiente e lo sviluppo si
tenne a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992. I suoi lavori videro la
partecipazione di 183 Stati, compresa la C.E.E., dotata di una status
particolare, degli osservatori della Palestina e di vari movimenti di
liberazione nazionale, organi e programmi delle Nazioni Unite, istituti
specializzati, altre organizzazioni intergovernative e numerose
organizzazioni non governative.
Con la seconda parte della risoluzione 44/228 venne costituito il
Comitato Preparatorio della Conferenza, articolato in tre gruppi di lavoro. Il
Comitato tenne quattro sessioni negoziali tra il marzo del 1990 e l’aprile del
1992, durante le quali giunse ad un accordo sul testo della Dichiarazione su
ambiente e sviluppo, ma non su la Dichiarazione sulle foreste ed Agenda 21,
a tal fine nel corso della Conferenza furono istituiti otto gruppi di contatto
sulle tematiche più rilevanti82, che continuarono a negoziare gli atti ancora
oggetto di disaccordo. Contestualmente furono aperte alla firma la
Convenzione sulla diversità biologica e la Convenzione quadro sui
cambiamenti climatici83. La Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, la
Dichiarazione autorevole di principi giuridicamente non vincolate per un
consenso globale sulla gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile
di ogni tipo di foresta e Agenda 2184, tutti strumenti di soft law, furono
82
Le tematiche sono le seguenti: risorse e meccanismi finanziari, trasferimento di
tecnologie, atmosfera, principi sulle foreste, biodiversità e biotecnologie, risorse idriche,
strumenti e meccanismi giuridici internazionali, intese istituzionali internazionali.
83
I testi delle della Convenzione sulla diversità biologica e della Convenzione quadro sui
cambiamenti climatici sono consultabili sui siti ufficiali delle due convenzioni,
rispettivamente www.biodiv.org (pagina base), e www.unfccc.int (pagina base).
84
I testi della Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, della Dichiarazione autorevole
di principi giuridicamente non vincolate per un consenso globale sulla gestione, la
conservazione e lo sviluppo sostenibile di ogni tipo di foresta e di Agenda 21 sono

43
adottati per consensus durante la sessione finale del 14 giugno e
successivamente approvate dall’Assemblea Generale con la risoluzione
47/19085.
La Conferenza di Rio rappresenta il punto di svolta fondamentale che
ha segnato il passaggio tra due diverse concezioni delle relazioni
internazionali in materia ambientale e la Dichiarazione su ambiente e
sviluppo ne costituisce il principale risultato. Durante la quarta sessione del
Comitato Preparatorio, all’interno del terzo gruppo di lavoro incaricato di
trattare le questioni giuridiche ed istituzionali, si parlò esplicitamente di un
“paradigm shift”, cioè del mutamento qualitativo dello schema
interpretativo dei rapporti internazionali in materia. In sostanza, rispetto ai
lavori di Stoccolma, cambia l’oggetto dei tentativi di codificazione e di
sviluppo del diritto, dal diritto internazionale dell’ambiente al diritto
internazionale dello sviluppo sostenibile, nell’ipotesi di riuscire a delineare
un “nuovo ordine ecologico internazionale”86.
Il par. 15 d)87 della risoluzione 44/228 aveva assegnato all’UNCED il
compito di promuovere lo sviluppo progressivo del diritto internazionale
dell’ambiente tenendo in considerazione, oltre alla Dichiarazione
sull’ambiente umano di Stoccolma, le necessità e le particolari
preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo. In tale prospettiva era auspicata
l’adozione di una dichiarazione dei diritti e dei doveri generali degli Stati in
campo ambientale, la Carta della Terra. Vittima della reticenza degli Stati
del Sud all’adozione di principi legali in materia ambientale, la Carta è stata
sostituita dalla Dichiarazione di Rio, solenne dichiarazione sull’integrazione
tra ambiente e sviluppo, che non riveste carattere giuridicamente vincolante.

consultabili sul sito dell’UNEP, www.unep.org (pagina base).


85
Cfr. par. 2 della risoluzione, consultabile sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org
(pagina base).
86
Cfr. RAJAMANI, op. cit., p. 25; SAND, International Environmental Law after Rio, in
EJIL., 1993, p. 377 e ss.
87
“To promote the further development of international environmental law, taking into
account the Declaration of the United Nations Conference on the Human Environment, as
well as the special needs and concerns of the developing countries, and to examine in this
context the feasibility of elaborating general rights and obligations of States, as appropriate,
in the field of the environment, and taking into account relevant existing international legal
instruments”

44
4.1. La Dichiarazione di Rio

L’esempio più eloquente del “paradigm shift” avvenuto a Rio è


rappresentato dalla formulazione del principio 2 della Dichiarazione. Esso
riproduce il testo del principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma, ma,
enfatizzando lo spirito della risoluzione 1803 del 1962, estende il diritto
sovrano di sfruttare le proprie risorse naturali. Infatti, fermo restando il
divieto di inquinamento transfrontaliero, il criterio determinante tale
sfruttamento potrà essere ispirato non soltanto alle proprie politiche
ambientali, ma anche a quelle di sviluppo88. L’ampliamento della sovranità
statale sulle risorse naturali è stato recepito, più o meno esplicitamente,
anche dalle due Convenzioni e dalla Dichiarazione sulle foreste.
Ulteriori manifestazioni dell’intensa attività del Gruppo dei 77 durante
i negoziati di Rio89 sono reperibili nei principi 3, 5, 6, 9 e 7. Il principio 390
richiama esplicitamente il diritto allo sviluppo91, che i paesi del Sud avevano
posto come condizione necessaria all’accettazione dei principi procedurali e
di quelli relativi a strumenti di politica ambientale voluti dai paesi

88
Si veda in proposito MARCHISIO, Gli atti di Rio nel diritto internazionale, in RDI,
1992, p. 586 e ss. “Al fine di comprendere il valore di questa correzione “minore” della
Dichiarazione di Stoccolma, va anche detto che analoga considerazione è contenuta
nell’ottavo considerando del preambolo della Convenzione sui cambiamenti climatici,
mentre né la Convenzione sulla diversità biologica né la Dichiarazione sulle foreste la
recepiscono.(…) Sarebbe tuttavia sbagliato ritenere che questi testi intendono attenersi più
fedelmente al testo di Stoccolma. Sia la Convenzione sulla diversità biologica che la
Dichiarazione sulle foreste riaffermano, con linguaggio non equivoco, che le risorse
biologiche e le foreste costituiscono oggetto indiscusso del diritto di sovranità degli Stati e
chiariscono che il loro sfruttamento avverrà non solo – e non tanto – secondo politiche
ambientali, ma piuttosto secondo politiche di sviluppo economico. (…) Da quanto precede
si deduce che la correzione del principio 21 (…) avrà l’effetto tendenziale di ampliare la
liberta degli Stati nell’esercizio del diritto di sovranità permanente sulle risorse naturali.”
89
Si consideri anche il fatto che il titolo della Conferenza non è stato “Seconda Conferenza
delle Nazioni Unite sull’ambiente umano” come era stato inizialmente proposto dai paesi
industrializzati.
90
“The right to development must be fulfilled so as to equitably meet developmental and
environmental needs of present and future generations”
91
Va sottolineato che questa è la prima volta che il diritto allo sviluppo viene affermato in
un atto internazionale adottato per consensus. Comunque gli Stati Uniti, coerentemente con
l’atteggiamento tenuto nel 1986 di fronte all’Assemblea Generale quando da soli si
opposero all’adozione della Dichiarazione sul diritto allo sviluppo, ritennero opportuno
precisare che unendosi al consensus non intendevano mettere in discussione la loro
originaria opposizione al cosiddetto diritto allo sviluppo, che avevano già definito come
una meta da raggiungere e non come un diritto. Cfr. SANDS, op. cit, p. 51.

45
industrializzati. Tale diritto appare però attenuato dalla mancata
precisazione dei soggetti titolari e dalla correlazione con l’equità
intergenerazionale. I principi 5 e 6 enfatizzano la necessità di cooperare al
compito essenziale di eliminare la povertà e di accordare speciale priorità
alle specifiche esigenze dei paesi in via di sviluppo, in particolare a quelli
meno sviluppati o che risultino maggiormente vulnerabili sotto il profilo
ambientale. Il principio 9 fa riferimento, nel quadro dell’obbligo di
cooperazione per rafforzare lo sviluppo sostenibile, al trasferimento di
tecnologie nuove ed innovative
Il principio 792 rappresenta uno dei cardini dello sviluppo sostenibile,
incentrato sul concetto di equità intragenerazionale energicamente promosso
da paesi del Sud. Accanto al dovere generale di cooperare alla promozione
dello sviluppo sostenibile viene riconosciuto il principio delle responsabilità
comuni ma differenziate degli Stati. Gli Stati del Nord, da un lato hanno
contribuito in misura enormemente maggiore al degrado ambientale,
dall’altro dispongono delle risorse finanziarie e tecnologiche necessarie a
porvi rimedio. Di conseguenza su di essi incombe un onere maggiore nel
perseguimento dello sviluppo sostenibile, ma nella formulazione del
principio è stata attentamente evitata ogni menzione di specifici obblighi, in
modo particolare di natura finanziaria93. La prima conseguenza di tale
principio si concretizza nella differenziazione degli obblighi derivanti da
accordi relativi allo sviluppo sostenibile, come nel caso della Convenzione
sui cambiamenti climatici. Anche il principio 11 della Dichiarazione
riconosce che determinati standard di protezione ambientale possano
92
“States shall cooperate in a spirit of global partnership to conserve, protect and restore the
health and integrity of the Earth's ecosystem. In view of the different contributions to global
environmental degradation, States have common but differentiated responsibilities. The
developed countries acknowledge the responsibility that they bear in the international
pursuit of sustainable development in view of the pressures their societies place on the
global environment and of the technologies and financial resources they command.”
93
I negoziati sul principio 7 furono particolarmente controversi. Alcuni paesi in via di
sviluppo avrebbero voluto che il principio venisse formulato esplicitando la “principale”
responsabilità dei paesi industrializzati in tema di protezione ambientale. In senso opposto
gli Stati Uniti ritennero necessario annettere una dichiarazione interpretativa in cui
specificavano che essi accettavano il principio solo nella misura in cui veniva messo in luce
lo speciale ruolo di guida delle nazioni industrializzate. Parallelamente rifiutavano ogni
interpretazione del principio 7 che implicasse il riconoscimento di un particolare obbligo o
di una qualche forma di responsabilità degli Stati Uniti, nonché di una diminuzione della
responsabilità degli Stati in via di sviluppo. Cfr. RAJAMANI, op. cit. supra, p. 26, nota 40.

46
rappresentare un onere sproporzionato per i paesi in via di sviluppo in
termini di costi economici e sociali. Un’altra conseguenza pratica del
principio 7 riguarda il trasferimento di risorse finanziarie e di tecnologie
ambientalmente sane. Gli impegni verso tali trasferimenti, contenuti nei
capitoli 33 e 34 di Agenda 21, hanno costituito il cuore dei negoziati
dell’UNCED e stanno alla base di ogni ragionevole strategia per il
perseguimento dello sviluppo sostenibile.
Gli Stati industrializzati si sono fatti portavoce di alcuni importanti
principi relativi agli strumenti e alle procedure necessarie a porre in essere
un efficace sistema di tutela ambientale.
Quanto agli strumenti, il principio 11 invita gli Stati ad adottare
misure legislative efficaci in materia ambientale, adeguate al particolare
contesto socio-economico in cui andranno ad operare. Il principio 1294 si
riferisce alla possibilità di adottare misure commerciali con obiettivi
ecologici. Il principio, redatto sulla base del par. 152 del Dichiarazione sulla
nuova partnership per lo sviluppo (“Cartagena Commitment”) adottata
dall’UNCTAD nel febbraio 199295, limita notevolmente tale possibilità
indicando due criteri sulla base dei quali valutare la compatibilità delle
misure in questione. In primo luogo, esse non devono costituire un mezzo
né per dissimulare una restrizione del commercio internazionale né per
discriminare arbitrariamente e ingiustificatamente le esportazioni di un altro
Stato. In secondo luogo, esse non devono essere unilateralmente rivolte a
risolvere i grandi problemi ambientali al di fuori della giurisdizione dello
Stato importatore. Inoltre, ma soltanto nella misura in cui sia effettivamente
possibile, le misure aventi finalità ecologica devono essere basate sul
consenso internazionale. La controversa questione viene analizzata anche
nei capitoli 2 e 39 di Agenda 21, in cui il rigore del principio 12 viene in
94
“ States should cooperate to promote a supportive and open international economic
system that would lead to economic growth and sustainable development in all countries, to
better address the problems of environmental degradation. Trade policy measures for
environmental purposes should not constitute a means of arbitrary or unjustifiable
discrimination or a disguised restriction on international trade. Unilateral actions to deal
with environmental challenges outside the jurisdiction of the importing country should be
avoided. Environmental measures addressing transboundary or global environmental
problems should, as far as possible, be based on an international consensus.”
95
Cfr. MARCHISIO, Gli atti di Rio, in op. cit., p. 609.

47
parte attenuato. Pur continuando ad utilizzare il linguaggio della
Dichiarazione di Cartagena e ribadendo le limitazioni ivi contenute, si
riconosce che le politiche commerciali possano costituire un mezzo per
rendere più efficaci le misure di tutela ambientale, come è del resto previsto
da vari trattati internazionali96, e a tal fine si identificano i criteri per evitare
che possano nascondere forme di “protezionismo verde”. Nel capitolo 39 si
specifica che esse dovranno rispettare, inter alia, il principio di non
discriminazione, il principio che la misura adottata sia meno restrittiva
possibile rispetto al risultato che si propone di conseguire (condizione che
implica la necessità di dimostrare l’eccessiva onerosità delle alternative), il
dovere di trasparenza e di notificazione delle normative nazionali, il dovere
di garantire una speciale tutela alle particolari esigenze dei paesi in via di
sviluppo e alla loro condizione speciale, perseguendo obiettivi ambientali
convenuti a livello internazionale. Inoltre nel capitolo 2 si raccomanda
l’adozione di strumenti miranti a chiarire e precisare il problema della
compatibilità tra le misure commerciali con fini ambientali e la normativa
del GATT.
I principi 1597, 1698 e 1799 conseguono il rafforzamento di tre principi
appartenenti precipuamente alla politica ambientale nazionale, nell’ottica
dell’adempimento dei fondamentali obblighi di vigilanza e prevenzione, ma
applicabili anche sul piano internazionale per il raggiungimento delle
medesime finalità. Si tratta, rispettivamente, del principio precauzionale,
dell’internalizzazione dei costi ambientali e della valutazione di impatto
ambientale.
96
Si riconoscono tre tipologie di trattati che contengono misure di carattere commerciale:
quelli relative alla protezione della vita selvatica (come la Convenzione CITES del 1973),
quelli tutelanti l’ambiente dello Stato di importazione e quelli relativi a beni globali (come
il protocollo di Montreal). Ibidem, p. 609 e ss.
97
“In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied
by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible
damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-
effective measures to prevent environmental degradation.”
98
“National authorities should endeavour to promote the internalization of environmental
costs and the use of economic instruments, taking into account the approach that the
polluter should, in principle, bear the cost of pollution, with due regard to the public interest
and without distorting international trade and investment.”
99
“Environmental impact assessment, as a national instrument, shall be undertaken for
proposed activities that are likely to have a significant adverse impact on the environment
and are subject to a decision of a competent national authority”

48
Il principio precauzionale100 prevede che, in caso di minaccia di danno
serio ed irreversibile, l’assenza di certezza scientifica non possa giustificare
la mancata adozione di misure preventive il cui costo risulti proporzionato
agli effetti conseguibili101. Il principio viene ripetuto anche nei preamboli di
entrambe le Convenzioni e nell’art. 3 par. 3 della Convenzione sui
cambiamenti climatici e costituisce il naturale corollario dell’obbligo di
prevenzione, contribuendo a precisare il contenuto della “dovuta diligenza”
che lo Stato è tenuto ad impiegare nell’attività preventiva, conformemente
alle proprie capacità102.
L’internalizzazione dei costi ambientali, meglio nota come principio
“chi inquina paga” (Polluter Pays Principle), è uno strumento fondamentale
per evitare le distorsioni del mercato dovute alla comune tendenza a
considerare l’ambiente un bene gratuito103. Viene specificato che tale
operazione dovrà essere compiuta tenendo in debita considerazione, oltre
all’interesse generale, anche le eventuali distorsioni al commercio
internazionale ed al flusso degli investimenti. Nell’intenzione di molti Stati,
sia industrializzati che in via di sviluppo, la sua applicazione doveva essere

100
Sul principio precauzionale si veda, in generale SANDS, op. cit., p. 208 e ss.;
MONTINI, La necessità ambientale, cit., p. 39 e ss.; KISS, SHELTON, op. cit., p. 264 e
ss.; PERREZ, The World Summit on Sustainable Development: Environment, Precaution
and Trade- a Potential for Success and/or Failure, in RECIEL, 2003, p. 12 e ss.
101
E’ interessante notare che la versione francese del principio prevede che le misure in
questione debbano essere effettive, ma non in rapporto ai costi . “(…) l'absence de certitude
scientifique absolue ne doit pas servir de prétexte pour remettre à plus tard l'adoption de
mesures effectives visant à prévenir la dégradation de l'environnement.”
102
Sullo status giuridico del principio cfr. MONTINI, La necessità ambientale, cit., p. 44:
“anche in relazione a questo principio, la dottrina appare divisa secondo le medesime
direttrici che abbiamo visto in relazione ad altri principi sostanziali del diritto
internazionale dell’ambiente. (…) si può affermare che il principio possiede ancora un
contenuto troppo vago e indeterminato per poterlo correttamente qualificare come una
norma immediatamente precettiva e possibile fonte immediata di obblighi giuridici a carico
degli Stati. Al principio precauzionale dovrebbe quindi essere riconosciuto da una parte il
ruolo di possibile criterio ispiratore di nuove norme di diritto internazionale ambientale, e
dall’altra il ruolo, forse ancora più importante, di criterio in grado di permettere
un’interpretazione evolutiva dei trattati internazionali esistenti, non solo di natura
ambientale, al fine di consentire, laddove possibile ed opportuno, di realizzare un’adeguata
tutela preventiva ed anticipatoria dei beni ambientali in pericolo.”
103
La Dichiarazione non fa riferimento all’utilizzo di strumenti fiscali a tal fine. Risulta
invece particolarmente interessante la dichiarazione del ministro dell’ambiente italiano,
Giorgio Ruffolo, che, riprendendo la proposta della Commissione Europea, sottolinea
l’opportunità di una “ecotassa” sui consumi dei combustibili fossili. Ciò condurrebbe anche
ad un più facile reperimento dei fondi da destinare all’aiuto pubblico allo sviluppo. Cfr.
GARAGUSO, MARCHISIO, Rio 1992: Vertice per la Terra, pp. 741 e ss.

49
limitata al livello interno, senza conseguenze per i rapporti internazionali e
per la responsabilità degli Stati, e ciò si riflette chiaramente nel linguaggio
ambiguo con cui il principio è formulato104.
Altro strumento di cui si auspica un crescente utilizzo è la valutazione
di impatto ambientale, la quale, analogamente al principio di precauzione,
consente di adempiere all’obbligo di prevenzione. In tal senso il riferimento
al suo utilizzo come strumento nazionale non deve essere considerato come
un limite alla sua applicazione sui potenziali effetti transfrontalieri, essendo
peraltro ricompreso nel più generale obbligo di informazione, integrante
dell’obbligo di cooperazione che abbiamo già visto essere parte del diritto
consuetudinario105.
I principi 18 de 19 individuano obblighi di carattere strumentale in
relazione all’obbligo di notifica immediata in caso di emergenza ambientale
e di notifica previa e tempestiva in caso di attività che possano avere effetti
transfrontalieri seriamente negativi. Nel primo principio risulta più debole
l’obbligo di assistenza, posto in capo alla comunità internazionale e non ai
singoli Stati. Il secondo principio conferma anche l’obbligo di comunicare
le informazioni pertinenti e di cooperare in buona fede. Anche al principio
26 si fa riferimento ad un obbligo di natura procedurale, relativo alla
necessità di risolvere le controversie ambientali in modo pacifico e con
mezzi adeguati. Con tale formulazione si riconosce implicitamente che gli
strumenti attuali per la risoluzione delle controversie ambientali risultino
inadeguati, data la peculiare natura delle controversie in questione. Il
capitolo 39 di Agenda 21, relativo agli strumenti giuridici, specifica che gli
Stati dovranno valutare, oltre alle ipotesi più appropriate per la soluzione
delle controversie, anche i meccanismi più idonei a prevenirle, in
conformità al par. 15 w) della risoluzione 44/228.

104
Cfr. SANDS, op. cit., p. 213 e ss.
105
Cfr. TREVES, Il diritto dell’ambiente a Rio e dopo Rio, in RGA, 1993, p. 579 e ss.

50
In conclusione merita di essere considerato anche il principio 10106,
che enfatizza l’importanza della piena partecipazione della cittadinanza al
processo decisionale, dell’accesso alle informazioni in materia ambientale e
ai procedimenti giudiziari e amministrativi. Il principio è formulato in
termini molto generici107, ma sottolinea un aspetto che ha una rilevanza
sostanziale108 nel perseguimento dello sviluppo sostenibile, a cui vari
capitoli di Agenda 21 hanno modo di dedicare indicazioni più precise ed
efficaci.

4.2. Agenda 21

Il Piano d’azione per lo sviluppo sostenibile, in seguito ribattezzato


Agenda 21, è il secondo documento di portata generale emerso dai lavori di
Rio. Si tratta di un monumentale piano d’azione di natura programmatica ed
operativa. Esso non contiene obblighi giuridici, è il risultato del consenso
globale realizzatosi tra i 183 Stati partecipanti e costituisce un impegno
politico al più alto livello verso una maggiore cooperazione internazionale
in materia di sviluppo sostenibile, conformemente ai criteri enunciati dalla
Dichiarazione su ambiente e sviluppo. L’integrazione ambiente-sviluppo
106
“Environmental issues are best handled with participation of all concerned citizens, at
the relevant level. At the national level, each individual shall have appropriate access to
information concerning the environment that is held by public authorities, including
information on hazardous materials and activities
in their communities, and the opportunity to participate in decision-making processes.
States shall facilitate and encourage public awareness and participation by making
information widely available. Effective access to judicial and administrative proceedings,
including redress and remedy, shall be provided.”
107
Tale formulazione costituisce una manifestazione ulteriore della conventio ad
excludendum, da parte sia dei paesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo, circa il
riconoscimento del diritto all’ambiente come diritto fondamentale dell’uomo. Cfr.
MARCHISIO, Gli atti di Rio, cit., p. 595: “Il concetto è dunque quello di rendere il
processo decisionale in materia ambientale democratico e trasparente, secondo le
indicazioni più precise contenute nei capitoli di Agenda 21. Ma , né l’accesso
all’informazione relativa all’ambiente, né la partecipazione ai processi decisionali, né ,
infine, l’accesso alla giustizia ordinaria e amministrativa sono formulati dal principio 10
della Dichiarazione d Rio in termini di situazioni giuridiche individuali. In tal senso la
Dichiarazione appare assai poco innovativa e conferma la difficoltà di tradurre sul piano del
diritto positivo il legame tra ambiente, sviluppo e diritti umani.”
108
E’ stato fatto osservare come l’obbligo di promuovere la partecipazione e l’informazione
degli individui nei processi decisionali posto in capo agli Stati, costituisca il contenuto
principale del diritto umano all’ambiente. Ibidem, p. 596.

51
viene tradotta in un centinaio di aree di programma, concernenti la quasi
totalità delle problematiche rilevanti da questo punto di vista, organizzate i
quattro grandi sezioni relative alle dimensioni economiche e sociali del
problema, alla conservazione e la gestione delle risorse per lo sviluppo, alla
partecipazione della cittadinanza e il rafforzamento del ruolo dei Major
Groups e ai mezzi necessari all’attuazione dello sviluppo sostenibile. Le
sezioni sono organizzate in 40 capitoli dedicati ad una serie di programmi,
iniziative o alla trattazione di questioni intersettoriali. Riguardo a ogni area
di programma vengono identificati le basi d’azione, gli obiettivi, le attività
da realizzare e gli strumenti necessari a tal fine. I capitoli da 33 a 40 ,
contenuti nell’ultima sezione, risultano essere particolarmente rilevanti dal
momento che identificano gli strumenti necessari al conseguimento dello
sviluppo sostenibile.
Al capitolo 33 spetta il compito di determinare in che modo debbano
essere reperite le “risorse nuove e addizionali”, cui faceva riferimento la
risoluzione 44/228, da destinarsi ai paesi in via di sviluppo, sia perché
possano rilanciare la propria crescita economica secondo criteri di
compatibilità ambientale, sia perché possano sostenere i “costi
incrementali”109 dovuti alla loro partecipazione alla difesa di beni globali.
Viene immediatamente chiarito che la maggior parte di tali risorse dovrà
essere di origine nazionale. Dai paesi industrializzati proverranno risorse
finanziarie attraverso due canali. In primo luogo provvederanno a
raggiungere un ammontare di ODA (Official Development Aid, aiuto
pubblico allo sviluppo) pari allo 0,7% del PNL per gli interventi relativi allo
sviluppo sostenibile in generale, ma non viene precisata alcuna data per
l’adempimento , in secondo luogo osserveranno degli impegni specifici
finalizzati al perseguimento degli obiettivi di Agenda 21. In tale contesto si
viene a delineare un sistema policentrico di finanziamento,
significativamente definito “menu approach”, che lascia agli Stati la più
completa discrezionalità circa l’ammontare del finanziamento e la scelta
degli strumenti attraverso i quali farlo giungere a destinazione. Questi
109
I costi incrementali rappresentano la differenza di costo tra un progetto con benefici per
l'ambiente globale e un progetto alternativo senza questi benefici.

52
includono le banche e i fondi multilaterali di sviluppo, tra cui si distinguono
l’IDA (International Development Association, Associazione Internazionale
per lo Sviluppo, filiale della Banca Mondiale ) e il GEF (Global
Environment Facility, Fondo per l’ambiente globale, creato e gestito
congiuntamente dalla Banca Mondiale, dall’UNEP e dall’UNDP per aiutare
i paesi in via di sviluppo a sostenere i costi legati a problemi ambientali di
portata globale110); gli istituti specializzati delle Nazioni Unite; gli organismi
multilaterali per la cooperazione tecnica, i particolare UNEP e UNDP; i
programmi bilaterali; l’alleggerimento del debito estero, in particolare
attraverso un utilizzo maggiore dei debt swaps111; i finanziamenti privati; il
reperimento di risorse attraverso meccanismi fiscali.
Il fabbisogno finanziario per la realizzazione degli obiettivi di Agenda
21 nei paesi in via di sviluppo è stato stimato dal Segretario Generale
dell’UNCED Maurice Strong in 600 miliardi di dollari, 125 dei quali
dovranno provenire dal Nord del mondo112.
Il capitolo 34 esamina le problematiche relative alla cooperazione
tecnologica e alla formazione di capacità tecnico-professionali endogene. Al
problema fondamentale di garantire l’accesso a tecnologie sane e pulite
nonostante il contrasto con la tutela dei diritti di proprietà intellettuale dovrà
essere data “considerazione”, utilizzando il canale commerciale come
veicolo preferenziale per il trasferimento. L’acquisto di licenze e brevetti
nel quadro dei pacchetti d’aiuto viene comunque raccomandato, come
vengono auspicati , in conformità alle decisioni UNCTAD adottate a
Cartagena, l’elaborazione di un codice di condotta internazionale per i

110
Il GEF è stata oggetto di severe critiche da parte dei paesi in via di sviluppo, sia riguardo
ai settori di intervento che assecondano gli interessi dei paesi industrializzati, sia riguardo al
meccanismo decisionale, basato sulla ponderazione del voto in base ai contributi versati.
Cfr. MACHISIO, Gli atti di Rio, cit., p. 602 e ss.
111
Si tratta di strumenti finanziari, promossi durante gli anni ottanta da alcune
organizzazioni non governative, che condizionano la remissione di quote di debito
all’applicazione di misure di tutela ambientale.
112
Nel 1992 l’aiuto allo sviluppo si aggirava sui 55 miliardi di dollari. L’unica indicazione
concreta su come i paesi industrializzati avrebbero dovuto reperire i fondi necessari resta
quella del ministro dell’ambiente italiano Ruffolo relativa all’imposizione di una ecotassa
sui combustibili fossili. Cfr. GARAGUSO, MARCHISIO, Rio 1992: vertice per la Terra,
Milano, 1993, p. 664 e ss.

53
trasferimenti tecnologici e lo sviluppo e il rafforzamento delle capacità
endogene di ricerca.
Altri strumenti per il perseguimento dello sviluppo sostenibile previsti
dalla IV sezione sono l’incremento della conoscenza scientifica riguardo
all’interazione tra attività umane ed ambiente (capitolo 35), la
sensibilizzazione della cittadinanza e la partecipazione alle decisioni in
materia (capitolo 36), la formazione di capacità endogene (capitolo 37).
Il capitolo 38 concerne i meccanismi istituzionali per il dopo Rio.
Esclusa a priori l’ipotesi di trasformare l’UNCED in un organo sussidiario
permanente dell’Assemblea Generale sull’esempio dell’UNCTAD, il
problema della gestione del follow-up della Conferenza fu risolto istituendo
un unico organo nuovo, la Commissione per lo sviluppo sostenibile 113
(Commission on Sustainable Development, CSD). Alcuni Stati, tra cui
l’Italia, avrebbero preferito collegare la Commissione all’Assemblea
Generale, al fine di esaltarne il ruolo politico e di garantirne la
composizione universale, invece si preferì optare, conformemente all’art. 68
della Carta delle Nazioni Unite, per una Commissione funzionale al
Consiglio Economico e Sociale, a composizione ristretta, ma qualificata
come organo “di alto livello”. Alla Commissione viene affidato il compito
di assicurare i progressi degli obiettivi delineati da Agenda 21 e i suoi lavori
dovranno essere esaminati dal Consiglio Economico e Sociale, il quale
provvederà al coordinamento con l’operato delle altre organizzazioni del
sistema ONU. All’Assemblea Generale spetta invece la valutazione politica
e l’esame periodico dei progressi compiuti nell’attuazione di Agenda 21, in
particolare attraverso una sessione speciale da tenersi non oltre il 1997. La
questione delle funzioni da attribuire alla Commissione suscitò alcuni
contrasti durante i Comitati Preparatori. Ad essa furono attribuite funzioni
relative all’integrazione ambiente-sviluppo, al controllo e alla valutazione
dell’adempimento di Agenda 21, specie in riferimento alla cooperazione
tecnica e finanziaria, ma non fu possibile attribuirle specifiche competenze

113
La Commissione venne creata il 22 dicembre del 1992 con la risoluzione 47/191
dell’Assemblea Generale, consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina
base).

54
riguardo l’esame dei rapporti nazionali e l’applicazione delle convenzioni
internazionali ambientali. In entrambi i casi la Commissione si dovrà
limitare ad un esame delle informazioni, e non dei rapporti, fornitele dai
governi e dagli organi statutari delle singole convenzioni. Oltre a costituire
la Commissione, con il capitolo 38 si procedette a rivitalizzare il Comitato
amministrativo di coordinamento, composto dal Segretario Generale
dell’ONU e da quelli degli istituti specializzati, cui spetta il compito di
garantire il coordinamento tra l’operato delle varie istituzioni finanziarie
internazionali e quello delle altre organizzazioni de sistema ONU impegnate
nell’attuazione di Agenda 21. Inoltre si accentuò il ruolo delle ONG quali
partner essenziali nel quadro della cooperazione internazionale in materia
ambientale, senza però delineare un preciso sistema di coordinamento.
Il capitolo 39 si occupa degli strumenti e dei meccanismi giuridici
internazionali, mirando al codificazione e allo sviluppo progressivo del
diritto internazionale dello sviluppo sostenibile, concetto che ha ormai
stabilmente sostituito quello di diritto internazionale dell’ambiente, nonché
alla prevenzione delle controversie in materia. Nell’ottica di assicurare
l’integrazione ambiente-sviluppo e l’effettività del diritto convenzionale
vigente dovrà essere garantita la concreta partecipazione dei paesi in via di
sviluppo alla formazione e all’esecuzione dei trattati internazionali di
carattere globale. Nel perseguimento di tali obiettivi si dovranno tenere in
particolare considerazione l’eccessiva onerosità di determinati standard
ambientali per i paesi in via di sviluppo e la necessità di evitare che misure
commerciali si traducano in restrizioni dissimulate.
Infine il capitolo 40 auspica l’adozione di procedure ed indicatori
maggiormente adeguati al fine di reperire le informazioni necessarie al
processo di decision-making.

4.3. La Convenzione sulla diversità biologica e la Convenzione sui


cambiamenti climatici ed i rispettivi protocolli attuativi

55
La Conferenza di Rio ha costituito l’occasione per aprire alla firma
degli Stati partecipanti due convenzioni multilaterali che affrontano
problemi ambientali di carattere globale, entrambe negoziate in sedi esterne
al Comitato Preparatorio.
La Convenzione sulla diversità biologica trae origine da un’iniziativa
dell’UNEP con cui venne istituto un Comitato negoziale intergovernativo
ad hoc. Il Comitato raggiunse un’intesa definitiva sul testo della
Convenzione nel maggio 1992.
Gli obiettivi generali della Convenzione sono la conservazione della
biodiversità, l’uso sostenibile delle sue componenti, l’equa ripartizione dei
benefici derivanti dalla sua utilizzazione114.
In sede negoziale la diversità biologica non ottenne la qualifica di
patrimonio comune dell’umanità (common heritage of humankind) a causa
delle resistenze dei paesi in via di sviluppo ad accettare un regime che
potesse ledere la sovranità nazionale sulle risorse biologiche. Infatti la
biodiversità venne riconosciuta come interesse comune dell’umanità
(common concern of humankind), l’art. 3 della Convenzione riproduce il
principio 21 della dichiarazione di Stoccolma115 e l’art. 15 prevede che

114
La Convenzione si inserisce nel macro settore del diritto ambientale finalizzato alla
tutela del suolo, per quanto, a differenza dei settori tutelanti aria e acqua, ad esso facciano
capo regimi diversi, seppure accomunati dal prevalente legame con l’elemento del suolo e
del territorio. Ad esso infatti si fanno comunemente appartenere, oltre alla Convenzione per
combattere la desertificazione che vedremo meglio in seguito, la Convenzione sul
commercio internazionale di specie in pericolo di estinzione (nota come Convenzione
CITES), firmata a Washington nel 1973, la Convenzione sul controllo dei movimenti
transfrontalieri di rifiuti pericolosi e il loro smaltimento, firmata a Basilea nel 1989, la
Convenzione sul movimento transfrontaliero di sostanze pericolose (nota come
Convenzione PIC, acronimo della procedura del previo consenso informato), firmata a
Rotterdam nel 1998, la corposa regolamentazione internazionale in materia di incidenti
nucleari e il regime internazionale di protezione dell’ambiente antartico e delle risorse ivi
presenti. Per un excursus sulla questione cfr. MONTINI, L’ambiente nel diritto
internazionale, cit., p. 26 e ss. I testi delle convenzioni menzionate possono essere
consultati sui siti ufficiali delle convenzioni stesse, rispettivamente: www.cites.org (pagina
base), www.basel.int (pagina base), www.pic.int (pagina base); le convenzioni relative agli
incidenti nucleari sono consultabili sul sito della Agenzia Internazionale dell’Energia
Atomica, www.iaea.org (pagina base); i restanti trattati sono consultabili sul sito
dell’UNEP, www.unep.org (pagina base).
115
A differenza della Convenzione sui cambiamenti climatici, né la Dichiarazione sulle
foreste né la Convenzione sulla biodiversità recepiscono il riferimento alle politiche di
sviluppo aggiunto a Rio. Sarebbe però errato ritenere che ciò posso comportare una
limitazione delle della sovranità nazionale in materia, considerato che entrambe non
mancano di specificare altrove che lo sfruttamento delle risorse dovrà avvenire in
conformità anche alle politiche di sviluppo economico.

56
l’accesso alle risorse genetiche sia disciplinato dalle legislazioni nazionali.
La tutela dei diritti sovrani degli Stati sulla diversità biologica viene
accompagnata, all’art. 16, dal riconoscimento della necessità di garantire ai
paesi in via di sviluppo l’accesso e il trasferimento delle biotecnologie a
condizioni eque o, se stabilito di comune accordo, preferenziali. La
previsione del meccanismo in questione, oltre ad alcune preoccupazioni
relative al sistema di finanziamento, motivò il rifiuto degli Stati Uniti di
firmare la Convenzione, ma a tale riguardo va osservato sia che l’art. 16
riconosce la necessità di tutela adeguata ed effettiva dei diritti di proprietà
intellettuale, sia che la Convenzione, all’art. 9 a), non esclude che il paese
fornitore di risorse genetiche possa essere il paese che ha conservato tali
risorse in banche genetiche. Alle luce di quanto appena detto, nonché del
fatto che circa l’80% delle risorse genetiche viene conservato in banche
genetiche e che esse si trovano quasi esclusivamente nei paesi sviluppati, le
preoccupazioni statunitensi appaiono palesemente ingiustificate116.
Come tutti gli altri documenti adottati a Rio la Convenzione recepisce
il principio delle responsabilità comuni ma differenziate. In particolare l’art.
6 prevede che i fondamentali obblighi di conservazione ed uso sostenibile
della biodiversità dovranno essere adempiuti “secondo le propri particolari
condizioni e capacità” e l’art. 20 attribuisce l’obbligo di fornire risorse
finanziarie nuove ed addizionali alle sole parti che sono paesi sviluppati, al
fine di coprire i costi incrementali derivanti dal perseguimento degli
obiettivi della Convenzione. In relazione a questo aspetto la Convenzione
mostra un’impostazione particolarmente innovativa. Per la prima volta in un
trattato ambientale globale, l’ottemperanza da parte dei paesi in via di
sviluppo all’obbligo di conservazione e uso sostenibile viene specificamente
subordinata al rispetto del dovere dei paesi industrializzati di fornire
tecnologie e risorse finanziarie117. La Conferenza delle Parti ha designato il

116
Cfr. MARCHISIO, Gli atti di Rio, cit., p. 589 e ss.
117
Art. 20, par. 4 “The extent to which developing country Parties will effectively
implement their commitments under this Convention will depend on the effective
implementation by developed country Parties of their commitments under this Convention
related to financial resources and transfer of technology and will take fully into account the
fact that economic and social development and eradication of poverty are the first and
overriding priorities of the developing country Parties”

57
GEF come strumento attraverso il quale far transitare i finanziamenti, per
quanto gli Stati membri potranno determinare autonomamente le condizioni
ed il contenuto della contribuzione118.
La Conferenza delle Parti ha conseguito un importante risultato in
materia di tutela della biosicurezza, con l’adozione a Montreal, nel maggio
del 2000, del Protocollo di Cartagena119, finalizzato alla prevenzione dei
danni alla biodiversità nel caso di esportazione di organismi viventi
geneticamente modificati120.
Il Protocollo riguarda le sementi e i prodotti agroalimentari destinati
al consumo o alla trasformazione. Elemento centrale è la procedura di
accordo preliminare (Advanced Informed Agreement, AIA), la quale
assicura al Paese importatore l'accesso a tutte le informazioni necessarie alla
valutazione dei rischi ambientali e il diritto di prendere una decisione prima
dell'importazione, secondo il principio del previo consenso informato. Tale
provvedimento è di particolare importanza per i paesi in via di sviluppo che
non dispongono ancora di legislazioni nazionali adeguate. Il Protocollo
rappresenta una prima applicazione, a livello internazionale e all’interno di
un documento di natura vincolante, del principio precauzionale, a cui ogni
paese può appellarsi per giustificare le decisioni prese riguardo
all'importazione. Rispetto all’impostazione originalmente adottata Rio, va
notato come il principio precauzionale abbia subito una notevole evoluzione
e come ne sia stato ampliato l’ambito di applicazione. Ai sensi dell’art. 10
par. 6121 è sufficiente l’esistenza di un potenziale effetto avverso, e non di un
118
Tale questione è stata oggetto di un’apposita dichiarazione resa dalla delegazione
italiana e da altri Stati in sede negoziale e al momento della firma. Cfr. MARCHISIO, Gli
atti di Rio, cit., p. 607, nota 59.
119
Consultabile sul sito ufficiale della Convenzione: www.biodiv.org (pagina base).
120
Art. 1, obiettivi: “In accordance with the precautionary approach contained in Principle
15 of the Rio Declaration on Environment and Development, the objective of this Protocol
is to contribute to ensuring an adequate level of protection in the field of the safe transfer,
handling and use of living modified organisms resulting from modern biotechnology that
may have adverse effects on the conservation and sustainable use of biological diversity,
taking also into account risks to human health, and specifically focusing on transboundary
movements.”
121
“Lack of scientific certainty due to insufficient relevant scientific information and
knowledge regarding the extent of the potential adverse effects of a living modified
organism on the conservation and sustainable use of biological diversity in the Party of
import, taking also into account risks to human health, shall not prevent that Party from
taking a decision, as appropriate, with regard to the import of the living modified organism
in question as referred to in paragraph 3 above, in order to avoid or minimize such potential

58
danno serio ed irreversibile, per legittimare l’adozione di misure relative
all’importazione degli organismi geneticamente modificati. Inoltre se ne
consente l’utilizzazione per l’adozione di misure volte a proteggere la salute
umana e non soltanto l’ambiente e riguardo a tali misure viene meno il
requisito dell’adeguatezza e della proporzionalità rispetto ai costi. In ragione
di tali sostanziali innovazioni sono state numerosissime le difficoltà per
giungere ad un accordo, gli Stati Uniti si rifiutarono di firmarlo contestando
l'imposizione di vincoli all'esportazione di prodotti transgenici in nome della
liberalizzazione del commercio mondiale, mentre la delegazione europea
sostenne strenuamente il Protocollo e l’applicazione del principio.
La Convenzione sui cambiamenti climatici pone le sue radici nella
risoluzione 43/53122 dell’Assemblea Generale, adottata il 6 dicembre 1988,
con la quale si riconobbe come il mutamento di determinate variabili
climatiche costituisse un interesse comune dell’umanità. Nello stesso anno,
su iniziativa dell’UNEP e della WMO (World Meteorological Organization,
Organizzazione Meteorologica Mondiale), venne istituito l’IPCC (
Intergovernamental Panel on Climate Change, gruppo di esperti
intergovernativo sul cambiamento climatico) con l’obiettivo di studiare la
gravità del fenomeno e proporre a riguardo le strategie maggiormente
risolutive. Nel 1990 venne pubblicata la prima relazione dell’IPCC, con la
quale veniva data conferma delle preoccupazioni di buona parte della
comunità scientifica circa i rischi del surriscaldamento globale connesso
all’effetto serra. Durante la seconda Conferenza mondiale sul clima tenutasi
a Ginevra nello stesso anno, sulla base di tale rapporto si concordò sulla
necessità di procedere ad un negoziato per l’adozione di misure
precauzionali. L’Assemblea Generale, con la risoluzione 45/212123 del
dicembre del 1990, istituì un Comitato negoziale intergovernativo (INC),
che nel maggio del 1992 completò il testo della Convenzione aperta alla
firma a Rio, seguendo lo schema della convenzione-quadro da integrare con
successivi protocolli, già fruttuosamente sperimentato a Vienna nel 1985. La

adverse effects”
122
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina base).
123
Ibidem.

59
massimizzazione delle partecipazioni venne quindi anteposta alla
massimizzazione dei contenuti, in conseguenza della tenace resistenza degli
Stati Uniti verso l’assunzione di impegni precisi.
Nonostante il titolo si riferisca al cambiamento climatico in generale,
le disposizioni della Convenzione riguardano specificamente l’emissioni dei
gas ad effetto serra (greenhouse gases) prodotti dalle attività umane,
mirando, ai sensi dell’art. 2124, alla stabilizzazione dei suddetti gas ad un
livello che impedisca interferenze con il sistema climatico, secondo un
approccio tipicamente precauzionale. Coerentemente con l’impostazione
adottata a Rio, lo stesso articolo non manca di specificare che tale livello di
emissioni dovrà essere raggiunto in tempi tali da permettere il
perseguimento dello sviluppo economico in modo sostenibile. A tal fine è
stato previsto un doppio regime giuridico, in osservanza del principio delle
responsabilità comuni ma differenziate, attribuendo ai paesi industrializzati
un ruolo di leadership, ma senza specificare impegni e scadenze temporali.
Di fondamentale importanza risulta essere il disposto dell’art. 4, che impone
alle parti sviluppate la fornitura di risorse finanziarie nuove ed addizionali125
e il trasferimento di tecnologie e know-how ecologicamente corretti.
L’adempimento dei paesi in via di sviluppo agli obblighi della Convenzione
viene esplicitamente subordinato all’effettiva osservanza di tali trasferimenti
da parte delle paesi sviluppati.
I successivi sviluppi della Convenzione e la supervisione della sua
effettiva attuazione sono affidati all’opera della Conferenza delle Parti
(Conference of the Parties, COP), la quale, a seguito dell’entrata in vigore

124
“The ultimate objective of this Convention and any related legal instruments that the
Conference of the Parties may adopt is to achieve, in accordance with the relevant
provisions of the Convention, stabilization of greenhouse gas concentrations in the
atmosphere at a level that would prevent dangerous anthropogenic interference with the
climate system. Such a level should be achieved within a time-frame sufficient to allow
ecosystems to adapt naturally to climate change, to ensure that food production is not
threatened and to enable economic development to proceed in a sustainable manner”
125
Lo stesso art. 4 prevede che, nell’esecuzione degli impegni in questione, sia tenuta in
dovuta considerazione l’adeguatezza e soprattutto la prevedibilità del flusso di fondi,
nonché l’importanza di un’opportuna ripartizione degli oneri tra le parti industrializzate.

60
avvenuta il 21 marzo 1994, terrà sessioni ordinarie una volta l’anno,
potendo comunque riunirsi ogniqualvolta lo riterrà necessario126.
Durante la prima COP, tenutasi a Berlino nell’aprile del 1995, venne
istituita una procedura multilaterale consultiva, come previsto dall’art. 13, e
venne deciso che ogni organo ed ogni agenzia, nazionale o internazionale,
governativa o non governativa, purché competente nelle materie previste
dalla convenzione, potesse essere rappresentata all’interno della COP. I toni
della discussione furono inaspriti dalla pubblicazione, verso la fine del
1994, di un rapporto dell’IPCC secondo il quale, anche qualora si fosse
raggiunta una totale stabilizzazione delle emissioni di gas serra ai livelli
attuali, la loro concentrazione nell’atmosfera avrebbe continuato a crescere
per i due secoli successivi. Di fronte all’opposizione di alcuni Stati,
capeggiati dai paesi esportatori di petrolio, verso l’adozione di ulteriori
impegni, si giunse alla formulazione del c.d. “Berlin Mandate”, secondo il
quale le parti convenivano di dare inizio ad un processo che avrebbe potuto
portare alla conclusione di un protocollo o di un altro strumento legale. Nel
corso della terza COP, svoltasi a Kyoto nel dicembre del 1997, i negoziati
furono conclusi e il Protocollo127 venne adottato.
Il principale obiettivo del Protocollo di Kyoto consiste nella riduzione
delle emissioni dei sei gas serra indicati nell’allegato A. L’art. 3 par. 1
impone, ai paesi industrializzati elencati nell’allegato I128 della
Convenzione, una riduzione di almeno il 5% al di sotto dei livelli del 1990
entro il periodo che va dal 2008 al 2012129, da attuarsi individualmente o

126
La Convenzione, agli artt. 9 e 10, prevede che nel perseguire i propri obiettivi la COP
possa usufruire dell’assistenza di due organi consultivi, l’organo sussidiario di assistenza
scientifica e tecnologica (Subsidiary Body for Scientific and Technological Advice,
SBSTA) e l’organo esecutivo sussidiario (Subsidiary Body for Implementation, SBI).
127
Consultabile sul sito ufficiale della Convenzione: www.unfccc.int (pagina base).
128
Tra le nazioni ivi elencate si trovano anche dodici Stati in transizione verso un’economia
di mercato, ai quali potrà essere accordato un regime preferenziale qualora successivamente
la COP si pronunci in tal senso, in seguito alla richiesta dello Stato interessato.
129
Il Third Assessment Report, il terzo rapporto di valutazione dell’IPCC, sostiene che tra il
1990 e il 2100 la temperatura media della superficie terrestre potrebbe aumentare tra 1,4 ° e
5,8 °C, se non fosse invertito il tasso di produzione delle emissioni antropogeniche di gas
serra, mentre il livello del mare dovrebbe innalzarsi fino a un metro. Un recente studio
presentato nel novembre del 2004 alla Conferenza UE sulle politiche post-2012 sui
cambiamenti climatici avverte che bisognerebbe stabilire impegni di riduzione di almeno il
30% entro il 2020, per evitare che la concentrazione di CO2 in atmosfera raggiunga livelli
che comporterebbero un aumento della temperatura di 2°C sopra ai livelli del 1990.

61
collettivamente. Vengono indicate a tal fine alcune strategie da perseguire,
quali la promozione di fonti di energia maggiormente efficienti, la ricerca di
fonti alternative e rinnovabili, l’adozione di incentivi fiscali, la protezione
delle foreste e degli altri “pozzi” per l’assorbimento dei gas, la promozione
di attività agricole compatibili e della cooperazione internazionale. In
particolare, al fine di consentire alle parti di raggiungere propri obiettivi di
stabilizzazione e riduzione a costi più bassi, viene consentito il commercio
delle quote di emissioni e il c.d. “big bubble approach”130, in base al quale
gli Stati potranno accordarsi per ridurre congiuntamente il livello di
emissioni aggregate.
Coerentemente con il principio delle responsabilità comuni ma
differenziate alle parti che sono paesi in via di sviluppo non viene richiesta
alcuna riduzione delle emissioni. L’art. 10 prevede soltanto che esse
debbano formulare, in base alle loro capacità, dei programmi nazionali o
regionali finalizzati a minimizzare gli effetti dello sviluppo economico sul
cambiamento climatico. L’art. 11 par. 2 b dispone che, per coprire i costi
incrementali derivanti da tali programmi, dovrà essere garantito il
trasferimento sia di tecnologie pulite che di risorse finanziarie.
I contenuti del Protocollo di Kyoto riflettono il contrasto registrato
durante i negoziati tra i paesi di antica industrializzazione. L’Unione
Europea appariva nella posizione più avanzata131, proponendo di ridurre le
emissioni di gas serra del 15% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2010, il
Giappone proponeva una riduzione del 5% dei livelli del 1990 entro il 2012,
ma legata ad un meccanismo flessibile e differenziato, ponderato in base al
130
I meccanismi di flessibilità previsti dal Protocollo sono tre. Il finanziamento di progetti
per la riduzione delle emissioni in altri Stati dell’allegato I (Joint Implementation, JI) o in
Stati che non appartengono all’allegato I (Clean Development Mechanism, CDM) e il
commercio delle unità di riduzione delle emissioni (International Emission Trading, IET).
131
L’Unione Europea ha comunque assunto un obbligo maggiormente oneroso rispetto agli
altri Stati industrializzati, proponendosi l’obiettivo di ridurre le proprie emissioni aggregate
dell’8%. Il Consiglio dell’Unione Europea, nel giugno 1998, ha stabilito un “Accordo per la
condivisione degli oneri tra gli stati membri” (il c.d. burden-sharing agreement,
consultabile sul sito dell’Unione Europea, www.europa.eu.int pagina base.) suddividendo
tra i 15 paesi l’obiettivo comune dell’8%. L’Italia secondo questa ripartizione deve ridurre
le sue emissioni del 6.5% rispetto all’anno 1990, nel periodo 2008-2012. Oltre alla Francia,
cui viene richiesta semplicemente la stabilizzazione delle emissioni, ad alcuni paesi viene
consentito un aumento controllato delle emissioni, che va dal 4% assegnato alla Svezia al
27% concesso al Portogallo. I 10 Stati membri entrati a far parte dell’UE nel 2004 hanno
anch’essi ratificato il protocollo e hanno loro propri obiettivi.

62
livello di emissioni pro-capite. Alla delegazione statunitense invece
appariva sufficiente assestarsi entro il 2008-2012 ai livelli del 1990 e
soprattutto riteneva imprescindibile l’accettazione delle medesime
condizioni anche da parte dei paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli di
nuova industrializzazione132. Tali riserve hanno portato alla mancata ratifica
del Protocollo da parte del Congresso statunitense e alle conseguenti
difficoltà per la sua entrata in vigore133, avvenuta soltanto il 16 febbraio
2005 a seguito della ratifica della Federazione Russa. Naturalmente
l’assenza del principale produttore mondiale di gas serra contribuisce a
impoverire ulteriormente un accordo che già era stato giudicato
particolarmente debole da buona parte della comunità scientifica. Secondo
molti esperti il Protocollo d Kyoto, lungi dal riuscire a ridurre
effettivamente la concentrazione di gas serra nell’atmosfera, potrà soltanto
limitarne l’aumento134, anche qualora ne fosse data completa esecuzione
all’interno del periodo considerato. Naturalmente va tenuta in debita
considerazione la notevole importanza politica del documento, che ha visto,
per la prima volta, la disponibilità della maggioranza della comunità
internazionale a ridurre concretamente le proprie emissioni, con tutti i costi
che tale impegno inevitabilmente comporta per l’economia di un paese.

5. Il dopo Rio

La Conferenza di Rio de Janeiro ha rappresentato una pietra miliare


nell’evoluzione del diritto internazionale dell’ambiente, consacrandone
l’integrazione con le politiche di sviluppo economico, in quello che è ormai

132
Si consideri che soltanto la Cina, che già oggi contribuisce a circa il 12% delle emissioni
di gas serra, qualora mantenesse l’attuale tasso di crescita economica giungerebbe entro il
2017 al 25%, attuale tasso di emissioni degli Stati Uniti.
133
L’art. 25 par. 1 prevede che il protocollo entrerà in vigore il novantesimo giorno
successivo al deposito del cinquantacinquesimo strumento di ratifica da parte dei paesi
firmatari che rappresentino almeno il 55% delle emissioni di biossido di carbonio del 1990.
134
L‘aumento dei gas serra nel periodo considerato è stato stimato attorno al 45% rispetto ai
livelli del 1990. Si calcola che il Protocollo potrebbe ridurlo al 29%. Cfr. JACOANGELI,
La Conferenza di Kyoto sui cambiamenti climatici, in MARCHISIO, RASPADORI,
MANEGGIA, op. cit., p. 49 e ss.

63
lecito considerare un nuovo ordine ecologico internazionale fondato sul
diritto internazionale dello sviluppo sostenibile. In tal senso il vertice è stato
un momento creativo di importanza sostanziale per lo sviluppo del diritto
internazionale, soprattutto, come vedremo meglio in seguito, se confrontato
con il successivo vertice di Johannesburg. I documenti adottati a Rio hanno
avuto una rilevanza fondamentale sia in termini giuridici che politici e sono
serviti da sprone per il conseguimento di importanti risultati anche in altri
campi della protezione ambientale, primo fra tutti l’adozione, il 17 giugno
1994, della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la
desertificazione (United Nations Convention to Combat Desertification,
UNCCD135), caldamente auspicata dal cap. 12 di Agenda 21, ed entrata in
vigore il 26 dicembre del 1996. La Convenzione costituisce un esempio
eloquente della rinnovata consapevolezza della necessità di un approccio
integrato alla protezione ambientale, considerata la dimensione globale della
maggior parte delle problematiche ad essa inerenti. Pertanto viene
ulteriormente ribadita l’essenzialità della cooperazione internazionale in
materia, ma completamente innovata dalla complementarietà con il
principio delle responsabilità comuni ma differenziate136, venendo quindi a
delineare una prospettiva altamente progredita, mirante al conseguimento
dell’uguaglianza sostanziale attraverso il riconoscimento della necessità di
forme di disuguaglianza compensatrice.
Altri risultati decisamente positivi sono stati il rafforzamento del ruolo
della società civile, l’incremento della consapevolezza dell’opinione
pubblica e del coordinamento e della coesione di quanti si battono per
l’effettiva realizzazione dello sviluppo sostenibile. E’ questo il principale
pregio che la Dichiarazione dei Rio delle ONG riconosce ad un vertice
giudicato nel complesso in maniera piuttosto negativa137, alla luce
135
Consultabile sul sito ufficiale della Convenzione: www.unccd.int (pagina base).
136
La Convenzione prevede un meccanismo di assistenza finanziaria, in base al quale i
paesi sviluppati si impegnano a rendere disponibili risorse finanziarie sostanziali per
sostenere lo sforzo dei paesi in via di sviluppo maggiormente colpiti dal fenomeno della
desertificazione. I paesi esposti alla desertificazione, da parte loro, si impegnano a
preparare programmi nazionali di lotta alla desertificazione e a dare ad essa adeguata
priorità nella definizione delle proprie politiche ambientali e di sviluppo.
137
Parallelamente all’UNCED si è svolto il Global Forum, un incontro mondiale delle
organizzazioni non governative impegnate sui temi ambientali e dello sviluppo. Al forum

64
dell’incapacità di giungere all’adozione di un vero e proprio trattato di
portata generale sullo sviluppo sostenibile, sottraendosi agli interessi
economici dominanti e alle prevalenti logiche di potere.
Fra il 23 e il 28 giugno del 1997, a distanza di cinque anni
dall’UNCED, l’Assemblea Generale, riunita nella diciannovesima sessione
speciale (UNGASS), in seguito ribattezzata “Earth Summit + 5”, ha
approvato la risoluzione S/19-2138 a cui è allegato il “Programma per
l’ulteriore attuazione di Agenda 21”, elaborato dalla Commissione per lo
sviluppo sostenibile. Il contributo dell’UNGASS all’evoluzione del
principio dello sviluppo sostenibile è stato decisamente modesto. In primo
luogo non si è riusciti a pervenire ad un accordo riguardo ad una solenne
dichiarazione politica dei Capi di Stato e di governo (Political Statement),
che è stata inserita all’interno della risoluzione come semplice dichiarazione
d’intenti sminuendone la portata politica e giuridica. In secondo luogo
l’obiettivo del summit non era la rinegoziazione dei contenuti degli atti
adottati a Rio, quanto la rivitalizzazione degli impegni ivi contenuti e la
valutazione dei progressi compiuti nei cinque anni trascorsi. In tal senso va
riconosciuto all’UNGASS il merito di aver proceduto ad una valutazione
attenta ed imparziale, riferendosi all’applicazione dei principi in termini non
certo entusiastici139. Concretamente, il principale contributo dell’UNGASS
allo sviluppo del diritto internazionale dello sviluppo sostenibile è
ravvisabile nell’integrazione della dimensione sociale nei due pilastri
classici del concetto, lo sviluppo economico e la protezione ambientale.
Tale concezione tripartita, emersa a causa degli effetti contraddittori della
globalizzazione e contenuta nei risultati di diversi incontri internazionali140,
hanno partecipato circa 2900 organizzazioni e al termine, oltre ad alcuni testi su questioni
specifiche denominati “trattati”, hanno approvato una Dichiarazione a carattere generale di
natura apertamente ecologista. Cfr. MARCELLI, Il Forum Globale delle ONG, in
GARAGUSO, MARCHISIO, op. cit., p. 71 e ss..
138
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base).
139
Ad esempio, al par. 14: “While some progress has been made in implementing United
Nations Conference on Environment and Development commitments through a variety of
international legal instruments, much remains to be done to embody the Rio principles more
firmly in law and practice.” (enfasi aggiunta).
140
Già presente nell’Agenda per lo sviluppo presentata da Boutros Ghali all’Assemblea
Generale il 6 maggio 1994 ha trovato la sua massima espressione negli atti della
Conferenza sullo sviluppo sociale tenutasi a Copenhagen dal 6 al 12 marzo 1995. E’ inoltre
presente nei risultati della Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo del 1994, della

65
viene riconosciuta dalla risoluzione come una delle strategie necessarie ad
accelerare il progresso verso lo sviluppo sostenibile141, al pari
dell’identificazione dei metodi di attuazione e dei settori prioritari su cui la
comunità internazionale è chiamata a concentrare gli sforzi. Circa il
problema dei mezzi necessari all’adempimento, la risoluzione focalizza
l’attenzione sulle risorse e meccanismi finanziari142, sul trasferimento di
tecnologie ambientalmente sane, sul rafforzamento della capacity-building a
livello nazionale, sul libero accesso alle informazioni e sulla necessità di
garantire una crescente consapevolezza e una formazione adeguata in
materia. A riguardo, quindi, il Piano riprende l’impostazione adottata Rio
senza apportarvi particolari innovazioni, salvo constatare il sostanziale stallo
dei processi in questione. Al contrario, la definizione delle priorità
d’attuazione143 risponde ad una delle principali debolezze di Agenda 21,
quella di non aver indicato quali questioni risultino particolarmente urgenti
nel quadro di oltre 2500 raccomandazioni rivolte ai governi144. Non si
registra nessun progresso quanto al riconoscimento del legame intercorrente
tra il diritto allo sviluppo sostenibile e i diritti fondamentali della persona
umana145.
I sintesi i risultati dell’UNGASS confermano che l’attuazione degli
obiettivi delineati a Rio necessita un processo graduale e molto complesso e

IV Conferenza di Pechino sulle donne del 1995 e della Conferenza sugli insediamenti
umani di Istanbul del 1996.
141
Cfr. par. 22 e ss. della risoluzione.
142
A tale proposito ribadisce la necessità di destinare all’ODA lo 0,7% del PNL, ma senza
riuscire a stabilire un calendario dei scadenze, conferma la centralità del GEF tra le
istituzioni multilaterali competenti, rileva gli effetti negativi del debito estero e pertanto
l’importanza di iniziative come l’HIPC (Highly Indebted Poor Countries Initiative) e
sottolinea la necessità della stabilizzazione dei flussi di investimenti privati.
143
Il Piano individua sedici settori che richiedono un’azione urgente: risorse idriche, oceani
e mari, foreste, energia, trasporti, atmosfera, sostanze chimiche tossiche, rifiuti pericolosi,
rifiuti radioattivi, terra e agricoltura sostenibile, desertificazione e siccità, biodiversità,
turismo sostenibile, piccoli Stati insulari in via di sviluppo, disastri naturali e disastri
tecnologici
144
Sui risultati dell’UNGASS cfr. FERRAJOLO, Il programma dell’UNGASS e lo sviluppo
sostenibile, in MARCHISIO,RASPADORI, MANEGGIA, op. cit., p. 25 e ss..
145
Cfr. MARCHISIO, Il principio dello sviluppo sostenibile, cit., p. 61: “Del tutto vaghi
sono i cenni al rapporto tra promozione dello sviluppo sostenibile, tutela dei diritti umani e
democrazia, contenuti i un generico richiamo al par. 108 all’acceso all’informazione, alla
più ampia partecipazione del pubblico ai processi decisionali e ai rimedi giurisdizionali,
con evidente ripetizione del principio 10 della Dichiarazione di Rio.”

