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Parte II
L’Armata italiana
di Lord Bentinck
(1812-1816)
Parte III - Le legioni anglo-italiane 228
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Parte III - Le legioni anglo-italiane 229
6. LE LEGIONI ANGLO-ITALIANE
(ITALIAN LEVY, ROYAL PIEDMONTESE LEGION)
(1812-16)
Il piano del capitano Pölt per sorprendere Venezia (23 gennaio 1812)
L’idea di poter amalgamare – in poche settimane, nel corso delle
operazioni e su larga scala – un’accozzaglia di mercenari, insorti e
transfughi del nemico era abbastanza assurda. Ma è interessante il
tentativo di conciliare il progetto “italianista” con un eventuale impiego
in Adriatico, facendo leva non più sulla corona sabauda, ma su quella del
Regno italico di Napoleone. Del resto Latour conservava in archivio un
progetto del 23 gennaio 1812, redatto dal capitano Pölt (già aiutante
generale della marina austriaca), per impadronirsi di Venezia con un
colpo di mano, grazie al tradimento di 4 ufficiali della marina italiana
provenienti dalla k. k. Venezianische Marine (il capitano di fregata
Dandolo, il capo dei movimenti del porto Gianxich e il suo vice Petrina e
il comandante dell’artiglieria di marina Lugo), tutti – secondo Pölt –
«decisi per la buona causa» e disposti a tradire in cambio di avanzamenti
di grado e pensioni ai loro eredi in caso di insuccesso.
Parte III - Le legioni anglo-italiane 238
capitano Grant, che aveva servito ai suoi ordini in India nelle truppe
dell’East India Company ed era uomo “d’onore e di coraggio”; «many»
degli ufficiali ex-siciliani (piemontesi, svizzeri, austriaci) erano «very
respectables».
I non italiani erano invece destinati ai battaglioni della King’s German
Legion di guarnigione in Sicilia. In giugno passarono al 2° reggimento
16 ufficiali (1 maggiore, 5 capitani, 9 tenenti e 1 alfiere), 2 cadetti e 581
“reclute venute dalla Spagna”, ossia i disertori e i prigionieri delle truppe
murattiane. In luglio il Reggimento Estero dell’esercito siciliano aveva
già ceduto alle truppe inglesi 1.157 uomini (di cui circa 250 alla KGL e
900 al 2° italiano); i restanti formarono il “3° reggimento estero”
dell’esercito siciliano [il 1° e il 2° erano formati dalle truppe napoletane,
che a seguito della rivoluzione costituzionale erano state classificate
“straniere”].
1812 a quello inglese. Faverges, nato nel 1775, ufficiale nel 1792, due
volte gravemente ferito nella guerra delle Alpi, era passato al servizio
austriaco nel 1796, ricevendo ancora una ferita nel 1799 e distinguendosi
nel 1809 sull’Isonzo. Chirurgo maggiore del corpo era Thomas Shortt,
già chirurgo del 20th light dragoons e futuro capo dell’équipe di cinque
chirurghi inglesi che il 5 maggio 1821 eseguì a Sant’Elena l’autopsia di
Napoleone certificando la morte per cancro allo stomaco.
Il 25 dicembre erano presenti ad Alicante 1.262 fanti (77 ufficiali) e
226 cavalieri (22 ufficiali) siciliani. Lo stesso giorno salparono dalla
Sicilia altri 2 ufficiali e 176 uomini del 2° italiano, 14 e 325 calabresi, 22
e 204 cavalieri e 77 e 1.185 fanti siciliani (1° estero), arrivati in Spagna
il 31. L’“Armata Combinata” contava 15.280 fanti, 1.000 cavalieri e 36
pezzi, al comando interinale di Campbell, in attesa di Bentinck. Oltre
alla brigata “siciliana” (in realtà tutti “esteri” napoletani) comandata dal
colonnello brigadiere Gaetano Pastore, e ai due reggimenti italiani, il
corpo includeva la divisione Carey dei corpi franchi calabresi (352 con
16 ufficiali), 5.400 spagnoli (la Divisione “Mallorquina” formata nelle
Baleari da Whittingham), 3.900 fanti (1/10th, 1 e 2/27th, 1/58th, 1/81st
Foot e battaglione granatieri) e 800 cavalli (20th light dragoons e ussari
di Brunswick–Oels) inglesi, 2.000 annoveresi e 400 svizzeri (Dillon).
