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Le ICT nella scuola delle competenze

Marcello Bettoni
Centro per l’Innovazione e Sperimentazione Educativa Milano - Cisem
Via Petrarca, 20 - 20123 Milano
fsbet@hotmail.it
Marialetizia Mangiavini
Liceo Classico Statale P.Verri di Lodi
Viale Giovanni XXIII, 1 26900 Lodi (LO)
mletizia.m@gmail.com

Nella costruzione di una prassi consolidata per


l‘apprendimento delle competenze le tecnologie per la
didattica devono assumere un ruolo decisivo. Consentono di
superare la frammentarietà dei saperi, ne accentuano
l’interdipendenza e l’integrazione, recuperano la centralità
della persona e avvicinano la scuola alla realtà. Ma, nello
stesso tempo, mantengono da questa la giusta distanza,
assolvendo a un compito educativo che la scuola deve
mantenere, senza riduzionismi aziendalistici.

1. Introduzione
Il concetto di competenza e la necessità di una didattica per competenze si
stanno gradualmente affermando nella realtà scolastica italiana. Si sono infatti
definiti e si stanno definendo , sia a livello di sperimentazione e studio, sia a
livello legislativo, molti aspetti di questa questione: dalla competenza come
concetto , agli standard e traguardi formativi ,a modelli di certificazione . Senza
entrare nel complesso dibattito sul tema, riportiamo soltanto una delle tante
definizioni di competenza, quella di Guy Le Boterf: “Un insieme riconosciuto e
provato delle rappresentazioni, conoscenze, capacità e comportamenti
mobilizzati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato”.
Competenza , dunque , come attitudine specifica del soggetto: quella di saper
combinare diverse risorse, per gestire o affrontare in maniera efficace delle
situazioni, in un contesto dato [Le Boterf, 1990].
Una tale rivoluzione epocale comporta necessariamente un ripensamento di
tutto l’itinerario formativo: anzitutto dei percorsi di apprendimento , e poi dei
processi di verifica, valutazione, riconoscimento delle competenze. In sostanza,
i documenti e le definizioni devono tradursi e consolidarsi in una concreta prassi
didattica. Questo processo è soltanto agli inizi , e soprattutto ci pare trascuri un
aspetto che riteniamo invece essenziale: il ruolo decisivo che le tecnologie della
didattica possono avere in questo contesto. Nel presente lavoro vorremmo
riflettere sulle motivazioni di questo rapporto strettissimo tra utilizzo delle
tecnologie e competenze, costruendo un quadro organico che dimostri come un

A. Andronico, L. Colazzo (Eds.): DIDAMATICA 2009 – ISBN 978-88-8443-277-3


DIDAMATICA 2009

ambiente “technology enhanced” sia di fatto la scelta obbligata per il


conseguimento di questi obiettivi.

2. Trasferimento o “transfer”?

Obiettivo finale della scuola è di preparare a vivere fuori dalla scuola. Ciò
comporta l’acquisizione di apprendimenti che possono essere trasferiti alla vita
reale . Una delle caratteristiche fondamentali delle competenze è proprio il
“transfer of learning”: vero apprendimento è quello che consente di trasferire ciò
che si è appreso da una situazione a un’altra. [Perkins, Salomon, 1988 ]. Ma
quali modelli pedagogici e quali strumenti consentono effettivamente questo
transfer? Il modello d’insegnamento imperante nella scuola italiana è ancor oggi
la lezione frontale-trasmissiva con il suo mero trasferimento di conoscenze, la
sua prospettiva esclusivamente quantitativa e la sua centratura sul docente.
Sembra un argomento vecchio, ma vale la pena davvero di parlarne ancora,
perché la reazione prevalente dei docenti di fronte al caos e alla complessità
caratteristici della realtà contemporanea è una sorta di ossessione di dominio,
controllo razionale. Il curriculum è sempre inteso come un corpo di conoscenze
che vanno ricoperte e apprese, non come un processo dinamico e non lineare
[Phelps, 2003] .
Nessuno oggi dubita però che l'apprendimento sia molto di più e molto altro:
competenza, collaborazione, comunicazione, emozione, progettualità,
risoluzione di problemi, prendere decisioni. Il paradigma razionalista,
cartesiano-leibniziano tende a frazionare il sapere in pacchetti d’informazione,
in pillole sempre più digeribili e autoconsistenti, in unità di conoscenza che
non sono la soluzione del problema del sapere, e tantomeno dell'insegnamento,
ma sono il problema stesso.[Morin,2000]. Anche i Learning Objects
rappresentavano probabilmente la sublimazione tecnologica di questa
concezione erogativo-versativa dell’apprendere in vista di un’edificazione,
mattone su mattone, “brick by click”, potenzialmente infinita, del sapere
dell’umanità. Si tratta , però, di un’illusione; spesso il risultato è un
“disconnected curriculum”, un sapere frantumato che gli studenti
immagazzinano in tanti cassetti separati e non hanno mai occasione di
integrare; il che costituisce il più grave fattore di rischio per un mancato
“transfer” degli apprendimenti. Di qui anche la crisi del modello tradizionale dei
LO, e la loro conversione in unità di apprendimento basate su un modello
pedagogico più costruttivista.