66
testimoniano le difficoltà che la comunità internazionale attraversa nel
consolidamento del principio dello sviluppo sostenibile.

6. Il Summit di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile

Il vertice mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile


(World Summit on Sustainable Development, WSSD), tenutosi a
Johannesburg dal 26 agosto al 4 settembre 2002, è stato, con oltre
ventunmila partecipanti, la conferenza internazionale a più larga
partecipazione della storia, grazie all’enfasi posta sulla necessità del
coinvolgimento di tutti i componenti della società civile, i c.d. stakeholders.
La loro presenza è stata ritenuta essenziale non soltanto durante la fase di
produzione normativa e politica, ma anche, e soprattutto, per quanto
riguarda la fase dell’attuazione degli obiettivi proposti, considerando
l’approccio pragmatico degli atti adottati al termine del vertice. La
risoluzione 55/199146, con cui l’Assemblea Generale promosse il vertice, si
proponeva di attuare una revisione ed un bilancio dei progressi, osservabili
a dieci anni dall’UNCED, fatti nel lungo cammino verso lo sviluppo
sostenibile e di rilanciarne i principali obiettivi. A differenza della
risoluzione 44/228, la quale conteneva un’ esplicita esortazione a definire i
diritti ed i doveri degli Stati in campo ambientale, la 55/199 non fa alcun
riferimento allo sviluppo di un quadro normativo per lo sviluppo sostenibile,
né per il diritto internazionale in generale, presentando quindi il WSSD
come un Summit of Implementation, finalizzato all’attuazione concreta dei
risultati di Rio e all’effettiva applicazione dei principi ivi emersi.
Conseguentemente, dei due atti adottati al termine della conferenza, è il
Piano d’azione147 (Plan of Implementation) e non la Dichiarazione politica148
ad avere maggiore rilevanza. La Dichiarazione ha la funzione di garantire il

146
La risoluzione, intitolata “A ten-year review of progress achieved in the implementation
of the outcome of the United Nations Conference on Environment and Development”, è
consultabile sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base).
147
Ibidem
148
Ibidem

67
necessario sostegno politico al Piano, enfatizzando alcuni aspetti ritenuti
sostanziali, quali ad esempio la continuità tra Stoccolma, Rio e
Johannesburg, ma non apporta alcunché di innovativo al quadro dei principi
relativi allo sviluppo sostenibile. Contrariamente, il Piano d’azione è un
documento sostanzioso, negoziato intensivamente per più di nove mesi e
articolato in undici capitoli e in 170 paragrafi. Nonostante nel corso delle
conferenze preparatorie si fosse giunti ad un accordo su circa tre quarti del
testo del piano, rimanevano da discutere alcune tra le questioni più
controverse, in particolare l’accesso all’acqua potabile e ai servizi sanitari, i
sussidi per le energie rinnovabili, la perdita della biodiversità e i
cambiamenti climatici, l’impatto dei prodotti chimici sulla salute, la
gestione delle risorse ittiche, l’attuazione dei principi di Rio, il
finanziamento dello sviluppo sostenibile e gli effetti che su di esso ha il
commercio internazionale. Durante il processo negoziale si sono scontrati
essenzialmente tre gruppi di Stati, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e il G-
77 insieme alla Cina. Gli Stati europei, schierati sul fronte di una più
efficace protezione ambientale, si sono opposti alle antitetiche posizioni
statunitensi. Il G-77 ha finito per costituire l’ago dello bilancia.
Naturalmente interessato ad enfatizzare la dimensione sociale ed economica
dello sviluppo sostenibile, ha preferito schierarsi da una parte o dall’altra a
seconda delle questioni trattate, tendendo comunque ad opporre resistenza
all’adozione di obiettivi efficaci in materia ambientale149. Il Piano d’azione è
il frutto di tale contrasto di interessi.

149
In tal senso risulta emblematico il comportamento tenuto dal G 77 durante i negoziati
relativi al principio precauzionale (cfr. infra). Durante la quarta sessione del Comitato
Preparatorio a Bali, la delegazione svizzera, al fine di ottenere il supporto dei paesi in via di
sviluppo, propose di collegare il principio di precauzione a quello delle responsabilità
comuni ma differenziate, dal momento che entrambi presentavano alcune ambiguità,
avevano subito una certa evoluzione dopo Rio e vedevano schierati due gruppi di Stati su
posizioni opposte. Una volta che un accordo venne raggiunto riguardo al principio delle
responsabilità comuni ma differenziate, il G 77 sposò la tesi delle delegazioni statunitense,
giapponese e australiana, opponendosi alla codificazione dell’evoluzione del principio
precauzionale. “In fact, the G77/China had shown some flexibility on precaution only as
long as it needed the support of the European countries to get an agreement on common but
differentiated responsibilities, but once this issue was resolved, fears prevailed in the
G77/China that an undue broadening of the concept of precaution would open the door to
its misuse for protectionist purposes.” Cfr. PERREZ, The World Summit on Sustainable
Development: Environment, Precaution and Trade – A Potential for Success and/or
Failure, in RECIEL, 2003, p. 17 e ss.

68
Nell’introduzione vengono specificati gli obiettivi del Piano, facendo
riferimento all’attuazione, oltre che dei documenti d Rio, anche del Piano
d’azione dell’UNGASS, della Millennium Declaration150 ed in generale dei
maggiori accordi internazionali e dei risultati delle più importanti
conferenze tenutesi dal 1992, richiamando implicitamente, tra gli altri, gli
esiti della IV Conferenza ministeriale di Doha dell’Organizzazione
Mondiale del Commercio (OMC)151 del novembre 2001 e della Conferenza
internazionale sui finanziamento per lo sviluppo152, tenutasi a Monterrey nel
marzo del 2002. Gli obiettivi e le priorità indicati in entrambi i vertici
saranno richiamati più volte lungo tutto il documento, ed in maniera
particolare all’interno dei capitoli sulla globalizzazione e sul commercio. Al
par. 2153 viene confermata la concezione multidimensionale dello sviluppo
sostenibile, già emersa durante l’UNGASS, dove la tensione tra sviluppo
economico e protezione ambientale viene integrata dal terzo pilastro
interdipendente, lo sviluppo sociale.
Il cap. 2 è dedicato alla lotta alla povertà e riprende sostanzialmente
gli obiettivi della Millennium Declaration oltre all’impegno di creare un
fondo di assistenza allo sviluppo. Tale proposta è stata fortemente osteggiata
da molti paesi europei, alla luce del fatto che molti impegni finanziari sono

150
Si tratta della risoluzione 55/2 dell’Assemblea Generale, del 18 settembre 2000, con la
quale gli Stati membri delle Nazioni Unite si impegnano a raggiungere, entro il 2015, i c.d.
“Millennium Development Goals”, tra cui il dimezzamento delle persone che vivono sotto
la soglia di povertà, l’accesso all’acqua potabile, all’istruzione e ai servizi sanitari di base.
Obiettivi da attuarsi tramite l’integrazione dello sviluppo sostenibile nelle politiche
nazionali, la promozione di una partnership globale per lo sviluppo fondata su un sistema
finanziario e commerciale trasparente e non discriminatorio e sulla diffusione e l’utilizzo
delle nuove tecnologie. I testo della risoluzione può essere consultato sul sito delle Nazioni
Unite, www.un.org (pagina base).
151
La Dichiarazione ministeriale di Doha, WTO doc. WT/MIN(01)/DEC/1, del 20
novembre 2001, consultabile sul sito dell’OMC: www.wto.org (pagina base).
152
Il Monterrey Consensus, consultabile sul sito delle Nazioni Unite: www.un.org (pagina
base).
153
“To this end, we commit ourselves to undertaking concrete actions and measures at all
levels and to enhancing international cooperation, taking into account the Rio principles,
including, inter alia, the principle of common but differentiated responsibilities (…). These
efforts will also promote the integration of the three components of sustainable
development — economic development, social development and environmental protection
— as interdependent and mutually reinforcing pillars. Poverty eradication, changing
unsustainable patterns of production and consumption and protecting and managing the
natural resource base of economic and social development are overarching objectives of,
and essential requirements for, sustainable development.”

69
già stati presi e non rispettati, primo tra tutti quello di destinare lo 0,7% del
PNL all’ODA.
Particolarmente innovativo è il capitolo 3, dedicato alla necessità di
modificare gli attuali modelli di produzione e consumo insostenibili,
incoraggiando schemi fondati sull’eco-efficienza. Al par. 18 troviamo una
delle novità più interessanti di tutto il Piano, il riconoscimento
dell’importanza della responsabilità delle imprese in campo sociale e
ambientale. Per quanto le imprese vengano semplicemente incoraggiate ad
autoregolamentarsi su base volontaria, la questione rappresenta, almeno a
livello concettuale, un enorme passo avanti verso la tutela de primo e del
terzo pilastro dello sviluppo sostenibile.
Il cap. 4, relativo alla protezione e alla gestione delle risorse naturali,
non apporta novità significative alle disposizioni di Agenda 21, ma
promuove la necessità di un approccio ecosistemico integrato alla loro
gestione ed enfatizza il ruolo di pietre miliari delle tre convenzioni adottate
durante e dopo Rio, ottenendone il riconoscimento formale anche da parte di
Stati che non ne sono membri154.
I capitoli dal 5 al 9, attinenti rispettivamente alla globalizzazione, alla
salute, ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo, all’Africa e alle iniziative
regionali per lo sviluppo sostenibile, sono formulati in termini molto blandi
e con un linguaggio estremamente generico e non apportano particolari
novità a quanto già previsto da Agenda 21.
Analogamente, il cap. 11, riguardante i meccanismi istituzionali,
insiste nel sottolineare l’importanza del ruolo delle istituzioni competenti in
materia, quali l’Assemblea Generale, il Consiglio Economico e Sociale,
l’UNEP, la Commissione per lo sviluppo sostenibile, la necessità del
coordinamento con le altre organizzazioni internazionali e del rafforzamento
i meccanismi istituzionali regionali e nazionali.

154
Cfr. PERREZ, op. cit., p.15: “Not all States are members of these regimes, and the
WSSD’s confirmation of the concepts and commitments agreed previously only within
specific regimes may be seen as an expansion of these commitments to all States, this broad
confirmation and support of the achievements of the international climate change and
biodiversity processes is a milestone.”

70
Anche il cap. 10, relativo ai mezzi di attuazione, ribadisce per
l’ennesima volta gli impegni presi a Rio a destinare lo 0,7% del PNL
all’ODA, a sostenere i flussi di investimenti pubblici e privati, a ridurre i
debito estero, a favorire il trasferimento di tecnologie innovative. Richiama
inoltre il principio 10 sulla partecipazione della società civile e il principio
16 sulla valutazione di impatto ambientale.
Ma le questioni di maggiore interesse, nonché alcune tra quelle
maggiormente dibattute, riguardano l’applicazione del principio
precauzionale e il chiarimento dei rapporti tra gli accordi ambientali
multilaterali (Multilateral Environmental Agreements, MEAs) e la
disciplina dell’OMC.
Riguardo al principio di precauzione, il negoziato fu incentrato sullo
status legale della precauzione e sull’opportunità di riportare nel Piano
l’evoluzione del concetto durante i dieci anni successivi a Rio. Circa il
primo aspetto si trattava di decidere se definire la precauzione come un
principio o come un approccio. L’Unione Europea proponeva la prima
impostazione al fine di sottolineare lo status di diritto consuetudinario del
concetto, mentre Stati Uniti e l’Australia si ponevano su posizioni
diametralmente opposte, propendendo per la definizione di semplice
approccio. Riguardo all’evoluzione della precauzione, come abbiamo già
visto relativamente al Protocollo di Cartagena, si trattava di stabilire se
riconoscerne l’applicabilità anche in relazione a misure per la protezione
della salute umana, in caso di semplice potenziale effetto avverso e non di
danno serio e irreversibile, nonché se eliminare il requisito della
proporzionalità rispetto ai costi delle misure in questione155. Il compromesso
raggiunto faceva riferimento alla precauzione come ad un approccio, poiché
parve che la distinzione avesse valore più a livello semantico che
sostanziale, considerato che di fatto molti autori e molti Stati europei già
attribuivano alla precauzione valore di diritto consuetudinario156. In secondo
luogo, si decise di non inserire nel testo del Piano l’evoluzione del concetto,
155
Un’impostazione più o meno analoga può essere riscontrata anche all’art. 5 dell’Accordo
sulle Misure Sanitarie e Fitosanitarie dell’OMC e agli artt. 1, 5 e 8 della Convenzione di
Stoccolma del 2001 sugli inquinanti organici persistenti.
156
Cfr. PERREZ, op. cit., p. 15, nota 33.

71
poiché essa è presente soltanto in alcuni strumenti giuridici ed è formulata
in maniera differente. Ma questo approccio apparentemente conservatore157,
che vede la riaffermazione letterale di tutto il principio 15 della
Dichiarazione di Rio, evidenzia l’esistenza di un consenso generalizzato su
tale formulazione e sul suo valore giuridico, contribuendo ulteriormente alla
cristallizzazione del principio nel diritto internazionale consuetudinario158.
Il rapporto tra il commercio internazionale e lo sviluppo sostenibile è
stato risolto in favore di quest’ultimo. Durante i negoziati fu presentata una
proposta che stabiliva chiaramente un rapporto gerarchico, anteponendo la
normativa dell’OMC a quella relativa ad ambiente e sviluppo, attraverso la
previsione della necessaria coerenza della seconda con la prima. Tale
riferimento fu eliminato successivamente, grazie all’intervento della
Svizzera e della Norvegia che riuscirono a rompere la compattezza del G-
77, ottenendo anche l’appoggio di Canada e Ungheria.
Al par. 97 si richiede agli Stati di garantire il reciproco sostegno tra
commercio, ambiente e sviluppo tenendo in considerazione il
raggiungimento dello sviluppo sostenibile, attraverso l’operato del Comitato
su Commercio e Ambiente (Commitee on Trade and Environment, CTE),
del Comitato su Commercio e Sviluppo (Commitee on Trade and
Development, CTD), la cooperazione internazionale e l’attuazione del
programma di lavoro sui sussidi elaborato a Doha. Il par. 98159presenta una
formulazione altamente avanzata e progredita, che capovolge il rapporto
gerarchico precedentemente paventato. Infatti, da un lato gli Stati sono
157
Par. 109 f) : “Promote and improve science -based decision -making and reaffirm the
precautionary approach as set out in principle 15 of the Rio Declaration on Environment
and Development, which states: “In order to protect the environment, the precautionary
approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are
threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as
a reason for postponing cost -effective measures to prevent environmental degradation.”
158
Cfr. PERREZ, op. cit., p. 18: “Interestingly, the fact that the WSSD does not reflect the
further development of precaution in specific areas such as chemicals, biosafety and WTO
may have a surprising effect. (…) [it] can be seen as an expression of an existing consensus
on the legal force of that principle. Thus, by focusing on the broadly accepted elements of
precaution, the WSSD may have contributed more to the further crystallization of Principle
15 into customary international law, than by making reference to specific and diverse
development, which apply only to specific areas.”
159
“Promote mutual supportiveness between the multilateral trading system and the
multilateral environmental agreements, consistent with sustainable development goals, in
support of the work programme agreed through WTO, while recognizing the importance of
maintaining the integrity of both sets of instruments” (corsivo aggiunto).

72
nuovamente chiamati ad assicurare il reciproco supporto tra il sistema
commerciale multilaterale e i MEAs, nonché a riconoscere l’integrità di
entrambi i sistemi e peraltro in supporto del programma di lavoro concluso
all’interno dell’OMC. Ma dall’altro la necessità di garantire la coerenza dei
due sistemi con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, sottolinea che la
promozione del libero commercio non deve affatto essere considerata come
un fine in quanto tale, ma semplicemente uno strumento per raggiungere
l’obiettivo sovrastante dello sviluppo sostenibile, il quale dovrebbe essere
quindi anche la funzione ultima della stessa OMC. Inoltre, specificando la
necessità di mantenere l’integrità di entrambi i sistemi, si intende precisare
che l’uno deve portare rispetto alle competenze dell’altro e che pertanto le
questioni ambientali non dovrebbero essere risolte all’interno dell’OMC, né
l’OMC dovrebbe valutare la compatibilità dei MEAs con la propria
normativa. In conclusione, identificando lo sviluppo sostenibile come fine
ultimo si assume che i rapporti OMC-MEA dovrebbero essere governati dai
principi del sostegno reciproco, dell’assenza di gerarchia e del mutuo
rispetto160. Naturalmente la realtà dei fatti, che, dal 1992, ha visto crescere
enormemente la normativa commerciale e la sua efficacia, mentre
parallelamente ha mostrato tutte le difficoltà incontrate dalla comunità
internazionale nella negoziazione e nell’adempimento degli accordi
ambientali, per non parlare di quelli in materia sociale, dimostra come
l’integrazione tra i tre pilastri dello sviluppo sostenibile sia ben lontana
dall’essere stata concretamente realizzata. Mostra invece, considerato il
primato de facto del diritto internazionale commerciale, come si sia
verificata un’integrazione in senso monodirezionale161.

160
Cfr. PERREZ, op. cit., p. 20 e ss.
161
Cfr. PALLEMAERTS, International Law and Sustainable Development: Any progress
in Johannesburg?, in RECIEL 2003, p. 10: “The Preamble of the 1994 Marrakesh
Agreement Establishing the WTO acknowledges the importance of policy integration (…),
but the lingering tensions between national and international environmental and social
policies and the multilateral trading system demonstrate that the WTO’s commitment to
sustainability has been mainly rhetorical so far. The Doha Ministerial Conference in
November 2001 launched a major new round of multilateral negotiations, designed to
further expand the scope and reach the WTO law. No comparable effort to strengthen
international environmental and social standards at the beginning of the new millennium
seems to be in the offing.”

73
In generale al Piano d’azione di Johannesburg va riconosciuto il
merito di riconfermare e rilanciare l’impegno della comunità internazionale
verso lo sviluppo sostenibile, di consolidare e confermare i progressi
ottenuti nei dieci anni trascorsi da Rio e di provvedere a delineare alcuni
obblighi talvolta anche piuttosto specifici, con obiettivi e scadenze
temporali concreti, che, per quanto inquadrati in uno strumento di soft law,
costituiscono dei passi avanti nel quadro della protezione ambientale
rispetto agli impegni di Rio. In particolare risultano degni di nota, al par. 15,
la previsione di un quadro decennale per il supporto delle iniziative
nazionali e regionali per la promozione di modelli di produzione e consumo
sostenibili, al par. 26, l’impegno a sviluppare dei piani per la gestione
integrata delle risorse idriche entro il 2005 e, al par. 23, la gestione
sostenibile dei prodotti chimici e de rifiuti pericolosi. Inoltre appaiono molto
significativi i continui riferimenti al coinvolgimento degli stakeholders nel
processo di attuazione, attraverso le c.d. “Type II Partnerships”, ovvero
alleanze e progetti di cooperazione concreta su specifiche questioni tra
entità statali e non, come ONG, comunità locali o imprese, destinate ad
avere con ogni probabilità un ruolo chiave nell’attuazione dello sviluppo
sostenibile.
Come durante il vertice di Rio, le ONG hanno dato vita ad un Global
Forum parallelo, contribuendo al dibattito in maniera particolarmente
produttiva. Il giudizio espresso dal forum delle ONG sui risultati finali del
vertice ufficiale è alquanto sfavorevole. Per quanto siano state toccate
tematiche di rilevanza sostanziale, non si è riusciti ad affrontarle in maniera
incisiva, utilizzando la falsariga offerta da atti di diversa natura, come la
Dichiarazione di Doha e il Monterrey Consensus, che lasciano poco spazio
all’evoluzione dei temi della tutela ambientale e dello sviluppo sociale. Del
resto molti paesi, primi tra tutti gli Stati Uniti, erano giunti a Johannesburg
con il chiaro obiettivo di non concordare alcunché di nuovo162.
162
Cfr. STEINER, NGO Reflections on the World Summit: Rio + 10 or Rio – 10?, in
RECIEL, 2003, p. 37: “Most NGOs were in agreement – albeit to differing degrees – that
the summit failed to take the broad-based action necessary to make a real difference in the
delivery of sustainable development. The real value added by such a summit tat happens
once a decade is to address critical global challenges in the light of all facets of the
sustainable development agenda. This includes issues that are not dealt with elsewhere,

74
In conclusione, bisogna considerare che, data la scarsa ambizione del
mandato, i risultati andranno valutati nel lungo periodo e dipenderanno dalle
azioni future, dalla volontà politica di adempiere agli impegni assunti. Sarà
la storia a mostrare se durante la prossima conferenza internazionale sullo
sviluppo sostenibile si potrà parlare di “Johannesburg + 10” o se invece si
dovrà fare ancora riferimento al vertice di Rio. Alla luce della crescente
tendenza all’unilateralismo degli Stati Uniti, del costante incremento delle
disparità tra paesi industrializzati e in via di sviluppo, dell’effettivo
inadempimento degli impegni assunti a Rio, pare poco realistico assumere
posizioni troppo fiduciose.

such as sustainable financing, globalization, corporate accountability and reorienting the


economic agenda towards sustainable development. These issues were touched upon in
Johannesburg, but not in an in-depth manner, nor with any real result. Too many powerful
counties and special interests were intent on maintaining the status quo. In some cases, the
summit story was even worse, with issues already agreed elsewhere being opened up anew
for debate. Some key problems were a broad lack of political will, poor organization of the
PrepCom’s work, and using previously agreed documents as a blockade to progress.”

75
CAPITOLO II

L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL


COMMERCIO: PRINCIPALI ASPETTI
ISTITZIONALI PROCEDURALI E NORMATIVI

1. La genesi del sistema commerciale multilaterale: l’Accordo generale


sulle tariffe e il commercio del 1947

Il processo storico che ha portato alla creazione di un sistema di regole


per la disciplina del commercio internazionale e alla successiva istituzione
di un’organizzazione internazionale preposta alla loro gestione,
l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), presenta delle
caratteristiche singolari che meritano di essere brevemente rievocate163.
L’istituzione di un’organizzazione diretta a gestire i rapporti
commerciali tra Stati era stata prevista sin dalla fine della seconda guerra
mondiale, quale terzo fondamentale pilastro dell’ordine economico
internazionale, delineato nel 1944 durante la Conferenza di Bretton Woods,
incentrato sulla dottrina del neoliberismo garantito. In tale sede si procedette
a regolare gli aspetti monetari e finanziari delle relazioni economiche
163
Relativamente ai profili storico-istituzionali dell’evoluzione del diritto del commercio
internazionale si veda in particolare: ADINOLFI, L’Organizzazione Mondiale del
Commercio. Profili istituzionali e normativi, Padova, 2001, p. 5 e ss.; COCCIA, GATT
(General Agreement on Tariffs and Trade), in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol.
VII, Torino, 1991, p. 77 e ss.; COMBA, Il neo liberismo internazionale. Strutture
giuridiche a dimensione mondiale dagli accordi di Bretton Woods all’Organizzazione
Mondiale del Commercio, Milano, 1995, p. 25 e ss.; JACKSON, The World Trade
Organization: Constitution and Jurisprudence, Londra, 1998, p. 12 e ss.; PICONE,
LIGUSTRO, Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, Padova, 2002, p. 3 e
ss.

76
internazionali, istituendo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la
Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS). Gli
obiettivi di politica economica ritenuti prioritari nel periodo post-bellico
erano sostanzialmente l’ottenimento della piena occupazione, la
stabilizzazione dei tassi di cambio e l’espansione degli scambi commerciali.
A tal fine si rivelava imprescindibile trovare una soluzione ad un triplice
ordine di problemi: la ricostruzione del disastrato sistema monetario
internazionale, il sostegno degli investimenti con finalità produttive e la
cessazione delle pratiche protezionistiche e delle politiche di beggar thy
neighbour, che, attraverso la logica bilaterale, l’imposizione di tariffe
doganali, restrizioni quantitative, sovvenzioni all’esportazione e
svalutazioni competitive, avevano caratterizzato il ventennio tra le due
guerre. Il “sistema di Bretton Woods”, oltre ad affidare la gestione delle
prime due questioni rispettivamente al FMI e alla BM, auspicava la
creazione di un meccanismo integrato di istituzioni economiche
internazionali e in tal senso al termine delle Conferenze si raccomandò
formalmente ai quarantaquattro Stati partecipanti di raggiungere al più
presto un accordo sui mezzi più idonei a instaurare relazioni commerciali
reciprocamente vantaggiose.164
Nel febbraio del 1946, il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni
Unite, in occasione della sua prima sessione, indisse la Conferenza delle
Nazioni Unite su commercio e occupazione, con l’obiettivo esplicito di
costituire l’Organizzazione Internazionale del Commercio (International
Trade Organization, ITO) quale istituto specializzato delle Nazioni Unite165.
A tal fine venne istituito un Comitato preparatorio incaricato sia di
predisporre il progetto di accordo istitutivo che di patrocinare i negoziati
multilaterali mirati a ridurre le tariffe doganali, operazione che venne svolta
durante la terza sessione del Comitato, conclusasi a Ginevra nell’ottobre del

164
Considerata l’intuitiva interdipendenza tra la libera circolazione delle merci e la
liberalizzazione dei pagamenti, l’impegno a garantire l’espansione e lo sviluppo armonico
del commercio internazionale rientra tra gli obiettivi esplicitamente attribuiti al FMI
dall’art. 1 dell’Accordo istitutivo. Il testo dell’Accordo può essere consultato sul sito
ufficiale del FMI, www.imf.org (pagina base).
165
Sulla natura degli Istituti specializzati e sui loro rapporti con le Nazioni Unite si veda
CONFORTI, Le NazioniUnite, V ed., Padova, 1996, p. 236 e ss.

77
1947. La Conferenza su commercio e occupazione si tenne all’Avana tra il
novembre del 1947 e il marzo del 1948 e durante i suoi lavori venne aperto
alla firma degli Stati partecipanti l’accordo istitutivo dell’ ITO.
Parallelamente, le liste di concessioni tariffarie risultanti dai negoziati di
Ginevra, incorporate nella quarto capitolo della c.d. Carta dell’Avana166,
furono utilizzate per dare vita ad un accordo internazionale a sé stante, il
quale, in virtù di un accordo in forma semplificata, denominato Protocollo
di applicazione provvisoria, rendesse immediatamente vincolanti tali
concessioni, considerati i tempi necessari ai procedimenti di ratifica da parte
dei singoli parlamenti nazionali167. Le disposizioni presenti nella quarta
parte della Carta dell’Avana presero il nome di Accordo generale sulle
tariffe e il commercio (General Agreement on Tariffs and Trade, GATT)168,
che fu sottoscritto il 30 ottobre del 1947. Il GATT entrò in vigore il primo
gennaio 1948 e le concessioni tariffarie in esso incluse divennero vincolanti
per i ventitre Stati firmatari del Protocollo, al quale successivamente molti
altri Stati aderirono169.
166
La Carta, il cui testo è consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base),
constava di 106 articoli divisi in nove capitoli e di sedici allegati. Il capitolo maggiormente
innovativo risultava essere il quinto, dedicato alle pratiche commerciali restrittive. In esso,
per la prima volta in un trattato multilaterale, venivano analiticamente descritte le pratiche
commerciali lesive della libera concorrenza poste in essere dalle imprese, nonostante,
naturalmente, l’obbligo di evitare tali pratiche fosse posto in capo agli Stati membri e non
alle imprese. Inoltre, la Carta faceva riferimento alle pratiche esercitate dalle imprese
indipendentemente dalla loro natura giuridica, facendovi pertanto rientrare anche le imprese
pubbliche. Infine, il divieto di pratiche commerciali restrittive veniva esteso, pur con alcune
differenze, anche ad alcuni tipi di servizi, quali i trasporti, le assicurazioni, le
telecomunicazioni ed i servizi bancari. Cfr. COMBA, Il neoliberismo, cit., p. 40 e ss.
167
L’entrata in vigore della Carta era stata subordinata al deposito degli strumenti di ratifica
da parte di un numero di Stati tale da rappresentare almeno l’85% del volume globale degli
scambi commerciali tra gli Stati firmatari.
168
Il testo dell’accordo è consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
169
Il GATT non ha mai raggiunto un numero di ratifiche sufficienti per la sua entrata in
vigore e, durante in quarantasette anni durante i quali è rimasto il principale strumento
giuridico relativo alle relazioni commerciali internazionali, ne è sempre stata data
esecuzione tramite il Protocollo di applicazione provvisoria, incorporante il testo del GATT
tramite un rinvio redazionale. Analogamente, gli Stati che vi hanno aderito in seguito hanno
proceduto a stipulare accordi per l’applicazione provvisoria, denominati Protocolli di
adesione. Si ritiene che tali atti debbano essere considerati veri e propri accordi
internazionali a carattere definitivo, per quanto in dottrina siano stati avanzati dubbi
relativamente alla loro efficacia. Difatti alcuni Stati, tra cui l’Italia, hanno preferito seguire
la procedura di stipulazione solenne e hanno ottenuto l’autorizzazione all’adesione dai
rispettivi organi legislativi (nel caso italiano venne emanata un’apposita legge di
autorizzazione alla ratifica a di esecuzione dell’Accordo, la legge n. 295 del 5 aprile del
1950, successivamente confermata, per le modifiche intervenute, dalla legge n. 1307 del 7
novembre 1957), salvo poi procedere alla stipulazione del protocollo di adesione (l’Italia,

78
Negli anni immediatamente successivi, la sollecita negoziazione e la
stipulazione di un accordo separato sulle tariffe doganali si rivelò
particolarmente assennata, dal momento che divergenze inconciliabili, in
particolar modo tra Stati Uniti e Gran Bretagna170, riguardo al sistema
maggiormente idoneo a regolare gli scambi commerciali portarono
all’abbandono del progetto. Nel dicembre del 1950 il governo statunitense
annunciò formalmente la rinuncia a ottenere da Congresso l’autorizzazione
alla ratifica, poco tempo dopo seguì un’analoga dichiarazione da parte della
Gran Bretagna e conseguentemente tutti gli altri Stati firmatari seguirono il
loro esempio.
Restava il GATT, il quale, da semplice “costola” dell’ITO, si trovò a
svolgere il ruolo sia di accordo di diritto materiale che di accordo istitutivo
di un’organizzazione internazionale171.
Dalla provvisorietà dovuta a tale procedimento costitutivo sui generis,
dalla flessibilità del sistema normativo, dall’imponente numero di eccezioni
contemplate e dalla scarsa incisività del sistema di risoluzione delle
controversie derivarono i numerosi limiti del sistema.

insieme ad altri 9 paesi, attraverso il Protocollo collettivo di Annency del 10 ottobre 1949),
né mai la provvisorietà dell’accordo è stata invocata per giustificarne la violazione. Inoltre
sia la Corte Internazionale di Giustizia che la Corte di Giustizia della Comunità Europea si
sono espresse circa la natura di normale trattato multilaterale, definitivo e pienamente
vincolante del GATT. Cfr. COCCIA, GATT, op. cit., p. 82 e ss.; GREPPI, WTO (World
Trade Organization), in Aggiornamenti al Digesto delle Discipline Pubblicistiche, Torino,
2000, p. 720 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 10 e ss.
170
Tali ragioni sono da ricondursi principalmente a preoccupazioni relative alla possibile
lesione della sovranità nazionale delle due grandi potenze. L’affermazione del principio di
non discriminazione e del divieto dei restrizioni quantitative, strenuamente sostenuti da
parte statunitense, confliggeva con le necessità britanniche di mantenere il sistema delle
preferenze imperiali e di poter utilizzare anche le restrizioni quantitative al fine di risolvere
i problemi di bilancia dei pagamenti collegati a quelli del pieno impiego (si pensi che la
Carta dell’Avana, all’art. 2, sottraeva esplicitamente al dominio riservato degli Stati anche
le politiche relative all’occupazione, materia tradizionalmente appartenente a tale sfera, cfr.
COCCIA, GATT, cit., p. 81). Va aggiunto che il Congresso americano era, dal 1948, a
maggioranza repubblicana, da sempre orientata in senso maggiormente protezionistico, e
inoltre, nello stesso periodo, le priorità di politica estera si stavano orientando verso la
costituenda NATO e la gestione del Piano Marshall.
171
Non tutta la dottrina si trova concorde sulla possibilità di attribuire al GATT la qualifica
di vera e propria organizzazione internazionale, per quanto una parte maggioritaria di essa
si sia espressa in senso affermativo. Cfr. COCCIA, Dal GATT 1947 al GATT 1994:
considerazioni generali e istituzionali, in SIDI, Diritto e organizzazione del commercio
internazionale dopo la creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, p. 83 e in
particolare note 5 e 11. Per una sua caratterizzazione come organizzazione internazionale
“debole” o “leggera” si veda PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 22 e ss.

79
Le maggiori incertezze furono riscontrate sul piano interno. In primo
luogo, sulla base di tali presupposti, gli apparati giudiziari degli Stati
membri negarono il carattere self-executing delle disposizioni dell’Accordo
e pertanto la diretta applicabilità delle stesse172, rallentandone fortemente il
processo di attuazione.
In secondo luogo, il par. 1 b) del Protocollo del 1947 conteneva la c.d.
clausola Grandfather, ai sensi della quale, relativamente all’adempimento
della Parte II dell’Accordo contenente le più importanti norme di diritto
materiale, veniva fatta salva tutta la legislazione interna antecedente alla
data di adesione. Si trattava evidentemente di un’eccezione di non poco
conto, che minava le fondamenta della certezza del diritto in materia,
venendosi a delineare una normativa ad hoc per ogni singolo Stato. Le
stesse conseguenze erano attribuibili al frazionamento del quadro normativo
( la c.d. “balcanizzazione”) che caratterizzava l’Accordo173. Difatti, da un
lato, alla vigilia dell’Uruguay Round le parti contraenti erano passate da 23
a 92, dall’altro sotto l’egida del GATT erano stati stipulati più di 200
accordi separati e autonomi, che non erano stati firmati dalla totalità degli
Stati membri. Si veniva quindi a creare il c.d. fenomeno del free-riding, in
ragione del fatto che la clausola della nazione più favorita, prevista dall’art.
I del GATT, estendeva automaticamente a tutti gli Stati membri i benefici
derivanti dagli accordi separati, mentre i rispettivi oneri incombevano
soltanto sugli Stati che ad essi si erano esplicitamente vincolati. Infine, la
limitatezza e la debolezza dell’apparato istituzionale, anche alla luce della

172
Tale orientamento venne seguito dalla quasi totalità degli Stati membri con la sola
eccezione dell’Italia, la quale, relativamente alle norme ritenute self-executing, ammetteva
l’efficacia diretta delle medesime e quindi la loro idoneità a produrre diritti e obblighi
direttamente azionabili dagli individui. L’ordinamento italiano continuò a seguire tale
impostazione fino alla metà degli anni 70, quando la Corte di Giustizia delle Comunità
Europee si espresse circa la mancanza di effetti diretti dell’accordo nell’ordinamento
comunitario. Con tale constatazione venne sancita anche l’inidoneità del GATT a fungere
da parametro di legittimità del diritto comunitario derivato. Pertanto la mancata attribuzione
dell’efficacia diretta condizionò il rango delle disposizioni del medesimo a livello
comunitario, mentre negli Stati membri venne assicurata la prevalenza delle norme
dell’Accordo rispetto alle norme interne confliggenti, anche se successive. Sulla questione
cfr. ampiamente PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 545 e ss.
173
Un’analoga considerazione deve essere fatta riguardo alla prassi sviluppatasi
relativamente all’acquisto dello status di membro del GATT. Cfr. ADINOLFI, op. cit., p.
20 e ss.

80
notevole evoluzione174 che lo ha caratterizzato, ha fortemente circoscritto la
capacità operativa dell’organizzazione.

1.2. La struttura istituzionale del GATT

L’unico organo originariamente previsto dall’Accordo generale, ai


sensi dell’art. XXV, par. 1175, consiste nelle “parti contraenti agenti
collettivamente” e viene denominato “PARTI CONTRAENTI”.
All’organo, in tutto simile a una conferenza di Stati, era attribuita una
competenza generale ed era previsto un sistema di votazione a maggioranza
semplice, salvo prescrivere maggioranze qualificate per questioni di
particolare rilevanza176. Già a partire dal 1950 questo sistema è stato
abbandonato in favore della prassi del consensus. Tale meccanismo implica
l’adozione di un atto, senza una formale votazione, qualora non vengano
sollevate esplicite obiezioni, con l’ovvia conseguenza che ad ogni Stato
viene conferita la possibilità di bloccare una decisione.
Nel giugno del 1960, dopo vari tentativi di ovviare alle carenze
istituzionali del sistema177, le PARTI CONTRAENTI decisero di istituire,
174
Sulla questione si veda, in particolare, COCCIA, GATT, cit., p. 84 e ss.; COMBA, Il
neoliberismo, cit., p. 158 e ss.
175
“Representatives of the contracting parties shall meet from time to time for the purpose
of giving effect to those provisions of this Agreement which involve joint action and,
generally, with a view to facilitating the operation and furthering the objectives of this
Agreement. Wherever reference is made in this Agreement to the contracting parties acting
jointly they are designated as the CONTRACTING PARTIES.”
176
Ad esempio per la concessione di deroghe agli obblighi dell’Accordo, ex art. XXV, par.
5, viene richiesto sia la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, sia che in tale
maggioranza siano compresi voti di più della metà delle parti contraenti. Anche per
l’entrata in vigore degli emendamenti (art. XXX) sono necessari i due terzi, ma questi
vincolano solo le parti che li hanno accettati, mentre per emendare la Parte I dell’accordo
(artt. I e II) è richiesta l’unanimità. La particolare onerosità della procedura ha fatto si che
lo sviluppo del sistema normativo si sia realizzato principalmente tramite il ricorso a norme
di secondo grado (emanate dagli organi dell’organizzazione e incapaci di incidere sulle
disposizioni primarie dell’Accordo) o grazie alla prassi applicativa. La procedura di
emendamento è stata usata per l‘ultima volta nel 1964 in occasione dell’aggiunta della
Parte IV su “Commercio e Sviluppo” , mentre l’evoluzione normativa si è realizzata ad
opera di accordi separati, l’esempio più eloquente dei quali è costituito dai codici del Tokio
Round (v. infra).
177
In tal senso l’esempio più eloquente è costituito dall’adozione, durante la sessione del
1954-55, del trattato istitutivo dell’Organizzazione per la cooperazione commerciale
(Organization for Trade Cooperation, OTC). Il progetto presentava caratteristiche meno
ambiziose di quelle dell’ITO, ma le ragioni politiche che portarono al fallimento della

81
sulla base dell’art. XXV, par. 1, il Consiglio dei Rappresentanti. Si
considera che tale atto rappresenti il momento di transizione del GATT da
semplice accordo multilaterale amministrato da una conferenza di Stati a
vera e propria organizzazione internazionale178, caratterizzata dalla tipica
struttura ternaria dei suoi organi. Al Consiglio erano attribuite funzioni
esecutive, per quanto le sue prerogative non si discostassero in maniera
sostanziale da quelle dell’organo a cui era subordinato179 e di cui doveva
gestire le attività tra una sessione e l’altra. La composizione e il meccanismo
di voto del Consiglio erano analoghi a quelli delle PARTI CONTRAENTI,
come, del resto, la successiva prassi di affidarsi al consensus per l’adozione
delle decisioni.
Anche il Segretariato del GATT si è formato grazie a un processo di
progressiva strutturazione istituzionale. Inizialmente le attività
amministrative erano demandate alla Commissione ad interim per
l’Organizzazione Internazionale del Commercio (Interim Commission for
the International Trade Organization, ICITO), e al Segretario esecutivo
posto a capo della medesima. Nel 1965 le PARTI CONTRAENTI
modificarono il titolo del Segretario esecutivo in quello di Direttore
Generale, cui furono assegnate, oltre alle consuete competenze
amministrative, anche funzioni di mediazione tra gli Stati membri.
Nel sistema GATT rivestono un ruolo estremamente rilevante i
numerosi organi sussidiari180 chiamati a esaminare e sorvegliare determinati

stessa provocarono anche l’abbandono dell’OTC. Le procedure dell’Accordo furono


migliorate con l’istituzione del Comitato Intersessionale, un organo deputato alla gestione
degli affari correnti tra una sessione e l’altra delle PARTI CONTRAENTI, poi stabilmente
sostituito dal Consiglio dei Rappresentanti. Cfr. GREPPI, WTO, cit., p. 723.
178
Ibidem, p. 724.
179
Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 20: “(...) non si attuava la “divisione dei poteri”
tra un organo deliberativo e di carattere plenario e un organo a composizione ristretta e con
compiti strettamente esecutivi normalmente prevista dalle organizzazioni internazionali.
Più che un organismo realmente distinto, il Consiglio era infatti, specialmente al principio,
una sorta di alter ego delle PARTI CONTRAENTI, destinato a dare maggiore continuità
alla loro azione coprendo i “vuoti” intersessionali.”
180
Merita di essere ricordata l’istituzione del Gruppo consultivo dei diciotto ad opera del
Consiglio dei Rappresentanti, nel 1975. Tale organo avrebbe dovuto assumere un ruolo di
particolare rilievo. Composto dai rappresentanti governativi a livello ministeriale di sei stai
industrializzati, sei in via di sviluppo e sei scelti tra i rimanenti, avrebbe dovuto svolgere
un’importante funzione di indirizzo politico con particolare riferimento alla congruità della
normativa GATT con le esigenze politico economiche dei membri e al coordinamento con
le attività del FMI. Di fatto il Gruppo non ha mai acquisito la rilevanza di primo piano che

82
aspetti del sistema commerciale. In primo luogo vi sono diversi comitati
permanenti preposti a esaminare in modo continuativo questioni che
rivestono uno specifico interesse, in particolare il Comitato su commercio e
sviluppo, quello sulle restrizioni quantitative, quello sulla bilancia dei
pagamenti, quello sulle misure di salvaguardia, quello sull’agricoltura e
quelli previsti dai Codici del Tokyo Round181. Viceversa i gruppi di lavoro
rivestono carattere temporaneo, sono composti da un numero ristretto di
rappresentanti degli Stati membri e vengono istituiti ad hoc per l’esame di
specifiche questioni.
Dalla prassi di costituire di volta in volta tali gruppi è derivato il
particolare sistema di soluzione delle controversie dell’Accordo.
Il meccanismo consiste sostanzialmente in un procedimento di
conciliazione, fondato sull’esame della controversia e sulla successiva
stesura di un rapporto, da presentare alle PARTI CONTRAENTI, da parte di
gruppi di esperti (panels), che si differenziano dai gruppi di lavoro in quanto
i soggetti che li compongono agiscono a titolo individuale e non come
rappresentanti dei rispettivi Stati.
La scarna base normativa del procedimento è costituita dagli artt.
XXII e XXIII, ma la continua evoluzione della prassi ha reso necessaria una
sua codificazione durante il Tokyo Round attraverso una risoluzione delle
PARTI CONTRAENTI182. Ai sensi del par. 1 dell’art. XXIII183, la

avrebbe dovuto avere, ma ha comunque svolto un’importante funzione consultiva. Cfr.


COCCIA, GATT, cit., p. 84 e ss.
181
Va notata la particolarità di questi ultimi. Quali espressioni di accordi autonomi questi
non facevano parte dell’apparato istituzionale del GATT, a differenza degli altri organi
sussidiari delle PARTI CONTRAENTI. Conseguentemente queste non avevano il potere di
coordinarne le attività, limitandosi all’esame di un rapporto annuale inviato da detti organi.
182
Il testo della risoluzione, intitolata “Understanding Regarding Notification,
Consultation, Dispute Settlement and Surveillance”, e dell’allegato, denominato “Agreed
Description of the Costumary Practice of the GATT in the Field of the Dispute Settlement”,
è consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
183
“If any contracting party should consider that any benefit accruing to it directly or
indirectly under this Agreement is being nullified or impaired or that the attainment of any
objective of the Agreement is being impeded as the result of
(a)the failure of another contracting party to carry out its obligations under this Agreement,
or
(b)the application by another contracting party of any measure, whether or not it conflicts
with the provisions of this Agreement, or
(c)the existence of any other situation,
the contracting party may, with a view to the satisfactory adjustment of the matter, make
written representations or proposals to the other contracting party or parties which it

83
condizione sufficiente e necessaria184 affinché uno Stato membro possa
ricorrere al suddetto meccanismo è costituita dall’annullamento o dalla
menomazione (nullification or impairment) di un qualunque vantaggio
derivante dalla sua partecipazione al GATT.
Dal punto di vista procedurale il meccanismo risulta articolato in
cinque fasi. Una prima fase prevede negoziati e consultazioni tra le parti, sia
nel caso in cui a una di esse sia stato arrecato un pregiudizio, ex art. XXIII,
par. 1, sia in riguardo a qualunque altra questione relativa all’applicazione
dell’Accordo, ex art. XXII. La seconda fase, fondata, come le successive,
sul disposto del par. 2 dell’art. XXIII, prevede l’istituzione di un panel di
esperti da parte del Consiglio185, su richiesta della parte interessata. Il
Consiglio costituisce il panel tramite il ricorso al consensus e delimita
l’oggetto della controversia stabilendo i termini di riferimento per il panel.
Durante la terza fase, al panel spetta accertare i punti di diritto e di fatto e
successivamente formulare conclusioni ed eventuali raccomandazioni in
merito. La lettera dell’art. XXIII186 prevede che, durante la quarta fase, il
Consiglio possa adottare a maggioranza semplice una raccomandazione
oppure una decisione, con effetto vincolante per le parti. Tuttavia, nella
prassi, tale differenza non è mai venuta in rilievo e per l’adozione del
rapporto si è sempre fatto ricorso al consensus187. L’ultima fase del
considers to be concerned. Any contracting party thus approached shall give sympathetic
consideration to the representations or proposals made to it.” (enfasi aggiunta).
184
È una condizione necessaria perché non è ritenuta sufficiente l’esistenza della violazione
di un obbligo perché possa sorgere la responsabilità internazionale dello Stato ed è una
condizione sufficiente perché uno Stato è legittimato ad agire sulla base della mera
esistenza di un danno, senza che rilevi in alcun modo un’eventuale condotta illecita di un
altro Stato, il quale pertanto viene ritenuto responsabile nel senso lato di “liable” (cfr. ante,
cap. 1, par. 1). Tuttavia l’illiceità della condotta, per quanto irrilevante dal punto di vista
sostanziale, produce effetti importanti relativamente all’attribuzione dell’onere probatorio.
Nel momento in cui uno Stato dimostra la violazione di un obbligo nei suo confronti vige la
presunzione che gli sia stato arrecato un danno, conseguentemente sta allo Stato che ha
commesso l’illecito riuscire a dimostrare che non è stato arrecato nessun effettivo
pregiudizio. Sui presupposti sostanziali dell’art. XXIII si veda COCCIA, GATT, cit., p. 89 e
ss.
185
Naturalmente il testo del GATT fa riferimento alle PARTI CONTRAENTI, e non al
Consiglio dei Rappresentanti, riguardo alla titolarità della competenza contenziosa. Nella
prassi, dal 1968, tale funzione è stata delegata al Consiglio.
186
“The CONTRACTING PARTIES shall promptly investigate any matter so referred to
them and shall make appropriate recommendations to the contracting parties which they
consider to be concerned, or give a ruling on the matter, as appropriate.”
187
Nonostante tale meccanismo attribuisca anche alla parte soccombente la possibilità di
bloccare l’adozione del rapporto del panel, nella prassi gli atteggiamenti ostruzionistici non

84
procedimento riguarda l’esecuzione di quanto indicato nel rapporto.
Considerato che l’adozione dello stesso avviene, di fatto, con l’assenso della
parte soccombente, si può ritenere che l’accettazione del rapporto abbia la
funzione di accordo risolutivo della controversia. In caso di inadempimento
o di adempimento eccessivamente tardivo o inadeguato la parte lesa può
comunque essere autorizzata ad adottare contromisure proporzionate188.

1.3. Verso l’OMC: l’evoluzione del sistema GATT attraverso i “round” di


negoziati multilaterali

In base all’art. XXVIII-bis il GATT organizza delle conferenze


multilaterali mirate a ridurre gli ostacoli tariffari e non tariffari al libero
commercio internazionale, tradizionalmente denominate round. Le otto
conferenze svoltesi sotto la sua egida hanno ampiamente confermato la
funzione di forum negoziale come una delle più importanti dell’Accordo. I
primi sei round189 hanno riguardato principalmente la riduzione dei dazi
doganali, considerato l’alto livello tariffario del periodo post-bellico. Il
settimo, svoltosi a Ginevra tra il 1973 e il 1979, noto come Tokyo Round,
oltre ad aver raggiunto ulteriori importanti riduzioni tariffarie, ha visto

sono stati particolarmente numerosi. Cfr. COCCIA, GATT, cit., p. 93. Inoltre “Anche
prescindendo poi dall’efficacia formale che ha un rapporto adottato per gli Stati che ne sono
stati parti nel procedimento avanti al Panel, tutti i rapporti hanno un notevole valore di
precedente “giurisprudenziale” e vengono frequentemente invocati dagli Stati per
corroborare le loro pretese o per dare peso a determinate interpretazioni delle norme del
GATT.” Ibidem.
188
Le contromisure istituzionali in questione furono adottate solo una volta. Nel 1952
l’Olanda fu autorizzata ad adottare misure di ritorsione nei confronti di alcune pratiche
restrittive poste in essere dagli Stati Uniti nei confronti di alcuni prodotti lattieri.
Normalmente si assisteva all’adozione di misure sanzionatorie unilaterali, fuori dal
controllo degli organi del GATT.
189
Il primo round si è svolto a Ginevra nel 1947 e ha contribuito a raggiungere una
riduzione media del livello tariffario del 20%. Il secondo, svoltosi a Annency tra il 1949 e il
1951, ha condotto a un’ulteriore riduzione del 2%. Il terzo (Torquay 1950-51) e il quarto
(Ginevra 1955-56) non hanno prodotto risultati particolarmente rilevanti. Il quinto (Ginevra
1961-62), noto come Dillon Round, ha visto la rinegoziazione compensativa delle tariffe
dovuta all’entrata in vigore della CEE. Il sesto (Ginevra 1964-67), noto come Kennedy
Round, ha prodotto ulteriori riduzioni tariffarie tra il 30 e il 40% e ha visto l’adozione del
primo codice antidumping.

85
l’adozione di sei accordi relativi agli ostacoli non tariffari e tre accordi
settoriali su prodotti specifici190.
Alla vigilia dell’Uruguay Round rimanevano inalterate tutte le
principali lacune191 che avevano caratterizzato il sistema GATT.
Il Tokyo Round, pur avendo posto rimedio alla mancata previsione di
regole comuni applicabili alle pratiche restrittive del commercio
maggiormente utilizzate, aveva acuito il problema della frammentazione
normativa, mentre non era stata affrontata la questione delle c.d. “aree
grigie”, cioè settori commerciali rispetto ai quali non era stata sviluppata
alcuna regolamentazione multilaterale. Ci riferiamo, in primis, al settore
agricolo, giuridicamente indistinto dagli altri settori merceologici, ma di
fatto sottratto alla liberalizzazione degli scambi attraverso un massiccio
ricorso a clausole di salvaguardia; in secondo luogo, all’intero settore dei
servizi, ai prodotti contemplati dagli accordi di limitazione volontaria delle
esportazioni e ai prodotti tessili, per i quali, nel 1973, è stata addirittura
formalizzata la deroga ai principi dell’Accordo generale, attraverso la
conclusione di un apposito accordo, il c.d. Accordo multifibre (Multi-Fibre
Arrangement, MFA). Infine, tra le principali carenze del sistema
commerciale multilaterale, va evidenziata la particolare debolezza del
sistema di soluzione delle controversie e la conseguente incertezza della
funzione di garanzia che l’Organizzazione avrebbe dovuto svolgere.
L’Uruguay Round venne ufficialmente aperto con l’adozione, il 20
settembre del 1986, della Dichiarazione di Punta del Este 192, ad opera delle
PARTI CONTRAENTI, con la quale venne fissata un’agenda di lavoro
comune, tracciando le linee guida e le finalità dei negoziati. Le trattative
furono condotte da numerosi gruppi negoziali incaricati di esaminare le
singole questioni, sotto la guida e il coordinamento del Comitato per i
negoziati commerciali. Un momento decisivo del processo negoziale si ebbe
190
Venne adottato un secondo codice sulla pratiche antidumping, che andò a sostituire il
precedente, altri in materia di sovvenzioni pubbliche alle imprese, di fornitura di merci alle
pubbliche amministrazioni, di valutazione del valore delle merci in dogana, di licenze di
importazione e di ostacoli tecnici. Gli accordi settoriali riguardavano il commercio di
prodotti lattiero-caseari, aeromobili civili e carni bovine.
191
Cfr. SACERDOTI, Profili istituzionali dell’OMC e principi base degli accordi di
settore, in SIDI, op. cit., p. 3 e ss.
192
Consultabile sul sito dell’UNESCO, www.unesco.org (pagina base).

86
nel dicembre del 1991 con l’approvazione del c.d. “progetto Dunkel”, dal
nome del Direttore Generale del GATT in carica al momento e promotore
dell’iniziativa. Con esso fu definitivamente istituzionalizzato il progetto di
una vera e propria organizzazione internazionale. Il progetto Dunkel,
assieme a numerosi documenti integrativi, confluì nell’”Atto finale che
incorpora i risultati dei negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay
Round” (Final Act Embodying the Results of the Uruguay Round of
Multilateral Trade Negotiations)193, che venne sottoscritto il 15 aprile 1994
dai rappresentanti di 111 Stati, tra i 125 che avevano preso parte ai
negoziati, durante la Conferenza ministeriale di Marrakech.
Il passaggio dal GATT all’ordinamento OMC, previsto per il 1°
gennaio 1995, richiedeva la soluzione di alcune questioni lasciate irrisolte al
momento dell’adozione dell’Atto finale, la più urgente delle quali
riguardava il peculiare regime di transizione che fino al 31 dicembre 1995
avrebbe visto coesistere in parallelo i due sistemi normativi, al fine di
garantire la conclusione delle consultazioni e delle procedure contenziose
avviate in ambito GATT. Gli Stati partecipanti alla Conferenza di
Marrakech optarono per l’istituzione di un Comitato Preparatorio, il quale
convocò nel dicembre del 1994 un’apposita Implementation Conference,
durante la quale le PARTI CONTRAENTI adottarono alcune decisioni per
regolare il regime di coesistenza transitoria e per dichiarare estinto
l’Accordo generale del 1947194.

193
Consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org, (pagina base).
194
Le decisioni adottate in tale sede dalle PARTI CONTRAENTI fecero sorgere alcuni
dubbi sulla loro idoneità a dichiarare estinto il precedente accordo e sulla peculiare natura
del regime di coesistenza transitoria, con particolare riferimento alle eventuali
menomazioni del principio dell’unitarietà dell’impegno assunto. Cfr. COCCIA, Dal GATT
1947 al GATT 1994, cit., p. 87 e ss.; MOORE, The Decisions Bridging the GATT 1947 and
the WTO Agreeement, in AJIL, 1996, p. 317 e ss.

87
2. Struttura e funzioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio

2.1. La struttura dell’Accordo OMC

L’Atto finale si compone di tre parti: la prima contiene la delibera di


adozione dell’atto stesso, la seconda comprende l’Accordo istitutivo
dell’OMC e i suoi Accordi allegati, la terza include alcune decisioni e
dichiarazioni ministeriali volte a interpretare alcune disposizioni
dell’Accordo OMC o a predisporre meccanismi per facilitarne
l’applicazione195.
L’accordo OMC costituisce il fulcro del documento. Il vero e proprio
Accordo istitutivo dell’OMC è particolarmente breve e consiste soltanto in
un Preambolo, in cui vengono enunciati gli obiettivi dell’Organizzazione, e
in sedici articoli, dove vengono definiti esclusivamente gli aspetti
istituzionali e procedurali. All’Accordo istitutivo fanno capo, e ne
costituiscono parte integrante, quattro allegati a loro volta suddivisi in
ventotto testi normativi, unitariamente gestiti dall’OMC, e comprendenti,
oltre ad alcune disposizioni di carattere istituzionale e procedurale, le
principali regole di diritto materiale del commercio internazionale.
L’art. II, par. 2 e 3, dell’Accordo istitutivo suddivide gli allegati in due
categorie: gli Accordi commerciali multilaterali (ACM), contenuti negli
allegati 1, 2 e 3 e gli Accordi commerciali plurilaterali (ACP), contenuti
nell’allegato 4. Il criterio che sta alla base di tale distinzione è il principio
dell’approccio unico o impegno globale (single undertaking), in base al
quale tutti gli accordi rientranti nella prima categoria possono essere

195
Le dichiarazioni e le decisioni riguardano la maggioranza delle questioni più importanti
affrontate durante l’Uruguay Round, quali il commercio dei servizi, il trattamento dei paesi
meno sviluppati, il commercio dei prodotti tessili, quello dei prodotti agricoli,
l’applicazione dell’intesa sulla risoluzione delle controversie. Furono adottate ad opera del
Comitato per i negoziati commerciali durante la sessione del 15 dicembre 1993 e
soprattutto durante quella del 14 aprile 1994. Tra queste ultime, ai fini del presente lavoro,
merita di essere menzionata la decisione intitolata Trade and Environment con cui venne
istituito il Comitato su commercio e ambiente e quella su Trade in Services and the
Environment (cfr. infra). I testi delle decisioni e delle dichiarazioni sono consultabili sul
sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

88
accettati soltanto in blocco, in modo da eliminare il rischio del free-riding
che poteva conseguire alla precedente frammentazione normativa e da
garantire una maggiore efficacia e certezza della normativa commerciale 196.
Viceversa gli ACP197 hanno mantenuto il principio di adesione facoltativa
che contraddistingueva i Codici del Tokyo Round, necessitano infatti di un
apposito procedimento di ratifica ed è possibile recedere da essi senza
pregiudicare in alcun modo la partecipazione all’OMC.
Un’ulteriore attenuazione dell’unitarietà del sistema deriva dalla
previsione, all’art. XIII, par. 1198, della c.d. “clausola di non applicazione” (o
di opt-out), che permette, analogamente all’art. XXXV del GATT 1947, di
non applicare l’Accordo OMC tra due membri nel caso l’uno o l’altro, nel
momento in cui diviene membro dell’Organizzazione, non vi acconsenta199.
Tra gli ACM, le norme di diritto sostanziale sono contenute negli
accordi dell’allegato 1. Il più esteso ed articolato è l’allegato 1A, che, sotto
l’ampia denominazione di “Accordi multilaterali sugli scambi di merci”200,
include ben 20 strumenti giuridici. Si compone, in primis, del nuovo
196
Cfr. QUICK, I risultati dell’Uruguay Round del GATT e l’istituzione
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in CI, 1994, p. 676: “ Contrariamente alla
tradizione del GATT, l’Atto finale fissa il primato del diritto del commercio internazionale.
Dopo i chiarimenti apportati alle regole del GATT vigenti e l’aggiunta di nuove regole (...)
i membri dell’OMC godranno di un potere politico discrezionale inferiore a prima riguardo
ai problemi commerciali, ma di maggiore certezza giuridica.”
197
Va tenuto in considerazione che gli ACP si riferiscono ad ipotesi estremamente
circoscritte. Attualmente riguardano soltanto il commercio di aeromobili civili e il regime
normativo degli appalti pubblici, quest’ultima unica ipotesi che rivesta un’effettiva
rilevanza, garantendo ai paesi in via di sviluppo la possibilità di utilizzare
discrezionalmente un efficace strumento di politica economica. Gli altri due ACP
contemplati dall’allegato 4 al momento dell’entrata in vigore dell’OMC, relativi al
commercio delle carni bovine e dei prodotti lattiero-caseari, già dal 1997 sono stati inclusi
nell’ACM sul commercio di prodotti agricoli.
198
Non-Application of Multilateral Trade Agreements between Particular Members: “This
Agreement and the Multilateral Trade Agreements in Annexes 1 and 2 shall not apply as
between any Member and any other Member if either of the Members, at the time either
becomes a Member, does not consent to such application.”
199
L’art. XIII limita tale possibilità all’ipotesi in cui tale regime fosse già in vigore fra due
membri nel momento dell’entrata in vigore dell’OMC, escludendo quindi che il nuovo
sistema possa comportare un grado minore di liberalizzazione degli scambi rispetto al
GATT 47. Inoltre, la clausola opt-out non può essere invocata riguardo al meccanismo di
esame delle politiche commerciali previsto dall’allegato 3, dal momento che questo assume
rilievo esclusivamente riguardo al rapporto tra lo Stato membro e l’Organizzazione.
Storicamente, sia nella prassi del GATT che in quella dell’OMC, tale clausola ha trovato
applicazione soprattutto per motivi politici, perdendo d incisività con l’attenuarsi della
contrapposizione politica bipolare del ventesimo secolo. Cfr. ADINOLFI, op. cit., p. 65 e
ss.
200
Consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

89
Accordo generale sulle tariffe e il commercio, il GATT 1994, e in secondo
luogo di 13 accordi settoriali sullo scambio di beni e sulle misure non
tariffarie201, 6 Intese e un Protocollo. L’allegato 1B contiene l’Accordo
generale sul commercio dei servizi (General Agreement on Trade in
Services, GATS) con i propri allegati202, l’allegato 1C l’Accordo sugli
aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Trade-
Related Aspects of Intellectal Property Rights, TRIPs)203.
Gli allegati 2 e 3 comprendono norme di natura istituzionale e
procedurale. Il primo contiene l’Intesa sulle norme e sulle procedure che
disciplinano la risoluzione delle controversie (Understanding on Rules and
Procedures Governing the Settlement of Disputes, sinteticamente noto come
Disputes Settlement Understanding, DSU), il secondo il Meccanismo per
l’esame delle politiche commerciali (Trade Policy Review Mechanism,
TPRM). Infine, all’allegato 4, troviamo i due ACP.
La peculiare struttura dell’Accordo OMC è dovuta al fatto che la
creazione dell’Organizzazione è stata decisa in una fase avanzata dei
negoziati dell’Uruguay Round, pertanto, al fine di evitare un ulteriore
rielaborazione degli accordi negoziati in modo da integrarli organicamente
nell’Accordo, si è deciso di collegare le norme materiali all’Organizzazione
tramite il meccanismo degli allegati.