Cooperavano con l’Armata anglo-siciliana anche altri 3.500 spagnoli
(Divisione Roche, 4a dell’Armata di Murcia comandata dal generale
Elio).
La stroncatura di Wellington
Sapendo che occorreva il consenso di Wellington, Bentinck indirizzò
anche a lui una copia del progetto: ma il duca protestò energicamente
con Bathurst, sostenendo che operazioni limitate come lo sbarco della
leva italiana non bastavano a incoraggiare insurrezioni, per quanto ostili
fossero ormai gli italiani al dominio francese. Per riuscire, occorreva
impiegare inizialmente almeno 30-40.000 uomini. Gl’italiani preferivano
certamente il dominio inglese a quello francese o austriaco, e avrebbero
formato una grande armata: ma il governo inglese era pronto ad armarla
ed equipaggiarla, e a sostenere una nuova guerra su vasta scala?
Reale aveva un posto nei piani di Bentinck, come risulta da una sua
“Nota di persone disposte a dirigere e sostenere sollevazioni contro i
francesi in diverse città d’Italia”, datata Palermo 14 marzo 1813. Il 21
marzo Bentinck informava Castlereagh di aver scelto come capo della
“Vienna Branch” il maggiore Dumont, già ufficiale austriaco e fiduciario
di Latour, al quale, insieme a Nugent, era ovviamente attribuita l’alta
direzione del moto insurrezionale.
In una nota per Nugent, Latour gli chiedeva di reclutare addirittura
250-300 ufficiali austriaci, soprattutto subalterni, di tutte le armi, inclusi
cavalleria, artiglieria genio, facendoli passare da Giannina o da Scutari
e Durazzo, perché Bentinck voleva mettere in campo un’armata di
20.000 uomini, inquadrata da ufficiali austriaci. Nugent doveva inoltre
coordinare direttamente il piano insurrezionale italiano e stabilire un
comitato centrale per coordinarlo coi piani insurrezionali in Dalmazia,
Illiria, Tirolo e Svizzera. Doveva designare capi nelle città principali
italiane, comunicando loro solo la parte indispensable del piano. Lo
scopo finale era la liberazione totale dell’Italia, «à laquelle l’Angleterre
désire donner une organisation politique forte, durable, libérale et
nationale»; il modello costituzionale del nuovo stato restava imprecisato,
perché «le voeu seul de la nation italienne décidera en dernière analise
de son organisation politique future, puisque l’Angleterre, animée d’un
noble désinteréessement veut se borner à la soutenir». La propaganda
doveva però puntare sulla riforma parlamentare, con una camera dei pari
(senato) e una dei comuni (rappresentanza delle città), sul ristabilimento
del Santo Padre, sul ruolo “antinazionale” al quale i francesi avevano
condannato l’esercito italiano, sull’abolizione della coscrizione e delle
imposte.
Le speranze di Latour furono però di breve durata. La prova di forza
con la corte di Palermo, seguita dalle aperture negoziali di Murat, misero
ancora una volta in soffitta l’apertura del fronte italiano. Ancora ai primi
di luglio, però, Latour approfittò dell’annunciata partenza di Bentinck
per l’Inghilterra per indirizzargli un ultimo appello, in cui vantava la
buona prova data dal 1° reggimento a Castalla e la fondata speranza che
anche il 2° [in ricostituzione in Spagna] e il 3° [in formazione a Palermo
con gli esuberi sardi] potessero comportarsi altrettanto bene. Le persone
di buon senso, sosteneva Latour, dicevano di mandarli in Italia: e invece
li mandavano ad Alicante, dove si tenevano inutilmente 8.000 uomini,
perduti in ogni caso per le febbri. Senza pensare che, se l’Italia restava
francese, avrebbe fornito nell’anno l’equivalente di 10 armate di Suchet.
Il piano di Nugent
Il 14 ottobre, da Palermo, il duca d’Orléans aveva affidato al capitano
di SMG siciliano Francesco Saverio Del Carretto, in partenza per la
Spagna, una lettera per Wellington in cui gli comunicava che Nugent era
Parte III - Le legioni anglo-italiane 258
Su 14.656 combattenti delle due Divisioni, circa 4.500 erano regolari borbonici, 1.200
volontari italiani, 618 calabresi (inclusi 29 ufficiali, 60 sottufficiali e 7 ordinanze, più 28
donne), 300 greci e circa 3.000 tedeschi. Gl’inglesi erano circa 4.700.
mantenere il buon ordine nei suoi stati” e di aver dato disposizioni in tal
senso a Latour, promosso “maggior generale” inglese.
