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ROSSANA COPEZ

SI CHIAMA VIOLANTE
IL MAESTRALE

NARRATIVA

ROSSANA COPEZ

Si chiama Violante

Editing Giancarlo Porcu Grafica Nino Mele Imago multimedia Foto di copertina Archivio Imago multimedia 2004, Edizioni Il Maestrale Redazione: via Massimo DAzeglio 8 - 08100 Nuoro Telefono e Fax 0784.31830 E-mail: edizionimaestrale@tiscali.it Internet: www.edizionimaestrale.it
ISBN 88-86109-83-0

IL MAESTRALE

a Jenny

La morte la curva della strada. Morire solo non essere visto.


Fernando Pessoa, da Una sola moltitudine

Sola, non posso stare Perch mi vengono a far visita Ospiti al di l della memoria Ospiti che ignorano la chiave di casa
Emily Dickinson, da Silenzi

Io ho veduto tutto ci che si fa sotto il sole: ed ecco tutto vanit e un correr dietro al vento.
Ecclesiaste, 1,14

Manuel de Figueira, questo era il nome con cui mi si era presentato con modi ossequiosi, peraltro rari in un uomo di mare, non aveva pi la faccia tirata e tesa di alcuni giorni prima, al momento della partenza. Aveva combattuto con le onde lui, aveva governato con sapienza il suo equipaggio, forse non aveva chiuso occhio per troppe ore di fila. Ma adesso che limbarcazione era sicura dentro il porto, il volto gli si era rilassato e un accenno di sorriso rivelava la soddisfazione per limpresa: nessuna tempesta, nessuna malattia tra gli uomini a bordo, nessuna minaccia di pirati, niente. Si era accostato a me con uno sguardo dintesa, come dire sono stato bravo!, ma gli era uscito solo: Per la grazia de Dis andato tutto bene, la canaglia morisca si tenuta lontana da noi per tutto il tempo. Per tutto il tempo Sono approdata in quella terra in un settembre. Per tutto il tempo della traversata avevo assaggiato gli spruzzi salati delle onde. Da Barcelona fino a l. Poi Esperansa era scivolata leggera e la citt si era avvicinata sempre di pi, sempre di pi. Gli occhi stretti a vederla meglio, a ripararmi da un sole che filtrava per una foschia chiara, quasi lattiginosa.
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Ed eccola Cagliari bianca, su un grande zoccolo di roccia calcarea affiorante dal mare. Difficile capire dove terminava la roccia e dove iniziavano le case. Poi le acque del golfo avevano risucchiato dolcemente la nave, come ad abbracciarla. E si approd. Era in un dolce settembre e il mare profumava come mai avevo saputo. Penetrante, eccitante, che portava distinto a tirar su col naso, a inspirare senza sosta. Per non perderlo, per rubarlo agli altri Ma ancora odori: di zafferano, di rosmarino, e ancora di zafferano, di cui erano colme grosse ceste pronte allimbarco, nuvole di fiori viola, e profumo di alghe vive che facevano sentire la loro presenza da sotto gli scogli. Manuel de Figueira, col suo fare gentile, stava al mio fianco, appoggiato al parapetto a guardare uomini di carnagione scura, cotta dal sole e dal salmastro che si davano da fare con le funi per permettere alla nave di attraccare senza troppi scossoni. Lui era il capitano, e il suo compito, quello di portare la sua nave da un porto allaltro, laveva gi svolto. Nave e persone e merci erano ormai arrivate a destinazione, sane e salve. Voleva farmi compagnia. Ora si prodigava in spiegazioni non richieste. Mi indicava la fila di uomini che salivano lungo lasse di legno che collegava limbarcazione alla banchina. Li chiamano bastscius, mi diceva, sempre uno spettacolo vederli in azione e soprattutto sentire come si incitano a vicenda; le parole non si capiscono quasi mai, ma hanno una intonazione che sembra una musica. E quelli proprio asini sembravano, asini che portavano il basto, bastasci. Grandi pesi sulle spalle ricurve,
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salivano in fila indiana e pareva che il ventre della nave se li ingoiasse uno per uno, uno dietro laltro, per risputarli subito dopo, uno per uno, uno dietro laltro, con altri pesi in spalla. Dallalto della nave era pi facile sentire le voci e le urla di incitamento che vedere quegli uomini in faccia. Aveva ragione il capitano, quegli accenti risuonavano come una musica, incomprensibili. Anche le loro teste, cappucci di lana, si muovevano secondo un ritmo determinato. Formiche, formiche intorno ad un boccone prelibato. Carico prezioso! voce roca e perentoria che ammoniva le altre formiche. Dalla nave gli uomini dellequipaggio dovevano avere gi fatto arrivare in banchina notizie di prima mano e per prime scaricate. Quel carico prezioso ero io. Io faccia disfatta per la stanchezza della traversata e testa che scoppiava per quello che andavo a fare l, in quella terra. Cinque o sei uomini avvicinarono una scaletta rudimentale allo scafo, e non so quante braccia, pi di quante potessero appartenere in realt ai corpi che vedevo, mi aiutarono a scendere. Io davanti, dietro i bauli con tutto quello che, a corte, la servit aveva pensato potesse essere utile in una terra straniera ad una donna e dama come me. Del mio rango. Il capitano Manuel de Figueira si conged con un bel sorriso di augurio e di incoraggiamento. Lass, mi disse, dove si vedono quelle torri: l vi aspettano. Sulla nave sapevo che la responsabilit era tutta sua, ma sulla terra non pi. Sulla terra cominciava la mia. E il capitano, a terra, non ci aveva messo neanche piede.
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Manuel de Figueira, bruno di carnagione e coi capelli ricci, il volto profondamente segnato da lunghe rughe - ma quando sorrideva gli si illuminavano gli occhi aveva aperto le braccia, quasi a scusarsi, e poi aveva guidato il mio sguardo oltre il porto, indicando un punto: Lass. *** Lavete sentita la notizia? Donna Violante se ne va. Donna Carmelita de Jerez y Ortega aveva parlato con tono complice e di scherno alle sue amiche riunite. Se ne va? E dove pu andare una cos? aveva risposto donna Maria. Dove ha voluto il Re. In persona. Va a fare la feuda-ta-ria. La feudataria? fu la richiesta del coro, e dove, dove? In unisola. Lisola di Sardegna. Io non capisco proprio. Ma cosa pensa quella? Che comandare a dei selvaggi sia roba per lei? Mah! sempre stata strana, con quella sua aria da da meglio non dirlo, il Signore mi perdoni. Perfino la vecchia donna Ins, che faticava a parlare per via di quel labbro tutto cicatrici, aveva trovato, allimprovviso, una parlantina chiara e limpida: Secondo me il Re, che sa sempre quello che fa, se ne vuole disfare. Avete visto come fa gli occhi quando si trova al suo cospetto? Solo quando con noi quella l li tiene abbassati o rivolti verso il cielo. E poi, non crediate, selvaggi s, ce ne saranno in quella terra, ma ci sono anche molti catalani e valenzani, uomini dabbe14

ne. Ecco perch il Re la manda l, chiss che non riesca a soddisfare vergognose voglie, lontano dalla nostra corte. Ma e la regina Sibilla? Eh? Secondo me proprio lei che ha convinto il suo regale consorte a spedire Donna Violante lontano. Sembra che sia la sua pupilla, ma in fondo in fondo mi sbaglier, non la vuole proprio vicino. Ma che dite donna Carmelita? Ma se proprio la regina che la vuole sempre attaccata alle sue gonne? Certo, donna Ins, non capite? Basta poco ad arrivarci solo se sta attaccata alle sue gonne pu stare sicura che non si attacca ai pantaloni di qualcun altro il Signore e lo Spirito Santo mi perdonino Ma e poi poi vi ricordate cosa si diceva quando arrivata qui a Barcelona? Strane voci girano sul suo conto voci strane che puzzano di eresia e stregoneria Tacete donna Maria, tacete non si nomina neanche il perch ne spunta subito la coda Comunque, che vada, e che non si faccia pi vedere qui a corte. I nostri uomini saranno pi tranquilli cos. Finalmente. *** Una solerte scorta mi accompagn ai quartieri alti. Dal porto fin lass una interminabile salita. Una serpentina di stradine, e sempre quei penetranti profumi, quello di mare su tutti. Me lo sentivo addosso e scacciava perfino langoscia che mi prendeva a tratti, quando mi ricordavo la ragione di quel viaggio e di ci che mi aspettava.
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Portoni di legno e ferro introducevano nel quartier della corte aragonese. Era chiamato Castello di Cagliari, ma del castello vantava solo delle imponenti torri bianche e quadrate, a delimitarne il perimetro. Allinterno una piccola citt, solo di aristocratici, solo di Aragonesi. L ero attesa da nobiluomini della mia stessa terra. Una corte meno sfarzosa di quella che avevo lasciato mi accolse con effusioni prive di cordialit. Alla corte che avevo lasciato, a Barcelona dalla regina Sibilla de Forti, erano stati ben felici di dirmi addio. Le dame - le dame soprattutto - non stavano pi nei panni dalla contentezza, una volta appresa la notizia della mia partenza. Non avevano risparmiato ad alta voce commenti salaci sul mio conto, e insinuazioni tra le pi malevole erano uscite da quelle bocche: che avevo la faccia da santarellina ma che quegli abiti neri erano pi provocanti delle gonne rosse tutte svolazzi di una ballerina andalusa, e altre cattiverie che solo donne brutte e vaiolose come quelle potevano partorire. Quelle dame: che dame! L, alla corte di Barcelona. A Cagliari fu diverso. I miei veli neri facevano paura e imbarazzavo tutti. Mi guardavano di sottecchi e con aria perplessa perch, per loro, una cos non sera mai vista: una cos alla successione del feudo. Perch mio padre Berengario Carrz, morto senza figli maschi, lasciava un feudo senza successore. Unica figlia, io. Una donna. Mio padre, morto nellanno del Signore 1373. Mio padre conosciuto appena.
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Mio padre sbarcato ancor molto giovane nella terra dei Sardi, nuova conquista del regno dAragona. Primo conte del feudo di Quirra. L le prefiche piansero la sua morte. L, poi, hanno mandato me a reggere il suo feudo. In quanto alla inattesa successione, a nulla erano valse le rimostranze accese della Corte e di tutti i consanguinei sulle pretese avanzate da mio nonno lammiraglio Carrz alla morte di mio padre. E il Re aveva sostenuto che: A un Carrz, al vecchio Berengario Carrz bisogna dare quel che chiede, quando chiede. Anche se quel che reclama non stato in uso finora. Ma da ora in poi lo sar. Cos deciso. Avr la successione femminile. Lultima e definitiva conquista di Berengario I Carrz. Ultima, perch mio nonno mor subito dopo e prima di vedermi salire sulla galea per la Sardegna. Definitiva, perch sancita dalla parola del Re. *** Era un giorno di festa. La messa solenne era appena terminata. Nobiluomini e nobildonne della corte abbandonavano lentamente la Chiesa, alcuni indugiavano scambiandosi sorrisi e parole gentili. La Regina Sibilla, cui dovevo stare sempre accanto, mi sussurr, indicandomi il Re: Ti aspetta. Ha da parlarti. La stanza del Gran Consiglio oggi sar per te. Vai, Violante, ascoltalo e obbedisci. Lui seduto sul grande scranno regale, io inginocchiata ai suoi piedi. Mi sollecit paternamente a tirarmi su. Io e il Re da soli nella grande sala. Non sera mai sentito.
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Teso verso di me, aveva un tono di voce solenne ma parlava piano, come a non farsi udire da altri: giunto il momento che si realizzi quanto desiderato da tuo nonno quando chiese e ottenne la successione del feudo in linea femminile. Sei una donna, Violante, e le donne, in genere, non si occupano n di faccende di guerra n di conquiste. Anche tu, poco o nulla puoi capire del mondo o di controllo dei mari. Ma sei una Carrz e questo ai miei occhi fa di te una donna speciale. Purtroppo la vita non stata tenera privandoti di due mariti che con cura il Re e la Regina avevano cercato per te. Sei schiva, come nessunaltra, di frivolezze e mondanit. Dopo aver a lungo pensato e riflettuto e con laiuto del Padreterno Nostro Signore, ora il Re ha deciso. Tu andrai in terra di Sardegna. Userai il tuo titolo di feudataria e Contessa di Quirra che fu di tuo padre. Tentai di dire qualcosa, ma il Re: Taci Violante, e allung la mano inguantata a impedire il mio accenno di obiettare, ascolta bene il tuo Re che ti spiegher tutto. A te, poi, il dovere di obbedienza. In piedi davanti a lui continuai ad ascoltarlo senza battere ciglio. Tu andrai l. In Sardegna ci sono tanti pericoli e tanti nemici. Ma uno, uno solo davvero temibile. La tua forza sar il tuo nome. Carrz nome che impaurisce i nostri funzionari del Castello di Cagliari. Quando li incontrerai non degnare il loro disappunto e non far caso alla loro ostilit, che celeranno, verso il tuo casato. Carrz nome che far inginocchiare il Castellano e gli abitanti del castello di San Michele, che visiterai do18

po quello di Cagliari. Ma non serve che tu vi indugi a lungo. Punterai verso il castello di Quirra. E anche l Carrz il nome, lunico, che mette in allerta i confinanti sardi del Castello di Quirra. E tu, proprio l dovrai andare. Perch se Carrz il nome portato da una donna, allora, cos per lo meno spera il tuo Re, il nemico pi temibile ritrarr le proprie unghie. Quel nemico, Violante, una donna. Come te. Eleonora dArborea. Il territorio in mano alla Corona dAragona le fa gola, preme con le sue truppe ai confini. Lo vuole conquistare e prendere come una femmina fa con un maschio, giocando come gatto con topo. Mi sembrava di non sentire pi il corpo: gambe intorpidite per lo stare in piedi, testa in fiamme per quello che le mie orecchie stavano sentendo. Ma lui continuava donna caparbia e testarda questa Eleonora. Farebbe di tutto pur di conquistare lintera isola per i suoi sardi, oserebbe sacrificare anche marito e figli. donna che si misura con un altro uomo come un guerriero. La tua presenza, la presenza di una donna la disorienter. Un Carrz la eccita alla battaglia, ma una Carrz con le gonne la terr per un po di tempo occupata a pensare a chiedersi il significato del tuo essere l. Rester perplessa sul da farsi Le acque si placheranno fino a quando il tuo Re appronter una grande forza darmati che la sbaraglier per sempre. Quel finale felice della storia mi rincuor e gli sorrisi sollevata.
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A te, quindi, il compito di governare il feudo di Quirra, e tenere la calma in quei territori. E senza altre parole mi conged. Mi inginocchiai a lui, comera mio dovere, esprimendo gratitudine e rinnovando obbedienza. Uscii lentamente e arrivai alle mie stanze, ma non so come. Una lama gelata mi attraversava tutta la schiena a dispetto del fuoco che bruciava nella mia testa. Amministrare la giustizia? Controllare il territorio? E come? Io? Da sola? Senza un uomo al mio fianco? Sentii tutta la solitudine del mondo e langoscia che mi afferrava i visceri. Quella notte, volti colori suoni si intrecciarono nella mia mente. Luoghi paurosi mi si paravano davanti agli occhi senza che io potessi distinguerne forme conosciute. Due occhi verde scuro si affacciavano tra i merli di un castello e mi arrivava una voce calda Vai Viola. Castelli turriti saranno le tue tappe. Segui il cammino che ti verr indicato. Senza fermarti. Io sar l con te. Conoscevo quegli occhi: erano di Felipe, il mio primo marito. Poi, immagini di sterpaglie, rovi, anche fiori senza odore. E mi sentivo i piedi inchiodati al terreno, immobilizzata tra gli arbusti. E tra le spine di un rovo intravedevo una testa incappucciata. Non vedevo occhi n volto. Ma udivo Le mie preghiere ti accompagneranno. Bisogna per che tu ti metta in cammino. Conoscevo quella voce cantilenante: era di Bernardo, il mio secondo marito. Mi svegliai di soprassalto, tutta sudata. Cosa era stato? Ricordi? Sogni? Erano sogni. Senza dubbio. Perch ai sogni mancano gli odori.
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*** Tutto fu pronto per salpare. La galea per il porto di Cagliari era davanti a me. Tremavo fino alla punta dei piedi allidea di salirvi. Gi mi arrivava una forte nausea. Ma il nome dipinto con lettere di colore del bronzo sul fianco dellimbarcazione mi diede coraggio. Salii per una scaletta traballante e fui dentro il ventre della Esperansa.

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Era molto giovane quando si trov orfana di madre e con un padre lontano a conquistar nuove terre per la Corona dAragona. La Regina Sibilla laveva voluta a corte, come sua dama prediletta e confidente. Le piaceva quella ragazzetta: era bella e gentile e sapeva nascondere molto bene la sua malinconia. Solo unombra leggera sul suo viso: unombra forse dintima tristezza. Un giorno la Regina Sibilla le dice: Sei giovanissima ma saggia, Violante, quindi ho trovato un giovane sposo per te, nobile e cavaliere. Lei, fiduciosa e mansueta, si affid alle premure di quella che, per lei, era la migliore consigliera. Non conosceva n il nome n il volto di quel nobile e cavaliere che era stato prescelto. Si lasci persuadere facilmente. Dopo breve tempo indoss il pi bellabito che una giovane donna potesse sognare e si lasci condurre allaltare. Lo vide di spalle: la figura maschile era slanciata e gradevole. Quando fu al suo fianco sent un tuffo al cuore.
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Appena gli fu di fronte, lui le sollev piano il velo di pizzo bianco, la mantiglia da sposa. Con gli occhi fissi su di lei, rimase immobile, con le mani ancora alte e tese a tenere il velo sollevato. Come fosse stato incantato. Lei si dimentic cosera il pudore di una giovane fanciulla che andava in sposa: con gli occhi fissi su di lui rimase immobile. Come fosse stata incantata. Li maritarono. E il Re organizz, come era consuetudine, giostre e tornei per la gioia e il divertimento di dame e cavalieri. Poi lui la prese per mano e la port con s. Si chiamava Felipe. Aveva occhi verdi e baffetti castani sulle labbra. E voce calda e suadente. Si dimostr qual era: cavaliere nobile e gentile. Amava parlarle vicino allorecchio, scostandole i capelli amorevolmente. Lei si illanguidiva tutta. E le notti erano affidate ad una passione instancabile e travolgente. Non una carezza venne risparmiata, n un abbraccio, n un grido di gioia e di piacere dei sensi. La giovialit era la dote principale di Felipe. La sua aria trasognata gli dava un fascino particolare. Fra i nobiluomini e le dame di corte era sempre al centro dellattenzione. E dove cera lui, regnava lallegria. Ma mai, mai staccava il suo sguardo da quegli occhi che lo avevano incantato sullaltare e che, ancora, dopo quasi un anno di matrimonio, lo emozionavano. Mi hai stregato, dolce Viola, e questo lincantesimo pi dolce del mondo. Cos le sussurrava allo24

recchio, scostandole i capelli, in un soffio che le illanguidiva lanima. E lei temeva perfino che fosse peccato provare tanta gioia e felicit. Ma Padre Miguel, confessore di corte, vecchio e bonario come pochi ministri di Dio, la confortava e la rassicurava: amore, cara piccola Violante ed benedetto da Dio. Che ve lo conservi. Tante furono le belle notti, tante quanti i bei giorni. Come un uomo e una donna fossero riusciti a riconoscersi in un attimo, senza mai essersi visti n conosciuti prima dallora, poteva apparire, davvero, pura magia. E donna Carmelita, donna Ins e donna Maria, che intristivano spesso nei loro letti senza il desiderio dei rispettivi consorti, cominciarono gi da allora a fare i loro commenti Avete visto quella sfacciata di ragazzetta? sempre col sorriso stampato sulla faccia. Ogni sorger del sole, diceva livida donna Carmelita. Ce lo ha sempre attaccato alle gonne, quel marito. Se la mangia con gli occhi, lui, rincarava donna Maria. E lei? e lei? Anche lei se lo mangia con gli occhi. proprio senza pudore quella l, aggiungeva donna Ins. Lui preferisce stare con lei a passeggiare nei giardini, anzich andare a caccia con gli altri suoi pari. Cose da non credere, la voce acuta di donna Carmelita. Cosa gli avr fatto?! Cosa gli avr fatto?! scuotevano insieme la testa le tre dame. Qualche sortilegio, sicuramente. Povero giovane, in coro.