201
Gli accordi settoriali sono: l’Accordo sull’agricoltura, l’Accordo sui tessili e
l’abbigliamento (estinto il 1° gennaio 2005), l’Accordo sulle misure relative agli
investimenti che incidono sul commercio (noto come Accordo TRIMs, Trade-Related
Investments Measures), l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie, l’Accordo relativo
all’applicazione dell’art. VI del GATT 1994 (noto come Accordo antidumping), l’Accordo
relativo all’applicazione dell’art. VII del GATT 1994 (noto come Accordo sulla valutazione
delle merci in dogana), l’Accordo sulle ispezioni pre-imbarco, l’Accordo relativo alle
regole in materia di origine, l’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi, l’Accordo relativo
alle procedure in materia di licenze di importazione, l’Accordo sulle sovvenzioni e sulle
misure compensative, l’Accordo sulle misure di salvaguardia.
202
Il testo del GATS e degli allegati (sulle esenzioni all’art. II, sul trasporto aereo e
marittimo, sui servizi finanziari, sui movimenti delle persone, sulle telecomunicazioni)
sono consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
203
Ibidem.

90
2.2. L’assetto istituzionale dell’OMC

A differenza del GATT, dotato di una struttura istituzionale


orizzontale, la nuova regolamentazione multilaterale degli scambi
commerciali prevede un preciso rapporto gerarchico tra gli organi, secondo
uno schema tipicamente piramidale.
L’art. IV dell’Accordo istitutivo dell’OMC contiene le principali
disposizioni relative alla struttura istituzionale dell’Organizzazione. In base
al par. 1 si costituisce una Conferenza dei Ministri composta dai
rappresentanti di tutti gli Stati membri, con competenze omnicomprensive,
tenuta a riunirsi almeno una volta ogni due anni. La Conferenza dei Ministri
prende le iniziative necessarie a svolgere le funzioni dell’OMC, in tal senso,
tra le funzioni previste dall’art. III204, assumono particolare rilievo quelle
previste dai primi due paragrafi dell’articolo, in base ai quali la Conferenza
costituisce il quadro istituzionale fondamentale per favorire l’applicazione e
lo sviluppo progressivo del diritto del commercio internazionale. La
principale caratteristica distintiva dell’organo è quella di essere composto da
rappresentanti governativi di rango ministeriale, al fine di garantire un’attiva
partecipazione dei soggetti dotati dell’autorità politica necessaria per
determinare le linee guida e per imprimere un dato corso al processo
decisionale dell’Organizzazione. La natura politica delle decisioni adottate
in tale sede legittima la prassi del consensus, contrariamente al disposto
dall’art. IX, par. 1, che richiede semplicemente la maggioranza dei voti
espressi.
Il par. 2 dell’art. IV prevede che venga costituito un Consiglio
generale, in qualità di organo esecutivo dell’Organizzazione, tenuto a
riunirsi quando necessario e competente a svolgere le funzioni della
204
L’art. II, denominato “campo di attività dell’OMC”, al par. 1 prevede che “The WTO
shall provide the common institutional framework for the conduct of trade relations among
its Members in matters related to the agreements and associated legal instruments included
in the Annexes to this Agreement.” L’art. III specifica il contenuto di tale norma,
attribuendo all’OMC le funzioni di quadro istituzionale per facilitare l’applicazione degli
accordi, di forum negoziale, di organismo preposto alla soluzione delle controversie e
all’esame delle politiche commerciali nazionali e, infine, in modo da massimizzare la
coerenza delle politiche economiche a livello internazionale, prevede che l’Organizzazione,
se necessario, cooperi con le istituzioni finanziarie internazionali.

91
Conferenza dei Ministri negli intervalli tra le sue riunioni, anch’esso a
composizione plenaria. La caratteristica che lo differenzia della Conferenza
sta nella composizione qualitativa dell’organo, in cui siedono rappresentanti
di livello diplomatico. Il Consiglio costituisce il fulcro dell’apparato
istituzionale dell’OMC. Le sue competenze possono essere distinte a
seconda che si riferiscano alla produzione normativa, all’accertamento del
diritto o al controllo dell’esecuzione del medesimo.
Alla prima categoria di competenze fanno capo le funzioni normative
assegnate all’organo di indirizzo politico, automaticamente attribuibili
anche al Consiglio ex art. IV, par. 2. A tale regola fanno eccezione le
disposizioni relative allo sviluppo progressivo della disciplina materiale che
possano comportare un mutamento fondamentale dei diritti e degli obblighi
degli Stati membri205.
Ai sensi dell’art. IX, par. 2, l’attività di accertamento del diritto viene
esercitata dal Consiglio tramite la competenza interpretativa di portata
generale. L’organo esecutivo può essere chiamato a fornire interpretazioni
su qualsiasi disposizione dell’Accordo OMC sia dagli Stati membri che
dagli organi sussidiari206. La prassi vuole che il Consiglio si esprima per
consensus o, in mancanza di questo, con una maggioranza dei tre quarti dei
membri.
Riguardo all’attività di controllo istituzionale e di esecuzione del
diritto, il parr. 3 e 4 dell’art. IV dispongono che il Consiglio si riunisca,
quando necessario, per esercitare i compiti dell’Organo di risoluzione delle
controversie (Disputes Settlement Body, DSB) e dell’Organo per l’esame
delle politiche commerciali (Trade Policy Review Body, TPRB), seguendo

205
Si tratta delle ipotesi contemplate dall’art. III, par. 2, ai sensi del quale la Conferenza
funge da ambito per ulteriori negoziati su materie diverse da quelle contemplate dagli
allegati, e dall’art. X relativo agli emendamenti all’Accodo OMC. In virtù delle funzioni
politiche, e non meramente diplomatiche, della Conferenza, la sua competenza in materia è
da considerarsi esclusiva. Cfr. ADINOLFI, op. cit., p. 136 e ss.
206
Nel caso in cui venga richiesta un’interpretazione di una norma di un Accordo allegato,
il potere di iniziativa è attribuito al Consiglio che ne sovrintende l’applicazione (v. infra).
Considerato che l’applicazione delle norme necessariamente richiede la loro interpretazione
si può ritenere che ai Consigli possa competere una sorta d potestà interpretativa de facto,
di natura tecnica, e che soltanto nel caso in cui non sussista una visione unitaria in seno al
Consiglio settoriale si debba ricorrere, ex art. XI, par. 2, al Consiglio generale. Cfr.
PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 40.

92
le norme procedurali previste dai rispettivi allegati e sotto la guida di un
diverso presidente. Varie differenze tra gli organi, relativamente al quorum
delle presenze richiesto, alla cadenza delle riunioni e alla disciplina del
processo decisionale207, consentono di distinguere nettamente i tre organi e
di affermare che i poteri previsti dagli allegati 2 e 3 non sono attribuiti al
Consiglio ma al DSB e al TPRB.
L’art. VI completa la tipica struttura ternaria delle organizzazioni
internazionali attribuendo alla Conferenza dei Ministri il potere di nominare
il Direttore generale dell’OMC e di determinare le sue competenze e le
condizioni di servizio dei funzionari del Segretariato. Il par. 4 pone
l’accento sul fatto che il personale del Segretariato è tenuto a non accettare
istruzioni dai governi o da qualsivoglia altra autorità.
I principali organi sussidiari permanenti, il Consiglio per gli scambi di
merci (Consiglio GATT), il Consiglio per gli scambi di servizi (Consiglio
GATS) e il Consiglio per gli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale
attinenti al commercio (Consiglio TRIPs) vengono istituiti, ex art. VI, par. 5,
allo scopo di sovrintendere al funzionamento dei rispettivi allegati. Al fine
di consentire loro di poter svolgere al meglio le proprie funzioni, il par. 6
prevede che essi possano istituire dei comitati sussidiari, secondo le loro
necessità. La disciplina delle competenze del Consiglio GATT non è
dettagliata come per gli altri Consigli settoriali, in ragione del fatto che la
normativa prevista dall’allegato 1A è molto più complessa di quella in
materia di servizio o di proprietà intellettuale. A tale articolazione della
normativa materiale corrisponde pertanto una struttura istituzionale
composta da numerosi comitati, ognuno preposto alla gestione del
corrispondente Accordo multilaterale sul commercio dei beni dell’allegato
1A. L’attività normativa del Consiglio GATT si limita essenzialmente
all’adozione di quelle decisioni per cui non si è formato il consensus in

207
Mentre il Consiglio ha la possibilità di decidere secondo le maggioranze previste, il DSB
può fare ricorso unicamente alla regola del consensus.

93
seno ai suoi organi sussidiari208, mentre risulta di gran lunga più rilevante la
sua funzione di controllo e di coordinamento del loro operato.
La struttura istituzionale preposta a garantire l’attuazione della
normativa sugli scambi di servizi e sulla proprietà intellettuale risulta,
invece, molto più limitata, in ragione del numero di disposizioni
estremamente inferiore e al suo interno il ruolo preponderante è ricoperto
dal rispettivo Consiglio settoriale. In generale, ai Consigli settoriali e ai
corrispondenti comitati competono poteri normativi piuttosto circoscritti
assieme ad alcune limitate funzioni durante la procedura di risoluzione delle
controversie209, mentre le loro attività principali risultano prevalentemente
orientate al controllo delle misure di politica commerciale.
Infine, ai sensi del par. 7 dell’art. IV, vengono istituiti, con decisione
della Conferenza dei Ministri, alcuni organi con competenze specifiche, ma
relative al funzionamento generale dell’organizzazione e all’applicazione
della sua normativa, quali il Comitato restrizioni per motivi di bilancia dei
pagamenti, il Comitato commercio e sviluppo e il Comitato bilancio,
finanze e amministrazione. Anche il Comitato su commercio e ambiente
(Commitee on Trade and Environment, CTE) si colloca tra questo genere di
organi, per quanto, a differenza dei precedenti, sia stato costituito già
durante la sessione del 14 aprile 1994 del Comitato per i negoziati
commerciali. In base alla decisione istitutiva210 il mandato del CTE appare
208
Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 44 “Sul piano formale, tali comitati non sono
subordinati al Consiglio GATT: così come gli Accordi multilaterali sugli scambi di merci
non sono allegati al GATT 1994, parimenti gli organi preposti alla loro attuazione non sono
espressamente qualificati quali organi sussidiari del Consiglio settoriale. Tuttavia, una
conclusione in senso opposto si impone ove si prendano in considerazione le norme che
regolano il processo decisionale in seno a ciascun comitato: queste prevedono, infatti, che,
in assenza del consensus, l’adozione dell’atto in questione debba essere demandata al
Consiglio per gli scambi di merci, così riprendendo la disciplina del processo decisionale
del Consiglio GATT stesso, fondata sulla qualificazione di quest’ultimo quale organo
sussidiario del Consiglio generale.”
209
Riguardo al commercio dei beni, gli accordi in materia di sovvenzioni e di commercio di
prodotti tessili contemplano il funzionamento di specifiche procedure contenziose, durante
le quali i rispettivi comitati possono intervenire al fine di facilitare la definizione di una
soluzione. Relativamente al commercio dei servizi l’art. XXII, par. 2 del GATS, prevede
che i membri parte di una controversia possano, dopo reciproche consultazioni non andate a
buon fine, sottoporre la questione al Consiglio GATS affinché questo eserciti un’attività di
conciliazione e di assistenza tecnica. Un’analoga competenza è prevista anche per il
Consiglio TRIPs, ai sensi dell’art. 68 dell’accordo.
210
La decisione ministeriale con cui è stato istituito, denominata WTO Trade and
Environment Ministerial Decision, WTO doc. MNT.TNC/MIN(94)/1/Rev.1, è consultabile

94
piuttosto ampio, dovendosi occupare in via generale del rapporto tra misure
commerciali e misure ambientali e svolgendo un ruolo consultivo
relativamente alle possibili modifiche del sistema commerciale multilaterale
miranti a sviluppare un’interazione positiva tra i due tipi di misure, a
garantire un’effettiva attuazione della disciplina dei MEAs, evitando al
contempo che, le misure ambientali concernenti aspetti commerciali (Trade
Related Environmental Measures, TREMs) da essa derivanti, possano
tradursi in pratiche meramente protezionistiche. I suoi lavori hanno avuto un
impatto scarsamente incisivo sull’operato dell’Organizzazione e anche come
forum di discussione ha mostrato di avere notevoli carenze strutturali, prima
fra tutte la mancanza di ogni previsione relativa alla partecipazione delle
ONG, anche solo in qualità di osservatori come nel caso delle
organizzazioni internazionali211.

2.3. La soluzione delle controversie

L’adozione dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie (Dispute


Settlement Understanding, DSU)212 ha rappresentato la principale
innovazione dell’Uruguay Round. L’Intesa racchiude una disciplina
sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
211
Per una disamina piuttosto critica dell’operato del CTE, cfr. CHARNOVITZ, The World
Trade Organization and the Environment, in YIEL, 1999, p. 106 e ss.; MACMILLAN,
WTO and the Environment, Londra, 2001, p. 12 e ss.
212
Sulla normativa del DSU e sull’evoluzione della prassi applicativa si veda: Cfr.
ADINOLFI, La soluzione delle controversie nell’OMC e il contenzioso euro-statunitense,
in VENTURINI, L’Organizzazione Mondiale del Commercio, II ed., Milano, 2004, p. 191 e
ss.; ADINOLFI, op. cit., p. 277 e ss.; COCCIA, Il sistema di soluzione delle controversie
nella World Trade Organization, in GIARDINA, TOSATO, Diritto del commercio
internazionale, Milano, 1996, p. 89 e ss.; COMBA, op. cit., p. 260 e ss.; DI STEFANO,
Soluzione delle controversie nell’OMC e diritto internazionale, Padova, 2001; GERBINO,
Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), in Aggiornamenti all’Enciclopedia del
Diritto, Milano, 1998, p. 660 e ss.; JACKSON, op. cit., p. 59 e ss.; LIGUSTRO, Le
controversie tra Stati nel diritto del commercio internazionale: dal GATT all’OMC,
Padova, 1996; LIGUSTRO, La soluzione delle controversie nel sistema
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: problemi interpretativi e prassi applicativa,
in RDI, 1997, p. 1003 e ss.; MANZINI, L’Organizzazione mondiale del commercio quale
sistema di diritto, in ROSSI (a cura di), Commercio internazionale sostenibile? WTO e
Unione europea, Bologna, 2003, p. 27 e ss.; SIDI, Tavola rotonda: La soluzione delle
controversie nell’OMC, introduzione di LEANZA, interventi di LAFER, LIGUSTRO,
TREVES, p. 275 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 575 e ss.; VELLANO, L’Organo
d’appello dell’OMC, Napoli, 2001.

95
estremamente ampia e particolareggiata, costituita da 27 articoli, quattro
appendici e alcune decisioni ministeriali allegate alla Parte III dell’Atto
finale213, tale da conferire all’OMC un potenziale di efficacia e operatività
del tutto peculiare nell’attuale panorama delle organizzazioni
internazionali214.
Il sistema è caratterizzato da un approccio unitario, sia in relazione
alle materie cui risulta applicabile, cioè tutti gli accordi appartenenti
all’Accordo OMC con l’eccezione dell’Allegato 3 (i c.d. Accordi
contemplati), sia relativamente ai soggetti considerati, cioè tutti i membri
dell’Organizzazione. Per quanto riguarda il profilo temporale, l’Intesa si
applica a tutte le controversie sorte in seguito all’entrata in vigore
dell’OMC.
L’art. 3 del DSU definisce i principi generali e gli obiettivi
dell’Organizzazione. Dopo aver richiamato esplicitamente i principi per la
soluzione delle controversie e la prassi applicativa degli artt. XXII e XXIII
del GATT 1947, parte del c.d. acquis del GATT, viene ulteriormente
evidenziata la continuità con il sistema precedente, di natura meramente
conciliativa, tramite il riconoscimento della preferibilità di una soluzione
reciprocamente accettabile per le parti della controversia. Tale obiettivo
viene però saldamente legato a quello della tutela del diritto dell’Accordo
OMC e del rispetto dei diritti e degli obblighi degli Stati membri,
assicurando così la certezza e la prevedibilità del sistema commerciale
multilaterale, grazie anche alla previsione di un’ulteriore specifica funzione
in capo al DSB, quella di chiarire il significato delle disposizioni degli
Accordi contemplati215.
213
La normativa aggiuntiva è prevalentemente orientata a dirimere le ipotesi di conflitto tra
le disposizioni del DSU e quelle eventualmente previste dagli accordi settoriali o dalle
dichiarazioni ministeriali. La seconda Appendice dell’Intesa contempla proprio tali ipotesi
di conflitto, enumerando gli articoli degli accordi settoriali che contengono norme rilevanti
in materia. A differenza del GATT 1947 la pluralità di regole applicabili ai procedimenti
contenziosi non comporta seri inconvenienti per la certezza del diritto e l’unitarietà del
sistema, dal momento che sono state previste, all’art. 1, par. 2, apposite norme per
disciplinare gli eventuali conflitti. In osservanza del principio lex specialis derogat lex
generali, in caso di divergenza prevarranno le norme e le procedure speciali o aggiuntive
elencate nell’Appendice 2.
214
Cfr. GERBINO,op. cit., p. 666 e ss.
215
Tale norma ha prodotto numerose perplessità circa il significato del termine to clarify,
posto che la competenza interpretativa generale appartiene ai due organi politici principali

96
Il procedimento contenzioso si articola in quattro fasi fondamentali: la
fase delle consultazioni preliminari tra le parti, la fase giudicante di primo
grado davanti a un panel, l’eventuale fase giudicante di secondo grado
davanti all’Organo d’appello e la fase esecutiva.
La fase delle consultazioni obbligatorie ha una duplice funzione: da un
lato, la sua finalità precipua è naturalmente quella tentare una soluzione
amichevole definitiva della controversia, dall’altro, qualora un accordo non
venga raggiunto, quella di delineare e formalizzare immediatamente le
questioni da affrontare e le posizioni assunte dalle parti, facilitando in tal
modo gli stadi successivi della procedura, nonché la presentazione della
richiesta di costituzione del panel. L’accettazione della richiesta e la
costituzione del relativo panel è del tutto automatica, a meno che il DSB
non decida per consensus in senso contrario, secondo la regola del c.d.
consensus negativo.
Le condizioni sostanziali che consentono di avviare il procedimento
contenzioso sono quelle previste dall’art. XXIII del GATT 1947, che
legittimano uno Stato membro ad agire qualora esso ritenga che si sia
verificato un annullamento o un pregiudizio dei vantaggi risultanti da un
accordo oppure un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi dell’accordo.
Tali circostanze possono attribuirsi a tre cause differenti, cui corrispondono
tre diversi tipi di ricorsi: la violazione di un obbligo di un accordo (reclami
con infrazione, violation complaints), l’adozione da parte di un altro Stato
membro di una misura lecita (reclami senza infrazione, non-violation
complaints) o l’esistenza di una qualsiasi altra situazione (situation
complaints).
Le disposizioni del DSU sono prevalentemente orientate a disciplinare le
procedure relative ai ricorsi per infrazione, dal momento che gli altri due tipi
di reclami costituiscono ipotesi decisamente marginali, raramente
presentatesi nella prassi sia del GATT che dell’OMC, e oggetto di una
dell’OMC, nonché relativamente all’ampiezza dei poteri conseguentemente attribuiti ai
panel e all’Organo d’appello, i quali hanno frequentemente usato tale prerogativa in senso
particolarmente estensivo, ponendo scarsa attenzione ai due limiti che tale facoltà incontra:
il divieto di modificare diritti e obblighi degli Stati membri e di occuparsi di questioni
giuridiche di portata generale, che esulino dalla fattispecie in esame e che non riguardino
soltanto le parti coinvolte. Cfr. DI STEFANO, op cit., p. 54 e ss.

97
normativa ad hoc216. Considerazioni analoghe possono essere fatte anche
riguardo ai reclami concernenti l’esistenza di un ostacolo al perseguimento
degli obiettivi dell’accordo.
Per quanto riguarda il potere di azionamento gli unici soggetti
legittimati ad adire il meccanismo contenzioso sono gli Stati e soltanto
quelli che abbiano effettivamente subito il pregiudizio o l’annullamento dei
vantaggi dell’accordo, dovendosi escludere sia l’ipotesi di actio publica che
quella di actio popularis217. Gli Stati membri sono gli unici protagonisti del
sistema anche sotto il profilo della legittimazione passiva. Al fine di far
sorgere la loro responsabilità internazionale, è necessario che la condotta
pregiudizievole possa essere imputata allo Stato e quindi riguardi
provvedimenti adottati da un organo che partecipi all’esercizio dei poteri di
governo218. In certi casi, anche la condotta adottata da soggetti privati può

216
Tali fattispecie sono contemplate dall’art. 26 del DSU, il quale prevede, per i reclami
senza infrazione, l’inversione dell’onere della prova e alcune differenze relative agli effetti
dei ricorsi e alla fase esecutiva. Le differenze riscontrabili riguardo ai situation complaints
risultano ancora più marcate. Tali situazioni si riferiscono solitamente a gravi squilibri
dell’economia internazionale o di un singolo paese e pertanto si sottraggono ad una precisa
distinzione tra parte lesa e parte responsabile, costituendo invece questioni di interesse
generale. Di conseguenza si continua ad applicare la regola del consensus positivo,
privilegiando la funzione di organo politico del DSB piuttosto che il metodo giudiziale
previsto dal DSU.
217
Esiste la possibilità che quest’ultima ipotesi possa riscontrarsi nella prassi, sia
relativamente alla possibilità di ricorso in seguito all’insorgenza di un qualunque ostacolo
al perseguimento degli obiettivi dell’accordo, sia in relazione al fatto che, come evidenziato
dall’Organo d’appello nel caso European Communities - Regime for the Importation, Sale
and Distribution of Bananas, (WTO doc. WT/DS27/AB/R, del 9 settembre 1997,
consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base) il meccanismo di soluzione
delle controversie dovrebbe essere utilizzato cum grano salis da parte degli Stati membri ed
inoltre, nell’ottica di voler tutelare le opportunità competitive degli Stati in generale e non
le rispettive quote di mercato, la definizione dell’elemento del danno risulta estremamente
complessa. Cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 174 e ss. Di conseguenza “in virtù della quasi
automatica costituzione del Gruppo speciale, pur rilevando l’inesistenza di un interesse
giuridico sufficiente, non esiste un modo per evitare la decisione del Gruppo speciale. Non
è stato previsto alcuno strumento volto a controllare in via preliminare la reale sussistenza
di un interesse giuridico all’instaurazione della procedura: la volontà dei membri e la loro
prudenza si presentano come gli unici limiti ad un uso esagerato delle procedure
dell’Intesa.” Ibidem, p. 179.
218
Nel GATT 1947, la c.d. “clausola federale” contenuta nel par. 12 dell’art. XXIV, in
deroga ai principi del diritto internazionale generale, si limitava a disporre che “Each
contracting party shall take such reasonable measures as may be available to it to ensure
observance of the provisions of this Agreement by the regional and local governments and
authorities within its territories.”. Tale clausola, che pareva configurare un semplice
obbligo di diligenza, oltretutto di carattere altamente discriminatorio in quanto attribuibile
soltanto agli Stati federali, è venuta meno grazie all’Intesa interpretativa dell’art. XXIV, la
quale , al par. 13, codificando un’impostazione già ampiamente accettata nella prassi,
prevede che “Each Member is fully responsible under GATT 1994 for the observance of all

98
essere attribuibile allo Stato, per quanto tali ipotesi siano da ricollegarsi in
linea di massima alla fattispecie dei ricorsi senza infrazione219.
Una volta costituito in base a precisi criteri di imparzialità,
indipendenza e competenza, ex art. 8 del DSU, il panel dovrà provvedere a
istruire la causa svolgendo le opportune indagini. Al fine di poter delineare
tutti gli elementi di fatto e di diritto oggetto della controversia, l’art. 13
riserva al panel poteri conoscitivi estremamente ampi, comprendenti la
facoltà di richiedere informazioni e pareri a qualsiasi persona o ente posto
sotto la giurisdizione di uno dei membri e di istituire gruppi di studio ad hoc
sotto la propria autorità. Risulta evidente il potenziale rilievo assunto da una
simile disposizione nel settore “commercio e ambiente”, caratterizzato, per
sua natura, da una notevole necessità di conoscenze tecniche e scientifiche.
Ad ogni panel compete, inoltre, l’esercizio di una costante attività
conciliativa, dal momento che una soluzione reciprocamente soddisfacente
risulta comunque preferibile, mentre i suoi compiti specifici vengono
determinati dal mandato conferitogli dal DSB. Un’importante differenza con
il GATT 1947 riguarda la possibilità, in mancanza di un accordo tra le parti,
di conferire al panel un mandato standard220. L’inchiesta svolta dal panel è

provisions of GATT 1994, and shall take such reasonable measures as may be available to
it to ensure such observance by regional and local governments and authorities within its
territory”. L’obbligo di adottare ogni ragionevole misura viene pertanto a configurarsi come
un obbligo di risultato e, qualora il governo centrale si trovi impossibilitato ad assicurare la
rimozione delle misure in conformità alla normativa GATT, lo Stato leso avrà comunque la
possibilità di far valere le conseguenze dell’illecito. Cfr ADINOLFI, op. cit., p. 303 e ss.
219
Non tutta la dottrina concorda circa la possibilità che possa configurarsi un’effettiva
responsabilità dello Stato per fatti compiuti dagli individui. Di fatto tali ipotesi si sono
verificate con frequenza in relazione ad accordi di cartello e ad altre pratiche
anticoncorrenziali adottate dai privati. Dal momento che le disposizioni dell’Accordo OMC
in materia di concorrenza comportano obblighi piuttosto limitati, l’eventuale assenza di
un’efficace legislazione antitrust a livello nazionale, pur causando un inevitabile danno alle
opportunità competitive degli altri Stati membri, non costituisce un illecito propriamente
detto, legittimando pertanto un non-violation o un situation complaint. Nella prassi tali
ricorsi si sono verificati più volte, ma non hanno mai avuto un esito positivo, sia in ragione
della difficoltà di fornire prove sufficienti del danno subito, sia a causa della diffusa
riluttanza degli organi di risoluzione delle controversie a riconoscere responsabile uno Stato
per atti compiuti dai suoi cittadini. L’esempio più eloquente di tale tendenza è il caso
Japan-Measures Affecting Cousumer Photographic Film and Paper (noto come caso
Kodak-Fuji). Cfr, PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 592 e ss.
220
Art. 7, par. 1: “Panels shall have the following terms of reference unless the parties to
the dispute agree otherwise within 20 days from the establishment of the panel: "To
examine, in the light of the relevant provisions in (name of the covered agreement(s) cited
by the parties to the dispute), the matter referred to the DSB by (name of party) in
document ... and to make such findings as will assist the DSB in making the

99
di tipo contraddittorio e si svolge in due fasi, la presentazione delle
comunicazioni scritte e la partecipazione alle udienze orali delle parti alla
controversia e anche di eventuali Stati terzi che, ai sensi dell’art. 10, vi
abbiano un interesse sostanziale221. L’art 15 prevede una fase di esame
interinale ( il c.d. interim review stage), in base alla quale il progetto di
relazione finale viene inviato alle parti perché possano formulare, qualora lo
reputino necessario, le osservazioni che ritengono più appropriate222. Infine,
il rapporto finale, redatto entro un limite massimo di sei mesi, recante le
contestazioni di fatto e di diritto e le eventuali raccomandazioni relative
all’adempimento, viene presentato al DSB, il quale lo adotta
automaticamente, a meno che non decida di respingerlo tramite consensus o
una delle parti non intenda ricorrere in appello, ipotesi, quest’ultima,
verificatasi nella quasi totalità dei casi.

2.4. (segue) Il giudizio d’appello

L’esistenza di un secondo grado di giudizio, caratteristica del tutto


atipica nel quadro della funzione giurisdizionale internazionale223,
costituisce una delle maggiori innovazioni introdotte dal DSU al fine di
trasformare il sistema di soluzione delle controversie dell’OMC in senso

recommendations or in giving the rulings provided for in that/those agreement(s)."”


221
Nella prassi la verifica della effettiva sussistenza di detto interesse si è tradotta in un
semplice controllo sommario, consentendo varie forme di intervento in cui l’interesse
sostanziale ha mostrato di non essere un requisito indispensabile. Cfr. DI STEFANO, op.
cit., p. 159 e ss. “Appare sempre più evidente dall’esame della prassi la volontà dei membri
di intervenire ogni qualvolta sono in gioco aspetti essenziali della procedura ovvero occorra
interpretare alcune disposizioni chiave, come gli articoli XX e XXIV del GATT 1994. (...)
Può dunque rilevarsi un interesse sistemico all’intervento da parte dei membri dell’OMC,
che si pone a metà strada tra l’intervento tradizionale e la partecipazione amicus curiae:
infatti, lo Stato terzo (...) intende preservare indirettamente i propri interessi commerciali e
rendere nota, soprattutto, la sua posizione su aspetti sostanziali e processuali della
controversia.” Ibidem, p. 162.
222
Tale previsione è stata oggetto di ampie critiche in dottrina, poiché è stata giudicata
tendenzialmente inutile alla luce della possibilità di ricorrere in appello, ma si conforma
perfettamente alla natura del procedimento contenzioso, che ai meccanismi tipicamente
giurisdizionali ne associa altri di ispirazione meramente diplomatica, al fine di soddisfare il
più possibile le aspettative delle parti. Ibidem, p. 164 e ss.
223
Cfr. VELLANO, L’Organo d’appello, op. cit., p. 61 e ss.

100
giudiziale e di rafforzare l’efficacia della tutela del diritto e della corretta
interpretazione degli Accordi contemplati
La procedura d’appello è disciplinata dall’art. 17 del DSU e dalle
Procedure di lavoro per il riesame d’appello224, regolamento elaborato dallo
stesso Organo d’appello ai sensi del par. 9 dell’art. 17.
L’Organo ha carattere permanente ed è composto da sette membri, i
cui criteri selettivi riguardo ai requisiti di competenza, imparzialità e
indipendenza risultano essere ancora più rigorosi che per la scelta dei
panelist, per quanto in questa sede non rilevi la nazionalità dei membri. Non
è stata previsto alcun tipo di decisione in formazione plenaria, infatti ogni
singolo caso viene esaminato da tre membri scelti in maniera casuale.
Qualunque Stato parte della controversia è legittimato a ricorrere in
appello, indipendentemente dal fatto che si tratti della parte lesa o della
parte soccombente225, mentre tale facoltà è negata agli Stati terzi, ai quali è
comunque garantita una forma di partecipazione tramite la presentazione di
comunicazioni scritte e orali, sulla base della sussistenza di un interesse
sostanziale nella controversia.
La lettera dell’art. 17, parr. 6 e 13, prevede che all’Organo d’appello
non competano funzioni di tipo conciliativo, dovendosi limitare ad
analizzare le questioni di diritto trattate nel rapporto del panel e le
interpretazioni giuridiche in esso contenute, al fine di confermare,
modificare o annullare le conclusioni raggiunte durante il primo grado di
giudizio, senza tuttavia riesaminare gli elementi di fatto. Ad esso compete,
quindi, unicamente la funzione di garante dell’esatta applicazione e
interpretazione226 del diritto.
224
Working Procedures for Appellate Review, WTO doc. WT/AB/WP/3, del 28 febbraio
1997, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
225
Nella prassi si presentano con frequenza casi di ricorsi “incrociati”, in cui il rapporto del
panel viene impugnato, con motivazioni e obiettivi differenti, da entrambe le parti.
226
Sulla questione e sul rapporto tra tale funzione e il disposto dell’art. IX, par. 2,
dell’Accordo istitutivo dell’OMC, in base al quale la competenza esclusiva a interpretare
autoritativamente le norme dell’Accordo OMC è posta in capo alla Conferenza dei Ministri
e al Consiglio generale, si veda DI STEFANO, op cit., p. 54 e ss.; ed in particolare
VELLANO, L’Organo d’appello, op. cit., p. 124 e ss. relativamente a fatto che l’art. 3, par.
9, del DSU che lascia impregiudicata la facoltà dei membri di ricorrere, in una qualsiasi
fase della procedura, al Consiglio generale per ottenere un’interpretazione autentica degli
Accordi contemplati. Tale prerogativa potrebbe comportare l’effetto paradossale di
configurare una sorta di terzo grado di giudizio, e tale ipotesi verrebbe altamente aggravata

101
Circa la competenza dell’Organo a valutare esclusivamente gli
elementi di diritto e relativamente alla possibilità che questo possa
pronunciarsi anche su questioni che esulano dall’analisi svolta dal panel,
sono sorte, nella prassi, numerose difficoltà. L’Organo d’appello, avocando
a sé la “competenza sulla competenza”, ha dato un’interpretazione
decisamente estensiva delle norme in questione alla luce dell’art. 3, par. 7
del DSU, che identifica come scopo principale del sistema di soluzione delle
controversie quello di assicurare una soluzione positiva della stessa227.
Nel momento in cui dovesse mostrarsi necessario procedere a una
radicale rettifica delle conclusioni del panel, potrebbe rivelarsi impossibile
evitare un non liquet senza ricorrere all’esame ex novo delle questioni
giuridiche non considerate in primo grado. Inoltre i panel sono soliti non
pronunciarsi su tutte le questioni sollevate nei reclami, una volta che, sulla
base di una di esse, abbiano comunque avuto modo di accertare l’illiceità
delle misure oggetto della contestazione, in osservanza del principio
dell’economia giudiziaria228. Alla luce di tali considerazioni l’Organo
d’appello ha ritenuto necessario, in determinati casi, estendere la propria
competenza anche all’esame di alcuni aspetti fattuali della controversia,
avvalendosi peraltro della sostanziale acquiescenza del DSB229. Tali
dal fatto che in caso di conflitto tra il rapporto dell’Organo d’appello e l’interpretazione del
Consiglio, quest’ultima prevarrebbe, potendosi applicare ad essa anche la regola del
precedente. Inoltre per ottenere l’adozione di un’interpretazione autentica si necessitano i
tre quarti dei consensi, mentre notoriamente il rapporto dell’Organo d’appello può essere
rigettato soltanto all’unanimità. Di conseguenza il meccanismo di soluzione delle
controversie verrebbe a perdere due delle sue caratteristiche più importanti, la competenza
tecnico-giuridica nell’elaborazione della sentenza e l’automaticità della sua approvazione in
virtù del consensus negativo. Pertanto: “Ci sembra, dunque, più ragionevole sostenere che
la funzione dell’art. 3.9 dell’Intesa sia semplicemente quella di ribadire la possibilità per gli
Stati membri di poter chiedere agli organi politici dell’Organizzazione (...) interpretazioni
autentiche del contenuto degli accordi amministrati dall’OMC, ma sempre al di fuori,
e,dunque, prima o dopo, rispettivamente, l’inizio o la fine del procedimento di soluzione di
una determinata controversia.” Ibidem, p. 127.
227
Un’affermazione particolarmente risoluta della tesi in questione è rinvenibile, come
vedremo, nel rapporto United States - Import Prohibition of Certain Shrimps and Shrimps
Products, WTO doc. WT/DS58/AB/R, del 12 ottobre 1998, al par. 124, consultabile sul sito
www.wto.org (pagina base).
228
Sull’applicazione del principio cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 45 e ss.
229
Sul ruolo di controllo dell’Organo d’appello si veda ampiamente VELLANO, L’Organo
d’appello, op. cit., p. 138 e ss., con particolare riferimento al controllo dell’operato dei
membri, in relazione all’ipotesi che le pronunce dell’Organo possano avere ricadute di
carattere politico, verificatasi in particolare riguardo al tema commercio e ambiente:
“Appare, a questo riguardo, evidente l’evoluzione dell’atteggiamento dell’Organo d’appello
nel caso U.S. – Import Prohibition of Certain Shrimp and Shrimp Product rispetto a quello

102
tendenze, seppure ampiamente giustificate dall’esigenza di garantire
l’efficacia e la credibilità del sistema, hanno l’effetto di annullare il diritto
dei membri ad un secondo grado di giudizio sulle considerazioni effettuate
ex novo230.
In conclusione, va evidenziato che l’atteggiamento tenuto dall’Organo
d’appello in relazione all’interpretazione delle proprie competenze gli ha
consentito di assumere un ruolo assolutamente centrale, ben al di là di
quanto previsto dalla lettera del DSU231. La sua attività sembra talvolta
sconfinare in funzioni di tipo quasi normativo, nella direzione di uno
sviluppo progressivo del diritto materiale e procedurale, nonché di tipo
consultivo, alla luce della tendenza a pronunciarsi su questioni non
strettamente necessarie alla soluzione del caso in specie.

più risalente U.S. – Standards for Reformulated and Convenional Gasoline. Nel rapporto
più recente, pronunciato alla fine del 1998, anche se le conclusioni a cui perviene sono
analoghe a quelle raggiunte in relazione alla prima vicenda (illegittimità delle misure
unilaterali e discriminatorie sia pure motivate dalla necessità di proteggere risorse naturali
esauribili) l’Organo d’appello si sente in dovere di svolgere considerazioni di ordine
generale sul valore assoluto della protezione dell’ambiente anche nel quadro delle priorità
osservate dall’Organizzazione e dai suoi membri.”Ibidem, p. 145.
230
Viene quindi a mancare una delle più importanti garanzie poste a fondamento dell’Intesa
e trattandosi di aspetti quasi sempre decisivi ai fini della risoluzione della controversia la
questione riveste una particolare gravità, a riguardo: “Non pare che ci siano particolari
motivi, oltre a quello di evitare una durata eccessiva del procedimento di soluzione delle
controversie, che possano essere opposti al riconoscimento di un potere di rinvio da parte
dell’Organo d’appello. In una prospettiva di riforma del sistema nel suo complesso, questo
riconoscimento ben si salderebbe con l’istituzione di un Panel Body con le caratteristiche di
un organo permanente. Infatti, con detta istituzione, si eviterebbe il rischio, al momento del
rinvio, di trovarsi di fronte ad un cambiamento della composizione originaria del panel con
conseguenti e facilmente comprensibili problemi di uniformità.”Ibidem, p. 137.
231
Cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 67-68: “Tali tendenze si iscrivono nel tentativo più ampio
dell’Organo d’appello di costruirsi competenze parallele a quelle stabilite dall’Intesa. Non
può conoscere i fatti di una controversia, ma attraverso vari escamotages stilistici o tecnici
riesce comunque ad esprimere il proprio parere. Non può adottare semplici decisioni
interpretative, ma tuttavia si pronuncia, appena si presenta l’occasione, formulando precise
scelte di pensiero. Precisa che i rapporti dei Panels non hanno valore di precedente
vincolante, eppure esso stesso afferma nel rapporto Banane “We should make it clear that
we do not limit our conclusions to this case”. Costruisce un preciso percorso interpretativo
per i Gruppi speciali, rifacendosi alle norme consuetudinarie d’interpretazione. Concilia le
posizioni dei membri, riconoscendo loro il diritto di seguire precise politiche legislative in
materie come il diritto dell’ambiente.”

103
2.5. (segue) La fase esecutiva

L’esecuzione della sentenza costituisce indubbiamente la fase più


delicata del procedimento di soluzione delle controversie. Con l’adozione
del rapporto da parte del DSB si conclude la fase giudicante della procedura
e le decisioni incluse nel rapporto del panel o dell’Organo d’appello
acquistano efficacia obbligatoria. Ai sensi dell’art. 17, par. 14, ai membri
viene fatto obbligo di accettare incondizionatamente la relazione
dell’Organo d’appello232, a meno che, entro trenta giorni, il DSB non decida
per consensus di non adottarlo. Di conseguenza tale organo, formalmente
depositario della competenza principale in materia contenziosa, viene ad
assumere di fatto un ruolo eminentemente esecutivo, mentre le
raccomandazioni formulate dagli organi tecnici acquistano il valore di
conclusioni definitive.
Se nel rapporto viene constatata l’incompatibilità di determinate
misure con la normativa OMC possono essere imposti il ritiro o la modifica
delle stesse, raccomandando eventualmente le modalità di adempimento233,
con il limite specifico, ex art. 19, par. 2, di non ampliare né ridurre diritti e
obblighi dei membri. Va esclusa, pertanto, l’ipotesi di poter imporre
sanzioni di qualunque natura e forme di risarcimento del danno di carattere
pecuniario. Oltre alla cessazione dell’illecito, l’obbligo conseguente ad una
infrazione, consiste nella riparazione in forma specifica con efficacia ex
nunc, nel senso di dover ristabilire la situazione antecedente la commissione
dell’illecito, in considerazione del fatto che l’obiettivo del meccanismo

232
Qualora una parte decida di non opporre appello al rapporto del panel, il DSU non
prevede esplicitamente un analogo obbligo di accettazione incondizionata del rapporto del
panel. Dall’esame della prassi del GATT 1947, che mostra come i membri abbiano sempre
concordato sull’obbligatorietà delle decisioni dei panel, nonché dalla ratio stessa della
previsione di un secondo grado di giudizio, può ragionevolmente desumersi l’obbligo di
conformarsi alle decisioni contenute nel rapporto del panel una volta che questo è stato
approvato dal DSB. Cfr. ADINOLFI, La soluzione delle controversie, op. cit., p. 203 e ss.
233
I suggerimenti in questione non hanno natura vincolante, ma hanno comunque
importanti conseguenze giuridiche, poiché si ritiene che possano comportare una
presunzione assoluta nel senso del pieno adempimento, mettendo lo Stato interessato al
sicuro rispetto all’eventualità di un ricorso all’arbitrato obbligatorio del panel originario, ex
art. 21, par. 5.

104
contenzioso è la tutela e il ristabilimento dell’equilibrio delle opportunità
competitive e non del volume degli scambi.
L’Intesa attribuisce al DSB un potere di controllo particolarmente
ampio sull’esecuzione delle decisioni contenute nei rapporti. L’art. 21, par.
3, prevede che la parte soccombente abbia trenta giorni per informare il
DSB su come intende ottemperare alle decisioni indirizzatele. Se non risulta
possibile l’adempimento immediato dovrà essere fissato un periodo
ragionevole. La determinazione di tale periodo può essere rimessa a un
pronuncia per consensus del DSB, all’accordo tra le parti o al lodo emesso
al termine di un arbitrato vincolante, ma in ogni caso il periodo non
dovrebbe superare i quindici mesi234. Nell’eventualità in cui le parti non
concordino sull’adeguatezza delle misure adottate dalla parte soccombente e
sulla loro compatibilità con gli Accordi contemplati, si dovrà ricorrere alla
valutazione del panel originario, ex art. 21, par. 5235. In ogni caso, il DSB
esercita una sorveglianza costante sull’applicazione delle decisioni e la
234
La regola generale del pronto adempimento è divenuta un’eccezione, mentre il ricorso
alla determinazione del periodo ragionevole costituisce la norma. La procedura di gran
lunga più seguita è quella dell’accordo diretto tra le parti, ma in presenza di strategie
marcatamente dilatorie la procedura arbitrale si è mostrata di notevole utilità. La prassi
arbitrale ha tenuto in considerazione, quali potenziali ostacoli all’adempimento, una serie di
fattori di natura tecnica, quali la tipologia dell’atto, il suo contenuto, il procedimento di
adozione mentre non hanno trovato spazio considerazioni di carattere politico. Cfr. DI
STEFANO, op. cit., p. 30 e ss.
235
Questa seconda ipotesi di arbitrato obbligatorio, frequentemente utilizzata nella prassi,
ha sollevato numerose problematiche relative alla sua applicazione. In primo luogo è
venuto in rilievo il problema di stabilire se la procedura fosse attivabile anche su istanza
della parte soccombente. Nel merito del caso Banane, il panel, investito della questione
dalla Comunità Europea, ha evitato di pronunciarsi sul punto. Nel medesimo contesto è
stata posta, sempre dalla Comunità europea, la questione dell’eventuale esistenza di un
“rapporto sequenziale” tra la procedura dell’art. 21, par. 5, e il successivo disposto dell’art.
22. Nonostante tale previsione abbia incontrato il favore della quasi totalità della dottrina e
vada perfettamente incontro allo spirito del sistema (nel senso che solo l’avvenuta verifica
dell’inadeguatezza delle misure per l’adempimento dovrebbe legittimare il ricorso alle
contromisure) nella prassi si è affermata la tendenza, proprio a partire dal caso Banane, di
esaminare la richiesta di sospensione delle concessioni parallelamente all’avvio della
valutazione delle misure per l’adempimento. L’ultima questione riguarda l’appellabilità
della decisione del panel ex art. 21, par. 5. Considerato che il contenuto del giudizio
nell’ambito del procedimento esecutivo tende ad essere assimilabile al giudizio di merito
iniziale, senza limitarsi ad esercitare il controllo dell’obbligo secondario di cessazione
dell’illecito, e che lo stesso art. 21, par. 5, prevede esplicitamente che la controversia
sull’adempimento debba essere risolta “facendo ricorso alle presenti procedure di soluzione
delle controversie”, è stato dedotto che possa essere opposto appello anche al rapporto
arbitrale. Palesemente questa possibilità configura la concreta ipotesi che il ciclo di giudizi
si riproduca indefinitamente, soprattutto nell’eventualità in cui l’attivazione della procedura
arbitrale possa essere richiesta anche dalla parte soccombente. Cfr. PICONE, LIGUSTRO,
op. cit., p. 603 e ss.

105
questione viene posta all’ordine del giorno sei mesi dopo la data in cui è
stato determinato il periodo ragionevole e vi rimane finché non viene risolta.
Qualora la parte soccombente non adempia alle decisioni de DSB
entro il termine previsto, è possibile il ricorso a due strumenti: la
conclusione di accordi di compensazione o l’adozione di contromisure.
Entrambi hanno natura provvisoria, in ragione del fatto che, come viene
esplicitato dell’art. 22, par. 1, né la compensazione né la sospensione di
concessioni sono da preferirsi a quanto deciso dal DSB.
Il par. 2 dell’art. 22 impone alla parte ricorrente che lamenti
l’inadempimento della sentenza l’obbligo di condurre negoziati per
concludere un accordo di compensazione entro venticinque giorni a partire
dalla scadenza del periodo ragionevole. Dopo tale termine può chiedere al
DSB l’autorizzazione alla sospensione delle concessioni, che viene concessa
a meno che non decida per consensus di respingere la richiesta. Secondo il
par. 3 tali concessioni dovrebbero essere relative allo stesso settore rispetto
a cui è stato riscontato l’annullamento o il pregiudizio dei benefici, qualora
si rivelino impossibili o inefficaci potrebbero essere sospese concessioni in
altri settori dello stesso accordo (cross-sector retalitation), qualora anche
queste si mostrassero impossibili o inefficaci e le circostanze risultassero
sufficientemente gravi, si potrebbero sospendere concessioni relative a altri
accordi (cross-regime retalitation). La valutazione dell’inefficacia o
dell’impossibilità di adottare contromisure nei settori di corrispondenza o
della sussistenza di condizioni sufficientemente gravi è rimessa alla
discrezionalità della parte ricorrente. Conseguentemente, i parr. 6 e 7
dell’art. 22, prevedono, a tutela della parte soccombente, il ricorso al panel
originario, se disponibile, o a un arbitro nominato dal Direttore generale, al
fine di valutare la conformità del provvedimento restrittivo con i requisiti
procedurali del par. 3, con il criterio di proporzionalità prescritto dal par. 4 e
con gli Accordi contemplati in generale. La sentenza che valuta tali elementi
è definitiva e inappellabile e pertanto entrambe le parti sono tenute a
conformarvisi, ma, in ragione della provvisorietà di tali misure, il DSB
continuerà a esercitare la sua opera di controllo fintantoché le misure

106
condannate non verranno modificate conformemente agli Accordi
contemplati.
L’obiettivo della coesione del sistema viene perseguito sul piano
interno tramite la previsione di una serie di norme e procedure unitariamente
applicabili, sul piano esterno attraverso il “principio di esclusività” delle
norme del DSU, ovverosia l’obbligo di ricorrere alle stesse per la soluzione
di qualunque aspetto di una controversia rientrante nell’ambito di
applicazione dell’OMC. Tale principio è sancito dall’art. 23 dell’Intesa,
significativamente intitolato “Consolidamento del sistema multilaterale”, ed
ha una portata particolarmente ampia. In primo luogo, va desunto l’obbligo
di ricorrere in via esclusiva al “foro” domestico, cioè alle procedure del
DSU per la soluzione della controversia, in secondo luogo consegue il
divieto di misure sanzionatorie non autorizzate dal presente meccanismo di
garanzia, ma decise su base unilaterale. Il riconoscimento dell’illiceità del
ricorso a contromisure unilaterali ha rappresentato una delle questioni
maggiormente controverse sia durante i negoziati dell’Uruguay Round che
nella prassi dell’Organizzazione236. Tale divieto va ricondotto alla possibilità
di configurare il sistema OMC, e in particolare la normativa facente capo al
DSU, come regime self-contained237. Nell’eventualità in cui il sistema venga
riconosciuto come tale il divieto sarebbe tassativo 238, ma, anche nel caso in
cui non fosse possibile attribuire tale qualifica all’Intesa239 e, secondo la
teoria del fall-back, in caso di mancato funzionamento del meccanismo
contenzioso le parti fossero reintegrate nel loro diritto di autotutela, la
previsione del meccanismo del consensus negativo priverebbe tale ipotesi di
236
La questione si è posta in relazione al caso United States – Import Measures on Certain
Products from the European Communities. Cfr. il rapporto del panel, WTO doc.
WT/DS165/R, del 17 luglio 2000 e il rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc.
WT/DS165/AB/R, del 11 dicembre 2000, entrambi consultabili sul sito dell’OMC,
www.wto.org (pagina base).
237
Secondo la definizione data dalla Corte Internazionale di Giustizia nella controversia
relativa alla detenzione del personale diplomatico statunitense nell’ambasciata di Teheran
(Case Concerning United States Diplomaticand Consular Staff in Teheran (United States
of America vs. Iran), in ICJ Reports, 1980, p. 1 e ss.), un regime normativo può essere
considerato self-contained, cioè autosufficiente, nel caso in cui i mezzi di difesa cui è
possibile ricorrere in caso di violazione e le sanzioni conseguentemente applicabili siano
disciplinati in maniera esaustiva.
238
Cfr. in tal senso ADINOLFI, op. cit., p. 320 e ss.; LIGUSTRO, La soluzione delle
controversie, cit., p. 1062 e ss.
239
Per un’opinione contraria cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 213 e ss.

107
credibilità. Il radicale mutamento del processo decisionale in materia
contenziosa consente di autorizzare le contromisure su base multilaterale
ogni qualvolta queste vengano richieste, consentendo di affermare che,
quantomeno de facto, l’Intesa non legittima in alcun modo il ricorso a
contromisure unilaterali, ponendo quindi delicati problemi circa la liceità
delle legislazioni nazionali in materia240.

3. Il diritto sostanziale applicabile

L’analisi delle fonti normative utilizzate dai panel e dall’Organo


d’appello può essere condotta sulla base di tre distinte categorie: le norme
degli Accordi contemplati, le norme consuetudinarie da esse richiamate e
altre fonti non esplicitamente menzionate. Tale classificazione deriva dalla
necessità di evitare un’interpretazione del diritto OMC separata dal contesto
del diritto internazionale, alla luce dell’applicazione in sede contenziosa
finalizzata a bilanciare e ad armonizzare le varie discipline del diritto e le
varie esigenze da esse derivanti241.
Alla prima categoria di norme va ricondotto tutto il complesso degli
Accordi contemplati e le norme convenzionali a cui essi fanno espresso
rinvio242. L’imponente mole della normativa degli Accordi consentirà, in
questa sede, di tracciare un quadro estremamente schematico della sua
strutturazione e del suo contenuto, focalizzando l’attenzione su quanto possa
rilevare al fine di consentire l’adozione di adeguati standard di protezione
ambientale.
240
Sulla questione ed in particolare sulla legittimità dell’applicazione delle Sezioni 301-310
del Trade Act statunitense del 1974, positivamente risolta dal rapporto del panel (WTO
doc. WT/DS152/R del 22 dicembre 1999, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org
pagina base), nel caso United States – Sections 301-310 of the Trade Act of 1974, cfr.
PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 669 e ss.
241
Cfr. ampiamente DI STEFANO, op. cit., p. 75 e ss. “La giurisprudenza applicativa degli
accordi tenterà in questo senso di individuare case-by-case una linea di bilanciamento tra
tante e diverse realtà. Il principio guida sarà il rifiuto di considerare ed interpretare il diritto
OMC isolandolo dal diritto internazionale. Verrà utilizzato un approccio evolutivo per
comprendere il valore e la portata delle norme.” Ibidem, p. 76.
242
Ci si riferisce in particolare ad alcune disposizioni dell’Accordo TRIPs che richiamano il
contenuto delle convenzioni sulla proprietà intellettuale, con la conseguenza di inserire
anche gli articoli richiamati in un sistema quasi-giudiziale (v. infra). Ibidem, p. 78 e ss.

108
La seconda categoria di fonti viene implicitamente menzionata
nell’art. 3, par. 2243, laddove si prevede che la funzione chiarificatrice del
diritto da applicare in sede contenziosa dovrà essere svolta conformemente
alle regole consuetudinarie sull’interpretazione dei trattati. Com’è noto, tali
criteri interpretativi sono stati codificati nella Convenzione di Vienna sul
diritto dei trattati del 1969244, agli artt. 31 e 32. Va rilevata, in particolare, la
tendenza dei panel e dell’Organo d’appello a enfatizzare, durante il processo
interpretativo, l’equilibrio degli interessi negoziato nel corso dell’Uruguay
Round, inteso più come ulteriore strumento interpretativo che come limite ai
criteri oggettivi dell’art. 31, cioè la valutazione del significato naturale dei
termini, utilizzati nel loro contesto, alla luce dell’oggetto e dello scopo del
trattato245.
Infine, per quanto riguarda il valore di fonti esterne al sistema OMC,
l’Organo d’appello ha, da un lato, attribuito ad esse un valore analogo a
quello che ricoprono nel diritto internazionale, dall’altro, ha sottolineato che
non possono in alcun caso modificare il tenore degli impegni assunti nel
quadro dell’Organizzazione246. Nella prassi è stato fatto ricorso a norme
consuetudinarie, pattizie e di soft-law, in massima parte riferibili a strumenti
di protezione ambientale, quali il principio precauzionale, alcune tra le
principali convenzioni in materia, come la Convenzione sulla biodiversità,
243
“The dispute settlement system of the WTO is a central element in providing security
and predictability to the multilateral trading system. The Members recognize that it serves
to preserve the rights and obligations of Members under the covered agreements, and to
clarify the existing provisions of those agreements in accordance with customary rules of
interpretation of public international law. Recommendations and rulings of the DSB cannot
add to or diminish the rights and obligations provided in the covered agreements.” (corsivo
aggiunto)
244
Consultabile sul sito delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base).
245
Cfr. DI STEFANO, op. cit., p. 112 e ss. “Il riferimento all’equilibrio negoziato, come
limite all’opera interpretativa degli organi OMC, comporta la possibilità che, in presenza di
due distinte interpretazioni, debba prevalere quella che concilia meglio l’equilibrio
negoziato dalle parti. (...) In realtà, rispetto alla suddetta interpretazione dottrinale, l’esame
della prassi pare evidenziare il tentativo dei Panels e dell’Organo d’appello di utilizzare
maggiormente il criterio soggettivo. Sembra delinearsi, in altri termini, la tendenza a
rivalutare l’intenzione dei membri come elemento importante di interpretazione degli
accordi (...). Infatti, rispetto al contenuto della Convenzione di Vienna, che sembra
accentuare la rilevanza del criterio oggettivo d’interpretazione, la giurisprudenza OMC si
adopera a “ridare” valore al criterio soggettivo. In questo senso, piuttosto che rappresentare
un limite al potere d’interpretazione, l’intenzione delle parti, come rilevabile dal contenuto
dei singoli accordi, si affianca ad altri metodi, aggiungendo un elemento di equilibrio al
sistema.” Ibidem, p. 115.
246
Ibidem, p. 127 e ss.

109
la Convenzione sul diritto del mare, la convenzione CITES, alcuni
documenti non vincolanti come la Dichiarazione di Rio, Agenda 21 o alcune
raccomandazioni internazionali finalizzate all’armonizzazione di
determinati standard. Alla luce delle priorità delineate dal preambolo
dell’Accordo istitutivo, che, alla piena utilizzazione delle risorse mondiali
prevista dal GATT 1947, sostituisce la necessità di un impiego ottimale di
tali risorse conformemente all’obiettivo dello sviluppo sostenibile, le fonti
in questione sono state utilizzate dai panel e dall’Organo d’appello per
ricostruire un’interpretazione evolutiva di alcune disposizioni degli Accordi
contemplati247.

3.1. La normativa di base del sistema degli scambi di merci

Le principali disposizioni in materia sono contenute nel GATT 1994248


, il primo e il più importante tra gli accordi sullo scambio di merci. Pur
trattandosi di un documento giuridicamente distinto dal GATT 1947, ne
riproduce in massima parte il contenuto tramite la tecnica del rinvio
redazionale. Di fatto si tratta di un “accordo contenitore” 249, comprensivo di
soli tre punti, in grado di inglobare una pluralità di fonti normative. Il punto
primo specifica che l’Accordo comprende, oltre al GATT 1947, il c.d.
acquis del medesimo, ovverosia tutto il sistema normativo formatosi

247
Ci si riferisce, in particolare, all’attività degli organi tecnici nel quadro delle controversie
Shrimps/Turtles e Hormones (European Communities – Measures Affecting Meat and Meat
Products). In tal senso è stata avanzata l’idea di ricorrere con maggiore frequenza al
principio contenuto nell’art. 31, par. 3 c), della Convenzione di Vienna dove si prevede che
durante il processo interpretativo si debba tenere conto di qualsiasi altra regola pertinente di
diritto internazionale applicabile nei rapporti tra le parti. Cfr. ibidem, p. 134.
248
Sulla disciplina degli scambi di merci si veda BEVIGLIA ZAMPETTI, Dall’Accordo
generale sulle tariffe e il commercio all’Organizzazione Mondiale del Commercio, in
GIARDINA, TOSATO, op. cit., p. 3 e ss.; COCCIA, Dal GATT 1947, cit., p. 81 e ss.;
COCCIA, GATT, cit., p. 76 e ss.; COMBA, il commercio internazionale delle merci: dal
GATT 47 al GATT 94. La circolazione di alcuni modelli e le innovazioni dell’Uruguay
Round, in SIDI, op. cit., p. 69 e ss.; COMBA, Il neoliberismo, cit., p. 97 e ss.; LAL DAS,
The World Trade Organisation. A Guide to the Framework for International Trade,
Londra, 1999; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 87 e ss.; VENTURINI, L’OMC e la
disciplina degli scambi internazionali di merci, in VENTURINI, op. cit., p. 3 e ss.
249
Su passaggio tra i due accordi cfr. ampiamente COCCIA, Dal GATT 1947, cit., p. 81 e
ss..