3. Il modello costruttivista, socio-collaborativo e situato

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Le ICT nella scuola delle competenze

La posizione del discente dunque è attiva e centrale : egli deve essere il più
possibile collocato di fronte alla vita reale, in quanto la realtà è origine,
condizione data e destinazione dell'apprendimento. Il modello trasmissivo e
frontale d’insegnamento presenta una realtà che non esiste: logica, astratta,
rigida e sistemica, e mette il discente in condizione di rapportarsi da solo di
fronte ad essa, in modo individuale. La realtà invece non ha nulla di tutto
questo: è priva di logica, di modelli teorici, è flessibile , instabile e cangiante,
non è rigida e sistemica ma caotica e complessa. Il recupero della centralità del
soggetto conoscitivo significa, dunque al contempo recupero della realtà, cioè
collocare lo studente in un ambiente situato, concreto e complesso esattamente
com’è la vita reale, in cui non basta ascoltare, leggere e ripetere, ma si deve
agire, risolvere problemi, relazionarsi con gli altri. Per loro natura intrinseca,
le tecnologie possono costituire un ponte tra la scuola e la vita reale :
consentono infatti la costruzione di scenari di apprendimento molto più
problematici e più vicini alla realtà di quanto non possa accadere non
utilizzandole; scenari in cui il discente impari a riflettere e ad agire, a utilizzare
le proprie risorse e a risolvere problemi, a saper fare e saper essere Questo
recupero della realtà e della centralità della persona nel processo formativo
vede nelle tecnologie non solo e non tanto un formidabile acceleratore di
processo, quanto un ambiente che riesce a potenziare e in certi casi a ri-
creare le vere condizioni nelle quali la persona impara. Vediamo ora alcuni
esempi e contesti di utilizzo delle tecnologie.

3.2 Cooperare e riflettere


Metariflessione,metacognizione e consapevolezza dei processi di
apprendimento sono elementi fondamentali della competenza, che non può
essere ricondotta al semplice saper fare. Le azioni devono essere agite
interiormente, devono consolidarsi come modelli per essere esportabili in altri
contesti e diventare dunque competenze. E non solo . Devono anche essere
negoziate e comunicate. Sono gli altri che ci vedono, ci criticano, ci valutano,
con i quali dobbiamo lavorare, mediare, negoziare, se vogliamo costruire
qualcosa insieme. Inoltre è dal dialogo con gli altri che si rafforzano e si
validano le nostre competenze linguistiche, che si riconosce l'efficacia dei nostri
schemi operazionali, oppure si cassano e se ne cercano di nuovi è più corretti.
Le Ict permettono di sviluppare molto gli aspetti comunicativi: dalla creazione di
attività ludiche (scenette e rappresentazioni teatrali), alla partecipazione a
gruppi d’interesse (resi possibili dai social network del Web2), a fiction più
caserecce ma più probabili quali il "role-play". L'apprendimento cooperativo
sviluppa una serie di competenze trasversali e di life skills come il peer learning
(capacità di apprendere dai pari), la capacità di lavoro in team,
l’interdipendenza positiva e corresponsabilità. Ambienti di condivisione di
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documenti, presentazioni, fogli di calcolo come Google Docs o software on web


