Vous êtes sur la page 1sur 20

LA "NUOVA TEOLOGIA POLITICA" TEDESCA DA KARL RAHNER A JOHANN METZ

Paul Renner

Il quarto paragrafo della costituzione Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, riporta questa importante acquisizione della teologia del nostro
secolo:
... dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei
tempi e interpretarli alla luce del vangelo, cos che, in modo
adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni
interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e
futura e sul loro reciproco rapporto. Bisogna infatti
conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonch le
sue attese, le sue aspirazioni e la sua indole spesso
drammatiche (Gaudium e Spes, 4).
Questo discorso sulla situazionalit storica della fede e sulla necessit di un
discernimento del contesto esistenziale, suona totalmente nuovo, se pensiamo alla
Chiesa del Vaticano I, che si avvertiva come segno inequivocabile di santit, non
rimandato a sua volta ad una revisione di significanza legata allambito cui il
messaggio destinato. In questo passo conciliare si trova gi formulata lesigenza di
partire con il discorso teologico da un ben preciso Sitz im Leben, che avr la sua
rilevanza sui metodi e sui contenuti delle discipline teologiche.
In questa prospettiva di rivalutazione entro la scienza teologica del contesto
soggettivo e storico rispetto allansia di oggettivit e precisione che procedeva dal
pensiero positivista e neoscolastico, possiamo fissare tre fasi:
- la ricerca di nuovi paradigmi nel rapporto tra Chiesa e mondo;
- la svolta antropologica di Rahner;
- la svolta politica di Metz.
Nuovi paradigmi nel rapporto Chiesa-mondo
La prima met del nostro secolo ha portato la teologia ad interrogarsi sul modo in cui
la Chiesa deve rapportarsi al mondo: non pi "sopra" o "contro" di esso, ma invece
"per" e "a servizio" dello stesso, come esprime il sintetico appello di Von Balthasar
circa la necessit di "abbattere i bastioni". Ne scaturita - non senza fatiche e
resistenze - lelaborazione di unarticolata teologia delle realt terrene: del lavoro,
delleconomia, della famiglia, della politica, del progresso, colte nellautonomia che
loro propria, come bene sancir Gaudium et Spes 73-77. I primi contributi in tale
direzione li dobbiamo a G. Thils con la sua Teologia delle realt terrene (1947) e con
Teologia della storia (1949), opere che sono accompagnate dal dibattito tra
incarnazionisti (Blondel, Teilhard ed altri che sottolineano il valore dellimpegno
temporale per costruire il Regno) ed escatologisti (De Lubac, Danielou, maggiormente
pessimisti, ribadiscono limportanza di non perdere di vista la Croce e la
contraddizione che il cristianesimo comporta di fronte al mondo).
La svolta antropologica di Rahner
In tale nuova centratura delle mutuae relationes tra Chiesa e mondo, un ruolo del
tutto epocale va attributo a Karl Rahner, il quale porta a maturazione le intuizioni
dellapologetica trascendentale e pone quale motto della sua ricerca scientifica la
convinzione che la teologia devessere "radicalmente cristocentrica e funzionalmente
antropocentrica". E lui lanimatore della grande svolta antropologica in teologia, nella
quale gi sono racchiuse quelle intuizioni di rilettura politica ed escatologica che
giungeranno ad ulteriore esplicitazione in Metz, come bene formula il P. Marranzini:
1

E facile intendere che la decisione "politica" che la Chiesa deve evitare in realt la
decisione "partitica", ovvero lo schierarsi con luna o laltra fazione in campo, con luno
o laltro sistema in gioco. Lunico schieramento concreto che compete alla Chiesa
quello contro lingiustizia e loppressione, come afferma Rahner in un brano del 1980
che risente dellapporto formale della teologia politica del suo discepolo Metz:
Dopo queste premesse che hanno cercato di mettere a fuoco la svolta antropologica di
Karl Rahner quale premessa allimpostazione politica di J.B. Metz, dedichiamoci al
pensiero del nostro illustre ospite.
La svolta politica di J.B. Metz
Scrive cos H. de Lavalette circa lapporto di Rahner alla riflessione metziana:
Essendo ormai acquisita la riflessione generale del Rahner
sulluomo, sulla storia, sullincontro di Dio nella storia,
lopera stessa del maestro lascia aperto al discepolo un
programma: quello di non studiare pi direttamente la
storicit o la mondanit, ma, tenendo conto di tali analisi
formali, di approfondire lo sviluppo effettivo della storia per
comprenderlo, di analizzare le trasformazioni epocali che
determinano la storia9.
Ovviamente non solo Rahner ad aver plasmato il pensiero di Metz. Un contributo
fondamentale lo ha acquisito anche dalla teologia della speranza di Moltmann10 e dal
dialogo con esponenti delle pi diverse correnti filosofiche del nostro tempo. Ma
vediamo alcuni dati biografici del Nostro.
Johann Baptist Metz nasce il 28 luglio 1928 a Velluck, nella Baviera settentrionale.
Assolve studi di filosofia e teologia dapprima a Innsbruck e poi a Monaco di Baviera. Si
laurea in filosofia su Heidegger e poi in teologia, sotto la guida di Karl Rahner, su S.
Tommaso dAquino. La maggior parte della sua carriera universitaria lo vede docente
di teologia fondamentale a Mnster, carica che ha lasciato negli ultimi mesi, per
assumere la cattedra di Christliche Weltanschauung alluniversit di Vienna. Numerose
le sue pubblicazioni, tra cui ricordo vari articoli nel Lexicon fr Theologie und Kirche,
nellHandbuch Theologischer Grundbegriffe, in Sacramentum Mundi e in Mysterium
Salutis, nonch libri quali Sulla teologia del mondo (1968; Brescia 1969),
Antropocentrismo cristiano (Torino 1969), con J. Moltmann-W. lmller, Una nuova
teologia politica (Assisi 1971), Tempo di religiosi? Mistica e politica della sequela
(1977; Brescia 1978), La fede nella storia e nella societ (1977; Brescia 1978), Jenseits
brgerlicher Religion (Mnchen/Mainz 1980), Unterwegs zu einer nachidealistischen
Theologie, in J.B. Bauer (Hrsg.), Entwrfe der Theologie (Graz-Wien-Kln 1985, 209233)11.
La sua maturazione teologica conosce varie tappe, segnate dalle tre grandi "crisi" del
nostro secolo con cui egli si sente confrontato: la sfida marxista alla teologia,
Auschwitz e la negativit della storia, la provocazione del Terzo Mondo. Riprender
questo tema pi oltre; per ora lascio alla sua stessa voce descrivere i punti salienti del
suo percorso intellettuale:
Lesperienza di queste crisi mi ha fatto cogliere un ...
mutamento dello sfondo filosofico-teologico: mi sono rivolto
dal Kant trascendentale e da Heidegger al Kant del primato
della ragione pratica (ritornando cos ad un tema
dellIlluminismo, in quanto avevo il sospetto che le filosofie
tedesche cui si riferiva il paradigma trascendentale
(idealismo ed esistenzialismo) avessero solo ricoperto in
maniera speculativa lIlluminismo, senza averlo riflettuto fino
in fondo. La mia attenzione critica si rivolse dallidealismo
2

alla critica della religione postidealista, come pure al


tentativo di Karl Marx di comprendere il mondo come un
progetto storico; si rivolse a Bloch e Benjamin ed a questioni
della scuola di Francoforte.
Infine cercai un primo approccio al pensiero ebraico ed alla
saggezza religiosa del giudaismo, cos a lungo preclusa.
Laccentuazione
della
tradizione
ebraica
entro
il
cristianesimo, a differenza delle tradizioni greco-ellenistiche
(con la loro tendenza pre-storica al dualismo) stata una
mia preoccupazione primaria. Con altri cultori della nuova
teologia politica, ho avuto modo di apprezzare pensatori
teologici quali Kierkegaard e Bonhoeffer, senza volermi
allontanare dallo spirito e dallispirazione del mio maestro. E
ancora una volta: forse proprio il progetto della teologia
della liberazione esprime in pienezza ci che con questo
paradigma si intende, specie nellambito della vita
ecclesiale12.
Si legge in questo excursus autobiografico, come Metz sia andato gradualmente
distanziandosi da unimpostazione teologica legata a categorie metafisiche ed
essenzialiste, come pure dal personalismo che a suo parere "non sembra voler
considerare la complessit dei processi di socializzazione e di istituzionalizzazione che
ha investito ogni relazione tra gli uomini"13. Il limite della teologia moderna consiste
nel non aver saputo fronteggiare la secolarizzazione, causando una "strana e
pericolosa schizofrenia tra teoria teologica e prassi religiosa"14, come conseguenza
della mancata valutazione del contesto storico-politico, scadendo cos in un privatismo
teologico, che prescinde dal carattere sociale della rivelazione e della salvezza e vita
ecclesiale. La teologia oggi "dovrebbe passare da una generica accettazione degli
impulsi moderni e da una posizione di secolarizzazione astratta, a una teologia
politica, come ermeneutica della tradizione di fede, orientata allazione nei confronti
della storia moderna della libert"15. Il suo contributo Metz lo situa dunque
nellambito di unimpostazione postidealista, che succede sia al paradigma
neoscolastico della teologia, che a quello trascendental-idealistico (in cui rientra pure
Rahner, che pure Metz continua ad annoverare tra i maestri e classici della
teologia16), paradigmi ritenuti inadatti per affrontare le tre grandi crisi cui sopra si
accennava.
La teologia politica che Metz elabora richiede necessariamente lattributo di "nuova";
in quanto intende distanziarsi nettamente da quella "civilis theologia" o "theologia
politica" intesa ai tempi di Roma o ancora nelle teorie di uno Schmitt in senso
reazionario e legittimista, ovvero come giustificazione diretta o indiretta del potere
civile tramite quello religioso. Rimando per questo aspetto ad altre fonti17.
La nuova teologia politica intende riproporre la pregnanza escatologica del messaggio
cristiano, per divenire figura di quella ragione critico-pratica che lIlluminismo aveva
auspicato ma non posto in essere. La fede viene descritta come "una prassi della
storia e della societ, una prassi che intenda se stessa come speranza solidaristica nel
Dio come Dio dei vivi e dei morti, che tutti chiama ad essere soggetti al suo
cospetto"18. Ne scaturisce lesigenza di ununiversale solidariet che supera la logica
dello scambio, smascherata come forma di reciproco egoismo. Il comando dellamore
cristiano postula invece una solidariet generosa, che si prende cura degli oppressi e
non tollera che lindividuo venga sacrificato al progresso. La storia di cui tale fede
parla allora una storia di libert ma anche una memoria di passione. Proprio
allinterno della comunit cristiana lautorit allora chiamata ad essere espressione
della libert portata dalla morte e resurrezione del Cristo. La Chiesa, anzi, si
istituzionalizza quale araldo della libert, in quanto annuncia la propria provvisoriet in
riferimento alleschaton della parusia19. La prassi della fede infatti si compie in una
3