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Un anno appena era trascorso da quando Felipe le aveva sollevato la mantiglia, sullaltare della Cattedrale di Barcelona, ed era stato incantato da lei. Un anno soltanto. Una brutta febbre lo colse una notte. E non era febbre di passione. Se ne and via cos, bello ancora e promettente. Di Violante, a corte, non si vide pi il sorriso. La regina Sibilla era piena di tristezza per la sua giovane e sfortunata dama. E angosciata perch quella non ne voleva sapere di mangiare, n di parlare n di ascoltare. Violante viveva con lo sconforto e la disperazione nello sguardo. Il lutto nel cuore. Dopo un anno di struggimento, la regina Sibilla impose la sua presenza e la sua bonaria autorevolezza: Cara la mia Violante, certo brutto destino che un matrimonio felice come il vostro sia stato di cos breve durata dopo un amore reciproco pieno di meraviglie. Ma persuaditi, ti prego, a prendere ancora una volta marito. Questa volta stato il Re in persona a sceglierlo per te. cavaliere forte, ma nobile e tenero. Sai quanto raro trovare un marito perfettamente gentile. E Violante riusc, dopo tanto tempo, ad aprirsi e sfogarsi con quella che, se pur Regina, la amava di affetto materno. Posso impedire alla mia lingua di rivelare il segreto del mio cuore, ma non ho alcun potere sulle mie lacrime. Mia cara Regina, mi affido alle vostre decisioni Decise e rispose soltanto la saggia Regina Sibilla: Lasciati persuadere, Violante, a voler conoscere ancora gioie e carezze.
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Spero che il cielo cessi una buona volta di essere irato con me, concluse Violante, asciugandosi le lacrime e rimettendo se stessa nelle mani del Re e della Regina. Rimasta sola, Violante continu a parlare a voce alta, rivolgendosi a qualcuno che non cera. Aveva preso questa abitudine dopo una lunga conversazione con Padre Miguel, il suo padre spirituale. Notti e notti, dopo la morte di Felipe, Violante aveva trascorso con gli occhi sbarrati, in preda alla disperazione e al senso di abbandono. Giorni e giorni, dopo la morte di Felipe, Violante aveva trascorso con la bocca serrata, a rifiutare cibo e parole. Lassenza di quel marito, bello come il sole, appassionato e tenero, le aveva tolto il respiro di vita. Padre Miguel, allora, sollecitato dalla Regina Sibilla, che non sapeva pi cosa fare, and a trovarla nelle sue stanze. Cara pecorella, non affliggerti cos, Dio si sente offeso da tanta disperazione. Devi sapere che i morti non sono mai morti davvero. Il loro spirito sempre tra noi, anche se non appartengono pi a questo mondo con il corpo e la carne. Hanno, per, orecchie per sentire, occhi per vedere, anche se non possono parlare con noi. Anche se Anche se, cosa? chiese Violante, anche se, cosa? Padre Miguel? Raramente lo spirito appare e d segnali della sua presenza, ma, a volte, cara Violante, gli spiriti dei defunti riescono a comunicare coi vivi attraverso persone dallanima pura, cio attraverso le parole di anime pu27

re. Non credere mai, Violante, di essere sola. Ti vede tua madre, ti vede e ti sente il tuo Felipe e, naturalmente il tuo angelo custode. Ma come possibile, Padre Miguel, come possibile? Dove sono, dove si trovano questi spiriti? Come faccio io a sapere che Felipe mi sente e mi ascolta? Un giorno lo saprai, un giorno te ne accorgerai, stanne certa per esempio, vedi le chiese, sono gremite di anime dei morti. Si sa da sempre che si deve lasciare libero il passaggio centrale che porta verso laltare, perch quello il loro spazio, e non ci si deve sostare perch non bisogna mai disturbare lingresso delle anime alla chiesa. Parlate ancora, Padre Miguel, parlate, spiegatemi bene, vi ascolto col cuore. Vedi, Violante, appena una persona muore, la sua anima parte per rendere conto a Dio delle sue azioni, ecco perch quando una persona esala lultimo respiro bisogna subito aprire una finestra, per rendere agevole il volo dellanima poi torna vicino al luogo dove il suo corpo, e sente tutto ci che si dice. Dopo la sepoltura si allontana e va verso il fiume dove scorre lacqua delloblio, beve e si dimentica del mondo, anche se resta nel profondo la carica degli affetti pi grandi; ma se non beve di quellacqua, fa ritorno fra i vivi. Solo in ispirito, naturalmente. E perch non dovrebbe bere di quellacqua, Padre Miguel, chi lo decide se beve o non beve? sollecitava Violante. Questo, il non poter bere di quellacqua, a volte capita quando le persone che sono rimaste nel mondo continuano a piangere e a piangere e pensano egoisticamente soltanto al morto. una specie di offesa per
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Dio, come una sfiducia nella vita eterna, che Dio ci ha concesso. E i morti, poveretti, o meglio, le loro anime, sono continuamente richiamati indietro da tutte quelle lacrime salate, dal dolore e dal costante pensiero di chi li ha amati, e non possono ritornare una volta per tutte a riconsegnarsi nelle mani di colui che li ha creati. Ecco perch non bene piangere troppo. C un tempo per tutto, Violante. Un tempo per piangere e un tempo per consolarsi. Altro non voler sapere, mai. Chi di questo mondo non pu comprendere. Abbi fede. Sappi che il tuo Felipe non ti ha abbandonata davvero. Riprendi a sorridere che lui gioir del tuo sorriso. Cos, dopo lincontro con la regina Sibilla che laveva persuasa a prendere marito ancora una volta, Violante si era rivolta a chi sapeva lei: Il cielo mi dar la forza sufficiente per sopportare la tua assenza, Felipe, ma larrivo di un nuovo marito non mi far scordare affatto la tua partenza. Non conosceva n il nome n il volto di quel nobile e cavaliere che era stato prescelto. Dopo breve tempo indoss un abito bello, ma adatto alla sua condizione di giovane vedova e si lasci condurre allaltare. Quando gli fu accanto e lui le sollev il velo di pizzo per scoprirne il volto, Violante non rispose con lo sguardo a quegli occhi che sentiva fissi su di s. Lui ne fu incantato. Li maritarono. E il Re organizz, come era consuetudine, giostre e tornei per la gioia e il divertimento di dame e cavalieri.
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Poi lo sposo, sorreggendola per il gomito con delicatezza, la port con s. Bernardo de Lope y Esteban aveva una figura snella anche se nerboruta. Teneva i capelli un po lunghi e ondulati, a sfiorare lattaccatura delle spalle. Si dimostr qual era: cavaliere nobile e gentile. Era amabile Bernardo. Amava conversare, parlare e raccontare. Dava segni di timore, di tenerezza e di compassione per quella bella sposa che lo ascoltava un po svagata. Ma le parole di Bernardo erano sagge, i discorsi confortanti e gradevoli. In breve tempo laria di Violante fu sempre meno svagata. Le parole del giovane infiammarono pian piano il suo cuore di un fuoco e di un calore che la restitu alla vita. Immersa, fino a poco tempo prima, in una profonda malinconia, ora provava una dolce gioia. Violante si fece avvolgere in una nuova tenerezza. La consolazione bilanci la disperazione e si attacc ancora alla vita. Le notti poco erano riservate alla passione antica, ma le calde e sempre sagge parole del nuovo sposo e la sua tenerezza rendevano ancora una volta belle le notti e belli i giorni. Ma, a volte, Bernardo appariva strano e assorto e pareva nascondere chiss quale segreto. Piano piano anche qualche carezza cominci ad essere repressa, gli abbracci si fecero sempre pi fraterni, e il desiderio del piacere dei sensi si affievol di giorno in giorno. Ogni notte di pi Bernardo protraeva le sue pre30

ghiere sullinginocchiatoio fino a tardi, e le mattine, allalba, era il primo a correre nella cappella per inginocchiarsi davanti al crocifisso, con un fervore fuori dal comune. Per continuava a parlare, a conversare, a raccontare Come quella notte in cui disse dimprovviso: Ho messo da parte armatura, elmo e spada. Non cos che si combatte il nemico E poi, chi il nemico? In fondo un cavaliere che sta in sella al suo cavallo, come me, con armatura e spada, ma con un vessillo diverso, davvero un mio nemico? Perch non dovrebbe essere anche lui mio fratello? Davanti a lui Violante che, come sempre, ascoltava. Ma lo sguardo e le parole di Bernardo non sembravano pi rivolte a lei. Il giorno dopo, Bernardo, alle prime luci dellalba, mont sul suo cavallo e non si vide mai pi. Pareva che tutti sapessero. A corte nessuno si stup, nessuno lo cerc. Solo Violante si disper. E ancora una volta fu la Regina Sibilla a consolare la sua prediletta: Il tuo Bernardo lo ha chiamato il nostro Signore Dio. Lha chiamato per unalta missione. Bernardo si rinchiuso in un monastero, in montagna. Mettiti lanima in pace. Fu da quel giorno che Violante si vest di nero, si copr il volto con veli di pizzo nero e non ne volle sapere di nulla e di nessuno. Fino a quando il Re decise ancora una volta per lei.

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Rivedo la mia vita passata. tutta sotto i miei occhi. divertente. come essere dentro ad un sogno. Nella dimensione in cui sono ora, tutta nuvole e colori, tutto mi lecito, tranne le passioni.