110
attraverso i più diversi atti adottati dalle PARTI CONTRAENTI250.
Naturalmente vi sono delle aggiunte e delle esclusioni piuttosto
significative. Le prime sono costituite dalle 6 Intese relative
all’interpretazione e all’applicazione di alcuni articoli e dal Protocollo di
Marrakech251, mentre le seconde riguardano la dimensione istituzionale del
GATT 1947, il regime di applicazione provvisoria e i conseguenti
grandfather rights.
La normativa di base del GATT può essere illustrata facendo
riferimento al tipo di comportamento prescritto. Secondo tale criterio è
possibile individuare cinque modelli normativi principali, a seconda che le
norme in esame riguardino l’obbligo di non discriminazione, la reciprocità
degli obblighi assunti, l’eliminazione degli ostacoli tariffari e non tariffari al
commercio, la facoltà di reagire alla lesione dei propri diritti o questioni
residuali di carattere accessorio e strumentale all’attuazione delle norme
fondamentali.
L’obbligo di non discriminazione si sostanzia nella garanzia di pari
trattamento delle merci sia a livello esterno che a livello interno. La prima
prescrizione trova attuazione nel disposto dell’art. I, in cui viene codificato
il trattamento generale della nazione più favorita, ai sensi del quale ogni
vantaggio accordato da uno Stato membro a un prodotto originario di o
destinato a qualunque altro Stato (non necessariamente membro
250
La questione fa sorgere alcuni dubbi riguardo alla possibilità che le decisioni adottate
dalle PARTI CONTRAENTI, ex art. XXIII, al termine del procedimento di risoluzione
delle controversie, possano acquistare efficacia erga omnes in virtù di detta previsione, con
la conseguenza paradossale di vedere loro attribuita un’efficacia maggiore di quella che
avevano nel sistema GATT 1947. L’Organo d’appello ha dato conferma dell’opinione già
espressa in dottrina secondo cui i rapporti dei panel non fanno parte delle altre decisioni
delle PARTI CONTRAENTI del GATT 1947 ai sensi del punto 1 (b) del GATT 1994. tali
atti rivestono comunque una notevole importanza sia in qualità di manifestazioni della
continuità tra i due regimi giuridici sia come ausilio interpretativo come previsto dall’art.
31, par. 3 b), della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Ibidem, p. 94 e ss.
251
Le Intese sono le seguenti: l’Intesa sull’interpretazione dell’art. II. 1.b) dell’Accordo
generale sulle tariffe e il commercio 1994, l’Intesa sull’interpretazione dell’art. XVII
dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994, l’Intesa sulle disposizioni relative
alla bilancia dei pagamenti dell’ Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994,
l’Intesa sull’interpretazione dell’art. XXIV dell’ Accordo generale sulle tariffe e il
commercio 1994, l’Intesa relativa alle deroghe agli obblighi previsti dall’Accordo generale
sulle tariffe e il commercio 1994, l’Intesa sull’interpretazione dell’art. XXVIII
dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994. Al Protocollo di Marrakech del
GATT 1994 sono allegate le liste di concessioni tariffarie dei membri divenute operative
con l’entrata in vigore dell’Accordo OMC.

111
dell’Organizzazione) sarà automaticamente e incondizionatamente esteso a
tutti i prodotti similari252 originari del o destinati al territorio di tutti gli altri
Stati membri. La clausola della nazione più favorita prevista dal GATT
1994 risulta quindi essere reciproca, indeterminata, cioè applicabile al
trattamento concesso a qualsiasi Stato terzo, oltre che incondizionata,
multilaterale e dotata di una portata generale quanto al campo di
applicazione materiale, potendo essere invocata relativamente a ogni
prodotto e a ogni tipo di vantaggio, sia attuale che futuro. Il GATT 1994
prevede numerose eccezioni all’obbligo di applicare tale trattamento alle
relazioni commerciali tra Stati membri. Talune di queste eccezioni hanno
carattere permanente. La prima riguarda l’art. XXIV, con cui si autorizzano
condizioni preferenziali per i traffici interni a unioni doganali o zone di
libero scambio, la seconda è costituita da tutta la Parte IV dell’Accordo su
“Commercio e sviluppo” che consente un trattamento più favorevole e non
reciproco per i paesi in via di sviluppo.
Il pari trattamento delle merci sul piano interno è garantito dall’art. III,
intitolato “trattamento nazionale i materia di imposizioni e di
regolamentazione interna”, in base al quale viene fatto obbligo di assimilare
le merci importate da uno Stato membro alle merci nazionali e di evitare
qualunque tipo di trattamento differenziato che possa avere come
conseguenza la protezione della produzione nazionale. La portata materiale
dell’art. III è particolarmente vasta. Riguarda tutte le misure di carattere
interno suscettibili di avvantaggiare un prodotto nazionale, quali le tasse e
ogni altro tipo di imposizione interna, così come ogni fonte normativa che
disciplini la vendita, l’acquisto, il trasporto e le modalità di utilizzazione dei
prodotti. Il par. 2 si occupa specificamente delle imposizioni fiscali,
252
La nozione di similarità non risulta di facile definizione ed è evidente che all’interprete
viene lasciato un ampio margine di apprezzamento. La giurisprudenza elaborata nel quadro
del GATT 1947 ha delineato quella che viene definita la teoria unitaria della similarità,
cercando di rendere il più possibile obiettivi i criteri di definizione. Tale teoria, ponendosi
nell’ottica di garantire la maggiore tutela possibile al libero scambio delle merci, prevede
che la nozione di similarità sia interpretata in maniera estensiva nel caso in cui si faccia
riferimento all’adempimento di obblighi di portata generale, potendo ricorrere in tal caso
anche ai concetti di succedaneità, concorrenzialità e sostituibilità, mentre, qualora si tratti di
applicare una delle eccezioni previste dall’Accordo, si richiede un’interpretazione il più
possibile restrittiva. Cfr. Spain – Tariff Treatment of Unroasted Coffee, in BISD 1982,
suppl. 28, p. 102 e ss.

112
stabilendo l’illiceità di qualunque provvedimento che fissi un trattamento
fiscale differenziato sulla base della diversa origine delle merci, sia tramite
imposizioni intrinsecamente discriminatorie sia tramite effetti indiretti che
possano derivare da imposizioni apparentemente imparziali. Proprio a tale
riguardo la portata del paragrafo viene notevolmente ampliata da una nota
interpretativa al par. 2 dell’art. III253, che introduce una sorta di “duplice
test”254 di compatibilità con il divieto di non discriminazione
interna,implicante un’interpretazione del concetto di similarità più estensiva
di quanto previsto riguardo all’art. I. Se due prodotti similari vengono
trattati differentemente non rileva provare l’effetto protezionistico per
dimostrare la violazione dell’art. III. Invece, nell’eventualità in cui tra due
prodotti non risultasse una relazione di similarità, ma comunque si
riscontrasse un trattamento fiscale favorevole al prodotto nazionale, si
dovrebbe procedere a valutare l’esistenza di un rapporto di succedaneità o di
diretta concorrenzialità. In caso affermativo si dovrebbe allora valutare se il
trattamento fiscale differenziato comporti un effetto protezionistico255 e
possa quindi essere considerato contrario all’art. III, par. 2. Il par. 4 riguarda
invece le disposizioni interne di natura non fiscale, solitamente relative alle
caratteristiche tecniche dei prodotti ed in particolare agli standard
ambientali. In materia viene lasciata un’ampia autonomia agli Stati membri,
dovendosi comunque rispettare il divieto di sottoporre i prodotti similari
importati ad un trattamento meno favorevole. Le eccezioni all’art. III hanno
una rilevanza inferiore rispetto a quelle previste per l’art. I, limitandosi a
consentire, al par. 8, un regime di deroga per gli acquisti pubblici e per le
sovvenzioni pubbliche ai produttori nazionali.
Al principio di non discriminazione si associa il principio di
reciprocità degli obblighi assunti, in qualità di pilastro fondamentale del
253
“A tax conforming to the requirements of the first sentence of paragraph 2 would be
considered to be inconsistent with the provisions of the second sentence only in cases
where competition was involved between, on the one hand, the taxed product and, on the
other hand, a directly competitive or substitutable product which was not similarly taxed.”
254
Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 114.
255
La ratio e le modalità di applicazione del par. 2 sono state illustrate dall’Organo
d’appello nel caso Canada – Certain Measures Concerning Periodicals, nel rapporto WTO
doc. WT/DS31/AB/R, del 9 settembre 1997, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org
(pagina base).

113
sistema commerciale multilaterale. Entrambi vengono esplicitamente
enunciati sia nel preambolo del GATT 1947 che nel preambolo
dell’Accordo istitutivo dell’OMC. Il principale ambito di applicazione del
principio è costituito dall’art. XXVIII-bis relativo allo svolgimento dei
negoziati tariffari, i quali dovranno essere condotti su una base di reciprocità
e di mutui vantaggi. Ovviamente tale principio dovrà guidare anche ogni
eventuale modifica delle concessioni ex art. XXVIII. Il concetto di
reciprocità non deve essere inteso in senso giuridico-formale, come
semplice simmetricità dei vantaggi concessi, ma, come ampiamente
dimostrato dalla finalità ultima del sistema OMC, mirante a garantire le
opportunità competitive degli Stati membri e non determinate quote di
scambio, deve essere attuato in senso sostanziale, come costante
bilanciamento dei vantaggi effettivamente ottenuti dagli Stati sul piano
materiale. La necessità di dover tutelare la reciprocità sostanziale ha portato
ad adottare una serie di deroghe al principio di reciprocità formale. In tal
senso risulta evidente la funzione perequatrice delle clausole di
salvaguardia256 e delle restrizioni all’importazioni per proteggere l’equilibrio
della bilancia dei pagamenti257, rispettivamente previste dall’art. XIX e
dall’Accordo sulle misure di salvaguardia ad esso connesso, qualora si
verifichi un serio pregiudizio alla produzione nazionale a causa di un
imprevisto aumento delle importazioni, e dall’art. XII (e dall’art. XVIII:B
limitatamente ai paesi in via di sviluppo) e dalla relativa Intesa annessa al
GATT 1994, in caso di minaccia imminente di un’importante diminuzione
delle riserve monetarie. Tali deroghe hanno carattere temporaneo, mentre la
Parte IV consente di derogare stabilmente al principio di reciprocità in
favore del trattamento preferenziale ai paesi in via di sviluppo, seppure con
il limite importante rappresentato dalla clausola di ritorno graduale.
L’obbligo di eliminare gli ostacoli al commercio riceve un trattamento
molto differente a seconda della natura, tariffaria o meno, di detti ostacoli.
Per quanto si riconosca la necessità di una riduzione progressiva dei dazi
doganali, rafforzata, sulla base dell’art. II, dalla regola del consolidamento,
256
Cfr. ampiamente PICONE, LIGUSTRO, op cit., p. 304 e ss.
257
Ibidem, p. 299 e ss.

114
ai sensi della quale non possono essere aumentati, né possono esserne
imposti di nuovi, essi rappresentano l’unico strumento di protezione dei
mercati nazionali esplicitamente consentito, in osservanza del principio
cardine della protezione doganale esclusiva258. Viceversa, le barriere non
tariffarie sono destinate ad essere completamente eliminate, come richiesto
dagli artt. III, VIII e XI, a meno che non siano espressamente autorizzate dai
regimi di deroga che vedremo in seguito. Mentre l’art. VIII si limita a
prescrivere che il gli oneri e le imposizioni, diversi dai dazi doganali e dalle
tasse di cui all’art. III, siano circoscritti al costo approssimativo del sevizio
offerto e non costituiscano una protezione indiretta della produzione
nazionale, l’art. XI, eloquentemente intitolato “eliminazione generale delle
restrizioni quantitative”, ha una portata materiale vastissima. Risultano
vietati non soltanto i contingentamenti e le licenze all’importazione e
all’esportazione, ma anche qualunque altra misura che abbia come effetto
una limitazione della libera circolazione delle merci. In ogni caso, quando le
restrizioni, in via eccezionale, possono essere ammesse, andranno applicate
in maniera non discriminatoria, come previsto dall’art. XIII. Ai sensi del
medesimo articolo sono da preferirsi le restrizioni che comportino il minore
livello di arbitrarietà possibile. Pertanto, rispetto alle licenze
all’importazione andranno privilegiati i contingenti, e, tra di essi, i
contingenti suddivisi in quote piuttosto che i contingenti globali, dal
momento che questi ultimi sottostanno al principio prior in tempore, potior
in iure. Il riferimento alle “altre misure” lascia palesemente un ampio
margine di apprezzamento all’interprete. La prassi del GATT ha avuto
modo di specificare che l’art. XI vieta ogni tipo di provvedimento statale
che abbia come effetto, anche solo potenzialmente, una riduzione degli
scambi commerciali. Qualora le misure restrittive fossero distintamente
applicabili ai prodotti esteri e a quelli nazionali si incorrerebbe in una
violazione sia dell’art. III, che dell’art. IX, ma anche le misure neutre
possono costituire un ostacolo alle importazioni. In conseguenza
258
Sulle problematiche connesse al livello e alla natura dei dazi, nonché al tasso di
variabilità e al coefficiente di dispersione degli stessi, al fine di determinare la specifica
struttura dello schema tariffario di ciascun paese, cfr. COMBA, Il neoliberismo, cit., p. 103
e ss; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 139 e ss.

115
dell’estrema varietà di misure che possono cadere sotto quest’ultima ipotesi,
la disciplina degli ostacoli non tariffari al commercio è stata oggetto di
un’imponente opera di codificazione e gli Accordi ad essa inerenti
rappresentano la parte più consistente della normativa sullo scambio di
merci.
Il quarto modello normativo è riconducibile alla facoltà concessa ad
ogni Stato di reagire di fronte a una lesione dei diritti derivanti dai principi e
dalle regole fondamentali fin qui esaminati e risulta pertanto funzionale
all’attuazione dei medesimi. Come è già stato ampiamente rilevato, non è
necessaria la violazione di un obbligo, ma è sufficiente le mera esistenza di
un pregiudizio ai propri interessi per giustificare la reazione dello Stato leso.
Tale reazione passa normalmente attraverso il meccanismo multilaterale di
soluzione delle controversie, ma, in determinate circostanze, lo Stato può
reagire in maniera del tutto autonoma e discrezionale, senza dover attendere
un’autorizzazione da parte degli organi dell’OMC successiva alla
commissione dell’atto pregiudizievole. È il caso, in particolare, dei dazi
anti-dumping e dei dazi compensativi previsti dall’art. VI del GATT. Con
l’evolversi della normativa sulle due fattispecie, i dazi in questione possono
arrivare a colpire anche sovvenzioni che risultano espressamente vietate, e
in tal caso acquistano una connotazione differente, configurando l’ipotesi di
vere e proprie contromisure unilateralmente applicabili, alla luce della
necessità di una reazione tempestiva. Naturalmente esse dovranno essere
proporzionali al pregiudizio subito, in caso contrario lo Stato oggetto del
provvedimento sarà autorizzato a ricorrere al meccanismo contenzioso
dell’Organizzazione. Un’analoga esigenza di tempestività legittima anche
l’adozione di provvedimenti, consentiti dalle clausole di deroga del GATT,
che possono sospendere unilateralmente diversi obblighi e concessioni pur
senza un’esplicita autorizzazione preventiva, come ad esempio le misure di
salvaguardia o le misure per proteggere l’equilibrio della bilancia dei
pagamenti, fatto salvo il controllo successivo eventualmente esercitabile in
sede contenziosa.

116
Infine, la disciplina degli scambi di merci viene integrata da alcune
regole di carattere accessorio (come la libertà di transito e la libertà dei
pagamenti internazionali, disciplinate rispettivamente dagli artt. V e XV) o
strumentale (come l’obbligo di trasparenza e di notifica delle misure statali
potenzialmente incidenti sugli scambi commerciali, principio sancito
dall’art. X e richiamato nelle più varie disposizioni, per l’attuazione del
quale è stato appositamente istituito il Registro centrale delle notifiche,
attraverso una Decisione sulle procedure di notifica inclusa nella Parte III
dell’Atto finale) rispetto all’attuazione della medesima.

3.2. Le clausole di deroga

Il sistema del GATT 1947 è stato caratterizzato da un’eccessiva


flessibilità delle clausole di eccezione e di salvaguardia, soprattutto a causa
dell’inadeguatezza dei meccanismi di controllo istituzionale, al punto di
rischiare di invertire il rapporto tra regola ed eccezione e di non far
percepire come effettivamente vincolante la normativa dell’Accordo
generale. Con la creazione dell’OMC si è mostrato necessario specificare il
contenuto e le modalità di attuazione del sistema, sia tramite alcune delle
Intese annesse al GATT 1994, sia tramite l’Accordo istitutivo e gli Accordi
allegati.
Una prima classificazione delle deroghe può essere operata sulla base
della loro durata, distinguendo le deroghe strutturali e permanenti dalle
deroghe temporanee, miranti, le prime a promuovere obiettivi generali come
le norme in materia di integrazione regionale e quelle su commercio e
sviluppo della Parte IV del GATT, e le seconde alla realizzazione di
interessi particolari ritenuti meritevoli di tutela. Le deroghe appartenenti a
quest’ultima categoria sono da ricondursi a sei distinte ipotesi: le eccezioni
al divieto di restrizioni quantitative, le misure di salvaguardia della bilancia
dei pagamenti, le misure di salvaguardia urgenti, le eccezioni generali, le
eccezioni concernenti la sicurezza e le deroghe speciali.

117
L’art XI, dopo aver sancito il divieto di restrizioni quantitative,
disciplina, al par. 2, una serie di circostanze in cui uno Stato può essere
autorizzato a disattendere il divieto in questione, senza la necessità di
autorizzazione preventiva. In primo luogo possono essere applicate
restrizioni all’esportazione nel caso critico in cui si verifichi una penuria di
prodotti alimentari o di altri prodotti essenziali. La seconda eccezione
contempla un’ipotesi ormai rientrante nell’ambito di applicazione
dell’Accordo sugli ostacoli tecnici al commercio, in base alla quale sono
consentite restrizioni agli scambi necessarie all’attuazione di normative
nazionali concernenti la classificazione, il controllo di qualità e la messa in
vendita dei prodotti259. Infine sono autorizzate restrizioni all’importazione di
prodotti agricoli o della pesca, se necessarie al riassorbimento di eccedenze
temporanee.
Ulteriori deroghe al divieto di restrizioni quantitative sono autorizzate
dagli artt. XII e XVIII(B) per far fronte a eventuali deficit della bilancia dei
pagamenti. L’art. XII prevede che esse non andranno oltre quanto
necessario per proteggere le riserve monetarie dalla minaccia imminente di
un’importante diminuzione o, nel caso fossero eccessivamente basse, di
quanto necessario ad accrescerle secondo un tasso ragionevole. L’art.
XVIII(B), nel quadro della disciplina relativa agli aiuti statali in favore dello
sviluppo economico, attenua la rigorosità delle condizioni richieste,
eliminando il requisito della minaccia imminente, limitatamente a quanto
possa rivelarsi necessario ad uno paese in via di sviluppo nell’attuazione dei
propri programmi di sviluppo economico. Per evitare i frequenti abusi che
di queste clausole sono stati fatti in passato, considerato che anch’esse non
necessitano di un controllo preventivo, le modalità di ricorso sono state

259
L’unico caso in cui è stata invocata a clausola in questione ha determinato
l’affermazione di un’interpretazione piuttosto rigida della nozione di necessità, imponendo
la scelta delle misure meno restrittive possibili tra quelle praticabili. L’interpretazione
giurisprudenziale è stata accolta dall’art. 2, par. 2, dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli
scambi. Cfr. il rapporto del panel sul caso Canada – Measures Affecting Exports of
Unprocessed Herring and Salmon, WTO doc. L/6268 - 35S/98 del 22 marzo 1988,
consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

118
indicate con maggiore chiarezza nell’Intesa sulle disposizioni relative alla
bilancia dei pagamenti annessa al GATT 1994260.
L’art. XIX, intitolato “Misure urgenti concernenti l’importazione di
prodotti particolari”, fa riferimento alle c.d. clausole di salvaguardia urgenti.
Si consente infatti, ad uno Stato membro, di derogare agli obblighi del
GATT se, conseguentemente a un’evoluzione non prevedibile delle
circostanze, si presenta la minaccia di un pregiudizio grave ai produttori
nazionali di beni similari o direttamente concorrenziali, qualora questo
dipenda dagli obblighi assunti in base all’Accordo generale e soltanto nella
misura e per il tempo necessari a porre rimedio al pregiudizio, come nel
caso dell’art. XII. Fermo restando l’obbligo di notifica delle misure urgenti
e di consultazione con lo Stato interessato, esse non richiedono
un’autorizzazione preventiva.
L’indeterminatezza della formulazione dell’art. XIX dal punto di vista
sostanziale e procedurale, soprattutto riguardo alla circostanza che la
clausola dovesse soggiacere o meno al principio di non discriminazione, ha
condotto anche in questo caso a frequenti abusi. Sulla questione i panel si
sono espressi in senso affermativo261, contrariamente a quanto auspicato dai
paesi industrializzati, favorevoli a una applicazione selettiva per contrastare
gli effetti della crescita delle esportazioni dei paesi di nuova
industrializzazione. Tale tendenza giurisprudenziale ha favorito il ricorso
260
L’Intesa introduce l’obbligo di pubblicazione di un calendario relativo ai tempi delle
progressiva abolizione delle misure, ma la maggiore innovazione riguarda l’impegno ad
adottare misure basate sui prezzi dei prodotti, dal momento che risultano avere effetti molto
meno negativi sugli scambi. La mancata previsione di una simile possibilità all’interno
dell’art. XII è dovuta al fatto che in un regime di cambi fissi le restrizioni quantitative
giocano un ruolo fondamentale quali strumenti per colmare deficit delle riserve monetarie,
non potendosi ricorrere a manovre sui tassi di cambio. Con l’abbandono, alla fine degli anni
’70, del sistema di Bretton Woods, le clausole in questione sono state utilizzate
prevalentemente come strumenti meramente protezionistici, da cui la necessità di
specificarne in tal senso le modalità di attuazione. Difatti l’Intesa annessa al GATT 1994
richiama e sviluppa la “Dichiarazione sulle misure commerciali prese ai fini di bilancia dei
pagamenti” adottata già nel 1979 dalle PARTI CONTRAENTI (WTO doc. L/4904, in
BISD, 1980, suppl. 26, p. 205 e ss.). In ogni caso, alla luce del fatto che le misure basate sui
prezzi possono ottenere i medesimi effetti pur comportando minori inconvenienti, risulta
piuttosto singolare la loro mancata previsione, soprattutto considerando che, al contrario, le
misure di salvaguardia ex art. XIX consentono di scegliere tra le restrizioni e le misure
tariffarie.
261
Cfr. il rapporto del panel nel caso Norway – Restrictions on Imports on Certain Textile
Products, WTO doc. L/4959-27S/119, del 25 marzo 1980, in BISD, 1981, suppl. 27, p. 119
e ss.

119
alle c.d. “misure di zona grigia”, solitamente costituite agli accordi di
limitazione volontaria delle esportazioni, a cui di fatto sottostavano forme
larvate di contingentamenti delle importazioni, imposti unilateralmente dai
paesi importatori in alternativa alle misure ex art. XIX. L’Accordo sulle
misure di salvaguardia negoziato durante l’Uruguay Round ha risposto
all’esigenza di rendere maggiormente elastiche dette misure, al fine
stimolarne l’utilizzo e di limitare il ricorso agli accordi informali o segreti di
autolimitazione delle esportazioni262. Tali auspici sono stati frustrati nei fatti,
mentre il frequente ricorso ad altre misure come dazi anti-dumping e i dazi
compensativi, per loro natura selettivi e non implicanti né l’obbligo di
ristrutturazione dell’industria nazionale né l’eventualità di potenziali
ritorsioni, ha suggerito l’ipotesi che le clausole di salvaguardia possano
essere “strutturalmente destinate a ricoprire un ruolo marginale”263.
L’art. XX contiene una normativa più estesa in materia di regimi di
deroga, contemplando ben dieci eccezioni riconducibili ad esigenze di
politica pubblica, applicabili a qualsiasi obbligo discendente dall’Accordo
generale, in maniera del tutto automatica, cioè senza necessità di
autorizzazione preventiva né di controllo ex post, fatti salvi l’obbligo di
notifica e la possibilità di attivare in seguito il meccanismo contenzioso.
L’obiettivo delle eccezioni in questione è salvaguardare la sovranità degli
Stati membri in materie di pubblico interesse che si ritiene debbano
prevalere sulle esigenze del libero commercio. Sono contemplate le ipotesi
più disparate: la protezione della moralità pubblica o di tesori nazionali di
valore artistico, storico o archeologico; l’adozione di particolari misure sul
commercio dell’oro e dell’argento o sul commercio di prodotti fabbricati
nelle prigioni; la possibilità di applicare restrizioni all’esportazione di
materie prime necessarie ad una industria nazionale di trasformazione o di
applicare misure essenziali all’acquisto di prodotti di cui si faccia sentire
262
Nell’Accordo si specifica che la gravità del pregiudizio può essere valutata non in
termini assoluti, ma proporzionalmente alla produzione nazionale. Inoltre sono venuti meno
i requisiti dell’evoluzione imprevista delle circostanze e della connessione con gli obblighi
derivanti dal GATT. Tuttavia si è determinata una notevole incertezza nell’applicazione
delle clausole poiché nella prassi si è affermata la necessità di applicare integralmente e
cumulativamente le condizioni richieste dall’art. XIX e dall’Accordo. Cfr. ampiamente
PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 309 e ss.
263
Ibidem, p. 319.

120
una penuria generale o di misure finalizzate ad attuare accordi su prodotti di
base; misure necessarie a tutelare particolari situazioni di mercato relative
ad esempio all’applicazione di provvedimenti doganali, monopoli
amministrativi, alle pratiche che possono indurre in errore e a tutte le
materie riconducibili alla proprietà intellettuale. Infine, alle lettere b) e g),
sono previste le due eccezioni sulla cui base gli Stati possono fondare le
proprie politiche ambientali eventualmente confliggenti con la libera
circolazione delle merci. Si tratta, rispettivamente, della possibilità di
adottare misure necessarie alla protezione della salute e della vita delle
persone, degli animali e delle piante o misure relative alla conservazione di
risorse nazionali non rinnovabili264.
Dopo aver appurato se le misure nazionali risultano giustificabili sulla
base di una delle suddette eccezioni, occorre verificare se esse rispettino
anche i requisiti richiesti dal preambolo dell’art. XX. Infatti, in nessun caso
le misure in questione devono essere applicate in maniera da costituire una
discriminazione ingiustificata o arbitraria tra paesi in cui sussistono
analoghe condizioni, né una restrizione dissimulata del commercio
internazionale. Va notato come il presente concetto di non discriminazione
si differenzi da quanto previsto dagli artt. I e III, ammettendo
implicitamente che possa sussistere un certo grado di discriminazione tra
Stati, purché giustificabile e non arbitrario.
Per l’analisi dei molteplici problemi sorti relativamente alla prassi
applicativa e all’interpretazione giurisprudenziale delle eccezioni contenute
nelle lettere b) e g) dell’art. XX, congiuntamente alle condizioni richieste
dal preambolo, si rinvia al prossimo capitolo, di cui tali questioni
costituiranno uno dei principali oggetti d’analisi.
Anche le eccezioni previste dall’art. XXI, relativamente alla tutela
della sicurezza nazionale, sono suscettibili di applicazione automatica e

264
“ Subject to the requirement that such measures are not applied in a manner which would
constitute a means of arbitrary or unjustifiable discrimination between countries where the
same conditions prevail, or a disguised restriction on international trade, nothing in this
Agreement shall be construed to prevent the adoption or enforcement by any contracting
party of measures: (…) (b) necessary to protect human, animal or plant life or health; (…)
(g) relating to the conservation of exhaustible natural resources, if such measures are made
effective in conjunction with restrictions on domestic production or consumption.”

121
consentono di derogare a qualunque obbligo dell’Accordo generale.
Riguardano il commercio di materie fissili, di materiale bellico o comunque
misure applicate in tempo di guerra o di grave tensione internazionale, ma
considerata la rilevanza delle loro finalità si sono poste notevoli perplessità
circa la loro sindacabilità in sede contenziosa. Infatti, le disposizioni
dell’articolo consentono un elevatissimo grado di discrezionalità agli Stati
riguardo alla valutazione della necessità di dette misure, fino a permettere di
non rivelare qualunque informazione ritengano necessaria alla protezione
della sicurezza nazionale, sottraendo pertanto un elemento essenziale alla
meccanismo di soluzione delle controversie. La questione è venuta in rilievo
in numerosi casi, sia nel quadro del GATT che dell’OMC, ma per varie
ragioni non è mai stato possibile emettere un giudizio che delineasse i criteri
da seguire in materia265.
L’ultima ipotesi di deroga è contemplata dall’art. IX, par. 3
dell’Accordo istitutivo dell’OMC, il quale riprende quanto originariamente
disposto dall’art. XXV, par. 5, del GATT, in materia di azione collettiva
delle PARTI CONTRAENTI, estendendone il contenuto, oltre che alla
restante normativa sullo scambio di merci prevista dagli altri Accordi
dell’Allegato 1 A, anche alla disciplina dei servizi e della proprietà
intellettuale, nonché allo stesso Accordo istitutivo. Tali deroghe speciali (o
waivers) hanno carattere generale, temporaneo e residuale, potendo
riguardare qualsiasi situazione non espressamente prevista dai precedenti
regimi derogatori, manifestatasi in seguito al verificarsi di circostanze

265
A partire dal caso United States – National Security Export Restrictions del 1949 si è
affermata una linea giurisprudenziale per cui, pur riconoscendo la competenza a sindacare
le misure ex art. XXI, si ammetteva la totale discrezionalità degli Stati nel valutare sia
l’esistenza della minaccia alla sicurezza, sia quali fossero le misure più idonee per
contrastarla. In seguito, di fronte all’acuirsi delle tensioni internazionali riguardo alla
situazione nicaraguense e delle Falkland, la questione è stata oggetto di una decisione delle
PARTI CONTRAENTI finalizzata a ottenere un’interpretazione autentica dell’art. XXI
(cfr. Decision Concerning Article XXI of the General Agreement, in BISD, 1983, suppl. 29,
p. 24 e ss.) in essa si riscontra un’impostazione estremamente vaga e indeterminata, che,
riaffermando il diritto di ricorrere alla procedura di soluzione delle controversie, riconosce
come “contracting parties should be informed, to the fullest extent possible, of trade
measures taken under art. XXI” (enfasi aggiunta). La normativa OMC ha introdotta un
elemento di importante novità attraverso la previsione del mandato standard per i panel, se
non viene raggiunto un accordo tra le parti in causa, fatto che potrebbe influire in maniera
determinate riguardo alla possibilità, in futuro, di sindacare la legittimità delle misure in
questione.

122
eccezionali. Nella prassi, la ratio delle deroghe speciali è stata in parte
snaturata ed esse sono diventate strumenti di ordinaria amministrazione266,
spesso di lunga durata, se non addirittura permanenti, in ragione di carenze
strutturali delle economie degli Stati membri e in particolare di quelli in via
di sviluppo. In sostanza, l’espressione “circostanze eccezionali” è stata
interpretata come riferibile sia a fattori congiunturali imprevisti, che a fattori
strutturali semplicemente non previsti dalle precedenti eccezioni. Dal punto
di vista procedurale, le deroghe speciali sottostanno all’obbligo di
autorizzazione preventiva a maggioranza dei tre quarti degli Stati membri e
di riesame annuale267, in seguito al quale la Conferenza dei Ministri può
decidere, qualora constatasse che sono venute meno le circostanze
eccezionali o che non sono stati rispettati i termini o le condizioni prescritte,
di prorogare, modificare o abrogare la deroga.

3.3. Gli altri Accordi multilaterali sullo scambio di merci: l’Accordo sugli
ostacoli tecnici agli scambi e l’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie

Tra i dodici Accordi multilaterali rimanenti ci limiteremo a tracciare le


linee guida di quelli suscettibili di avere un effetto diretto o indiretto sulla
tutela dell’ambiente. Si tratta, in primo luogo, dell’Accordo sugli ostacoli
tecnici al commercio e di quello sulle misure sanitarie e fitosanitarie e, in
misura minore, di quello sull’agricoltura e di quello sulle sovvenzioni e i
dazi compensativi268.
266
Solo durante il periodo di vita del GATT le deroghe autorizzate sono state 115 e soltanto
due sono state respinte.
267
L’art. XXV è stato integrato da una decisione delle PARTI CONTRAENTI del 1956
(BISD, 1957, p. 25 e ss.) che prevedeva l’introduzione di un meccanismo di riesame e di
verifica periodica delle circostanze che hanno legittimato l’adozione delle deroghe. Tale
procedimento è stato accolto dal par. 4 dell’art. IX dell’Accordo istitutivo. Ulteriori
precisazioni riguardo alle modalità di ricorso sono state prescritte dall’Intesa relativa alle
deroghe agli obblighi previsti dall’Accordo generale sulle tariffe e il commercio 1994, la
quale ha espressamente ribadito la possibilità di esercitare anche un controllo di legalità in
sede contenziosa in caso di mancato rispetto delle condizioni o nel caso di reclami senza
violazione.
268
In linea di principio, anche l’Accordo sulle misure relative agli investimenti che
incidono sugli scambi commerciali (TRIMs) potrebbe avere degli effetti sulla facoltà degli
Stati di adottare misure di protezione ambientale, considerati i problemi connessi
all’eventuale imposizione di determinati standard ambientali e ai conseguenti fenomeni
dell’environmental shopping e del dumping ecologico da parte delle imprese investitrici. Di

123
Le norme tecniche relative alle caratteristiche dei prodotti e i relativi
sistemi di certificazione costituiscono una delle forme più diffuse di barriere
non tariffarie agli scambi commerciali, soprattutto nel caso in cui si verifichi
un’alta difformità delle differenti normative nazionali. L’Accordo sugli
ostacoli tecnici agli scambi (o Accordo TBT, dall’acronimo inglese di
Technical Barriers to Trade) integra e precisa il contenuto del Codice sugli
ostacoli tecnici agli scambi elaborato durante il Tokyo Round (il c.d.
Standard Code), al fine di rispondere all’esigenza di contemperare la tutela
della sovranità statale e quella della libera circolazione delle merci. In tal
senso, l’Accordo opera una sintesi tra il disposto dell’art. XX, che consente
di derogare agli impegni del GATT per determinati motivi di pubblico
interesse, e quello dell’art. XI, che vieta le restrizioni quantitative e “ogni
altra misura di effetto equivalente”. Di conseguenza gli Stati sono tenuti ad
applicare le proprie normative tecniche in maniera da non causare
distorsioni al commercio internazionale. L’Accordo TBT è diviso in tre
parti, relative, rispettivamente, ai regolamenti tecnici e alle norme, alle
procedure di valutazione della conformità dei prodotti alle suddette
disposizioni e agli obblighi di informazione e assistenza. L’ambito di
applicazione è particolarmente vasto, dovendosi escludere soltanto le
normative riguardanti gli acquisti degli organismi governativi, le misure
sanitarie e fitosanitarie e le norme riguardanti la fornitura di servizi, in

fatto l’Accordo non fornisce alcuna reale disciplina del rapporto tra TRIMs e ambiente. In
sede negoziale era stato proposto di introdurre un collegamento tra lo stabilimento di
imprese estere sul territorio di un paese in via di sviluppo e il trasferimento di tecnologie
pulite, ma l’accordo è stato raggiunto su posizioni minimaliste che mostrano una
sostanziale indifferenza rispetto alle problematiche in esame. Ad ogni modo, la prima
questione appare maggiormente incisiva. Dal momento che è ben probabile che la crescita
economica dei paesi in via di sviluppo avvenga in misura maggiore per effetto dello
stabilimento di imprese multinazionali nel loro territorio, piuttosto che tramite
l’affermazione di industrie nazionali, la qualificazione tecnologica degli investimenti di
dette imprese risulta più importante del trasferimento delle tecnologie in loro possesso alle
imprese nazionali. “Sotto questo profilo, appare criticabile la mancanza di norme
internazionali che consentano quanto meno di indirizzare possibili opzioni di politica degli
investimenti sostenibile da parte dei Paesi in via di sviluppo, ed è grave dover rilevare che
il non aver previsto nell’ambito dell’Accordo TRIMs almeno un “diritto” dei Paesi in via di
sviluppo di imporre requisiti tecnologici minimi alle imprese straniere che intendono
stabilirsi sul loro territorio finisce per assumere toni più amari – e preoccupanti – di una
semplice occasione perduta.” Cfr. MUNARI, Il rapporto tra liberalizzazione del
commercio internazionale e tutela dell’ambiente con particolare riguardo agli aspetti
relativi alla proprietà intellettuale e agli investimenti, in SIDI, op. cit., p. 194 e ss.

124
quanto oggetto di accordi ad hoc, e si estende ai regolamenti tecnici, con
effetto vincolante, e alle norme tecniche, semplici parametri di riferimento
privi di efficacia obbligatoria.
L’art. 2 prescrive che i regolamenti non debbano violare gli obblighi
di non discriminazione di cui agli artt. I e III. Inoltre, il par. 2269 stabilisce
che essi non devono costituire indebiti ostacoli al commercio. A tal fine,
dovranno, in primis, perseguire un obiettivo legittimo di pubblico interesse
e, in secondo luogo, non dovranno essere più restrittivi di quanto necessario
al conseguimento di detto obiettivo, analogamente a quanto prescritto
dall’art. XX e da altre clausole di deroga e salvaguardia. Il par. 2 fornisce
inoltre un elenco esemplificativo di obiettivi considerarti legittimi, tra cui
figurano la tutela della salute o della sicurezza delle persone, la protezione
della salute o della vita del mondo animale o vegetale e dell’ambiente. Va
rilevato che l’ambito di applicazione dell’Accordo, a differenza dello
Standard Code270, si estende anche ai processi e ai metodi produttivi, ma
soltanto nella misura in cui questi vadano influire direttamente sulle
caratteristiche del prodotto271, venendosi quindi a escludere la possibile
269
“Members shall ensure that technical regulations are not prepared, adopted or applied
with a view to or with the effect of creating unnecessary obstacles to international trade.
For this purpose, technical regulations shall not be more trade-restrictive than necessary to
fulfil a legitimate objective, taking account of the risks non-fulfilment would create. Such
legitimate objectives are, inter alia: national security requirements; the prevention of
deceptive practices; protection of human health or safety, animal or plant life or health, or
the environment. In assessing such risks, relevant elements of consideration are, inter alia:
available scientific and technical information, related processing technology or intended
end-uses of products.”
270
Il caso più celebre, nonché l’unico a superare la fase delle consultazioni, riguarda la
disputa, intercorsa nel 1987 tra Comunità Europea e Stati Uniti, sull’utilizzo di ormoni
nell’allevamento dei bovini. La questione non giunse mai all’attenzione di un panel,
persistendo tra i due Stati un contrasto su questioni di carattere procedurale circa
l’approccio da seguire per l’esame del reclamo. Tale questione sottintendeva, di fatto, un
contrasto relativo all’applicabilità alla controversia della normativa giuridica del Codice,
tesi contestata dalla CEE in favore della clausola di eccezione dell’art. XX, richiamata
anche dal preambolo dello stesso Codice, che riconosce a ciascuna parte il diritto di
adottare tutte le misure necessarie alla tutela della vita e della salute delle persone.
Nonostante la controversia non sia mai stata risolta nell’ambito del GATT 1947, ha avuto
modo di evidenziare un’importante lacuna dello Standard Code. Cfr. LIGUSTRO, Le
controversie, cit., p. 308 e ss.
271
Si tratta della related processing technology di cui si deve tenere conto, tra l’altro, nella
valutazione del rischio, secondo la lettera del paragrafo. In tal senso, cfr. LAL DAS, op.
cit., p. 116: “What a “related” process and production method is, has not been specifically
defined, but, in practice, it is generally understood that the process or production method
will be considered “related” if it has an effect on the quality or characteristics of the
product.”

125
adozione di regolamenti che disciplinino processi produttivi suscettibili di
arrecare danni all’ambiente senza lasciare traccia nel prodotto finito272.
Un valido strumento per garantire il rispetto del requisito di necessità
e proporzionalità da parte di un regolamento tutelante un obiettivo legittimo
è, ai sensi del par. 4, l’armonizzazione degli standard tecnici a livello
internazionale273. Gli Stati sono tenuti ad uniformarsi a tali standard
(nonché, ex par. 6, a cooperare alla loro elaborazione) nel corso della
predisposizione dei propri regolamenti tecnici, tranne nei casi in cui
dovessero rivelarsi inefficaci e inadeguati al perseguimento dell’obiettivo
legittimo. Qualora ritenessero inadeguate le norme internazionali, o in
mancanza delle stesse, gli stati membri rimangono liberi di adottare
autonomamente i regolamenti che ritengono maggiormente efficaci. Nel
corso della loro elaborazione sono invitati a valutare i requisiti del prodotto
in relazione alle sue prestazioni, piuttosto che alla sua concezione o alle
caratteristiche descrittive, e soprattutto a tenere in considerazione il
principio di equivalenza e mutuo riconoscimento dei regolamenti tecnici
degli altri membri274.
272
La questione, strettamente connessa alla possibile portata extraterritoriale delle eccezioni
dell’art. XX, sarà oggetto di trattazione nel terzo capitolo.
273
Le principali istituzioni internazionali preposte all’elaborazione di standard tecnici sono
l’Organizzazione internazionale per la standardizzazione (International Organization for
Standardization, ISO) competente riguardo ai più svariati settori tecnici, con l’eccezione
della tecnologia elettrica e elettronica, di competenza della commissione elettrotecnica
internazionale (CEI). Al fine di garantire una completa informazione riguardo alle norme
previste dall’ISO, il Segretariato dell’OMC e l’ISO hanno istituito un sistema di
informazione comune attraverso la pubblicazione periodica dei dati raccolti da parte del
Centro di informazione ISO/CEI, che viene successivamente sottoposta all’esame del
Comitato per gli ostacoli tecnici agli scambi. In campo ambientale l’attività dell’ISO si è
concentrata in particolare sui criteri di eco-labelling (serie 14000), incontrando il parere
favorevole del CTE. Cfr. JOSHI, Are Eco-Labels Consistent with World Trade
Organization Agreements?, in JWT, 2004, p. 69 e ss. Di fatto, i criteri su cui dovrebbe
basarsi la trasparenza delle attività dell’ISO e la sua indipendenza dai principali settori
industriali sono stati oggetto di accese contestazioni da parte dei movimenti cosiddetti no-
global. Per un’analisi particolarmente critica, che si spinge fino a definire l’ISO come
“costituzionalmente controllata e gestita dalle industrie”, si veda, WALLACH, SFORZA,
WTO. Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale, Milano, 1999, p. 90
e ss.
274
Il principio, formulato in maniera assolutamente non tassativa, configura un regime di
libera circolazione delle merci di gran lunga meno efficace di quanto contemplato
dall’ordinamento comunitario, sia relativamente al mutuo riconoscimento delle
certificazioni operate dagli altri Stati membri, in seguito alla ben nota sentenza Cassis-de-
Dijon (consultabile sulla Raccolta della giurisprudenza della Corte di giustizia e del
Tribunale di primo grado delle Comunità europee, 1979, p. 649), sia riguardo
all’armonizzazione in positivo, attraverso l’introduzione dell’etichetta di garanzia comune

126
Riguardo all’adozione delle norme, le quali, seppur prive di carattere
vincolante, hanno in genere una larghissima diffusione, vanno tenuti in
considerazione gli stessi principi e criteri applicabili ai regolamenti275.
Come è già stato accennato, dall’Accordo TBT sono state
esplicitamente escluse le norme relative alle misure sanitarie e fitosanitarie,
in ragione della necessità di garantire una specifica tutela alle esigenze poste
dal commercio agricolo, come la salute dei consumatori o il rispetto
dell’ambiente naturale, senza che tali misure possano costituire strumenti
indirettamente protezionistici. In tal senso, l’Accordo sulle misure sanitarie
e fitosanitarie (o Accordo SPS, da Sanitary and Phitosanitary Measures), da
un lato, opera un’integrazione del disposto della lettera b) dell’art. XX, e,
dall’altro, estende al settore agricolo le regole in materia di ostacoli tecnici
agli scambi.
Sulla base delle disposizioni dell’Allegato A, emerge una definizione
di misura sanitaria o fitosanitarie estremamente rigorosa. Di fatto, vi
rientrano soltanto quelle misure immediatamente ricollegabili alla tutela
della salute umana, animale o vegetale, dovendosi invece escludere la loro
adozione per altri scopi, anche se successivamente riconducibili alla
medesima finalità, come nel caso di misure volte a preservare l’habitat
naturale di determinate specie. Assoluta libertà viene lasciata, invece,
riguardo alla forma e al contenuto dei provvedimenti in questione.
L’art. 2, ai parr. 2 e 3, prevede che gli Stati membri debbano
soddisfare quattro condizioni prima di adottare una misura SPS: andranno
applicate soltanto nella misura necessaria a tutelare la vita e la salute, non
dovranno costituire discriminazioni arbitrarie o ingiustificate né larvate
restrizioni al commercio e, soprattutto, dovranno essere basate su adeguate

“CE” certificante la conformità dei prodotti alle direttive comunitarie e applicabile


indifferentemente in qualunque Stato membro della Comunità.
275
L’Allegato 3 dell’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi predispone un Codice di
procedura per la corretta preparazione, adozione e applicazione degli standard normativi
(Code of Good Practice for the Preparation, Adoption and Application of Standards), cui i
diversi enti nazionali di normalizzazione sono chiamati a notificare la loro adesione. In data
1 marzo 2005 si contano 152 enti facenti capo a 111 Stati membri. L’elenco aggiornato e il
resoconto delle attività dell’ISO possono essere consultati sul sito ufficiale
dell’Organizzazione, www.iso.org (pagina base).

127
prove scientifiche276. L’obbligo di valutazione scientifica costituisce uno dei
capisaldi dell’Accordo, unitamente alle disposizioni dell’art. 3 in materia di
armonizzazione, ma la sua applicazione nella prassi è stata piuttosto
problematica e controversa. Infatti, la lettera degli articoli sembra
riconoscere la piena competenza degli Stati a determinare autonomamente il
livello di protezione che ritengono maggiormente adeguato, potendo anche
optare per un livello di rischio pari a zero, ma, nelle controversie che hanno
avuto ad oggetto misure SPS277, è emersa un’interpretazione particolarmente
restrittiva dell’obbligo di valutazione scientifica, nel senso di richiedere la
prova non dell’esistenza di un rischio, ma della sicura nocività delle
conseguenze legate all’importazione di un determinato prodotto. Una simile
impostazione ribalta completamente la ratio del principio precauzionale,
noto cardine del diritto ambientale che, in caso di dubbio, prescrive di dare
priorità alle esigenze di tutela della salute piuttosto che agli interessi legati
alla libera circolazione delle merci. Per ovviare a tale grave lacuna
normativa l’art. 5, par. 7278, accoglie il principio, seppure formulato in
termini piuttosto deboli. In tal senso, le misure SPS possono essere
comunque adottate in assenza di sufficienti prove scientifiche, ma soltanto
in via provvisoria e sulla base delle informazioni scientifiche disponibili.
Inoltre, lo Stato che intende adottarle ha l’obbligo di continuare la ricerca
per ottenere le prove scientifiche definitive della necessità delle misure in
questione, le quali dovranno essere sottoposte a un riesame entro un periodo
276
Nel caso Japan – Measures Affecting Agricultural Products (noto come caso Varietals)
il requisito delle “prove scientifiche sufficienti” è stato interpretato nel senso che possa
ritenersi sufficiente l’esistenza di una relazione logica e obiettiva tra le misure SPS e le
prove scientifiche. Inoltre non si richiede che la valutazione dei rischi sia stata fatta
necessariamente dallo Stato che adotta le misure, né che sia suffragata dalla maggioranza
della comunità scientifica, potendosi anche basare su opinioni di minoranza, fermo restando
il successivo controllo, in sede OMC, dell’effettiva applicazione di metodi e procedure
scientifiche. Cfr. il rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS76/AB/R, del 22
febbraio 1999, par. 84, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base)
277
Si tratta delle già citate controversie sui casi Varietals e Ormoni e del caso Australia –
Measures Affecting the Importation of Salmon.
278
“In cases where relevant scientific evidence is insufficient, a Member may provisionally
adopt sanitary or phytosanitary measures on the basis of available pertinent information,
including that from the relevant international organizations as well as from sanitary or
phytosanitary measures applied by other Members. In such circumstances, Members shall
seek to obtain the additional information necessary for a more objective assessment of risk
and review the sanitary or phytosanitary measure accordingly within a reasonable period of
time.”

128
di tempo ragionevole. Infine, in sede giudiziale è stato chiarito che i
requisiti menzionati devono essere considerati cumulativamente e che
l’onere di provare che siano stati rispettati incombe sullo Stato che intende
adottare la misura SPS, procedura solitamente piuttosto onerosa dal punto di
vista finanziario, soprattutto per i paesi in via di sviluppo. A ciò va aggiunto
che, a differenza di quanto previsto dall’art. XX, le misure SPS necessitano
di una giustificazione a prescindere da ogni eventuale violazione della
normativa OMC. Invece, nel caso in cui uno Stato adotti una misura SPS
sulla base degli standard formulati dalle organizzazioni internazionali
competenti279, l’art. 3 par. 2, prevede che debbano ritenersi necessarie e
compatibili con l’Accordo SPS, senza bisogno di verifica successiva.
Un ulteriore strumento per l’armonizzazione degli standard è
rappresentato dal principio di equivalenza o mutuo riconoscimento stabilito
dall’art. 4, in base al quale lo Stato esportatore dimostra “oggettivamente”
che le misure SPS poste in essere nel suo territorio raggiungono un livello di
protezione ritenuto appropriato dallo Stato importatore. Per facilitare tale
processo il Comitato SPS ha stabilito una serie di criteri per facilitare le
procedure di mutuo riconoscimento e per evitare che i membri applichino
distinzioni arbitrarie o ingiustificate nei livelli che ritengono appropriati in
situazioni diverse280, come disposto dall’art. 5, par. 5. Queste disposizioni
hanno l’effetto tendenziale di livellare gli standard verso il basso, soprattutto
279
Si tratta della Commissione del Codex Alimentarius, organo consultivo con sede a Roma
creato su iniziativa della FAO e dell’OMS e competente su questioni di sicurezza
alimentare, dell’Ufficio internazionale delle epizoozie (Office International des épizooties,
OIE) con sede a Parigi, che svolge le stesse funzioni relativamente alla salute degli animali
e alle zoonosi, cioè le malattie degli animali trasmissibili all’uomo, della Commissione ad
interim sulle misure fitosanitarie (Interim Commission for Phytosanitary Measures, ICPM)
della Convenzione internazionale per la difesa dei vegetali (International Protection Plants
Convention, IPPC), nonché ogni altra organizzazione internazionale con competenze in
questi settori individuata dal Comitato SPS dell’OMC. I resoconti delle attività delle
organizzazioni e relativi standard normativi approvati possono essere consultati sui siti
ufficiali delle organizzazioni, rispettivamente, www.codexalimentarius.net, www.oie.int,
www.ippc.int, (pagine base). Sull’indipendenza e sull’obiettività delle suddette
organizzazioni sono state avanzate perplessità notevoli, in maniera particolare riguardo al
Codex Alimentarius, con riguardo alle influenze che i vari settori industriali interessati a
un’armonizzazione verso il basso degli standard di tutela esercitano sul loro operato. Cfr.
WALLACH, SFORZA, op. cit., p. 84 e ss.
280
I criteri in questione sono contenuti, rispettivamente, nei documenti WTO doc.
G/SPS/19/Rev. 2 del 23 luglio del 2004 (che rivede e completa un’analoga decisone del
2001, WTO doc. n. G/SPS/19) e WTO doc. G/SPS/15 del 18 luglio 2000, consultabili sul
sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

129
qualora debba ritenersi equivalente la normativa di molti paesi in via di
sviluppo, i quali, frequentemente pressati dalle politiche di aggiustamento
strutturale imposte dal FMI, tendono ad abbassare i livelli di sicurezza per
massimizzare i proventi delle esportazioni281.
Alla luce di quanto esposto sembra esserci una notevole discrepanza
tra l’obiettivo teorico dell’Accordo, ossia evitare l’adozione di misure SPS
che discriminino arbitrariamente o ingiustificatamente o che costituiscano
una dissimulata restrizione commerciale, e quello pratico, che sembra
tradursi in una cospicua perdita della sovranità statale a beneficio esclusivo
della libera circolazione delle merci, nonostante sia unanimemente accertato
che la globalizzazione dei mercati rappresenti un importante fattore di
diffusione di malattie umane, animali e vegetali282. Inoltre, la seria
limitazione delle prerogative statali in materia di sicurezza alimentare viene
considerevolmente amplificata dagli obblighi, posti dall’Accordo TRIPs,
inerenti alla tutela dei brevetti anche sulle varietà vegetali283.
Conseguentemente non stupisce che l’Accordo sia stato oggetto di notevoli
critiche all’interno dei più svariati settori della società civile284.

3.4 (segue) L’Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative e


l’Accordo sull’agricoltura

L’Accordo sulle sovvenzioni e le misure compensative (detto anche


Accordo SCM, da Agreement on Subsides and Countervailing Measures)
ridisegna la disciplina delle sovvenzioni originariamente prevista dagli artt.
XVI e VI del GATT e dal successivo Codice del Tokyo Round, colmandone
le principali lacune. Innanzitutto chiarisce il contenuto della nozione di
sovvenzione, evidenziando i due elementi costitutivi fondamentali:
l’esistenza di un aiuto proveniente dalla finanza pubblica e il relativo
281
Cfr. WALLACH, SFORZA, op. cit., passim.
282
Si veda, in tal senso, il rapporto dell’OMS, Foodborne Diseases, Emerging, del 1996,
aggiornato nel gennaio del 2002, in Factsheet n. 124, consultabile sul sito ufficiale
dell’Organizzazione, www.who.int (pagina base).
283
Cfr. infra
284
Per una lettura particolarmente critica delle vicende relative all’attuazione dell’Accordo
si veda WALLACH, SFORZA, op. cit., p. 62 e ss.

130
conferimento di un vantaggio competitivo alle imprese che lo ricevono.
L’Accordo delinea uno schema tripartito che differenzia il regime giuridico
cui devono sottostare le sovvenzioni a seconda sia dei possibili effetti sugli
scambi che degli obiettivi che si propongono di tutelare. Viene così a
configurarsi un regime giuridico che, durante i negoziati dell’Uruguay
Round, è stato efficacemente esemplificato attraverso la metafora del
“sistema-semaforo”. Le sovvenzioni c.d. “rosse”, rientranti nella Parte II,
risultano del tutto incompatibili con l’Accordo e sono quindi soggette ad
azione legale. Ai sensi dell’art. 3 soltanto due tipi di sovvenzioni risultano
tassativamente vietate, le sovvenzioni condizionate ai risultati
dell’esportazione285 e quelle condizionate all’uso preferenziale di merci
nazionali. Le sovvenzioni “gialle”, contenute nella Parte III, sono passibili
di azione legale soltanto nel caso in cui arrechino un pregiudizio agli
interessi di altri Stati286. A tale categoria appartengono tutte le sovvenzioni
specifiche287 che non rientrano delle ipotesi contemplate dalla Parte II o
dalla Parte IV. In quest’ultima rientrano le sovvenzioni senz’altro lecite e
quindi non passibili di azione legale. Si tratta, oltre che di tutte le
sovvenzioni prive di carattere specifico, di quelle mirate a tutelare obiettivi
di particolare rilevanza sociale. L’art. 8 identifica tre possibilità: l’assistenza
alla ricerca, l’aiuto alle regioni svantaggiate e l’assistenza all’adeguamento
delle strutture produttive a nuovi obblighi in materia ambientale. Per poter
essere considerate lecite, tali sovvenzioni devono comunque rispondere a
determinati requisiti. Nel caso dell’adeguamento alla normativa ambientale
è richiesto, in particolare, che gli impianti da sostituire esistano da più di

285
Trattandosi di una nozione particolarmente vasta e complessa, l’Accordo riproduce,
all’Allegato I, l’”Elenco illustrativo delle sovvenzioni all’esportazione” già annesso al
Codice del 1979, che facilita la definizione del tipo di sovvenzione pur avendo valore
esclusivamente esemplificativo.
286
Tali pratiche sono illustrate all’art. 6. In base alla ripartizione dell’onere della prova
dell’eventuale grave pregiudizio, è possibile suddividere ulteriormente quest’ultima
categoria in sovvenzioni “giallo chiaro” (parr. 2 e 3) e “giallo scuro” (par. 1), a seconda che
l’onere probatorio ricada sullo Stato leso o sullo Stato sovvenzionante.
287
Ai sensi dell’art. 2 una sovvenzione è ritenuta specifica qualora, de iure o de facto, non
possa essere automaticamente attribuita a ogni impresa o industria posta sul territorio dello
Stato concedente. Per una classificazione delle varie tipologie di sovvenzioni, cfr.
COMBA, Il neoliberismo, op. cit. supra, p. 211.

131
due anni, che si tratti di una misura una tantum e limitata al 20%288 del costo
dell’adattamento, che sia direttamente collegata alla riduzione e non a un
eventuale abbassamento dei costi di produzione, che possa essere concessa
indifferentemente ad ogni impresa che possa adottare i nuovi sistemi
produttivi e non copra i costi di sostituzione e di gestione dell’investimento
assistito. Il controllo del rispetto di tali requisiti compete al Comitato sulle
sovvenzioni e sulle misure compensative, cui ogni Stato che intenda
adottare programmi di sussidi conformi ai criteri dell’art. 8 è tenuto a
notificare l’adozione.
Per quanto riguarda i mezzi di ricorso, l’Accordo conferma
l’impostazione del Codice del Tokyo Round, il quale, accanto allo
strumento unilaterale dei dazi compensativi (la c.d. “track I”, disciplinato
dalla Parte V dell’Accordo) introduce la possibilità di sottoporre le
sovvenzioni alla procedura di consultazione, conciliazione e soluzione
multilaterale delle controversie (“track II”). Del resto, risulta evidente come
il campo di applicazione dei dazi ex art. 6 sia particolarmente limitato,
trattandosi di misure adottabili solo dallo Stato importatore di un bene reso
maggiormente competitivo da un sussidio, mentre la procedura contenziosa
consente di tutelare gli interessi anche di eventuali Stati terzi che esportino
quel determinato bene sia nel mercato dello Stato sovvenzionante che in
quello di altri Stati dove possa essere esportato il bene oggetto della
sovvenzione. Inoltre, il meccanismo contenzioso è azionabile anche dagli
stessi Stati sovvenzionanti che abbiano motivo di ritenere di essere stati
ingiustificatamente o sproporzionatamente colpiti da dazi compensativi o da
altri tipi di contromisure.
Il primo procedimento può essere considerato come una deroga
esplicita al divieto di contromisure unilaterali e, infatti, nella prassi viene
utilizzato con estrema frequenza289. Tuttavia, tale potere viene
288
Sia per i sussidi alla ricerca che per quelli alle regioni svantaggiate sono previsti requisiti
meno stringenti e viene consentito di coprire una percentuale maggiore dei costi di
adeguamento, in ragione del fatto che, mentre i primi due obiettivi possono essere raggiunti
con difficoltà semplicemente grazie all’iniziativa dei privati, i costi connessi a una
maggiore efficienza ambientale dovrebbero essere sostenuti dall’impresa stessa e compresi
nel prezzo definitivo del prodotto. Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 245.
289
Nella prassi s verifica spesso anche il c.d. fenomeno del counter-subsidy, cioè la
concessione di sovvenzioni di analoga entità alle imprese nazionali. Tale “scorciatoia

132
controbilanciato dall’obbligo di attendere l’esito di una procedura di
inchiesta preliminare, finalizzata ad accertare l’esistenza dei tre elementi
oggettivi necessari a legittimare la riscossione dei dazi, cioè la sussistenza di
una sovvenzione, di un pregiudizio arrecato all’industria nazionale e,
soprattutto, l’esistenza di un rapporto di causalità tra i due. In base all’art.
11, l’inchiesta può essere aperta su istanza dei soggetti privati nazionali
interessati o delle autorità nazionali competenti, alle quali preventivamente
spetta il compito di constatare la non manifesta insussistenza dei requisiti
oggettivi e della legittimazione ad agire dei ricorrenti. L’inchiesta può avere
tre differenti esiti: il rigetto della domanda, la sospensione o la chiusura del
procedimento in seguito ad un accordo tra le parti o l’accoglimento della
domanda e l’imposizione dei dazi compensativi, i quali dovranno essere
proporzionali, non discriminatori e non eccedere la durata necessaria a
compensare il danno, che non deve in ogni caso superare i cinque anni.
La procedura contenziosa può essere invocata in parallelo e svolgersi
contemporaneamente alle procedure della Parte V, tuttavia, per quanto
concerne gli effetti, è ammessa soltanto una forma di compensazione.
Uno Stato membro che abbia ragione di ritenere che un altro Stato
abbia accordato una sovvenzione vietata e che non sia nella posizione di
potere adottare misure compensative o comunque non ne abbia intenzione,
può presentare un reclamo con infrazione al DSB. Se viene accertata
l’illiceità della sovvenzione, lo Stato che la eroga ha l’obbligo di revocarla
senza indugio a prescindere dal verificarsi o meno di un pregiudizio per lo
Stato ricorrente. Anche le sovvenzioni appartenenti all’”area gialla” possono
essere oggetto di entrambi i mezzi di tutela previsti dall’Accordo, ma nel
caso di ricorso al DSB deve essere provato sia il carattere specifico della
sovvenzione che l’esistenza di effetti pregiudizievoli. In caso di esito
positivo del ricorso lo Stato sovvenzionante può limitarsi a rimuovere tali
effetti modificando la sovvenzione senza necessità di revocarla. Nei
confronti delle sovvenzioni ex art. 8 non può essere utilizzata nessuna delle
extraistituzionale” è stata ritenuta inammissibile dal rapporto del panel, WTO doc.
WT/DS46/R, del 14 aprile 1999, nel caso Brazil – Export Financing Programme for
Aircraft, (consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base) quanto in evidente
contrasto sia con la disciplina delle sovvenzioni che con l’art. 23 del DSU.