sequela mistico-politica, irriducibile sia alla pura interiorit, sia ad una concezione
esclusivamente umanistico-politica. Questo perch "le promesse escatologiche della
tradizione biblica - libert, pace, giustizia, riconciliazione - non possono essere
privatizzate. Esse spingono sempre pi alla responsabilit sociale ... Questa riserva
escatologica ci porta non gi ad un rapporto negatore, bens ad un rapporto critico e
dialettico nei confronti del presente storico"20.
In unulteriore riflessione Metz precisa che proprio in quanto teologia escatologica la
teologia politica "pu raggiungere e determinare il suo orientamento allazione solo in
maniera mediata, per la strada di unetica politica21". E questetica politica sar
necessariamente unetica del mutamento, che proietter la Chiesa dalla parte dei
movimenti di riforma piuttosto che di quanti vogliono mantenere lo status quo.
Riguardo alla forma di tale teologia politica, Metz specifica che essa non sar
argomentativa ma piuttosto narrativa, tendente a scatenare effetti sovversivi ed
innovativi.
Partendo da tali presupposti, "la prassi cristiana non appare pi solo come ambito di
applicazione di verit gi chiare in anticipo, bens... anche come istanza della loro
verificazione e luogo della loro concreta attuale determinazione... la prassi viene a sua
volta ad assumere il valore di un principio euristico"22.
Questa circolarit tra teoria e prassi si innerva per Metz soprattutto intorno a quei tre
grandi fenomeni o "crisi" del nostro secolo che gi nominavo.
1. La sfida marxista alla teologia: grazie al marxismo la teologia ha perso la sua
innocenza cognitiva, in quanto risalta che ogni sapere (e dunque ogni "verit")
condizionato da un interesse. La verit che la teologia cerca, per essere "vera",
devessere universalizzabile, in riferimento alla "fame e sete di giustizia" che tutti
hanno, dato che verum et bonum convertuntur! Laltra grande scoperta del marxismo
quella del mondo come storia e progetto (visione tipica giudeo-cristiana a fronte
delle altre religioni). La teologia ha allora una funzione critica della e nella storia,
costruendovi un regno di solidariet e giustizia universali.
2. Auschwitz, ovvero la teologia di fronte alla fine di tutti i sistemi idealistici che
negano il soggetto. "Nella misura - scrive Metz - in cui la teologia assumeva o non
assumeva la tragedia di Auschwitz, mi si chiariva il suo grado di apatia e di
impermeabilit alle esperienze storiche. La storia immanente al logos e cos anche
Auschwitz che racchiude tutte le storie di sofferenza dellumanit"23. La teologia, che
conosce un senso eterno per la storia, osa guardare in fondo allabisso di Auschwitz:
non solo, dunque, alle cose riuscite ma anche a quelle fallite, per tener viva questa
scandalosa memoria. "La memoria passionis, categoria quantomai biblica, diviene
categoria universale, categoria di salvezza"24. La teologia non pu tanto risolvere
questo dramma, quanto ricordare la questione e annunciare che esiste un dramma
inspiegabile, di cui Dio dovr dare conto.
3. La sfida del Terzo Mondo, ovvero di una teologia che non pu pi essere
eurocentrica. In cammino verso una Chiesa culturalmente policentrica, che non pi
"ha" una componente terzomondiale ma sempre pi "" chiesa terzomondiale "che
ben conosce il patire" e che fa lesperienza della pericolosit del Cristo e della sua
memoria sovversiva. La teologia europea deve con onest sviluppare una propria
"storia di colpevolezza" e permettere una fioritura di queste nuove Chiese povere, che
meglio sanno proporre una radicale sequela di Cristo povero ed oppresso. In questa
linea sono da apprezzare le comunit di base, che in comunione con i loro vescovi gi
hanno scritto un lungo martirologio di fedelt e coerenza. "Il tempo che abbiamo di
fronte non sar il tempo dei grandi leaders carismatici, dei grandi teologi o dei grandi
profeti. Sar piuttosto lepoca del divenir soggetto di molti piccoli, unepoca dei piccoli
profeti, ovvero della base"25.
Solo aiutando le Chiese e i popoli dei Paesi sottosviluppati a divenire soggetti della
propria storia, e di una storia planetaria sempre pi segnata dalla legge
dellinterdipendenza, lEuropa ritrover quellidentit e quel senso che pare spesso
4

aver smarrito, come ben formula A. Rizzi nel suo LEuropa e laltro26, che porta il
significativo sottotitolo Abbozzo di una teologia europea della liberazione.
Ma proprio su questo vitale tema vogliamo lasciarci guidare ed aiutare nella riflessione
dal nostro caro e illustre ospite, il professor J. B. Metz, cui passo ora la parola.
1 Cos a p. 17 della prefazione alledizione italiana di K. Rahner, Dimensioni politiche
del cristianesimo, ed. V. Vorgrimler, Roma 1992.
2 Rahner, Dimensioni politiche, p. 95 (da Dialogo con Hans Schpfer, 1981).
3 Rahner, Dimensioni politiche, p. 84 (da La funzione sociocritica della Chiesa, 1968).
4 Rahner, Dimensioni politiche, p. 153 (da Siamo apostoli o rivoluzionari, 1980).
5 Rahner, Dimensioni politiche, pp. 153ss. (da Considerazioni sulla teologia della
rivoluzione, 1970).
Nello stesso scritto profeticamente affermava: "Una situazione rivoluzionaria esistente
obiettivamente in una parte del mondo si riflette su tutto il mondo, nonostante che noi
egoisti dei Paesi industrializzati dellOccidente vogliamo ignorare che ci troviamo tutti
inesorabilmente e indiscutibilmente sulla stessa barca. Presto ce ne renderemo
conto": Rahner, Dimensioni politiche, pp. 157-158.
6 Rahner, Dimensioni politiche, p. 67 (da Discorsi sui commenti evangelici, 1975).
Unottima attuazione dellintuizione che a monte di ogni problema umano vi sia un
problema teologico, proprio in riferimento alla Trinit, la riscontriamo in L. Boff,
Trinit, la migliore comunit, Assisi 1990.
7 Rahner, Dimensioni politiche, p. 68 (da Dialogo con Slavko Kessler, 1978).
8 Rahner, Dimensioni politiche, pp. 69-70 (da Dialogo con Slavko Kessler, 1978).
9 H. de Lavalette, La thologie politique de J.B. Metz, "Recherches de Science
Religieuse" 58 (1970), p. 332.
10 Per Moltmann sulla terra non si possono creare le strutture, bens solo le premesse
del Regno, senza mai dimenticare che il primo politico fu il Crocifisso, per cui non si
pu de-politicizzare la croce del rivoluzionario Ges. "Il Dio crocifisso , di fatto, un Dio
senza Stato e senza classi. Non per questo un Dio apolitico: il Dio dei poveri, degli
oppressi e degli umiliati. Il potere di un Cristo politicamente crocifisso pu affermarsi
soltanto con la liberazione dalle forme di potere basate sul disimpegno e sullapatia e
dalle religioni politiche che la stabilizzano": J. Moltmann, Il Dio crocifisso, Brescia 1973.
11 Per approfondire ulteriormente: F.P. Fiorenza, Il pensiero di J.B. Metz: origine,
posizioni e sviluppi, in appendice a J.B. Metz, Sulla teologia del mondo, Brescia 1971,
pp. 159-167; M. Xhaufflaire, Introduzione alla "teologia politica" di J.B. Metz, Brescia
1974; G. Grassi, La svolta politica della teologia, Roma 1976; A. Fiero, Introduzione
alle teologie politiche, Assisi 1979; G. Colombo, La teologia politica di J.B. Metz,
Teologia 4 (1979), pp. 327-367; J. Moltmann, Politische Theologie - Politische Ethik,
Mnchen/Mainz 1984; J. Moltmann, Religione, rivoluzione e futuro, Brescia 1971; M.
Nicoletti, Trascendenza e potere. La teologia politica di C. Schmitt, Brescia 1990; D.
Slle, Teologia politica, (1971), Stuttgart 1982, Brescia 1973; G. Ruggieri, Sapienza e
storia. Per una "teologia politica" della comunit cristiana, Milano 1971; J. ODonnel,
Teologia politica, in: Dizionario di Teologia Fondamentale, diretto da Latourelle R. Fisichella R., Assisi 1990, pp. 1276-1280.
12 J.B. Metz, Unterwegs zu einer nachidealistischen Theologie, in AA.VV., Entwrfe der
Theologie, Graz-Wien-Kln 1985, p. 212.
13 A. Bondolfi, Il politico e letico in J.B. Metz come una risposta della riflessione
contemporanea alla sfida della "critica delle ideologie", in T. Goffi - G. Piana (edd.),
Koinonia. Etica della vita sociale, Brescia 1985, qui 137.
14 J.B. Metz, in AA.VV., La risposta dei teologi, Brescia, 1969, p. 72.
15 J.B. Metz, Lautorit ecclesiale di fronte alle esigenze della storia della libert, in J.B.
Metz-W. lmller, Una nuova teologia politica, Assisi 1971, p. 79.
16 "Le domande critiche vs. K. Rahner non vogliono negare che io debba proprio a lui
il meglio della mia produzione teologica; che senza di lui non potrei nemmeno porgli le
mie domande a lui. Rahner appartiene gi ai classici della teologia, dai quali si pu
5

continuare ad apprendere anche quando si ritenga di doverli contraddire": Metz,


Unterwegs, p. 211.
17 Si pu vedere ad esempio: G. Ruggieri, Fede trinitaria e teologia politica, "Rassegna
di Teologia" 24 (1983), pp. 277-279; o anche B. Wacker, Politische Theologie, in Neues
Handbuch Theologischer Grundbegriffe, Mnchen 1985, 3, pp. 379-391 (ed. italiana:
Enciclopedia teologica, Brescia 1989).
18 J.B. Metz, La fede nella storia e nella societ, p. 81. Ancor pi chiaramente si
esprime in un altro passo scrivendo: "La lotta per Dio e la lotta per il libero poteressere-soggetto di tutti non si svolgono diametralmente opposte, bens
proporzionalmente parallele": La fede nella storia e nella societ, p. 69.
19 Metz, Teologia del mondo, p. 114.
20 Metz, Teologia del mondo, p. 111.
21 J.B. Metz, La teologia politica in discussione, in AA.VV., Dibattito sulla teologia
politica, p. 249.
22 B. Wacker, Politische Theologie, in Neues Handbuch Theologischer Grundbegriffe,
3, p. 388.
23 Metz, Unterwegs, p. 219.
24 Metz, Unterwegs, p. 219.
25 Metz, Unterwegs, p. 223.
26 A. Rizzi, LEuropa e laltro. Abbozzo di una teologia europea della liberazione,
Cinisello Balsamo 1991.