per la costruzione di mappe concettuali condivise sono ambienti ideali per
sviluppare quest’abilità. Realizzare una mappatura o un planning grafico dei
propri o altrui percorsi mentali rafforza l'apprendimento significativo (meaningful
learning), i passaggi logici, le interconnessioni trasversali, e favorisce
l'elicitazione di collegamenti inopinati e creativi altrimenti destinati a rimanere
nell'ombra in una riproposizione puramente verbale e non grafica. Ovvio che in
teoria tutto questo possa essere realizzato anche con carta e penna: ma le
possibilità che le Ict offrono (collegamenti ipertestuali a siti esterni, caricamento
d’immagini e file multimediali, pubblicazione e condivisione in rete) ne elevano
esponenzialmente le potenzialità. La didattica attiva è la strategia: ma la
tecnologia è l’ambiente e il linguaggio.

3.3 Realtà simulata e gioco

L’introduzione della stampa a caratteri mobili e del libro-manuale come


repositorium del sapere ha contribuito a cristallizzare la tecnica d’insegnamento
basata sulla lectio frontale, in cui si utilizzano prevalentemente il linguaggio
scritto e la comunicazione orale da docente a studente. Via via si è illanguidita
la trasmissione di competenze – precipuamente manuali, in ambito “vocational”,
ma cariche di rilevanza pedagogica, mediante il cosiddetto apprendistato che,
attraverso un loop di osservazione-azione-riflessione in un contesto di
comunicazione mastro-apprendista sintetizza efficacemente un modello di
apprendimento costruttivista, socio collaborativo e situato.
Oggi le Ict consentono un recupero di questa dimensione di apprendistato e di
esperienza vicaria mediante la cosiddetta realtà simulata. Uno dei tre modelli di
apprendimento cui ci si dovrebbe ispirare nell’azione didattica, secondo il
rapporto del National Research Council, l'equivalente del CNR negli Stati Uniti,
è proprio quello fondato sull'apprendimento situato, che si sviluppa in contesti
autentici, con attività nelle quali il lavoro di esperti costituisce un modello per
l'apprendistato (mentoring). Quest'ultimo appare il più difficile da realizzare, per
evidenti motivi logistici: creare contesti autentici e destrutturati nel mondo reale,
da usare come palestre di apprendimento sotto la guida di docenti che
diventano esperti-coach- mentor, è in concreto impossibile. Tuttavia le
tecnologie aiutano, in quanto si possono creare ambienti virtuali e realtà
potenziate che riproducono la realtà vera in modo simulato, immergendo la
persona in un contesto simile al mondo reale. Quello dell'apprendimento situato
è un tema fondamentale per le competenze, in quanto affronta il nodo centrale
del transfer: l'apprendimento situato rende più trasferibile la competenza proprio
perché la sviluppa dentro un ambiente prossimale al mondo reale. Il gioco non
è altro che uno scenario in cui valgono le stesse regole (o comunque regole
molto simili) che vigono nella realtà esterna (un'impresa, un ambiente sociale o
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Le ICT nella scuola delle competenze

naturale etc.) ma comporta un'altra meta-regola: “Questo è un gioco”. Una


meta-regola che relativizza tutte le altre. Questa finzione è importante nei
bambini e negli adolescenti perché "li mette in condizione di svolgere la loro
attività esplorativa e imitativa dei comportamenti degli adulti senza correre il
rischio di essere ripresi e sanzionati a causa di un’inesatta riproduzione del
comportamento che imitano” [Bateson, 1996] . Perciò le Ict, rendendo possibile
la simulazione del gioco assolvono benissimo a questa funzione protettiva e
parentale, allenando al contempo alle competenze richieste nella vita e nel
lavoro.