Lo stesso 11 maggio, da Downing (Street), Bunbury informava
Bentinck che il governo inglese aveva fatto un passo formale col re di
Sardegna offrendogli di prendere al suo servizio l’Italian Levy. In attesa
nulla poteva essere deciso riguardo allo sbandamento della brigata o al
passaggio di ufficiali o soldati al servizio di altre potenze. In caso di
scioglimento, Bentinck doveva accordare sei mesi di paga agli ufficiali e
semplici lettere di raccomandazione [senza gratifiche speciali] a Latour,
Catinelli e altri di particolare merito. Il ministro Bathurst (aggiungeva il
sottosegretario) temeva che accordare a questi ultimi “un compenso più
cospicuo”, potesse indurre gli altri ufficiali a tempestare il ministero di
suppliche per ottenere gli stessi benefici.
Sbarcato il 14 maggio, il re intendeva dare il comando della piazza a
Latour, col grado di tenente generale piemontese. Bentinck lo convinse
però a trattenerlo a Torino, dal momento che la leva italiana doveva
essere impiegata per occupare il Piemonte. Quanto al passaggio della
brigata al soldo sardo, era per il momento fuori questione per mancanza
assoluta di risorse finanziarie. Il comando della piazza di Genova rimase
così a Dalrymple, e, in assenza di truppe piemontesi, la guarnigione
rimase formata da truppe britanniche e da un nucleo di ricostituite truppe
locali.
Il 24 maggio Vittorio Emanuele scrisse a Bentinck che gli austriaci
stavano per evacuare il Piemonte a causa delle elevatissime spese, e gli
chiese di ordinare ai tre reggimenti, dislocati a Nizza, Savona e Acqui
(1°), di avanzare al primo cenno che avrebbe fatto da Torino, su
Fenestrelle, Alessandria e Novara «ou autres endroits du Piémont», e,
possibilmente in Savoia, dove aveva nominato maresciallo e governatore
il padre di Latour. Il 25 maggio Torino fu occupata dall’unico corpo di
cui il re poteva direttamente disporre in Terraferma, ossia il citato 1°
reggimento del conte Robert [poi “battaglione cacciatori italiani”].
Biasimato dal suo governo per il proclama di Genova e per aver
incoraggiato gli appelli indipendentisti del governo provvisorio di
Milano, e richiamato ad astenersi da ogni atto potenzialmente in
contrasto con le decisioni delle Alte Potenze, il 29 maggio Bentinck partì
per Palermo, lasciando il comando delle truppe al generale Hornstedt e a
Dalrymple l’incarico di regolare sul posto le questioni relative alla leva
italiana.
da compagnie del 31st Foot e del 6th e 7th King’s German Legion
arrivati da Napoli, Lowe avanzò insieme alla guardia nazionale di
Marsiglia e ai volontari realisti su Tolone, che il 24 luglio innalzò infine
la bandiera del re. Pur formalmente dipendente da Macfarlane, Lowe era
a disposizione di Wellington, mentre la forza austro-napoletana sbarcata
a Genova e arrivata in Provenza via terra era comandata da Nugent.
Dopo la capitolazione di Tolone Lowe ed Exmouth chiesero di essere
impiegati per la spedizione all’Elba, ma la missione fu affidata alla sola
marina e alle truppe toscane. Quando Lowe partì per Sant’Elena, fu
sostituito interinalmente dal colonnello sir Montague Burrowes, cui
subentrò in settembre il maggior generale Charles Philips, richiamato da
Messina.
Il 5 settembre il brigante G. B. Grondona, detto “Bacicciola”, compì
con altri 4 malviventi una sanguinosa rapina sulla strada della Bocchetta.
Ferito e catturato il 16 settembre dalla gendarmeria genovese, fu portato
in lettiga al Molo di Genova, dove fu impiccato. I due briganti catturati
con lui erano disertori del 3° italiano e dei cacciatori Robert.