11 settembre 1962: un radiomessaggio che cambier la storia


La Chiesa dei poveri a Concilio

di Alberto Vitali
La casualit degli eventi fa si che talvolta ricorrano nelle stesse date avvenimenti cos
contrastanti da farci evocare una fatalistica "ironia della storia", che si prenderebbe
gioco del destino dell'uomo... Ma ai pi attenti non sfugge come, tra le pieghe del
tempo e delle cose, si celi in realt la discreta e provvidenziale mano di Dio, sempre
pronta ad offrirci vie di salvezza, molto prima che noi portiamo a compimento i nostri
disastri. Cos, se l'11 settembre 2001 rester per molti anni nella memoria dei popoli,
come il giorno della tragedia di New York e Washington, un altro 11 settembre, di 39
anni prima, fu invece la radiosa aurora di un giorno che di l a poco - esattamente un
mese dopo - sarebbe spuntato, per la Chiesa e l'umanit intera, con la solenne
apertura del Concilio Vaticano II. Ricorrono perci in queste settimane il 40
anniversario del memorabile radiomessaggio con cui Giovanni XXIII, l'11 settembre
1962, present il Concilio al mondo e l'inizio della grande assise. Viator vuole ora
ripercorrere quelle tappe insieme ai suoi lettori. E' certamente un progetto un po'
ambizioso, ma ricco e stimolante: ci impegniamo - per i prossimi quattro anni - a
rileggere, mese per mese, i punti salienti dell'agenda conciliare. Presteremo maggiore
attenzione ai documenti promulgati, quegli stessi che hanno profondamente rinnovato
e stimolato la vita della Chiesa, ma anche a tanti altri avvenimenti o iniziative che
costituendone lo sfondo, sebbene non propriamente atti conciliari, lo hanno
influenzato o ne sono derivati. Ci faremo aiutare in questo da testimoni di primo piano,
che hanno vissuto dall'interno l'esperienza del Concilio o da attenti osservatori
dell'epoca, ma anche da persone semplici ed umili, che, nel lavoro nascosto e fedele di
ogni giorno, hanno saputo coglierne lo spirito e praticarlo nella costruzione del Regno.
Sar dunque un regalo che Viator far a s e ai suoi lettori, per aiutare coloro che
6

ebbero la fortuna di
Chiesa"- a riscoprirlo
primo approccio per
vorremmo definirci a

vivere quell'evento - giustamente definito una "primavera della


e a vivificarlo; ma soprattutto un'occasione di approfondimento o
tanti della nostra generazione, che - nascendo in quegli anni ragione "figli del Concilio".

Annuncio a sorpresa
Papa Giovanni aveva stupito tutti allorch, a sorpresa, il 25 gennaio 1959 annunci ai
cardinali, riuniti nella basilica di S. Paolo fuori le mura per la giornata conclusiva della
settimana di preghiera per l'unit della Chiesa, l'intenzione di indire un Concilio. Un
Concilio non cosa che si prepari in poco tempo e si celebri facilmente L'ultimo
risaliva a quasi cent'anni prima, sotto il pontificato di Pio IX, in quel momento
particolarmente delicato per le sorti della Chiesa e dell'Italia che fu la fine del potere
temporale dei papi. La "breccia di Porta Pia" ne aveva di fatto interrotto i lavori ed il
Vaticano I venne aggiornato "sine die". In tale contesto, tutti i pronunciamenti di quel
concilio furono fortemente influenzati dagli avvenimenti dell'epoca: Pio IX voleva
recuperare sul piano spirituale tutto il potere che stava perdendo su quello temporale
e politico da ci nacque anche la formulazione del dogma sull'infallibilit papale "ex
cathedra", che per 1800 anni nessun papa aveva sentito il bisogno di proclamare e fu
votato nel bel mezzo del "fuggi fuggi" ( non tanto per l'arrivo dei soldati!) dei vescovi
ancora presenti. Il carattere fortemente risolutivo e definitivo di quei pronunciamenti
faceva perci ritenere ai settori pi conservatori della curia vaticana che non vi fosse
alcun bisogno di un nuovo concilio, mentre gli spiriti pi aperti, appena passata l'onda
lunga del Vaticano I, ne esorcizzavano il ricordo, rimuovendo tout court l'ipotesi di un
nuovo concilio che potesse inscriversi nel solco del precedente Ma il cuore e la
mente di papa Giovanni erano lontani da ogni bega da sacrestia e trascendevano i
ristretti orizzonti delle sponde del Tevere. Il mondo "a 17 anni dalla fine della seconda
guerra mondiale", restava diviso e conteso dalle due super-potenze (Usa e URSS),
sull'orlo di un sempre possibile nuovo e peggiore conflitto nucleare; i popoli oppressi
anelavano alla loro liberazione e invocavano la fine della vergogna coloniale; la donna
esigeva pi rispetto nella societ e la classe operaia reclamava i propri diritti
sindacali tanti "segni dei tempi" di fronte ai quali la Chiesa, "Mater et Magistra", non
poteva restare a guardare! Era urgente che parlasse ai suoi figli, anzi a tutti gli
"uomini di buona volont", che si compromettesse con le vicende del mondo, perch
l'annuncio del Vangelo lo trasformasse ma per farlo, la Chiesa doveva prima
trasformare se stessa! Perci il discorso rivolto dal papa al collegio cardinalizio non fu
una richiesta di consulto, ma un atto di solenne formalizzazione di una decisione gi
presa: il dovere di parlare al cuore degli uomini, in quella particolare situazione, era
ormai improrogabile.
Verso il Concilio
Passarono due anni tra lentezze burocratiche ed il temporeggiare di quanti speravano
che l'avanzata et del pontefice facesse svanire il progetto. Ma nell'epifania del 1962
con una lettera indirizzata al clero del mondo, Giovanni XXIII fece capire che non era
pi disposto ad aspettare e infatti il 2 febbraio successivo, con il motu proprio
Consilium, fiss la data di apertura del Concilio Ecumenico per l'11 ottobre di quello
stesso anno, anniversario della proclamazione al concilio di Efeso (431) della
maternit di Maria. Nei mesi che seguirono il papa si impegn a precisare la natura e
le dinamiche del concilio. Cos in occasione della Pasqua si rivolse a tutti i vescovi con
una "Epistola Paschalis" per sollecitare - e quindi garantire - la loro attiva
partecipazione al concilio. "La lettera rompeva la riservatezza quasi assoluta che
circondava i lavori preparatori, affermando inequivocabilmente che secondo il papa il
concilio aveva una responsabilit inalienabile, che i vescovi avrebbero dovuto
esercitare in modo pieno e con modalit collegiali, senza limitarsi alla passiva
approvazione dei testi elaborati dalle commissioni preparatorie, come non pochi
7

auspicavano" (G. Alberigo, Papa Giovanni, EDB 2000, p. 176). Inoltre nel luglio di
quello stesso anno modific pi volte il Regolamento del concilio che si andava
elaborando e intervenne risolutamente sugli organismi della curia perch fossero
rispettate tutte le componenti ecclesiali. Soprattutto prestava molta attenzione alle
legittime aspettative dei grandi movimenti: biblico, ecumenico e liturgico, che si erano
sviluppati nei decenni precedenti e costituivano un bene prezioso per il rinnovo della
Chiesa.
La Chiesa per il mondo
Si giunse cos ad un mese esatto dall'apertura della grande assise. Il papa non l'aveva
mai concepita come un fatto privato, intraecclesiale: il Concilio si rivolgeva - ed era per "tutti gli uomini e le donne di buona volont". Anzi per tutti coloro che, a
prescindere dai propri meriti e disposizioni, gli erano stati affidati dalla paternit
divina: "In forma pi mite, l'umile successore di Pietro e di Paolo nel governo e
nell'apostolato della chiesa cattolica, in questa vigilia della riunione conciliare, ama
rivolgersi a tutti i suoi figli di ogni terra, ex Oriente et Occidente, di ogni rito, di ogni
lingua" Da qui il desiderio, diremmo la "necessit", di presentare al mondo il concilio
nella sua natura e nelle questioni pi scottanti da cui avrebbe preso ispirazione. Lo
fece con un radiomessaggio, il terzo del suo pontificato, l'11 settembre 1962. Giovanni
XXIII era ormai entrato nel suo ultimo anno di pontificato, il cancro gi l'assediava ed i
temi che si incontrano in questo discorso saranno gli stessi che svilupper con sempre
maggiore profondit nei mesi successivi, fino a sistematizzarli magistralmente
nell'ultimo suo documento - vero e proprio testamento spirituale - l'Enciclica Pacem in
Terris, pubblicata l'11 aprile 1963 quando ormai mancheranno appena due mesi alla
sua morte. Riascoltando a quarant'anni di distanza quelle parole, ci che colpisce
primariamente lo spirito che le caratterizza: ottimista ma non ingenuo, profetico
senza lamentazioni, radicale, ma a partire da s. Il clima internazionale non era dei
migliori, la "guerra fredda" rischiava di riscaldarsi da un momento all'altro e di l a
poco si sarebbe consumata la "crisi di Cuba" tra USA ed URSS, ma papa Giovanni sa
esprimere ottimismo sul momento storico, sul mondo e sull'uomo. Non l'ottimismo di
un inguaribile sognatore, ma piuttosto di colui che sapendo scrutare in profondit le
viscere della realt non si lascia spaventare n ingannare dall'apparenza e cos non
confonde la contingenza con la natura stessa delle cose. "Le profetiche parole di
Ges incoraggiano le buone e generose disposizioni degli uomini, in modo
particolare in alcune ore storiche della chiesa, aperte ad uno slancio nuovo di
elevazione verso le cime pi alte: 'sollevate la testa perch prossima la vostra
liberazione' (Lc 21,28)". Non possono poi non sconcertare le parole con cui il papa
spiega la "ragion d'essere" del concilio: non gi per insegnare qualcosa al "mondo
moderno", o meglio per riportarlo sulla retta via, dopo che si sarebbe perso sulle vie
della secolarizzazione e del materialismo (quante volte in seguito avremmo sentito
queste lamentele?), ma "la sua ragion d'essere la sua continuazione, o meglio la
ripresa pi energica della risposta del mondo intero, del mondo moderno al
testamento del Signore". Nessuna condanna dunque; secondo il papa che sa leggere i
"segni dei tempi" il mondo sta gi rispondendo positivamente a Cristo, va solamente
incoraggiato e fortificato perch: "Il mondo ha i suoi problemi, dei quali cerca talora
con angoscia una soluzione" e se talvolta perde di vista la verit non per malafede,
ma perch "va da s che l'affannosa preoccupazione di risolverli con tempestivit, ma
anche con rettitudine, pu presentare un ostacolo alla diffusione della verit tutta
intera e della grazia che santifica". E non potrebbe essere altrimenti perch il mondo
fatto dagli uomini e, al di l delle apparenze, ci che l'uomo realmente cerca :
"l'amore di una famiglia intorno al focolare domestico; il pane quotidiano per s e per i
suoi pi intimi, la consorte e i figlioli; egli aspira e sente di dover vivere in pace cos
all'interno della sua comunit nazionale, come nei rapporti con il resto del mondo; egli
sensibile alle attrazioni dello spirito, che lo porta ad istruirsi e a elevarsi; geloso della
sua libert, non rifiuta di accettarne le legittime limitazioni, al fine di meglio
8