3.4 La realtà aumentata

La realtà aumentata è una nuova frontiera dell’apprendimento, che necessita di


dispositivi tecnologici ancora non usuali, soprattutto nel nostro Paese e nella
nostra scuola. Ne accenniamo, però, perché sicuramente è un mezzo potente
per acquisire competenze. In un ipotetico progetto di apprendimento
sull’inquinamento, ad esempio , uno studente può avere a disposizione un
palmare collegato non solo alla rete ma anche al GPS (la tecnologia dei
navigatori satellitari), oppure un dispositivo RFID (Radio Frequency
Interference Device) che permette di raccogliere dati sulla composizione
chimica delle acque, del suolo, dell'aria man mano che ci muoviamo attraverso
le vie e le piazze della città. Lo studente assume così il ruolo di un ricercatore e
impara ad applicare la metodologia della ricerca scientifica. La realtà che gli si
presenta non è una realtà semplice ma potenziata, aumentata, in quanto il
lavoro di raccolta dati gli è stato semplificato, preparato: lui deve solo decidere
quali utilizzare e inserire nella sua relazione finale, e quali conclusioni
raggiungere. Naturalmente il lavoro è collaborativo e in team: mediante la rete
le informazioni raccolte sono scambiate e utilizzate cooperativamente per la
redazione del report finale. Anche in questo caso gli studi [Klopfer, Squire &
Jenkins, 2003] hanno dimostrato che questo tipo d’immersione in una realtà
potenziata può effettivamente impegnare lo studente in un pensiero critico e in
uno scenario autentico. Gli studenti che partecipano a queste attività dichiarano
di sentirsi “investiti” di un compito preciso e dunque molto motivati. Soprattutto
essi possono sviluppare una competenza di base, chiave, per la vita, il problem
solving, imparando a cercare, selezionare e sintetizzare i dati con il metodo più
appropriato, quello scientifico-sperimentale.

3.5 Il problem solving

Questa competenza, o meglio quest’attitudine, è così importante per la vita


sia professionale sia personale, che si potrebbe addirittura dire che scopo
ultimo della scuola sia proprio quello di creare negli studenti l’abilità di problem
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solving [Cardellini, Johnstone, 2005]. Ma come favorirne e potenziarne


l’acquisizione nella scuola? Non certo aggiungendo frammentazione a
frammentazione, cioè inserendola come nuova disciplina d’insegnamento. E
nemmeno - riteniamo- confinandola alle sole discipline scientifiche, ma
assumendo come centrale il concetto di “costellazione di competenze”.
Secondo questa idea le competenze non possono essere utilizzate in forma
isolata, ma richiedono di essere individuate, definite e comprese nelle loro
relazioni [Ryken e Salganik, Milano 2007], insegnate e valutate in maniera
integrata e dinamica.
L’asse dell’apprendimento, oggi prevalentemente orientato sulle singole
discipline, dovrebbe quindi essere spostato a un apprendimento attraverso le
discipline. Valutando attentamente come, attraverso una disciplina e uno
specifico contesto di apprendimento, si possano sviluppare competenze che la
trascendano, che costituiscano un possesso utilizzabile in altri campi del sapere
e della vita. Facciamo un esempio che può sembrare paradossale: quello
dell’apprendimento di lingue classiche come il greco e il latino. Nonostante una
certa opinione che le vuole come lingue morte, possono essere al contrario forti
promotrici di skills for life. Quali? Una certa tradizione ingenua che le vuole
come capaci di “insegnare a ragionare “a buon diritto è considerata passatista,
ma nasconde un fondamento di verità. La traduzione è certamente un’attività di
problem solving. "Ne ha tutte le caratteristiche: analisi, scelta del procedimento
risolutivo, esecuzione, controllo e autocorrezione del risultato mediante il
ripercorrere all’indietro le fasi del processo”[Mangiavini, 2008]. Su questo
concordano tutti gli studi sulla traduzione professionale [ Baker M., Malmkjær K.,
2001]. Ciò che distingue la traduzione scolastica da quella professionale è la
centratura sul processo, e non sul prodotto. E’ nell’apprendimento del processo
che si possono acquisire competenze di decision making e problem solving; ma
per realizzare il transfer, per tradursi in acquisizione di competenza il processo
va reso esplicito. attraverso tools cognitivi . E qui le tecnologie sono ambiente e
strumento assai efficace: attraverso software on web come Gliffy, che consente
la realizzazione di flow chart e diagrammi di flusso dai quali emergano nodi
decisionali, o attraverso la creazione di veri e propri “action maze” -realizzati
con il software Quandary - gli studenti possono realizzare percorsi decisionali,
che al momento sono utili a risolvere nodi complessi di traduzione, ma in futuro
consentiranno l’utilizzo nella vita di competenze quali problem setting e decision
making. Anche il controllo e l’autocorrezione possono avvalersi di ambienti
tecnologici. A questo proposito facciamo specifico riferimento alla
sperimentazione di strumenti per la peer review come l’attività “Workshop”
presente nel notissimo LCMS Moodle. Essa garantisce l'anonimato e la
casualità nella redistribuzione dei lavori tra i pari (gli studenti); rende automatica
la valutazione delle valutazioni degli studenti per esempio mediante il calcolo
dello scarto quadratico medio tra la valutazione del docente e dello studente
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Le ICT nella scuola delle competenze