Il mio arrivo alla citt di Cagliari era stato preceduto da voci che avevano stuzzicato mille curiosit. E si erano interrogati, nobiluomini e dame, per niente bendisposti ad accettare come buona la stravagante decisione della Corona. Soprattutto don Paolo e don Federico, preposti ad alte cariche di controllo su parte dellIsola, l, al Castello di Cagliari, avevano discusso e discusso Don Paolo occhio strabico, non ancora al corrente del mio incarico, voleva sapere e sapere da don Federico cosa pensavano di fare in Spagna, per coprire il vuoto lasciato dalla morte di Berengario mio padre. Quando aveva sentito che una donna avrebbe dovuto reggere tutto, l al Castello di Cagliari, al Castello di San Michele e laggi sui monti al Castello di Quirra, divent di tutti i colori e locchio rote come impazzito: U una donna? E che follia mai questa? aveva commentato scandalizzato. Sfoggiava, laltro, don Federico, il suo presunto intuito politico: Calma, don Paolo, non follia, no no non una cattiva pensata. bene che il feudo di Quirra non passi ad unaltra famiglia aragonese, che resterebbe, magari, in Spagna e affiderebbe a chisschi la
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gestione del feudo e i sardi, continuava persuasivo don Federico, preferiscono un padrone vero, con cappa e cappello con piume. E che sia noble de Aragona. Solo cos. Pi alto il padrone, pi umili i servi. Alla faccia ancora poco convinta di don Paolo, che si preoccupava di Eleonora dArborea e di quanto le facesse gola quel feudo a lei confinante, don Federico rispondeva rassicurante e come se fosse veramente al corrente delle pi segrete cose: Ambasciatori e messaggeri ha mandato quella donna dallArborea, a parlamentare col Re. Pare pare che siano arrivati a miti consigli. Cio? insisteva lo strabico. Vedete, don Paolo, unavversaria donna non le farebbe paura, e la stessa Eleonora ha promesso di starsene tranquilla. Ma e chi chi sarebbe questa figlia femmina di Berengario, don Federico? Qual il suo nome? Si chiama Violante donna Violante Carrz, rispondeva quello abbassando il tono di voce per chiss quale paura. E com? Chi ? Cio dov ora? si informava la morbosit. Sta alla corte della regina Sibilla de Forti. E finora ha sotterrato ben due mariti. Per la precisione: uno morto, laltro chi lo sa! E dicono che sia bellissima. Ma abbiate fede, non aspetteremo molto per fare la sua conoscenza. Pare che sia gi in viaggio. Da qui, don Paolo, dovr pur passare. Le faremo tutti gli onori, dunque. Ama stare da sola, don Paolo, non fate lavorare la fantasia, e poi, alla vostra et Ih ih da sola non per molto. L al castello
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sul monte di Quirra, si annoier verr qui, a Callr e allora Piano, piano don Paolo, un velo le ricopre il capo, un velo nero. I veli si possono sollevare, don Federico insisteva la malizia. Non si lascia avvicinare facilmente. Dicono, inoltre, che sia ma il bisbigliar si prese il resto. Ma noooh! Davvero? Un po demozione finalmente in questa terra di palude. La aspetteremo con ansia. *** Neanche una volta il mio velo fu sollevato e non scambiai una parola di pi del dovuto con quelle persone, tanto ero presa dallinquietudine della mia disavventura. La mia testa era altrove e non mi accorgevo che, ancora un po, a quel don Paolo veniva un colpo per la curiosit che non poteva saziare. Ma tant! Che ne potevo sapere io, allora? Comunque sia, la giovane Violante non aveva la capacit di leggere gli animi altrui, altrimenti, altrimenti, le cose sarebbero andate diversamente. Forse. Quella corte, la corte del Castello di Cagliari, la abbandonai quasi subito, sempre trincerata dietro la barriera di pizzo nero e di silenzio che non finiva di sbalordire. La mia successiva destinazione - cos era ordinato era il Castello di San Michele. Don Paolo e don Federico me lo additarono da una delle finestre del salone. Proprio di fronte.
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Lo vedete? Lo vedete? domandava don Paolo avvicinando il suo volto al mio, come a sostituirsi ai miei occhi. Sembra di poterlo toccare con una mano e, a porgere bene lorecchio, mi spiegava don Federico, fregandosi le mani lentamente e con fare ammiccante, pare che il chiacchiericcio della servit arrivi fin qui. A don Federico, rivelava don Paolo, sempre pi chino verso i miei pizzi, piace farlo. Certe sere, col vento favorevole, dice che sente le maldicenze delle serve e dice di immaginarne anche le forme, dietro quelle voci. Ih! ih! donna Violante, replicava laltro con un alito puzzolente che, penetrando il mio velo, mi arrivava dritto dentro il naso, don Paolo ama scherzare, vedrete quante belle serate riuscir a farvi trascorrere. Se verrete a trovarci naturalmente! Il giorno dopo ero gi in marcia, carrozza e cavalli in pompa magna. Lagitazione non mi permetteva di dare via libera alla mia curiosit: tutto quello che riuscivo a vedere dalla fessura tra le pesanti tende della carrozza, erano campi incolti, sterpaglie e gente che si aggirava per le strade, stracciata e svagata. Quel castello non era poi cos a portata di mano, n dorecchio. Sentire le voci delle serve! Brutti e sciocchi vecchiacci! Presa in giro come fossi stata una bambina con cui potevano giocare e da deridere. E mentre il mio pensiero era ancora dietro a quei due, Maria mi tir per la manica.
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Eravamo quasi arrivate. Fu naturale sollevare gli occhi. Perch grandi torrioni aveva quel Castello dallaria minacciosa: sagoma pesante su unaltura circondata da vigne e alberi da frutto. Imponenti ma tozzi torrioni di un grigio color guerra, su un cielo azzurro sereno. Era cos, quel castello, cos poco slanciato, cos poco castello. Entrammo. Entrai. Come un pesante e scuro abito di monaca nasconde spesso delicate forme di donna, cos quel castello, cupo di fuori, dentro era solare. Arazzi colorati coprivano grandi pareti, poi fregi preziosi dalle forme di foglie che sembravano cornici di altare, e decorazioni di marmo intorno ai camini che mandavano fiamme alte e crepitanti. In un lungo corridoio, in fila come soldati, statue di santi ricoperte di lamina doro. Erano tanti quei santi. Il mio sguardo non riusciva a contenerli tutti perch continuavano oltre una curva del corridoio, a finire chiss dove. Mi meravigliava quel Castello, per la luce dei candelabri dargento che lo rischiarava la sera. E per il sole che di giorno penetrava ovunque, fin nelle sale dei sotterranei. Maria, che gi domandava solerte della nostra sistemazione per la notte, me lero portata appresso dalla corte della regina. Laveva scelta lei, la regina, tra tante donne. fidata, Violante, portala con te. E poi, sempre allegra e di buon umore. Ti sar di grande giovamento una fanciulla di animo sereno al tuo fianco. In un attimo tutte quelle persone che si aggiravano
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indaffarate per non so dove, si schierarono in ordine sparso davanti a me: per omaggiarmi? O forse solo per scrutarmi, per rendersi conto a chi, da quel momento, dovevano rendere obbedienza. Alcuni funzionari mi si pararono davanti, uno capofila. Quelluno era il castellano. Si accostava riverente a me, donna Violante Carrz, figlia di Berengario II Carrz, nipote di Berengario I Carrz, pronipote del grande ammiraglio Francesco Carrz, erede discussa e contrastata del pi grande feudo catalano in quell isola. Era bruno di capelli il castellano. Aveva tratti marcati e difficilmente si poteva intuire se era di origine sarda o catalana. Il suo accento per lo manifest subito: catalano, di Valenza. Cos trascorsero i miei primi giorni in quel castellofortezza: pranzi, visite in ogni ala e stanchezza infinita al tramontar del sole. Io non sapevo assolutamente cosa poter o dover fare. Esserci o non esserci non avrebbe, probabilmente, cambiato nulla. Dalle prime luci dellalba incominciava un gran via vai per me incomprensibile: sembrava che tutti, a differenza di me, sapessero benissimo cosa fare. Io, su quel colle, che aveva nome San Michele, dentro quel castello, mi sentivo come uno di quei santi di legno schierati nel corridoio lungo: inutile. Come durante la cena che il giorno dopo il mio arrivo era stata approntata con cura per festeggiare la mia presenza l. Al centro del salone una tavola apparecchiata con quanto di pi prezioso doveva esserci nel castello:
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enormi piatti ovali facevano come da culla a maialetti interi dalla crosta appena abbrustolita circondati da verdure di tutti i colori, e pane a forma di corone e cuori ricoprivano una candida tovaglia, e calici doro e dargento pronti a ricevere vino rosso rubino e candelabri dargento che pareva spennellassero con le lingue delle candele quei maialetti, ancora un po, quasi a dargli altro calore e lucentezza. Una tavola di Pasqua. Da festa di Resurrezione. Unaltra Carrz era di nuovo l. Dopo un periodo di incerto comando. Don Lus, in piedi davanti a quella pasqua, aveva sollevato un calice doro, colmo di vino. Aveva il volto acceso. Accanto a lui una donna dai capelli rossi appena contenuti in una sorta di turbante scuro sorrideva e taceva. Compiaciuti. Indirizzava a me quel calice. Grande la nostra gioia, donna Violante. Ogni cosa qui parla della vostra potenza. E voi siete la nostra signora. Ad ogni parola di Don Lus gli altri commensali, funzionari e amministratori, annuivano con la testa. Era gioviale e chiacchierone e per tutta la cena non smise di parlare. Gli altri a masticare e gustare quel ben di Dio e continuare ad annuire con la testa. La mia scarsa conversazione non parve turbare nessuno. Don Lus, con lo sguardo, abbracciava, insieme, le pietanze, che man mano lasciavano solo le loro impronte sui grandi piatti ovali, e la mia persona, come ad includermi in un unico dipinto. Era il Castellano. Ma solo di nome. Di fatto a lui, sempre, e soltanto a lui tutti si rivolgevano per ogni cosa. Come vero padrone.
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La notte, spesso, poco prima di prendere sonno, avevo unimmagine davanti a me: larcangelo Michele, colle sue grandi ali dorate, la sua spada di fuoco sguainata verso il basso, illuminava di luce rossastra i torrioni. Larcangelo vestito da guerriero, proprio lui, avvolto da un manto rosso, coi calzari ai polpacci e col volto da giovinetto. Con uno sguardo severo mi fissava dallalto e sembrava che dalla sua bocca uscissero parole che alle mie orecchie, tutte tese verso di lui, non arrivavano. La paura in me si alternava a un senso di dolce conforto. Solo tardi mi vinceva un sonno agitato. Ogni sera di pi. E al mattino limmagine dellArcangelo non svaniva dalla mia mente. Di giorno sfumava su quei torrioni che non smettevano di stagliarsi contro un cielo azzurro intenso senza che nulla li minacciasse, n nuvole n spade infuocate. Ma gi allimbrunire, quel cielo che si striava di rosso carico annunciava le mie angosce notturne. Maria, intanto, col suo fare amabile, era riuscita a entrare in confidenza con tutta quella gente che animava il castello. Una volta, con tono complice mi chiama: Donna Violante, sapesse, mi hanno raccontato un sacco di cose. Anzi, mi ha raccontato. E chi? chiedo io. E che cosa? Una donna che vive qui al castello, unintima, pare, del castellano, una di quelle persone come se ne trovano poche, ormai. una di quelle che sa ascoltare, e ricorda tutto. E ama raccontare. Non ha lardire di
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avvicinarvi. Anche se le fate tenerezza. Dice che voi siete diversa. Dice che questo la fa contenta, ma le fa anche un po di paura. Dice, anche, che, non sa perch, ma molto in ansia per voi. Cosa la fa contenta? Come diversa? dico io, perch preoccuparsi per me? Dice che avete unindole differente da quella di vostro padre, che voi siete morbida e questo la fa contenta. Ma ci che le fa paura che questa terra di battaglie e di lotte, non terra per il comando di una donna. Una curiosit improvvisa mi prende, metto a tacere Maria: Chiamala, le dico, voglio ascoltarla con le mie orecchie. Che non abbia alcun timore. La paura ce lavevo io, e tanta, non sapevo niente di quella terra e poi quei torrioni, la spada infuocata contro chi la sguainava quellangelo? Pensavo. Non sarebbe dovuto essere a protezione del Castello e del colle che portava il suo nome? Che razza di protezione era se mi impauriva tanto? Mi saliva unangoscia terribile da dentro, e mi veniva voglia di scappare. Chissdove. Ancora quella notte, poco prima di prendere sonno, lui: il Michele Arcangelo. Terribile. Ancora con la spada di fuoco, verso il basso ma, anzich contro il diavolo, cos come sempre lo avevo visto nei dipinti delle chiese, la spada era rivolta verso i torrioni. La faccia da eterno adolescente dalla bocca usciva come un alito, parole senza suono ma lo sguardo non era minaccioso, era amico ed io riuscii ad addormentarmi come cullata da una dolce musica.
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Il giorno dopo, abbandonai al pi presto la ricca tavola imbandita di ogni ben di Dio. Non vedevo lora di incontrarmi con quella donna. Maria la condusse nelle mie stanze. Per prima mise dentro la testa, a fare capolino. E poi si present lentamente con tutta la sua figura. Non era molto alta, portava un bellabito ampio e con le balze di colore scuro, a smorzare forse quei capelli rossi che ne facevano una persona vistosa. Mi sorrise timida, come aspettando il mio, di sorriso, prima di aprire completamente il suo. La accontentai. Il suo sguardo bonario mi conquist. Mi inginocchio a voi, contessa, cominci, io mi chiamo Teresa, e sono nelle grazie del castellano don Lus oramai da tanto tempo. Cosa avete da raccontare, Teresa, di cos importante? Oh! Vi vedo cos smarrita in questo luogo Non ho da rendere conto a nessuno della mia aria, risposi con tono tagliente ma nello stesso istante in cui parlavo in quel modo, mi venne una voglia di avere fiducia. Quelle parole di Maria su Teresa, sa ascoltare, non le avevo scordate e cambiai subito tono: Ho certamente la testa piena di pensieri il mio viaggio qui e la mia eredit a lungo contrastata Fosse stato per me, Teresa, le stanze della Regina Sibilla de Forti erano il posto pi confortevole e amorevole. Mio padre beh, non so neanche che volto avesse, e questisola non avevo neppure idea di dove si trovasse. Ma mi piacciono le storie, mi incanta sentire qualcuno raccontare, e Maria di voi mi ha detto che avete una gran dote, dice che sapete raccontare e ascoltare. Anchio, sapete, ho buone orecchie per ascoltare. E poi
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sono curiosa, ammisi sorridendo, e non solo ho anche tanta voglia di scacciare dalla mia testa la sagoma grigia e pesante di questo castello. Fuori non oso andare per paura di vederla, e anche se volessi, il vostro don Lus riesce sempre ad evitarlo, non so perch. Raccontate, dunque voglio una bella storia. Spostando con mano veloce la balza della gonna, fu tuttuno per Teresa chiedere di potersi sedere e accomodarsi in una poltrona di cuoio che stava proprio di fronte a me. Anche se ben accomodata non lo era proprio: aveva un piede poggiato a terra come pronta a far balzare il corpo dun tratto, se ce ne fosse stato bisogno. Neanche un momento, durante il suo racconto, si rilass del tutto. Mi guardava, mentre parlava, a scrutarmi occhi e anima. *** Oh! Storia certamente storia, donna Violante, bella non sempre. Ma la storia di vostro padre, di vostro nonno e di questo castello. Questo castello, che ha il nome dellarcangelo pi bello, San Michele, un tempo era antico baluardo fatto costruire dai Pisani a guardia della citt. Fu vostro nonno, Berengario I Carrz, figlio del grande Ammiraglio Francisco, ad essere il primo signore aragonese. Fu proprio lui che aiut la corona a conquistare questa terra, fu lui che mise a disposizione uomini e armi e danaro, tanto danaro. Ne ebbe, per, poi, grandi benefici. Si inginocchi davanti al Re. Il Re gli porse le mani per farsele baciare. Poi lo baci sulle guance. E da quel momento Berengario fu feudatario.
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Cos usavano, allora. Quindi, a vostro nonno, Dio labbia in gloria, venne concesso il monte ed il castello. E insieme alla moglie, che si chiamava Teresa, proprio come me, venne a viverci. Questo successo tanto tempo fa. Era il 1325, mi sembra, o forse qualche anno dopo, abbiate pazienza, ma il tempo, gli anni, in questisola, hanno un senso diverso Mi chiedete come faccio a conoscere queste cose cos lontane? Vi sembro troppo giovane per averle conosciute? Chi me le ha raccontate? Don Lus, mia signora, me le ha raccontate, ma anche don Ferdinando e anche il vecchio cavalier Pedro Sapete, qui al Castello le sere dinverno sono lunghe e noiose e vostro nonno, insieme alla sua prima consorte, Teresa di Gombau, avevano labitudine di raccontare quasi ogni sera, davanti a quel gran camino che c gi, quello pi grande, con la cornice di marmo venato di rosso, tutto ci che accadeva fuori dal castello a tutti quelli che vi abitavano. Il vecchio Berengario diceva sempre che era come innalzare altre torri. Le torri siamo noi qui dentro, diceva, e siamo pi forti di tutti se abbiamo un solo animo e una sola memoria. Pare che dicesse sempre queste parole quando finiva il suo racconto della giornata e la sua sposa faceva s con la testa. Erano un cuore e unanima quei due, e dopo una preghiera ai Santi del cielo perch proteggessero i Carrz e gli abitanti del Castello, andavano tutti a dormire, contenti e felici della forza e della potenza del loro signore. Tutti gli altri di cui parlava, che dovevano temere i Carrz, erano davvero tutti, donna Violante: i Pisani, i Genovesi, i Feudatari vicini, gli Arborensi Il vecchio
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Berengario, dovreste gi saperlo, era uomo potente e prepotente. Era riuscito, pensate, a sottrarre i villaggi di Uta e di tutto il territorio circostante, che non era poca roba, a un certo Aen. Ma questo ve lo racconto bene, perch lo abbiamo sempre trovato divertente. Che sciocco, quellAen Dunque, un giorno vostro nonno, a cavallo con la sua scorta armata, si presenta a questo incapace: Questi campi sono pietraie e i tuoi servi muoiono di fame, e tu non sei da meno di loro, vecchio Aen, guardati come sei conciato, trasandato da mattina a sera. E quello a rispondere: Lo so, lo so ma vedete Carrz, c stata la carestia, e poi questi servi sono dei fannulloni, sono sempre malati e quando non lo sono si trascinano senza fare nulla. Ma vostro nonno ritto a cavallo, che non aveva da abbassarsi con uno cos, lo avverte: La carestia c stata anche nei miei terreni confinanti. Cosa credi che il Padreterno risparmi i Carrz e faccia piovere solo per loro? Ma i miei servi lavorano e bene, perch sono io che li guido, sei tu che sei un imbecille e un incapace. Vedr io cosa farne di queste terre. Ma don Berengario, cosa dite? Cosa potete fare voi delle mie terre? Semplice, vecchio Aen, molto semplice prendertele! E cos fu. Quelle terre e quei villaggi, sotto la sua mano, diventarono giardini e ricchi granai. Proprio lui, in prima persona, ne seguiva la produzione e ci sapeva fare davvero. I servi con lui non si ammalavano e, se lo erano, ammalati, della loro eterna febbre che se li rosicchiava, era pi forte la paura delle scudisciate, che vostro nonno non risparmiava. Non era tenero n con servi n con vassalli. A lui interessavano soltanto quelli che vivevano al Castello.
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Ecco perch era amato dentro e odiato fuori. Un giorno raccont come era riuscito a farla franca, pensate, perfino al Re - a voi posso dirlo - e non una volta soltanto. No, non spaventatevi, donna Violante, per carit. Non pensate che qualcuno potesse prendersi gioco del Re. Nessuno poteva farla franca al Re. A parte vostro nonno. Dovete sapere che la Corona aveva prescritto, categoricamente, che per le spedizioni delle merci doveva essere utilizzato soltanto, e dico soltanto, il porto di Cagliari. Solo cos, infatti, potevano essere controllate e tassate tutte le operazioni di carico e scarico. Ma lui, macch diceva che dazio ne aveva gi pagato abbastanza alla Corona e al Re. Ebbene, se salite sul torrione che guarda dove tramonta il sole, potete vedere quanti approdi naturali ci sono non molto lontano dalla citt. Approdi non controllati, donna Violante, approdi per contrabbandieri. Una notte, una notte, qualche spiata traditrice fece appostare guardie armate dietro i cespugli della spiaggia della Maddalena. E mentre gli uomini del vostro nonno caricavano in tutta fretta, al buio, sacchi di grano, sacchi di legumi, e perfino bestie, le guardie li acchiapparono di malo modo. I sacchi finirono in mare, le bestie chiss dove riuscirono a scappare, e tra i tafferugli uno scaricatore mor, gli altri presi e arrestati e chiss poi che fine hanno fatto. Pace allanima loro, donna Violante. Lo stesso Berengario ebbe diffide e diffide, perfino dal Re in persona, che pure tante cose gli perdonava. Ma lui, vostro nonno, permettete, prepotente nonno, non si lasciava impaurire per cos poco. Mai un Carrz
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pagher dogana, diceva, la Corona ha gi avuto tanto, pu solo sentirsi in debito con me. E il contrabbando continu. Ma per poco, e non perch gli fu impedito una seconda volta, ma perch riusc, con la sua autorit e la sua potenza, a farsi esentare da ogni dazio doganale. Lui, e solo lui, poteva utilizzare il porto di Cagliari senza pagare nulla. *** Aveva accompagnato quellultima frase con un risolino complice, strizzando un occhio e rivolgendomi uno sguardo d intesa. Teresa era proprio compiaciuta mentre ripeteva le frasi di mio nonno, e ne aveva imitato, ogni volta, al momento opportuno, il tono brusco e autoritario. A me, invece, saliva sempre di pi una brutta sensazione, come un nodo al petto. Non le restituii lo sguardo dintesa. Non era quella limmagine che avevo di mio nonno morente in confessione, a Barcelona. Ma quella, dopo una scrollata civettuola alla sue chiome rosse, e per niente turbata dalla mia reazione, riprese il racconto. *** Vedete che meraviglie ci sono qua dentro? Fregi di marmo, ornamenti di gran classe! Vostro nonno s che aveva gusto. Amava circondarsi di cose belle. Lo diceva sempre ai suoi dentro il Castello: La bellezza che sta intorno a noi rende pi belle le persone. Sono lo specchio delle nostre ambizioni. Chi lo direbbe, a vederlo da fuori questo Castello?
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Eppure come lo voleva lui: uno scrigno di tesori. Ma, pensate, questi arredi, la poltrona di fine cuoio dove voi stessa siete seduta in questo momento, le belle statue che ornano tutti i corridoi del castello, quasi a farne i guardiani, sono preziosi, preziosi e sacri. S, donna Violante, sacri perch erano di una chiesa della citt Il nome della chiesa? No, adesso non mi viene, ma il resto lo ricordo bene e ora ve lo racconto per benino. Scusatemi voi e mi perdoni Iddio se la storia mi fa ancora sorridere. Pare che ci sia stato un assedio vero e proprio alla citt. Il male era che qualcuno potesse fare bottino sacrilego. Ma il vostro grande nonno si offr di proteggere lui stesso tutti gli arredi sacri. Proteggere e conservare nellunico posto sicuro di tutta lisola: il suo castello appunto. E cos furono portati, pensate, una notte, di nascosto. Lunghe file di uomini scaricarono qui tutti questi santi, e ancora ostensori doro, arazzi cuciti coi fili doro e dargento, pale daltare dipinte, con le vite di santi sconosciuti, ma sempre santi. Che nonno avete avuto! Diceva sempre: Oltre il ponte un altro mondo, mondo nemico, da conquistare, da assoggettare. Pensate che ad un certo punto - lingratitudine non ha proprio limiti - il Re in persona e il priore di quella chiesa, passato il pericolo, secondo loro, volevano la restituzione di tutto quel ben di Dio. San Saturnino! Ecco, cos si chiamava quella chiesa: di San Saturnino. Veramente era un monastero, ma chiss poi i monaci doverano finiti Comunque, il vecchio Berengario non ne volle sapere. Allora i suoi nemici, ed erano tanti, l al castello della citt, dove vi siete fermata giorni fa dopo il vostro arrivo, lo volevano mandare via da questi50

sola, da questo castello. Ma lui niente. Stette al suo posto, protetto dai torrioni esterni e forte delle torri interne: un solo spirito, una sola memoria! Che uomo! E infatti se siete qua, ora, col vostro titolo - ma questa storia recente che conoscerete bene - grazie a vostro nonno. Lui, e solo lui, volle e ottenne direttamente dal Re la successione femminile per il feudo. Alla morte della moglie adorata, che non ebbe la gioia di dargli eredi, n maschi n femmine, si rispos. La nuova sposa era la potente nobildonna catalana Gerardona di Ribelles. Vostra nonna, donna Violante. *** Tacque la rossa Teresa. E per la prima volta da quando aveva cominciato a raccontare, si accomod meglio sulla seggiola. Un lieve rossore le aveva acceso le guance per la foga del parlare. La grandezza di mio nonno! La guardavo confusa e incredula. Ma quelle erano gesta eroiche? E quellAen, umiliato e defraudato dei suoi territori, e quegli uomini morti durante le operazioni di contrabbando, e quel trasferimento di arredi sacri? No, non era proprio limmagine che conservavo di mio nonno; e ancora meno di quello tutto umilt che baciava il crocifisso in punto di morte. *** E di vostro padre? Non volete sapere di vostro padre? Teresa aveva assunto nuovamente quella posizione:
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il corpo spostato in avanti su una gamba. Pronta a scattare. Ma la mia reazione la ferm. Ora no, Teresa, grazie, le risposi quasi spaventata allidea di un altro torrente di parole. E quella, certa di avermi dato sicurezza e forza, mi sorrise e con fare complice: Una di queste sere, donna Violante, promesso, sar di nuovo tutta per voi. Ora fate un buon riposo, tardi. E mentre si avviava verso la porta, accompagnata da Maria, si volt ancora una volta verso di me: Ringraziate il Padreterno della grande fortuna che vi ha dato ad essere una Carrz. Con mano veloce sollev il lembo della gonna e spar nel corridoio, verso le statue dei santi. *** La notte, dopo tutti quei racconti e tutte quelle storie, il mio cuscino fu un campo di battaglia. Non riuscivo a prendere sonno e, proprio quando sembrava che gli occhi stessero per varcare la soglia del buio totale, allimprovviso, ancora quellimmagine, il Michele arcangelo, con gli abiti da guerriero. Dalla bocca di fanciullo ancora lo stesso alito, le stesse parole che si fermavano a met, a formare una nube sospesa, tra lui e me. Il mio cuore si arrese alla sua spada fiammeggiante e piano piano, forse gi nel sonno, alle mie orecchie arriv come un suono. Tutto vanit. Non rimane memoria delle cose daltri tempi; e di quel che succeder in seguito non rimarr me52

moria fra quelli che verranno pi tardi E vanit un male grande un correre dietro al vento. Per qualche giorno riuscii ad evitare lincontro faccia faccia con Teresa. Ma non riuscii a sfuggire a Maria, che viveva praticamente nelle mie stanze, e che approfittava di ogni momento per sollecitare in modo perfino ossessivo lincontro con quella donna. Quasi ogni sera, mentre mi aiutava a liberarmi dai miei ingombranti abiti e mentre mi spazzolava i capelli, iniziava la sua supplica: Avete sentito, donna Violante? Eh? Che vi dicevo? straordinaria quella Teresa. Sa il fatto suo. E poi, come racconta bene: mi sembrava di esserci anchio, in quelle notti, intorno al grande camino di marmo. Il vostro grande nonno a raccontare Ah! Quanto mi sarebbe piaciuto. A me, chiss perch, mi affascinano le persone che raccontano storie. Donna Violante, raccontar bene proprio un gran dono del cielo. Io affiderei tutta la mia vita ad un uomo che sapesse narrarmi storie e avventure. E Teresa va bene, donna Violante, lo so, quella non un uomo, certo, per quel tono di voce quelle facce sembrava di vederli quei contrabbandieri, non vero? Donna Violante che avete? Non mi state a sentire? Vi sto forse importunando? Scusate la mia chiacchiera, ma non vedo lora che facciate chiamare di nuovo quella donna non siete curiosa? Eh? Non siete curiosa neanche un po di conoscere le imprese e le avventure di vostro padre? Se vostro nonno era forte e bello e audace lo deve essere stato anche vostro padre, non vero? Donna Violante che avete? Non mi state a sentire?