corrispondere ai suoi doveri sociali". Ma potr valere questo per ogni uomo? Papa
Giovanni convinto di s e questa fiducia nell'uomo - che affonda le sue radici
teologiche nella fede in Dio Creatore - lo porta a compiere passi impensati e ripugnanti
per tutti coloro che avevano interesse a salvaguardare piuttosto lo "status quo" e a
propinare ai popoli una lettura manichea della situazione internazionale. Se il mondo si
divideva in buoni e cattivi (il patto atlantico e quello di Varsavia) e, visti da occidente,
gli "altri" erano irrimediabilmente i cattivi, i senza Dio, l'impero del male, papa
Giovanni cercher di creare rapporti sempre pi stretti, oltre la cortina di ferro, con i
leader dell'Unione sovietica, sconfessando (e scandalizzando!) tutta la retorica
occidentale. L'iniziativa di Krutschev di inviare al papa il 25 novembre 1961 un
telegramma di auguri per il suo ottantesimo compleanno e successivamente, il 7
marzo del 1963, la visita in Vaticano della figlia e del genero del presidente sovietico,
furono la prova che il vecchio papa non si sbagliava. Rest invece profondamente
amareggiato per le dure critiche di "imprudenza" o "arrendevolezza" che gli piovvero
addosso: "Ho detto e ripetuto che si pubblichi la nota redatta da padre Koulic, l'unico
testimone (in quanto interprete) dell'udienza concessa a Rada e Alexei Adjubei
Quando si sapr cosa ho detto io, cosa ha detto lui, credo che si benedir il nome di
papa Giovanni Deploro e compiango quanti si prestano in questi giorni a giochi
innominabili. Ignoro e lascio cadere". Vogliamo ipotizzare, nell'attuale contesto
geopolitico internazionale, quale posizione prenderebbe oggi papa Giovanni? Come si
porrebbe nei confronti degli uomini di al Qaeda, di Saddam Hussein, di Bush? Non
difficile, basterebbe ricordare cosa si diceva allora nei confronti dei sovietici!
Indubbiamente riscontriamo in lui quello spirito positivo e di fiducia nei confronti
dell'uomo e del mondo che animer tutto il concilio: papa Giovanni, che non riuscir a
firmare nemmeno un documento, in questo modo li ha ispirati e preventivamente
firmati tutti.
Giustizia e Pace
Il tema pi sintetico non solo del pontificato, ma di tutta la vita di papa Giovanni fu
certamente quello della pace. Pace non intesa come ideale o valore astratto da
perseguire e raccomandare con ben poca illusione nei documenti ufficiali, quanto
piuttosto come la condizione indispensabile - "sine qua non" - della convivenza umana
sulla terra e perci perseguita con ostinazione - oltre che con fede - a partire dalle
cose pi semplici e quotidiane. Quello che la Chiesa deve proclamare gi presente
nelle cose del mondo ed per questo che anche le dichiarazioni pi solenni partono da
semplici constatazioni: "Le madri e i padri di famiglia detestano la guerra: la Chiesa,
madre di tutti indistintamente, sollever una volta ancora la conclamazione che sale
dal fondo dei secoli e da Betlemme, e di l sul Calvario, per effondersi in supplichevole
precetto di pace: pace che previene i conflitti delle armi, pace che nel cuore di ciascun
uomo deve avere sue radici e sua garanzia. E' naturale che il concilio nella sua
struttura dottrinale e nell'azione pastorale che promuove, voglia esprimere l'anelito
dei popoli a percorrere il cammino della Provvidenza segnato a ciascuno, per
cooperare nel trionfo della pace". Perci la pace - e la giustizia che ne
l'imprescindibile fondamento - dovere di tutti! "Dovere di ogni uomo, dovere
impellente del cristiano di considerare il superfluo con la misura delle necessit
altrui e di ben vigilare perch l'amministrazione e la distribuzione dei beni creati
venga posta a vantaggio di tutti". Dovere dei popoli e delle nazioni: "Il concilio
ecumenico sta per adunarsi a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Per la
prima volta nella storia i padri del concilio apparterranno, in realt, a tutti i popoli e
nazioni, e ciascuno recher contributo di intelligenza e di esperienza, a guarire e a
sanare le cicatrici dei due conflitti, che hanno profondamente mutato il volto di tutti i
paesi". Dovere anche dei vescovi: "I vescovi, pastori del gregge di Cristo,
richiameranno il concetto di pace non solo nella sua espressione negativa, che
detestazione dei conflitti armati (nella Pacem in Terris dir: " alieno alla ragione
pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di
9

giustizia" (67), ma ci ritorneremo fra qualche mese), ma ben pi nelle sue esigenze
positive, che richiedono da ogni uomo conoscenza e pratica costante dei propri doveri:
gerarchia, armonia e servizio dei valori spirituali aperti a tutti, possesso e impiego
delle forze della natura e della tecnica esclusivamente a scopo di elevazione del
tenore di vita spirituale ed economica delle genti".
La Chiesa dei poveri
Ci che invece pass inosservata quel giorno - almeno all'opinione pubblica - fu
un'altra frase del papa che avrebbe poi influenzato il concilio fin dalla prima sessione:
"Altro punto luminoso. In faccia ai paesi sottosviluppati la chiesa si presenta quale , e
vuol essere, come la chiesa di tutti, e particolarmente la chiesa dei poveri". Non pi
dunque una chiesa che, per "carit", si china in maniera assistenzialistica sui poveri,
ma una chiesa che vuole fare proprio lo spirito evangelico della beatitudine dei poveri:
perch la fonte della Rivelazione che ha ricevuto da Dio il Cristo povero, perch essa
stessa appartiene ai poveri, perch solo essendo povera potr restare fedele alla
propria missione profetica. Scopriremo poco alla volta - nei mesi futuri - gli sviluppi
che questo tema conoscer durante gli anni del concilio e come ispirer diversi punti
nevralgici, anche di quei documenti che potrebbero sembragli pi estranei, quale ad
esempio la costituzione sulla Sacra Liturgia. Ma il primo effetto di queste parole del
papa fu quello di mettere in discussione lo stile di vita di molti vescovi che,
prendendole sul serio, si riunirono a margine dei lavori conciliari presso il collegio
Belga e avviarono una riflessione che sfoci in una lettera di intenti, consegnata a
Paolo VI al termine della terza sessione del concilio e conosciuta come lo Schema XIV
(cfr. il box). Del cosiddetto "gruppo di studio del collegio Belga" fecero parte, tra gli
altri, il vescovo brasiliano Helder Camara e quello del Sahara, Mercier; tra i teologi pi
conosciuti Congar e Chenu. Da parte sua Paolo VI non lasci cadere la cosa. Se al
termine della prima sessione fece anch'egli un intervento su questo tema, ancora da
cardinale, "divenuto papa - rivela Mons. Bettazzi, presente come padre conciliare al
seguito del Card. Lercaro - chiese al card. Lercaro di raccogliere riservatamente
materiale per una successiva enciclica. Tre piccoli gruppi di vescovi elaborarono
riflessioni che finirono nelle mani di Paolo VI insieme al cosiddetto Schema XIV. L per l
non se ne fece nulla, ma credo che di qui sia nata l'Enciclica Populorum progressio del
1967" (L. Bettazzi, La Chiesa dei poveri nel concilio e oggi, Pazzini, p. 31). In seguito
anche i vescovi latinoamericani fecero tesoro di questa indicazione giovannea
allorquando nel 1968, a Medellin, si riunirono nella seconda conferenza generale
dell'episcopato latinoamericano per incarnare il concilio nelle loro realt ecclesiali. Da
l usc una scelta forte e coraggiosa che ha segnato - anche col martirio - molte di
quelle chiese fino ad oggi: "l'opzione dei poveri". Nacque cos anzitutto una prassi
pastorale di condivisione e servizio evangelico nei confronti degli oppressi e papa
Giovanni, dal cielo, pot finalmente benedire una chiesa che realmente si era fatta "la
chiesa di tutti e particolarmente la chiesa dei poveri". In seguito, riflettendo e
sistematizzando (secondo il compito che proprio della teologia) questi cammini che
ormai andavano consolidandosi nelle loro chiese, alcuni teologi latinoamericani
diedero vita alla "teologia della liberazione" che, nonostante forti incomprensioni e a
volte vere e proprie "persecuzioni", continua fino ad oggi a ricercare nel povero il
luogo teologico privilegiato da cui contemplare il mistero del Dio cristiano Non sono
storie belle ma passate, sono frutti abbondanti di una stagione che certamente ha
ancora molto da dare, perch se vero che molto stato disatteso e che
evidentemente "i tempi degli uomini non sono quelli di Dio", per nostra fortuna
soprattutto vero il contrario, e cio che "i tempi di Dio sovrastano i nostri", perci
incoraggiati dalle parole di Ges e di papa Giovanni, osiamo risollevare la testa,
perch: "la vostra liberazione vicina!" (Lc 21,28).
Dal dicembre del 1962 i padri stavano discutendo lo schema del documento conciliare
sulla Chiesa. Verr definitivamente promulgato, dopo un grande e fecondo travaglio, il
10