133
due procedure, salvo il caso in cui non siano state regolarmente notificate al
Comitato SCM. Tuttavia, se successivamente risultassero conformi ai
requisiti che il Comitato è tenuto a controllare in via preventiva, i
procedimenti eventualmente instaurati dovranno dichiararsi estinti290.
Naturalmente, l’ambito di applicazione dell’Accordo SCM è
circoscritto ai prodotti industriali, mentre il regime delle sovvenzioni
agricole sottostà alla disciplina dell’Accordo ad hoc concluso durante
l’Uruguay Round.
L’Accordo sull’agricoltura risponde all’esigenza di integrare nel
sistema generale dello scambio di merci i prodotti agricoli che, in virtù delle
prescrizioni degli artt. XI, par. 2 c), e dell’art. XVI, par. 3, venivano sottratti
sia al divieto di restrizioni quantitative, sia al divieto di sovvenzioni
all’esportazione, creando un regime ad hoc con caratteristiche marcatamente
protezionistiche.
Le principali regole dell’Accordo si sostanziano nelle norme
sull’accesso al mercato, nelle norme sul sostegno interno e nelle norme sulle
sovvenzioni all’esportazione.
Le norme sull’accesso al mercato constano di un generale obbligo di
eliminazione di ogni genere di barriera non tariffaria, in osservanza del
principio della tariffazione, unitamente all’impegno di riduzione progressiva
delle tariffe. Per consentire un adattamento meno traumatico in un settore
notoriamente molto sensibile, all’art. 5 è prevista una clausola di
salvaguardia speciale che, senza la necessità della minaccia di un grave
pregiudizio che viene richiesta per invocare la clausola generale ex art. XIX,
consente di applicare un dazio addizionale provvisorio qualora venga

290
L’art. 9 (il quale, ai sensi dell’art. 31 è da considerarsi decaduto a partire dal 1° gennaio
2000) prevedeva che in certi casi fosse possibile, nonostante l’avvenuto controllo del
Comitato, che le sovvenzioni non passibili di azione legale potessero comunque dar luogo a
procedimenti nell’ambito dell’Accordo. A tal fine occorrevano due elementi: l’esistenza di
seri effetti sfavorevoli per un’industria nazionale e che tali danni fossero difficilmente
risarcibili. La procedura prevista era in parte simile a quella per le sovvenzioni passibili di
azione legale e poteva condurre all’adozione di contromisure finalizzate esclusivamente a
neutralizzare l’effetto del danno, e rientranti pertanto nell’ipotesi di responsabilità per fatto
lecito, per altro non pacificamente ammessa in dottrina. Cfr. COMBA, Il neoliberismo, cit.,
p. 218 e ss.

134
importata una quantità di prodotti superiore ad una “quantità limite” oppure
i prodotti vengano importati a un prezzo inferiore a un “prezzo limite”.
L’area del sostegno interno riguarda ogni forma di aiuto pubblico, a
eccezione delle sovvenzioni all’esportazione, e si distinguono in base
all’effetto che producono sugli scambi commerciali. Le misure che incidono
sul commercio sottostanno a un obbligo di riduzione del 20% entro un
“periodo di attuazione” di sei anni e consistono solitamente in sovvenzioni
alla produzione e misure di sostegno dei prezzi. L’entità della riduzione
viene calcolata a livello aggregato, in base a un indicatore noto come AMS
(Aggregate Measurement of Support, misura di sostegno aggregata),
Viceversa, le misure prive di effetti rilevanti sul commercio non rientrano
negli impegni di riduzione e risultano completamente escluse dall’AMS
totale. L’Allegato 2, intitolato “Sostegno interno: base per l’esonero dagli
impegni di riduzione”, specifica il contenuto delle misure suddette
attraverso una lista, comunemente definita Green Box, che fa riferimento a
dodici tipi di misure. Al punto 12291 figurano le sovvenzioni finalizzate a
sostenere i programmi di tutela ambientale, la cui attuazione comporta
frequentemente oneri consistenti per i produttori agricoli. La norma risulta
perfettamente coerente con il riconoscimento della multifunzionalità delle
attività agricole enunciata dal preambolo dell’Accordo, che implica una
necessaria attenzione agli aspetti non commerciali connessi alla
liberalizzazione di tali attività, quali la sicurezza alimentare e la protezione
ambientale.
Gli impegni di riduzione delle sovvenzioni all’esportazione hanno,
naturalmente, una portata molto più ampia che nel caso di sovvenzioni
interne, per quanto sottostiano ad un regime più blando rispetto al divieto
assoluto di sovvenzioni all’esportazione di prodotti industriali. Inoltre, l’art
13 prevede una “clausola di cautela” per consentire di superare le difficoltà

291
“Payments under environmental programmes:
(a)Eligibility for such payments shall be determined as part of a clearly-defined government
environmental or conservation programme and be dependent on the fulfilment of specific
conditions under the government programme, including conditions related to production
methods or inputs.
(b)The amount of payment shall be limited to the extra costs or loss of income involved in
complying with the government programme.”

135
derivanti alla liberalizzazione del settore attraverso l’esonero totale o
parziale delle stesse dall’imposizione di dazi compensativi e dalla possibilità
di ricorso in sede contenziosa per un periodo di nove anni.

3.5. Il sistema degli scambi di servizi

La regolamentazione internazionale del commercio dei servizi292 ha


dovuto attendere i negoziati dell’Uruguay Round a causa delle divergenze
tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo riguardo agli effetti che la
liberalizzazione del settore avrebbe comportato nelle rispettive economie.
Da un lato, la particolare caratterizzazione di tale tipo di commercio implica
un’alta probabilità di possibili ricadute sulle normative nazionali in materia
di controllo dell’immigrazione e di sicurezza, dall’altro, i paesi in via di
industrializzazione non potevano non manifestare notevoli timori riguardo
alla competitività dei servizi offerti dai paesi tecnologicamente avanzati293.
Di fatto, ogni forma di resistenza è dovuta venire meno di fronte alla
crescita imponente del terziario, sia nelle economie nazionali che negli
scambi internazionali, ma la libera circolazione dei servizi resta comunque
soggetta a numerosi ostacoli dovuti alle normative nazionali, in special
modo quelle che impongono standard minimi, il riconoscimento dei diplomi

292
Sull’Accordo generale sul commercio di servizi si veda, BERGAMINI, Le eccezioni
generali e di sicurezza dell’Accordo GATS alla liberalizzazione dei servizi, in ROSSI, op.
cit., p. 77 e ss.; COMBA, op. cit., p. 242 e ss; DORDI, Gli accordi sul commercio dei
servizi, in VENTURINI, op. cit., p. 61 e ss.; FABBIS-BEN NAOUM, Questioni empiriche
sul commercio internazionale di servizi, in SACERDOTI, VENTURINI, La
liberalizzazione multilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia, p. 103 e ss; LAL DAS,
op. cit., p. 325 e ss.; MENGOZZI, I servizi nell’Organizzazione Mondiale del Commercio,
in SIDI, op. cit., p. 107 e ss.; SACERDOTI, L’Accordo Generale sugli scambi di servizi
(GATS): dal quadro OMC all’attuazione interna, in SACERDOTI, VENTURINI, op. cit.,
p. 1 e ss. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 361 e ss.; VENTURINI, Recenti sviluppi in
tema di liberalizzazione degli scambi di servizi, in SIDI, op. cit., p. 133 e ss.
293
Alcune perplessità sono state avanzate anche dal punto di vista scientifico, relativamente
alla possibilità che l’estensione al settore dei servizi del trattamento della nazione più
favorita possa effettivamente condurre all’aumento generalizzato del livello di benessere,
come si verifica nel caso del commercio delle merci. Per una visione critica
dell’opportunità di estendere al processo di liberalizzazione dei servizi le medesime
clausole previste per il commercio dei beni, cfr. FABBRIS BEN-NAOUM, op. cit., p. 103 e
ss.

136
o l’iscrizione agli ordini professionali294 e richiede modifiche dei sistemi
giuridici degli Stati membri di gran lunga superiori a quelle rese necessarie
dalla libera circolazione delle merci.
Il GATS è caratterizzato da una struttura piuttosto complessa e risulta
formato da diversi testi, per quanto essi costituiscano un quadro unitario e
indivisibile. Accanto all’Accordo principale, che determina il campo di
applicazione e le norme fondamentali, il GATS annovera anche una serie di
allegati dedicati a settori specifici, come le telecomunicazioni, i servizi
finanziari, i trasporti e i movimenti transfrontalieri di persone295. In base
all’art. I, ricadono sotto la disciplina del GATS tutti i provvedimenti adottati
dai membri che incidono sullo scambio dei servizi. Si tratta, evidentemente,
di una definizione molto ampia, che contempla, come unica eccezione, i
servizi forniti nell’esercizio dei poteri governativi, cioè non prestati su base
commerciale, né in regime di concorrenza. L’assenza di un’esplicita
definizione del concetto di sevizio viene considerata un elemento di forza
dell’Accordo, potendosi prendere in considerazione prestazioni in continua
evoluzione. Il par. 2 si limita a definire lo scambio di servizi cui applicare i
GATS come ogni fornitura che avvenga tramite quattro modalità
esplicitamente menzionate296.
Il GATS contempla due differenti tipologie di obblighi: gli obblighi
generali e gli obblighi specifici. I primi, contenuti nella Parte II, hanno una
natura analoga agli obblighi previsti dal GATT e riguardano tutti gli Stati
che hanno sottoscritto l’Accordo. Si sostanziano, in primo luogo, nel divieto
di discriminazione esterna, fatta salva la possibilità di elencare in
294
Cfr. DORDI, op. cit., p. 65 e ss.
295
Parte della dottrina, mutuando un’espressione tipica del diritto comunitario, ha ravvisato
nel GATS la tipica struttura fondata su tre “pilastri”. Il primo è costituito dagli obblighi
generali della Parte II dell’Accordo, il secondo dalle disposizioni speciali contenute negli
allegati dedicati a specifici settori e il terzo dal sistema delle liste, contenenti sia gli
impegni specifici che le deroghe agli impegni generali. Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit.,
p. 364.
296
Si tratta dei servizi forniti da uno Stato membro a un altro (la c.d. fornitura
transfrontaliera, l’ipotesi maggiormente assimilabile al commercio delle merci), nel
territorio di uno Stato membro a un consumatore di un altro Stato (la modalità del consumo
all’estero), da individui di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato (che si realizza
tramite lo spostamento di persone fisiche nel paese di residenza del fruitore), attraverso la
presenza di un’entità commerciale di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato (la c.
d. presenza commerciale, analoga alla precedente, ma caratterizzata da la presenza stabile
dell’erogatore del servizio).

137
un’apposita lista i servizi esclusi da tale trattamento rispettando i requisiti
previsti dall’Allegato sulle eccezioni all’art. II, par. 2, e in secondo luogo,
nell’obbligo di garantire la trasparenza tramite la pubblicazione e la
comunicazione al Consiglio GATS di tutte le misure nazionali suscettibili di
influire in materia di scambio di servizi. Oltre a quanto disposto
dall’Allegato apposito, altre disposizioni consentono di derogare al
trattamento della nazione più favorita: gli artt. XIV e XIV-bis, che
prevedono le eccezioni di portata generale297 e relative alla sicurezza, l’art.
V che disciplina le condizioni necessarie a creare aree di integrazione
regionale, l’art. IV sul il trattamento dei paesi in via di sviluppo298, l’art. X
sulle misure di salvaguardia, l’art. XII sulle restrizioni per motivi di bilancia
dei pagamenti. Rientrano tra gli obblighi di portata generale anche altre
disposizioni che appartengono soltanto al sistema degli scambi di servizi,
come gli obblighi ex artt. VI, VII, VIII, IX e XI. L’art. VI comporta
l’obbligo sia di astenersi dal disciplinare la fornitura di servizi in modo
discrezionale o discriminatorio e dal porre in essere ostacoli non
necessari299, che di istituire procedure e tribunali a cui ricorrere contro gli
atti delle autorità nazionali che violino detti requisiti. Gli artt. VII e XI
fanno riferimento a due obblighi di carattere strumentale: il mutuo
riconoscimento dei titoli professionali e il divieto di restrizioni dei
movimenti internazionali di capitali. Gli artt. VIII e IX sono volti a garantire
standard minimi di concorrenza sui mercati nazionali dei servizi

297
Cfr. infra.
298
Il trattamento preferenziale per i paesi in via di sviluppo può essere classificato in due
gruppi di norme, quelle volte a semplificare le condizioni per l’applicabilità delle deroghe e
quelle, come l’articolo in questione, che si limitano a imporre l’onere di istituire ulteriori
negoziati per elaborare norme sostanziali che favoriscano lo sviluppo. Parte della dottrina
ha conseguentemente sottolineato come, considerato il conflitto tra Stati industrializzati e
non in merito alle modalità di liberalizzazione, tale disposizione tenda a configurare nei
fatti una “falsa deroga”. Cfr. DORDI, op. cit. supra, p. 82 e ss.
299
Al Consiglio GATS spetta l’elaborazione di linee guida per fare in modo che le
normative statali siano fondate su criteri obiettivi e trasparenti e che non siano più rigorose
di quanto necessario ad assicurare la qualità del servizio. Al fine di favorire
l’armonizzazione delle discipline nazionali, il Consiglio ha istituito, con la decisione WTO
doc. S/L/70 del 28 aprile 1999 (consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base),
lo Working Party on Domestic Regulation, in sostituzione dello Working Party on
Professional Services, operante sin dalla nascita dell’Organizzazione.

138
relativamente sia ai regimi di monopolio, sia a qualsivoglia altra pratica
anticoncorrenziale300.
Gli obblighi specifici hanno, invece, una portata circoscritta ai soli
Stati membri che abbiano manifestato la volontà di vincolarvisi, includendo
nelle proprie liste le categorie i servizi che intendano liberalizzare
ulteriormente attraverso l’imposizione degli obblighi della Parte III
dell’Accordo. Si tratta delle disposizioni relative all’accesso al mercato (art.
XVI) e al trattamento nazionale (art. XVII). Risulta evidente la centralità
assunta dal sistema delle liste in ambito GATS. Solo facendovi riferimento è
possibile comprendere l’effettivo grado di liberalizzazione che ogni singolo
paese ha inteso accordare a un certo servizio, sulla base delle quattro
differenti modalità attraverso le quali può essere fornito.
Il trattamento nazionale comporta l’obbligo di accordare ai prestatori
stranieri un trattamento non meno favorevole di quello concesso agli
operatori nazionali. In tal senso, non rileva che il trattamento possa essere
formalmente diverso, ciò che conta è che non vi sia una forma di
discriminazione che vada ad alterare le condizioni di concorrenza.
L’obbligo di garantire l’accesso al mercato, ossia il divieto di opporre
ostacoli ingiustificati alla fornitura di servizi, costituisce un perno
fondamentale del sistema GATS, garantendo, oltre alla semplice non
discriminazione, l’effettiva apertura dei mercati nazionali agli operatori
stranieri, per quanto, ovviamente, sia sempre derogabile grazie al sistema
delle liste. Al par. 2 è stato inserito un elenco tassativo delle misure da
considerarsi in contrasto con la garanzia di accesso al mercato,
prevalentemente riguardanti forme diverse di restrizioni quantitative301.
300
Si è parlato, a riguardo, di un’ “embrionale disciplina ultraregionale della concorrenza”,
in quanto il quadro illustrato, seppur largamente ampliabile, configura un primo tentativo di
fissare standard minimi di concorrenza applicabili a tutti i mercati nazionali dei servizi. Cfr.
MENGOZZI, op. cit., p. 121 e ss.
301
Le lettere a), b), c), d) e f) vietano misure volte a limitare, rispettivamente, il numero dei
prestatori, il valore complessivo delle transazioni, il numero massimo di imprese, il numero
massimo delle persone impiegate e la possibilità di investimenti stranieri in società di
servizi. La lettera e), invece, rappresenta un elemento di novità che va ben oltre il semplice
divieto di discriminazione interna, vietando l’adozione di misure che impongano una forma
specifica di personalità giuridica o di organizzazione dell’impresa. Da ultimo va
considerato anche un obbligo sussidiario, derivante da una nota integrativa dell’articolo,
che impone ai membri che abbiano assunto impegni riguardo all’accesso al mercato, di
consentire i trasferimenti di capitale che costituiscano parte essenziale del servizio (da non

139
Le particolari circostanze previste dall’art. XIV consentono agli Stati
membri di adottare misure che contravvengono agli obblighi assunti in sede
GATS. Si tratta dell’ipotesi di misure necessarie a proteggere la pubblica
morale e l’ordine pubblico (invocabile soltanto nei casi di minaccia concreta
e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della società),
la salute e la vita di persone, animali o piante e di misure necessarie ad
assicurare l’osservanza di leggi e regolamenti relativi alla prevenzione delle
frodi, alla sicurezza e alla tutela della privacy. Inoltre, è possibile adottare
misure in deroga al principio del trattamento nazionale al fine di garantire
l’equa imposizione o l’efficace riscossione di imposte e misure in deroga
alla clausola della nazione più favorita se risultano da accordi contro la
doppia imposizione fiscale302.
Il Consiglio GATS ha stabilito alcuni criteri da tenere presenti per
adottare misure ai sensi dell’art. XIV, per quanto, nella fattispecie, si
riferisse a provvedimenti miranti a prevenire le frodi e a tutelare la morale
pubblica e la privacy. Tali provvedimenti dovranno, in primo luogo
sottostare al c.d. “test di necessità”303, e non dovranno costituire
discriminazioni arbitrarie o ingiustificate né restrizioni commerciali
dissimulate. Inoltre, trattandosi di una disposizione relativa a delle
confondersi con l’obbligo di liberalizzare i movimenti di capitale costituenti il pagamento
di un servizio reso, già oggetto di un obbligo generale ai sensi dell’art. XI).
302
Va notato che, a differenza di quanto disposto dall’art. XIV-bis sulle eccezioni di
sicurezza, l’art. XIV non prevede un obbligo di notifica a carico dello Stato che intenda
porre in essere misure in contrasto con la normativa GATS. Parte della dottrina ha
suggerito che un siffatto obbligo potesse essere desunto dal testo dell’Accordo, ma sulla
questione, in mancanza di indicazioni esplicite, non vi è unità di vedute. Cfr. BERGAMINI,
op. cit., p. 80 e il WTO doc. n. S/L/5 adottato da Consiglio GATS in data 4 aprile 1995
(consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org pagina base), per definire le linee guida da
seguire in caso di necessità notifiche, in cui viene omesso ogni riferimento all’art. XIV.
303
La necessità costituisce la componente più importante del principio di proporzionalità,
assieme all’idoneità e all’adeguatezza. Il giudizio sulla liceità di un provvedimento
restrittivo prende in esame i primi due aspetti, lasciando la valutazione dell’adeguatezza tra
le prerogative dei singoli membri. Inoltre i testi giuridici si limitano ad enunciare il
requisito della necessità, dal momento che l’idoneità costituisce la logica componente della
necessità, non potendosi ritenere necessaria una misure inidonea a conseguire un risultato.
Di conseguenza, il giudizio sulla necessità risulta fondamentale ai fini di stabilire la liceità
di una misura, e può essere scomposto in tre fasi: in primo luogo, vanno individuate una o
più misure alternative significativamente meno restrittive, in seguito, si verifica l’efficacia
di dette misure in relazione al fine da conseguire e, infine, qualora superino entrambi i test,
va considerato se possano essere ragionevolmente adottate dallo Stato interessato
valutandone l’adeguatezza e i costi che comporta. Cfr. GRADONI La protezione
internazionale del consumatore nel diritto internazionale del commercio, in ROSSI, op.
cit., p. 143 e ss.

140
eccezioni, il suo contenuto dovrà essere interpretato restrittivamente e il suo
scopo non potrà andare al di là degli obiettivi esplicitamente elencati. Va
notato, che non tutte le delegazioni presenti si sono trovate concordi
sull’opportunità di enunciare criteri così precisi in settori delicati e in
continua evoluzione che potrebbero essere valutati più appropriatamente in
sede contenziosa304. Riguardo a quest’ultima osservazione va considerato
che la giurisprudenza in materia risulta pressoché assente, a differenza
dell’art. XX del GATT. Né può ritenersi ammissibile una completa
estensione dei principi relativi alle eccezioni generali del GATT, anche
perché non vi è una completa corrispondenza tra il contenuto dei due
articoli, mancando, ad esempio, ogni riferimento alla tutela delle risorse
naturali esauribili305, carenza che potrebbe comportare l’illiceità delle misure
tutelanti qualunque tipo di risorsa non vivente. In merito, il Consiglio GATS
ha richiesto al CTE di esaminare il rapporto tra liberalizzazione del
commercio dei servizi e la protezione ambientale, con riferimento
all’obiettivo dello sviluppo sostenibile306. Il CTE, attraverso un’analisi dei
negoziati che hanno portato all’attuale formulazione dell’art. XIV, ha voluto
dimostrare come certi concetti inseriti nella prima bozza dell’articolo, cioè
lo sviluppo sostenibile, l’ambiente e la protezione delle risorse non
rinnovabili, siano stati successivamente esclusi poiché ritenuti superflui o
non necessari307. In generale, il CTE ritiene che l’obiettivo dello sviluppo
304
Cfr. l’Interim Report, WTO doc. S/C/8, del 22 marzo 1999 (consultabile sul sito
dell’OMC, www.wto.org pagina base), p. 9-10: “Members noted that Article XIV of the
GATS (General Exceptions) applied to the protection of privacy and public morals and the
prevention of fraud, and that measures taken by Members in fulfilment of such objectives
should be subject to a test of necessity and should not constitute a means of arbitrary or
unjustifiable discrimination nor a disguised restriction on trade in services. It was stressed
that, as Article XIV constituted an exception provision, it had to be interpreted narrowly,
and its scope could not be expanded to cover other regulatory objectives than those listed
in the same Article. Doubts were expressed about the appropriateness of developing
criteria in the WTO for the policy objectives identified in Article XIV, such as the
protection of privacy and public morals and the prevention of fraud. One delegation
suggested that there was no need for the Council to undertake further work on the
interpretation of the principles of Article XIV, such as the necessity test, because, as in the
case of Article XX of the GATT, these issues could only be settled in the context of dispute
settlement.” (corsivo aggiunto)
305
Cfr. BERGAMINI, op. cit., p. 82 e ss.
306
Cfr. Decision on Trade in Services and the Environment, WTO doc. S/L/4. del 1°marzo
1995, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base)
307
Cfr. lo studio del CTE Environment and Services WT doc. WT/CTE/W/9, ibidem, parr.
8, 23.

141
sostenibile debba essere raggiunto tramite un’ulteriore liberalizzazione dei
servizi ambientali al fine di abbassarne i costi e tramite una rinegoziazione
degli impegni finalizzata a garantire l’accesso ai servizi che abbiano un
impatto positivo sull’ambiente308, piuttosto che tramite l’utilizzo delle
eccezioni ex art. XIV. I tempi richiesti da simili interventi possono indurre a
ritenere eccessive le considerazioni del CTE, dal momento che, il
mantenimento degli impegni attuali, derogabili avvalendosi delle eccezioni
interpretate con maggiore flessibilità, risulterebbe molto più immediato ed
efficace309.

3.6. Gli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale

Le rinnovate esigenze dell’economia internazionale, che vedono nella


ricerca, nelle idee e nelle innovazioni tecnologiche delle componenti sempre
più importanti del valore aggiunto dei beni internazionalmente commerciati,
hanno imposto una revisione della precedente disciplina della materia,
lacunosa sotto molti aspetti e facente capo alla Convenzione di Berna del
1886 per la protezione delle opere letterarie e artistiche, alla Convenzione di
Parigi del 1883 per la protezione della proprietà industriale (entrambe
successivamente emendate, rispettivamente, nel 1971 e nel 1967), alla
Convenzione di Roma del 1961 per la protezione di artisti, interpreti e
esecutori, dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione
e al Trattato di Washington del 1989 in materia di topografie di
semiconduttori310. Ciò ha condotto, dopo otto anni di intense trattative,
all’adozione dell’Accordo sugli aspetti relativi al commercio dei diritti di

308
Cfr. i rapporti de CTE, WTO doc. WT/CTE/M/19, del 27 ottobre 1998 e WTO doc.
WT/CTE/M/25, del 25 ottobre 2000, ibidem.
309
Cfr. BERGAMINI, op. cit., p. 89 e ss.
310
I testi delle quattro convenzioni possono essere consultati sul sito ufficiale
dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale, OMPI (World Intellectual
Property Organization, WIPO), www.wipo.int (pagina base). L’OMPI, agenzia
specializzata delle Nazioni Unite, è stata istituita nel 1967, allo scopo di promuovere la
tutela della proprietà intellettuale a livello globale, di favorire la cooperazione tra Stati e di
amministrare gli accordi internazionali in materia.

142
proprietà intellettuale311, al fine di porre rimedio alla pratica delle
contromisure unilaterali, rese necessarie dalla mancata previsione, nelle
quattro convenzioni, di efficaci meccanismi per garantire la tutela
sostanziale dei diritti in questione. Il principale merito dell’Accordo TRIPs
risiede infatti nell’aver predisposto delle procedure volte a garantire
l’osservanza delle prescrizioni materiali. In particolare, agli Stati viene fatto
obbligo di garantire l’esistenza di meccanismi contenziosi adeguati a
consentire un’azione, in sede civile e penale, contro ogni violazione dei
diritti di proprietà intellettuale (art. 41, par. 1) e vengono previsti dei
meccanismi per bloccare alla frontiera le merci contraffatte (artt. 51-60).
Inoltre, cosa più importante, all’Accordo si applica la DSU (art. 64) e
pertanto gli Stati che non rispettano la normativa TRIPs potranno essere
sottoposti a una procedura obbligatoria di soluzione delle controversie.
L’Accordo è suddiviso in sette parti, riguardanti, rispettivamente,
l’applicazione dei principi fondamentali del GATT (artt. 1-8), gli standard
relativi all’esistenza, alla portata e all’esercizio dei diritti di proprietà
intellettuale (artt. 9-40)312, gli strumenti per il rispetto di tali diritti (artt. 41-
61), le modalità per l’acquisizione e il mantenimento dei medesimi (art. 62),
la prevenzione e il regolamento delle controversie (artt. 65-67), le
disposizioni transitorie e le disposizioni istituzionali e finali (artt. 68-73).
Sul piano generale, l’Accordo prevede l’estensione alla materia dei principi
di non discriminazione interna e esterna, mentre dal punto di vista
sostanziale ripropone e integra la disciplina delle convenzioni menzionate.
Dal preambolo dell’Accordo si può desumere che la più corretta
chiave di lettura degli impegni TRIPs non risiede nella volontà di
promuovere una tutela della proprietà intellettuale armonizzata a livello
311
Sull’Accordo si veda, COMBA, op. cit., p. 260 e ss.; LAL DAS, op. cit., p. 355 e ss.;
LUPONE, Gli aspetti della proprietà intellettuale attinenti al commercio, in VENTURINI,
op. cit., p. 113 e ss.; MEZZETTI, Biotecnologie e diritti di proprietà intellettuale, in
ROSSI, op. cit., p. 211; MUNARI, op. cit., p. 182 e ss.; PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p.
397 e ss.
312
I diritti di proprietà intellettuale ivi menzionati possono essere ricondotti a tre differenti
categorie. La prima riguarda la proprietà industriale, cioè i diritti registrabili quali i brevetti,
i marchi commerciali, le indicazioni geografiche, i disegni industriali e i circuiti integrati.
Nella seconda rientrano i diritti d’autore e i diritti connessi, che risultano automaticamente
tutelati senza necessità di registrazione. La terza riguarda soltanto i segreti industriali,
protetti al fine di evitare pratiche di concorrenza sleale.

143
internazionale, quanto più nell’esigenza di evitare che forme di tutela
inadeguate possano costituire degli ostacoli o delle distorsioni al commercio
internazionale.
L’estensione dei principi di non discriminazione comporta effetti assai
significativi sulla tradizionale sovranità degli Stati in materia, soprattutto in
riferimento al divieto di discriminazione interna. Infatti, tale divieto opera in
correlazione con gli obblighi discendenti dalla Parte II, che impongono
standard minimi di tutela dei diritti di proprietà intellettuale, e dalla Parte
III, relativa ai meccanismi di enforcement dei medesimi. Ciò conduce a
ritenere la normativa in questione di gran lunga più incisiva di quanto
previsto per il commercio delle merci e dei servizi, potendosi ritenere
esistente una sorta di obbligo di trattamento “internazionale”, poiché il
trattamento imposto deriva dal regime internazionale positivamente
codificato dall’Accordo. Tale requisito si mostra di sostanziale importanza
nel caso dei diritti di proprietà intellettuale, dal momento che questi
risultano, per loro natura, fortemente dotati di connotazione territoriale313.
La principale critica che viene rivolta al sistema dell’Accordo TRIPs è
quella di aver recepito quasi esclusivamente gli obiettivi, i valori e gli
interessi degli Stati industrializzati e di risultare del tutto inadeguato a
tutelare le peculiari esigenze dei paesi in via di sviluppo314. Ciò si traduce in
una molteplicità di previsioni e, in particolare, nella mancata disciplina
dell’esaurimento internazionale dei diritti di proprietà intellettuale315 e nelle
313
In tal senso cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 404 e ss. “In sintesi, benché l’Accordo
TRIPs non interferisca formalmente con la natura territoriale dei beni immateriali,
l’adozione nell’Accordo medesimo dei principi che informano il commercio internazionale
concorre alla formazione d un regime globale e centralizzato” Ibidem, p. 406. Va
sottolineato, comunque, che tali prescrizioni non configurano un regime armonizzato a
livello internazionale. L’art. 1 fa salva, in ogni caso, la possibilità di adottare standard che
tutelino maggiormente i diritti di proprietà intellettuale, sempre che non si pongano in
contrasto con le previsioni dell’Accordo. Non essendovi alcun obbligo di reciprocità, non
vi è nessuna garanzia di uniformità degli standard adottati, coerentemente con la ratio
dell’Accordo, tesa piuttosto a rimuovere gli indebiti ostacoli al commercio.
314
Ibidem, p. 402 e ss. e, limitatamente ai rapporti con la protezione dell’ambiente,
MUNARI, op. cit., p. 186 e ss.
315
Con tale nozione si intende indicare il divieto, per i titolare di un diritto di proprietà
intellettuale, di far valere tale diritto qualora il bene che lo incorpora sia già stato immesso
nel mercato di uno Stato membro, limitandone l’applicabilità alla sfera della produzione e
non anche a quella della distribuzione. In tal caso, il titolare del diritto non potrà opporsi
all’ulteriore commercializzazione del bene da parte di terzi in altri mercati. Si legittimano,
in tal modo, le c.d. “importazioni parallele”, le quali, incentivando la libera circolazione

144
disposizioni relative al trattamento differenziato riservato a tali paesi. In
relazione a quest’ultimo argomento va notato come, di fatto, l’Accordo
preveda soltanto eccezioni temporanee, peraltro sottoposte alla clausola di
stand-still, che vieta modificazioni legislative che non avvicinino le
discipline nazionali alla normativa TRIPs. L’art. 7, che identifica gli
obiettivi dell’Accordo e dispone che la tutela della proprietà intellettuale
dovrebbe contribuire, tra l’altro, al trasferimento e alla diffusione della
tecnologia a reciproco vantaggio dei produttori e degli utilizzatori, è
formulato in maniera talmente generica da non poter essere considerato più
che un’enunciazione di principio316. Considerazioni analoghe possono essere
fatte riguardo all’art. 67 in materia di cooperazione tecnica e all’art. 66, par.
2, che prevede che gli Stati industrializzati debbano incentivare il
trasferimento di tecnologia da parte delle proprie imprese.
La questione del trasferimento di tecnologie verso i paesi in via di
sviluppo si manifesta con particolare evidenza e drammaticità relativamente
alla disciplina dei brevetti, sollevando un duplice ordine di problemi: da un
lato si pone la vexata quaestio di garantire l’acceso ai farmaci anche ai
cittadini di paesi a basso reddito317, dall’altro, il trasferimento di tecnologie

delle merci, hanno effetti particolarmente positivi sul livello dei prezzi e quindi,
conseguentemente, limitano la redditività del diritto di proprietà intellettuale incorporato
nel bene. All’interno della Comunità europea il fenomeno è stato riconosciuto come un
importante stimolo alla creazione del mercato unico (cfr. la sentenza Deutche
Grammophon c. Metro, dell’8 giugno 1971, in Raccolta della giurisprudenza della Corte di
giustizia e del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, 1971, p. 487 e ss.) e, in
seguito, è stato elaborato il principio dell’esaurimento comunitario dei diritti di proprietà
intellettuale (cfr. la sentenza Terrapin c. Terranova, del 22 giugno 1976, Causa 119/75,
ibidem, 1976, p. 1039 e ss.).
316
Grazie a un gruppo di paesi in via di sviluppo, durante una riunione del Consiglio TRIPs
del giugno 2001 è stata avanzata l’idea che tale articolo, significativamente intitolato
“obiettivi”, debba essere utilizzato per interpretare ogni singola disposizione dell’Accordo,
coerentemente con quanto disposto dall’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei
trattati. Cfr. il rapporto WTO doc. IP/C/W/296, TRIPs Council discussion on access to
medicines, e, nello stesso senso, la Dichiarazione di Doha precisa che il Consiglio TRIPs,
nello svolgimento del suo lavoro, dovrà essere guidato dai principi e dagli obiettivi
identificati dagli artt. 7 e 8.
317
Nonostante l’ovvia necessità, riconosciuta anche dal par. 4 della Dichiarazione di Doha,
di provvedere a garantire ai paesi in via di sviluppo un adeguato livello di protezione
sanitaria, l’art. 70, par. 8, lett. a), prevede un’eccezione alla norma transitoria contenuta
nell’art. 65, par. 4, (che consente ai membri di ritardare di cinque anni la protezione dei
brevetti, in deroga al disposto dell’art. 27, par. 1, in campi che, prima all’entrata in vigore
dell’Accordo OMC, non ricevevano alcuna tutela) proprio in relazione alla brevettabilità
dei prodotti chimici, agricoli e farmaceutici. Ai sensi di tale norma, agli Stati viene fatto
obbligo di accogliere le domande di brevetto, riguardo alle tre categorie di invenzioni, sino

145
“pulite” a quei paesi che non hanno modo di investire risorse ingenti nella
ricerca costituisce una condizione essenziale per garantire la sostenibilità
dello sviluppo economico. Riguardo a quest’ultima problematica, in dottrina
si è giunti a rilevare una “sostanziale indifferenza” dell’Accordo TRIPs318.
Rispetto all’obbligo generalizzato, di cui al par. 1 dell’art. 27, di garantire
protezione alle invenzioni sia di prodotto che di processo, l’Accordo
prevede due eccezioni: la possibilità di escludere la brevettabilità di
invenzioni necessarie a proteggere la vita o la salute di persone animali e
piante o per evitare gravi danni all’ambiente (art. 27, par. 2) e la possibilità
di imporre al titolare di un brevetto una licenza obbligatoria, fatto comunque
salvo l’obbligo di corrispondere un’adeguata remunerazione (art. 31).
Considerata l’onerosità del test di necessità in ambito GATT, sembra che
circa l’applicabilità dell’art. 27, par. 2, non vi siano troppe illusioni da farsi,
nonostante l’auspicata possibilità di interpretare tale requisito alla luce di
quanto disposto dalle grandi convenzioni multilaterali in materia
ambientale319. Parallelamente, l’art. 31, pur sembrando maggiormente
fruibile dai paesi in via di sviluppo, pone concretamente il problema del
reperimento delle risorse necessarie a remunerare adeguatamente il titolare
del brevetto. Posto che il patrimonio ambientale costituisce un bene a tutti
gli effetti, la propensione dei paesi in via di sviluppo a sfruttarlo
deliberatamente senza incorporare i costi esterni nei prezzi dei prodotti,
pone dei seri problemi di irrazionale allocazione delle risorse. In
considerazione di ciò, parrebbe del tutto coerente con lo spirito del sistema
commerciale multilaterale promuovere un’interpretazione del diritto OMC
in osservanza dei principi cardine del diritto internazionale dell’ambiente.
Sempre in relazione al perseguimento dello sviluppo sostenibile, si
mostra alquanto problematica anche l’attuazione del disposto dell’art. 27,
par. 3, lett. b), ai sensi del quale ai membri è consentito di vietare la

dal momento dell’entrata in vigore dell’Accordo. Tale questione è venuta in rilievo nella
nota controversia India – Patent Protection for Pharmaceutical Agricultural Chemical
Products , instaurata su richiesta di Stati Uniti e Unione Europea, al termine della quale sia
il panel che l’Organo d’appello hanno ravvisato una violazione dell’ art. 70, par. 8, lett. a)
da parte dell’India. Sulla controversia si veda LUPONE, op. cit., p. 122 e ss.
318
Cfr. MUNARI, op. cit., p. 186.
319
Cfr. Ibidem, p. 188 e ss

146
brevettabilità dei processi biologici di riproduzione animale e vegetale, ma
non delle tecniche di ingegneria genetica. Ancora una volta, l’Accordo
penalizza i paesi in via di sviluppo, principali detentori della diversità
biologica, che si trovano, invece, di fronte al rischio di dover corrispondere
le royalties alle multinazionali del settore agrochimico, e crea notevoli
difficoltà di coordinamento con i principi e gli obiettivi promossi dalla
Convenzione di Rio sulla biodiversità320.

320
Sull’etica della brevettabilità, specialmente riguardo al rapporto tra le necessità dei paesi
in via di sviluppo e il regime delle privative biotecnologiche, si veda, ampiamente,
MEZZETTI, op. cit., p. 223 e ss.

147
CAPITOLO III

IL COORDINAMENTO TRA COMMERCIO E


AMBIENTE: L’EVOLUZIONE DELLA
GIURISPRUDENZA

1. La giurisprudenza antecedente alla creazione dell’OMC

1.1. Il primo caso del tonno e dei delfini

La prima controversia che richiamò con forza l’attenzione della


pubblica opinione sul rapporto tra libertà degli scambi internazionali e tutela
dell’ambiente, fu in celebre caso del tonno e dei delfini 321, che contrappose
gli Stati Uniti dapprima al Messico322 e successivamente alla Comunità
Europea e all’Olanda323. In entrambi i casi i rapporti dei panel non vennero
adottati, ma le questioni in essi sollevate da allora costituiscono il principale

321
Sui due casi in esame, cfr. MACMILLAN, op. cit., p. 70 e ss.; MANZINI,
Environmental Exceptions of Art. XX GATT 1994 Revisited in the Light of the Rules of
Interpretation of General International Law, in MENGOZZI, op. cit, p. 811 e ss.;
MONTINI, La necessità, cit., p. 270 e ss.; MUNARI, La libertà degli scambi
internazionali e la tutela dell’ambiente, in RDI, 1994, p. 403; SHOENBAUM,
International Trade and the Protection of the Environment: the Continuing Search for
Reconciliation, in AJIL, 1997 p. 271 e ss.; TRACHTMAN, Note (Tuna/Dolphins I), in
AJIL, 1992, p. 142 e ss.
322
Cfr. United States – Restrictions on Imports of Tuna, (successivamente Tuna/Dolphins
I) rapporto del panel, WTO doc. DS21/R-39S/155, del 3 settembre 1991, consultabile su
ILM, 1991, p. 1594 e ss.
323
Cfr. United States – Restrictions on Imports of Tuna, (successivamente Tuna/Dolphins
II) rapporto del panel, WTO doc. DS/29/R, del 16 giugno 1994, consultabile su ILM,
1994, p. 842 e ss.

148
parametro di riferimento del problematico rapporto tra commercio
internazionale e tutela dell’ambiente. Ci riferiamo, in particolare,
all’estensione dell’ambito di applicazione delle eccezioni ambientali
previste dall’art. XX, all’ipotesi di applicazione extragiurisdizionale delle
normative ambientali e alla conseguente possibilità di disciplinare
l’importazione di un prodotto sulla base del processo produttivo che ne sta
all’origine.
La controversia sorse in merito a una normativa nazionale statunitense
del 1972, il Marine Mammals Protection Act (MMPA), e dai successivi
regolamenti che ne dettero attuazione324, sulla cui base gli Stati Uniti
fondarono l’adozione di misure commerciali volte a bloccare le
importazioni di tonno pescato senza l’ausilio di reti particolari, in grado di
permettere l’uscita dei delfini che vi fossero rimasti accidentalmente
intrappolati. Qualora uno Stato avesse voluto continuare a esportare il tonno
pescato con le normali reti a strascico negli Stati Uniti, sarebbe stato tenuto
a dimostrare che il proprio tasso di cattura accidentale dei delfini non
superasse quello statunitense di più del 25%. La prima nazione ad essere
colpita dall’embargo commerciale diretto fu il Messico, mentre in seguito il
blocco delle importazioni venne esteso anche alle c.d. “nazioni
intermediarie”, che continuando a importare tonno messicano avrebbero
potuto immetterlo nel mercato statunitense tramite l’esportazione di prodotti
lavorati: si tratta del secondo caso Tuna/Dolphins. Com’è noto, entrambi i
rapporti non furono mai adottati dal Consiglio dei Rappresentanti, a causa
della ferma opposizione degli Stati Uniti.
Il Messico presentò il proprio ricorso lamentando la violazione
dell’art. III sul divieto di discriminazione interna tra prodotti similari,
dell’art. XI sul divieto di restrizioni quantitative e dell’art. XIII sul divieto
di applicazione discriminatoria delle medesime, mentre gli Stati Uniti
sostenevano che la misura potesse rientrare tra le regolamentazioni tecniche
di carattere interno consentite dall’art. III, par. 4. Alla luce del significato
testuale dei termini dell’art. III e della nota addizionale al medesimo, che
324
La normativa in questione è consultabile sul sito dell’Office for Protected Resources del
Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, www.nmfs.noaa.gov (pagina base).

149
fanno riferimento soltanto ai prodotti in quanto tali e non ai processi
produttivi325, il panel ritenne di dover condividere la posizione messicana e
procedette, pertanto, a valutare la possibilità di giustificare l’embargo sulla
base delle eccezioni ambientali dell’art. XX.
Riguardo all’art. XX b) venne specificato che, trattandosi di
un’eccezione, doveva essere interpretata in maniera restrittiva e che l’onere
della prova doveva ricadere sullo Stato che ne invocava l’applicazione326.
Inoltre, ne fu dapprima negata l’applicabilità extragiurisdizionale, in ragione
di una singolare valutazione dei lavori preparatori operata dal panel327, e, in
secondo luogo, le misure di embargo furono ritenute non necessarie. Il
panel richiamò l’interpretazione del termine “necessary” che era stata data
durante la nota controversia sulle sigarette thailandesi328, secondo la quale
le eventuali violazioni delle norme GATT possono essere considerate
necessarie solo qualora non ci siano misure alternative coerenti con
l’Accordo Generale, o meno incoerenti con esso, che possano essere

325
Sulla questione, cfr., ampiamente, TRACHTMAN, op. cit., p. 146 e ss.
326
Cfr. rapporto del panel, par. 5.22.
327
Ibidem, par. 5.26, ove si fa riferimento all’eliminazione, durante la sessione di Ginevra
del Comitato preparatorio, di una formulazione della lettera b) inclusiva di una clausola
limitativa territoriale, in quanto ritenuta non necessaria. Seguendo una logica alquanto
contraddittoria, il panel ha ritenuto che tale eliminazione dovesse indurre l’interprete a
escludere l’applicabilità della norma al di fuori della giurisdizione dello Stato importatore,
dal momento che dai lavori preparatori risultava possibile rilevare l’esistenza di una
interesse generale a limitare li effetti extraterritoriali delle normative ambientali nazionali.
Tale ragionamento ha attirato la critica di gran parte della dottrina dovendosi eventualmente
concludere in senso opposto, circa la mancanza di consenso a circoscrivere l’ambito di
operatività dell’eccezione alla sfera territoriale. Cfr. CHARNOVITZ, Exploring the
Environmental Exceptions in GATT Article XX, in JWT, 1991, p. 5 e ss.; FRANCIONI, La
tutela dell’ambiente e la disciplina del commercio internazionale, in SIDI, op. cit., p. 160 e
ss.; FRANCIONI, Extraterritorial Application of Environmental Law, in MEESSEN (a
cura di), Extraterritorial Jurisdiction in Theory and Practice, Le Hague, 1996, p. 128 e ss.
328
Cfr. Thailand – Restriction on the Importation of and Internal Taxes on Cigarettes,
(successivamente Thai Cigarettes) rapporto del panel, WTO doc. DS10/R, del 7 novembre
1990, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). In tale circostanza fu
negata la legittimità delle restrizioni all’importazione delle sigarette straniere, ritenute
maggiormente dannose di quelle nazionali. Pur trattandosi di una politica rientrante
senz’altro nella fattispecie prevista dall’art. XX b), il panel non ritenne necessaria la
violazione dell’art. XI, in considerazione di alcune raccomandazioni dell’OMS che
indicavano altre misure, quali le campagne di informazione o i sistemi di etichettatura del
prodotto, meno contrari alla normativa GATT. Sulla controversia, cfr. ampiamente
MONTINI, La necessità, cit. p. 267. Tale interpretazione risale, a sua volta, a quella data
nel caso United States – Section 337 of the Tariff Act of 1930 (successivamente Section
337) in relazione al termine “necessary” contenuto nella lettera d) dell’art. XX. Cfr. il
rapporto del panel, WTO doc. L/6439-36S/345, del 7 novembre 1989, par. 5.26,
consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

150
ragionevolmente adottate per proteggere la vita o la salute di persone,
animali o piante329. In altre parole, qualora la violazione dell’Accordo non si
mostri inevitabile le misure restrittive non potranno ritenersi necessarie. Il
panel ritenne che due fattori escludessero tale inevitabilità. In primis, gli
Stati Uniti avrebbero potuto ragionevolmente cercare di concludere degli
accordi internazionali per la protezione dei delfini con gli Stati interessati.
In secondo luogo, la condizione che il MMPA rendeva necessaria per
autorizzare l’importazione del tonno, cioè un tasso di cattura accidentale dei
delfini legato a quello rilevato negli Stati Uniti nello stesso periodo, si
mostrava assolutamente imprevedibile e una restrizione alle importazioni
basata su condizioni non prevedibili non poteva ritenersi necessaria a
proteggere la vita dei delfini330.
Analogamente, il panel concluse circa l’impossibilità di giustificare
l’embargo tramite il ricorso alla lettera g) dell’art. XX, sia perché anche in
questo caso l’eccezione non era ritenuta suscettibile di applicazione
extragiurisdizionale, sia perché l’imprevedibilità delle condizioni su cui era
basata la normativa statunitense non consentiva di considerarla
primariamente finalizzata alla conservazione di una risorsa naturale. In
entrambi i casi, il panel richiamò le considerazioni effettuate da un altro
panel nel caso Salmon and Herring331, ribadendone i due concetti
329
Cfr. Thai Cigarettes, rapporto del panel, par. 75: “The Panel concluded from the above
that the import restrictions imposed by Thailand could be considered to be "necessary" in
terms of Article XX(b) only if there were no alternative measure consistent with the
General Agreement, or less inconsistent with it, which Thailand could reasonably be
expected to employ to achieve its health policy objectives.”
330
Cfr. Tuna-Dolphins I, rapporto del panel, par. 5.28.
331
Cfr. Canada – Measures Affecting Exports of Unprocessed Herring and Salmon
(successivamente Salmon and Herring), rapporto del panel, WTO doc. L/6268-35S/98, del
22 marzo 1988, parr. 4.4-4.6, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
La controversia verteva sulla restrizione all’esportazioni di salmone e aringhe da parte del
Canada che gli Stati Uniti ritenevano non poter essere giustificata dalle eccezioni dell’art.
XX g). In tale sede, il panel operò una valutazione del significato dei termini “relating to” e
“in conjunction with”, dandone un’interpretazione particolarmente restrittiva. Dopo essersi
domandato quale tipo di relazione con la politica di conservazione e quale tipo di legame
con la produzione e il consumo nazionali fossero necessarie e avere attribuito al termine
“relativa a” il significato di “primariamente finalizzata”, il panel concluse che l’eccezione
in questione poteva essere invocata solo nel caso in cui le misure fossero primariamente
finalizzate a rendere effettive le politiche nazionali di conservazione. Cfr. Ibidem, par. 4.6:
“The Panel noted that some of the subparagraphs of Article XX state that the measure must
be "necessary" or "essential" to the achievement of the policy purpose set out in the
provision (cfr. subparagraphs (a), (b), (d) and (j)) while subparagraph (g) refers only to
measures "relating to" the conservation of exhaustible natural resources. This suggests that

151
fondamentali, ossia che l’eccezione può essere invocata solo per misure che
hanno come scopo principale quello di rendere effettive le restrizioni
nazionali332 e che una misura può essere considerata relativa (relating to)
alla conservazione delle risorse naturali esauribili solo se risulta
primariamente finalizzata (primarly aimed) a rendere maggiormente
efficace tale conservazione333, caratteristica che non può certo essere
riscontrata in una misura che lega la protezione dei delfini a condizioni
imprevedibili334.
L’interpretazione straordinariamente restrittiva di entrambe le
eccezioni ambientali dell’art. XX data dal panel nel primo caso
Tuna/Dolphins ha attirato le critiche pressoché unanimi della dottrina, in
ragione del rischio concreto di stravolgere il significato dell’art. XX,
privandone di efficacia le disposizioni e sottraendo, pertanto, prerogative
fondamentali alla sovranità degli Stati membri.

Article XX:(g) does not only cover measures that are necessary or essential for the
conservation of exhaustible natural resources but a wider range of measures. However, as
the preamble of Article XX indicates, the purpose of including Article XX:(g) in the
General Agreement was not to widen the scope for measures serving trade policy purposes
but merely to ensure that the commitments under the General Agreement do not hinder the
pursuit of policies aimed at the conservation of exhaustive natural resources. The Panel
concluded for these reasons that, while a trade measure did not have to be necessary or
essential to the conservation of an exhaustible natural resource, it had to be primarily aimed
at the conservation of an exhaustible natural resource to be considered as "relating to"
conservation within the meaning of Article XX:(g). A trade measure could therefore, in
the view of the Panel, only be considered to be made effective "in conjunction with"
production restrictions if it was primarily aimed at rendering effective these restrictions.”
(corsivo aggiunto)
332
Cfr. Tuna-Dolphins I, rapporto del panel, par. 5.31.
333
Ibidem, par. 5.33.
334
In linea di principio, collegare il tasso di cattura accidentale consentito ai paesi
esportatori di tonno a quello degli Stati Uniti, potrebbe addirittura ottenere l’effetto
contrario, qualora il tasso statunitense si mostrasse notevolmente elevato. Risulta pertanto
evidente come la ratio sottintesa a tale norma risieda più nella necessità di tutelare le
opportunità competitive dei pescatori statunitensi che in preoccupazioni di natura
ambientale, dovendosi conseguentemente ricondurre l’opportunità della sua adozione al più
vasto dibattito relativo alla legittimità di forme di “protezionismo verde” in risposta a
eventuali pratiche di dumping ecologico e per disincentivare l’ovvia propensione a sfruttare
posizioni da free rider in un simile contesto. Per un’analisi delle dottrine economiche in
materia, cfr. MUNARI, op. cit., p. 389 e ss.; e più dettagliatamente TURNER, PEARCE,
BATEMAN, Economia ambientale, Bologna, 1994, p. 187 e ss.

152
1.2. Il secondo caso del tonno e dei delfini

Pochi anni dopo gli Stati Uniti furono chiamati a rispondere, davanti a
un altro panel, dell’estensione dell’embargo commerciale anche alle nazioni
intermediarie, che avrebbero potuto rivendere nel mercato statunitense
prodotti lavorati contenenti il tonno messicano originariamente bandito.
Le conclusioni raggiunte dal panel riguardo alla contrarietà delle
misure statunitensi alla normativa GATT sono formalmente le stesse, ma
l’interpretazione delle eccezioni ambientali contenuta nel rapporto fornisce
degli spunti interessanti attraverso un’elaborazione più completa e rigorosa.
Questa volta, la valutazione della compatibilità delle misure
statunitensi fu condotta a partire dall’art. XX g). In merito, il panel ritenne
di poter individuare un iter specifico da seguire nell’attività interpretativa,
suddiviso in tre passaggi335: in primo luogo, va considerata la politica
ambientale sulla cui base la misura è adottata, che deve rientrare tra quelle
finalizzate a conservare le risorse naturali esauribili; in secondo luogo, la
misura deve essere relativa a tale conservazione e deve essere applicata
congiuntamente ad analoghe restrizioni domestiche; infine, deve essere
verificato se il modo in cui è applicata risulta conforme alle condizioni
previste dalla clausola introduttiva dell’art. XX, ossia se può essere o meno
ricondotta a una restrizione dissimulata del commercio o a una
discriminazione arbitraria o ingiustificata.
In termini concreti, il panel considerò soddisfatta la prima condizione,
sia perché ritenne di potere attribuire ai delfini la qualifica di risorse naturali
esauribili, sia perché nel testo della lettera g) non risulta alcuna esplicita
limitazione alle risorse naturali situate nel proprio territorio e
conseguentemente riconobbe la possibilità di provvedere alla conservazione
delle risorse situate al di fuori di esso disciplinando la condotta dei propri

335
Cfr. Tuna/Dolphins II, rapporto del panel, par. 5.12.

153
cittadini336. In altre parole il panel riconobbe all’eccezione un ambito di
operatività extraterritoriale, ma non extragiurisdizionale.
Riguardo alla seconda condizione, il panel contestò nuovamente il
fatto che, al fine di poter essere considerata relativa alla conservazione delle
risorse naturali, la misura doveva avere tale obiettivo come finalità primaria,
mentre appariva palese che il primo obiettivo dell’embargo fosse indurre
anche l‘Olanda e la Comunità Europea a modificare le proprie politiche
ambientali in materia di protezione dei delfini337. Per tale motivo, il panel
escluse la possibilità di giustificare la misura ricorrendo dell’art. XX g) e
pertanto non ritenne necessario controllare il rispetto delle condizioni poste
dallo chapeau dell’articolo, e procedette invece a verificare l’opportunità di
invocare l’eccezione contenuta nella lettera b).
Anche a tale riguardo, il panel suggerì un processo interpretativo
articolato in tre fasi: per prima cosa la politica ambientale che determina
l’adozione della misura in questione doveva rientrare tra le politiche di
protezione della vita e della salute di persone, animali e piante;
successivamente doveva essere accertata la sussistenza del requisito di
necessità in relazione a tale fine; la terza fase, infine, prevedeva la verifica
dell’osservanza delle condizioni poste dal preambolo dell’articolo.
Il risultato dell’analisi del panel ricalca perfettamente quanto concluso
riguardo alla precedente eccezione. La prima condizione risultò soddisfatta,
trovandosi concordi anche le parti in causa e potendosi, in linea di principio,
riconoscere l’applicabilità extraterritoriale dell’eccezione, seppure
circoscritta alla “jurisdiction over its nationals and vessels”338. Il panel
giunse, invece, a conclusioni negative riguardo alla necessità delle misure di
embargo. Richiamando nuovamente i rapporti Section 337 e Thai
Cigarettes, venne accolta l’interpretazione restrittiva data in tali sedi, dove
336
Ibidem, par. 5.20: “(…) the Panel could see no valid reason supporting the conclusion
that the provisions of Article XX (g) apply only to policies related to the conservation of
exhaustible natural resources located within the territory of the contracting party invoking
the provision. The Panel consequently found that the policy to conserve dolphins in the
eastern tropical Pacific Ocean, which the United States pursued within its jurisdiction over
its nationals and vessels, fell within the range of policies covered by Article XX (g).”
337
Anche in questo caso si ripropone la vexata qaestio relativa alla natura delle misure più
opportune da adottare in caso di dumping ecologico. Cfr. supra, nota 13.
338
Tuna/Dolphins II, par. 5.33.

154
la nozione di necessità venne ritenuta assimilabile ai concetti di
indispensabilità e di inevitabilità, imponendo la scelta, tra le misure
disponibili, di quella che comporti il minor grado di incoerenza con le
disposizioni dell’accordo generale, con l’ovvio limite della ragionevolezza
della sua adozione339. A differenza del caso Tuna/Dolphins I, il panel non
esaminò la misura in relazione alle possibili alternative, quali, ad esempio,
l’adozione di accordi multilaterali per la protezione dei delfini, ma decise di
valutarla soltanto in riferimento all’obiettivo rispetto al quale si sarebbe
dovuta mostrare necessaria, cioè la protezione della vita e della salute di
persone animali e piante. A riguardo, il panel concluse che, per ottenere i
suddetti effetti di tutela, l’embargo imponeva ad altri Stati un cambiamento
delle proprie politiche ambientali all’interno della propria giurisdizione e
quindi non poteva ritenersi in tal senso necessaria. Essendo venuta meno la
condizione essenziale dell’art. XX (b), il panel non proseguì nell’analisi del
rispetto delle condizioni dello chapeau340.
L’approccio seguito dai due panel è stato oggetto di numerose critiche
in dottrina341 e da parte dei movimenti ambientalisti, riguardo, in particolare
a due questioni strettamente connesse: l’interpretazione del requisito di
necessità e il rifiuto di interpretare le due eccezioni dell’art. XX
coerentemente con il disposto dell’art. 31, par. 3, c) della Convenzione di
Vienna sul diritto dei trattati.
Circa il primo punto, attribuire al concetto di misure necessarie a
proteggere la vita e la salute il significato di misure che comportino il minor
grado possibile di incompatibilità con la libera circolazione delle merci,
dimostra un sostanziale stravolgimento del senso ordinario dei termini

339
Ibidem, par. 5.35: ”(...) in cases where a measure consistent with the others GATT
provisions is not reasonably available, a contracting party is bound to use, among the
measures reasonably available to it, that which entails the least degree of inconsistency with
other GATT provisions.”
340
Gli Stati Uniti sollevarono anche la questione della legittimità dell’embargo ai sensi dell’
art. XX d), che legittima l’adozione di misure necessaria a garantire l’attuazione di leggi e
regolamenti non incompatibili con le disposizioni dell’Accordo Generale. Avendo
riscontrato la violazione dell’art. XI, par. 1, panel negò risolutamente la possibilità di
invocare l’eccezione. Ibidem, par. 5.40, 5.41.
341
In tal senso, cfr. FRANCIONI, La tutela dell’ambiente, cit. p. 159 e ss.; per un giudizio
meno critico riguardo alle conclusioni sull’applicazione extraterritoriale, ma altrettanto
negativo quanto al test di necessità, si veda SHOENBAUM, op. cit., p. 279 e ss.

155
dell’articolo342 e, quindi, della ratio ad esso sottintesa, che non può per sua
natura essere indirizzata a garantire la libera circolazione delle merci, dal
momento che questo è l’obiettivo principale di un accordo a cui l’articolo si
propone esplicitamente di derogare, operando un bilanciamento fra due
esigenze di natura opposta, ma ugualmente degne di protezione. In termini
concreti, attribuire un significato simile alla nozione di necessità equivale a
qualificarla come un obbligo, posto in capo allo Stato che intende adottare la
misura, di operare un analisi costi-benefici dei costi incrementali della
misura, facendo un confronto tra una varietà di misure pressoché infinita343,
configurando una sorta di probatio diabolica, che costituisce quasi un
emendamento de facto del testo dell’art. XX b), e rendendo, inoltre, del tutto
inutile la verifica del rispetto dei requisiti dello chapeau344. Al contrario,
larga parte della dottrina si è trovata d’accordo sull’opportunità di rimettere
la determinazione della nozione di necessità ambientale a quanto viene
ritenuto meritevole di tutela dai principali trattati ambientali multilaterali,
potendosi ragionevolmente ritenere che a riguardo si sia formato un
consenso generalizzato all’interno della comunità internazionale. Tale largo
consenso rappresenta un’ulteriore ragione che conduce a ritenere illogico il
mancato ricorso alla regola generale di interpretazione contenuta nell’art.
31, par. 3 c), che, com’è noto, impone all’interprete di considerare, assieme
al contesto, anche ogni altra regola pertinente di diritto internazionale
applicabile nei rapporti tra le parti, permettendo un’interpretazione evolutiva
delle disposizioni del trattato. Alla luce dell’imponente mole di accordi per

342
Si noti che l’art. XX j), relativo alle misure adottabili in caso di acquisto o ripartizione di
prodotti per i quali si faccia sentire una penuria generale o locale, utilizza appositamente il
termine “essential” e non “necessary”. Appare evidente che la portata dell’eccezione
debba risultare di gran lunga più circoscrittà, ma, se al concetto di necessità viene associato
quello di inevitabilità, diventa complicato riuscire a determinare un livello più ristretto di
discrezionalità. Cfr. MANZINI, op. cit., in MENGOZZI, op. cit., p. 831 e ss.
343
Cfr. FRANCIONI, Environment, Human Rights and the Limits of Free Trade, in
FRANCIONI (a cura di), Environment, Human Rights and International Trade, Oxford,
2001, p.24.
344
Cfr. SHOENBAUM, op. cit., p. 276 e ss. Merita di essere rilevato anche un ulteriore
elemento di incoerenza. Secondo tale interpretazione, il minor grado possibile di
incompatibilità con il sistema commerciale sarebbe un requisito imprescindibile per la
protezione della vita e della salute, ma non per la conservazione delle risorse. Si
giungerebbe, pertanto, a configurare l’ipotesi paradossale per la quale alla conservazione
delle risorse naturali esauribili verrebbe accordato un livello di tutela superiore che alla vita
a alla salute umana. Ibidem.