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Mi si era presentato cos, in una serata calda e afosa di fine giugno. In armi, in sella al suo cavallo con la gualdrappa corazzata. Dietro di lui una schiera di uomini in assetto da battaglia. Una parte soltanto di quello che era il suo vero esercito. Sembrava una compagnia di fantasmi: tutta avvolta dalla polvere e dalla terra sollevata dagli zoccoli dei cavalli. Mi si par dinnanzi, Berengario Carrz feudatario dAragona capitano di guerra: Le terre confinanti con le mie, De Aen, sono una vergogna. Gialle e aride. Piene di sterpaglie e di uomini straccioni che non sanno spostare due pietre. Sono le tue. Per ora. Guardati intorno, si vedono solo pietre e nulla pi. E tu, che pensi? Che fai? Offendi il Padreterno che ti ha messo al mondo per goderne i frutti, di questa terra, e offendi il Re dAragona per averti dato tutto questo ben di Dio. Il tono di voce, altero e prepotente, mi avevano subito messo in allarme, e cercai di spiegare al Conte, con le buone maniere, che lannata non era stata proprio buona, che cera stata la carestia e che quella era stagione difficile, nella nostra isola, difficile non vedere terre
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di quel colore. Non gialle e aride, come diceva lui, ma color oro, di quel colore che la terra assume dopo la mietitura. Quegli uomini straccioni fanno pena e il loro stesso aspetto la tua vergogna. Attento a te, Pietro De Aen, non te le lascer per molto tempo. Solo sotto la mia guida potrebbero davvero fruttare e con la loro rendita potrei provvedere alla completa riparazione del Castello. E se ne and, circondato e nascosto dalla polvere della terra sollevata dagli zoccoli dei cavalli. Cos avvenne quel primo incontro. Non ce ne furono molti altri fra me e lui. Ma di notte bande armate, di nascosto, mettevano sottosopra tutto ci che trovavano. E al mattino vedevi i rari germogli morti sul nascere, arnesi da lavoro distrutti, bestie con le zampe in aria, morte stecchite, ed enormi e minacciose buche nel terreno, di quelle che si fanno per seppellirci qualche disgraziato senza Dio. Avevo cercato di spiegarglielo, con maniere buone ma decise, che gli uomini, in questa terra sono indeboliti dalla malaria, che la terra avara, che sapevo io come governare il mio feudo e i miei territori. Ma quello, quello Capisco che tu difenda questa gente, la tua stessa razza in fondo, incapace di pensare e di agire, ed evidentemente poco rispetto hanno, questi uomini, per un feudatario sardo. Sei un buono a nulla De Aen lho sempre pensato. Maledetto, maledetto. Lho sempre pensato aveva detto. E prima? quando la mia famiglia aveva sostenuto gli Aragonesi per la conquista della Sardegna? eh? eh? Cosa aveva pensato allora il Conte? Prepotente Berengario. Tutto mi aveva tolto, il sonno e le terre. S, il son56

no e le terre, ma non quello che pi gli premeva, al Conte. Molte, troppe notti i suoi uomini facevano irruzione nei campi, come sciame di cavallette passavano, calpestavano, cantando parole incomprensibili e poi tornavano al galoppo verso il Castello. Tutte le terre di cui ero feudatario, feudatario sardo, erano appartenute alla mia famiglia. Mio padre, Pietro de Aen come me, nobile cittadino di Iglesias, era gi proprietario di vasti latifondi e insieme a mio nonno, Gomita de Aen de Pixina, erano stati validi alleati del Re dAragona. Mio nonno soprattutto aveva favorito il passaggio di Iglesias agli Aragonesi, per contrastare lavanzata dei Pisani. Allinizio grande fu la riconoscenza aragonese, e ai latifondi di antica propriet molti altri se ne aggiunsero. Ebbero anche linvestitura feudale. Il dramma cominci alla morte precoce di mio fratello maggiore e di mio padre. Ero rimasto soltanto io e la figlia di mio fratello, Preciosa, affidata alla mia tutela. Guai e tormenti a non finire ho dovuto passare, perfino per dimostrare la legittimit della mia discendenza. I nemici erano ovunque, parlavano pisano e catalano. Si chiamavano Donoratico e Carrz. Ci che faceva gola a tutti gli avversari erano i villaggi di Uta Josso e Uta Susu: terra grassa, fertile e generosa. Col tempo e tanta fatica, ero comunque riuscito a mantenere tutto il patrimonio e quella, che ora faceva gola a Berengario, era come unisola felice: le comunit di villaggio si governavano alla maniera antica, i contadini si affidavano a su majore, e onoravano e rispettavano me, il loro feudatario. Certo, spesso i raccolti non andavano molto bene, la
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siccit rendeva avara la terra e il risultato erano distese giallognole come le facce di quei contadini fiaccati dalla malaria. Ma mi onoravano e rispettavano. In fondo avevamo lo stesso colorito e sangue, che a volte faceva i capricci, il loro come il mio: la febbre della malaria non ci risparmiava e ci faceva spesso delirare e sudare e intirizzire con le sue febbri. Cera, per, nella nostra esistenza, qualcosa di dolce per tutti noi: Preciosa. La figlia che mio fratello, morendo, mi aveva affidato. Eravamo cresciuti insieme, pochi anni di differenza. Ero io, maschio adulto, ad avere la sua tutela, ma era lei che mi dava la forza. Era la sua presenza a darmi benessere. Era bella e gentile, e il suo sorriso, aperto e luminoso, era un dono per tutti. Ah! Preciosa. Allinizio io non capivo laccanimento di Carrz e il perch di quelle devastazioni notturne. Allinizio. Poi la cosa fu chiara come la luce del sole. Le parole che quegli uomini cantavano e urlavano al cielo nero non erano incomprensibili. I contadini che, pieni di terrore, al tramonto del sole si rintanavano nelle loro case, avevano udito chiaramente cosa usciva dalle bocche degli scherani del conte. Una parola sola era chiara come luna destate: Preciosa e leco osa risuonava nellaria anche dopo il passaggio degli zoccoli dei cavalli. Me lo aveva raccontato un giovane contadino, tenendo il suo copricapo tra le mani e abbassando lo sguardo e serrando la bocca con forza per non dire di pi, anche dietro le mie insistenze. E non ci fu verso di fargliene uscire altre di parole da quella bocca. Unaltra volta il Conte, e poi mai pi, mi si present davanti, in armi e con tutto il seguito.
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Occorre uno scrigno per le cose preziose. Tu non ce lhai, de Aen. Io s. Il mio Castello svetta su tutta la piana del Campidano. Solo l possono essere custodite certe cose che cos sono chiamate: preziose. Il sangue mi sal alla testa. I nostri sguardi si incrociarono. Il mio tagliente pi che spada. Le devastazioni continuarono. Io non disponevo di un gruppo armato come il suo. Lui era potente feudatario aragonese e, nei fatti, nellisola, pi potente del Re. Concedeva asilo ai malfattori. E non poteva farlo. Non poteva imporre tributi. E lo faceva. Gli amministratori reali erano impotenti con lui. Lui era un Carrz e al Re questo bastava. Me le prese quelle terre, pezzo dopo pezzo, un villaggio dopo laltro. Tutto fu dei Carrz. I vassalli sottoposti a duro governo e i contadini a pesante sfruttamento. Tutto mi ha tolto, il sonno e le terre. Ma Preciosa no. Preciosa aveva tolto il sonno a lui. Prepotente Berengario. Maledetto Berengario.

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Non riuscii a sottrarmi al nuovo racconto. Teresa si present alcuni giorni dopo, con reverenza e cautela, nei miei appartamenti. Per prima mise dentro la testa e poi si fece avanti con tutta la sua figura. Portava anche quel giorno un bellabito ampio e con le balze, sempre di colore scuro. Mi sorrise timidamente, come aspettando il mio di sorriso, prima di aprire completamente il suo. La accontentai. Il suo sguardo bonario mi ringrazi. Ancora una volta, esattamente come la precedente, spostando con mano veloce la balza della gonna, si accomod nella poltrona di cuoio che stava proprio di fronte a me. Ma come la prima volta non era accomodata del tutto. Neanche per un momento, durante il suo racconto, si rilass completamente. Mi guardava, mentre parlava, a scrutarmi occhi e anima. Altra storia, altro veleno. Questa volta pi amaro. Argomento del narrare: le imprese di mio padre, Berengario II. ***

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Vostro padre, donna Violante, vostro padre impar fin da giovanissimo a lottare per tutto e contro tutti. Lisola in quegli anni sembrava un inferno: guerre continue fra Genovesi e Aragonesi, carestie, pestilenza, disperazione ovunque. Sembrava che il Padreterno si fosse dimenticato del tutto di questa terra. Che dico, dimenticato? Di pi: che fosse proprio adirato con questo posto e con tutti quelli che lo abitavano. I servi si ribellavano ai padroni, i sudditi non riconoscevano nessuna autorit, le campagne erano popolate da pezzenti e da banditi. In quella parte di campagna che si chiama Decimo, una sera, sul far del tramonto, una piccola guarnigione di soldati catalani tornava da una missione. Saranno stati sette-otto uomini a cavallo, tutti bardati di elmi ed armature, uomini duri, di quelli abituati a non aver paura se non del demonio in persona. Di quelli abituati a combattere fino allultimo sangue, e che questa terra la conoscevano bene perch aveva gi messo a dura prova la loro forza e la loro resistenza. Ebbene, proprio sul far del tramonto, cos ancora raccontano, da un piccola collinetta con quattro ciuffi derba rinsecchita escono due o tre uomini, brutti, scuri di pelle, con barbacce ispide, con gambali di orbace e armati, pare, solo di forconi e bastoni nodosi. Volevate mettere con la bella armatura dei soldati catalani? Volevate mettere con le loro spade acuminate? A nulla erano servite tutte quelle cose. Avevano teso un agguato bello e buono ai cavalli, soffiando, pare, dentro una specie di corno che emetteva un suono che i soldati non udivano in modo particolare, ma i cavalli s e molto bene, anzi troppo, perch cosa succede? si spaventano, si imbizzarriscono, scaraventano quei giovani forti
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dalle loro selle e scappano come punti da chiss cosa. Impazziti, i cavalli sembravano impazziti. A quel punto quei sardacci, piccoli ma veloci, saltano addosso ai soldati, fregandosene delle spade che quelli avevano gi sguainato, gli piombano addosso e donna Violante, non si sa come, forse aiutati dal demonio, li spogliano, in men che non si dica, di tutto, della spada, dellarmatura, dellelmo. Coi tridenti e coi bastoni gli lacerano le carni e gli spaccano le teste. Non si spaventi, donna Violante, non so se ve lo devo dire nei particolari, ma quei soldati sono stati ritrovati: nudi, senza nulla a coprire le loro vergogne, e senza testa. Mai le teste furono ritrovate. Dicono, dicono, che le hanno date in pasto ai maiali. Soltanto uno di loro riusc a scamparla. Si era nascosto, solo Dio sa come, dietro quella collinetta spelacchiata da cui erano sbucati i diavoli sardi poco prima. grazie a lui, al suo racconto, che si scoperta la faccenda. Ma poi, sapete, si racconta che quellunico sopravvissuto, di l a pochi giorni sia morto, morto per lo spavento. Pensate, un soldato del Re, abituato a battaglie e a ben altro Ah! Donna Violante terra pericolosa questa. E la terra pareva rispondere a tutte queste prepotenze: non dava pi grano, n frutti, niente di niente, come se temesse quelle orde di senza Dio. Ma il pericolo pi temuto erano i Genovesi. Fu allora che vostro padre si fece valere. Con lapprovazione del Re, Pietro IV, affronta in battaglia i Genovesi. Ne esce vincitore. Viene fatto capitano di guerra e riesce a fermare perfino le truppe giudicali di Mariano dArborea alle porte di Cagliari. La citt stata salvata proprio da lui, donna Violante. da questo castello,
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dallalto di questa piccola rocca, che organizzava tutto Se ne sono certa? Ancora mi chiedete come faccio a sapere tutte queste cose? La consuetudine del raccontare le imprese dei Carrz ha continuato ad esistere in questo castello, anche dopo la partenza del vecchio, e cos il Castellano, o il vostro stesso padre, amavano farlo la sera, in genere al sabato, dopo le preghiere dellAve Maria. Ora a voi toccher raccontare la forza e la potenza dei Carrz. *** Sembravano proprio soddisfatte. Maria si era accomodata, esattamente come la volta precedente, quasi ai piedi di Teresa. Copriva del tutto con la sua lunga gonna un panchetto senza schienale, scomodo sedile, ma la sua personcina era ritta e tenuta pi ritta dallattenzione spasmodica con cui beveva ogni singola parola di quella donna. La guardava con occhi sognanti, e ad ogni passaggio crudo commentava lascolto con espressioni contratte del volto. Teresa ne scrutava la faccia con la coda dellocchio, senza mai smettere di osservare contemporaneamente la mia reazione. Teneva perfettamente alta lattenzione del suo piccolo pubblico. Una che sapeva raccontare: aveva ragione Maria. *** Fu allora, era intorno al 1350, che Berengario, vostro padre, ebbe il castello e il salto di Quirra. Pensate, da qui a quelle terre lontane, un postaccio
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Quirra, un avamposto militare a oriente, tutto suo, tutto sotto il suo comando. Dovete sapere che quelli erano anni davvero difficili, per tutti. La peste, mandata da Nostro Signore per punire i malvagi, aveva praticamente spopolato tutta la Baronia di San Michele: non cerano pi braccia per lavorare, per i commerci, per niente. I vecchi servi ne parlano ancora oggi di quel periodo. La gente malata diventava gonfia e orrida prima di morire. Raccontano che le facce di quegli appestati si facevano nere, gli occhi non si vedevano pi da quanto erano chiusi per il gonfiore. E poi morivano, come mosche quando viene linverno. E ne morirono tanti, tanti che non si potevano contare. E allora li ammucchiavano tutti insieme e li buttavano nei pozzi, chiudendoli per sempre. Per fortuna ad un certo punto il Padreterno ebbe misericordia degli uomini e tutto cess. Ma i campi erano ormai ridotti a sterpaglie, non si trovava un contadino vivo neanche a cercarlo sotto le pietre. Tutto intorno al Castello era distruzione e solitudine. E lui, Berengario II, vostro padre, prese una decisione: fece circolare la voce che la Baronia di San Michele era aperta a tutti. Chiunque poteva avere asilo, alloggio e cibo. Chiunque, da qualunque parte dellisola venisse. Voleva uomini, uomini e donne, che ripopolassero le terre e i campi. Dovete sapere, donna Violante, che il Castello godeva del diritto di immunit. Il Conte poteva accordare protezione a tutti. Chi si metteva alle sue dipendenze era, come dire?, salvo. Le guardie del Re non potevano torcergli pi neanche un capello, anche se
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Non era facile controllare o conoscere la condotta di tutti quelli che arrivavano qui, non si poteva sapere neanche da dove arrivassero. Spesso scoppiavano risse, tra quegli uomini, ma il Conte Berengario era stato molto chiaro con loro: che risolvessero tra loro certe cose, purch nessun cadavere di morto ammazzato gli intralciasse il cammino. Nei loro affari il Conte non si immischiava n gliene importava. Solo una cosa era richiesta, che sgobbassero da mattina a sera per far rifiorire la terra intorno al Castello. Beh, sapete donna Violante?, tutti erano a conoscenza che quella gentaglia sapeva maneggiare il coltello come niente, tutti sapevano che il rigoglio dei campi forse aveva qualcosa a che vedere con chiss quanti cadaveri fatti sparire nottetempo sottoterra, che facevano concime, ma una cosa certa: i campi tornarono rigogliosi e cera grano e bestie per tutti. Certamente gli invidiosi, quelli del Castello di Cagliari, lo accusarono di proteggere gentaglia e delinquenti. Dal Castello di Cagliari, quello dove ora, permettete, ammuffiscono don Paolo e don Federico, mandavano messaggi al re: Berengario protettore di banditi, dicevano. Ma il re tutto gli perdonava e lui continu nella sua opera, senza mai fermarsi davanti a nulla e a nessuno. Vostro padre divenne cos ricco e potente che mise a disposizione beni e uomini per restaurare le mura di Cagliari. E anche qui le malelingue per farsi perdonare dicevano. E il re lo fece Conte di Quirra, che anche il titolo che avete voi, donna Violante. Siatene fiera.