21 novembre 1964 col titolo di Lumen Gentium. In esso appare centrale la categoria
teologica di "popolo di Dio", che andr progressivamente sbiadendosi nei documenti
magisteriali successivi ed anche in buona parte della riflessione teologica. Tra quanti
invece la approfondirono con rigore scientifico, ma anche con interesse pastorale, vi
Ignacio Ellacura, rettore dell'Universit gesuitica di San Salvador, ucciso, con altri 5
compagni gesuiti e due donne, dall'esercito salvadoregno la notte del 16 novembre
1989. Jos Antonio Bentez ci offre uno studio approfondito della sua elaborazione
teologica su questo tema.
Il popolo di Dio
a cura di Emma Nuri Pavoni
1. Il Regno di Dio e la Chiesa
Il tema Regno di Dio e Chiesa essenziale per lauto-comprensione della Chiesa
e della sua missione, cos come per la sua trasformazione permanente.
Ignacio Ellacura ebbe chiaro dal principio quale fosse lessenza del Regno: dare
testimonianza alla verit. E a partire da ci simpegn a svelare le circostanze che
hanno provocato un crescente allontanamento del Regno di Dio in funzione della
Chiesa, dei sacramenti, o delle definizioni dogmatiche e morali. Sottoline,
direttamente o indirettamente, che tutto deve essere subordinato al Regno di Dio,
sapendo anche che n le relazioni tra il Regno di Dio e la Chiesa erano chiare, n
semplice trovare un equilibrio adeguato tra ci che egli chiama le cose del Regno
e le cose della Chiesa. Ebbene, mai giungeremo ad un cammino chiarificatore se
non daremo priorit al Regno sulla Chiesa, negando qualsiasi identificazione
ingenua.
La riflessione di Ellacura parte da un principio: la necessaria istituzionalizzazione
della Chiesa eviter la mondializzazione secolarista solo se si da una permanente
con-versione della Chiesa al Regno. Perch possa vedersi sempre pi libera dalla
sua versione-al-mondo mediante una autentica con-versione al Regno, la Chiesa
deve tenere un centro fuori da se stessa, aldil delle sue frontiere istituzionali, per
orientare la sua missione e anche per dirigere la sua configurazione strutturale. E
questo centro e questo orizzonte non possono essere altro che quelli che ebbero
levangelizzazione
di
Ges:
il
Regno
di
Dio.
La Chiesa come istituzione si trova doppiamente minacciata: da una parte
listituzionalismo ed il secolarismo, che provocano la perdita dellorizzonte e della
prospettiva del Regno; dallaltra la mondializzazione. La Chiesa eviter entrambi
questi pericoli solo quando accetter e assumer come base evangelica del Regno
di Dio i poveri. La parola del Vangelo deve essere ascoltata nel suo luogo naturale
che il mondo dei poveri. Solo in questo contesto possibile interrogarsi sulle
caratteristiche di questo Regno e sulla sua applicazione storica. Concretamente,
Ellacura segnala cinque dati fondamentali: 1) lannuncio che fa la Chiesa della
Buona Notizia non dovrebbe essere lannuncio di se stessa, n lannuncio di un
Ges e di un Dio ai margini della salvezza reale delluomo e del mondo. 2) Il Regno
una realt dinamica; un dominio, unazione permanente sulla realt storica. 3)
Il Regno di Dio la norma per il superamento del falso problema che impongono i
dualismi interessati, perch pone in unit Dio con la storia. 4) Il Regno di Dio un
regno dei poveri, degli oppressi, di quelli che soffrono persecuzione; i protagonisti
di questo Regno sono quelli che soffrono nella loro carne gli effetti del peccato,
lingiustizia e la negazione dellamore. 5) Infine, il Regno di Dio supera il dualismo
tra il personale e lo strutturale, tra etica individuale ed etica sociale. In conclusione
potremmo dire che Ellacura ha reso prioritario il tema del Regno di Dio nella
teologia della liberazione trasformandolo nelloggetto stesso della teologia, della
morale e della pastorale cristiana. Ci che devono perseguire i veri seguaci di Ges
la maggior realizzazione possibile del Regno di Dio nella storia. Ma, accentuando
11

questa centralit del Regno, bisogna anche considerare la realt del popolo di Dio,
poich
esiste
tra
esse
una
correlazione
inseparabile.
2. Il popolo di Dio e la Chiesa
Se la relazione che esiste tra il Regno di Dio e la Chiesa non stata cos
trasparente e comprensibile come si sarebbe desiderato, provocando disordini e
conflitti con gravi ripercussioni, qualcosa di simile possiamo dire avvicinandoci ora
alla relazione tra il popolo di Dio e la Chiesa. Per Ellacura, il valore teologico
trascurato, quando non sfigurato e disdegnato tanto in se stesso come in
riferimento alla Chiesa, soprattutto nella pratica pastorale. Cos, nonostante la
posizione rilevante che occupa la definizione della Chiesa come popolo di Dio nella
costituzione dogmatica Lumen Gentium, risulta incomprensibile che ancora non sia
stata assunta nella pastorale n nellorganizzazione della Chiesa.
Nonostante ci, ci sono anche alcuni segni di speranza, visibili e concreti, per
riconvertire questa realt urgente. E il caso del prospero e forte movimento delle
comunit di base.
Come abbiamo indicato, Regno di Dio e popolo di Dio sono due concetti e due
realt inseparabili, in modo tale che ci sar il Regno di Dio nella misura in cui ci sia
il popolo di Dio e viceversa. Ci nonostante, entrambe le realt sono state
tergiversate, distorte e persino sfigurate quando sono state riferite direttamente,
immediatamente e totalmente al concetto della Chiesa. Con ci non si nega la
profonda, necessaria ed essenziale relazione che hanno con questultima. Ma ci
non impedisce che debbano essere considerati come concetti distinti e perci che
si debba continuare a mantenere la loro differenza e gerarchia.
Ellacura afferma che il concetto di popolo di Dio pi relazionato con il concetto e
la realt del Regno di Dio che con il concetto e la realt della Chiesa. Gi a prima
vista risulta pi logico che un Regno abbia un popolo che non una Chiesa. Di fatto,
nella rivelazione, il concetto di popolo di Dio si svilupp prima che il concetto di
Chiesa, come pure il concetto di Regno fu anteriore a quello di Chiesa. Ci
nonostante, il nostro autore lascia per una riflessione posteriore la discussione sul
fatto che la Chiesa sia la forma ultima e pi perfetta di realizzazione delle
promesse fatte da Dio al popolo in ricerca del Regno.
Non si pu perdere di vista il fatto che tanto il Regno (di Dio) come il popolo (di Dio)
si riferiscono direttamente alla storicit totale della relazione di Dio con luomo e
delluomo con Dio. Quando si riflette sui significati che contiene il titolo popolo di
Dio bisogna porre il centro nelliniziativa divina: Dio che accoglie un popolo e lo
costituisce. La Chiesa convocata, eletta tra lumanit per costituirsi in soggetto
di relazione che serve come simbolo a tutti gli uomini. Ma non si deve pensare che,
per essere comunit spirituale di credenti, la Chiesa possa essere pienamente
Chiesa senza lesigenza della materialit propria del Regno e del popolo. Per
questa ragione obbligatorio che riferiamo costantemente la Chiesa al Regno e al
popolo e viceversa.
Ci che si vuole evidenziare che la Chiesa, prima di tutto, un popolo cio una
collettivit personale, una comunit. Cos si getta un ponte tra la visione misterica
e la visione sociologica della Chiesa. Parlando della Chiesa ora non si inizia
postulando il carattere istituzionale, societario, giuridico o gerarchico. Prima che
istituzione, gerarchia o societ, la Chiesa un popolo che cammina nella storia. Ma
non un popolo qualsiasi. E un popolo animato dallo Spirito di Ges e congregato
nella sequela di Ges. E un popolo, in definitiva, configurato secondo lesigenza
del Regno di Dio. Sulla base di queste esigenze soggiace la necessit di una
spiritualit cristiana come punto di riferimento del carattere ecclesiale del popolo di
Dio.
3. La spiritualit: referenza ecclesiale del popolo di Dio
In Ellacura troviamo una preoccupazione costante per ridare dimensione e priorit
alla categoria biblica di Regno di Dio, per intendere solo da essa ci che deve
12