I benserviti ai congedati
I benserviti a stampa, riquadrati, datati, timbrati con la ceralacca e
sottoscritti dall’aiutante maggiore, dal comandante la compagnia e dal
colonnello, recavano l’indicazione dell’unità di appartenenza (“Terzo
reggimento italiano / al servizio di S. M. britannica”) sormontata dallo
stemma britannico sorretto dal leone coronato e dal liocorno col motto
“Dieu - et mon – Droit”. Il testo recitava: «Certifico io sottoscritto che il
…. della … Compagnia del detto Reggimento / ha servito per lo spazio
di …. non avendo in tutto questo tempo mai dato motivo di lagnarsi di /
lui, essendosi sempre diportato con buona ed onorevole condotta dando
prove d’attività ed esattezza nel / servizio, per i quali motivi gli rilascio
il presente perché se ne possa valere dove il crederà necessario».
Tra gli attestati di servizio e le lettere di raccomandazione che ci sono
rimaste, citiamo quella di Righini (ora tenente colonnello) per il cadetto
diciottenne Giuseppe Rossetti di Nizza, figlio di Marco, capitano del 1°
reggimento, e fratello di Filippo, cadetto della Brigata Aosta. Altri
riguardano il carabiniere Giuseppe Pedri del 3° reggimento (compagnia
Gaffori) e Gaetano e Federico Bardet, tenenti del 3° reggimento e figli di
Luigi, ufficiale del genio borbonico alla difesa di Gaeta, poi direttore
dell’officio topografico di Palermo, divenuto maresciallo di campo e
ispettore del genio a Napoli. Il 2 aprile e il 1° agosto 1816 furono creati
cavalieri dell’Ordine sabaudo dei Santi Maurizio e Lazzaro i capitani
inglesi John Shearman, già Brigade Major dell’Italian Levy, e Alexander
Machlachlan, già comandante dell’artiglieria aggregata alla brigata in
Spagna. Le due mogli del bigamo tenente Jonas Oxley si contesero dal
1826 al 1832 la pensione vedovile, finché il governo dette finalmente
ragione alla prima, scozzese, e torto alla seconda, irlandese.
Tra i 586 sudditi pontifici reduci dalle guerre napoleoniche che dopo
la restaurazione presentarono domanda di impiego [v. Elenco dell’ASR,
cit. in Bibliografia] troviamo il bolognese Filippo Pellizzari (1782),
aiutante insegna delle leve italiane, e il romano Gabriele Mordini di
Luigi (1783), tenente delle guide inglesi in Portogallo (ammesso come
tenente nei carabinieri pontifici nel 1817, in ritiro nel 1843 come tenente
onorario). Il cadetto Francesco Donati, nato a Messina il 1° aprile 1793,
fu ammesso nel 1817 al servizio napoletano; capitano del Reggimento
Borbone nel 1845, passò poi alla gendarmeria e infine ai carabinieri a
piedi, di cui era aiutante maggiore nel 1850 e colonnello comandante nel
1860: fu congedato in settembre, al termine della campagna di Calabria,
e morì a Napoli il 14 gennaio 1882.
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Allegato
Scarlet or Blue?
L’uniforme prescritta alla leva italiana dalle Regulations di Bentinck
del 13 maggio 1812 era blu con fodere e filettature rosse. La citata
lettera di Clinton al cognato, datata 22 febbraio 1813 da San Juan, attesta
però inoppugnabilmente che già in Spagna (e dunque fin dall’inizio) la
leva italiana (o almeno il 2° reggimento) era «dressed in scarlet», cioè
indossava la giacca rossa, tipica della fanteria inglese, e anche della
maggior parte dei corpi stranieri. Rossa è anche la giacca del capitano F.
de Campi conservata nel Museo del risorgimento di Trento, e i figurini
delle truppe inglesi a Genova e la stampa del Comune del 3° Regg.to
Italiano al servizio Inglese conservata nella civica raccolta delle stampe
“A. Bertarelli” di Milano rappresentano la leva italiana in giacca rossa
con mostre verdi, fodera bianca e nidi di rondine (distintivo delle truppe
leggere), shakot alto con pennacchio verde e pantaloni grigi infilati nelle
mezze ghette nere. Una spiegazione della difformità tra le prescrizioni e
le testimonianze potrebbe essere che Bentinck ci abbia ripensato, per
non confondere i “suoi” reggimenti con quelli siciliani, vestiti tutti di
blu. Oppure che gli uomini destinati a formare il 1° reggimento, una
volta arrivati a Malta, abbiano ricevuto, per economia, uniformi ivi
immagazzinate, forse un surplus del Sicilian Regiment, che vi era di
guarnigione e vestiva in giacca rossa con mostre verdi. O forse, più
semplicemente, che i commercianti inglesi di Messina abbiano imposto
al precipitoso Bentinck una variante di loro convenienza.