*** Faticavo a pensare mio padre cos valente come lo descriveva questa donna, anche perch perfino alla corte della regina Sibilla era arrivata qualche voce. Una volta mi era capitato di sentire mio malgrado una conversazione. Si aspettava lora della preghiera dellAve Maria, quando donna Carmelita de Jerez, gi col messale tra le mani e ignara della mia presenza alle sue spalle, si gir verso la sua dama preferita, donna Ins e a mezza voce: Non ditemi che sono maliziosa quando parlo di quella donna Violante, ma sembra che voglia davvero essere sempre al centro delle chiacchiere. Oh! lei questa volta, a dire il vero, non centra proprio per niente. Ma da quando circola voce che deve andarsene in quellisola dei Sardi, a fare la grande contessa, ho preso qualche informazione Informazioni? E di che genere? Chiedeva a mezza bocca donna Ins. Su chi e che cosa, Donna Carmelita? Su come si vive in quel posto hanno detto che suo padre, Berengario II, facesse vita dissoluta, perch l cos, gente senza Dio, ladri e malfattori tutti, e Berengario, s, proprio, anche lui, si immischiato con quella gentaglia se li messi dentro il suo castello, quei banditi cos ho sentito da uomini vicini al Re, e lui diventato proprio un protettore di banditi. Fatemi fare il segno della croce, donna Carmelita, per carit e quella figlia sua in fondo sar come suo padre. Andare tra i lupi, che vanit, che vanit Che dame quelle dame, alla corte della Regina! E ora questa Teresa mi ripeteva quella frase, pro67

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tettore di banditi, che mi ossessionava e mi martellava nella testa. Ancora fino alla sua morte continu a combattere e combattere. Ma, scusatemi, Teresa se interrompo il vostro discorso, ma io, vedete, non ho mai saputo come morto mio padre e anche mio nonno si sempre rifiutato di parlarmene. Ma almeno questo vorrei sapere: se morto in grazia di Dio, sul suo letto, oppure in battaglia. Senzaltro saprete qualcosa a tale riguardo. Teresa cambi posizione sulla poltrona, e lievemente agitata non riusciva pi a trovare una postura che le sembrasse comoda: ora sbilanciata sulla gamba destra, ora sullaltra. Tent perfino di appoggiare le spalle per rilassarsi, ma niente, non riusciva. Dopo una pausa, disse strascicando le parole come per prendere tempo: Come morto? Come morto Berengario II? S, dissi io, mio padre. Donna Violante, passato del tempo, le voci non sono mai sicure. Per certo so soltanto che tante donne vestite di nero sono accorse dai villaggi che stanno ai piedi del Castello, di quellavamposto l, a Quirra, e hanno pianto notti e notti per lui. Ne hanno cantato lodi quelle donne saranno state senzaltro sincere in tutto quel loro urlare, non vi pare? Dicono che a vostro padre le donne piacessero tanto Ma, insomma don Lus, questo, qui al Castello, di come morto vostro padre e che cosa lo abbia riportato al Padreterno, non lo ha mai raccontato. Ma come dubitare che non sia morto nella grazia del Signore? Quando mai! Un nobile cos importante, senzaltro il nostro Dio, che grande e misericordioso, lavr accolto a braccia aperte, e
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anche tutti gli angeli del cielo. State tranquilla, che domande fate Alla mia espressione di delusione non diede alcuna importanza e continu: Il pericolo pi grande veniva e viene tuttora dal Giudicato dArborea, che ha i territori confinanti con i vostri. State accorta donna Violante, a quella Eleonora. Ma anche l, a Quirra dove dovrete recarvi, la situazione un tempo era incandescente. Nessuno controllava niente. Il castello sta su una rocca, pare in posizione strategica, per controllare gli assalti dei Saraceni. un posto molto lontano, si devono attraversare valichi e montagne, guadare fiumi e affrontare bestie feroci. Ebbene, quel castello fu assediato ripetutamente e i pastori, anzich badare alle pecore, che sarebbe il loro primo dovere, sapevano fare solo bardane e scorrerie banditesche. Ma quando venne affidato al Conte vostro padre, allora le cose cambiarono. I Catalani, il comando, ce lo hanno nel sangue e il Padreterno dalla loro parte. Solo il Conte riusciva a tenere buona quella gente, non so proprio come ci riuscisse, fatto che non lo combattevano a viso aperto, quei vili miserabili e selvaggi senza Dio. Lui si intendeva anche con quelli: gentaglia, sardacci, cara la mia signora, tenetevene lontana. Ed ora il feudo di Quirra tutto vostro. A voi continuare la tradizione. Tenete alta la potenza dei Carrz. Tacque Teresa e mi guard, scrutandomi gli occhi e lanima. *** Quella fu lultima volta che sentii i racconti di Teresa.
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Non diedi pi retta a Maria, che insisteva petulante perch ascoltassi ancora quelle storie. Mi martellavano le tempie: alta la tradizione? Io? Quale tradizione? Di contrabbando? Di ruberie alle chiese? di protezione ai banditi? Che cosa aveva in testa quella donna? Donna Violante, che belle serate passavamo quando veniva Teresa a fare tutti quei racconti. Vedete? Vi state intristendo anche voi qui, non volete uscire, non volete andare al Castello di Cagliari, non volete fare niente. Teresa mi ha confidato che al Castello della Citt chiedono ogni giorno di voi, tutti, soprattutto due nobiluomini, credo che si chiamino don Paolo e don Federico, vogliono invitarvi a colloquio, a raccontarvi tutto quello che dovete sapere per il vostro alto compito. Donna Violante, cosa pensate di fare? E io non rispondevo. E io avevo angoscia. E io non sapevo proprio cosa cera da fare. Il guerriero Michele, larcangelo dalle ali doro, quella notte, nel mio agitato dormiveglia, rivolgeva la spada sguainata verso un sole luminoso, lontano lontano, e dalle sue labbra parole nitide e chiare arrivavano alle mie orecchie: L, dove sorge il sole quella la tua meta, quella la salvezza per chi non sa esser protettor di banditi. Al mattino, al risveglio, tutto mi era chiaro. Sapevo dove scappare. L, a Quirra. Su una grande carrozza, Maria fu la prima a partire. Maria, confusa tra le casse e i bagagli. Don Lus dava
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ordini precisi alle guardie. Che tenessero occhi aperti per i briganti, che curassero le casse. Per la protezione di Maria non diede alcuna raccomandazione. Alcuni giorni dopo era pronta anche la mia carrozza. Don Lus, seguito sempre da Teresa, camminava nervosamente avanti e indietro. Un attimo spariva alla mia vista e un attimo dopo me lo ritrovavo davanti. Tutto il tempo, anche se breve, che ero rimasta l, aveva trovato mille pretesti per evitare che uscissi. Una volta avevo manifestato il desiderio di curiosare per le terre e i villaggi intorno. La faccia si era contratta in una smorfia e state certa, una bella mattina di queste organizzeremo una visita per i villaggi. Tutto, per, deve essere preparato per il meglio, per la vostra sicurezza. State certa, sarete accontentata. Quella bella mattina non arriv mai. Mi ritornavano alla memoria parole di Teresa a proposito di mio padre amato dentro, odiato fuori. Don Lus aveva paura. Lui era il Castellano e quindi responsabile del castello e in quella situazione, della mia persona. Quando gli comunicai la decisione di partire per Quirra non mi si stacc pi di dosso, che cerano pericoli, che non era opportuno, che l non avrei trovato sicurezza Fino allultimo. Ma la spada dellarcangelo Michele era stata, ogni notte di pi, pi convincente di qualsiasi don Lus e della rossa Teresa che, dopo la partenza di Maria era diventata perfino invadente ed opprimente a reggermi le gonne, a spostarmi il velo dal viso, ad aiutarmi a togliermi gli abiti. Anche la mia carrozza, infine, fu approntata.
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Mentre, attento, mi aiutava a salire, don Lus mi sussurr, indicando lo stemma della mia casata: Questo dovrebbe bastare a tenervi lontana dai pericoli del cammino. Lo stemma dAragona e dei Carrz era ovunque: sulle gualdrappe dei cavalli, sui tendaggi, sulle divise dei postiglioni. E si part. Adis Callr: cielo di stelle e profumo di mare.

Da sempre affascinato dal fulgore delle armi, Ramn Muntaner era stato, durante la sua vita, nellordine: paggio di Pietro III dAragona, cavaliere, consigliere, camerlengo di corte, luogotenente, e ancora amministratore, capitano, inviato speciale, ma non basta, anche armatore e, quel che pi importa, testimone oculare, anche se proprio oculare non sempre, di tanti avvenimenti che avevano fatto la gloria della Corona aragonese. Ci che non aveva visto coi propri occhi lo aveva udito dalle bocche dei marinai, importante anche se spesso menzognera fonte di informazione. Ma, per un uomo come Ramn che era stato lui stesso lupo di mare e di tempeste, bastava perch quei racconti fossero veritieri. la notte del 15 maggio del 1350. Alzati Ramn, gli ha ordinato in sogno un vecchio vestito di bianco con una lunga barba bianca e autorevole. Alzati, Ramn e scrivi. Racconta i grandi avvenimenti meravigliosi dei quali sei stato testimone, che Dio ha determinato nelle guerre alle quali hai parteci72 73

pato, e che Dio stesso desidera che tu manifesti. Cos gli ha intimato quel vecchio, quella notte, nella sua casa di campagna nella fertile Valenza. E Ramn, vecchio pure lui, gi sul quindicesimo lustro, si mette seduto al suo scrittoio, chino sulla carta illuminata dalla luce fioca di una grossa candela, impugna la penna e comincia a scrivere. Il suo volto privo di barba. In testa porta una specie di berretta catalana che gli copre solo in parte la fronte, ampia per la calvizie avanzata. E racconta. Comincia a raccontare, a esaltare il ruolo della dinastia aragonese nella realizzazione degli alti disegni divini. Per prima cosa Ramn Muntaner espone i consigli che lui stesso, in prima persona, aveva avuto lardire di dare allInfante Alfonso: Dunque Signore, quando arriverete in Sardegna, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, andate a Cagliari via terra, e distruggete ville,castelli e borghi, se non vi ubbidiranno. E chi? Chi di quelli che saranno dentro Cagliari, di Pisani e Sardi, nel cuore non sentir paura, quando sbarcher il valoroso ammiraglio don Carrz, che vi condurr tanti arditi catalani percorrendo le strade del mare? Questo, per prima cosa, scrive don Ramn: per il signor Re dAragona e il signor Infante don Alfonso. E poi le grandi gesta nellisola di Sardegna Lungo assedio al Castello di Cagliari, abitato dai Pisani, posero il signor Infante insieme allammiraglio Carrz, che tra i migliori cavalieri del mondo. Lammiraglio, in testa ai suoi fanti, disarcion cava74

lieri, colp con le lance, vibr colpi, i pi terribili del mondo, con le mazze. Colp uomini a cavallo e a piedi. Ne ammazz ben settecento, di uomini a cavallo e tremila fanti. Ma, por la gracia de Dis, degli uomini dellammiraglio, a cavallo o a piedi, non ne morirono pi di venti. I Pisani furono costretti, quindi a firmare una pace con i nuovi arrivati, i grandi DAragona. Il re, quindi pot affidare al nobile don Berengario Carrz, figlio dellammiraglio, tutta quella contrada, e pot fare ritorno in Catalogna sano, allegro e con grande onore. Ma la pace non dur a lungo. Ramn, chino sulla carta, illuminata dalla luce fioca di una grossa candela, fa scorrere linchiostro, senza mai stancarsi, tanto vivo ancora nelle sue orecchie lordine del vecchio vestito di bianco con la lunga barba bianca e autorevole. Ancora battaglie cruente ci furono, e tante. Che vi dir? Che le bandiere del nobile don Carrz entrarono nei quartieri della citt di Cagliari, e allora avreste potuto vedere una battaglia crudele e sanguinaria. I Pisani, che ancora stavano nel Castello, e i Sardi, che stavano nei quartieri intorno, ci misero grande impegno, per il gran dolore che provavano per le mogli e i figli che vedevano morire e si impegnarono nella lotta, ma nostro Signore vero Dio li volle punire per la loro malvagit, tanto che nessuno rest in vita, n delle loro donne n dei loro figli. Quando i Catalani ebbero ucciso tutti, si dedicarono
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al saccheggio di uninfinit di beni e di cose. E quelli che avevano combattuto guadagnarono tanto che diventarono ricchi per sempre. Dormirono sonni beati quella notte, i guerrieri, e soprattutto il nobile don Carrz, Berengario I. E soltanto il giorno dopo ritornarono nel teatro che li aveva visti eroi e vittoriosi e distrussero le mura e le case e rasero tutto al suolo. Continua pieno di fervore il vecchio Ramn la sua storia di gesta, senza sentire la stanchezza perch sa che Dio a volere il giusto racconto. Cos signori, che leggerete questa storia, elevate il vostro cuore al potere di Dio, poich vedete chiaramente quale vendetta nostro Signore vero Dio ha messo in atto contro i Pisani del Castello di Cagliari che con slealt riaccesero la guerra contro il Signor Re dAragona, che, per piet e generosamente, aveva fatto pace con loro, e ancora quale vendetta ha messo in atto contro i Sardi dei quartieri della citt che sono la gente pi malvagia del mondo e i peggiori peccatori, per orgoglio, superbia e lussuria. Fu cos che il Luned, nono giorno di giugno, dellanno 1326, i Pisani consegnarono il Castello di Cagliari al Signor Re dAragona, e, per lui, al nobile don Berengario Carrz e agli altri che entrarono nel Castello di Cagliari con ben 400 cavalieri armati e con ben1200 valletti, tutti catalani. Ed entrarono per la porta di San Pancrazio, e i Pisani uscirono per la Porta del Mare e si imbarcarono su quattro taride e su una nave che li riport a Pisa. E quando questi ufficiali e il nobile don Berengario I
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Carrz e la compagnia entrarono a Cagliari, alzarono sulla torre di San Pancrazio un grande stendardo del Signor Re e poi, in ciascuna delle altre torri, altri stendardi e molte bandiere reali minori. E per grazia di Dio, mentre le bandiere e i pennoni si alzarono sulle torri, non cera vento, ma, appena furono issate, giunse un vento di garbino, il pi bello del mondo, che dispieg tutte le bandiere e i pennoni. E sembrava che il cielo si unisse alla terra. E cos gli ufficiali del Signor Re e il nobile don Berengario Carrz sistemarono bene il Castello, con molta buona gente di parata, cio di lignaggio, per servire Dio per sempre. E finalmente i Sardi trovarono e troveranno l, e soltanto l, verit e giustizia, in modo che la casa dAragona e tutta la Catalogna ne ricever onore e gloria. Cos Ramn Muntaner, a cui Dio aveva riservato un destino invidiabile, facendogli trovare scampo, tra impegni di terra e di mare, per ben trenta dues batalles, raccont e raccont, fino a quando quel buon vero Dio e Signore, che tanto invocava, gli fece cadere la penna dalla mano e gli apr le porte dellaldil. Non fece quindi in tempo, il vecchio Ramn a spendere una parola di onore e gloria su colei cui tocc, alla fine del secolo, tutta quella favolosa eredit. Colei cui tocc il titolo di Contessa del pi grande feudo della Sardegna e che poco sapeva

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Le ultime case dellabitato erano soltanto una sagoma lontana, e la campagna con tutta la sua solitudine si apriva al nostro passaggio quando la carrozza rallent allimprovviso cambiando landatura fino a quel momento regolare e monotona. Via, via da qui, lontano dai cavalli se non cerchi la sventura. Il tono aspro e brusco del conducente mi allarm un poco. Vattene straccione, se non vuoi assaggiare la frusta. Scostai appena le tendine quasi di fronte due occhi enormi, interrogativi, incrociarono i miei. Occhi nocciola di cerbiatto spaventato su un volto smagrito. Aveva in mano un bastone nodoso, per appoggio. Un vecchio. Solo. Sullo sfondo, fitta vegetazione. La mia curiosit ordin alle guardie di fermarsi. Straccioni, nientaltro che Sardi straccioni. Rispose il postiglione a mia custodia. Nella mia mente banditi e gente malvagia e ancora gentaglia, selvaggi prendevano forma e un brivido mi percorse la schiena.
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La carrozza, intanto, si era fermata al mio comando. Pur continuando a restare seminascosta dietro la pesante tenda dellabitacolo, inclinai la testa per vedere meglio. Quegli occhi non avevano timore. Mi guardarono fisso. Eccovi, dunque. Bene arrivata in questa terra, contessa, oh! terra di miseria e di miseri, ma vi accoglier festante. La guardia a cavallo gli stava quasi alle costole, spada sguainata, ad anticipare pericoli. Chi siete? chiesi incoraggiandolo. Chi sono? e chi lo sa? Solo i miei stracci dicono chi sono adesso. Continuava a farfugliare Tutto gli fu tolto. Tutto. Ed io, io ho preferito le ortiche della campagna per il mio stomaco. Ma cosa dite? Di chi parlate? Non fatemi perdere tempo e pazienza. Lantica prepotenza vi peser sulla testa e sullanima. E il peso delle colpe, continu sollevando il bastone nodoso a indicare lo stemma delle tende, sar quanto quello del vostro nome. Contessa. La guardia gli assest, con la lama di piatto, un colpo di spada in pieno petto. La carrozza ripart, ma quello continuava, la voce sempre pi flebile: al povero de Aen Contessa. Ancora quel nome e poi quel Contessa detto cos, gridato in un modo arriv duro alle mie orecchie. Il tempo di un respiro Sporgo la testa indietro, a guardare Alle mie spalle, un bastone nodoso a pezzi e un vec80

chio gettato su una strada polverosa che chiss quando finiva. Attraverso la fessura della tenda non vedevo pi nessuno, n occhi enormi, n volto di vecchio scavato e smagrito. Solo i cespugli della vegetazione. La carrozza riprese la sua andatura regolare. Ora penetrava tra boschi e boschi di leccio, attraverso un percorso generoso, non certo di comodit, ma di nuovi profumi, essenze forti di fiori che solo piante e cespugli abituati ad avere poca acqua sanno dare. Non conoscevo i nomi di quelle erbe, ma, annusando laria in continuazione, avevo imparato, per distrarmi, e per scacciare i nodi di quel bastone, a distinguerle luna dallaltra: le pi dolciastre da quelle pi asprigne, le pi delicate da quelle decisamente forti che si imponevano prepotentemente su tutti gli altri odori. E poi la polvere, tanta polvere, che penetrava dappertutto, che imbiancava le criniere dei cavalli, le divise delle scorte: i postiglioni sembravano bianchi cavalieri usciti da un mondo irreale, lo stemma delle gualdrappe sbiadito. Si procedeva lentamente tra scossoni e pietre e gole paurose e soste per cambiare i cavalli, e soddisfare altre necessit chiss per quanto tempo. Carrozza e cavalli, cos, mi portarono alla mia mta: al Castello di Quirra, dominante su buona parte delle terre orientali dellisola. Sul cocuzzolo di una collina, sembrava pi a contatto col cielo che con le terre che erano a valle. Il castello di Quirra: mi bast un attimo per sentire che da l non sarei mai pi tornata.