essere la Chiesa e, di conseguenza, per compiere la sua trasformazione nel vero


popolo di Dio. Questa trasformazione suppone unautentica rivoluzione,
specialmente quando sono molti coloro che pensano che ci che non cristiano per
gli individui possa esserlo per le istituzioni chiamate cristiane. Sul piano
individuale, questo pericolo ha potuto essere evitato mediante ci che il nostro
autore chiama lartificio della spiritualizzazione e dellinteriorizzazione. Ma non
stato cos sul piano dellistituzione.
Detto questo, il punto di partenza del carattere ecclesiale della spiritualit
cristiana, il criterio ed il motore inconfondibile per superare qualsiasi minaccia pu
essere solo il Regno di Dio. Da quello, in effetti deve essere inteso il carattere
ecclesiale della spiritualit cristiana, intendendo primariamente la Chiesa come
popolo di Dio, congregato nella sequela di Ges. In definitiva, la Chiesa deve
costituirsi in conformit alle esigenze del Regno di Dio annunciato da Ges; un
Regno al quale non pu sostituirsi, con il quale non si identifica e al quale deve
sottomettersi.
Egualmente, per una corretta comprensione della spiritualit, necessario partire
dal presupposto che lo spirituale non se non una dimensione delluomo
individuale e socialmente considerato, cos come del cristiano personale e
istituzionalmente inteso.
Detto in altre parole, una corretta comprensione della spiritualit deve evitare
tanto prospettive dualiste come moniste e deve inserirsi in prospettive strutturali,
pi o meno dialettiche secondo i casi, in modo che una dimensione non sia ci che
, ma co-determinante dellaltra e co-determinata da essa.
Mantenere questa percezione non facile, poich esige di tenere costantemente
presenti i condizionamenti storici. E questo comporta, anzitutto, un fermo e
persistente discernimento dei segni dei tempi. Questo discernimento deve essere
realizzato con una seriet assoluta, perch in caso contrario mutileremmo lazione
dello Spirito nella storia. In effetti, nei segni dei tempi che avviene la rivelazione
divina nella storia. Inoltre, n la ricchezza della vita di Dio in Ges, n limpeto
rinnovatore e creatore dello Spirito di Cristo pu esprimersi n farsi presente in una
unica forma storica. Cos come non pu esistere nemmeno un uomo, una comunit
o persino una istituzione, che possa gloriarsi di aver appurato in una forma storica
determinata tutto ci che il dono dello Spirito. Il discernimento necessario
anche per lintrinseca storicit della spiritualit cristiana, che necessita di
conformarsi con cambiamenti molto profondi ai profondi cambiamenti della storia;
tali cambiamenti hanno permesso il profondo arricchimento storico della nostra
spiritualit, e tutto ci grazie alle nuove domande dei tempi e alla continua
apparizione di uomini pieni di Spirito, che sono riusciti a realizzare una rilettura
della persona e del messaggio di Ges.
Finalmente, il carattere ecclesiale della spiritualit cristiana fa si che la Chiesa
come popolo e come corpo esiga una pluralit di funzioni e comportamenti.
La spiritualit cristiana la presenza reale, cosciente e riflessivamente assunta
dello Spirito di Cristo nella vita e attivit delle persone, delle comunit e delle
istituzioni che vogliono avere un aspetto cristiano. La spiritualit cristiana
necessariamente una spiritualit della sequela di Ges. E si percepisce solo nel
mondo dei poveri. E nel mondo dei poveri che ha luogo lazione preferenziale e la
comunicazione viva del Dio cristiano. E limpedimento fondamentale perch la vita
di Dio, cio il Regno di Dio, irrompa storicamente il peccato del mondo. Perci si
fa pi necessaria una prassi liberatrice da questo peccato.
In questo contesto, la spiritualit cristiana ha di fronte un compito arduo, giacch
una spiritualit che non venga e non vada a una prassi liberatrice del peccato e
delle sue conseguenze non risponder alla vita di Ges. Questo compito
essenziale e risulta indispensabile perch il Regno di Dio irrompa nella storia. Ma
fanno parte della nostra spiritualit anche alcune pratiche spirituali fondamentali,
come lorazione in tutte le sue forme. Pertanto, non tutto pura esteriorit: c
uninteriorit nelluomo e nel cristiano che devono essere coltivate espressamente.
13

Come caratteristiche che devono impegnare una spiritualit cristiana liberatrice.


Ellacura segnala: a) deve centrarsi cristologicamente intorno alla missione. b)
Deve essere orientata secondo lo spirito del sermone della montagna. c) Deve
essere cementata nella fede, orientata dalla speranza e consumata nellamore.
Cos comprenderemo perch la Chiesa deve essere permanentemente aperta e
attenta alla novit e alluniversalit dello Spirito, che rompe la routine sclerotizzata
del passato ed i limiti di una autoconcezione ristretta. Solo una Chiesa che si lascia
invadere dallo Spirito, rinnovatore di tutte le cose, e che attenta ai segni dei
tempi, pu trasformarsi nel cielo nuovo, di cui hanno bisogno luomo e la terra
nuova. Si rende ogni volta sempre pi necessaria e indispensabile lapertura allo
Spirito di Cristo dalla terrestrit che implica la sequela del Ges storico. Inoltre, lo
Spirito di Cristo non ha delegato la totalit della sua presenza e della sua efficacia
in nessuna delle istanze istituzionali, sebbene la corporeit storica di queste sia
pure unesigenza dello Spirito.
Il rinnovamento della Chiesa e la sua proiezione verso il futuro deve essere nella
linea della Chiesa dei poveri. Una Chiesa che abbia fatto veramente unopzione
preferenziale per gli oppressi, per i poveri e per la lotta contro ogni tipo
dingiustizia, dar prove e sar manifestazione dello Spirito rinnovatore presente in
essa.
Un progetto storico: il popolo di Dio
Quando la Chiesa configurata come popolo di Dio, da una prospettiva
profondamente materiale, e non tanto magistrale, allora nella condizione di
contribuire alla liberazione delluomo e della storia, cio di cercare il Regno di Dio e la
sua giustizia.
In questa parte analizzeremo come la Chiesa si configura come popolo di Dio,
evidenziando, in un secondo momento, quali sono le chiavi che trasformano questa
Chiesa nel vero popolo di Dio; infine esporremo come questo popolo di Dio il popolo
crocifisso che soffre lo stesso destino storico di Ges e si trasforma in un altro Cristo.
1) La configurazione della Chiesa come popolo
A partire dallecclesiologia conciliare e, pi concretamente, dalla categoria di popolo di
Dio, Ellacura afferma che, in virt dello Spirito di Dio, la Chiesa nasce dal popolo
credente ed oppresso. Da questa concezione di Chiesa, il nostro autore cerca di
approfondire e riflettere sul perch e in che modo il popolo il luogo
dellinterpretazione e della prassi della fede cristiana. Inizia dicendo che
precisamente al popolo che va rivolto il messaggio di salvezza, semplicemente perch
un messaggio di liberazione; perch nel popolo che il messaggio di salvezza e di
liberazione raggiunge il suo senso pi completo; perch la finalit, il significato e la
stessa interpretazione della salvezza cristiana sorgono come un clamore di fronte al
destino afflitto e dolente di chi, nella sua sofferenza, svela la gravit del peccato che lo
opprime; infine, solo quando la necessit reale del Regno sia quella che configura le
vite di tutti i credenti, allora raggiungeranno la salvezza e faranno si che questa
salvezza, offerta da Dio a tutti gli uomini, in Ges si trasformi in luci delle nazioni e
sale della terra.
Tutto ci mostra che il luogo dellinterpretazione e della prassi della fede cristiana il
popolo, che solamente cos inteso il vero popolo di Dio. Ci nonostante, Ellacura
dichiara che il popolo deve configurarsi solo a partire dallo Spirito di Ges. Detto con
le sue parole: Lo Spirito deve farsi carne nel popolo. E cos che dal popolo germoglia
in pienezza la Chiesa di Cristo, plasmata e manifestata da alcuni segni ineffabili:
segnalati dallo scandalo delle beatitudini e dalla lotta per la giustizia.
2) Il vero popolo di Dio: la Chiesa dei poveri
Parlando di Monsignor Oscar Arnulfo Romero, Ellacura disse in unoccasione che fu il
gran regalo di Dio al popolo salvadoregno.
14

Afferm anche che tutti coloro che soffrono e lottano per la giusta liberazione degli
oppressi continuano a riconoscere in lui luomo che disse la verit sulla miseria e sulle
aspirazioni popolari, che orient e incoraggi tutti coloro che vogliono sostenere la
speranza e lavorare per la liberazione dei popoli crocefissi. Nelle parole di un fratello
nel ministero episcopale, fu un santo di tutti e per tutti. E, anche, un segno teologico.
Testimonianze come questa ci aiutano a comprendere perch i tre anni di Monseor a
capo della Chiesa di San Salvador, furono considerati come Tempi di enorme densit
storica. Uno dei grandi contributi di questo martire della liberazione del popolo fu
precisamente quello di svelare le chiavi che permettono di scoprire in verit ci che
costituisce il vero popolo di Dio, chiavi che assunse dal pi profondo Ignacio Ellacura.
Che cio la Chiesa dei poveri il vero popolo di Dio quando fa unopzione
preferenziale per i poveri, quando sincarna storicamente nelle lotte per la giustizia e
la liberazione e quando d realmente testimonianza contro le strutture del peccato
instaurate nel mondo. In questo caso, lautentico popolo di Dio non pu che essere
perseguitato.
Quando si prende seriamente il fatto che i poveri siano luogo teologico, cio, luogo
della manifestazione del Dio di Ges, dellesistenza e della riflessione cristiana, e
quando sono veri soggetti dellevangelizzazione e non solo i suoi destinatari preferiti,
si comprende che non siano solo una priorit, ma, fino ad un certo punto, un assoluto.
In questo modo, la denominazione di Chiesa dei poveri deve essere presa come una
formulazione dogmatica. Senza linserimento radicale in ci che viene chiamato
Chiesa dei poveri, non si nella disposizione per comprendere teoricamente ci che
il Regno di Dio. Pertanto, la Chiesa dei poveri luogo privilegiato della riflessione
teologica e della realizzazione del Regno di Dio.
Questa impostazione porta a mettere in discussione la realt e la prassi delle Chiese
installate sulla ricchezza dei Paesi sviluppati. Con ci non si pretende una imposizione,
che diriga la prassi ecclesiale e la teologia a partire da ci che la Chiesa dei poveri.
Ci nonostante, quando prendiamo la rivelazione nel suo insieme, ed in particolare
quella del Nuovo Testamento, risulta che il luogo privilegiato stato sempre il mondo
dei poveri e degli oppressi. Insieme a questo sta il fatto che, se la Chiesa vuole essere
veramente cattolica e universale, deve mettere in conto che limmensa maggioranza
dellumanit segnata dalla povert e dalloppressione, e devono essere loro a venire
considerati in modo privilegiato. Il nostro autore afferma che le Chiese installate nei
Paesi ricchi devono prendere molto seriamente la parabola del buon samaritano,
perch non sia che, occupate in compiti molto elevati e religiosi, passino al largo di
fronte allo stesso Ges crocifisso nella storia.
E nella Chiesa dei poveri dove troviamo il luogo ottimo per la santificazione e
levangelizzazione. E il luogo privilegiato per lincontro con Ges. E il luogo per un
autentico discernimento del compito storico che compete alla Chiesa: proclamare il
Regno di Dio piuttosto che listituzione ecclesiastica, il che suppone un profondo rifiuto
della successiva mondanizzazione della Chiesa. Ellacura non nega il carattere
gerarchico della Chiesa, ma nemmeno le sconta la corrispondente critica sul suo modo
dessere e di agire. Daltra parte, presentando la Chiesa come Chiesa dei poveri, non
si pretende un magistero parallelo, come a volte si detto, ne una rottura con la
necessaria istituzionalizzazione della Chiesa, sebbene si chieda una subordinazione
degli elementi di questa istituzionalizzazione a valori pi profondi e affini al Ges
storico.
3) Il popolo: il nuovo crocefisso
Ellacura inizia la sua riflessione con ci che chiama popolo crocefisso. Cio, lumanit
letteralmente e storicamente crocefissa da oppressioni naturali e, soprattutto, da
oppressioni storiche e personali.
Loppressione del popolo crocefisso viene da una specie di necessit storica: la
necessit che molti soffrano perch pochi godano, che molti siano spogliati perch
15