(ovvero: quanto più la valutazione dello studente si allontana da quella del


docente, e quindi dai criteri negoziati e condivisi, tanto minore sarà il voto
assegnato alla valutazione dello studente); e infine automatizza la valutazione
ponderata conclusiva, dando indicazioni allo studente sulla propria
autovalutazione[Bettoni, Mangiavini, 2007].

4. Scuola e realtà
Dunque le Ict per un recupero di un’autentica dimensione dell’apprendere,
che ponga il soggetto discente e la realtà della vita al centro dell’attività
didattica. Le competenze sono la cifra di questo nuovo apprendimento, col
quale si può fornire un decisivo impulso alla preparazione dei nostri giovani e
alla competitività del sistema-paese, sulla strada della costruzione dell’Europa
della conoscenza.
Recuperare la realtà tuttavia non significa appiattirsi su di essa. Ci riferiamo
in particolare a una certa concezione della competenza come prestazione che
ne fa un portato aziendalista e utilitarista della dimensione didattica, la quale
dovrebbe invece mantenere un “disinteresse” aristotelico per il sapere
competente, un ingenuo e piacevole stupore di fronte alla scoperta e
all’invenzione.
Possiamo dire che la concezione trasmissiva dell’apprendere rappresenta
l’eccesso diametralmente opposto di questa prestazionalizzazione delle
competenze, che non fa della scuola e della formazione il luogo in cui si
costruisce un ponte tra l’apprendimento e la realtà, ma lascia lo studente di qua
del guado, in una scuola in cui la dimensione dell’apprendere è
autoreferenziale e speculare a un’immagine semplificata di una realtà che
non esiste. Di converso, la concezione della competenza come pura
prestazione si pone sull’altra riva, quella del lavoro e della vita, ma non si pone
il problema di come condurvi lo studente, di come dargli quegli strumenti etici,
emozionali e metariflessivi che lo fanno maturare come persona prima che
come lavoratore. In questo senso, invece, la scuola deve mantenere una
funzione di ponte con la realtà, e le Ict, grazie alle infinite possibilità
comunicative, ludiche, esplorative, parentali della simulazione interattiva ne
costituiscono la struttura portante. Tra scuola e realtà esterna c'è e ci deve
essere una cesura. La scuola non deve duplicarla, mancherebbe alla sua
missione: quella di introdurre alla realtà ma nel contempo prenderne le distanze
per valutarla criticamente, di entrarci ma al contempo restarne fuori,
mantenendosi libera. [Resnick, 1995]. Inoltre la scuola ha un'altra importante
funzione: semplificare la realtà per agevolarne la comprensione e preparare alle
asperità del primo impatto: un ruolo parentale che la scuola esercita con
modalità tecniche e simulate, e non affettive come fa la famiglia. Ora,
l'approccio alla realtà che la scuola fornisce è sempre simulato, e le tecnologie
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DIDAMATICA 2009

rappresentano la cifra identificativa di questa simulazione. Esse


permettono di mantenere questo difficile equilibrio tra il recupero della realtà –
che deve essere fatto in modo potente mediante lo sviluppo delle competenze,
– e la specificità della formazione, che deve mantenere le distanze e
distinguersi dalla realtà per valutarla. La simulazione infatti permette di attuare
una prospettiva bicentrica, che è la somma scomposta della prospettiva
esocentrica dell'osservatore non partecipe e della prospettiva egocentrica che si
prende carico responsabilmente del processo di apprendimento, perché il
soggetto discente ne è coinvolto.