156
la protezione dell’ambiente stipulati tra Stati membri successivamente
all’Accordo Generale, che impongono sia la tutela ambientale al di fuori
della propria giurisdizione che l’adozione di misure economiche, in modo
particolare restrizioni all’importazione345 per garantire l’attuazione degli
standard ambientali previsti, i due panel avrebbero dovuto mostrare un
maggiore rigore nell’esercitare le loro funzioni. Singolarmente, invece,
mentre il secondo panel analizza tale prassi convenzionale, sebbene
concludendo circa la sua irrilevanza in tale circostanza346, nel rapporto del
primo panel la questione non viene neppure presa in considerazione. Una
delle principali argomentazioni utilizzate da entrambi i panel per negare
l’ipotesi di applicazione extragiurisdizionale delle misure ambientali,
riguarda il rischio di compromettere irrimediabilmente l’unitarietà del
sistema commerciale multilaterale, creando una moltitudine di piccoli
sistemi commerciali caratterizzati da analoghe regolamentazioni ambientali.
Di fatto, esiste il rischio che l’abuso del ricorso a tali prerogative possa
nascondere pratiche protezionistiche dissimulate, ma, a riguardo, appare
maggiormente proficuo seguire fedelmente la procedura tripartita prescritta
dall’art. XX, piuttosto che stravolgere il significato delle sue disposizioni.
Inoltre, precludere in toto l’applicabilità extragiurisdizionale lede la ratio
dell’obbligo erga omnes di preservare gli spazi non sottoposti alla sovranità
di alcuno Stato, come previsto dal principio 21 della Dichiarazione di
Stoccolma e dal principio 2 della Dichiarazione di Rio, le cui ulteriori

345
Dei più di 200 MEA esistenti, circa una ventina prevedono misure commerciali, sia
come strumento di controllo dell’adempimento, sia come strumento sanzionatorio verso
Stati parti in caso di inadempimento o verso Stati terzi come deterrente verso eventuali
pratiche di free-riding. Per quel che riguarda le restrizione quantitative, gli esempi di
storicamente più rilevanti e dotati di maggiore incisività sono rappresentati dall’art. X della
Convenzione CITES, che permette di bloccare le importazioni di specie animali che si
trovino primariamente o esclusivamente nel territorio di uno Stato terzo, dall’art. 4 della
Convenzione di Basilea sui movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi, che proibisce
l’esportazione di tali rifiuti verso Stati terzi, dall’art. 4 del Protocollo di Montreal, che
prescrive il blocco delle importazioni dei prodotti contenenti clorofluorocarburi da Stati
terzi. Cfr. BRACK, The Shrimp-Turtle Case: Implications for the Multilateral
Environmental Agreements – World Trade Organization Debate, in BRUNNẾE, HEY (et.
al.), op. cit., p 13 e ss.; BRACK, GRUBB, WINDRAM, International Trade and Climate
Change Policies, Londra, 2000, p. 126 e ss.; FRANCIONI, Extraterritorial Application, cit.
p. 129 e ss.;
346
Cfr. Tuna/Dolphins II, par. 5.19.

157
preoccupazioni relative al rispetto della sovranità statale sulle proprie risorse
naturali trovano adeguata tutela delle condizioni prescritte dall’art. XX.

2. I casi risolti successivamente alla creazione dell’OMC

2.1 Il caso della benzina riformulata

Il caso United States – Standards for Reformulated and Conventional


Gasoline (successivamente Gasoline)347 rappresenta il primo caso risolto nel
quadro dell’OMC, e come tale sottoposto alle regole del DSU e quindi a un
doppio grado di “giudizio”.
La controversia sorse in merito ad una normativa tecnica, la c.d.
348
“Gasoline Rule , che, nel 1994, la Environmental Protection Agency
(EPA) degli Stati Uniti aveva emanato in attuazione delle disposizioni
generali contenute nel Clean Air Act (CAA)349 del 1963. In base della
Gasoline Rule, ai produttori stranieri veniva richiesto il rispetto di standard
ambientali più severi che ai produttori nazionali. Le ragioni di tale
discriminazione erano da attribuirsi, nell’opinione del governo statunitense,
a questioni di ordine tecnico e amministrativo e in essa non era comunque
ravvisabile alcuna violazione dell’Accordo Generale, dal momento che si
riteneva che, nei fatti, la normativa avesse un effetto neutrale sulle
importazioni di benzina350. Inoltre, gli Stati Uniti affermavano che le

347
Sul caso Gasoline cfr. CHO, Case note, in EJIL, 1996, consultabile su: www.ejil.org
(pagina base); MACMILLAN, op. cit. p. 81 e ss.; MONTINI, La necessità, cit. p. 279 e ss..,
MONTINI, Il principio di necessità ambientale come criterio di bilanciamento tra
commercio internazionale e protezione dell’ambiente, in RGA, 2002, p. 137 e ss; SHENK,
Case Note, in AJIL, 1996, p. 669 e ss.
348
Regulation of Fuels and Fuel Additive - Standards for Reformulated and Conventional
Gasoline, consultabile sul sito ufficiale dell’EPA, www.epa.gov (pagina base).
349
Ibidem
350
Cfr. Gasoline, rapporto del panel, WTO doc. WT/DS2/R, consultabile sul sito
dell’OMC, www.wto.org (pagina base), parr. 3.17-3.22.

158
disposizioni della Gasoline Rule sarebbero state comunque giustificabili ai
sensi dell’art. XX b), d) e g).
Venezuela e Brasile, invece, lamentarono la violazione dell’art. I, dei
parr. 1 e 4 dell’art. III e dell’art. 2 dell’Accordo TBT e, pertanto,
presentarono ricorso al neo istituito DSB.
Il panel non esaminò la Gasoline Rule alla luce degli artt. I, par. 1, III,
par. I, né dell’art. 2 dell’Accordo TBT351, ma ritenne che alla benzina estera
fosse stato garantito un trattamento meno favorevole di quello accordato ai
prodotti similari nazionali in relazione alle condizioni di vendita in
violazione dell’art. III, par. 4352, e quindi procedette a valutare la possibilità
di giustificazione ex art. XX.
Quanto all’art. XX b), seguì nuovamente l’iter interpretativo suddiviso
in tre fasi che era stato specificato nel caso Tuna/Dolphins II, e ritenne
soddisfatta la prima condizione, potendosi annoverare la misura in questione
tra quelle finalizzate a proteggere la vita e la salute di persone, animali e
piante. Invece, riguardo al secondo passaggio, richiamò la definizione di
misura necessaria che era stata data nei casi Section 337 e Thai Cigarettes,
quella cioè di misura meno incompatibile con le disposizioni del GATT tra
quelle ragionevolmente disponibili, concludendo che agli Stati Uniti si
presentavano varie alternative e che pertanto la misura non poteva rientrare
tra quelle consentite dall’art. XX b)353.
Anche riguardo all’art. XX g) il panel ribadì la correttezza dell’iter in
tre fasi delineato nel caso Tuna/Dolphins II, ma, suddivise in due parti il
secondo punto, scindendo la verifica della finalità della misura da quella
della sua applicazione congiunta a restrizioni a livello nazionale,
configurando, di fatto, una procedura quadripartita che verrà osservata
anche nei casi successivi. Pur considerando soddisfatta la prima condizione
e includendo, quindi, l’aria pulita tra le risorse naturali esauribili354, non
351
Ibidem, parr. 6.17, 6.19 e 6.43.
352
Ibidem, parr. 6.5-6.16.
353
Ibidem, par. 6.25.
354
L’argomentazione prodotta dal Venezuela riguardo a questo punto, ossia che l’art. XX g)
coprirebbe soltanto le risorse effettivamente esauribili quali petroli e carbone, mentre l’aria
si limiterebbe a cambiare di stato, ma non ne muterebbe la quantità disponibile (Ibidem,
par. 3.60), avrebbe rappresentato, se accettata, un serio rischio per la credibilità dell’intero
sistema GATT relativo alla tutela delle prerogative statali in materia di protezione

159
ritenne di poter individuare una diretta connessione tra il trattamento
discriminatorio derivante dalla misura in questione e il proposito di
conservazione delle risorse naturali esauribili355, seguendo l’interpretazione
che il panel istituito nel caso Salmon and Herring aveva dato del termine
“relating to”. Conseguentemente non procedette ad esaminare se la misura
fosse stata applicata in parallelo a restrizioni della produzione e del
consumo a livello nazionale, né se fossero state violate le condizioni della
clausola introduttiva dell’art. XX.
In ogni caso, merita di essere sottolineata la vastissima portata
dell’inclusione della lettera g) tra le eccezioni utilizzabili ai fini di tutela
ambientale, poiché tale disposizione non prevede l’obbligo di esercitare il
“necessity test” prescritto dalla lettera b) che impone, come abbiamo visto,
un onere particolarmente gravoso allo Stato che intenda avvalersi delle
prerogative ivi contemplate.
Gli Stati Uniti ricorsero in appello soltanto riguardo a quanto concluso
dal panel circa la lettera g) dell’art. XX.
L’Organo d’Appello dapprima contestò il ragionamento seguito dal
panel riguardo al mancato riscontro di una diretta connessione tra il
trattamento meno favorevole operato dalla Gasoline Rule e il proposito di
conservazione delle risorse naturali esauribili. Nella logica dell’art. XX g),
non è la violazione dell’art. III, par. 4, cioè i trattamento meno favorevole
accordato alla benzina importata, ma la misura stessa, a dover essere relativa
a tale conservazione356. A riguardo, l’Organo d’appello contestò anche la
ambientale, ma fu fortunatamente rigettata da panel, il quale ritenne che la rinnovabilità
della risorsa non minasse in linea di principio la possibilità di qualificarla come risorsa
esauribile, potendosi comunque intaccare la qualità disponibile della risorsa o logorarne la
qualità. Ibidem, par. 6.37.
355
Ibidem, par. 6.40. “The Panel then considered whether the precise aspects of the
Gasoline Rule that it had found to violate Article III -- the less favourable baseline
establishments methods that adversely affected the conditions of competition for imported
gasoline -- were primarily aimed at the conservation of natural resources. The Panel saw no
direct connection between less favourable treatment of imported gasoline that was
chemically identical to domestic gasoline, and the US objective of improving air quality in
the United States. (…) The Panel therefore concluded that the less favourable baseline
establishments methods at issue in this case were not primarily aimed at the conservation of
natural resources” (corsivo aggiunto)
356
“In our view, the Panel here was in error in referring to its legal conclusion on
Article III:4 instead of the measure in issue. The result of this analysis is to turn Article XX
on its head. Obviously, there had to be a finding that the measure provided "less favourable
treatment" under Article III:4 before the Panel examined the "General Exceptions"

160
scarsa chiarezza dei termini “direct connection” usati dal panel, non
potendosi evincere se dovessero essere considerati o meno sinonimi di
“primarly aimed”, il quale, comunque non fa parte dei termini del trattato, e
non deve essere considerato una sorta di “cartina tornasole” per valutare
l’inclusione o l’esclusione della misura nella fattispecie contemplata
dall’eccezione in questione357. Il bilanciamento tra le disposizioni
fondamentali dell’Accordo Generale e le sue eccezioni dovrà essere operato
dall’interprete caso per caso, valutando attentamente ogni elemento di fatto
e di diritto358. Riguardo al caso in specie, apparve sicuramente possibile
identificare una relazione sostanziale tra la Gasoline Rule e la conservazione
dell’aria pulita e conseguentemente risultò pienamente soddisfatta anche la
seconda condizione posta dall’art. XX g).
Relativamente alla verifica della sussistenza di corrispettive restrizioni
sul piano nazionale, l’Organo d’appello specificò chiaramente che la
clausola dovesse essere considerata come una esplicita richiesta di
imparzialità359. Quale che sia il significato da attribuire al concetto di
imparzialità, esso appare palesemente in contrasto con qualunque pretesa di
identità di trattamento tra prodotti nazionali e prodotti importati, non
potendosi altrimenti considerare violato l’art. III, né, quindi, invocare le
giustificazioni contemplate dall’art. XX. Parallelamente, se non dovesse
sussistere alcuna restrizione a livello interno, l’unico proposito attribuibile
alla misura sarebbe la protezione del mercato nazionale. Pertanto anche in
tal caso spetterà all’interprete operare un’attenta valutazione caso per caso.
Ed in questo caso, gli standard assegnati ai produttori e ai rivenditori
contained in Article XX. That, however, is a conclusion of law. The chapeau of Article XX
makes it clear that it is the "measures" which are to be examined under Article XX(g), and
not the legal finding of "less favourable treatment."” Rapporto dell’Organo d’appello, WTO
doc. WT/DS2/AB/R, del 29 aprile 1996, p. 15, consultabile sul sito dell’OMC, ww.wto.org
(pagina base).
357
Ibidem, p. 17.
358
The relationship between the affirmative commitments set out in, e.g., Articles I, III and
XI, and the policies and interests embodied in the "General Exceptions" listed in
Article XX, can be given meaning within the framework of the General Agreement and its
object and purpose by a treaty interpreter only on a case-to-case basis, by careful scrutiny
of the factual and legal context in a given dispute, without disregarding the words actually
used by the WTO Members themselves to express their intent and purpose.” Ibidem.
359
“The clause is a requirement of even-handedness in the imposition of restrictions, in the
name of conservation, upon the production or consumption of exhaustible natural
resources”. Ibidem, p. 19.

161
nazionali, poterono ragionevolmente rientrare nella nozione di restrizioni
della produzione o del consumo nazionali360.
I “nodi” sulla base dei quali il panel aveva ritenuto di escludere la
Gasoline Rule dal novero delle misure giustificate dall’art. XX g), vennero
al pettine nel corso dell’ultimo passaggio del processo di verifica operato
dall’Organo d’appello, ossia quando divenne necessario passare a
controllare la maniera in cui la misura veniva concretamente applicata,
valutando il rispetto delle condizioni che lo chapeau dell’articolo stabilisce
per evitare ogni possibile abuso delle successive eccezioni. È in tale fase che
deve essere esaminato il trattamento meno favorevole, al fine di determinare
se tale forma di discriminazione sia stata attuata in maniera tale da risultare
arbitraria o ingiustificata, dando luogo ad una restrizione dissimulata del
commercio internazionale. In merito al significato da attribuire alle tre
nozioni, infatti, l’Organo d’appello, impegnato per la prima volta nel
tentativo di fornire un’interpretazione delle disposizioni dello chapeau, offrì
una lettura che determina una stretta interconnessione tra i tre concetti,
senza giungere a delineare una precisa linea di demarcazione, ma
sintetizzando che la ratio della prescrizione deve essere rinvenuta
nell’obiettivo inderogabile di garantire il rispetto delle norme fondamentali
dell’Accordo generale di fronte alle ipotesi di abuso o di uso illegittimo
delle eccezioni ivi contemplate361. Tali presupposti non risultarono
360
A riguardo, l’Organo d’appello ritenne necessario specificare due aspetti. Primo, osservò
che l’uso della congiunzione disgiuntiva “or” consentiva di concentrare le restrizioni
soltanto su uno dei due livelli. Secondo, sottolineò che, al contrario di quanto sostenuto dal
Venezuela, non potesse essere richiesto una sorta di test empirico dell’efficacia della
misura rispetto al fine che si propone, considerata l’estrema difficoltà di provare simili
questioni sia a livello scientifico che giuridico. Ma, posto che una misura che per sua natura
non potesse ottenere nessun effetto di tutela ambientale non potrebbe senz’altro essere
primariamente finalizzata alla conservazione delle risorse naturali esauribili, si introduce la
possibilità che la prevedibilità degli effetti di una misura rientrante in tale fattispecie debba
avere una certa rilevanza, seppure non vengano specificati i criteri da seguire nel corso di
tale valutazione. Ibidem, p. 20.
361
“"Arbitrary discrimination", "unjustifiable discrimination" and "disguised restriction" on
international trade may, accordingly, be read side-by-side; they impart meaning to one
another. It is clear to us that "disguised restriction" includes disguised discrimination in
international trade. It is equally clear that concealed or unannounced restriction or
discrimination in international trade does not exhaust the meaning of "disguised
restriction." We consider that "disguised restriction", whatever else it covers, may properly
be read as embracing restrictions amounting to arbitrary or unjustifiable discrimination in
international trade taken under the guise of a measure formally within the terms of an
exception listed in Article XX. Put in a somewhat different manner, the kinds of

162
soddisfatti nel caso in specie. L’Organo d’appello considerò che agli Stati
Uniti si presentassero varie alternative, tra cui, in primis, la possibilità di
imporre gli stessi standard alla benzina importata e a quella nazionale. Le
ragioni addotte dal governo statunitense riguardanti le difficoltà
amministrative che l’attuazione di un regime analogo avrebbe comportato,
non furono ritenute sufficienti, considerato che la strada della cooperazione
con i governi interessati non era stata concretamente battuta. Inoltre, veniva
contestato agli Stati Uniti di non aver tenuto in considerazione i costi che i
produttori stranieri avrebbero dovuto affrontare nell’attuazione degli
standard della Gasoline Rule nel corso della valutazione costi benefici che
precedettero la sua adozione. Di conseguenza, la discriminazione avrebbe
potuto essere prevista e quindi non poteva essere considerata meramente
involontaria o imprevedibile362. Tale accezione del grado di discriminazione
ammissibile costituisce un ulteriore elemento restrittivo caratterizzante
l’approccio all’applicazione delle eccezioni ambientali363.
Un ulteriore aspetto degno di attenzione, sollevato nel corso del
secondo grado di giudizio, riguarda la distinzione tra i termini “relating to”
e “necessary” utilizzati nell’art. XX364. L’Organo d’appello ritenne di dover
segnare una forte linea di demarcazione fra l’ambito di applicazione delle
due eccezioni. Facendo riferimento alle regole generali di interpretazione
codificate dalla Convenzione di Vienna e rientranti in quelle norme di diritto
internazionale generale che l’art. 3, par. 2, del DSU, prevede debbano
guidare panel e Organo d’appello nell’esercizio dell’attività di
interpretazione e di applicazione del diritto, viene negata la possibilità che si
fosse inteso attribuire significati analoghi a parole diverse.
Conseguentemente, i presupposti legittimanti un’eccezione, quali, ad
esempio il test di necessità delle least trade-restrictive measures, non

considerations pertinent in deciding whether the application of a particular measure


amounts to "arbitrary or unjustifiable discrimination", may also be taken into account in
determining the presence of a "disguised restriction" on international trade. The
fundamental theme is to be found in the purpose and object of avoiding abuse or
illegitimate use of the exceptions to substantive rules available in Article XX.” (corsivo
originale). Ibidem, p. 22-3.
362
Ibidem, p. 27.
363
Cfr. SHENK, op. cit., p. 673.
364
Ibidem, p. 16.

163
devono essere soddisfatti anche in relazione a quelle che utilizzano una
diversa terminologia. Sulla questione, va rilevato che il principio di
necessità ambientale, al di fuori dell’utilizzo specifico fattone nel testo
dell’articolo e dell’interpretazione restrittiva attribuitagli, deve poter essere
considerato un parametro primario per operare l’essenziale bilanciamento
tra protezione dell’ambiente e tutela del libero scambio365. Ad ogni modo,
all’obiter dictum in cui l’Organo d’appello affronta la questione, va
riconosciuto il merito di mettere in rilievo un aspetto che assumerà notevole
importanza nei casi successivi, ossia il riconoscimento che l’Accordo
generale deve essere interpretato alla luce delle norme fondamentali del
diritto internazionale pubblico366.

2.2. Il caso dei gamberetti e delle tartarughe

Il caso United States – Import Prohibition of Certain Shrimp and


Shrimp Products (successivamente Shrimps/Turtles)367 rappresenta un punto
di svolta sostanziale nell’evoluzione del coordinamento giurisprudenziale
tra diritto del commercio e diritto dell’ambiente.
I fatti che generarono la controversia ricalcano in massima parte
quanto avvenne all’origine del caso Tuna/Dolphins. Nel 1987 gli Stati Uniti
adottarono l’Endangered Species Act368, dove si richiedeva ai pescatori
365
In tal senso, cfr. MONTINI, La necessità, cit., p. 286 e ss.; MONTINI, The Necessity
Principle as an Instrument to Balance Trade and the Protection of the Environment in
FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 135 e s.
366
Cfr. il rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS2/AB/R, p. 16: “(...) Article
3.2 of the DSU (...) reflects a measure of recognition that the General Agreement is not to
be read in clinical isolation from public international law.” (corsivo originale)
367
Sul caso Shrimps/Turtles cfr. BRUNẾE, HEY (et al.) Symposium; The United States –
Import Prohibition on Certain Shrimp and Shrimp Products Case, in YEIL, 1998, p. 3 e ss;
DE LA FAYETTE, Case Note – Recourse to article 21.5 of he DSU by Malaysia, in AJIL,
2002, p. 685 e ss.; HOWSE, The Turtles Panel. Another Environmental Disaster in
Geneva, in JWT, 1998, p. 73 e ss.; KACZKA, Case Note (Panel Report), in RECIEL, 1998,
p. 308 e ss.; MACMILLAN, op. cit., p. 88 e ss.; MAVROIDIS, Trade and Environment
after the Shrimps-Turtles Litigation, in JWT, 2000, p. 73 e ss.; MONTINI, La necessità,
cit., p. 288 e ss.; SHAFFER, Case Note, in AJIL, 1999, p. 507 e ss.; TRACHTMAN, Case
Note, in EJIL, 1999, p. 192 e ss.; TRACHTMAN, Case Note (Shrimps/Turtles) – Recourse
to Article 21.5 of the DSU by Malaysia, in EJIL, 2001, p. 793 e ss.; WERKSMAN, Case
Note, in RECIEL, 1999, p. 7 e ss.
368
Consultabile sul sito dell’EPA, www.epa.gov (pagina base).

164
operanti nel Golfo del Messico di utilizzare degli strumenti, i c.d turtles
excluding devices (TED), che consentivano di evitare la cattura accidentale
delle tartarughe nel corso della pesca dei gamberetti. Due anni dopo, nel
1989, fu emanata una nuova normativa, la Section 609 della U.S. Public
Law 101-162369, che autorizzava il Segretario di Stato americano a iniziare
appositi negoziati per arrivare alla conclusione di accordi per la protezione
delle tartarughe marine, notoriamente riconosciute come specie a rischio di
estinzione dalla Convenzione CITES. Parallelamente all’avvio dei negoziati,
la Section 609 poneva un bando alle importazioni di gamberetti pescati
tramite sistemi che non garantissero l’incolumità delle tartarughe, tranne che
nei casi in cui fosse stato possibile dimostrare che i sistemi usati
escludessero ogni rischio per le tartarughe o comportassero una percentuale
media di pesca accidentale analoga a quella registrata negli Stati Uniti. Il
Dipartimento di Stato, cui il Presidente degli Stati Uniti aveva delegato il
compito di certificare il rispetto degli standard richiesti, inizialmente limitò
il bando ai paesi caraibici e dell’Atlantico occidentale, ma in seguito alla
condanna dell’attuazione parziale da parte della Corte degli Stati Uniti del
Commercio Internazionale (US Court of International Trade, CIT), ne
venne garantita l’applicazione indifferenziata. Quattro paesi esportatori di
gamberetti, India, Malaysia, Pakistan e Thailandia, sollevarono la questione
di fronte agli organi dell’OMC.
Il rapporto del panel370 costituisce uno degli esempi più palesi della
tendenza dell’Organizzazione, denunciata con veemenza dai gruppi
ambientalisti, di subordinare la tutela ambientale alle esigenze del libero
commercio. Il panel si spinse fino ad introdurre una nuova linea
interpretativa di portata straordinariamente restrittiva, ottenendo giudizi
altamente critici da parte della dottrina371.
Gli Stati ricorrenti lamentarono la violazione degli artt. I, XI, e XIII,
non ritenendo che potesse essere giustificata a sensi dell’art. XX. Il panel
decise di non pronunciarsi riguardo agli artt. I e XIII, ma rilevò che il bando
369
Ibidem.
370
Rapporto del panel, WTO doc. WT/DS58/R, del 15 maggio 1998, consultabile sul sito
dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
371
Cfr. HOWSE, op. cit. p. 73 e ss.; KACZKA, op. cit. p. 308 e ss.

165
statunitense contravveniva al par. 1 dell’art. XI e stabilì che nel caso in
specie l’art. XX non consentiva di derogare al divieto di restrizioni
quantitative. Nel giungere a tali conclusioni il panel utilizzò un
procedimento alquanto inusuale, procedendo prima a valutare la conformità
della Section 609 alle condizioni poste dalla clausola introduttiva
dell’articolo. A riguardo, rilevò dapprima che le restrizioni statunitensi
comportavano un certo grado di discriminazione e successivamente passò a
valutare se tale discriminazione potesse considerarsi anche ingiustificata,
interpretando il significato del termine alla luce del contesto, dell’oggetto e
del fine dell’Accordo generale, rifacendosi alle osservazioni dell’Organo
d’appello nel caso Gasoline372. Il panel ritenne che il proposito centrale del
GATT 1994 fosse essenzialmente la promozione dello sviluppo economico
attraverso la tutela della libera circolazione delle merci373 e, in conseguenza
di tale valutazione, qualunque misura unilaterale che metta a rischio il
perseguimento di questo imprescindibile obiettivo deve essere considerata
inammissibile374. Inoltre, il panel pose l’accento sulla necessità di pervenire,
per quanto riguarda la protezione delle risorse naturali globali, a soluzioni
negoziate a livello multilaterale. Qualunque misura unilaterale adottata
senza aver seriamente tentato di raggiungere una soluzione reciprocamente
accettabile, deve essere considerata una discriminazione ingiustificata375.
Il divieto assoluto di condizionare l’accesso al proprio mercato
all’adozione di determinate politiche da parte dello Stato esportatore,
esclude esplicitamente ogni ipotesi di misure commerciali con effetto
extragiurisdizionale applicabili ai processi e ai metodi produttivi,
legittimando, quindi, la prospettiva secondo la quale la volontà di sfruttare
indiscriminatamente le specie in via di estinzione, poste sul proprio
territorio, possa costituire una base accettabile su cui fondare un vantaggio
competitivo. Le critiche rivolte all’operato del panel riguardano anche la
decisione di non ammettere la partecipazione di due ONG in qualità di
372
Cfr. Gasoline, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS2/AB/R, p. 18.
373
Cfr. Shrimps/Turtles, rapporto del panel, WTO doc. WT/DS58/R, par. 7.42.
374
Il panel ripeté per ben otto volte che qualsiasi misura che possa minare, indebolire,
rappresentare un rischio o una minaccia per il sistema commerciale multilaterale è da
considerarsi contraria all’Accordo generale. Ibidem, parr. 7.44, 7.45, 7.51, 7.55, 7.60, 7.61.
375
Ibidem, par. 7.61

166
amici curiae. Inoltre, larga parte del rapporto è dedicata a valutare le
conclusioni scientifiche raggiunte dai gruppi di esperti presentati da tutte le
parti alla controversia. Sulla base di quanto da essi riportato, appare palese
la totale assenza di certezza scientifica riguardo alla migliore politica da
adottare per preservare le tartarughe, ma il panel non soltanto non ritenne
necessario conformarsi ad un approccio precauzionale, ma si spinse fino
capovolgere il significato della precauzione, al punto di considerare
l’incertezza scientifica una base sufficiente a giustificare l’inazione.
L’Organo d’appello376, pur pervenendo alle medesime conclusioni
circa la contrarietà della misura statunitense allo chapeau dell’art. XX,
operò una sostanziale rettifica del processo interpretativo seguito dal panel,
ribaltandone in parte i risultati pratici riguardo alla possibilità di adottare
misure che condizionino l’accesso al mercato all’adozione di determinate
politiche ambientali e giungendo fino a legittimare, in ipotesi, l’adozione di
misure commerciali relative ai processi e ai metodi produttivi dotate, quindi,
di portata extragiurisdizionale.
In primo luogo, l’Organo d’appello si pronunciò circa l’assoluta
discrezionalità dei panel e dell’Organo stesso riguardo all’ammissibilità
delle amicus curiae brief, ossia i documenti informativi tramite i quali agli
attori non statali viene offerta la possibilità di assumere un ruolo nel quadro
dell’ordinamento internazionale377. Pur non pronunciandosi riguardo agli
aspetti procedurali della questione, l’Organo dette un’interpretazione
estensiva degli artt. 12 e 13 del DSU, correggendo il giudizio del panel, che
non aveva ritenuto di potervi riscontrare la base giuridica per l’ammissibilità
dei rapporti non esplicitamente richiesti dagli organi giudiziari378.
Successivamente, passò a contestare la ratio dell’interpretazione dello
chapeau data dal panel. Ribadendo quanto esplicitato nel caso Gasoline,
376
Cfr. Shrimps/Turtles, rapporto dell’Organo d’Appello, WTO doc. WT/DS58/AB/R, del
12 0ttobre 1998, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
377
Per un’attenta disamina dell’evoluzione storica e dei profili sostanziali della figura
dell’amicus curiae, cfr., ampiamente, BARATTA, La legittimazione processuale
dell'amicus curiae dinanzi agli organi giudiziali dell'Organizzazione mondiale del
commercio, in RDI, 2002, p. 549 e ss.; riguardo alla funzione degli amici curiae nel quadro
della promozione dello sviluppo sostenibile, cfr. DUNOFF, Border Patrol at the World
Trade Organization, in BRUNNẾE, HEY (et al.), op. cit., p. 20 e ss.
378
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 108.

167
l’Organo d’appello sottolineò che l’iter interpretativo doveva essere
rispettato, in quanto riflettente la struttura logica fondamentale necessaria a
definire la corretta applicazione dell’art. XX, dal momento che il test dello
chapeau differiva a seconda del tipo di misura in esame379; in secondo
luogo, specificò come la funzione della clausola introduttiva dell’art. XX
fosse impedire l’abuso delle eccezioni ivi contemplate tramite il controllo
del modo in cui vengono concretamente applicate, mentre il panel aveva
invertito il processo interpretativo e aveva focalizzato l’attenzione sulla
natura della misura stessa e sull’obiettivo che si proponeva380. Inoltre, il
panel aveva errato nell’applicazione del disposto dell’art. 3, par. 2, del
DSU, che prescrive la conformità alle regole generali di interpretazione
dell’attività interpretativa svolta dagli organi giudiziali dell’Organizzazione.
L’Organo d’appello passò quindi ad esaminare se la misura
statunitense fosse provvisoriamente giustificabile sulla base della lettera g)
dell’art. XX381. In tal senso, concluse che essa poteva legittimamente
rientrare nel novero delle misure riguardanti la conservazione delle risorse
naturali esauribili, dal momento che la nozione di tale tipologia di risorse
doveva essere considerata alla luce dell’evoluzione della sensibilità
internazionale in merito alle rinnovate esigenze di tutela ambientale insite

379
Ibidem, par. 120: “The task of interpreting the chapeau so as to prevent the abuse or
misuse of the specific exemptions provided for in Article XX is rendered very difficult, if
indeed it remains possible at all, where the interpreter (like the Panel in this case) has not
first identified and examined the specific exception threatened with abuse. (…) When
applied in a particular case, the actual contours and contents of these standards will vary as
the kind of measure under examination varies. What is appropriately characterizable as
"arbitrary discrimination" or "unjustifiable discrimination", or as a "disguised restriction
on international trade" in respect of one category of measures, need not be so with respect
to another group or type of measures. The standard of "arbitrary discrimination", for
example, under the chapeau may be different for a measure that purports to be necessary to
protect public morals than for one relating to the products of prison labour.” (corsivo
aggiunto) In ragione di una simile argomentazione, appare senz’altro contraddittoria la
decisione dell’Organo d’appello di non condurre, per ragioni di economia
giurisprudenziale, un esame della normativa americana anche ai sensi dell’art. XX b).
Trattandosi di una differente tipologia di misure, il test dello chapeau sarebbe potuto essere
diverso e, almeno in linea di principio, avrebbe potuto condurre a risultati differenti. Cfr.
TRACHTMAN, Case Note (Shrimps/Turtles), cit, p. 194.
380
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 115.
381
L’Organo d’appello decise di valutare prima la conformità alla lettera b) soltanto qualora
la misura non si fosse mostrata conforme alla lettera g) come esplicitamente richiesto dagli
Stati Uniti. Ibidem par. 125.

168
nel principio dello sviluppo sostenibile382, che, com’è noto, le parti
contraenti avevano deciso di includere nel preambolo dell’Accordo OMC al
termine dell’Uruguay Round. Inoltre, numerose convenzioni internazionali
riconoscono alle specie viventi la qualifica di risorse naturali, mentre la
Convenzione CITES include le tartarughe tra le specie in via di estinzione,
fatto che consente il attribuire loro la qualifica di risorse esauribili. Di
conseguenza l’Organo d’appello rigettò l’argomentazione avanzata dagli
Stati ricorrenti, secondo la quale l’art. XX g) avrebbe dovuto riguardare
soltanto le risorse del tutto incapaci di riprodursi come, ad esempio, i
minerali e passò a valutare la relazione tra la misura e la conservazione delle
risorse. Anche in tale circostanza, richiamò quanto stabilito nel caso
Gasoline riguardo alla necessaria sussistenza di una relazione sostanziale,
intesa come uno stretto e genuino rapporto tra i mezzi impiegati e i fini che
si propone di raggiungere383. Dal momento che gli obiettivi e la struttura
generale della Section 609 rispondevano a tale criterio e che i risultati
conseguibili tramite la sua applicazione apparivano proporzionati e
ragionevolmente correlati agli strumenti impiegati384, l’Organo d’appello
procedette a rilevare l’esistenza del requisito di imparzialità rinvenibile
nell’applicazione congiunta di misure restrittive della produzione e del
consumo nazionali. L’obbligo di utilizzo delle TED imposto ai pescatori
382
Ibidem, parr. 129, 130: “The words of Article XX(g), "exhaustible natural resources",
were actually crafted more than 50 years ago. They must be read by a treaty interpreter in
the light of contemporary concerns of the community of nations about the protection and
conservation of the environment. While Article XX was not modified in the Uruguay
Round, the preamble attached to the WTO Agreement shows that the signatories to that
Agreement were, in 1994, fully aware of the importance and legitimacy of environmental
protection as a goal of national and international policy. The preamble of the
WTO Agreement -- which informs not only the GATT 1994, but also the other covered
agreements -- explicitly acknowledges "the objective of sustainable development. (…)From
the perspective embodied in the preamble of the WTO Agreement, we note that the generic
term "natural resources" in Article XX(g) is not "static" in its content or reference but is
rather "by definition, evolutionary..” (corsivo originale) A sostegno di tale impostazione,
l’Organo d’appello richiama esplicitamente la sentenza resa dalla Corte Internazionale di
Giustizia nel caso Namibia, in cui sostiene che i concetti inclusi in un trattato sono, per
definizione, in evoluzione e che, pertanto, la loro interpretazione non può non essere
influenzata dai successivi sviluppi del diritto internazionale e che, conseguentemente, ogni
strumento internazionale deve essere interpretato e applicato conformemente al quadro
delineato all’intero sistema giuridico esistente a momento dell’interpretazione. Cfr.
Namibia (Legal Consequences) Advisory Opinion, consultabile su I.C.J. Reports, 1971, p.
31 e ss.
383
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 136.
384
Ibidem, par. 141.

169
statunitensi, congiuntamente alla previsione di un adeguato sistema
sanzionatorio, condusse a ritenere soddisfatta anche la terza ed ultima
condizione.
La restrizione all’importazione di gamberetti fondata sul metodo
attraverso il quale questi venivano pescati venne, quindi, riconosciuta come
legittimamente rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. XX g)385.
Pertanto, in linea di principio, l’Organo d’appello mostrò di avere
implicitamente ammesso la possibilità che, tra le misure contemplate dalla
lettera g) dell’art. XX, possano legittimamente rientrare le misure
commerciali unilaterali con effetto extra-giurisdizionale386 relative ai
processi e ai metodi di produzione, le c.d. misure PPMs (acronimo di
processes and production methods). Come vedremo successivamente, nel
campo della protezione ambientale la portata di una simile decisione si
dimostra potenzialmente vastissima, in considerazione del fatto che sono
proprio i processi produttivi, ancor prima dei prodotti, all’origine dei
fenomeni di degrado riguardanti le risorse ambientali globali.

385
Ibidem, par. 121: “It appears to us, however, that conditioning access to a Member's
domestic market on whether exporting Members comply with, or adopt, a policy or policies
unilaterally prescribed by the importing Member may, to some degree, be a common aspect
of measures falling within the scope of one or another of the exceptions (a) to (j) of
Article XX. (…) It is not necessary to assume that requiring from exporting countries
compliance with, or adoption of, certain policies (although covered in principle by one or
another of the exceptions) prescribed by the importing country, renders a measure a priori
incapable of justification under Article XX. Such an interpretation renders most, if not all,
of the specific exceptions of Article XX inutile, a result abhorrent to the principles of
interpretation we are bound to apply.” (corsivo aggiunto)
386
Tale conclusione è desumibile dalla natura e dagli effetti della misura in esame, poiché
nel rapporto dell’Organo d’appello la questione dell’ambito di operatività della misura non
viene esplicitamente trattata. A riguardo, tra le osservazioni presentate dagli undici Stati
partecipanti alla controversia in qualità di Stati terzi, risulta particolarmente interessante
quella della Comunità Europea, in cui, rispetto al caso Tuna/Dolphins, viene mostrata una
sensibilità decisamente maggiore nei confronti delle misure unilaterali extragiurisdizionali:
“ (...) the EC considered that Article XX could, in certain circumstances, be relied upon to
justify measures taken to protect global commons (globally shared environmental
resources) or resources located outside the territory of a Member, provided, of course, that
the other conditions of application of the relevant exception in Article XX, and the
introductory clause thereof, were complied with. However, such circumstances should
indeed be exceptional. This followed from the fact that Article XX, as an exception to the
rules of the General Agreement, should be construed restrictively, and from the fact that, in
general international law, states could normally not apply their legislation so as to coerce
other states into taking certain actions, including modifying their own domestic standards.”
(corsivo aggiunto) Cfr. rapporto del panel, par. 3.55.

170
Ad ogni modo, come abbiamo già detto, la misura statunitense non fu
riconosciuta legittima ex art. XX, poiché l’Organo d’appello, al momento di
effettuare il bilanciamento sostanziale tra gli interessi in esame contemplato
dal test dello chapeau387, constatò che nel modo in cui essa era stata
applicata fosse rinvenibile una componente discriminatoria arbitraria e
ingiustificabile. All’esame concreto dei fatti, quando si trattò di determinare
dove passasse la “linea di equilibrio”388 tra diritti e doveri dei membri, che
può essere identificata soltanto a seguito di una verifica materiale degli
elementi fattuali del caso in specie, l’Organo d’appello concluse che
nell’applicazione della Section 609 erano presenti sei vizi essenziali che
qualificavano la misura come discriminatoria.
Il primo, e probabilmente il più importante, si riferiva all’obbligo,
imposto agli Stati che intendessero accedere al mercato statunitense dalla
normativa attuativa del Dipartimento di Stato e non dalla Section 609 in
quanto tale, di adottare essenzialmente la stessa politica e le stesse misure di
enforcement applicate dagli Stati Uniti. Invece, il Dipartimento di Stato
avrebbe dovuto richiedere l’attuazione di programmi di protezione delle
tartarughe i cui effetti dovessero essere semplicemente comparabili con
quelli della Section 609389, in considerazione delle diverse condizioni che
possono caratterizzare l’industria della pesca e la peculiare realtà socio-
economica degli altri Stati membri. Inoltre, i gamberetti pescati con metodi
analoghi a quelli utilizzati negli Stati Uniti non sarebbero potuti essere
importati comunque, fintanto che non fossero stati certificati conformi alla
normativa americana. Tale limite condusse a ritenere che l’obiettivo
effettivo della Section 609 non fosse la protezione delle tartarughe marine,

387
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 156: “Turning then to the chapeau of Article
XX, we consider that it embodies the recognition on the part of WTO Members of the need
to maintain a balance of rights and obligations between the right of a Member to invoke
one or another of the exceptions of Article XX, specified in paragraphs (a) to (j), on the one
hand, and the substantive rights of the other Members under the GATT 1994, on the other
hand.” (corsivo aggiunto)
388
Ibidem, par. 159: “The task of interpreting and applying the chapeau is, hence,
essentially the delicate one of locating and marking out a line of equilibrium (…). The
location of the line of equilibrium, as expressed in the chapeau, is not fixed and
unchanging; the line moves as the kind and the shape of the measures at stake vary and as
the facts making up specific cases differ.” (corsivo aggiunto)
389
Ibidem, parr. 161-164.

171
ma piuttosto obbligare gli altri stati membri a conformarsi esattamente ai
regolamenti statunitensi390.
Il terzo elemento che, come i due precedenti, conduce a ritenere
ingiustificata la discriminazione imposta dalla Section 609, pone l’accento
sulla vexata qaestio che pospone la possibilità di adottare misure ambientali
unilaterali all’effettivo impegno nel tentare di negoziare programmi di
protezione fondati sul mutuo consenso. Sfortunatamente, a riguardo,
l’Organo d’appello non si spinse fino determinare quali dovessero essere i
parametri da considerare per poter giungere a concludere che gli sforzi nella
negoziazione di risposte multilaterali ai problemi a ambientali potessero
considerarsi sufficienti. Ad ogni modo, nella fattispecie, il fatto che fosse
stato possibile concludere con successo i negoziati relativi alla Convenzione
inter-americana per la protezione e la conservazione delle tartarughe
marine391, condusse l’Organo d’appello a sostenere che gli Stati Uniti
avessero la possibilità di intraprendere strade alternative all’adozione
unilaterale di strumenti coercitivi392. Il quarto vizio riguardava l’iniziale
applicazione della normativa alle sole nazioni caraibiche e dell’Atlantico
occidentale, le quali, pertanto, avevano goduto di un periodo di adattamento
(phase in) più prolungato, fatto che comportava un ingiustificato vantaggio,
avendo potuto usufruire di più tempo per ammortizzare i costi di
adattamento e per valutare strategie e mercati alternativi per le loro
importazioni393. Il quinto elemento qualificante l’ingiustificabilità della
390
Ibidem, par. 165.
391
Il testo ufficiale della Inter-American Convention for the Protection and the
Conservation of Sea Turtles, aperta alla firma a Caracas il 1 dicembre 1996, è consultabile
sul sito della Convenzione, www.seaturtles.org (pagina base).
392
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello par. 171. L’Organo d’appello sottolinea la funzione
dell’art. XV della Convenzione, relativo alle misure commerciali, che consente di
determinare correttamente la posizione della “linea di equilibrio” tra i due interessi
confliggenti. Riguardo a tale impostazione, va evidenziato il fatto che l’art. XV richiede
esplicitamente ai membri che intendano adottare misure commerciali di agire
conformemente alle disposizioni degli Accordi Allegati. Decidendo di richiamare l’articolo
in questione, l’Organo d’appello circoscrive il margine di apprezzamento degli Stati
membri riguardo all’adozione di misure commerciali, cfr. TRACHTMAN, Case Note
(Shrimps/Turtles), cit. p. 81: “Thus while on one hand, the Appellate Body seems to open a
narrow opportunity for unilateral and coercitive trade measures to be applied for
environmental purposes, it appears to signal with the other hand, the WTO’s intention to
retain for itself the jurisdiction to arbitrate the compatibility of such measures with trade
rules.”
393
Ibidem, par. 173.

172
misura, riguardava i differenti sforzi fatti dagli Stati Uniti nel trasferimento
della tecnologia TED, prevalentemente orientati ai paesi dell’area caraibica.
L’ultimo elemento configurava, invece, un presupposto di discriminazione
arbitraria. Secondo l’Organo d’appello, il riferimento dello chapeau a tale
ipotesi pone in capo agli Stati membri l’obbligo di predisporre adeguate
procedure amministrative, mirate a creare le condizioni necessarie a
garantire agli Stati importatori appropriati meccanismi di tutela
amministrativa e giudiziaria. Il processo di certificazione predisposto dalla
normativa americana, invece, non presentava sufficienti garanzie di
trasparenza delle procedure né di prevedibilità degli esiti e inoltre non
contemplava la possibilità formale di appellarsi di fronte a un rifiuto né, in
generale, tutelava il diritto a un giusto processo, che l’art. X indirettamente
prescrive agli Stati membri al fine di evitare che gli esportatori possano
trovare tutela soltanto attraverso l’azione dei propri governi in seno
all’OMC394.
Come abbiamo sottolineato in precedenza, l’approccio evolutivo
all’interpretazione dell’eccezioni ambientali dell’art. XX costituisce un
radicale passo in avanti nel perseguimento dell’obiettivo di operare un equo
bilanciamento tra promozione del libero commercio e tutela ambientale. Le
implicazioni di una tale impostazione sono potenzialmente vastissime: in
primo luogo, il sistema commerciale multilaterale viene ad operare come un
sistema aperto, piuttosto che come un regime giuridico self-contained395. Un
simile approccio suggerisce come in futuro possa essere data
un’interpretazione più flessibile delle norme dell’Accordo OMC ed, in
particolar modo, del requisito di necessità ex art. XX b), soprattutto in
considerazione dell’irragionevole conseguenza che una simile accezione
394
Ibidem, par. 182.
395
Cfr. BRUNNẾE, HEY, op. cit., p. 5, dove, in riferimento alla similarità e alle analogie
tra il ragionamento dell’Organo d’appello nel caso in specie e quello della Corte
Internazionale di Giustizia nel caso Gabcicovo-Nagymaros (cfr. ante cap. I), si sottolinea
che “ (…) the Appellate Body decision represents a “dramatic departure from consistent
prior GATT panel jurisprudence, which viewed the GATT 1947 as a self contained legal
regime,” as Frederick Abbot notes in his Year-in-Review report. In a two-year period, we
also have witnessed the emergence of a rule that provides that (…) environmental
provisions included in treaties whose sole and primary aim is not to further the protection
and preservation of the environment must be interpreted in the light of contemporary
international environmental law.”

173
comporta, nel momento in cui si giunge a configurare un regime più elastico
ed efficace per la conservazione delle risorse naturali che per la protezione
della salute e della vita. Inoltre, emerge chiaramente la tendenza a
considerare legittime le restrizioni commerciali che fossero adottate su base
multilaterale, per quanto, com’è noto, una simile eventualità non sia mai
venuta in rilievo nel quadro del sistema di risoluzione delle controversie.
Analogamente, dovrebbero considerarsi conformi alla normativa GATT
anche le sanzioni unilaterali adottate al termine di un serio e ragionevole
impegno nella negoziazione che non abbia condotto a risultati, per quanto i
contorni di tale ipotesi risultino di gran lunga più sfumati.
In ragione di quanto è stato detto fino ad adesso, il caso
Shrimps/Turtles, nonostante le conclusioni raggiunte, sembra avere
un’anima particolarmente ecologista, soprattutto in rapporto ai due casi
precedenti sul tonno e i delfini di cui ribalta in buona parte le conclusioni396.
Ci sono, però, alcuni aspetti che non mancano di moderare l’apertura ai
valori ambientali che l’Organo d’appello sembra aver voluto incorporare nel
sistema commerciale multilaterale.
In primis, è stata avanzata l’idea che il test di necessità continui a
imporre vincoli particolarmente stringenti anche al di fuori dell’ambito di
applicazione dell’art. XX b), invalidando la portata innovativa del caso
Gasoline. Ciò sembrerebbe essere conseguenza della mancata
specificazione, nel corso del test dello chapeau, dei criteri cui attenersi al
fine di poter concludere che gli forzi in campo negoziale possano ritenersi
sufficienti, configurando nuovamente una sorta di prova diabolica
faticosamente sormontabile, considerato che, in linea di principio, la strada
che porta ad una soluzione consensuale rimane praticamente sempre aperta,
anche di fronte allo Stato più recalcitrante. A riguardo, una parziale
attenuazione di una simile preoccupazione può essere dedotta, come

396
Va notato che l’Organo d’appello giunge a conclusioni opposte in merito a questioni di
sostanziale rilevanza, ma, nel corso del rapporto, evita accuratamente di fare riferimento ai
due casi Tuna/Dolphins, facendo anzi presente in più punti come le conclusioni e le
considerazioni effettuate nel caso in specie debbano considerarsi relative soltanto a
quest’ultimo.

174
vedremo, dalle indicazioni emerse nel corso del ricorso ex art. 21, par. 5, del
DSU.
In secondo luogo, suscitano perplessità ancora maggiori le
motivazioni addotte in merito all’ingiustificabilità della discriminazione
derivante dall’attribuzione di diversi periodi di phase-in agli Stati
esportatori di gamberetti. Come abbiamo visto, gli Stati caraibici e
dell’Atlantico occidentale avevano goduto di un periodo di adattamento più
lungo e, pertanto, avevano avuto una notevole facilitazione per coprire i
costi di assestamento e per cercare mercati alternativi dove dirigere le
esportazione in contrasto con la Section 609397. Quest’ultima ipotesi
sottintende evidentemente una ratio del tutto inconciliabile con ogni pretesa
di protezione dell’ambiente globale e nella fattispecie con il proposito di
conservare le tartarughe marine in qualità di specie in via di estinzione e di
componente effettivo della diversità biologica, che, come abbiamo visto, è
stata riconosciuta come interesse comune dell’umanità dalla Convenzione di
Rio sulla biodiversità. Sembra, invece, che la tutela accordata alle tartarughe
trovi giustificazione soltanto nella loro natura di “global commons” e nel
“sufficient nexus” che l’Organo d’appello ha ritenuto di poter individuare tra
le esigenze di conservazione degli Stati Uniti e la natura di specie migratoria
delle tartarughe marine. Al di fuori delle specifiche esigenze fatte proprie da
uno degli Stati membri, le tartarughe marine tornano ad essere una risorsa
naturale di cui uno Stato può usufruire a proprio piacimento, fino al punto di
poter decidere di fondare il proprio vantaggio comparato sul loro
sfruttamento incondizionato anche in caso di rischio di estinzione. Tale
prospettiva si dimostra in aperto contrasto con ogni proposito di garantire la
sostenibilità ambientale dello sviluppo economico, mentre si trova in
perfetta coerenza con l’impostazione del preambolo del GATT 1947, il
quale, a fronte del riconoscimento del principio dello sviluppo sostenibile,

397
Cfr. il rapporto dell’Organo d’appello, par. 173: “The length of the "phase-in" period is
not inconsequential for exporting countries desiring certification. That period relates
directly to the onerousness of the burdens of complying with the requisites of certification
and the practical feasibility of locating and developing alternative export markets for
shrimp. The shorter that period, the heavier the burdens of compliance, particularly where
an applicant has a large number of trawler vessels, and the greater the difficulties of re-
orienting the harvesting country's shrimp exports.” (corsivo aggiunto)

175
poneva il pieno utilizzo delle risorse mondiali tra gli obiettivi del sistema
commerciale internazionale398.
Un ultimo aspetto controverso, che non ha ricevuto particolare
attenzione né da parte dell’Organo d’appello né nel corso del dibattito su
commercio e ambiente399, ma che merita di essere sottolineato nel momento
in cui si afferma che l’obiettivo di fondo non è la protezione ambientale in
quanto tale, ma la sua integrazione nelle esigenze di sviluppo economico,
riguarda gli aspetti redistributivi e i problemi di reciprocità del danno, due
questioni quanto mai rilevanti nel momento in cui, come in questo caso, la
controversia coinvolga Stati in via di sviluppo e Stati industrializzati. Il
problema tende a porsi in termini tipicamente “coaesiani”400, per cui uno
Stato industrializzato che intenda imporre determinati standard ambientali a
un paese in via di sviluppo dovrebbe essere tenuto a sostenere i costi di tale
adeguamento, compensando economicamente gi sforzi in campo
ambientale, coerentemente con il principio delle responsabilità comuni ma
differenziate.

2.3. (segue) Il ricorso della Malaysia ex art. 21, par. 5, del DSU
398
Su questi ultimi due aspetti del rapporto dell’Organo d’appello cfr. MANN, Of
Revolution and Results: Trade-and-Environment Law in the Afterglow of the Shrimp-Turtle
Case, in BRUNNẾE, HEY, op. cit., p. 32 e ss.. “The challenge that lies ahead for the WTO
can be phrased in its own terminology: to ensure that the integrative language of the
Appellate Body and the desirability of promoting a multilateral process for integrating
environment and sustainable development principles into trade law do not themselves
become disguised barriers to achieving this goal.” Ibidem, p. 35
399
Cfr. ATIK, Two Hopeful Readings of Shrimp-Turtle, in BRUNNẾE, HEY, op. cit., p. 6 e
ss. In tal senso, anche la conclusione raggiunta dall’Organo d’appello circa l’illegittimità
del blocco delle importazioni, assume una diversa connotazione: “Shrimp-Turtle should not
be understood as abandoning the turtles to their fates. Ruling in favour of market access in
this case (recognizing market access as a quasi-property right) simply challenger the United
States to pay for what it hopes to achieve. The United States is free to pick p the costs of
installing and operating turtle excluding devices for India et al. shrimping fleets. Indeed,
such an offer might induce regulatory harmonization. For me, at least, this decision squares
with redistributive justice: a rich country that wishes to impose a production standard on a
poor one should be asked to pay for it.” Ibidem, p. 9.
400
Sul teorema di Coase, che collega l’ottimizzazione dell’allocazione delle risorse
ambientali al conferimento di diritti di proprietà, cfr. TUNER, PEARCE, BATEMAN, op.
cit. p. 199 e ss.

176
Nel novembre del 1999 gli Stati Uniti presentarono al DSB un
rapporto401 in cui venivano mostrati i cambiamenti apportati alla normativa
attuativa della Section 609 in base di quanto disposto dall’Organo
d’Appello. Parallelamente all’adozione delle nuove linee guida402, gli Stati
Uniti avevano dato inizio ai negoziati per un accordo sulla conservazione
delle tartarughe con gli Stati del Sud-Est Asiatico403. Dei quattro Stati
ricorrenti, soltanto la Malaysia decise di presentare ricorso ai sensi dell’art.
21, par. 5, del DSU, riguardo all’adeguatezza delle misure in questione. Il
panel originario si pronunciò circa la legittimità della misura statunitense404
e, pertanto, la Malaysia decise di presentare appello anche contro
quest’ultimo rapporto. L’Organo d’appello giunse a conclusioni analoghe
riguardo alle nuove linee guida, non mancando di specificare, come aveva
fatto il panel, che la violazione dell’art. XI sarebbe stata legittimata dall’art.
XX fintanto che gli Stati Uniti avessero continuato a dare prova di portare
avanti in buona fede una seria attività negoziale405. I due rapporti
svilupparono ampiamente quest’ultimo aspetto, al fine di tentare di
determinare criteri più circoscritti ed oggettivi in base ai quali condurre
l’esame di una eventuale misura unilaterale, posto che richiedere che le
negoziazioni conducano obbligatoriamente a buon fine, equivarrebbe a
conferire un diritto di veto ad ogni singolo Stato, escludendo a priori ogni
ipotesi di azione unilaterale406. In merito, il rapporto del panel risulta molto
più circostanziato, per quanto incapace di fornire effettivamente concreti

401
Cfr. il rapporto degli Stati Uniti del 15 luglio 1999, WTO doc. WT/DS58/15,
consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base)
402
Cfr. Revised Guidelines for the Implementation of Section 609 of Public Law 101-162
Relating to the Protection of Sea Turtles in Shrimp Trawl Fishing Operations, consultabili
sul sito dell’EPA, www.epa.org (pagina base)
403
Cfr. Memorandum of Understanding on the Conservation and Management of Marine
Sea Turtles and Their Habitat of the Indian Ocean and South-East Asia, l’accordo, di cui
oggi sono parti ventiquattro Stati tra cui Thailandia e Pakistan, è stato firmato il 14 luglio
del 2000 ed è entrato in vigore il 1 settembre del 2001. Il testo ufficiale è consultabile sul
sito dell’accordo, www.seaturtles.org (pagina base).
404
Cfr. rapporto del panel, Shrimps/Turtles – Recourse to Article 21.5 by Malaysia, WTO
doc. WT/DS58/RW, del 15 giugno del 2001, par. 6.1.
405
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, Shrimps/Turtles – Recourse to Article 21.5 by
Malaysia, WTO doc. WT/DS58/AB/RW, del 22 ottobre 2001, par. 153, consultabile sul
sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
406
Ibidem, par. 123.

177
parametri di riferimento. In generale, in capo agli Stati che intendano
adottare una misura unilaterale viene posto un obbligo di diligenza
consistente nel dover portare avanti in buona fede seri sforzi nella
negoziazione in maniera continuativa e con tutti gli Stati potenzialmente
interessati, prendendo l’iniziativa prima di adottare la restrizione
commerciale e continuando con analogo impegno anche mentre questa è in
vigore407. Appare consequenziale che le misure unilaterali legittimate da un
simile approccio debbano avere una natura provvisoria, qualificandosi come
misure emergenziali408, e suscita stupore il fatto che l’Organo d’appello
abbia deciso di non analizzare questo aspetto cruciale nel proprio rapporto.
Ad ogni modo, sembra che la giurisprudenza del DSB abbia
obiettivamente imboccato la strada che porta all’integrazione del diritto
commerciale internazionale con i principi del diritto internazionale generale
e ambientale, evitando di chiudersi nella “clinical isolation” che rischia di
avere ripercussioni notevolmente negative nei confronti di esigenze
imperative della comunità internazionale. L’approccio seguito nel corso
della valutazione dell’adeguatezza delle misure adottate dagli Stati Uniti a
seguito della condanna dei criteri attuativi del 1996, consolida
l’orientamento seguito sin dal caso Gasoline e consente di affermare che
l’adozione di misure commerciali unilaterali fondate sui processi produttivi
per proteggere l’ambiente e conservare le risorse naturali costituisce, entro i
limiti specificati, una pratica consentita dalle eccezioni dell’art. XX409.

407
Cfr. rapporto del panel, par. 5.66.
408
Ibidem par. 5.88: “Finally, the Panel would like to clarify that, in a context such as this
one where a multilateral agreement is clearly to be preferred and where measures such as
that taken by the United States in this case may only be accepted under Article XX if they
were allowed under an international agreement, or if they were taken further to the
completion of serious good faith efforts to reach a multilateral agreement, the possibility to
impose a unilateral measure to protect sea turtles under Section 609 is more to be seen, for
the purposes of Article XX, as the possibility to adopt a provisional measure allowed for
emergency reasons than as a definitive "right" to take a permanent measure. The extent to
which serious good faith efforts continue to be made may be reassessed at any time. For
instance, steps which constituted good faith efforts at the beginning of a negotiation may
fail to meet that test at a later stage.” (corsivo originale)
409
Cfr. LA FAYETTE, op. cit. p. 692: “It now seems clear that any impediment to using
trade restrictive measures to protect the environment or to conserve natural resources stems
not from any defect or deficiency in the law, but from political factors and policies
preferences of WTO members that have acted if Article XX and the provisions of
international environmental law did not exist.”