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il 1386. Donna Violante Carrz arriva al Castello di Quirra. La nuova feudataria. Donna. E senza spada. Ad accoglierla, funzionari e castellano. La folla un coro di evviva. Tutti si mostrano compiaciuti ed entusiasti, colpiti dalla giovane et della nuova Signora. Benvenuta al castello, donna Violante, risuona tutto intorno. E lei, timida ed impaurita, ma soprattutto stanca, molto stanca, sa dire soltanto: La strada lunga e faticosa per arrivare a questo nido daquile. Le aquile hanno lunga vista, mia Signora, la conforta il castellano don Ignacio, e da qui si pu vedere il mare, e le golette dei Saraceni, e l i monti, ed oltre essi il Giudicato dArborea, dov padrona la giudicessa Eleonora, la terribile Eleonora. Questa terra non ricca, ma vicino al mare vi sono stagni, donna Violante, e sono pieni di pesci. E nelle campagne, le nuvole sono uccelli di passo: la selvaggina non mancher di certo alla vostra tavola, cos la accoglie quel panciuto di don Ignacio.
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E lei, la giovane Violante, risponde che per volont del Re signora di quelle terre, e degli uomini che le abitano. Ma solo per volere del Re l. Non per suo desiderio. Quanto alla selvaggina, aggiunge, che volino pure tranquille le pernici, lei guarder solamente ad oriente, da dove arriva il profumo del mare. Nessuno ascolta davvero le sue parole. Per, tutti, contenti ed ossequiosi, esclamano: Il vostro volere il nostro, donna Violante. Bienvenida. Negli appartamenti riservati ritrovai la mia dama di compagnia, Maria. Lei malvolentieri aveva lasciato il Castello di San Michele precedendomi di qualche giorno, insieme ai bagagli. Come meglio aveva potuto, era riuscita a dare a quelle stanze tetre e disadorne unaria accogliente e femminile: fiori odorosi di campo e qualche specchio in pi. Il tanto, insomma, perch una nobildonna potesse trovarsi a proprio agio in un posto che mai aveva accolto donne. Un bellinginocchiatoio di fattura catalana era quanto di pi lussuoso potesse trovarsi in quelle stanze. Le statue dei santi, le pale daltare, i quadri sontuosi e gli arredi di lusso del Castello di San Michele erano per me gi un ricordo di cui non sentivo assolutamente la mancanza, anche se Maria li elogiava di continuo e se li ricordava uno per uno, dal camino grande di marmo con le striature rosse, a quel santo riccioluto senza nome che indicava la curva del corridoio principale. E ogni volta scuoteva la testa, dispiaciuta e piena di nostalgia per quel luogo e in modo particolare per quella Teresa che la incantava con i suoi racconti. Era piccola e dolce Maria, ma molto vivace. Ogni giorno che passavo con lei mi rendevo conto che la scel84 85

ta della mia Regina era stata proprio la scelta giusta. Il suo cuore di fanciulla era sempre ridente e tutto per lei sembrava facile e bello. La sua intelligenza e curiosit le avevano permesso di imparare tante cose su quella gente e su quei luoghi in brevissimo tempo. La sua gioia nel rivedermi e le premure perch mi riprendessi dalla stanchezza di quel viaggio interminabile e sfiancante mi ridiedero un po di coraggio, e a lei che, con parole e gesti mi sollecitava ad entrare subito nella parte di contessa e padrona di un vasto territorio, ricordavo, con in bocca il sapore della paura, che il velo nero che mi ricopriva il volto e la persona aveva un significato ben preciso, e che io desideravo essere morta alla vita, nonostante il Re avesse deciso diversamente. Ma Maria era incalzante e cercava di stimolarmi: Mia signora, affannava, aiutandomi a liberarmi dagli abiti impolverati, alto compito il vostro. Gli abitanti di queste terre vi aspettano per onorarvi e servirvi. Dovrete pure mostrare il vostro volto. Avete un dovere con la Corona dAragona. E poi, Eleonora dArborea, la vostra vicina, una grande avversaria. Ricordate le parole di Teresa: in nome della gente sarda, combatte con le armi il Re dAragona. Fatele vedere quale potere ha una nobildonna aragonese. Mi aizzava come si aizza un cane verso la preda, anzi come si aizzano quei galli da combattimento che, senza la voce roca e avvinazzata del padrone, non avrebbero nessuna voglia di beccarsi lun laltro fino a dissanguarsi, per la gioia dei miei conterranei. Sfinita dalla stanchezza, le risposi che avevo bisogno di raccogliermi e pregare Dio per avermi fatta giungere sana e salva fin lass, e chiedergli aiuto in quel gravoso
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compito. Che tacesse, dunque. E non parlasse di Eleonora, che mi parlasse invece di quel posto. Se vi piace, e a Maria brillarono gli occhi di entusiasmo, ai piedi del Castello c una chiesetta. piccola, fatta di mattoni rossi. Potr accogliere le vostre preghiere e le vostre soltanto, se vorrete. sempre aperta, e, se non avete paura, potete andarci quando meglio vi aggrada. Nessuno vi entra, ma pare che sempre si odano canti Quella descrizione odorava di mistero e mi incurios. Con quel pensiero mi addormentai quella prima notte, nel Castello di Quirra. Lindomani pomeriggio montai su una cavalla bionda e docilissima, che da allora sarebbe stata la mia fedele. Scortata dal palafreniere, ridiscesi la china del colle che da non molto avevo percorso. Il palafreniere era un tipo ben strano. Tutto pieno di premure, tutto impettito nel suo compito. Aveva unaria maestosa, sempre: nel guidarmi per i viottoli e nelle mansioni pi umili. State attenta, mia signora, prima del calar del sole, diceva con voce tremolante, andate via dalla chiesa. Si raccontano certe cose Anzi, aspetter qui che voi diciate le vostre orazioni. Insistevo per licenziarlo. Che non doveva preoccuparsi. Che non mi sarei attardata. Insomma che io non avevo paura di nulla e di nessuno. Cos aveva parlato tutta la mia insicurezza. Landare e lo stupore fu tuttuno. Il ruscello che mi era stato indicato portava direttamente alla chiesa. Mi sembrava che quella terra non fosse come me lavevano dipinta. Una sorta dinferno, povera la mia
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Violante, aveva commentato tra le lacrime la regina Sibilla. Terra arida e gente malvagia, aveva raccontato Teresa. Delle voci in lontananza mi smossero dai miei pensieri Benvenuta padrona Salute e onore alla contessa Erano voci di bimbi e di donne che lavoravano poco distante. Ancora non mi ero abituata a ricevere tanti omaggi. Dal Castello di San Michele non avevo mai messo fuori neanche il naso, se non per salire sulla carrozza che mi aveva portato fino a questaltro castello. Ed ero stupita di non essermi ancora imbattuta in quelle bande di banditi di cui mi aveva parlato quella Teresa al Castello di San Michele quando tacque dopo lultimo racconto per scrutarmi occhi e anima: gentaglia, sardacci, cara la mia signora, tenetevene lontana. Mi sentivo sola, catapultata in una terra sconosciuta e lontana. Lontana come il Re che aveva detto: Vai e comanda, come fosse la cosa pi facile da farsi. Mentre cercavo di controllare le mie emozioni e perfino la mia andatura, sbilenca su quelle pietre, unemozione grandissima mi prese tutta. Di fronte a me stava il pi bel gioiello che avessi mai visto: non aveva ori, non aveva gemme: una chiesetta, tutta di mattoni rossi, piccola piccola, che avrei quasi potuto contenere in un abbraccio. In cima, terminava con un campaniletto a vela. Era come se mio padre avesse voluto regalarmi un giocattolo, un ninnolo, che mai aveva avuto loccasione di donarmi, solo per ricordarmi di lui. Cos io credevo e speravo.
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Ma rimasi molto male quando il palafreniere mi disse che era antica di centanni e forse pi. Dopo il primo impatto con la gente di Sardegna e le preghiere in solitudine, mi sentii un po risollevata. E cos, animata di tanto zelo, decisi di andare a visitare altri luoghi. Volevo andare verso est, a valle verso il mare, a visitare gli stagni. Nella mia mente era ancora viva limmagine dellarcangelo, che indicava loriente con la sua spada fiammeggiante. Maria, quando le chiesi di approntare tutto per la spedizione, prese a seguirmi coi suoi brevi passetti, parlandomi fitto fitto con quella sua vocina, quasi sempre dolce, ma con alcuni toni striduli quando mi voleva avvisare di qualche pericolo. Parlava e parlava, ma solo una frase mi arriv con violenza: Questa terra pi vasta dellArborea, dov padrona Eleonora. Mi girai di scatto, quasi finendole addosso e la investii di rimproveri: Ma perch, perch, le dicevo con labbra livide, dovete tutti sempre mettermi davanti questo nome? Cosa vuoi che importi a me della potenza di quella donna? Tutto quello che oggi sembra gloria, Maria, domani non c pi, mettitelo bene in testa. Laltra, poveretta, presa alla sprovvista dalla mia faccia cattiva, non fiat pi e si diede da fare per organizzare la partenza. Tutti, tutti mi spingevano alla competizione con lei, laltra donna che, in tutta lisola, allora, aveva un posto di comando.
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A me veniva un nodo allo stomaco, al solo pensare di dovere per forza affrontare una gara, qualunque, anche se, per il momento, solo a distanza. A me non era mai piaciuto gareggiare con qualcuno, figuriamoci in quella terra sconosciuta e contro una che io ormai mi immaginavo come una gigantessa alta tre metri e con un pugnale stretto tra i denti. Mi venivano subito i brividi per la paura. Io volevo solo starmene tranquilla e andare a vedere gli stagni, cos, per curiosit. *** Il luogo era detto Colostrai. Don Ignazio mi accompagn da un vecchio pescatore che era la guida del posto. Vedete, contessa, questo lo stagno di Colostrai. Io lavoro qui da pi di cinquantanni: ero alto appena cos, e sono stato servitore del conte vostro padre, che ogni tanto ci onorava della sua visita. In cielo sia. Il mio nome Pedru, il vecchio Pedru, come mi chiamano tutti, qua. Ogni parola, ogni lieve mutamento di tono mi colpiva: non avevo perso nulla di quanto diceva. Don Ignacio lo lasci libero di parlare. Scostandosi di pochi passi, sembrava fingesse di perdersi con lo sguardo oltre i giunchi che tagliavano lorizzonte piatto degli stagni. Io continuavo a fissare il viso del vecchio pescatore tutto grinze sembrava una tartaruga e quella bocca, quasi tutta sdentata uno sfacelo. Ma le sue parole suonavano calde, amiche. Cera qualcosa che mi rapiva, e ancora non sapevo cosa. Rispondevo con sussiego, e gli facevo domande solo
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per farlo continuare a parlare: volevo sentire ancora quel tono caldo di voce. Chiedevo dei metodi di pesca e perch non vedevo barche di pescatori in mare. Non mi interessava granch, a dire il vero, ma bevevo le sue parole di spiegazione. Il Padreterno, riattacc lui, ha pensato bene di regalarci questi stagni, mia signora, perch il mare troppo pericoloso. Sapete bene quanto filo da torcere diano i Saraceni: arrivano con le loro imbarcazioni, che scivolano leggere sul mare, approdano come fantasmi sulla nostra terra, e una volta approdati fanno prigionieri i nostri uomini e le nostre donne. La bocca sdentata, mentre parlava, si ricomponeva in una bella espressione che non mi era nuova, mi lasciavo cullare da quelle parole e la mia attenzione era tutta per lui. Anche se ci sono le torri di avvistamento, diceva, rade dove approdare, quelli, ne trovano sempre, e i Sardi, da tante generazioni oramai, non vanno per mare. Forse perch ci sono gli stagni e il pesce abbondante, e si pesca senza bisogno di affrontare tempeste e Saraceni. Iddio, evidentemente, vuole preservare questa nostra razza: non permette che si arrischi tra le onde. Questa terra, basta volerlo, offre tutto. E ben lo sanno tutti quelli che, per liberarci dai pirati del mare, vi hanno messo radici. Troppe volte - permettete, dolce signora, queste parole a un vecchio pescatore che nulla ha da sperare o da temere - questi, i liberatori dico, sono stati meno teneri dei predatori. Erano parole tremende quelle che gli uscivano dalla bocca sdentata, e il mio orgoglio si sent un po scosso. Il mio dovere mi imponeva di zittire quel vecchio, e in91

vece, rilassata e perfino contenta, lo invitai a continuare, e gli assicurai che ascoltavo con attenzione. Lui continu: Ecco, i Sardi restano negli stagni. Qui i Saraceni non penetrano, non saprebbero come fare. Le nostre misere abitazioni sono qua, nella parte interna, e lo stagno le protegge. Noi peschiamo con barchette leggere e con ami di spina Christi: vedete? Quella pianta selvatica l, con i fiorellini rossi e spine lunghe e robuste. Ma non possiamo difenderci dai nostri salvatori. Questo il nostro problema, e forse il nostro destino. Mi agitai non poco davanti a quelle affermazioni. Il piacere delle sue parole era disturbato dal dubbio: e se fosse stato un simpatizzante di quella Eleonora l? Dite che siete stato buon servitore del mio padre, gli dissi con una voce dura, ma sperando disperatamente che la risposta fosse negativa, ma non avrete, per caso, simpatie per quella Eleonora? Mia cara nuova padrona, ve lho detto: dovete perdonare a questo uomo che oramai ne ha viste tante e nulla pi teme, n spera. Eleonora, la giudicessa di Arborea, mai riuscir a spuntarla con gli Aragonesi. Innanzitutto perch la vostra potenza superiore alla sua, e poi perch i Sardi sanno colpire, e bene, solo quando hanno di fronte un cinghiale, e non un uomo. Se siete stato davvero buon servitore di mio padre, gli chiesi allora pi affabilmente, vi chiedo, se sapete, di raccontarmi qualcosa della sua morte. So che morto in queste terre e nientaltro. Il vecchio lanci uno sguardo interrogativo a don Ignacio - rimasto poco lontano da noi e di colpo pi attento alla domanda che avevo posto al pescatore - e disse:
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Mi ricordo ancora bene quel momento continuando a interrogare con gli occhi don Ignacio. Vi prego, non abbiate paura, il mio cuore sapr reggere. E il vecchio, lanciato un ultimo sguardo al Castellano: Tre giorni e tre notti stato vegliato. Tre giorni e tre notti donne, chiamate e arrivate dai villaggi vicini, si sono battute il petto e hanno cantato le sue lodi. Tre giorni e tre notti urlavano le donne, come fanno qui da noi. Cantilenavano Gloria ne avr il cielo ad accoglierlo e ancora Era forte e valoroso, il conte Berengario, bello e gioioso. S, ma ditemi: in che modo morto? Sapete, quelle donne, tutte vestite di nero, intorno alla sua salma, si sono strappate i capelli, lacerate le vesti e urlato al cielo il dolore di tutti Grande perdita ha avuto oggi la nostra terra, ma anche grande onore per averlo avuto padrone e signore. S, ma E poi sapete, riprende Pedru con fare accattivante ma non dando possibilit alcuna di interromperlo, accanto al suo corpo stata messa sa pippiedda po su consolu de su mortu, come si fa per chi morto in stato di vedovanza. Cosa vuol dire questa cosa, cosa ? Solo cos, dandole compagnia, una bamboletta di stoffa, illusione di donna, il morto non ritorna pi, non ritorna a cercare e prendersi femmine vive nelle nostre terre ch gi ne aveva abbastanza di predilette. Ma siete scortese, ancora non mi dite come morto? Certe cose, cara contessa, meglio che una figlia
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nobile come siete voi, non le conosca mai. Consolatevi e state serena. Solo il Signore nostro Dio lo sa, dolce contessa, e soltanto lui decide quando lora per ciascuno di noi. I suoi denti ora splendevano tutti la sua faccia non era pi rugosa quella voce calda usciva da una bocca conosciuta e quasi dimenticata Il mondo gir tutto e, mentre mi accorgevo a mala pena che intorno a me cera grande trambusto, io seguivo solo la mia realt. Non era quel vecchio che parlava. Era Felipe, il mio primo marito morto tempo addietro. La sua voce mi arrivava melodiosa e il suo volto sempre giovane e bello. Cara la mia bambina. Non devi turbarti. Mai. In questa terra ti accadranno molte cose che ti sembreranno strane. Ma io, che ti voglio bene come quando eri mia e mi facevi godere delle pi grandi gioie terrene, ti star sempre vicino. Io non ti abbandono ti far sempre sentire la mia presenza. Sempre. E un bel giorno *** Lacqua appena ondulata dello stagno mi dava la nausea. La bocca sdentata del vecchio era l, di fronte a me. Sorrideva. Maria mi inumidiva la fronte con un fazzoletto e lacqua mi scivolava dentro il vestito, dentro il seno, confondendosi col sudore che tutta mi aveva bagnata. La guardai interrogandola con gli occhi. Calmatevi ora. Si torna al Castello. Non agitatevi
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donna Violante, siete stata poco bene. Forse il caldo. E laria fresca del colle vi giover. Erano convinti che stessi male; pensavano ad un malore dovuto alla giornata afosa. Solo qualcuno ne dubit. Non vedevo esattamente chi fosse, ma sentivo addosso uno sguardo indagatore, cattivo, interrogativo. Durante il tragitto mi usc inavvertitamente un: e Felipe? Felipe? rispose Maria con la voce stridula, che mi metteva in allarme, non c nessun Felipe qui. Calmatevi ora. E aggiunse, a consolarmi: Mia signora, la giornata di oggi stata molto faticosa, e avete il viso tirato. Ora pensate a recuperare tutte le vostre forze. Qui la gente, intanto, non ha mai fretta. Abituatevi, siate certa che non se la prenderanno, se non vi vedranno in visita per il territorio. Avete tutto il tempo che volete. E poi, si sapr gi in tutto il feudo che siete stata male. Non preoccupatevi: loro aspettano, sono fatti cos, sembra che aspettino sempre. Questi Sardi aspettano aspettano sempre. Cos aveva detto Maria. E ancora adesso sono sicura che aveva proprio ragione: come se fossero perenni. La loro civilt non ha avuto grande crescita, n decadenza, n apogeo, n caduta. La saziet logora gli imperi; loro, saziet, non ne hanno mai conosciuta. come se facessero una lotta di resistenza con qualcuno. Loro sono l, ad aspettare che lavversario sbagli; non attaccano mai. Aspettano loro. Chiss cosa.

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I dignitari di corte, invece, aspettavano soltanto me. O meglio, aspettavano che io prendessi iniziative, decisioni, insomma, che facessi la feudataria. Ogni tanto arrivavano notizie allarmanti dai confini col Giudicato dArborea. E i funzionari a spiarmi, a sollecitare con gli sguardi una qualunque azione di risposta, di forza, da parte mia. Io, invece, quella Eleonora, avevo deciso di non prenderla in considerazione: avevo promesso a me stessa, in cuor mio, fin da quando me ne aveva parlato per la prima volta Teresa, l al Castello di San Michele, che, per quanto quella provocasse, non avrei accettato sfide, n cruente, n di altro genere. Preghiere nella chiesetta, cavalcate gi a valle e brevi conversazioni con la gente che lavorava nei campi erano le mie occupazioni. Avevo davvero voglia e curiosit di quella gente. In effetti tutti, uomini e donne, erano molto scuri di pelle, facevano un po impressione, ma i loro modi non erano sgarbati n selvaggi, come mi avevano detto tutti. Cerano, invece, i miei incubi diurni: i miei funzionari. Me li ritrovavo dappertutto, ad ogni lato del Castello, gi a valle, a volte nei dintorni della chiesa. Fantasmi reali, incombenti, mi spiavano con quegli occhi accusatori, con quelle bocche malevole. Mandarono perfino un resoconto a Cagliari, lamentandosi di non essere funzionari di niente e di nessuno. E l, al Castello di Cagliari, la meraviglia e lo scandalo crebbero ancora di pi.