pochi possiedano. La sfigurazione del volto del Terzo Mondo il prezzo del maquillage
di altri mondi; la sua povert, quello della loro abbondanza; la sua morte, quello della
loro vita. Con parole di Ellacura, non sappiamo se traducibili in altri idiomi, i
dominatori e predatori che si sono susseguiti hanno lasciato lAmerica Latina come un
Cristo.
Questimpostazione generale, dice Ellacura, non sempre si da o si data nello stesso
modo, e nemmeno stata originata dalle stesse cause, giacch lo schema
dell'oppressione dell'uomo da parte dell'uomo acquisisce forme molto varie, tanto a
livello individuale come a livello collettivo. Ma certo che, attualmente, loppressione
ha alcune caratteristiche storiche globali che non possono essere ignorate e delle quali
sono responsabili attivi o omissivi quanti non si pongono dalla parte della liberazione.
Di fatto la Chiesa, sebbene spiaccia dirlo, deve iniziare a riconoscere il suo contributo
allingiusta oppressione degli uomini.
La realt di questo popolo crocefisso sillumina da un altura nella linea del Servo di
Jahweh. Il popolo crocefisso concentra in modo obiettivo determinate condizioni che
sono essenziali del servo sofferente; egli il luogo storico pi adeguato per continuare
la redenzione di Ges, il Servo, sebbene non lo sia attualmente e in tutta la sua
pienezza. Nemmeno si pu dire chi porti avanti con maggior pienezza l'opera
redentrice di Ges. Si potrebbe dire che sar sempre il popolo di Dio crocifisso; ma
questo, certo, finisce senza definire chi questo popolo di Dio, che non pu essere
inteso ne come Chiesa ufficiale, ne forse come Chiesa perseguitata.
Diceva Ellacura che, quando il punto di riferimento degli altri mondi il popolo
crocifisso, questi possono conoscere la sua verit da ci che producono, come uno
specchio invertito. Il nostro autore usava una metafora per spiegare lo stato di salute
del Primo Mondo. Affermava che era necessario sottometterlo ad un esame dei fatti.
La diagnosi presenta la realt dei popoli crocifissi e allo stesso tempo d la misura
della salute di coloro che lhanno causata.
Questa scoperta, sebbene tragica, obbligatoria e salutare, giacch solo in questo
modo le nazioni potranno basarsi sulla verit.
Il popolo crocefisso illumina la nostra realt offrendo un discernimento sul nostro
mondo. Mostra che le soluzioni presentate dal primo mondo non sono reali, non
essendo universalizzabili, inoltre essendo eticamente cattive, perch disumanizzano.
Il popolo crocefisso illumina ci che storicamente pu e deve essere lutopia. Questa
utopia nel mondo di oggi non pu essere altro che la civilt della povert, il
condividere tutti in modo austero le risorse della terra, e la civilt del lavoro, che deve
prevalere sul capitale.
Possiamo concludere con alcune parole pronunciate da Ellacura in una conferenza
pronunciata a Valladolid, e che alcuni hanno interpretato come autobiografiche:
Ci che vorrei sono due cose: che poneste le vostre orecchie e i vostri cuori a questi
popoli che stanno tanto soffrendo alcuni di miseria e fame, altri di oppressione e
repressione e poi (giacch sono gesuita) che di fronte a questo popolo crocefisso
faceste il Colloquio di SantIgnazio nella prima settimana degli Esercizi,
domandandovi: cosa ho fatto io per crocifiggerlo? Cosa faccio per toglierlo dalla croce?
Cosa devo fare perch questo popolo resusciti?.

16

I segni dei tempi


E' alieno alla ragione pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata
come strumento di giustizia (Pacem in Terris, 67)
di Enrico Peyretti
Gli elementi portanti della Pacem in Terris mi sembra possano essere indicati in tre:
la pace sulla terra possibile; la pace nelle possibilit umane; la guerra fuori dalla
razionalit umana. La pace sulla terra possibile: questa affermazione, che stava gi
appunto nelle prime tre parole, si poneva contro il pessimismo laico ed anche contro il
pessimismo religioso. Il pessimismo laico che impregna gran parte del pensiero
politico e quindi anche delle realizzazioni politiche dell'et moderna e contemporanea,
implica che l'uomo sia sostanzialmente nemico o almeno rivale dell'altro uomo, e che
la pace sia possibile soltanto se imposta da un terzo pi forte. L'Enciclica si poneva
anche contro un certo pessimismo religioso che intende il peccato originale in modo
tale che in terra bisogna rassegnarsi alla guerra e la pace bisogna aspettarla solo per il
cielo, oppure viverla soltanto nella vita interiore, nei rapporti privati. Da questo
derivano due tipi di morale, una morale per i rapporti interpersonali, non violenta, e
una morale politica, dei grandi gruppi umani, rassegnata alla violenza. Un secondo
elemento portante che la pace nelle possibilit della natura razionale umana. Chi
ha la speranza della fede ha un sostegno e una sollecitazione particolare, ma ogni
uomo di buona volont pu essere un costruttore di pace. Vediamo con gioia che, pur
tra fatiche e difficolt che sono di tutti, per la pace si collabora non soltanto fra
credenti di varie confessioni e religioni diverse ma anche tra non credenti e credenti.
Se come cristiani sentiamo una speciale responsabilit, sappiamo pure che non
abbiamo noi l'esclusiva dell'azione di pace, ed anzi abbiamo anche colpe storiche di
cui fare penitenza, colpe di guerre combattute o accettate e benedette in nome di
Cristo che cosi veniva bestemmiato. Il terzo elemento l'affermazione, che mi sembra
centrale, alla fine della parte III dell'Enciclica, che la guerra ormai, nell'era atomica,
fuori dalla ragione: pi precisamente, Papa Giovanni diceva: "alienum a ratione",
estraneo alla ragione pensare che la guerra possa servire per risolvere con giustizia
delle controversie: irrazionale e folle, fuori dall'umanit, da ogni criterio umano
della politica, della convivenza, del modo umano di affrontare i problemi anche gravi.
Questa grande dichiarazione, in un documento cristiano e umano come la Pacem in
Terris, si affiancava e si aggiungeva con grande autorit spirituale al principio del
ripudio della guerra, contenuto nella Costituzione italiana e nello Statuto delle Nazioni
Unite. Se questi sono i punti forti di quell'Enciclica di pace, ci si chiede se,
specialmente rileggendola oggi, in situazioni storiche mutate, essa non sembri
peccare di troppo ottimismo. Dipendeva forse dal momento storico che, pur nella
guerra fredda, faceva intravvedere una distensione e vedeva le due superpotenze
guidate da uomini pi saggi e pi moderati del solito, quali furono Kennedy e Kruscev?
No, non dipendeva da questo. Non si trattava in Papa Giovanni di fragile ottimismo
legato a circostanze passeggere. Si trattava invece di fede nello Spirito di Dio che
agisce in ogni cuore umano come in tutto il corso della storia. Credo che anche noi
ora, in un momento di preghiera immersa nella vita del nostro tempo, dobbiamo
guardare al nostro momento storico con quella stessa fede: n ottimismi n
pessimismi, n illusioni n scoraggiamenti, ma uno sguardo attento alla realt umana
di cui siamo parte con amore e partecipazione. Con speranza e con impegno, con una
fede che guarda oltre l'immediato, oltre la superficie e il rumore delle cose e sa e
confida che Dio cammina con l'uomo per salvarne e liberarne la vita in pienezza. Nella
preghiera noi non chiediamo altro che lo Spirito stesso di Dio promesso da Ges per
guardare al mondo e impegnarci con amore nella storia. Dalla Pacem in Terris
possiamo ancora imparare a leggere i segni dei tempi, che sono ben altro che qualche
opportunit del momento. Sono tracce, riconosciute con la fede, in mezzo alla storia
del mondo, tracce dell'opera di Dio a fianco degli uomini e delle donne di buona
17