L’attribuzione alla leva italiana dell’uniforme riprodotta dal poliedrico
Charles Hamilton Smith (1776-1859) nel manoscritto dell’Università di
Harvard (e nella copia del 1814 posseduta dalla Bibliothèque Nationale
de Paris), e ripresa nel 2000 da René Chartrand, è senza dubbio erronea.
Infatti (come provano le stesse tavole che corredano il saggio dello
studioso canadese) l’uniforme attribuita alla leva italiana da Smith non
differisce in alcun modo da quella della Legione piemontese, e deve
dunque identificarsi con quest’ultima. Del resto la diversità del colore di
fondo (blu anziché rosso) riflette non a caso il diverso inquadramento
politico dei due corpi, reclutati in concorrenza fra loro fra i prigionieri di
Portsmouth, e manifesta proprio l’intenzione di distinguerli, anche
perché la legion era comunque destinata a passare presto al servizio
sardo. La giacca del figurino è blu con colletto, risvolti e paramani rossi
e bottoni gialli; i pantaloni sono grigi, lo shako cilindrico e nero con
visiera, coccarda nera, pennacchio e il corno da caccia distintivo delle
truppe leggere. Come nota Chartrand, il colore verde delle spalline e del
pennacchio indica un carabiniere, armato di moschetto con baionetta.
Parte III - Le legioni anglo-italiane 290
Fonti
British National Archives (Ruskin Avenue, Kew, Ricmond, Surrey):
WO 164/233 Royal Hospital Chelsea. Prize Records – Tarragona 1813. Payment of
Foreign Troops (Artillery Co., 1st and 2nd Regiment of Italian Levy).
WO 43/337 Secretary at War – Correspondence. Widow’s pension claimed by two
persons married, as to one in Scotland and one in Ireland. Scottish marriage valid.
Case of Lieut. Jonas Oxley, late Italian Levy. Legal opinion (1826-30).
WO 65/167 e 168 – Two manuscript Foreign Army Lists containing details of foreign
and mercenary units which are missing from the printed Army Lists of the period.
AO 1/232/805 Auditors of the Imprest and Commissioners of Auditor Declared
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Bibliografia
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of the Royal United Service Institution, LVIII, March 1914. ID., «The British capture
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AUSTRIA ESTE, Francesco d’, Descrizione della Sardegna (1812-13), a cura di Giorgio
Bardanzellu, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Le fonti, Roma, 1934.
BIANCO, Giuseppe, La Sicilia durante l’occupazione inglese (1806-1815), Palermo,
Alberto Reber, 1902.
Parte III - Le legioni anglo-italiane 297
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Sicily, 1806-1815, London and Toronto, Associated University Press, 1988.
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Present Times (April 10, 1815, “Army Extraordinaries”), XXX, London, 1815, pp.
481-82 (risposta del cancelliere dello scacchiere ad un’interrogazione parlamentare
sulle 10.000 sterline concesse a Lord Bentinck per l’Italian Levy).
La Gazzetta di Genova, 1814-15
LORIOT, Jean Pierre, «Les affaires de Viareggio et de Livourne Décembre 1813», in Le
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gennaio 1952), Roma, Poligrafico dello Stato, 1952, pp. 71-82 (carteggio Alessandro
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Office: WO 1/898-901 (Foreign Recruiting). WO 12/11623 (Foreign Corps
Detachment 5th Bataillon 60th Rifles). WO 25/3213 Estimates for Foreign Corps
1793-1815. 43/32/15812 (Deserters from the French Army in Spain). WO 67/168 e
169 (two manuscript Foreign Army Lists containing details of foreign and mercenary
units which are missing from the printed Army List of the period). WO 122/2/1-8
(Discharge documents of foreign pensioners). Guida al fondo: Michael Roper, The
records of the War Office and related dependences 1660-1964, PRO Lists and
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2005, Vols. V (pp. 342-7, 386, 408, 499, 565, 610), VI (pp. 222-3, 275-98, 310-3,
520-1, 748-50, 762) e VII (pp. 67, 81-5, 96-109, 532-3).
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Esteri, Indice dell’Archivio storico, vol. IV, Tip. Riservata del MAE, 1952.
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