*** Che viso scuro, don Federico, commentava don Paolo. Certamente, spiegava laltro, arrivano brutte nuove dallinterno. Eleonora ammassa uomini ai confini del Giudicato. E il feudo di Quirra a lei confinante nelle mani di quella Violante l, quella incapace. Ma che fa quella donna? stata messa in allarme? si preoccupava don Paolo. La gran dama non ha ancora capito, a quanto pare, diceva don Federico, che quella non la corte della Regina, che questa terra di battaglia, dove occorre tirare fuori gli artigli, ch la preda non si impaurisce per poco. Ma sapete, don Paolo, sapete che fa costei? Che fa? si incuriosiva sempre di pi, laltro. Va in giro per il feudo, in genere sola su un cavallo e parla coi Sardi. Parla coi Sardi?! E cosha una nobildonna aragonese da dir loro? E don Federico, con un largo gesto delle braccia, a indicare disappunto: Roba da matti, don Paolo, roba da matti. *** Nelle cucine del Castello di Quirra le malelingue delle serve e delle cuoche non erano da meno. Lho vista che vagava per le sale, vestita di veli trasparenti, e parlava con qualcuno che non cera Si ferma a parlottare fitto fitto col palafreniere, gi nelle stalle
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Va sempre sola in quella chiesetta Che razza di nobildonna mai questa? La metteranno a posto, prima o poi, gli uomini del Castello In un modo o in un altro E le cucine risuonavano degli echi delle loro risate grasse come il cibo che tutti i giorni mi preparavano. Quei piatti giganteschi: con uccelli che galleggiavano nellunto, maialetti che puzzavano di selvatico. Ogni giorno cos, a pranzo, a cena, e salsicce che non finivano pi di arrotolare e srotolare davanti ai miei occhi. E i funzionari che ci si tuffavano con il mento, le guance, le mani, mentre con gli occhi mi scrutavano, per controllare che anchio mangiassi, e mi sollecitavano, con lo sguardo, a bere, a pi non posso, quel vino rossonero come sangue, come facevano loro. E io ero confusa, smarrita quando dentro lo specchio dalla cornice dorata e floreale non vedevo la mia faccia. Come si raccontava, dalle mie parti, che capitasse ai fantasmi. Ed ero solo attratta nellabisso della dolcezza della voce di Felipe: il mio delirio che sempre mi risuonava dentro le tempie. Non angosciarti, piccina, non serve. Qualunque cosa tu pensi o faccia, non avr peso. Per la storia degli uomini, tu, sarai sempre un mistero, come se non fossi mai vissuta. Nei loro libri comparir soltanto il tuo nome, non altro. Mai riusciranno a sapere, per quanti sforzi faranno, qualcosa di ci che sei stata. Non darti pena, dunque, nessuno degli uomini potr mai giudicarti. E se qualcuno mai parler di te, sar perch tu vorrai raccontare: di fronte a un mare cristallino, oppure ai piedi di questo colle, o ancora, tra le pietre di un castello rotolate a valle.
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Rimbombavano quelle parole dentro di me, fino a stordirmi tutta. Cercavo e trovavo conforto solo nella preghiera. Una sera, mentre andavo verso la chiesetta, il palafreniere, che sempre mi scortava, si prese qualche licenza: Mia buona signora, io vorrei, vorrei raccontarvi una storia, diceva serio e con la sua aria maestosa e solenne, una storia che riguarda questa chiesetta. Fino ad oggi non ho avuto il coraggio. Non osavo. Ma voi, che siete tanto buona, so che mi perdonerete. E cos quello, che mi pare di avere ancora al mio fianco, con quella faccia olivastra e lunga e gli occhi fissi nel vuoto, cominci: Era una giornata come questa. Tiepida, di primo autunno. La campagna era silenziosa. Non si sentiva voce duomo n di bestia. Solo il vento mi faceva compagnia. Il vento, che mai manca in questa terra. Camminavo lento, con la borraccia del vino a tracolla. Ad un tratto, tra i cespugli, ho visto una lepre, grassa grassa. Me la vedevo gi penzoloni in spalla. Ho rallentato i movimenti per non spaventarla e ho iniziato ad avvicinarmi cercando di aggirarla. Ma quando ero a pochi passi dal suo cespuglio, quella ha ftto un salto che neanche una catapulta. E io a cercarla ancora fra rovi e cisto fitto, credendo di averla ormai persa. Ma dopo un po tempo, ecco che lho rivista acquattata come a riprender fiato. Dun balzo le ero sopra. Presa! Le ho schiacciato la testa con un sasso, lho caricata sulle spalle e ho ripreso il cammino. Per intanto si era fatto scuro, quasi buio. Cammina cammina, mi sono ritrovato, finalmente, vicino a questa chiesetta. Mi era familiare. Ho affrettato il passo, rincuorato.
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La chiesa era tutta illuminata. Mi sono avvicinato e ho sentito canti come di ubriachi e risate di gente in festa. Mi sono fermato per ascoltare meglio e mi sono detto: con questa lepre e con tanta gente allegra, si potrebbe combinare una bella festicciola. Mi sono accostato alla chiesa, con la mia preda, pronto a metterla allo spiedo per tutta la compagnia. Cerano uomini e donne in girotondo, e come mi hanno visto hanno gridato il benvenuto e hanno cercato subito di farmi entrare in mezzo al cerchio. Ero incantato. Quanta gente mai vista! E quanta allegria! Ad un tratto, dal girotondo venuto fuori un uomo e mi si avvicinato. Io lho riconosciuto subito. Era Andria, compare di battesimo, vecchio amico. Ho sentito le gambe che mi tremavano: Andria era morto da almeno due anni prima. Mi venuto incontro sorridente e ha detto sottovoce: Voi, compare mio, siete in mezzo ai morti. Se non fate di tutto per uscirne, domani sarete con noi. Se volete, per, io posso salvarvi dalla morte. Entrate, entrate pure a ballare con noi, ma quando vorrete andar via, cantate queste parole e mi ha suggerito una filastrocca magica. Io ho saltato e danzato coi morti, tutti vestiti di bianco. Ma col passar del tempo mi venivano attorno sempre pi vicino. Alla fine mi si stringevano tanto da impedirmi di respirare. Allora non ce lho fatta pi e ho cantato a squarciagola la filastrocca di Andria: Cantate e ballate voi che ora la festa vostra quando verr la nostra cantiamo e balliamo noi

Come ho finito di recitare queste parole, i morti si sono buttati a terra ed io sono corso fuori dal cerchio, a gambe levate. Dal giorno, io, in questa chiesa, non ci sono pi entrato. Cos aveva parlato la faccia olivastra. E poi aveva taciuto. Ma che bella leggenda, riuscii a dire per nascondere che il cuore mi balzava in gola. E quello: No, signora, perch leggenda? capitata a me, proprio a me, diceva sorridente e scuotendo il capo, meravigliato che potessi non credergli. Riuscii, comunque, a farlo tacere ed entrai da sola in chiesa. Rosario tra le mani, cominciai a pregare. Ma che avemarie! Quella storia che storia E se avesse voluto prendermi in giro? piena di grazia no, non avrebbe osato tanto avemaria i morti che fanno il girotondo ilsignorecont avemaria e se quel giorno era ubriaco? Ecco, deve essere cos Tutte iniziate quelle Avemaria, neanche una arrivata allamen.

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Alla fine si rese necessario. Necessario convocare quei funzionari che pareva vivessero soltanto in attesa di dimostrare la loro utilit. Tutto venne predisposto per loccasione. Ed eccomi di fronte a quegli uomini con facce serie e compiaciute. Parlai e parlai. Di pericoli da ponente, di eserciti di Eleonora, di stare allerta e quelli, quelli avevano un cipiglio beffardo, e sotto i nasi pi rossi che mai, un sorriso strano. La riunione, o meglio, quel tentativo di riunione, naufrag. Come se qualcun altro avesse acchiappato i fili della storia, ci avesse giocato e li avesse lasciati l, tutti ingarbugliati. Un grande trambusto, voci concitate e incomprensibili si sovrapposero alle parole di don Ignacio che aveva iniziato a parlare. Un messo, inseguito da un servitore che voleva fargli rispettare le regole di entrata al Castello, irruppe nella sala: I Saraceni urlava, un rapimento i Sardi, nessuna resistenza ansimava, non hanno opposto resistenza gi agli stagni cinque soldati del Re rapiti
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Non ci fu verso di tirargli fuori altra spiegazione. Ripeteva: i Sardi niente i soldati presi. Non restava altro da fare che essere al pi presto a Colostrai. Le facce dei funzionari, livide, erano rivolte a me: non parlavano quegli uomini, ma dicevano colpa tua! non sai fare niente, ed ecco cosa ti combinano questi animali. Io, mi sentivo solo terrorizzata. Pensavo: dov il vero pericolo? Nelle barche dei Saraceni? Nelle truppe armate di Eleonora che stringeva il pugnale tra i denti? O forse dentro lo stesso Castello? Io lo vedevo dappertutto, il pericolo. Corsi comunque l, verso gli stagni, verso il mare. Senza indugiare. A Colostrai, il vecchio Pedru aveva la faccia di sempre. Il suo berretto in testa, levato immediatamente di fronte alla mia nobile persona, le orecchie a sventola, la faccia rugosa. arrivato il nemico predatore dal mare e il mio dovere mi chiama qui, cos gli dissi a muso duro perch temevo che volesse ingannarmi. Ho saputo che i Sardi non hanno opposto alcuna resistenza. Le vittime erano soldati aragonesi. Ma mia signora, rispose quello, come avrebbero potuto far qualcosa dei poveracci senzarmi? Siete arrogante con la vostra padrona, lo minacciai, la vostra et avanzata non pu permettervi tanto. E lui, con aria fiera e di sfida:
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Lo scontro tra i rinnegatori di Dio e la vostra potenza, signora. Potete fare di me quello che vorrete, ormai per la mia gente, o meglio, i vostri sudditi, quasi non hanno pi neanche la forza fisica di opporsi a qualcosa. Saraceni? Aragonesi? La nostra lotta contro la miseria e le malattie. Don Ignacio mi guard, si trattenne a fatica dal fare o dire qualcosa, ma non contro quelluomo, no: contro di me. I suoi occhi dicevano: Emb? Non fa nulla la signora? Sperava, forse, chiss, in un mio ordine di sguainare spade, di ridurre a nulla quel vecchio. O forse sperava di poter dimostrare la sua maestria con la mazza o altra arma che facesse sgorgare sangue. Chiss, in fondo, cosa si aspettava da me quelluomo. Io un ordine lo diedi. Fermo e deciso. Si torna al Castello! *** Alla partenza di donna Violante e quelli del Castello, il vecchio si sente di nuovo padrone del suo spazio, del suo stagno. Solo allora si fa spiegare particolari che ancora non ha avuto tempo di conoscere da quegli uomini che il mare, dopo esserseli ingoiati, ha riportato alla loro terra. Quegli uomini che ora sono l proprio dovera prima donna Violante. Pedru li rimprovera e considera una sciocchezza quello che hanno fatto. Una sciocchezza che pu mettere in pericolo tante vite. Ma curioso e vuole sapere. E quelli, infervorati ancora per limpresa ben riuscita, gli raccontano tutta la storia, fin dal principio.
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Vedete Pedru, quando i Saraceni, un anno fa, ci hanno fatto prigionieri, eravamo pieni di paura. Ci hanno portato nei loro paesi. E abbiamo capito una cosa: per noi, non cambiava molto: servi eravamo, l come qui. A volte era pi facile intendersi con quelli che non con questi padroni di qua, aggiunge un compare, e Pedru sollecita la continuazione di quel racconto che ancora gli riesce poco chiaro. L, in quei paesi lontani, riprende quello che aveva parlato per primo, abbiamo visto cose meravigliose: costruzioni tutte doro, dove quelli pregano chisschi. Non come nelle nostre chiese, l non c Ges Cristo, ma quei templi sono la cosa pi straordinaria e grandiosa che un uomo abbia potuto costruire La casa del sultano, poi, una vera e propria reggia: uninfinit di sale, anticamere e salotti elegantemente arredati un grande castello con una corte quadrata con intorno novantanove porte di legno di sandalo e una doro e molte scalinate che conducono agli appartamenti di sopra. Le cento porte conducono in giardini e in luoghi dove ci sono cose meravigliose a vedersi. Una porta immette in un giardino dove c abbondanza di alberi e di frutti di mille specie sconosciute: giardino di delizie con una rete di rigagnoli che fa arrivare acqua in abbondanza alle radici, per far spuntare alle piante le prime foglie e i primi fiori. Unaltra porta immette in un giardino solo di fiori. Ce ne sono uninfinit, di tutti i colori. E non c cosa pi dolce dellaria che si respira in quel giardino. La magnificenza di quel palazzo cosa che non si pu raccontare. Dicevano che dentro ci sono gabbie di legno profumato, dove sono rinchiusi usignoli, cardellini, canarini e altri uccelli ancora pi strani,
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dei quali non avevamo sentito parlare in tutta la nostra vita. E di sera, di sera, bracci dargento giganteschi reggono mille torce che illuminano le sale come fosse giorno, anche quando il cielo si fa molto scuro. Venite al dunque, incita Pedru, che vuole capire e basta. E poi, e poi di nascosto siamo riusciti a parlare con altri prigionieri. Ce nera anche qualcuno pisano. E allora ci hanno raccontato cose cose che noi ce le sogniamo. Loro non sanno chi sia un feudatario, loro hanno citt ricche e non sanno cosa siano fame e miseria, e il loro guadagno non lo dividono con nessuno. E qui Pedru si fa pensieroso. A capo chino, col tono di voce di chi spiega a chi non sa, dice: Non le voglio neanche sentire queste cose. Voi siete giovani, molto giovani, e non li avete conosciuti i Pisani, quando erano loro i padroni, qui. I nostri antichi ne sapevano qualcosa. La loro ricchezza ha purtroppo molto a che vedere con la nostra miseria ma inutile, non potete capire per ora. Raccontatemi, piuttosto, com che avete organizzato il piano e come siete riusciti a scappare. Eravamo in cinque noi prigionieri, quattro uomini e una donna ricordate la povera Marielne? Eravamo sempre controllati a vista: ci avevano messo a lavorare il ferro in una officina dove si stava preparando una cancellata di ferro battuto per non so quale altra porta di quella reggia. La cancellata doveva essere lavorata di fino, a formare disegni e ghirigori che, per quelli, sono parole e preghiere. Comunque, per noi: lavoro e silenzio. Se no, frustate. Ma nellofficina stavamo solo noi uomini. Marielne la tenevano nella casa
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del sultano con le altre donne. Era bella Marielne, e giovane. Un giorno succede che il nipotino del sultano sta male: si sentono lamenti in tutta la corte, fin fuori del palazzo. Il sovrano, dicono, disperato. Quel nipotino lunico nipote maschio, e ha appena sette anni. Cos ci raccontavano i nostri compari che avevano libero accesso al palazzo: ogni giorno si vedevano lunghe file di dotti, maghi e astrologi. Nulla: il piccolo, pallido e sfinito dal malessere, giaceva sul suo lussuoso letto, senza voglie n sorrisi. Voi, Pedru, sapevate quanto brava era Marielne a far riprendere i nostri piccoli, quando erano mogi mogi, con quella medicina l, dellocchio preso. E Marielene si fa avanti anche alla reggia del sultano. Chiede, invoca a gesti e poco con parole che tanto nessuno avrebbe capito, di poter vedere il piccolo, e il sultano, venuto a conoscenza che c una donna che conosce arti antiche, la chiama e le dice: Se guarirai il mio nipote preferito, e unico, chiedi quello che vuoi. Ma bada, non ingannarmi, se no, assaggerai la punta delle nostre spade. A Marielne viene portato un catino dargento e acqua in un vaso doro. E altre schiave, nere, le porgono una coppa doro, colma di chicchi di grano e unoliera di vetro finissimo piena dolio color del sole. E ancora chicchi di sale. Tutto ci che le serviva e che aveva richiesto. E fa quelle cose che noi tante volte le abbiamo visto fare: pronuncia, cantilenando, parole in un latino incomprensibile, e bagna il piccolo in fronte. Lo fa per tre volte, Pedru, sempre allo stesso modo che conosciamo. E poi al piccolo fa bere lacqua dal ca108

tino dargento. E poi aspetta. Guarda il piccino e aspetta. Un sorriso dolcissimo pare sia affiorato sulle labbra del bambino e un colore di pesca sul viso. Marielne ricambia il sorriso, senza poter dire altro, e gli fa una carezza. Poi, come pu, spiega al Sultano che qualcuno lha guardato con invidia, e i bimbi sono come i fiori. Il sultano, che non sta pi in s dalla gioia, fa tintinnare borse di monete doro sotto gli occhi della nostra Marielne, ma lei fa no con la testa: non vuole oro, n denari, vuole tornare alla sua isola. Cerca di fargli capire disegnando navi e vele a gesti nellaria, e quello: no e no, Marielene star sempre l, alla reggia, trattata con riguardi e onori. Che chieda altro. E lei, allora, che ci ha sempre voluto bene e ha giocato con noi fin da bambina, chiede per noi, almeno per noi, il ritorno a casa, per noi che abbiamo moglie e figli. Forse aveva la morte nel cuore, Marielne, ma ha sorriso quando il Sultano ha accettato. La nostra libert, per, era una spada col doppio fendente, come le sanno fare quei Mori. Noi saremmo stati liberi in cambio di altri cinque uomini. E chi poteva far gola al Sultano dOriente? Chi? Se non soldati al servizio di quella potenza dAragona regina dei mari, che tanto li combatte? Ecco: noi liberi, in cambio di cinque soldati catalani Ha fatto allestire unimbarcazione, governata da alcuni Saraceni, e via per il mare Dopo giorni di navigazione e di fatica e di paura delle tempeste e di altri pirati, ecco che gi si vedeva la nostra baia, e il nostro cuore batteva forte, quando quelli ci hanno minacciato: Se non prenderete con le vostre mani cinque di quelli con larmatura, vi tagliamo la testa e la buttiamo ai pesci.
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Unocchiata, unocchiata soltanto bastata tra noi: non avevamo alcuno scampo. Gli abbiamo messo tra le mani quei soldati un po malconci: il fumo delle nostre case, l, di fronte ai nostri occhi, era pi forte di qualunque arma. La nave, poi, nella semioscurit dellalba, ha ripreso il mare. Quei Saraceni si sono ripresi il mare proprio come ne fossero i padroni. Hanno parlato a turno, senza sovrapporsi, senza tentennamenti, con partecipazione reciproca e intesa perfetta, frutto della comune disavventura e della comune salvezza. Ora tacciono e aspettano. Aspettano di vedere nel viso di Pedru ammirazione e compiacimento. Ora aspettano lapprovazione. Ma Pedru li guarda con uno sguardo diverso dal solito: Il gioco stato molto pericoloso, non c dubbio. Marielne persa, ormai, e forse anche altri. S, anche altri, perch ho tristi pensieri, non so cosa possa accadere. Voi vi siete conquistati la libert. Ma vedete, quelli sono rinnegatori di Dio e vi facevano servi; questi, ci fanno servi, ma li conosciamo: credono nel nostro stesso Dio, anzi sembrano pi cristiani di noi; e forse per questo che sono cos potenti. Forse il Padreterno che li aiuta, che vuole che siano padroni. Noi non possiamo diventare amici dei Saraceni e non possiamo considerarci cristiani se facciamo patti coi nemici di Dio. Siamo poco convinti, perfino, della santit dei nostri santi, e forse per questo che Iddio ci punisce: a non essere padroni neppure nelle nostre terre. La potenza degli Aragonesi protetta dallalto. Pare terminare cos il vecchio il suo rimprovero, ma aggiunge che la nuova feudataria una una beh che forse diversa dai soliti padroni. E lo dice lenta110