6 Conclusioni

L’insegnamento per competenze è una grandissima sfida per la scuola


italiana, e le tecnologie per la didattica ne costituiscono, a nostro parere, la
chiave. Esse devono affermarsi nel fare quotidiano come metodo largamente
condiviso, ed essere riconosciute anche dagli studenti come un metalinguaggio
,al di là dei linguaggi specifici delle singole aree disciplinari. Soltanto in questo
modo, , come abbiamo cercato di dimostrare, si potrà superare la
frammentazione dei saperi e unificarli in un ambiente comune di
apprendimento.
In caso contrario, la questione delle competenze rischia di limitarsi alla
definizione burocratica di traguardi, prove e certificazioni e perde di vista
l’obiettivo essenziale, che è quello di far maturare lavoratori, cittadini ma prima
di tutto esseri umani. In altre parole, rischia di limitarsi al visibile e al misurabile,
di concentrarsi solo sulla “punta dell’iceberg” della competenza [Spencer &
Spencer, 1993], su singole prestazioni che frantumano l’attuale “curriculum
disconnesso” in compiti e risultati ancora più piccoli.
Mentre il processo di apprendimento nasce proprio da tutto ciò che è
sommerso, e che si trova dentro l’individuo: convinzioni, motivazioni, stili di
apprendimento. La scuola dovrebbe stimolare la crescita della persona in
quanto tale , ovvero una strutturazione etica ed emozionale della persona
senza la quale ogni saper fare diventa vuoto ed improduttivo [Bettoni, 2009].
Per farlo emergere questo mondo sommerso ,per trasformarlo in
competenza è necessario un uso accorto, sapiente –diremmo , se non fosse un
gioco di parole, competente - delle tecnologie. Che attraverso la ricerca, la
manipolazione dei dati, il problem solving, la simulazione della realtà
propongono task autentici,coinvolgono il discente intellettualmente ed
emotivamente, lo motivano e lo accompagnano in quella grande esperienza che
è l’apprendere.

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Le ICT nella scuola delle competenze

Bibliografia
Baker M., Malmkjær K., Routledge Encyclopedia of Translation Studies, New York
2001, pp.57-59.
Bateson G. Questo è un gioco. Perché non si può mai dire a qualcuno: «Gioca!»,
Raffaello Cortina, Milano 1996.
Bettoni, M. L’educazione degli adulti tra rientro formativo e formazione permanente,
Milano 2009
Bettoni M, Mangiavini M, “Dal latino al database”, in Didamatica, Atti del convegno,
Bologna 2007, pag 127.
Cardellini L., Johnstone A., Problem solving: per migliorare le capacità cognitive, in
Informatica e Scuola, XIII, 1, 2005, pp.

Klopfer E., Squire K. & Jenkins H.,(2003) “Augmented reality Simulations on


PDAs”,American Education Research Association (AERA), Chicago 2003
Le Boterf, G., De la compétence: Essai sur un attracteur étrange, Paris 1990 .
Lechner O., Moroder B. , “ Le competenze chiave ...un trampolino verso il mondo del
lavoro di domani”, Camera di Commercio di Bolzano, 2002.
Mangiavini M ,Didattica e tecnologia delle lingue classiche, in P. Ardizzone, P.C.
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Morin E. , La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero,
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Flow of Non-Linear Learning, Southern Cross University, Australia, 2003 – disponibile in
rete: http://naweb.unb.ca/proceedings/2003/PaperPhelps.html
Resnick L.B., “Learning in School and Out”, Educational Researcher, 16/9 (1987),
(tr. it. in C. Pontecorvo, A.M. Ajello, C. Zucchermaglio (a cura di), I contesti sociali
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Spencer L.M, Spencer S. M., Competence at work, New Jork ,1993
Ryken , Salganik L.H. Agire le competenze chiave. Scenari e strategie per il
benessere consapevole" , Milano 2007.

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