178
2.4. Il caso della carne agli ormoni

Il caso European Communities – Measures Concerning Meat and


Meat Products (successivamente Hormones)410 rappresenta la prima
occasione in cui le disposizioni dell’Accordo SPS sono state sottoposte
all’esame degli organi di risoluzione delle controversie. Le origini della
disputa risalgono ad un a serie di direttive europee, adottate nei primi anni
’80, relative al divieto di somministrare ormoni per stimolare la crescita
degli animali destinati alla macellazione e al conseguente divieto di
commercializzazione delle carni degli animali allevati in tal modo411. Gli
Stati Uniti e il Canada presentarono due ricorsi paralleli412 al DSB,
richiedendo la costituzione di un panel per valutare la liceità della normativa
comunitaria sulla base degli artt. 2, 3 e 5 dell’Accordo SPS413.
Il panel ritenne che le direttive comunitarie dovessero considerarsi
contrarie ai parr. 1 e 3 dell’art. 3, relativi all’ipotesi di adozione di standard
410
Sul caso Hormones cfr. DORDI, Il caso ormoni: la ricerca di un equilibrio tra tutela
della salute e del libero commercio, in VENTURINI, op. cit. p. 226; GRADONI, La
protezione del consumatore nel diritto internazionale del commercio, in ROSSI (a cura di),
op. cit. p. 148 e ss.; HURST, Case Note, in EJIL, 1999, consultabile su www.ejil.org
(pagina base); MONTINI, La necessità, cit. p. 302 e ss.; WIRTH, Case Note, in AJIL,
1998, p. 755 e ss.; WYNTER, The Agreement on Sanitary and Phitosanitary Measures in
the Light of the WTO Decision on EC Measures Concerning Meat and Meat Products, in
MENGOZZI, International Trade Law in the 50th Anniversary of the Multilateral Trade
System, Milano, 1999, p. 471 e ss.
411
In particolare, la controversia riguardava le seguenti direttive: 81/602 del 31 luglio 1981,
che vieta l’utilizzo di sostanze ormonali ad azione tireostatica, androgenica, estrogenica e
gestagenica, ad eccezione di due ormoni sintetici e di tre ormoni naturali; 88/146 del 10
marzo 1988, che vieta l’utilizzo anche delle cinque sostanze indicate; 88/299 del 17 maggio
del 1988. le tre direttive sono state poi sostituite dalla direttiva 96/22 del 29 aprile 1996 che
rafforza notevolmente il divieto di somministrazione non soltanto a scopi alimentari ma
anche terapeutici e zootecnici e amplia gli obblighi di controllo ed esame. I testi delle
suddette direttive sono consultabili sul sito dell’Unione Europea, www.europa.eu.org
(pagina base).
412
I ricorsi vertevano su considerazioni del tutto analoghe e i due panel giunsero a identiche
conclusioni, cfr WTO doc. WT/DS26/R/USA (successivamente rapporto del panel USA) e
WTO doc. WT/DS48/R/CAN (successivamente rapporto del panel Canada), consultabili
sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base). Inoltre, i panel avevano la medesima
composizione e decisero di tenere incontri congiunti con gli esperti tecnici convocati in
base all’art. 11, par. 2, dell’Accordo SPS e all’art. 13 del DSU e di permettere alle due parti
l’accesso a tutte le informazioni fornite nel corso dei procedimenti.
413
Nella richiesta di costituzione del panel (cfr. WTO doc. WT/DS26/6, ibidem), gli Stati
Uniti lamentarono anche la violazione degli artt. III e XI del GATT, dell’art. 2
dell’Accordo TBT e dell’art. 4 dell’Accordo sull’Agricoltura. Per quanto riguarda
l’Accordo TBT il panel si pronunciò circa la sua inapplicabilità, sulla base dell’art. 1, par.
5, del medesimo. Riguardo al GATT, il panel rilevò che il contenuto normativo dei due
accordi è autonomo e il fatto che vi sia una violazione del GATT che possa essere

179
sanitari più elevati di quelli predisposti dalla Commissione del Codex
Alimentarius, poiché tali standard erano stati predisposti in violazione
dell’art. 5, ossia senza rispettare i parametri per una corretta valutazione e
gestione del rischio. A tal fine, veniva richiesto il rispetto di alcune
condizioni procedurali e sostanziali: da un lato, la Comunità doveva
dimostrare di aver preso in considerazione la valutazione scientifica del
rischio nel momento in cui predisponeva le proprie misure; dall’altro, le
conclusioni scientifiche implicite in tali misure dovevano essere conformi a
quelle raggiunte in sede di valutazione. La Comunità venne giudicata
responsabile di un illecito in entrambi i casi414. Le argomentazioni addotte
dalla Comunità a giustificazione di tale violazione delle procedure di
valutazione del rischio si ricollegano allo status di norma di diritto
internazionale generale che dovrebbe essere attribuita al principio
precauzionale. Nell’opinione della Comunità, la precauzione avrebbe
dovuto delineare l’approccio interpretativo alle norme di valutazione del
rischio contenute nei parr. 1 e 2 dell’art. 5, consentendo, quindi, l’adozione
di misure analoghe e quelle contenute nelle direttive comunitarie. Appare
evidente come difficilmente potesse essere ritenuta accettabile
un’interpretazione dello status del principio precauzionale che esuli
completamente dalla specifica formulazione del principio che viene
esplicitata all’art. 5, par. 7, considerato, inoltre, che la Comunità decise di
specificare apertamente che, nel caso in specie, non intendeva invocare tale
disposizione415.

giustificata sulla base dell’art. XX b) non costituisce una condizione per l’applicabilità
dell’Accordo SPS in sede contenziosa, il quale riguarda semplicemente le misure sanitarie e
fitosanitarie, aggravando il contenuto degli obblighi dell’art. XX b) in relazione a
quest’ultime. Di conseguenza, coerentemente con il principio dell’economia giudiziaria, il
panel procedette prima a valutare il rispetto delle norme SPS, poiché in caso di accertata
compatibilità della normativa europea in base all’art. XX b) sarebbe stato comunque
necessario procedere ad operare un’analoga valutazione riguardo all’Accordo SPS.
414
Infatti, da una parte, i preamboli delle direttive non facevano alcun riferimento agli studi
scientifici che la Comunità sosteneva essere a fondamento dei propri provvedimenti, ma
unicamente a rapporti non scientifici e a pareri del Parlamento Europeo; dall’altra, sia gli
studi presentati a titolo di prova sia i pareri degli esperti consultatati, concordano nel
ritenere che non sussiste alcun rischio per la salute dell’uomo se le sostanze ormonali in
questione sono somministrate seguendo regole di buona pratica veterinaria, mentre le
misure comunitarie ne escludono completamente l’utilizzo, ritenendo implicitamente che
esse possano produrre in ogni caso effetti nocivi.

180
L’Organo d’appello condannò ugualmente le direttive comunitarie, ma
soltanto per la violazione dell’art. 5., par. 1, e quindi dell’art. 3, par. 3, non
ritenendo che essa fosse tenuta anche a rispettare gli standard internazionali
esistenti. Infatti, modificò le conclusioni del panel riguardo al significato da
attribuire ai termini “based on” e “conform to”, utilizzati rispettivamente nei
parr. 1 e 2 dell’art. 3. Secondo il panel, a tali termini doveva essere dato un
significato tendenzialmente analogo, configurando, quindi, una sorta di
obbligo giuridico di armonizzazione. Invece, l’Organo d’appello ha ritenuto
che le misure fondate sugli standard internazionali di cui al par. 1, debbano
limitarsi a prendere in considerazione gli elementi costitutivi di tali
standard, i quali, conseguentemente, sono da intendersi come mere
raccomandazioni, potendo eventualmente configurare, ex par. 2, una
presunzione di conformità alle disposizioni dell’Accordo416.
Successivamente, fu contestata anche la distinzione, operata dal panel, tra
valutazione e gestione del rischio, la prima fondata su considerazioni
oggettive di natura scientifica ed economica, la seconda finalizzata a
incorporare nelle politiche sanitarie i peculiari valori sociali di ogni singolo
Stato membro. Infatti, la valutazione del rischio in quanto tale non può
essere considerata un processo che tiene conto unicamente di considerazioni
di carattere quantitativo, ma deve essere condotta tenendo presenti anche
fattori di ordine sociale417.

415
Cfr. rapporto del panel USA, par. 8.157 e rapporto del panel Canada, par. 8.160: “The
European Communities also invokes the precautionary principle in support of its claim that
its measures in dispute are based on a risk assessment. To the extent that this principle
could be considered as part of customary international law and be used to interpret
Articles 5.1 and 5.2 on the assessment of risks as a customary rule of interpretation of
public international law (as that phrase is used in Article 3.2 of the DSU),we consider that
this principle would not override the explicit wording of Articles 5.1 and 5.2 outlined
above, in particular since the precautionary principle has been incorporated and given a
specific meaning in Article 5.7 of the SPS Agreement. We note, however, that the European
Communities has explicitly stated in this case that it is not invoking Article 5.7.” (corsivo
aggiunto)
416
Ibidem, par. 165.
417
Ibidem, par. 187: “It is essential to bear in mind that the risk that is to be evaluated in a
risk assessment under Article 5.1 is not only risk ascertainable in a science laboratory
operating under strictly controlled conditions, but also risk in human societies as they
actually exist, in other words, the actual potential for adverse effects on human health in the
real world where people live and work and die.”

181
Riguardo al ruolo da attribuire al principio precauzionale, anche nel
rapporto dell’Organo d’appello le argomentazioni della Comunità Europea
non vennero accolte418, ma comunque venne riconosciuto che al principio
potesse essere attribuito un ruolo anche al di fuori della specifica
formulazione dell’art. 5., par. 7. In merito, l’Organo d’appello osservò che
sia il preambolo dell’Accordo SPS che l’art. 3, par. 3, riconoscono ai
membri il diritto di adottare standard che comportino un maggiore livello di
protezione sanitaria, ossia più “cauti”, e che, in generale, i governi tendono
a porsi su posizioni prudenti e caute in caso di rischio di danno irreversibile
alla salute umana, circostanza che dovrebbe indurre ad attribuire
un’accezione similare anche alla nozione di “prove scientifiche sufficienti”
contenuta nell’art. 2, par. 2419. Ad ogni modo, in mancanza di un’esplicita
indicazione in tal senso, gli organi giudiziari non possono esimersi
dall’applicare i principi consuetudinari di interpretazione nell’applicazione
delle disposizioni dell’Accordo SPS, e pertanto il principio precauzionale
non può prevalere sull’art. 5, parr. 1 e 2 e, in tal senso, deve essere invocato
esclusivamente nella formulazione restrittiva prevista dal par. 7
dell’articolo, ossia in via provvisoria e con l’obbligo di cercare di ottenere le
informazioni addizionali al fine di riesaminare la misura entro un periodo di
tempo ragionevole420. Un’importante precisazione che merita di essere
rilevata, riguarda la possibilità che le opinioni scientifiche sottostanti la
valutazione del rischio, non siano espresse dalla maggioranza della

418
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS26/AB/R e WT/DS48/AB/R, del
16 gennaio 1998, par. 123: “We consider, however, that it is unnecessary, and probably
imprudent, for the Appellate Body in this appeal to take a position on this important, but
abstract, question. We note that the Panel itself did not make any definitive finding with
regard to the status of the precautionary principle in international law and that the
precautionary principle, at least outside the field of international environmental law, still
awaits authoritative formulation.”
419
Ibidem, par. 124.
420
Nel caso Japan – Measures Affecting Agricolturals Products, WTO doc.
WT/DS76/AB/R, del 22 febbraio 1999, l’Organo d’appello specificò che ai quattro requisiti
posti dall’Art 5, par. 7, dovesse essere attribuita un’importanza analoga e che dovessero
essere considerati cumulativamente. Inoltre, nella stessa sede venne data un’interpretazione
piuttosto flessibile della nozione di ragionevolezza, stabilendo che l’ampiezza del termine
oltre il quale la misura non può più ritenersi lecita è direttamente proporzionale alla
difficoltà di procurarsi informazioni addizionali. Cfr., rispettivamente, i parr. 89 e 93.

182
comunità scientifica, circostanza da cui può essere dedotto il c.d. principio
della minoranza qualificata421.
Nonostante la pronuncia dell’Organo d’appello sia considerata carente
riguardo all’applicazione concreta di quest’ultima prospettiva422, si può
ragionevolmente concludere che il principio di precauzione stia trovando il
suo spazio nell’interpretazione delle regole del WTO, grazie anche alla
funzione “maieutica” della Comunità Europea, che, com’è noto, ha sempre
mostrato una notevole sensibilità verso la tematica in questione, come
dimostrato dai successivi sviluppi della recente controversia, non ancora
giunta alla pubblicazione del rapporto di primo grado, sulla moratoria
europea verso i prodotti contenenti organismi geneticamente modificati423.

2.5. Il caso dell’amianto

La prima e, fino ad oggi, l’unica controversia risolta dal DSB in senso


favorevole alla conformità di una misura restrittiva all’eccezione dell’art.
XX b), riguarda le vicende del caso European Communities – Measures
421
Cfr. GRADONI, op. cit. p. 151 e ss. In ogni caso, l’opinione minoritaria su cui si basa
l’adozione di una misura restrittiva deve essere dotata di autorevolezza, per certificare la
quale si dovrebbe ricorrere al c.d. peer review, procedura che di regola precede la
pubblicazione dei risultati di una ricerca. Tuttavia, nei fatti, sono i periti incaricati dagli
organi dell’OMC a svolgere, a fin esclusivamente processuali, la funzione dei “pari”
nell’attestazione della correttezza metodologica dei nuovi contributi scientifici legittimanti
la misura restrittiva.
422
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, parr. 132 e ss., in cui i giudici si rifiutano di
contestare le affermazioni del panel che palesemente contrastavano con la regola della
minoranza qualificata, sostenendo la dubbia argomentazione che soltanto errori deliberati e
manifesti nell’apprezzamento delle prove scientifiche comportino un vizio della decisione
di primo grado.
423
Il caso European Communities – Measures Affecting the Approval and Marketing of
Biotech Products , sul quale il panel dovrebbe pronunciarsi entro il mese di marzo del
2006, origina dalla sospensione, da parte della Comunità Europea, dei meccanismi e delle
procedure necessari all’approvazione degli OGM e dalla conseguente moratoria de facto
dell’importazione dei suddetti prodotti. Stati Uniti, Canada e Argentina ravvisarono in tale
pratica un intento protezionistico e avviarono le procedure di risoluzione delle controversie.
Cfr. per tutti, la richiesta di avviare le consultazioni e la richiesta per la costituzione del
panel da parte degli Stati Uniti, rispettivamente WTO doc. WT/DS291/1, del 20 maggio
2003 e WTO doc. WT/DS291/23, dell’8 agosto 2003, consultabili sul sito dell’OMC,
www.wto.org (pagina base). Per un’accurata analisi delle ipotesi attualmente all’esame del
panel e dei possibili esiti della controversia, soprattutto qualora fosse identificato un
rapporto di similarità tra prodotti tradizionali e geneticamente modificati, cfr. BOISSONS
DE CHAZOURNES, MBENGUE, GMOs and Trade : Issues at Stake in the EC Biotech
Dispute, in RECIEL, 2004, p. 289 e ss.; per una visione d’insieme delle diverse posizioni
negoziali dei gruppi di Stati interessati alla questione, cfr. GRADONI, op. cit. p. 157 e ss.

183
Affecting Asbestos and Asbestos-Containing Products (successivamente
Asbestos)424. La disputa nacque da un decreto francese425 mirato a tutelare
lavoratori e consumatori dai rischi sanitari connessi all’esalazione di fibre di
amianto, ponendo un divieto generale alla lavorazione, produzione,
importazione e vendita di amianto e prodotti contenenti fibre di amianto,
con la limitata eccezione di determinati prodotti contenenti fibre di crisotile,
uno dei principali componenti dell’amianto, per cui non fossero disponibili
alternative implicanti un minore livello di rischio. Il Canada sollevò di
fronte al DSB la questione della compatibilità della normativa francese con
l’art. 2 dell’Accordo TBT e con gli artt. III e XI del GATT. Il panel non
ritenne di poter attribuire alla misura la qualifica di normativa tecnica426 e,
pertanto, procedette a valutarne la compatibilità con l’art. III, par. 4. Di
conseguenza, la questione fondamentale divenne determinare se tra i
prodotti di amianto e contenenti amianto e i prodotti sostitutivi, quali
polivinile, cellulosa e fibre di vetro (le c.d. fibre PCG, acronimo di
polyvinyl, cellulose, glass) sussistesse un rapporto di similarità. A tal fine, si
rivelava necessario accertare se tra le due categorie di prodotti si potessero
riscontrare delle differenze riguardo alla classificazione tariffaria,
all’utilizzo finale, alle preferenze e al comportamento dei consumatori dello
Stato di importazione e alle proprietà, la natura e le qualità del prodotto427.
424
Sul caso Asbestos, cfr. MONTINI, La necessità, cit. p. 322 e ss.; PALMER,
WERKSMAN, Case Note (Panel Report), in RECIEL, 2001, p. 125 e ss.; TRACHTMAN,
Case Note, in EJIL, 2001, consultabile su www.ejil.org (pagina base); WIRTH, Case Note,
in AJIL, 2002, p. 435 e ss.
425
Cfr. il decreto n. 1133/96 del 24 dicembre 1996, Décret relatif à l'interdiction de
l'amiante,
pris en application du code du travail et du code de la consommation, consultabile sul sito
www.legifrance.gouv.fr (pagina base).
426
Secondo il panel, al fine di determinare se una misura appartenga o meno alla categoria
delle normative tecniche, devono sussistere tre condizioni: deve essere indirizzata a uno o
più prodotti ben definiti; deve specificare le caratteristiche tecniche che il prodotto deve
avere per essere immesso in commercio; deve avere valore vincolante. In tal senso, soltanto
la parte relativa elle eccezioni poteva essere qualificata come normativa tecnica, ma poiché
il Canada non aveva espressamente richiesto al DSB che fosse valutata la compatibilità con
l’Accordo TBT di tale parte del decreto, il panel concluse che il decreto francese dovesse
essere esaminato soltanto sulla base del GATT. Cfr. i parr. 8.57 e 8.58 del rapporto del
panel, WTO doc. WT/DS135/R, del 18 settembre 2000, consultabile sul sito dell’OMC,
www.wto.org (pagina base).
427
Tale interpretazione risale ad un documento del 1970 redatto di un gruppo di lavoro sulle
misure fiscali applicate al confine, cfr. Working party Report on Border Tax Adjustment,
del 2 dicembre 1970, consultabile su www.worldtradelaw.net (pagina base), par. 18: “With
regard to the interpretation of the term "... like or similar products ...", (…) The Working

184
In considerazione del fatto che l’uso finale delle due tipologie di prodotti era
da ritenersi praticamente identico e che esse avevano anche analoghe
caratteristiche dal punto di vista funzionale e delle prestazioni, il panel
decise che non fosse necessario procedere nella valutazione, stabilendo,
quindi, che tali prodotti erano similari e che, pertanto, si sarebbe dovuti
passare a controllare se la violazione dell’art. III, par. 4, potesse essere
giustificata sulla base dell’art. XX b). Significativamente, il panel decise di
escludere la valutazione del rischio dal novero dei parametri da considerare
per determinare la similarità di due prodotti, poiché, in tale eventualità,
sarebbe venuta meno la principale funzione dell’art. XX b) e, inoltre, la
protezione della salute e della vita sarebbe stata sottratta al test di necessità e
alla verifica delle condizioni dello chapeau428.
Successivamente, il panel accertò che la misura francese rientrava
legittimamente tra obiettivi contemplati dall’art. XX b) e, in secondo luogo,
passò a verificare se essa potesse essere considerata necessaria al
perseguimento di tali finalità. A tal proposito, ritenne che il test dovesse
suddividersi in due passaggi fondamentali: primo, doveva essere accertata
l’ampiezza degli obiettivi di tutela della Francia, mentre, in un secondo
momento, andava considerata l’esistenza di misure alternative conformi, o
meno contrarie, al GATT capaci di perseguire i medesimi obiettivi429,
purché, naturalmente, fossero ragionevolmente disponibili. Circa
quest’ultimo aspetto, il panel specificò che la ragionevolezza di un’ipotetica
misura alternativa, ossia la proporzionalità degli oneri che comporta rispetto
i fini che intende perseguire, deve essere valutata alla luce della realtà
economica e amministrativa dello Stato membro, ma tenendo in
considerazione il fatto che uno Stato deve tendenzialmente provvedere a

Party concluded that problems arising from the interpretation of the term should be
examined on a case-by-case basis. This would allow a fair assessment in each case of the
different elements that constitute a "similar" product. Some criteria were suggested for
determining, on a case-by-case basis, whether a product is "similar": the product's end-uses
in a given market; consumers' tastes and habits, which change from country to country; the
product's properties, nature and quality.” Come sottolineato dal panel, la stessa linea
interpretativa è stata adottata anche dall’Organo d’appello nel caso Japan – Taxes on
Alcoholic Beverages, WTO doc. WT/DS8/AB/R, WT/DS10/AB/R, WT/DS11/AB/R, del 4
ottobre 1996, par. 20.
428
Cfr. rapporto del panel, par. 8.130.
429
Ibidem, par. 8.199.

185
reperire i mezzi necessari ad adempiere alle proprie politiche430. Sulla base
di tale impostazione, il panel concluse che l’ipotesi di uso controllato
dell’amianto non consentiva di raggiungere il livello di rischio ritenuto
necessario dalla Francia, ossia l’eliminazione totale di ogni potenziale
pericolo connesso all’esalazione delle fibre di amianto conseguente al
divieto totale di importazione. Coerentemente, la misura risultava
provvisoriamente giustificata ex art. XX b) e si poteva, pertanto, procedere
all’analisi dei requisiti posti dalla clausola introduttiva dell’articolo. A tal
proposito, il panel rilevò che il decreto francese non mostrava alcun effetto
protezionistico o discriminatorio e che, inoltre, il Canada non era stato in
grado di dimostrare che l’applicazione concreta della normativa
comportasse un trattamento meno favorevole all’amianto e ai prodotti
contenenti amianto di importazione piuttosto che a quelli di origine
nazionale. Pertanto, la normativa francese implicante il blocco delle
importazioni di tali prodotti poteva considerarsi pienamente legittimata
dall’eccezione contemplata dall’art. XX b)431.
A questo punto, sia il Canada che la Comunità Europea, in nome della
Francia, decisero di presentare appello contro la decisione del panel, il
primo nei confronti dell’interpretazione dell’Accordo TBT e dell’art. XX
del GATT, la seconda verso l’applicazione dell’art. III, par 4.
Per quanto concerne l’Accordo TBT, l’Organo d’appello specificò che
la normativa andava analizzata nella sua interezza e che, dal momento che il
documento definiva le caratteristiche del prodotto e aveva natura vincolante,
dovesse essere considerata una normativa tecnica. Nonostante ciò, l’analisi
degli elementi di fatto operata dal panel non consentiva di procedere alla
corretta interpretazione dei requisiti aggiuntivi che l’accordo TBT, ai parr.
1, 2, 4 e 8 dell’art. 2, impone alle normative tecniche rientranti nell’ambito
di applicazione dell’art. III, par. 4432.

430
Ibidem, par. 8.207.
431
Ibidem, parr. 8.224-8.241.
432
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS135/AB/R, del 12 marzo 2001,
par. 83. Merita di essere sottolineato che, secondo l’Organo d’appello, non tutte le
normative tecniche ex art. III, par 4, ricadono nell’ambito di applicazione dell’Accordo
TBT. Pertanto, la qualificazione di una misura dovrà essere operata caso per caso, tramite
una specifica analisi ad hoc degli elementi della controversia. Ibidem, par. 77.

186
Relativamente al quesito basilare della similarità tra prodotti
contenenti o non contenenti amianto, l’Organo d’appello approvò l’uso del
test di similarità operato dal panel fondato sulla valutazione della funzione,
sulle preferenze dei consumatori, sulla classificazione tariffaria e sulle
caratteristiche del prodotto, ma specificò che l’analisi doveva
necessariamente riguardare tutti gli elementi in questione, ponendo
un’attenzione particolare alle caratteristiche fisiche capaci di influenzare la
concorrenza tra i prodotti. In merito, all’effetto tossico e cancerogeno delle
fibre di amianto non poté non essere riconosciuto un ruolo di primo piano
nel definire le caratteristiche fisiche del prodotto. L’inclusione di
considerazioni relative alla valutazione del rischio sanitario tra i criteri
determinanti un rapporto di similarità, pur riducendo la probabilità di ricorso
all’eccezione dell’art. XX b), non la priva in alcun modo del sua efficacia e
della sua utilità433. Analogamente, la percezione di un rischio per la salute a
tal punto elevato, tende ad influenzare considerevolmente anche le
preferenze, le abitudini e l’atteggiamento dei consumatori nei confronti del
suo utilizzo, aspetto da considerarsi sostanziale nel corso del test di
similarità434. Riguardo all’utilizzo finale dei due tipi di prodotti, l’Organo
d’appello riconobbe che potessero esservi alcune sovrapposizioni, ma
permangono comunque delle ipotesi in cui la sostituzione non può ritenersi
possibile. Infine, anche la classificazione tariffaria risultava completamente
differente. Considerato, quindi, che l’unico elemento a sostegno
dell’esistenza di un rapporto di similarità risultava essere un ristretto
numero di analoghi utilizzi finali, l’Organo d’appello concluse che i prodotti
di amianto e contenenti amianto non potevano ritenersi similari a quelli in
fibre PCG e, pertanto, nella misura francese non poteva essere riscontrata
alcuna violazione dell’art. III, par. 4435.
433
Ibidem, parr. 114 e 115.
434
Ibidem, par. 121: “(…) in a case such as this, where the fibres are physically very
different, a panel cannot conclude that they are "like products" if it does not examine
evidence relating to consumers' tastes and habits. In such a situation, if there is no inquiry
into this aspect of the nature and extent of the competitive relationship between the
products, there is no basis for overcoming the inference, drawn from the different physical
properties of the products, that the products are not "like". (corsivo originale)
435
Ibidem, parr. 125 e 126. Inoltre, l’Organo d’appello specificò che anche qualora i due
prodotti fossero stati riconosciuti come similari, per accertare la violazione dell’art. III, par.

187
Merita di essere menzionata anche la dichiarazione individuale di uno
dei membri dell’Organo d’appello, in cui venne contestata un’impostazione
che, nel test di similarità, vede preponderare i fattori economici, quali la
funzione finale e le preferenze dei consumatori, rispetto alla mera esistenza
di un rischio sanitario di tale portata. Pertanto, pur circoscrivendo la propria
interpretazione all’ipotesi di rischi estremamente gravi e scientificamente
evidenti come nel caso in specie, il membro in questione ritenne necessario
specificare che la sola esistenza di un rischio per la salute dovrebbe
rappresentare una condizione sufficiente per escludere a priori la
similarità436.
Pur avendo accertato la legittimità del decreto francese, l’Organo
d’appello passò comunque ad analizzare la domanda presentata dal Canada
circa la corretta applicazione dell’eccezione dell’art. XX b) da parte del
panel. In primo luogo, negò che il rischio sanitario dovesse essere
quantitativamente determinato, poiché l’art. XX b) non contiene alcun
riferimento a tale obbligo. Al contrario, nella determinazione del rischio
devono venire in rilievo fattori sia di ordine quantitativo che qualitativo437.
In secondo luogo, ai membri venne riconosciuta la piena libertà di
determinare il livello di rischio che ritengono maggiormente adeguato alla
propria realtà politico-sociale, compreso quindi un livello pari a zero 438.
Inoltre, l’Organo d’appello specificò, significativamente, che nel valutare

4, si sarebbe comunque dovuta valutare la concreta esistenza di un trattamento sfavorevole.


Ibidem, par. 163.
436
Ibidem, par 153: “That definitive characterization (…) may and should be made even in
the absence of evidence concerning the other two Border Tax Adjustments criteria
(categories of "potentially shared characteristics") of end-uses and consumers' tastes and
habits. It is difficult for me to imagine what evidence relating to economic competitive
relationships as reflected in end-uses and consumers' tastes and habits could outweigh and
set at naught the undisputed deadly nature of chrysotile asbestos fibres, compared with
PCG fibres, when inhaled by humans, and thereby compel a characterization of "likeness"
of chrysotile asbestos and PCG fibres.” (corsivo originale)
437
Ibidem, par. 167.
438
Ibidem, par, 168: “ (…) we note that it is undisputed that WTO Members have the right
to determine the level of protection of health that they consider appropriate in a given
situation. France has determined, and the Panel accepted , that the chosen level of health
protection by France is a "halt" to the spread of asbestos-related health risks. (…)
Accordingly, it seems to us perfectly legitimate for a Member to seek to halt the spread of
a highly risky product while allowing the use of a less risky product in its place.” (corsivo
aggiunto). La legittimità della scelta di un livello di rischio nullo era già stata esplicitata
dall’Organo d’appello nel caso Australia – Measures Affecting the Importation of Salmon,
WTO doc. WT/DS18/AB/R, del 20 ottobre 1998, par. 125.

188
l’esistenza di possibili alternative meno contrarie al GATT ragionevolmente
disponibili, si dovesse considerare, oltre ai costi, anche la capacità di
quest’ultime di contribuire efficacemente al perseguimento dell’obiettivo di
protezione sanitaria439. La ragionevolezza della disponibilità delle misure
alternative acquista, pertanto, un carattere maggiormente soggettivo e
interno allo Stato membro che intenda tutelare un determinato obiettivo di
politica pubblica. Inoltre, la discrezionalità di cui può godere nel giudicare
irragionevoli determinate alternative meno contrarie al GATT, deve essere
direttamente proporzionale alla rilevanza del suddetto obiettivo. In tal senso,
sembra innegabile che il limite massimo di una simile scala di valori debba
essere rappresentato, come nel caso in specie, dalla tutela della vita e della
salute umana.
La valutazione del rischio viene, pertanto, ad assumere un duplice
ruolo: da un lato, svolge un’importante funzione nella determinazione della
similarità; dall’altro, offre un utile criterio per verificare l’effettiva necessità
di una misura restrittiva rispetto alle possibili alternative, consentendo di
creare un più stretto legame tra le iniziative di protezione ambientale e
sanitaria e la specifica realtà sociale di ogni Stato membro.
Un ultimo aspetto del rapporto dell’Organo d’appello che deve essere
ricordato concerne un’inversione di tendenza rispetto all’apertura mostrata
nel caso Shrimps/Turtles verso la partecipazione di soggetti terzi a titolo di
amici curiae. Sulla base delle indicazione emerse durante una riunione del
Consiglio generale svoltasi pochi mesi prima440, miranti a circoscrivere la
capacità di influenzare gli esiti della controversia da parte di soggetti non
statuali, raccomandando particolare cautela nell’autorizzare la presentazione
delle amicus curiae brief, l’Organo d’appello redasse delle specifiche
439
Cfr. rapporto dell’Organo d’appello, par. 172, dove l’Organo d’appello sottolinea,
rifacendosi alla sua precedente pronuncia nel caso Korea – Measures Affecting Imports of
Fresh, Chilled and Frozen Beef, WTO doc. WT/DS161/AB/R, WT/DS169/AB/R, del 10
gennaio 2001, parr. 163, 163 e 166: “We indicated in Korea – Beef that one aspect of the
"weighing and balancing process … comprehended in the determination of whether a
WTO-consistent alternative measure" is reasonably available is the extent to which the
alternative measure "contributes to the realization of the end pursued". In addition, we
observed, in that case, that "[t]he more vital or important [the] common interests or values"
pursued, the easier it would be to accept as "necessary" measures designed to achieve those
ends.”
440
Cfr. il verbale dell’incontro del 20 novembre 2000, WTO doc. WT/GC/M/60, par. 120.

189
procedure addizionali441, che, seppure limitate alla fattispecie, condussero a
negare a tutti i diciassette soggetti interessati l’autorizzazione a presentare
memorie scritte442.

3. Le misure restrittive fondate su processi e metodi produttivi

Nel quadro del coordinamento tra protezione ambientale e libertà


degli scambi, le misure PPMs443 rivestono un ruolo di assoluto rilievo.
Infatti, è in relazione a tale questione, parallelamente ad un’altra ipotesi, ad
essa strettamente collegata, ossia la rilevanza da attribuire alle disposizioni
dei MEA nel sistema OMC, che si è sviluppato il confronto tra i sostenitori
di una prospettiva ecologista o di stampo maggiormente liberista. Chi vede
nelle misure PPMs una minaccia per il sistema commerciale multilaterale,
tende principalmente ad addurre motivazioni inerenti all’inviolabilità del
dominio riservato degli altri Stati membri e alla conseguente illegittimità di
un atteggiamento mirato a subordinare l’accesso al proprio mercato
all’adozione di determinate politiche ambientali, in ragione del fatto che
tendenzialmente un metodo di produzione non segue il prodotto nel paese di
importazione. In una simile prospettiva si collocano principalmente i paesi
in via di sviluppo, i quali, alle preoccupazioni relative ad eventuali
tentazioni di “imperialismo ecologico”, aggiungono anche che ipotizzare
441
Cfr, rapporto dell’Organo d’appello, par. 52.
442
Sulla questione cfr., ampiamente, BARATTA, op. cit. p. 555 e ss.; WIRTH, op. cit. p.
438 e ss.
443
Sul dibattito relativo all’ammissibilità delle misure PPMs nel sistema OMC, cfr.
BARONCINI, L’articolo XX del GATT e i metodi di produzione non collegati a prodotti, in
ROSSI (a cura di), op. cit. p. 51 e ss.; BARONCINI, Processi produttivi: l’approccio della
Comunità Europea, in ROSSI (a cura di), op. cit. p. 271 e ss.; BODANSKY, What's So Bad
about Unilateral Action to Protect the Environment?, in EJIL, 2000, p. 339 e ss.;
BOISSONS DE CHAZOURNES, Unilateralism and Environmental Protection: Issues of
Perception and Reality of Issues, in EJIL, 2000, p. 315 e ss.; CHARNOVITZ, The Law of
Environmental “PPMs” in the WTO: Debunking the Myth of Illegality, in YJIL, 2002, p. 59
e ss.; COSBEY, The WTO and PPMs: Time to Drop a Taboo, in AA.VV., Bridges between
Trade and Sustainable Development, 2001, p. 11 e ss., consultabile su www.ictsd.org
(pagina base); FRANCIONI, op. cit., in FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 15 e ss.;
HOWSE, REGAN, The Product/Process Distinction-An Illusory Basis for Disciplining
`Unilateralism' in Trade Policy, in EJIL, 2000, p. 249 e ss ; JACKSON, Comments on
Shrimp/Turtle and the Product/Process Distinction, in EJIL, 2000, p. 303 e ss.; SANDS,
Values, and International Law, in EJIL, 2000, p. 291 e ss.

190
l’ammissibilità di tali misure aprirebbe la strada ad un vasto insieme di
misure potenzialmente protezionistiche444. Dall’altro lato, si tende invece a
privilegiare considerazioni relative ai possibili effetti di inquinamento
transfrontaliero e globale o all’esaurimento di risorse naturali non
rinnovabili e condivise, considerando che sono soprattutto i processi
produttivi, e non i prodotti in quanto tali, a generare i più allarmanti
fenomeni di degrado ambientale. Inoltre, le misure PPMs presentano
numerosi vantaggi, quali la possibilità di sopperire alla mancanza di
un’adeguata disciplina della responsabilità internazionale per danno
ambientale o fornire uno strumento deterrente alle tentazioni di free-riding
rispetto ai MEA e vengono, pertanto, riconosciute e promosse anche da altre
organizzazioni internazionali445. L’opzione privilegiata deve essere
ovviamente ricercata nella cooperazione multilaterale, successivamente
nelle misure restrittive adottate su base multilaterale446, mentre le misure
unilaterali devono inevitabilmente rappresentare un’ipotesi residuale.
Tuttavia, frequentemente la loro adozione costituisce l’unica alternativa di
fronte all’inazione e alla mancanza di un efficace sistema di governance
internazionale447 ed, inoltre, deve essere riconosciuta loro un’importante

444
La posizione assunta dal Segretariato dell’Organizzazione presenta dei caratteri
singolari, poiché, dopo un’iniziale apertura all’inizio degli anni ‘70, quando il problema
cominciò ad essere delineato all’interno del GATT, si è spostato su posizioni decisamente
contrarie, nonostante le pronunce del DSB. Pur non avendo alcun ruolo nel processo
interpretativo, la posizione del Segretariato ha contribuito a formare nell’opinione pubblica
la percezione che l’OMC rappresenti una minaccia per le esigenze ambientaliste
contemporanee. Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 78 e ss.
445
Cfr. il documento approvato dal Comitato per la pesca della FAO il 23 giugno 2001,
International Plan of Action to Prevent, Deter and Eliminate Illegal, Unreported and
Unregulated Fishing, , consultable sul sito della FAO, www.fao.org (pagina base), par. 66
“States should take all steps necessary, consistent with international law, to prevent fish
caught by vessels identified by the relevant regional fisheries management organization to
have been engaged in IUU fishing being traded or imported into their territories. (…)
Unilateral trade-related measures should be avoided”
446
Il concetto di misura multilaterale viene spesso usato in maniera impropria, poiché
soltanto i trattati che effettivamente impongano agli Stati membri un obbligo di adottare
sanzioni commerciali in determinate circostanze possono essere considerati come
implicanti vere e proprie misure multilaterali, non qualora si limitino semplicemente ad
autorizzarne l’utilizzo, eventualità in cui permane un elemento unilaterale. Il Protocollo di
Montreal rappresenta uno dei pochissimi esempi di trattati che contemplano misure
commerciali multilaterali, ma anche in questo caso, qualora siano dirette verso Stati terzi,
viene meno la componente consensuale e il problema dell’unilateralità si ripresenta
pressoché inalterato. Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 105.
447
Sulla necessità di ricorrere a iniziative unilaterali, cfr., ampiamente, BODANSKY, op.
cit., p. 339 e ss.; per un’analisi della delle misure unilaterali in relazione all’istituto dello

191
funzione di stimolo e di orientamento verso una più efficace cooperazione
multilaterale.
Le misure PPMs possono essere inizialmente distinte sulla base della
loro relazione con il prodotto finito. Infatti, la normativa OMC prevede
esplicitamente alcune misure restrittive indirizzate a disciplinare
l’importazione di prodotti il cui metodo produttivo influenzi le
caratteristiche finali del prodotto, come nel caso della “related processing
technology” di cui all’art. 2, par. 2 dell’Accordo TBT e dell’Accordo SPS, il
quale, pure prevedendo, all’art. 5, par. 2, di considerare i processi produttivi
nel corso della valutazione del rischio, circoscrive tale possibilità alla
prevenzioni degli effetti sul proprio territorio. Tale tipologia di misure, un
esempio delle quali può essere dato dalle vicende delle controversia sulla
carne agli ormoni, non presenta particolari problemi. Qualora, invece, un
processo produttivo non abbia alcun effetto sul prodotto finito, diviene
possibile parlare di vere e proprie misure PPMs dotate di portata
extragiurisdizionale, come nel caso dei restrizioni alle importazioni di tonno
o di gamberetti. Tra quest’ultime, si può ulteriormente distinguere tra
misure che impongono il rispetto di specifici standard produttivi allo Stato
di esportazione (le c.d. country-based measures), e le misure che pongono il
rispetto di tali standard in capo ai soggetti privati che intendano esportare un
prodotto, attraverso la disciplina dei requisiti del medesimo(e c.d. process-
based measures)448. Appare evidente come le seconde abbiano un impatto
decisamente ridotto sui flussi commerciali, dal momento che, anche qualora
uno Stato non potesse certificare la propria osservanza degli standard in
questione, parte dei suoi produttori potrebbero comunque effettuare le
esportazioni.

stato di necessità come circostanza che esclude l’illecito, cfr. BOISSONS DE


CHAZOURNES, op. cit., p. 332 e ss.
448
In dottrina è stata avanzata l’ipotesi di una terza categoria, le c.d. producer-
characteristics measures, ossia le misure che identificano determinate caratteristiche del
produttore. Un esempio di tali misure può essere la normativa della Gasoline Rule, ma nel
corso della controversia non fu mai avanzata l’ipotesi che potesse trattasi di una misura
PPMs. Inoltre, non tutti concordano nel ritenere che gli standard sul produttore possano
essere una categoria a sé stante di PPMs, considerato che possono essere ricondotte a una
delle due categorie precedenti a seconda del modo in cui vengono applicate. Per un’analisi
di tale prospettiva tripartita, cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p.
67 e ss.

192
Il contrasto sull’ammissibilità delle misure PPMs si colloca su due
livelli distinti, il primo relativo alla portata dell’obbligo di trattamento
nazionale ex art. III e il secondo relativo alla portata delle eccezioni dell’art.
XX.
Dal primo punto di vista, risulta essenziale definire l’esatto significato
della nozione di similarità. Una parte della dottrina è giunta ad ipotizzare
che un bene prodotto in maniera ecologicamente sostenibile e uno prodotto
tramite processi inquinanti non debbano considerarsi similari. Questo perché
nel testo del GATT non vi sarebbe alcun riferimento testuale e, quindi, la
formulazione dell’art. III si riferirebbe ai prodotti soltanto perché l’Accordo
generale riguarda il commercio dei beni, opinione suffragata dall’analisi
delle argomentazioni addotte nel corso dei procedimenti contenziosi449. Ad
ogni modo, la maggioranza della dottrina ha contestato tale impostazione
ritenendola eccessivamente ottimistica450, in ragione del fatto che le
conclusioni raggiunte in sede contenziosa non hanno mai dato adito a dubbi,
giungendo in tutti i casi a ravvisare una violazione dell’art. III e escludendo
la similarità solo nel caso Asbestos, dove il bando francese non poteva in
alcun modo essere ricondotto al tipo di misure in esame. In tal senso, si può
quindi concludere che, nel caso dei processi produttivi non collegati ai
prodotti, il sistema OMC contempli una pluralità di mercati e che, pertanto,
ogni misura che colpisca un prodotto in base alle modalità di produzione
deve essere giustificata tramite il ricorso all’art. XX451. È interessante notare
che il ricorso alla nozione di diversità normativa sia stata utilizzato in
dottrina anche in relazione all’aspetto opposto, ossia la libertà di cui godono
gli Stati di disciplinare autonomamente l’importazione dei prodotti tramite
misure che richiedono l’adozione di determinate politiche da parte di altri
Stati452. Per quanto non vi sia nessun conflitto tra le due accezioni del
termine, poiché in quest’ultimo contesto la nozione viene usata in relazione
alle possibilità offerte dall’art XX, porre l’accento sull’autonomia della
449
Cfr. HOWSE, REGAN, op. cit., p. 253 e ss. Va specificato che, nell’opinione dei due
autori, soltanto le product-base measures non violerebbero l’art. III, mentre per giustificare
le country-based measures di dovrebbe comunque ricorrere all’art. XX.
450
Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 92.
451
Cfr. BARONCINI, L’art. XX del GATT, cit., p. 55.
452
Cfr. MAVROIDIS, op. cit., p. 74 e ss.

193
regolamentazione interna consente di evidenziare una certa incongruenza
nell’utilizzo del concetto di unilateralismo. Infatti, se da un lato si usa
focalizzare l’attenzione sul tentativo di imporre unilateralmente il rispetto di
determinati standard produttivi, dall’altro si può evidenziare la propensione
di un altro Stato a sfruttare, altrettanto unilateralmente, una risorsa
condivisa. Pertanto, in determinate circostanze, piuttosto che riferirsi
dell’ammissibilità di misure unilaterali sarebbe più corretto discutere
dell’opportunità di privilegiare una prospettiva unilaterale rispetto
all’altra453.
Ad ogni modo, anche se viene contestata l’eventualità che i panel, in
futuro, possano ritenersi liberi di negare la similarità tra due prodotti sulla
base delle modalità produttive, permane la possibilità di legittimare le
misure PPMs tramite il ricorso alle eccezioni dell’art. XX. I fautori
dell’ammissibilità di tali misure sottolineano che non soltanto il GATT non
le vieta in alcun modo, ma che le autorizza esplicitamente in conseguenza di
pratiche di concorrenza sleale, come nel caso dell’art. XX e) sui prodotti
fabbricati nelle prigioni, dei dazi compensativi e dei dazi anti-dumping ed,
inoltre, il sistema OMC ne contempla l’utilizzo anche nel quadro della
normativa TRIPS454. Ma naturalmente, l’indicazione più importante in tal
senso deriva dalle considerazioni svolte nel caso Shrimps-Turtles e
soprattutto nel c.d. follow-up del medesimo, a seguito del ricorso della
Malaysia ex art. 21, par. 5 del DSU. Dopo avere incorporato le
raccomandazioni emerse ne giudizio di primo e secondo grado nelle
Revisited Guidelines rendendole maggiormente flessibili e dopo aver dato
prova di seri sforzi negoziali, le misure statunitensi, pur violando gli artt. III
e XI, risultarono pienamente giustificate dall’art. XX g)455.
453
Cfr. HOWSE, REGAN, op. cit., p. 251: “(…) in the absence of negotiated rules or
norms, leaving the country of production to make this determination on its own,
unconstrained by stipulations imposed by its trading partners who are importing the
product, would itself be countenancing “unilateralism”, in this case the unilateral
determination by the country of production of matters that affect the global commons.
Thus, in choosing a rule that constrained the “unilateralism” of importing states, the panel
was not favouring a multilateral solution over a unilateral one, rather it was simply
preferring the “unilateralism” of the producing state to that of the importing state.”
454
Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 77 e ss.
455
La sovrapposizione tra la portata materiale delle due eccezioni ambientali dell’art. XX è
un argomento non molto discusso in dottrina, ma risulta evidente che l’interpretazione

194
Riguardo quest’ultimo atto della controversia, deve essere messo in
evidenza che la nuova normativa eliminava il bando incondizionato delle
importazioni, consentendo di introdurre nel territorio statunitense i
gamberetti pescati dalle navi che di fatto utilizzassero dei dispositivi per
l’esclusione delle tartarughe la cui efficacia fosse comparabile a quella dei
TED inizialmente previsti dalla normativa degli Stati Uniti. Pertanto,
nonostante formalmente il rispetto degli standard continuasse ad essere
imposto agli Stati esportatori, la misura divenne di fatto una product-based
measure, che, come abbiamo detto, comporta un minor grado di
discriminazione. Ciò non dovrebbe comunque condurre a circoscrivere la
facoltà di adottare misure PPMs a tale tipologia, considerato, inoltre, che
simili osservazioni sulla natura della misura in esame non vennero messe in
rilievo né durante i due gradi di giudizio, né durante il follow-up della
controversia. In ogni caso, una misura product-based dovrebbe richiedere
un grado di scrutinio meno complesso, poiché identifica una relazione tra
mezzi e fini molto più chiara e lineare. L’elemento sostanziale per
legittimare l’adozione di una misura che comporti un effetto all’interno
della giurisdizione di un altro Stato deve, invece, essere ricercato
nell’esistenza e nella portata del “sufficient nexus” che deve
necessariamente collegare uno Stato all’obiettivo che si propone di
tutelare456.
In base a quanto detto, le problematiche sollevate dalle misure PPMs
devono ricondursi non più all’esigenza di determinare se queste possano
evolutiva che ne è stata data abbia enormemente ampliato la portata di un’eccezione
inizialmente concepita per tutelare principalmente le riserve di combustibili fossili come
l’art. XX g). Una completa sovrapposizione farebbe cadere in desuetudine l’eccezione
dell’art. XX b), configurando un risultato contrario alle regole di interpretazione effettiva.
Piuttosto, in attesa di una specifica presa di posizione da parte del DSB, sembrerebbe più
opportuno identificare l’art XX g) come lex specialis dell’art. XX b), potendosi quindi
procedere prima a verificare la giustificabilità ai sensi della prima eccezione e
successivamente della seconda. Cfr. MAVROIDIS, op. cit., p. 83 e ss.
456
In relazione a questo aspetto è stato evidenziato che altri tipi di misure PPMs, non di
natura ambientale, quali quelle fondate su considerazioni di natura etica e sociale. Cfr.
CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 102 e ss. Ad ogni modo, in
mancanza di una pronuncia degli organi dell’OMC, l’analisi condotta in dottrina si pone su
posizioni ottimistiche, potendosi ricondurre tali misure PPMs all’ambito di applicazione
dell’art. XX a), relativo alla tutela della moralità pubblica, ad un’interpretazione evolutiva
della lettera e) e in virtù del riconoscimento della struttura tripartita del principio dello
sviluppo sostenibile. Cfr. BARONCINI, L’art. XX del GATT, cit., p. 59 e ss.; FRANCIONI,
op. cit., in FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 17 e ss.

195
essere adottate o meno, quanto all’obiettivo di stabilire delle modalità
concrete che ne disciplinino l’applicazione al fine di evitarne l’eventuale
abuso. A riguardo, la funzione maggiormente rilevante viene demandata alla
rigorosa applicazione delle disposizioni dello chapeau dell’art. XX,
opportuni parametri di riferimento per valutare i concreti propositi di una
misura che volesse dissimulare obiettivi protezionistici. Del resto, il rischio
che tramite le misure PPMs si possa presentare un ampio ventaglio di
possibilità funzionali a offuscare l’intento di avvantaggiare la produzione
nazionale, costituisce una delle principali argomentazioni di chi contesta tali
tipi di misure, ma si tratta di un rischio che si manifesta in termini più o
meno analoghi anche riguardo alle misure che limitano l’accesso al mercato
soltanto sulla base delle caratteristiche del prodotto in quanto tale. In tali
circostanze, l’applicazione dello chapeau impedisce l’adozione di pratiche
ingiustificatamente o arbitrariamente discriminatorie e pertanto risulta
palese che possa svolgere la medesima funzione anche riguardo alle misure
PPMs457, consentendo, quindi, di operare l’imprescindibile bilanciamento
delle esigenze in esame da effettuarsi caso per caso.
Va aggiunto che dovrebbero essere offerte alternative maggiormente
efficienti rispetto al ricorso all’art. XX in sede contenziosa. Oltre all’ipotesi
dell’etichettatura (il c.d. ecolabelling), prospettiva evidentemente molto più
coerente con la libera circolazione delle merci, ma che rimette la valutazione
degli obiettivi di tutela ambientale alla discrezionalità del consumatore458,
457
Cfr. COSBEY, op. cit. supra, p. 11 e ss. Oltre alla questione del protezionismo larvato,
l’autore confuta anche altre tre critiche rivolte alle misure PPMs, ossia l’eventuale
violazione della sovranità di altri Stati membri, in relazione alla quale sottolinea,
analogamente al caso precedente, che il problema si presenta in termini molto simili anche
per gli altri tipi di misure restrittive; la difficoltà pratica di garantire e certificare l’effettiva
attuazione degli standard, arginabile tramite il ricorso ai test e alle certificazioni condotte da
organismi terzi, come ad esempio l’attribuzione degli standard tecnici della serie ISO
14000; il mancato rispetto delle esigenze dei paesi in via di sviluppo, riguardo al quale
basta sottolineare che l’obiettivo di fondo non è in nessun caso la protezione ambientale in
quanto tale, ma la promozione dello sviluppo economico secondo criteri di sostenibilità
ambientale e sociale.
458
È il caso delle iniziative intraprese dalla Comunità Europea, la quale tende ad
circoscrivere la questione dei metodi di produzione non collegati ai prodotti presentandolo
in termini di diritto all’informazione del consumatore. Come abbiamo visto, l’Accordo
TBT non contempla l’ipotesi di etichette relative ai metodi di produzione non collegati ai
prodotti, ma vi è chi ritiene che l’informazione del consumatore possa rientrare tra gli
obiettivi legittimi di cui all’art. 2, par 2, dell’Accordo. L’approccio comunitario è invece
orientato a giustificarne l’ammissibilità tramite il ricorso all’art. XX d), relativo, inter alia,

196
sono state suggerite altre due opportunità più adeguate a bilanciare gli
interessi in questione in maniera più equa e prevedibile. In primo luogo,
potrebbe essere adottata un’intesa sull’applicazione dell’art. XX analoga a
quelle negoziate nel corso dell’Uruguay Round459, in secondo luogo,
potrebbe essere istituito un organo consultivo sulle questioni ambientali, il
quale potrebbe offrire una via più breve alla composizione dei conflitti
ambientali rispetto al ricorso al DSB, garantendo, al contempo, la possibilità
di valutare le ipotesi di conflitto secondo procedure maggiormente flessibili
e potendo avvalersi dell’esperienza tecnico-scientifica dei suoi
componenti460. Quest’ultima possibilità consentirebbe anche di accentuare la
rilevanza degli aspetti redistributivi dei conflitti tra commercio e ambiente,
come delle necessità di assistenza tecnica e finanziaria e del trasferimento di
tecnologie. Naturalmente un’alternativa non esclude l’altra, al contrario, è
probabile che un efficace coordinamento tra entrambe le opzioni
garantirebbe i risultati più rapidi ed efficienti. Ad ogni modo, ciò che
emerge con chiarezza è la necessità di provvedere a determinare delle linee
guida e dei criteri oggettivi, improntati ad uno spirito cooperativo, che
consentano un approccio più dinamico alle problematiche ambientali a
livello nazionale, garantendo una maggiore certezza e prevedibilità del
sistema commerciale multilaterale.

4. I rapporti tra l’OMC e il diritto internazionale convenzionale

alla prevenzione delle pratiche ingannevoli. Ad ogni modo, per ovviare ad eventuali
contrasti in materia, in determinate circostanze, si è preferito ricorrere alle pratiche di
etichettatura e certificazione volontaria e ai codici di condotta come strumenti
immediatamente operativi (è il caso dell’etichetta volontaria Dolphin-Safe adottata dagli
Stati Uniti e che ha obiettivamente creato alcune difficoltà alle esportazioni di tonno
messicane). Cfr., ampiamente, BARONCINI, Processi produttivi, cit., in ROSSI (a cura di),
op. cit., p. 271 e ss.; MONTANARI, Sviluppo sostenibile, certificazione e etichettatura: il
ruolo della Comunità europea, in ROSSI (a cura di), op. cit., p. 189 e ss.
459
Cfr. CHARNOVITZ, The Law of Environmental PPMs, cit., p. 108.
460
Cfr. MARCEAU, A Call for Coherence in International Law. Praises for the
Prohibition Against “Clinical Isolation” in WTO Dispute Settlement, in JWT, 1999, p. 148
e ss.

197
I vari problemi sollevati dai tentativi di coordinamento tra commercio
internazionale e tutela dell’ambiente, potrebbero trovare soluzione nella
definizione chiara e decisiva dei rapporti che intercorrono tra il sistema
OMC e le altre convenzioni ambientali multilaterali461. Nessuna misura
multilaterale è mai venuta in rilievo nell’ambito del procedimento di
risoluzione delle controversie e gli organi contenziosi hanno avuto modo di
pronunciarsi sul rapporto tra MEA e OMC soltanto in via indiretta,
principalmente in riferimento alla portata extragiurisdizionale delle
legislazioni nazionali e comunque al fine di interpretare le disposizioni degli
Accordi Allegati.
Sulla legittimità dell’utilizzo delle disposizioni dei MEA nel quadro
dell’attività interpretativa, coerentemente con il disposto dell’art. 31, par. 3
c) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, riconosciuta regola
generale di interpretazione cui rinvia l’art. 3, par. 2 del DSU, e
coerentemente con il riconoscimento dell’obiettivo dello sviluppo
sostenibile come elemento determinate il contesto nel quale un trattato deve
essere interpretato ex art. 31, par. 2 della stessa Convenzione, vi è una
sostanziale unità di vedute. Tale tendenza di fonda sulla chiara presa di
posizione dell’Organo d’Appello nel caso Shrimps-Turtles, che ha rafforzato
quanto già affermato nel caso Gasoline, ossia che il diritto OMC non deve
essere interpretato in “clinical isolation” dal diritto internazionale pubblico.
Una simile previsione deve essere tenuta presente in ogni circostanza in cui
vengano in rilievo normative ambientali, a prescindere dalla possibilità di
poter ricondurre le fattispecie in esame alle disposizioni di accordi
contrastanti. Valga l’esempio della decisione dell’Organo d’appello di
riconoscere le tartarughe come risorse naturali esauribili alla luce delle
disposizioni delle convenzioni CITES e UNCLOS.

461
Sul rapporto tra OMC e MEAs, cfr. FRANCIONI, La tutela dell’ambiente, cit., p. 147 e
ss.; FRANCIONI, op. cit., in FRANCIONI (a cura di), op. cit., p. 5 e ss; MACMILLAN,
op. cit., p. 42 e ss.; MANZINI, op. cit., in MENGOZZI, op. cit., p. 811 e ss.; MAVROIDIS,
op. cit. p. 77 e ss.; MARCEAU, A Call for Coherence, cit., p. 87 e ss.; PICONE,
LIGUSTRO, op. cit., p. 623 e ss.; RUTGEERTS, Trade and Environment. Reconciling the
Montreal Protocol and the GATT, in JWT, 1999, p. 61 e ss.; TRACHTMAN, The Domain
of WTO Dispute Resolution, in HILJ, 1999, p. 333 e ss.

198
Riguardo, invece, all’eventuale contrasto tra obblighi confliggenti
derivanti dai due sistemi di diritto, sono state avanzate varie ipotesi, in
direzione della prevalenza dell’uno o dell’altro, per quanto l’orientamento
maggioritario privilegi un’impostazione prevalentemente ambientalista.
Inoltre, si sono distinte due principali scuole di pensiero che mirano a
comporre gli eventuali contrasti ponendosi su due differenti prospettive, che
potremmo chiamare prospettiva “interpretativa” e prospettiva “applicativa”.
La prima prospettiva deve essere ricondotta alla possibilità di
utilizzare le disposizioni dei MEA come filtro interpretativo al fine di
condizionare l’applicazione del diritto OMC all’esigenze di tutela
ambientale fondate sul consenso multilaterale. La base giuridica è del tutto
assimilabile a quanto riconosciuto nel caso Shrimps-Turtles circa la
legittimità di un’interpretazione delle disposizioni dell’OMC anche alla luce
di fonti normative esterne. In sostanza, tale prospettiva consente di
ricondurre in blocco la soluzione di ogni possibile conflitto al riferimento a
“ogni altra regola pertinente di diritto internazionale applicabile tra le parti”
contenuto nell’art. 31, par. 3 c) della Convenzione di Vienna e introdotto nel
sistema OMC tramite l’art. 3, par 2, del DSU462.
In base a tale impostazione, possono essere distinte sei ipotesi di
conflitto, a seconda che gli Stati parte alla controversia siano anche membri
dell’accordo ambientale o meno, e che le misure oggetto di contestazione
siano rese obbligatorie dal trattato ambientale, siano semplicemente
consentite o siano adottate al di fuori di ogni disposizione dello stesso, ma
comunque al fine di garantirne l’adempimento. In ognuno di questi casi alla
semplice esistenza di un MEA, caratterizzato quindi da un’ampia
membership e aperto all’adesione di tutti i membri dell’OMC, vengono
associate delle conseguenze sistemiche che si riflettono nell’interpretazione
dell’art. XX.
Qualora entrambi gli Stati parte alla controversia fossero anche parti
del MEA, la misura commerciale dovrebbe presumersi conforme alle
prescrizioni dell’art. XX, sulla base della presunzione contraria all’esistenza
462
Per un’analisi dettagliata della prospettiva interpretativa, cfr., ampiamente, MARCEAU,
A Call for Coherence, cit., p. 128 e ss.

199
di un conflitto tra obblighi contratti dagli stessi Stati463. Conclusioni
analoghe possono essere raggiunte anche nel caso in cui il trattato
ambientale autorizzi semplicemente una misura commerciale, conferendo
quindi un diritto in tal senso. In questo caso, il fondamento della conformità
presunta all’art. XX deve essere ricercato nel principio di interpretazione
effettiva, che assicura che nessuna delle disposizioni di un trattato venga
resa nulla dalla mancata attribuzione di una forma di efficacia464. Perciò una
restrizione commerciale esplicitamente consentita deve ritenersi prima facie
giustificata dalle eccezioni dell’art. XX. Diverso è, invece, il caso in cui la
misura sia stata adottata per favorire l’attuazione di un accordo ambientale
senza che questo vi faccia riferimento, come nel caso Shrimps-Turtles, ma
ciò non esclude che un panel dovrebbe tenerne conto comunque durante la
valutazione dell’ammissibilità ex art. XX in qualità di norma pertinente
applicabile tra le parti.
Le eventualità in cui gli Stati parte alla controversia non siano tutti
membri del MEA in questione, presentano delle caratteristiche più
complesse. Se la misura è richiesta dall’accordo ambientale, pur non
potendosi considerare le disposizioni dell’accordo come regole pertinenti
applicabili nei rapporti tra le parti in senso stretto, l’esistenza del MEA deve
comunque essere presa in considerazione, assistendo l’interprete nello
svolgimento della propria funzione, in qualità di indicatore della direzione
in cui si muove il consenso internazionale sulla questione in esame.
Valutazioni pressoché analoghe devono essere fatte anche nel caso in cui le
misure commerciali non siano rese obbligatorie dall’accordo ambientale o
siano adottate per favorirne gli obiettivi. Del resto, considerato che la lettera
dell’art. XX consente in linea di principio un’azione unilaterale a
prescindere dall’esistenza di qualsivoglia strumento internazionale, sarebbe
manifestamente assurdo porre uno Stato in una condizione peggiore rispetto
al caso in cui agisse nella totale assenza di un accordo. Nonostante
quest’ultimo non vincoli anche l’altro Stato parte, resta il fatto che sulla
463
Il principio è venuto in rilievo, inter alia, nel caso Canada – Certain Measures
Concerning Periodicals, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS35/AB/R, del
30 luglio 1997, pp. 19-22, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).
464
Cfr. Gasoline, rapporto dell’Organo d’appello, p. 18.

200
problematica in questione è andato formandosi un consenso diffuso e
difficilmente ciò potrebbe non essere tenuto in considerazione nel momento
in cui si dovesse valutare se una misura debba dirsi necessaria alla tutela
della vita e della salute o relativa alla conservazione delle risorse465. In
sostanza, in presenza di in accordo ambientale multilaterale i due test
imposti dall’art. XX devono diventare di più semplice attuazione, sia per
quanto concerne la definizione dei requisiti di necessità e di diretta
connessione, che per quel che riguarda la verifica delle condizioni dello
chapeau. La facilità con cui si rende possibile giustificare la violazione delle
norme del GATT comportata da misure adottate ai sensi dei MEA, deve,
quindi, considerasi in senso direttamente proporzionale al livello di
discrezionalità di cui gode lo Stato che impone la restrizione e alla natura
del legame che lega i due Stati all’accordo ambientale in questione466.
Alcuni autori ritengono che, qualora si verifichi un conflitto
sostanziale, ovvero quando i due obblighi contrastanti si pongano su
posizioni di vera e propria incompatibilità, il ricorso ad un approccio
meramente interpretativo non possa considerarsi sufficiente, dovendosi
invece provvedere alla disapplicazione di uno dei due accordi,
analogamente a quanto si verificherebbe nel caso vi fosse una violazione di
norme di ius cogens. A sostegno di tale impostazione viene sottolineato che,
nella Convenzione di Vienna, i casi di conflitto tra accordi successivi
vengono regolati nella sezione dedicata all’applicazione, e non
all’interpretazione, dei trattati467. Naturalmente, una simile prospettiva,
acquista significato soltanto in caso di vere e proprie misure multilaterali,
ossia nel momento in cui un accordo esterne imponga l’obbligo di adottare
465
Cfr. MARCEAU, A Call for Coherence, cit., p. 133: “ (…) the existence and the content
of such a relevant MEA could always be used as factual elements for helping the Panel and
the Appellate Body assessing whether the measure at issue and its application complied
with the prescription of Article XX.”
466
Alla luce di quanto detto, in dottrina sono stati suggeriti quattro principi che dovrebbero
guidare i panel nella loro opera interpretativa: il principio della presunzione di conformità
con i trattati ambientali precedenti; il principio dell’interpretazione evolutiva in
applicazione dell’art. 31, par. 3 c) della Convenzione di Vienna; il principio della necessità
delle misure restrittive conformi agli standard internazionali; il principio di proporzionalità,
per quanto in via addizionale e sussidiaria. Cfr. FRANCIONI, op. cit., in FRANCIONI (a
cura di), op. cit., p. 22 e ss.
467
Su quest’ultima prospettiva, cfr., MAVROIDIS, op. cit. p. 77 e ss.; PICONE,
LIGUSTRO, op. cit., p. 646 e ss.; RUTGEERTS, op. cit., p. 65 e ss.