volont.
Papa Giovanni vedeva allora tre grandi segni dei tempi, riguardanti i lavoratori, le
donne, i popoli. I lavoratori che, attraverso il movimento operaio, le sue lotte, la sua
coscienza, la sua cultura, si affermavano come soggetti, come persone in tutta la vita
sociale e non restavano soltanto oggetto dell'economia, puro strumento di produzione,
di profitto, in bala dei pi forti del mercato. Secondo grande segno dei tempi che Papa
Giovanni indicava erano le donne, che, cresciute nella coscienza della loro dignit,
entrano nella vita pubblica, implicitamente, ovvio, anche in quella ecclesiale - dove
non sono ancora davvero pari agli uomini (questo inciso lo aggiungo io) ed esigono
diritti e doveri di persone, non solo di destinatarie o strumenti. Papa Giovanni
interpretava cos, con anticipo su molti, il significato positivo del movimento
femminista. Il terzo segno erano i popoli: gi soggetti al colonialismo e alla
discriminazione razziale ed economica, essi prendono coscienza della loro uguaglianza
per dignit naturale, e aspirano a indipendenza e giustizia. Era il tempo, in quegli anni,
della decolonizzazione. In questi tre maggiori fenomeni e movimenti storici Papa
Giovanni leggeva un fermento evangelico dentro la storia: ossia la coscienza dei diritti
e dei doveri, il dovere di far valere i diritti della dignit propria e altrui. Ecco: la parola
"dignit" stata giustamente indicata nel testo di questa Enciclica come l'opposto del
"dominio". La guerra soltanto la punta dell'iceberg della cultura del dominio, che
produce una violenta economia del profitto a danno dell'uomo e dei popoli, dei loro
diritti elementari e della crescita in tutti dei doni del Creatore; una cultura del dominio
che produce la disuguaglianza e il dominio dell'uomo sulla donna, e anche del prete
sui fedeli, del professore sugli alunni, degli adulti sui giovani, dei politici sui cittadini,
dei sani e dei medici sui malati, del Nord sul Sud, dei forti sui deboli in tante maniere e
occasioni. La dignit della persona umana in tutti, che la fede aiuta a riconoscere,
l'opposto della cultura del dominio. La cultura della dignit, della liberazione della
dignit in tutti, specialmente nei pi offesi e pi impediti a viverla: questa cultura di
pace, che taglia le radici della guerra. Non a caso la Pacem in Terris stata
chiamata giustamente da Raniero La Valle "Enciclica della liberazione" con evidente
allusione alla teologia della liberazione. Oggi noi riusciamo a scorgere analoghi segni
dei tempi, segni di speranza, segni dell'opera di liberazione che Dio compie con noi e
tra noi? A volte temiamo di no. Chiediamo dunque nella preghiera quel "terzo occhio",
quel "vedere di pi" che pu leggere la storia quotidiana nella prospettiva grande della
salvezza creduta e sperata. La pace come pienezza di vita, shalom, questa speranza
attiva e impegnata. Per questo la nostra preghiera attesa fiduciosa e, nello stesso
tempo, impegno ad aiutarci reciprocamente nel costruire la pace, dalla pace interiore
alla pace mondiale.
Preghiamo dunque per affrontare gli ostacoli di oggi, che mi sembra siano il ritorno
della guerra; l'economia violenta; le offese alle persone. Oggi purtroppo sembra che la
guerra sia tornata a essere il criterio decisivo nelle controversie vecchie e nuove tra i
popoli, tra mondo ricco e mondo povero. I Paesi ricchi dichiarano essi stessi di voler
difendere con gli eserciti il loro privilegio contro i popoli poveri, come dicono
sfrontatamente, in documenti scritti, nei loro "nuovi modelli di difesa". Questo accade.
Eppure, insieme a ci, cresce la coscienza di pace, che non si rassegna alla logica di
guerra, che pone presenze profetiche di pace fin dentro la guerra, come stato a
Sarajevo (marcia di pacifisti, soprattutto italiani, dentro Sarajevo assediata, nel
dicembre 1992) e altrove, che cerca, che costruisce una spiritualit, un'educazione,
una cultura, una politica di pace. Le Chiese cristiane e le religioni, accantonate le
divisioni, si impegnano sempre pi spesso insieme per la pace, la giustizia, la
salvaguardia del creato. Questi sono dei segni. Oggi trionfa un'economia violenta che
fa spazio solo alle pretese dei pi forti, che ha diviso il mondo fra creditori e debitori,
che accresce il divario fra ricchi e poveri, tra consumi che saccheggiano la natura e
riducono l'umanit stessa dei ricchi alla misera dimensione dell'avere e del competere
per avere, e all'altro estremo fame di massa, neocolonialismo, disprezzo e distruzione
di culture, di tradizioni umane, di dignit di popoli e persone. Questo accade. Eppure,
dentro e contro questo quadro, cresce la coscienza ecologica, la ricerca personale e
18

familiare di stili di vita semplici, di consumi non distruttivi, di solidariet umana locale
e planetaria, di lotta nonviolenta per la giustizia. Questi sono dei segni.
Oggi continuamente ci raggiungono notizie di offese gravi, sistematiche, organizzate,
contro donne, bambini, popolazioni intere, in zone di guerra. Ma anche dove un
tranquillo benessere avrebbe dovuto realizzare tutte le aspirazioni, si vede invece
crescere la violenza quotidiana, la brutalit dei rapporti sociali e interpersonali. Questo
accade. Eppure tante coscienze, le nostre coscienze, non si rassegnano
all'imbarbarimento dei rapporti umani, e resistono, e reagiscono con una maggiore
consapevolezza della uguale dignit di tutti, col superare pregiudizi e discriminazioni.
Questi sono dei segni. Insomma, ci sono vaste aree di violenze, di guerra, ma ci sono
pure segni e semi di pace. Non serve misurare, voler fare bilanci in attivo, in passivo,
ottimistici o pessimistici: serve non lasciarci oscurare la vista dagli aspetti negativi e
aver fede nel bene che sorregge anche il mondo ingiusto. Allora, in questo momento di
preghiera, chiediamo luce e forza, pace interiore e gioia, per resistere allo spirito
violento di dominio, per costruire coraggiosamente, pazientemente, tenacemente,
alternative di rispetto, di dignit, di libert, di riconciliazione, di giustizia. La pace un
dono che chiediamo a Dio, ma proprio per questo immediatamente un impegno a
farla crescere donandocela reciprocamente, offrendola largamente e sinceramente a
chi ha qualche ragione di inimicizia verso di noi. L'annuncio e dono di Ges risorto:
"Pace a voi" diventi il saluto corrente tra noi, verso tutti, come saluto abituale nelle
lingue ebraiche e araba, "Shalom alechem" in ebraico, "assalam alaycum" in arabo (mi
si perdoni se la grafia non fosse corretta). Il Dio della vita lo dice a noi perch noi ce lo
diciamo reciprocamente in verit, nei fatti, e lo facciamo a tutto il mondo.

Il Cristianesimo ha bisogno di recuperare pienamente il suo spirito profetico


Un'angosciosa certezza
La fede come totale adesione intorno alle cose che non sono evidenti
di Massimo Cacciari
Vi parlo da non credente, perch credere nel Cristianesimo vuol dire credere e sentire
che Ges di Nazareth il Cristo, il Messia promesso. Questo non significa una vaga
religiosit del cuore, sentimentale, che non ha niente a che fare con la forza di Cristo.
O il Cristianesimo riassume in pieno e riesce di nuovo ad essere dotato di spirito
profetico o non ha futuro in nessun senso del termine.
Ma questa forza, io ritengo, una forza straordinaria, questo mettere in dubbio, in crisi
appunto, il senso che la doxa, che l'opinione comune, ha del futuro della propria
citt e del proprio appartenere alla citt, del proprio interesse nella citt. Mettere in
crisi il senso che l'opinione comune d al passato perch l'uomo ritiene il passato il
puro e semplice "cos fu" e fine.
L'umanit non sente nessuna responsabilit nei confronti del passato, continua a
contrabbandare i suoi omicidi come sacrifici.
Se il Cristianesimo non contraddice in "en-parresia", con parole franche, libere, questo
senso comune, se non porta fuoco e spada in questo mondo, non ha
senso.Ovviamente, questa prospettiva pu fondarsi soltanto su una certa idea di fede.
Perch se non vogliamo contrabbandare, appunto, la fede cristiana per vaghi
sentimentalismi, la fede deve essere una certezza; cio chi ha fede deve essere
davvero certo di ci di cui dice aver fede. La fede ha a che fare con la dimensione
della certezza, anche filosoficamente.
Ma quale certezza? Perch molte volte, appunto, questa fede viene predicata e
pronunciata e testimoniata come fosse una certezza che assicura di fronte ai rischi, di
fronte ai problemi, di fronte alle contraddizioni del mondo. Come fosse una "securitas"
19

che "se-cura", che toglie la cura, che toglie l'angoscia, che toglie l'affanno, che toglie
la pena, che guarisce Giobbe. No, la fede non guarisce Giobbe. Giobbe rimane l e
Ges Cristo, quando risorge, le piaghe le ha ancora e se le fa toccare. Non guarito, il
Crocifisso, l e continua ad essere crocifisso anche dopo risorto.
E allora, questa fede cos'? certezza intorno alle cose che non sono evidenti.
L'evidenza della fede non l'evidenza di ci che appare, n agli occhi del corpo n agli
occhi semplicemente della mente. La formula pi efficace, secondo me, quella di
Kierkegaard che definiva la fede "un'angosciosa certezza". O si tengono insieme
queste due dimensioni o, secondo me, il Cristianesimo non ha futuro.
Quando la fede argomenta - perch la fede dev'essere anche discorso, non pu essere
una fede negligente - intorno a ci che non appare evidente, la sua verit, la verit
cristiana, non pu avere a che fare con la verit come risuona nel termine classico
greco "a-letheia", non pu essere la verit dell'evidenza. Perch la verit greca la
verit dell'evidenza. C' un abisso fra la verit che si dice nella testimonianza cristiana
e la verit della "sophia". un abisso perch qui si parla della verit, di ci che non
evidente,
che
non

disvelato,
che
non

scoperto.
Pertanto, se cos, evidente, mi pare, che ne consegue che sia impossibile
affermare che un'unica via conduca all'"Amato". vero che dice "io sono la via",
vero che il Cristianesimo riafferma questo. Ma appunto quella via, necessariamente
viene percorsa dai singoli, dal singolo. L'essere "una" la via non significa "un" modo,
"un" passo, "un ritmo" secondo cui percorrerla.
Se perdiamo l'idea di singolarit personale perdiamo l'essenziale. Dove soffia lo
Spirito? In quale dei modi di percorrere la via soffia lo Spirito? Questa la profezia nel
senso non stupido del termine. Ci che dice davanti a noi la testimonianza cristiana:
che questa fede non in alcun modo un'assicurata "reductio ad unum", a cui tutti noi
ci assicuriamo in una dimensione, in un linguaggio, in un pensiero. No, il futuro di
questa fede il futuro di una "concordia oppositorum".
Il profeta di questo eschaton, secondo me, fu il fondatore della letteratura europea,
Dante Alighieri. Il "Paradiso" di Dante esattamente questa "repubblica", "civitas" dice
Dante, in cui finalmente le singolarit si definiscono ma si definiscono non pi
contrapponendosi strettamente le une alle altre; si definiscono come perfette
singolarit in quella via d'amore. Le singolarit non vengono negate ma, all'opposto,
vengono redente, riscattate. Questa la grande profezia, cio una civitas in cui i
distinti rimangono perfettamente distinti, in amicizia. Un'amicizia, una "philia" dei
perfettamente distinti, senza nessuna fede che voglia ridurre ad uno, senza nessuna
fede che voglia assicurare, senza nessuna fede violenta, che ritenga che la sua
certezza la certezza di qualcosa di evidente che va da tutti accettata come il
principio
di
non
contraddizione.
La
grande
profezia
dantesca!
su questo spirito di profezia, non nel senso stupido del termine di vedere cosa
succeder domani, dopodomani, ma nel senso filosofico, storico, politico, che tutto si
gioca, secondo me anche dal punto di vista non credente, del futuro del Cristianesimo.

20

Vous aimerez peut-être aussi