201
un determinata misura468. In questa circostanza, si presentano quattro
possibili alternative, dipendenti sia dal rapporto di successione temporale tra
l’Accordo OMC e l’accordo esterno confliggente, sia, come nel caso
precedente, dalla appartenenza o meno a detto accordo di tutti gli Stati parte
alla controversia. La prima ipotesi riguarda l’eventualità di un trattato
stipulato dalle medesime parti e entrato in vigore anteriormente all’Accordo
OMC. Sono state avanzate varie argomentazioni a sostegno della prevalenza
dell’accordo ambientale anteriore, in ragione, anche in questo caso, della
presunzione di conformità469, del principio di buona fede nella stipulazione
di un trattato, nonché della possibilità che di un accordo confliggente
anteriore possa essere tenuto conto come di un accordo intervenuto tra le
parti di una controversia e quindi come causa di estinzione della stessa.
Inoltre, il trattato ambientale anteriore potrebbe prevalere anche in virtù
della sua natura di lex specialis470. Naturalmente, un accordo successivo
all’Accordo OMC si mostra in grado di derogare agli obblighi ivi contenuti
in maniera formalmente migliore, e pertanto, in una simile situazione,
devono valere a fortiori le considerazioni effettuate riguardo agli accordi
anteriori.
Nel caso in cui l’accordo ambientale riguardasse soltanto una delle
parti alle controversia, la circostanza che sia stato stipulato prima o dopo

468
L’alto grado di istituzionalizzazione dell’intero sistema OMC, ed in maniera particolare
la circostanza che tale organizzazione sia dotata di un sistema contenzioso capace di
garantire un doppio grado di giudizio, ha indotto parte della dottrina a propendere per la
prevalenza dello stesso, poiché i firmatari di un MEA non intendono sottoporsi al giudizio
di un terzo mentre continuano a considerasi sottoposti alla disciplina del DSU. Cfr.
TRACHTMAN, The Domain, cit. p. 351 e ss. tale argomentazione è stata contestata in virtù
dell’impossibilità di configurare l’OMC come un vero e proprio regime self-contained. Cfr.
MAVROIDIS, op. cit. p. 78.
469
Cfr. FRANCIONI, La tutela dell’ambiente, cit., p. 170: “ (...) dal momento che non
risulta che siano state avanzate riserve o contestazioni circa la compatibilità del
GATT/OMC con i trattati ambientali precedenti (...) ci sembra di dover concludere che in
linea di principio i membri dell’OMC hanno ritenuto di poter contemperare gli obblighi
posti da questo Accordo con gli obblighi assunti precedentemente con i trattati in materia
ambientale.”
470
È il caso del Protocollo di Montreal, in merito al quale cfr. RUTGEERTS, op. cit., p. 67:
“ It is clear that the parties to the Montreal protocol did not have the intention to terminate
their obligation under the said Protocol when signing the 1994 GATT. It thus seems the
common intention of the parties to apply the GATT and the Montreal Protocol jointly,
whereby Article XI of the GATT applies to the extent that the Montreal Protocol does not
derogate from it. This also follows from the principle that, between the same parties, a
special rule prevails over a general rule (…).”

202
l’entrata in vigore dell’Accordo OMC assume scarso rilievo, poiché
l’incompatibilità non può trovare soluzione e la violazione del GATT al fine
di attuare i propositi dell’accordo ambientale si dimostrerebbe del tutto
insanabile. Infatti, in un contesto del genere, lo Stato parte ad entrambi gli
accordi avrebbe assunto impegni pienamente incompatibili e, pertanto si
troverebbe a dover scegliere in relazione a quale obbligo venire meno e,
conseguentemente, far sorgere la propria responsabilità internazionale 471.
Tuttavia, deve essere sottolineato che tale regola può trovare
un’attenuazione in relazione alla particolare natura dell’obbligo
confliggente472, ossia, oltre all’ipotesi in cui si tratti di una norma imperativa
di diritto internazionale, qualora il MEA sia divenuto parte del diritto
consuetudinario, come nel caso della Convenzione sul diritto del mare,
qualora riguardi un interesse comune dell’umanità come il clima o strato di
ozono, quando imponga un regime valido erga omnes473, o più
semplicemente, qualora la disciplina ambientale sia divenuta oggetto di uno
specifico waiver ai sensi dell’art. IX, par. 3 dell’Accordo OMC.
Posto che le due prospettive esaminate non devono porsi su piani
incompatibili, ma, al contrario, devono essere considerate in termini
complementari, ciò che si mostra realmente necessario, è una chiara presa di
posizione degli organi dell’OMC. Ciò potrebbe tradursi in una concreta
pronuncia in sede contenziosa, nel caso in cui il rapporto tra il sistema OMC
e i sistemi multilaterali ambientali venisse finalmente sottoposto
all’attenzione del DSB. Tuttavia, sarebbe maggiormente auspicabile una
soluzione a livello politico, identificando una volta per tutte gli strumenti
giuridici volti ad eliminare i presupposti su cui possa sorgere un’eventuale
controversia. In tal senso, i suggerimenti avanzati dalla dottrina rimandano
prevalentemente all’adozione di emendamenti formali al GATT , a
un’interpretazione autentica dello stesso da parte della Conferenza
471
Anche in questo caso un esempio viene offerto dal protocollo di Montreal, laddove
richiede agli Stati parte di adottare sanzioni commerciali proprio verso gli Stati terzi, in
modo da porre in essere un efficace strumento deterrente verso le tentazioni di free-riding
e di dumping ecologico. Ibidem, p. 69 e ss. Una simile funzione deterrente, volta a favorire
l’ampliamento della membership del trattato, potrebbe comunque trovare giustificazione
nell’art. XX.
472
Cfr. FRANCIONI, La tutela dell’ambiente, cit., p. 172 e ss.
473
Cfr. PICONE, LIGUSTRO, op. cit., p. 628 e ss.

203
ministeriale o del Consiglio generale, o, ancora, alla stipulazione di un vero
e proprio accordo sulle questioni ambientali, cui demandare in via definitiva
il controverso bilanciamento dei rapporti tra commercio e ambiente474.

474
In merito, cfr. il rapporto del CTE presentato alla Conferenza ministeriale di Singapore,
WTO doc. WT/CTE/W/40, del 12 novembre 1996, parr. 5-23, consultabile sul sito
dell’OMC, www.wto.org (pagina base)

204
CONCLUSIONI

Il presente lavoro di tesi ha avuto come oggetto l’esame delle


connessioni, dei conflitti e delle reciproche interferenze tra due sistemi
di norme internazionali che si propongono di disciplinare, da un lato, le
relazioni tra stati finalizzate allo scambio di beni e servizi e, dall’altro,
le conseguenze dannose che derivano per l’ambiente naturale da tali
scambi, così come da ogni altro tipo di attività umana orientata alla
produzione o al consumo.
Dall’analisi svolta nei capitoli precedenti è emerso come lo spirito
che pervade la comunità internazionale sia profondamente mutato nel
corso degli anni che separano i tentativi post-bellici di fondare un nuovo
ordine economico internazionale dai negoziati dell’Uruguay Round. Si è
difatti giunti a riconoscere che né la libera circolazione delle merci, né la
protezione ambientale abbiano ragione di essere considerate obiettivi
meritevoli di tutela in quanto tali, ma soltanto nella misura in cui
contribuiscono al benessere dell’umanità.
È andata diffondendosi largamente, almeno sul piano dei principi, la
convinzione della nocività e dell’irrimediabilità della maggioranza dei
fenomeni di degrado ambientale, parallelamente alla condivisione di
valori morali che rifiutano l’imponente sperequazione nella distribuzione
del reddito tra la popolazione delle varie parti del pianeta. Durante la
prima parte degli anni novanta, tale rinnovato paradigma etico ha
ricevuto consacrazione nell’affermazione del principio dello sviluppo
sostenibile, che mira a promuovere una struttura delle relazioni
internazionali fondata sull’obiettivo di provvedere equamente a
soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la
capacità delle generazioni future di provvedere ai propri.

205
Pertanto, è andata affermandosi un’impostazione che da rilievo alla
promozione della sostenibilità dello sviluppo economico e sistema in
subordine gli elementi costitutivi dello stesso, attribuendo loro carattere
meramente strumentale. Questo è quanto emerso alla conferenza
internazionale di Rio, ribadito a Johannesburg, riconosciuto
autorevolmente dalla Corte Internazionale di Giustizia e, infine,
specificato nello stesso Accordo OMC, tramite la nuova formulazione
del preambolo, che consente di utilizzare il principio dello sviluppo
sostenibile come filtro interpretativo della normativa prevista dagli
Accordi allegati. In tale prospettiva, la promozione del libero commercio
e la protezione dell’ambiente devono essere qualificati come semplici
mezzi per il conseguimento di un fine ultimo, rinvenibile nel tenore e
nella qualità della vita della persona umana, e come tali devono essere
valutati, disciplinati ed integrati tra di loro. La ratio sottesa ad un simile
ordine di considerazioni si è parzialmente riflessa anche nella
formulazione della nuova normativa commerciale multilaterale. Il nuovo
preambolo dell’Accordo OMC, l’introduzione del principio
precauzionale nell’Accordo SPS, le nuove procedure per gli organi di
soluzione delle controversie, hanno avuto e potranno avere degli effetti
rilevanti nello sviluppo di una prassi strumentale al conseguimento dello
sviluppo sostenibile.
Le difficoltà presentate dalla realizzazione di tale obiettivo devono
essere in parte attribuite alla differente struttura dei due sistemi di diritto.
Il diritto internazionale dell’ambiente è caratterizzato da un’elevatissima
frammentazione: esso prevede una grande quantità di strumenti
internazionali e tiene in considerazione anche l’ampio ventaglio di
priorità che ogni singolo Stato intende perseguire al proprio interno in
assoluta autonomia. Di fronte ad una simile varietà di ipotesi si pone,
invece, il sistema del commercio multilaterale, un sistema a tal punto
integrato, strutturato e istituzionalizzato da aver dato luogo persino ad un
dibattito circa la sua eventuale natura di regime self-contained.

206
Come abbiamo avuto modo di vedere, la “giurisprudenza” dei panel
del GATT 1947 si è mossa in senso unidirezionale, privilegiando la
dimensione commerciale in termini spesso acritici. Verso la fine degli
anni ottanta si è consolidata la tendenza a interpretare in senso
straordinariamente restrittivo le disposizioni dell’art. XX e le sue
potenzialità di applicazione extragiurisdizionale. È a tale fase che
risalgono le accezioni di least trade restrictive measure e di primarly
aimed measure da attribuire alle nozioni di misura necessaria alla
protezione della salute e della vita e di misura relativa alla conservazione
delle risorse. Similmente, è stata negata con risolutezza l’ipotesi che
misure commerciali potessero legittimamente richiedere un qualsivoglia
cambiamento delle politiche ambientali dello Stato di esportazione.
In seguito alla nascita dell’OMC nel 1995, l’attività degli organi
incaricati della soluzione delle controversie e dell’Organo d’appello in
particolare, a prescindere dal giudizio di merito che può essere formulato
sui risultati della stessa, ha tendenzialmente tentato invece di temperare
l’impostazione irragionevolmente liberista del periodo precedente.
I risultati del cammino intrapreso hanno condotto ad un’evoluzione
del sistema normativo, nel tentativo di offrire una risposta a cinque
quesiti fondamentali: a) quale interpretazione dell’art. XX debba essere
data al fine di garantirne l’efficacia; b) quali limiti incontri la facoltà di
adottare misure ambientali su base precauzionale; c) su quali requisiti
debba essere fondato il rapporto di similarità tra due prodotti; d) quali
criteri debbano disciplinare il ricorso a misure ambientali che riguardino
i processi e i metodi produttivi; e) quali rapporti debbano intercorrere tra
il sistema OMC e il vasto panorama delle convenzioni ambientali
multilaterali.
a) Per quanto riguarda l’articolo XX, i principali progressi si sono
registrati sul fronte dell’ambito di applicazione dell’eccezione della
lettera g), esteso alla protezione delle risorse viventi situate anche al di
fuori della propria giurisdizione territoriale sulla base della mera
esistenza di un nesso sufficiente tra gli interessi dello Stato e

207
l’utilizzazione della risorsa. Inoltre, l’unico limite alla facoltà di invocare
l’eccezione deve essere ricercato nella sussistenza di una relazione
sostanziale tra la misura restrittiva e il proposito di conservazione, senza
l’obbligo che quest’ultimo ne costituisca la finalità primaria.
Anche in merito alla lettera b) la restrittività dell’interpretazione
originale è andata attenuandosi, sebbene permanga l’obbligo di garantire
che il provvedimento sia il meno restrittivo tra quelli ragionevolmente
disponibili. In seguito alla risoluzione della controversia nel caso
Asbestos, agli Stati è consentito un margine di apprezzamento di gran
lunga superiore in relazione a due elementi del test di necessità. In primo
luogo, lo Stato si trova libero di valutare autonomamente quale debba
essere l’ampiezza dei propri obiettivi di tutela della salute e della vita,
potendo quindi optare anche per la massimizzazione di tali obiettivi e per
l’eliminazione di ogni rischio. In secondo luogo, anche la valutazione
della ragionevolezza della disponibilità di eventuali misure alternative
può essere condotta su basi soggettive. Naturalmente, in entrambi i casi,
il grado di discrezionalità di cui gode lo Stato che intenda adottare una
misura ambientale deve essere considerato proporzionalmente all’entità
del pericolo che si propone di contrastare. Inoltre, la possibilità di
produrre effetti nel dominio riservato dello Stato di esportazione è stata
riconosciuta come caratteristica comune a tutte le eccezioni dell’art. XX,
e pertanto anche la lettera b) può essere legittimamente invocata al fine
di condizionare l’accesso al mercato all’adozione di politiche prescritte
unilateralmente dallo Stato importatore.
Se, da una parte, i requisiti necessari ad usufruire delle prerogative
offerte dalle eccezioni dell’art. XX sono stati attenuati dall’attività
interpretativa degli organi di soluzione delle controversie, dall’altra, gli
stessi organi hanno provveduto a rendere più rigoroso il triplice test
previsto del preambolo dello stesso articolo. Seguendo una tendenza che
è andata affermandosi a partire dal caso Gasoline, e quindi sino dalla
nascita dell’Organizzazione, l’equilibrio dei diritti e dei doveri degli
Stati membri è stato individuato nella corretta applicazione dello

208
chapeau, la quale deve essere improntata a criteri di flessibilità in
considerazione del fatto che l’analisi deve essere svolta caso per caso,
alla luce dei peculiari elementi fattuali che caratterizzano una specifica
controversia. Solo in tal modo sembra realmente possibile evitare
concretamente l’uso illegittimo delle eccezioni, impedendo che
l’apparente tutela di un obiettivo di politica pubblica possa mascherare il
proposito di attribuirsi un vantaggio competitivo immeritato.
Purtroppo delle tre nozioni fondamentali dello chapeau è stata data
un’interpretazione piuttosto vaga e poco circostanziata. Tale carenza
acquista un valore particolarmente incisivo per quel che riguarda la
definizione della liceità dell’elemento discriminatorio, ossia di quel quid
di discriminazione commerciale che è consentito ritenere giustificabile e
non arbitraria. Dal rapporto dell’Organo d’appello nel caso Gasoline
emerge che essa debba mostrarsi tendenzialmente inevitabile,
involontaria e imprevedibile. Come abbiamo visto, la dottrina economica
insegna che le c.d. TREMs possono, e in determinate circostanze
devono, comportare un certo tasso di discriminazione. Si tratta di forme
di “protezionismo verde” che rappresentano la risposta più efficace a
vere e proprie pratiche di concorrenza sleale che legittimano il ricorso a
forme di discriminazione interna in risposta a pratiche di dumping
ecologico e di discriminazione esterna nel caso del free-riding. Il crinale
che separa le pratiche oggettivamente protezionistiche da quelle di tutela
delle opportunità competitive al fine di opporsi concretamente ai
principali ostacoli all’attuazione di efficaci politiche ambientali, non è di
facile individuazione. A riguardo si mostra particolarmente assennata
l’idea di provvedere ad una applicazione flessibile delle disposizioni
dello chapeau, ma il requisito dell’imprevedibilità della discriminazione
sembrerebbe circoscrivere quest’ultima alle ipotesi residuali derivanti da
difficoltà di ordine amministrativo. Al contrario, una presa di posizione
anche in relazione alla tutela della competitività dei produttori nazionali
avrebbe potuto svolgere un’importante funzione chiarificatrice, posto
che nel primo caso Tuna/Dolphins tale circostanza era stata oggetto di

209
specifica disapprovazione, mentre le conclusioni raggiunte nel caso
Shrimps/Turtles di fatto aprono la strada anche ad una simile lettura delle
misure ambientali.
b) L’adozione dell’Accordo SPS ha portato ad un aggravamento
delle condizioni imposte dall’art. XX, b) allo Stato che intenda porre in
essere misure sanitarie e fitosanitarie, introducendo in particolare
l’obbligo di valutazione scientifica del rischio, ma parallelamente ha
consentito l’integrazione del principio precauzionale nell’ordinamento
commerciale internazionale. L’enunciazione ivi contenuta presenta una
versione del principio di gran lunga meno incisiva di quella proposta dal
principio 15 della Dichiarazione di Rio. Ogni misura adottata in assenza
di certezza scientifica deve avere natura provvisoria e, congiuntamente,
viene fatto obbligo di cercare di ottenere informazioni addizionali in
modo da poter procedere al riesame della misura entro un periodo di
tempo ragionevole. Ma di fronte alla persistente opposizione di una parte
consistente della comunità internazionale riguardo all’inclusione della
precauzione tra le norme di diritto consuetudinario, la formulazione
restrittiva dell’Accordo SPS rappresenta comunque un importante
progresso. Inoltre, l’Organo d’appello ha esplicitamente riconosciuto,
seppure in termini piuttosto vaghi, che al principio possa essere attribuito
un ruolo anche al di fuori dell’art. 5, par. 7, in ragione della naturale
propensione dei governanti ad agire con cautela in caso di rischio di
danni irreversibili, riconosciuta dallo stesso Accordo SPS nel momento
in cui legittima l’adozione di standard più elevati di quelli proposti dalle
competenti organizzazioni internazionali. Pertanto, si può ritenere che
l’Organo d’appello abbia voluto evitare di prendere una posizione
definitiva circa lo status del principio, lasciando aperta la strada a
possibili sviluppi futuri. Dal rapporto d’appello si possono desumere
altri due elementi che si prestano ad una lettura in senso ecologista: la
possibilità di tenere conto di fattori di natura sociale nel corso della
valutazione del rischio e, fatto particolarmente rilevante, la possibilità

210
che le considerazioni portate a giustificazione delle proprie misure possa
essere espressa anche da una parte minoritaria della comunità scientifica.
c) La portata innovativa delle pronunce dell’Organo d’appello si è
mostrata nel caso Asbestos anche relativamente al riconoscimento della
funzione sostanziale che la valutazione del rischio svolge nella
determinazione del rapporto di similarità tra due prodotti.
Un rischio serio per la salute umana è stato individuato come un
elemento determinante in merito alle considerazioni da effettuare
riguardo a tutti e quattro gli elementi costitutivi del test di similarità: la
natura e le qualità del prodotto, la funzione finale, il comportamento dei
consumatori e la classificazione tariffaria. Ciò consente di evitare la
violazione dell’art. III del GATT e pertanto di sottrarsi alle pesanti
procedure contemplate dalle eccezioni generali qualora si mostri
necessario bloccare le importazioni di prodotti che contengano sostanze
gravemente dannose per la salute.
d) Un’analoga impostazione non può però essere applicata alle
misure che riguardino la nocività sanitaria e ambientale dei processi
produttivi, per quanto parte della dottrina si sia spinta fino ad ipotizzarne
l’opportunità e la legittimità. Ad ogni modo, la pronuncia dell’Organo
d’appello nel caso Shrimps/Turtles e successivamente nel follow-up della
controversia, apre un’ampia serie di possibilità agli Stati realmente
intenzionati a proteggere le proprie risorse e l’ambiente globale
attraverso strumenti che abbiano una concreta incidenza nei rapporti
economici che ne determinano il deterioramento.
Allo Stato che intenda adottare una misura PPMs viene richiesto,
attraverso il test dello chapeau, l’osservanza di alcune condizioni che
potremmo riassumere nell’obbligo di prevedere standard dotati di una
certa flessibilità, di offrire un trattamento analogo a Stati in cui vigano le
medesime condizioni, di garantire procedure amministrative e
giudiziarie appropriate e trasparenti e, soprattutto, di adottare le misure
restrittive in via provvisoria soltanto dopo aver dato prova sia di aver
portato avanti in buona fede seri tentativi di negoziare con tutti gli Stati

211
potenzialmente interessati una soluzione fondata sul mutuo consenso, sia
di continuare nella medesima direzione con impegno analogo anche
dopo l’adozione del provvedimento.
L’onerosità di quest’ultima condizione mitiga soltanto in parte la
portata straordinariamente innovativa del riconoscimento della liceità
delle misure PPMs, considerato, peraltro, che frequentemente sono i
paesi industrializzati a mostrare l’intenzione di porre in essere questo
tipo di misure.
Tale circostanza consente di introdurre una delle principali critiche
che possono essere mosse all’operato degli organi dell’OMC, quella di
non aver prestato sufficiente attenzione agli aspetti redistributivi
connessi alle pratiche di protezione ambientale.
Un simile ordine di problemi non riguarda soltanto le misure relative
ai mezzi di produzione, ma si riferisce alla definizione strutturale dei
rapporti tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo e, pertanto,
può creare difficoltà consistenti anche in relazione a provvedimenti che
limitino le importazioni in base alle caratteristiche del prodotto.
Innegabilmente, però, l’ingerenza esterna nel dominio riservato di uno
Stato assume caratteri maggiormente incisivi nel momento in cui si
propone di porre dei vincoli ai sistemi di produzione, piuttosto che alle
caratteristiche del prodotto in ragione degli effetti che queste possono
produrre nel territorio dello Stato di importazione. Se le misure in
questione hanno quindi una più elevata capacità di porre un limite alle
prospettive di sviluppo di un paese, maggiori dovrebbero essere anche le
responsabilità verso l’attuazione di forme di sostegno concrete da parte
dello Stato che adotti un simile provvedimento.
Senz’altro evidenziare la necessità di prestare attenzione alle
esigenze di crescita economica dei paesi in via di sviluppo consentirebbe
di superare parte delle resistenze di tali paesi verso l’adozione di
standard ambientali efficaci, resistenze ampiamente legittimate dal fatto
che essi non hanno contribuito a produrre il degrado che si intende
combattere, né hanno avuto modo di godere dei benefici economici da

212
esso derivanti. Pertanto, se lo sviluppo sostenibile viene presentato come
uno degli obiettivi di fondo del processo di integrazione commerciale
multilaterale, se si riconosce la possibilità di interpretare la normativa
OMC anche alla luce di quanto disposto dai grandi trattati ambientali,
attribuire un significato concreto agli impegni di assistenza tecnica e
finanziaria e riconoscerne la complementarietà rispetto ai propositi di
protezione ambientale, assume un’importanza decisiva.
Il principio delle responsabilità comuni ma differenziate è stato
incorporato, più o meno esplicitamente, in quasi tutti i MEA e costituisce
un’appendice logica e necessaria della sostenibilità ambientale dello
sviluppo economico. Nel caso dei gamberetti e delle tartarughe, agli
Stati Uniti è stato riconosciuto il diritto di adottare provvedimenti che
disciplinassero indirettamente i sistemi di pesca di alcuni paesi del Sud
Est asiatico sulla base del nesso sufficiente che lega gli interessi
statunitensi all’esaurimento di una componente essenziale della diversità
biologica rappresentata dalle tartarughe marine. Ad esso si sarebbe
potuta accompagnare un’analoga constatazione del diritto dei paesi
esportatori a beneficiare di concrete forme di assistenza, come il
trasferimento della tecnologia TED o di risorse finanziarie sufficienti ad
adempiere ai nuovi standard.
L’attuale prosperità dei paesi industrializzati si fonda anche sul
depauperamento del patrimonio ambientale globale avvenuto in passato,
e conseguentemente, tra gli interessi dei paesi in via di sviluppo e le
risorse economiche dei paesi sviluppati potrebbe essere ravvisato un
nesso pressoché identico a quello che lega gli Stati Uniti alla protezione
delle tartarughe.
Gli sforzi tenaci dei paesi del Sud del mondo verso l’attenuazione
delle pretese di equità intergenerazionale dei paesi sviluppati ottengono
un giudizio molto meno severo se vengono considerati alla luce delle
resistenze di quest’ultimi a rispettare le esigenze di equità
intragenerazionale, che presentano un pari grado di dignità e merito nello

213
sviluppo di un nuovo ordine internazionale adatto a garantire la
sostenibilità ambientale e sociale della crescita economica.
e) L’ultimo aspetto da considerare, nel tentativo di operare un
bilancio dell’attività dell’Organizzazione in campo ambientale, riguarda
la rilevanza da attribuire alle disposizioni dei principali strumenti di
diritto internazionale dell’ambiente. Le prospettive di riconciliazione
hanno subito un’importante evoluzione nel corso degli anni, giungendo a
configurare, almeno in linea di principio, l’ipotesi di una stretta
complementarietà tra i due sistemi di diritto. Naturalmente appare
evidente che un simile processo integrativo si trovi ancora ad uno stadio
poco più che embrionale, ma non può non essere vista in termini
ottimistici la tendenza a riconoscere i rapporti di funzionalità reciproca
tra commercio e ambiente, che, dall’assoluta indifferenza del primo caso
Tuna/Dolphins, hanno condotto gli organi di soluzione delle controversie
a riconoscere dapprima le necessità di evitare l’isolamento del diritto
OMC dal resto del diritto internazionale pubblico e successivamente a
fare un uso concreto di tale prerogativa nel caso Shrimps/Turtles.
Del resto, dopo l’istituzione dell’OMC e conseguentemente, dopo
l’adozione del DSU, difficilmente l’orientamento interpretativo dei
panel avrebbe potuto proseguire sulla strada dell’insensibilità verso i
fenomeni di degrado ambientale ritenuti prioritari dalla comunità
internazionale e pertanto oggetto dei grandi trattati multilaterali. In tal
senso, le indicazioni contenute nel par. 2 dell’art. 3 del DSU non
lasciano adito a dubbi: agli organi di soluzione delle controversie
dell’OMC è fatto obbligo di utilizzare ogni altra regola pertinente di
diritto internazionale applicabile tra le parti nel corso dell’attività di
interpretazione e applicazione del diritto, come previsto dall’art 31, par.
3 c) della Convenzione di Vienna.
Allo stato attuale delle cose, ossia in assenza di una presa di
posizione chiara ed univoca a livello politico da parte degli Stati
membri, il preambolo dell’Accordo OMC e il disposto dell’art. 3, par. 2,
del DSU costituiscono gli unici due strumenti tramite i quali il rispetto

214
degli standard ambientali e la libera circolazione delle merci possono
essere conciliati, dando contenuto concreto alle disposizioni dell’art. XX
e aprendo ampie prospettive all’interpretazione evolutiva della
normativa OMC nel suo complesso.
Occorre riconoscere gli sforzi fatti in questo senso e prendere atto
delle innovazioni introdotte nel sistema dal DSB, attraverso l’operato
degli organi tecnici di risoluzione delle controversie. Tuttavia, allo stesso
tempo, si sente ancora fortemente la mancanza di indicazioni univoche e
definitive riguardo alla condotta che gli Stati possono considerare lecita
nel momento in cui si propongono di definire le proprie priorità di
politica ambientale, impedendo loro di attuare i propri propositi di tutela
in termini maggiormente dinamici ed efficaci.
Garantire la certezza e la prevedibilità dei meccanismi e delle
disposizioni cui si deve osservanza costituisce un obiettivo essenziale di
ogni sistema di diritto e da questo punto di vista deve essere espresso un
giudizio prevalentemente negativo. Dapprima nei confronti della
Conferenza ministeriale e del Consiglio generale, nonché verso gli
organi sussidiari ad essi sottoposti, primo fra tutti il CTE, e, in seconda
battuta, verso gli stessi organi di soluzione delle controversie, i quali, pur
avendo innegabilmente contribuito all’evoluzione del sistema, avrebbero
senz’altro potuto pronunciarsi in termini più concreti riguardo al
contenuto degli obblighi che gli Stati sono chiamati ad assolvere per
poter legittimamente proteggere sia le proprie risorse che quelle
condivise.
Ad ogni modo, limitare lo sviluppo progressivo del diritto
commerciale internazionale alle prospettive di interpretazione evolutiva
offerte dagli organi di soluzione delle controversie rappresenta una
sconfitta del sistema OMC, mentre le principali sfide che si presentano
all’Organizzazione devono essere ricercate nella definizione chiara,
univoca e definitiva dei rapporti che intercorrono tra le regole del
sistema commerciale e le regole che disciplinano altri aspetti che la
comunità internazionale ha ritenuto parimenti meritevoli di tutela, quali

215
le preoccupazioni di ordine ambientale e sociale. Si tratta, in altre parole,
di riuscire a determinare appropriatamente regole capaci di indirizzare il
processo di globalizzazione economica verso prospettive di maggiore
giustizia, equità e sostenibilità ambientale, che vadano quindi incontro
alle legittime esigenze manifestate, anche se talora con eccessiva
veemenza, dai movimenti di protesta “anti-globalizzazione” e condivise
da larga parte della comunità scientifica e della società civile.

216
BIBLIOGRAFIA

Adinolfi Giovanna, L’Organizzazione Mondiale del Commercio. Profili


istituzionali e normativi, Cedam, Padova, 2001.

Ahn Dukgeun, Linkages between International Financial and Trade


Institutions; IMF, World Bank and WTO, in JWT, 2000, p. 1 e ss.

Atik Jeffery, Two Hopeful Readings of Shrimp-Turtle, in BRUNNẾE, HEY,


Symposium: The United States – Import Prohibition on Certain Shrimp and
Shrimp Products Case, in YEIL, 1998, p.6 e ss.

Baghwati Jagdish, Elogio della globalizzazione, Laterza, Bari, 2004.

Baratta Roberto, La legittimazione processuale dell'amicus curiae dinanzi


agli organi giudiziali dell'Organizzazione mondiale del commercio, in RDI,
2002, p. 549 e ss.

Baroncini Elisa, L’articolo XX del GATT e i metodi di produzione non


collegati a prodotti, in ROSSI (a cura di), Commercio internazionale
sostenibile? WTO e Unione Europea, Bologna, 2003, p. 51 e ss.

Baroncini Elisa, Il diritto all’informazione del consumatore nel GATT 1994


e nell’Accordo TBT: L’approccio dell’Unione Europea, in VENTURINI,
COSCIA, VELLANO, (a cura di) Le nuove sfide per l’OMC a dieci anni
dalla sua istituzione, Milano, 2005, p. 287 e ss.

Baroncini Elisa, Processi produttivi: l’approccio della Comunità Europea,


in ROSSI (a cura di), Commercio internazionale sostenibile? WTO e
Unione Europea, Bologna, 2003, p. 271 e ss.

Bianchi Andrea, The Impact of International Trade Law and Environmental


Law and Process, in FRANCIONI (a cura di), Environment, Human Rights
and International Trade, Oxford, 2001, p. 105 e ss.

Bodansky Daniel, What's So Bad about Unilateral Action to Protect the


Environment?, in EJIL, 2000, p. 339 e ss.

Boissons de Chazournes Laurence, Mbengue, Makane Moïse, GMOs and


Trade : Issues at Stake in the EC Biotech Dispute, in RECIEL, 2004, p. 289
e ss.

217
Boissons de Chazournes Laurence, Unilateralism and Environmental
Protection: Issues of Perception and Reality of Issues, in EJIL, 2000, p. 315
e ss.

Brank Duncan, The Shrimp-Turtle Case: Implications for the Multilateral


Environmental Agreements – World Trade Organization Debate, in
BRUNNẾE, HEY, Symposium: The United States – Import Prohibition on
Certain Shrimp and Shrimp Products Case, in YEIL, 1998, p.13 e ss.

Brank Duncan, Grubb Michael, Windram Craig, International Trade and


Climate Change Policies, Royal Institute of International Affairs -
Earthscan, Londra, 2000.

Bronckers Marco C. E. J., More Power to the WTO?, in JWT, 2001, p. 41 e


ss.

Brunnée Jutta, Hey Hellen, (et al.) Symposium: The United States – Import
Prohibition on Certain Shrimp and Shrimp Products Case, in YEIL, 1998,
p. 3 e ss

Cassese Antonio, International Law, Oxford University Press, New York,


2001

CharnoVitz Steve, The World Trade Organization and the Environment, in


YIEL, 1999, p. 98 e ss.

Charnovitz Steve, Exploring the Environmental Exceptions in GATT


Article XX, in JWT, 1991, p. 5 e ss

Charnovitz Steve, Rethinking WTO Trade Sanctions, in AJIL, 2001, p. 792


e ss.

Charnovitz Steve, The Law of Environmental “PPMs” in the WTO:


Debunking the Myth of Illegality, in YJIL, 2002, p. 59 e ss.

Charnovitz Steve, The Legal Status of the Doha Declaration, in JIEL,


2002, p. 207 e ss.

Cho Sungjoon, Case Note (Gasoline), in EJIL, consultabile su


www.ejil.org, (pagina base)

Coccia Massimo, GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), in


Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. VII, Torino, 1991, p. 76 e ss.

Coccia Massimo, Dal GATT 1947 al GATT 1994: considerazioni generali e


istituzionali, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e organizzazione del

218
commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione
Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 81 e ss.

Comba Andrea, Il neo liberismo internazionale. Strutture giuridiche a


dimensione mondiale dagli accordi di Bretton Woods all’Organizzazione
Mondiale del Commercio, Giuffrè, Milano, 1995.

Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, Il futuro di noi tutti,


Bompiani, Milano, 1988

Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite Commento al


progetto di articoli International Liability for Injurious Consequences
Arising out of Acts not Prohibited by International Law, consultabile sul sito
delle Nazioni Unite, www.un.org (pagina base).

Conforti Benedetto, Diritto Internazionale, Editoriale Scientifica, (VI ed.)


2002

Conforti Benedetto, Le Nazioni Unite, (V ed.), Cedam, Padova, 1996.

Cosbey Aaron, The WTO and PPMs: Time to Drop a Taboo, in AA.VV.,
Bridges between Trade and Sustainable Development, 2001, consultabile su
www.ictsd.org (pagina base).

De La Favette Louise, Case Note (Shrimps/Turtles) – Recourse to Article


21.5 of the DSU by Malaysia, in AJIL, 2002, p. 685 e ss.

Di Stefano Marcella, Soluzione delle controversie nell’OMC e diritto


internazionale, Cedam, Padova, 2001.

Domenichelli Vittorio (et al.), Diritto pubblico dell’ambiente-Diritto, etica,


politica, CEDAM, Padova, 1995

Dunhoff Jeffrey L., Border Patrol at the World Trade Organization, in


BRUNNẾE, HEY, Symposium: The United States – Import Prohibition on
Certain Shrimp and Shrimp Products Case, in YEIL, 1998, p. 20 e ss.

Fabbris-Ben Naoum Tiziana, Questioni empiriche sul commercio


internazionale di servizi, in SACERDOTI, VENTURINI (a cura di), La
liberalizzazione multilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia, Milano,
1997, p. 103 e ss.

Ferone Alberto, La Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente, in R.D.I.


1972, pp.701-709

Francioni Francesco, Extraterritorial Application of Environmental Law, in


MEESSEN (a cura di), Extraterritorial Jurisdiction in Theory and Practice,
Kluwer Law International, Le Hague, 1996, p. 122 e ss.

219
Francioni Francesco (a cura di), Environment, Human Rights and
International Trade, Hart Publishing, Oxford, 2001.

Francioni Francesco, Environment Human Rights and the Limits of Free


Trade, in FRANCIONI (a cura di), Environment, Human Rights and
International Trade, Oxford, 2001, p. 5 e ss.

Francioni Francesco, Per un governo mondiale dell’ambiente: quali


norme? quali istituzioni?, in Scamuzzi Sergio (a cura di), Costituzioni,
razionalità, ambiente, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, p. 431 e ss.

Francioni Francesco, La tutela dell’ambiente e la disciplina del commercio


internazionale, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e organizzazione del
commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione
Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 147 e ss.

Franco Renzo, Multilateralismo e mercato globale: l’esperienza dei primi


due anni di OMC, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e organizzazione
del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione
Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 59 e ss.

Garaguso Giulio, Marchisio Sergio (a cura di), Rio 1992: vertice per la
Terra, FrancoAngeli, Milano, 1993

Gerbino Mario, Organizzazione Mondiale del Commercio, in


Aggiornamenti all’Enciclopedia del diritto, vol. II, Giuffrè, Milano, 1998, p.
650 e ss.

Giardina Andrea, Tosato Gianluigi, Diritto del commercio internazionale,


Giuffrè, Milano, 1996.

Giuliano Mario, Scovazzi Tullio, Treves Tullio, Diritto Internazionale,


Giuffrè, Milano, 1991

Gonzàlez-Catalayud Alexandre, Marceau Gabrielle, The Relationship


between the Dispute Settlement Mechanism of the MEAs and those of the
WTO, in RECIEL, 2002, p. 275 e ss.

Gradoni Lorenzo, La protezione del consumatore nel diritto internazionale


del commercio, in ROSSI (a cura di), Commercio internazionale
sostenibile? Wto e Unione Europea, Bologna, 2003, p. 143 e ss.

Greppi Edoardo, W.T.O. (World Trade Organization), in Aggiornamento al


Digesto delle discipline pubblicistiche, IV ed., Torino, 2000, p. 718 e ss.

Helg Rodolfo, Da Seattle verso il nulla: riflessioni sui giochi


antiglobalizzazione, in LIUC Papers, 70, Serie Economia e Impresa, p. 1 e

220
ss., consultabile sul sito della Biblioteca Mario Rostoni dell’Università
Carlo Cattaneo, www.biblio.liuc.it, (pagina base).

Horlick Gary N., Over the Bump in Doha, in JIEL, 2002, p. 195 e ss.

Howse Robert Lloyd, The Turtles Panel. Another Environmental Disaster


in Geneva, in JWT, 1998, p. 73 e ss.

Howse Robert Lloyd, Regan Donald, The Product/Process Distinction-An


Illusory Basis for Disciplining `Unilateralism' in Trade Policy, in EJIL,
2000, p. 249 e ss.

Hurst David R., Case Note (Hormones), in EJIL, 1998, consultabile su


www.ejil.org, (pagina base)

Jackson John H., The World Trade Organization: Constitution and


Jurisprudence, Londra, 1998.

Jackson John H., Comments on Shrimp/Turtle and the Product/Process


Distinction, in EJIL, 2000, p. 303 e ss.

Jansen Bernhard, The Limits of Unilateralism from a European


Perspective, in EJIL, 2000, p. 309 e ss.

Joshi Manoj, Are Eco-Labels Consistent with World Trade Organization


Agreements?, in JWT, 2004, p. 69 e ss.

Kaczka David, Case Note (Shrimps/Turtles - Panel Report), in RECIEL,


1998, p. 308 e ss.

Kiss Alexandre, An Introductory Note on a Human Right to Environment, in


Brown Weiss Edith, Environmental Change and International Law, UN
University Press, Honk Hong, 1992, p. 199 e ss.

Kiss Alexandre, Shelton Dinah, International Environmental Law (II ed.),


Transnational Publishers, Inc., Ardsley, New York, 2000

Krugman Paul R., Obstfeld Maurice, Economia internazionale. Teoria e


Politica Economica, II ed., Hoepli, New York, 1995.

Lafer Celso, Intervento alla Tavola Rotonda sulla soluzione delle


controversie nell’OMC, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e
organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della
Organizzazione Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 279 e ss.

Lal Das Bhagirath, The World Trade Organisation. A Guide to the


Framework for International Trade, Londra , 1999.

221
Landwehr Oliver, Case Note (Varietals), in EJIL, 1999, consultabile su
www.ejil.org, (pagina base)

Leanza Umberto, Introduzione alla Tavola Rotonda sulla soluzione delle


controversie nell’OMC, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e
organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della
Organizzazione Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 275 e ss.

Leme Machado Paulo Alfonso, Nuove strade dopo Rio e Stoccolma in


RGA, 2002, p. 169 e ss.

Leonardi Carola, Le emissioni di gas ad effetto serra nelle politiche delle


Nazioni Unite e della Comunità Europea, in RGA, 2005, p. 7 e ss.

Ligustro Aldo, La soluzione delle controversie nel sistema


dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: problemi interpretativi e
prassi applicativa, in RDI, 1997, p. 1003 e ss.

Ligustro Aldo, Le controversie tra Stati nel diritto del commercio


internazionale: dal GATT all’OMC, Cedam, Padova, 1996.

Ligustro Aldo, Intervento alla Tavola Rotonda sulla soluzione delle


controversie nell’OMC, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e
organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della
Organizzazione Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 289 e ss.

Lucchini Alessandra, La posizione dei paesi in via di sviluppo negli accordi


dell’Uruguay Round, in SACERDOTI, VENTURINI (a cura di), La
liberalizzazione multilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia, Milano,
1997, p. 139 e ss.

Lugaresi Nicola, Diritto dell’ambiente, CEDAM, Padova, 2002

Macmillan Fiona, WTO and the Environment, Sweet & Maxwell, Londra,
2001.

Manzini Pietro, Environmental Exceptions of Art. XX GATT 1994 Revisited


in the Light of the Rules of Interpretation of General International Law, in
MENGOZZI, International Trade Law in the 50th Anniversary of the
Multilateral Trade System, Milano, 1999, p. 811 e ss.

Marceau Gabrielle, WTO Dispute Settlement and Human Rights, in EJIL,


2002, p. 753 e ss.

Marceau Gabrielle, A Call for Coherence in International Law. Praises for


the Prohibition Against “Clinical Isolation” in WTO Dispute Settlement, in
JWT, 1999, p. 87 e ss.

222
Marchisio Sergio, Gli atti di Rio nel diritto internazionale, in RDI, 1992, p.
581 e ss.

Marchisio Sergio, Raspadori Fabio, Maneggia Amina (a cura di), Rio


cinque anni dopo, FrancoAngeli, Milano, 1998

Mavroidis Petros C., Trade and Environment after the Shrimps-Turtles


Litigation, in JWT, 2000, p. 73 e ss.

Mann Howard, Of Revolution and Results: Trade-and-Environment Law in


the Afterglow of the Shrimp-Turtle Case, in BRUNNẾE, HEY, Symposium:
The United States – Import Prohibition on Certain Shrimp and Shrimp
Products Case, in YEIL, 1998, p. 28 e ss.

Mengozzi Paolo, International Trade Law in the 50th Anniversary of the


Multilateral Trade System, Giuffrè, Milano, 1999.

Mengozzi Paolo, I servizi nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in


SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e organizzazione del commercio
internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del
Commercio, Napoli, 1998, p. 107 e ss.

Montanari Francesco, Sviluppo sostenibile, certificazione e etichettatura: il


ruolo della Comunità europea, in ROSSI (a cura di), Commercio
internazionale sostenibile? WTO e Unione Europea, Bologna, 2003, p. 189
e ss.

Montini Massimiliano, L’ambiente nel diritto internazionale, in Mezzetti


Luca (a cura di) Manuale di diritto ambientale, CEDAM, Padova, 2001.

Montini Massimiliano, Il sistema di risoluzione delle controversie previsto


per il Protocollo di Kyoto, in RGA, 2005, p. 27 e ss.

Montini Massimiliano, La necessità ambientale nel diritto internazionale e


comunitario, CEDAM, Padova, 2001.

Montini Massimiliano, Il principio di necessità ambientale come criterio di


bilanciamento tra commercio internazionale e protezione dell’ambiente, in
RGA, 2002, p. 137 e ss.

Montini Massimiliano, The Necessity Principle as an Instrument to


Balance Trade and the Protection of the Environment in FRANCIONI (a
cura di), Environment, Human Rights and International Trade, Oxford,
2001, p. 135 e s.

Moore Patrick M., The Decisions Bridging the GATT 1947 and the WTO
Agreement, in AJIL, 1996, p. 317 e ss.

223
Munari Francesco, La libertà degli scambi internazionali e la tutela
dell’ambiente, in RDI, 1994, p. 389 e ss.

Munari Francesco, Il rapporto tra liberalizzazione del commercio


internazionale e tutela dell’ambiente con particolare riguardo agli aspetti
relativi alla proprietà intellettuale e agli investimenti, in SIDI, Atti del II
Convegno, Diritto e organizzazione del commercio internazionale dopo la
creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p.
181 e ss.

Nespor Stefano, Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore, in RGA, 2005,


p. 1 e ss.

Pallemaerts Mark, International Law and Sustainable Development: Any


Progress in Johannesburg? in RECIEL, 2003, p. 1 e ss.

Palmer Alice, Werksman Jacob, Case Note (Asbestos – Panel Report), in


RECIEL, 2001, p. 125 e ss.

Pepe Vincenzo, Lo sviluppo sostenibile tra diritto internazionale e diritto


interno, in RGA, 2002, pp. 209 e ss.

Perrez Franz Xaver, The World Summit on Sustainable Development:


Environment, Precaution and Trade- a Potential for Success and/or Failure,
in RECIEL, 2003, p. 12 e ss.

Picone Paolo, Ligustro Aldo, Diritto dell’Organizzazione Mondiale del


Commercio, Cedam, Padova, 2002.

Pineschi Laura, La Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo, in


RGA, 1992, p. 706 e ss.

Pisillo Mazzeschi Riccardo, Le Nazioni Unite e la codificazione della


responsabilità per danno ambientale, in RGA 1996, p. 371 e ss.

Pozzo Barbara, Lo scambio di quote di emissioni e la proposta di direttiva


comunitaria, in La nuova direttiva sullo scambio di quote di emissione, atti
del convegno I permessi negoziabili di emissione, Giuffrè, Milano, 2003, p.
56 e ss.

Quick Reinhard, I risultati dell’Uruguay Round del GATT e l’istituzione


dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in CI, 1994, p. 675 e ss.

Rajamani Lavanja, From Stockholm to Johannesburg, Anatomy of


Dissonance in the International Environmental Dialogue, in RECIEL, 2003,
p. 23 e ss.

224
Rosenstock Robert, The ILC and State Responsibility, in AJIL, 2002, p. 795
e ss.

Rossi Lucia Serena (a cura di), Commercio internazionale sostenibile? Wto


e Unione Europea, Il Mulino, Bologna, 2003.

Rutgeerts Ann, Trade and Environment. Reconciling the Montreal


Protocol and the GATT, in JWT, 1999, p. 61 e ss.

Sacerdoti Giorgio, Venturini Gabriella (a cura di), La liberalizzazione


multilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia, Giuffrè, Milano, 1997.

Sacerdoti Giorgio, Profili istituzionali dell’OMC e principi base degli


accordi di settore, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e organizzazione
del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione
Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 1 e ss.

Sacerdoti Giorgio, L’Accordo Generale sugli scambi di servizi (GATS): dal


quadro OMC all’attuazione interna, in SACERDOTI, VENTURINI (a cura
di), La liberalizzazione multilaterale dei servizi e i suoi riflessi per l’Italia,
Milano, 1997, p. 1 e ss.

Sachs Wolfgang, Ambiente e giustizia sociale, Editori Riuniti, Roma, 2003.

Sand Peter H., Transnational Environmental Law-Lessons in global


change, Kluwer Law International, London, 1999.

Sand Peter H., International Environmental Law after Rio, in EJIL, 1993,
p. 377 e ss.

Sandiford Wayne, GATT and the Uruguay Round, consultabile sul sito
della Eastern Carribean Central Bank, www.eccb.centralbank.org, (pagina
base).

Sands Philippe, Principles of International Environmental Law, vol.1,


Manchester University Press, New York, 1995

Sands Phillipe, Unilateralism, Values, and International Law, in EJIL,


2000, p. 291 e ss.

Scovazzi Tullio, La responsabilità internazionale in caso di inquinamento


transfrontaliero, in RGA, 1986, p. 272 e ss.

Scovazzi Tullio, L’incidente di Seveso e il “velo” delle società


transnazionali, in RGA,1988, p. 277 e ss.

Scovazzi Tullio, Considerazioni sulle norme internazionali in materia


d’ambiente, in RDI, 1989, p. 591 e ss.

225
Scovazzi Tullio, Recenti sviluppi sulle norme di diritto internazionale sulla
protezione dell’ambiente, 2003, consultabile su
www.osservatoriobalcanico.it, (pagina base).

Scovazzi Tullio, Le azioni delle generazioni future, in RGA, 1995, p. 153 e


ss.

Shaffer Gregory, Case Note (Shrimps/Turtles), in AJIL, 1999, p. 507 e ss.

Shenk Maury D., Case Note (Gasoline), in AJIL, 1996, p. 669 e ss.

Shoenbaum Thomas J., The Decision in the Shrimp-Turtle Case, in


BRUNNẾE, HEY, Symposium: The United States – Import Prohibition on
Certain Shrimp and Shrimp Products Case, in YEIL, 1998, p. 36 e ss.

Sohn Louis B., The Stockholm Declaration on the Human Environment, in


HILJ, 1973, p. 423 e ss.

Shoenbaum Thomas J., International Trade and Protection of the


Environment: the Continuing Search for Reconciliation, in AJIL, 1997, p.
268 e ss.

Schott Jeffrey J., Comment on the Doha Ministerial, in JIEL, 2002, p. 191 e
ss.

Società Italiana di Diritto internazionale (SIDI), Atti del II Convegno,


Diritto e organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione
della Organizzazione Mondiale del Commercio, Editoriale Scientifica,
Napoli, 1998.

Sorge Bartolomeo, La “svolta” di Cancùn, in Aggiornamenti sociali, 2003,


p. 677 e ss.

Spinedi Marina, Problemi di diritto internazionale sollevati dal naufragio


della”Torrey Canyon”, in RDI, 1967, p. 653 e ss.

Steiner Melanie, NGO Reflections on the World Summit: Rio + 10 or Rio -


10?, in RECIEL, 2003, p. 33 e ss.

Tamburelli Gianfranco, Gli atti internazionali sulla protezione dell’ozono


stratosferico e la loro esecuzione in Italia, in RDI, 1994, p. 675 e ss.

Tarasofsky Richard G., Ensuring Compatibility between Multilateral


Environmental Agreements and GATT/WTO, in YIEL, 1996, p. 52 e ss.

Tesauro Giuseppe, Rapporti tra la Comunità Europea e l’OMC, in SIDI,


Atti del II Convegno, Diritto e organizzazione del commercio

226
internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del
Commercio, Napoli, 1998, p. 21 e ss.

Trachtman Joel P., Case Note (Tuna/Dolphins I), in AJIL, 1992, p. 142 e
ss.

Trachtman Joel P., Case Note (Shrimps/Turtles), in EJIL, 1999, p.192 e ss.

Trachtman Joel P., Case Note (Shrimps/Turtles) – Recourse to Article 21.5


of the DSU by Malaysia, in EJIL, 2001, p. 793 e ss.

Trachtman Joel P., Case Note (Australian Salmon), in EJIL, 1999,


consultabile su www.ejil.org, (pagina base).

Trachtman Joel P., Case Note (Asbestos), in EJIL, 2001, consultabile su


www.ejil.org, (pagina base).

Trachtman Joel P., The Domain of WTO Dispute Settlement, in HILJ,


1999, p. 333 e ss.

Treves Tullio, Il diritto dell’ambiente a Rio e dopo Rio, in RGA, 1993, p.


577 e ss.

Treves Tullio, Intervento alla Tavola Rotonda sulla soluzione delle


controversie nell’OMC, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e
organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della
Organizzazione Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 323 e ss.

Turner R. Kerry, Pearce David W., Bateman Ian, Economia ambientale, Il


Mulino, Bologna, 1994.

Vellano Michele, L’Organo d’appello dell’OMC, Napoli, 2001.

Vellano Michele, Sulla necessità di riforma dell’ OMC dopo l’insuccesso


della Conferenza Ministeriale di Seattle, in CI, 2000, p. 83 e ss.

Vellano Michele, Gli assetti istituzionali attuali e futuri dell’OMC, in


VENTURINI, COSCIA, VELLANO, (a cura di) Le nuove sfide per l’OMC
a dieci anni dalla sua istituzione, Milano, 2005, p. 3 e ss.

Venturini Gabriella, L’Organizzazione Mondiale del Commercio, II ed.,


Giuffrè, Milano, 2004.

Venturini Gabriella, Coscia Giuseppe, Vellano Michele, (a cura di) Le


nuove sfide per l’OMC a dieci anni dalla sua istituzione, Giuffrè, Milano,
2005.

227
Venturini Gabriella, Recenti sviluppi in tema di liberalizzazione degli
scambi di servizi, in SIDI, Atti del II Convegno, Diritto e organizzazione
del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione
Mondiale del Commercio, Napoli, 1998, p. 133 e ss.

Wallach Lori, Sforza Michelle, WTO. Tutto quello che non vi hanno mai
detto sul commercio globale, Feltrinelli, Milano,1999.

Werksman Jacob, Case Note (Shrimps/Turtles), in RECIEL, 1999, p. 78 e


ss.

Wirth David A., Some Reflections on Turtles, Tuna, Dolphins and Shrimp,
in BRUNNẾE, HEY, Symposium: The United States – Import Prohibition
on Certain Shrimp and Shrimp Products Case, in YEIL, 1998, p. 4 e ss.

Wirth David A., Case Note (Hormones), in AJIL, 1998, p. 755 e ss.

Wirth David A., Case Note (Asbestos), in AJIL, 2002, p. 435 e ss.

Wolff Alan Wm., What Did Doha Do? An Initial Assessment, in JIEL,
2002, p. 202 e ss.

Wynter Marie, The Agreement on Sanitary and Phitosanitary Measures in


the Light of the WTO Decision on EC Measures Concerning Meat and Meat
Products, in MENGOZZI, International Trade Law in the 50th Anniversary
of the Multilateral Trade System, Milano, 1999, p. 471 e ss.

Zilioli Chiara, Il caso Bhopal e il controllo sulle attività pericolose svolte


dalle società multinazionali, in RGA, 1987, p. 199 e ss.

228
INDICE DELLA GIURISPRUDENZA CITATA

ORGANI DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE GATT E


OMC

GATT 1947:

Norway – Restrictions on Imports on Certain Textile Products, rapporto del


panel, WTO doc. L/4959-27S/119, del 25 marzo 1980, consultabile sul sito
dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

Canada – Measures Affecting Exports of Unprocessed Herring and Salmon


(Salmon and Herring), rapporto del panel, WTO doc. L/6268-35S/98, del
22 marzo 1988, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

United States – Section 337 of the Tariff Act of 1930 (Section 337), rapporto
del panel, WTO doc. L/6439-36S/345, del 7 novembre 1989, consultabile
sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

Thailand – Restriction on the Importation of and Internal Taxes on


Cigarettes, (Thai Cigarettes) rapporto del panel, WTO doc. DS10/R, del 7
novembre 1990, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base)

United States – Restrictions on Imports of Tuna, (Tuna/Dolphins I)


rapporto del panel, WTO doc. DS21/R-39S/155, del 3 settembre 1991 (non
adottato), consultabile su ILM, 1991, p. 1594 e ss.

United States – Restrictions on Imports of Tuna, Tuna/Dolphins II)


rapporto del panel, WTO doc. DS/29/R, del 16 giugno 1994 (non adottato),
consultabile su ILM, 1994, p. 842 e ss.

OMC:

United States – Standards for Reformulated and Conventional Gasoline


(Gasoline), rapporto del panel, WTO doc. WT/DS2/R, rapporto dell’Organo
d’appello, WTO doc. WT/DS2/AB/R, del 22 aprile 1996, consultabile sul
sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

United States – Measures Affecting Meat and Meat Products (Hormones),


rapporto del panel WTO doc. WT/DS26/R e WTO doc. WT/DS48/R del 18
agosto 1997, rapporto dell’Organo d’appello WTO doc. WT/DS26/AB/R e
WTO doc. WT/DS48/AB/R, del 16 gennaio 1998, consultabili sul sito
dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

229
European Communities-Regime for the Importation, Sale and Distribution
of Bananas, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS27/AB/R,
del 9 settembre 1997, consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina
base).

Canada – Certain Measures Concernin Periodicals (Periodicals) rapporto


dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS31/AB/R, del 14 marzo 1997,
consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

Brazil – Export Financing Programme for Aircraft, rapporto del panel,


WTO doc. WT/DS46/R, del 14 aprile 1999, consultabile sul sito dell’OMC,
www.wto.org (pagina base).

United States – Import Prohibition of Certain Shrimp and Shrimp Products


(Shrimps/Turtles), rapporto del panel, WTO doc. WT/DS58/R, del 15
maggio 1998, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS58/AB/R,
del 12 ottobre 1998, decisione arbitrale WTO doc. WT/DS58/RW, del 15
giugno 2001, consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

Japan – Measures Affecting Agricultural Products (Varietals), rapporto del


panel WTO doc. WT/DS76/R, del 27 ottobre 1998, rapporto dell’Organo
d’appello, WTO doc. WT/DS76/AB/R, del 22 febbraio 1999, consultabili
sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

Australia – Measures Affecting the Importation of Salmon, rapporto


dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS18/AB/R, del 20 ottobre 1998,
consultabile sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

European Communities – Measures Affecting the Prohibition of Asbestos


and Asbestos Products, rapporto del panel WTO doc. WT/DS135/R, del 18
settembre 2000, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc.
WT/DS135/AB/R, del 28 maggio 2000, consultabili sul sito dell’OMC,
www.wto.org (pagina base).

United States – Section 301-310 of the Trade Act of 1974, rapporto del
panel, WTO doc. WT/DS152/R, consultabile sul sito dell’OMC,
www.wto.org (pagina base).

Korea – Measures Affecting Imports of Fresh, Chilled and Frozen Beef,


rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS161/AB/R, WTO doc.
WT/DS169/AB/R, del 10 gennaio 2001, consultabile sul sito dell’OMC,
www.wto.org (pagina base).

United States – Import Measures on Certain Products from the European


Communities, rapporto del panel, WTO doc. WT/DS165/R, del 17 luglio
2000, rapporto dell’Organo d’appello, WTO doc. WT/DS165/AB/R, dell’11
dicembre 2000, consultabili sul sito dell’OMC, www.wto.org (pagina base).

230
CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

Corfù Channel Case, 9 aprile 1949, in ICJ Report, 1949, p. 4 e ss

North Sea Continental Shelf, 20 febbraio 1969, in ICJ Reports, 1969, p. 48 e


ss.

Advisory Opinion on the Legal Consequences for States of the Continued


Presence of South Africa in Namibia Notwithstanding Security Council
resolution 276 (1970), 21 giugno 1971, in I.C.J. Reports, 1971, p. 31 e ss.

Case Concerning United States Diplomatic and Consular Staff in Teheran,


24 maggio 1980, in ICJ Reports, 1980, p. 1 e ss.

Advisory Opinion on the Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons,


8 luglio 1996, in ILM, vol. XXXV, 1997, p. 809 e ss.

Gabcikovo-Nagimaros Project, 25 settembre 1997, consultabile sul sito


della Corte, www.icj-cij.org (pagina base).

ALTRO

Trail Smelter, sentenza della commissione arbitrale mista USA – Canada,


1941, consultabile su UNRIAA, vol. III, p. 1965 e ss.

Lake Lanoux, sentenza della commissione arbitrale mista Francia – Spagna,


1956, consultabile su UNRIAA, vol. XII, p. 281 e ss.

Minor Oposa V. Secretery of Department of Environment and Natural


Resources, sentenza della Corte Suprema delle Filippine, in ILM, vol. 32,
1994, p. 173 e ss.

Deutche Grammophon c. Metro, sentenza della Corte di Giustizia delle


Comunità Europee, dell’8 giugno 1971, in Raccolta della giurisprudenza
della Corte di giustizia e del Tribunale di primo grado delle Comunità
europee, 1971, p. 487 e ss.

Terrapin c. Terranova, sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità


Europee, del 22 giugno 1976, in Raccolta della giurisprudenza della Corte
di giustizia e del Tribunale di primo grado delle Comunità europee, 1976, p.
1039 e ss.

231
RISORSE INTERNET (pagine base)

www.admin.ch
www.admiraltylawguide.com
www.agenda21.org
www.ambientediritto.it
www.attac.org
www.asil.org
www.austlii.edu.au
www.basel.int
www.biodiv.org
www.cites.org
www.climateimc.org
www.codexalimentarius.net
www.epa.gov
www.equilibri.net
www.europa.eu.int
www.fao.org
www.field.org.uk
www.gefweb.org
www.gets.org
www.greepeace.it
www.iaea.org
www.icj-cij.org
www.ictsd.org
www.imf.org
www.ippc.int
www.iso.org
www.ittig.cnr.it
www.legifrance.gouv.fr
www.johannesburgsummit.org
www.minambiente.it
www.nmfs.noaa.gov
www.oceanlaw.net
www.oie.int
www.oosa.unvienna.org
www.pewclimate.org
www.pic.int
www.seaturtles.org
www.state.gov
www.un.org
www.undp.org
www.unece.org
www.unep.org
www.unesco.org

232
www.unfccc.int
www.who.int
www.wipo.int
www.worldtradelaw.net
www.worldwatch.org
www.wto.org
www.wwf.it

233

Vous aimerez peut-être aussi