mente, come leggendo dentro di s. Gli altri lo guardano stupiti, mentre Pedru continua: Sembra che guardi al di sopra delle nostre teste e delle nostre miserie, questa limpressione che mi fa: che con questo mondo abbia poco a che fare Si chiama Violante, donna Violante, dice scuotendo la testa. una mia sensazione, mi sbaglier, sar perch sono vecchio e odoro pi di incenso che di vita, ma quella donna non sembra di questa terra. lei, per, ora ad imporre le tasse, comincia uno degli scampati. Un quarto del pescato va al suo Castello, aggiunge un altro. Vive in un castello, lei. E noi nelle capanne Le nostre donne si rompono la schiena mattina e sera sui campi. I nostri bambini hanno fame e muoiono per le malattie. Hanno la pancia gonfia e il viso scavato. Pedru li mette a tacere tutti, e basta un gesto, le braccia protese verso di loro, i palmi aperti. Altrimenti quelli non si stancherebbero di dire e dire contro di lei, donna Violante, e contro il Padreterno Ma solo una tregua, perch si lamenta subito uno: Pedru, a volte non vi capiamo proprio. Siete sempre stato voi a farci discorsi di libert, gi alla peschiera. I vostri discorsi di libert respirati insieme al profumo del pesce. Ma ora, ora boh! Torniamo alle nostre case, fa un altro, hanno bisogno di noi. Lasciano Pedru solo, si incamminano verso casa, quegli uomini, un tempo rapiti e ora tornati, e com111

mentano tra di loro che Pedru sta veramente diventando vecchio, e non pi lui. Anche il vecchio, per, rimasto solo, scuote la testa e cerca risposte dentro di s. Perch solo io sento tutto questo? Non riesco ad avercela con quella donna. E non certo perch bella. Sono vecchio per certe cose, ormai. E neanche perch quando parla ha quel modo cos cos nonsocome di muovere le mani e quella bocca, poi, non deve aver detto mai parole offensive a nessuno. Basta, Pedru. Che dici? Lo sapr il diavolo cosha quella donna *** I giorni successivi portarono cattive notizie dai confini. Un messaggero annunci pericoli da ponente, dallArborea. Violante controllate i confini. La giudicessa Eleonora vuole rompere la tregua. Occhio ai vostri Sardi, controllate gli spostamenti della gente, attenzione ai traditori. Cos mi mandava a dire il mio Re. Io, per, la mia decisione lavevo presa: tacere tutto ai funzionari. Far finta di niente. Che accadesse quello che doveva accadere. Maria mi confortava, mentre spazzolava i miei capelli lisci e lunghi: Povera signora. Quella, quella Eleonora, non riesce a starsene un giorno tranquilla. Si ribella alla potenza dAragona. Si comporta come un uomo. Ma sa, dicono che sia proprio brutta, magra come uno stecco, e coi baffi. Voi, oltre che buona, siete bellissima: questi ca112

pelli sembrano seta, e il nero degli abiti, poi, sta cos bene col vostro incarnato. Non sciupatevi con le ansie. Dite tutto ai vostri uomini, loro hanno lanimo da soldati, loro penseranno il da farsi. Quelli? Quelli, per carit! Non mi hanno accettata. Scattai come se mi avesse punto la tarantola. Non vogliono una donna al di sopra di loro, a comandare. Ed io lo vedo, sai? Dal loro sguardo bovino e indagatore, dal sorriso beffardo, perfino dal dondolio provocatorio delle loro pance enormi. Dentro di me urlavo di rabbia, o forse addirittura farneticavo che se avessi avuto il marito, magari avrebbe potuto fare lui quello che a me non importava di fare, e invece: uno morto, cos, se nera andato via e laltro, non se ne parli neanche, uno che un giorno si era messo un saio, si era rasato il capo ed era finito in un cenobio in chiss quale parte della terra cos, per lo meno, mi aveva raccontato la regina Sibilla - ed io, invece, ero l, a non dir nulla, a restare sola col mio delirio, a morire dentro, e gli altri a vedermi ancora viva e bella anche, e quel Re mi credeva perfino capace di comandare Basta Maria! Ripresi con voce concitata, io non comunicher niente a nessuno, e tu taci. Zitta, devi solo stare zitta. Nessuno sapr, sono sicura che intanto non succeder niente di grave. Tacciamo. I muri avevano orecchie, per, e orecchie infide. Era bastato un luccichio di moneta per corrompere la fragile fedelt delle serve, cos come basta un fruscio di gonnelle, a volte, per corrompere lintegrit di un debole gentiluomo.
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Ed io continuavo a cercare conforto nella preghiera. Andavo sempre pi spesso, da sola, quasi di nascosto, nella mia chiesetta. Un giorno, per, accadde qualcosa di insolito Me ne andavo, sola, tutta raccolta in me stessa, verso la chiesa, pestando appositamente le foglie secche perch il rumore mi facesse compagnia. Ma un altro rumore super il crocchiare delle foglie, come se qualcuno fosse appostato dietro i cespugli. In un primo momento tentai di affrettare i passi. Presi in mano il mio rosario, per cercare coraggio. Eccola l, mi dicevo, a pochi metri, tra un po sar al sicuro. Ma una musica di flauto, intervallata da una filastrocca, inchiod i miei piedi al suolo. Le parole erano chiare e comprensibili: Dalle onde arriv una galea piena, hanno detto, di Saraceni. Ha portato ventata di morte per cinque soldati del Re. Il flauto interrompeva, di tanto in tanto, quelle crude parole. Io tesi il pi possibile le orecchie, per non perderne una di quelle parole. per, mia signora, la morte stavolta non era moresca. Vi erano Sardi dentro la barca
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un tempo rapiti e ora tornati Ancora il flauto e ancora veleno. Il pagano dOriente la morte ha preteso la morte di cinque soldati del Re. Ma Sardi son stati a sguainare le spade. Quei Sardi rapiti ed ora approdati. Restai l, impietrita, senza un filo di voce per gridare, per chiedere: chi che suona? Chi che canta? Il vile che aveva fatto la spia si guard bene dal farsi vedere, o aggiungere altro. Non mi recai pi nella mia chiesa. Veloce sulla cavallina, al Castello, con la faccia di pietra. Saraceni, vero?, mi dicevo: me lo sistemo io, adesso, quel vecchiaccio; lo sapevo che sapeva. Il giorno dopo il pescatore era al Castello, portato con la forza dalle guardie. Ai funzionari non avevo detto nulla, non mi era passato per la testa: me la dovevo vedere io, da sola, col vecchio. Quella faccia rugosa di fronte a me: Sono ai vostri piedi, signora, al vostro comando. Ma perch farmi prendere con le guardie? In nome del Re e del potere che mi ha conferito, gli dissi a muso duro, stupita della mia stessa reazione, io ordino, come e quando voglio, che un suddito ven115

ga prelevato con la forza e portato dinanzi a me, signora e padrona di queste terre. Tacete, pertanto, e abbassate lo sguardo. Negli occhi non volevo guardarlo, no. E continuai: E cos erano Saraceni, vero? Le navi erano piene di Saraceni! O piuttosto di questa vostra razza di servi? Eh? Traditori che non siete altro. E tu, che non hai avuto rispetto neanche per la tua barba bianca, sei stato al loro gioco. Tu sapevi chi aveva ucciso i soldati. Tu sapevi chi cera dentro quella nave saracena! E hai mentito. Hai mentito alla tua signora. Non dovevi fare questo: mentire proprio a me, tu. Ma la tua padrona, ora, ha la tua vita nelle sue mani, e quella dei tuoi compagni. Tutti sapevate e tutti pagherete. Tu per primo. La razza di servi e di Caini, per, come sempre avviene tra i malvagi, ha nel suo seno traditori e serpi. Uno di voi ha scoperto il vostro piano di menzogne: ha parlato, ha spiato, ha cantato il tradimento. Da domani rider io, quando vedr il sangue scorrere sulle schiene dei tuoi compari, per le frustate e le torture. Colostrai risuoner per i pianti e le urla di dolore arriveranno sino alle terre dOriente e il pagano ne godr. Signora, invocava quello con la bocca senza denti, che era uno sfacelo, vi prego, non posso credere che simili malvagit riescano a soddisfare il vostro nobile animo. Vi siete permesso di prendervi gioco di me, rincaravo io, ed ora, in nome del Re ed in nome di Dio, giustizia sar fatta. Ma ricominci a parlare, il pescatore, con una voce la pi calda, la pi suadente: Prendete la mia vita, piuttosto. Solo la mia. Io sono
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vecchio, ormai, e ho patito abbastanza. Ma gli altri, gli altri sono tornati alle loro mogli, ai loro figli, in quelle misere capanne, sfidando Saraceni e mare. Perfino il Moro si impietosito, perfino il rinnegatore di Dio. E voi, che siete una donna, come potete non capire? E il traditore, se ha davvero cantato, so io chi pu essere. Non pu essere che lui, quel dannato, lo storpio del villaggio che, con lusinghe, il flauto e la violenza, si introduceva nei letti delle mogli e delle figlie dei poveri rapiti dai Saraceni. E aggiunse il vecchio Pedru: Io, io chiedo la clemenza per i giovani che non hanno saputo accettare la malasorte e sono stati costretti a venire a patti coi nemici di Dio. La giovinezza una brutta bestia, sapete? Fa attaccare gli animi alle cose terrene, allinganno dellamore e alle donne. Perch non comprendete? Tacque quel vecchio. E riabbass lo sguardo. E tremava. Ma chi era per parlarmi cos? Lo mandai via di malo modo, fuori dal Castello. Ma poco pass che la solita voce di Felipe mi inond tutta: non sapevo pi se il pescatore fosse ancora l, se fosse ancora l a parlare Solo quella voce, di Felipe, mi scaldava il cuore: Viola, mia cara. Calma. Ricorda ci che ti dissi un tempo: le parole del pescatore ascoltale. A chi giova il sangue? A chi giovano le grida dei torturati? Ce n abbastanza e i lamenti giungono fin qui, dalle prigioni di Espagna. Vuoi che altre ne salgano? Sarebbero grida di poveri disgraziati, la cui unica colpa stata di aver desiderato mogli e figli. Perch dici di voler far giustizia in nome del
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Re e in nome di Dio? Iddio, mia cara Violante, non pare si occupi di queste cose e, quanto al Re in tutta lisola vorrebbe sentire solo il ragliare degli asini, far tacere le teste e le bocche affamate. Ricorda, Violante, qualunque cosa tu dica o faccia, se la porter via il vento. La Storia, mai dir di te. Temi la vergogna? Il disonore? Di fronte a chi? Il sangue non disseta, mia Viola, ricordalo Ogni volta era cos Felipe. Appariva, parlava, sgridava, sentenziava e poi via mi lasciava nella disperazione, disorientata pi che mai. Nel frattempo, don Ignazio mi aveva spiata e, accesa la sua fantasia pi che mai, si era precipitato dai suoi pari a sfoggiare il suo ioschesocose. Ho visto cose, signori, ho sentito cose, signori La nostra contessa e il vecchio pescatore di stagno faccia a faccia e gli occhi sempre pi bovini. Confabulavano i due e il naso sempre pi rosso, ansimava, e poi, dovete sapere che la galea saracena non era saracena Come? Come? insistevano gli altri con occhi lunghi a carpire notizie. Questa mattina, riprendeva don Ignazio, reggendosi la pancia con le mani, stato portato qui con le guardie, e e ha parlato da solo con lei. Bene io, sapete, linteresse il dovere di sapere insomma, Signori ho spiato. E cosa avete visto? E cosa avete sentito? urlava la morbosit dei presenti. Sentito e visto cose! Parlavano i due: fitto fitto. Pare che non siano stati i Saraceni a rapire, ma gli stessi Sardi
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Cosa? Gli stessi Sardi? Como es posible? Tremava la voce in gola al vecchio don Ignazio: E poi, lei, rimasta sola, cos, occhi sbarrati, e abbandonata! Sembrava parlare con qualcuno che non cera pareva, pareva parlasse col Maligno! Ecco, col Maligno. Era scomposta? chiese uno. Lo avevo immaginato, io, disse un altro. Cosa diceva? un altro ancora. Era scomposta? sempre la stessa bava. In quali mani, in quali mani una contessa che parla a tu per tu con un servo! Che ci nasconde i messaggi del Re, che ci nasconde la verit sul rapimento delle nostre guardie signori, troppo grave! Il feudo in pericolo. Siamo nelle mani di una Avvisiamo Callr, fu il coro; Avvisiamo Callr, tutti daccordo. Un messaggio sia subito inviato! E aspettiamo le decisioni della Corona. E lo fecero davvero. E quel messaggio arriv a Cagliari. Al Castello di Cagliari. Due uomini a commentarlo: don Paolo e don Federico. In una giornata di quelle Si era in un novembre che non ne voleva sapere di piovere. I due, seduti luno di fronte allaltro, in alte seggiole, si scambiavano opinioni sul tempo, cos come fanno tutti quelli che credono di essere vivi. Si guardavano e parlavano a turno che non ne voleva sapere di buttare gi acqua, quellanno che quel119

lafa era come una cappa opprimente sulla citt che in quella citt di merda, gialla dargilla, anche i muri delle case sembrava avessero sete, e crepe e crepe come bocche a cercare ristoro e ancora, che non se ne poteva pi di quel vento l, e che fiaccava, quel levante pieno di umidit senza pioggia, che ti gonfia le ginocchia Il messaggio venne consegnato al pi autorevole. Don Federico lo lesse e rilesse, e sgran gli occhi: Notizie da Quirra, don Paolo, fresche fresche e succulente. Davvero? chiese laltro. Ravvivate un po questa giornata umida e ventosa, don Federico, che mi fa sentire col cuore scuro. Quali notizie dallInterno? Dunque dunque Non molto chiaro Cose sospette a Quirra rapimento Sardi, no, Saraceni, ma la nave con Sardi E chi ci capisce qualcosa? Per per aspettate. Ecco qui, in questo punto si dice che che la contessa stata vista, tutta rapita, parlare, nientemeno che col Maligno Ma, aspettate, Don Federico: non erano forse queste le voci che circolavano sul conto di quella donna prima che mettesse piede in questisola? Eh? Che ne dite? Non sar che il Re lha spedita qua da noi per questo motivo? Per disperdere dalla Corte di Barcelona anche il minimo sospetto di fumi eretici? possibile, don Paolo, non ci avevo pensato prima, ma possibile. Per ci mancava pure questo una donna, don Federico, perle di sudore sulla sua fronte, quindi una bruja. Il diavolo suo amico. Proprio oggi, per, con questo vento di levante, questa notizia non sono tranquillo, don Federico, non sono tranquillo. Questo vento che viene dal mare, don Paolo, e ar120

riva dritto dritto dai paesi dei Mori e sembra, infatti, proprio lalito di Satana e dei suoi compari. Mandiamo un messaggio direttamente al Re, si dissero quei due, s, mandiamolo.

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Don Paolo, imprecando contro il clima della Sardegna, non fece neanche in tempo a chiedere perdono dei suoi peccati che una brutta febbre malarica, dopo avergli bruciato la fronte, se lo port via. Laltro, quel don Federico, pensando che il diavolo era nel Castello di Quirra, quindi lontano da lui, si tranquillizz e non fece nulla. Trascorse quel lungo inverno, interminabile come una malannata, attaccato al braciere parlando ai fumi e al rossore dei tizzoni come se don Paolo fosse ancora l. Nessun messaggio arriv in Spagna. Nel frattempo, per, i miei uomini attendevano risposte autorevoli, continuando a spiare a pi non posso quanto potevano spiare. E ricordo quella sera, quella volta delle torce e dellasino. Una sera, fin dallalto del Castello, si vedevano tante luci gi nella valle battuta dalla tramontana. Fiaccole e gente che consumava un rito antico: il rito della vendetta. Uomini infuriati facevano un gran baccano per smuovere un asino. Arr, ai, dagli col bastone a quellasino. Che corra lontano da qui.
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Avevano legato sulla bestia un uomo mezzo nudo uno straccio a coprirgli le vergogne - con la faccia rivolta al di dietro dellasino, che, quando spaventato fa puzze a non finire. E poi spingevano la bestia, a colpi di qualunque cosa gli capitasse in mano, per farla correre lontano, verso il nulla. Donne che parevano ancora pi arrabbiate lanciavano maledizioni ancestrali: Via storpio bastardo. Brutto come il peccato e pure traditore. Ti spolpino gli spiriti del bosco. Ti rincorra la tentazione. Li volevi adesso i tuoi calzoni che abbiamo appeso sulla pianta di fico pi alta e pi vecchia! Lasino, sollecitato a pi non posso da tutta quella gente infuriata, finalmente part scattando. Ai. Ai a su molenti. Vai come il fumo, brutto traditore. Come il fumo, quando soffia tramontana. Sembravano impazziti, tutti, uomini e donne. Delle furie. Si erano vendicati di quello col flauto, dello spione col flauto, si erano vendicati come i loro antichi, per proteggere la comunit dai traditori. Su quello storpio avevano riversato rabbie antiche. Maria, eccitata da tutto quello che aveva visto, si rivolse verso di me. Mi fiss. Sembrava illuminata. Con occhi di fuoco fece: Si sono vendicati, mia signora, loro. Ora tocca a voi la giustizia. Ora tocca a voi. Li avete minacciati gi una volta, ora fate giustizia. Abbassai lo sguardo. Nel mettermi a letto, quella notte, speravo tanto di
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rivedere nel sogno larcangelo Michele che mi aveva indicato la strada dove scappare, tempo prima. Non avrebbe potuto indirizzare la sua spada di fuoco, anche questa volta, verso chissdove? Ma il sonno non mi regal nessun angelo, n arcangeli. Alcuni giorni dopo, don Ignazio venne a chiedermi se concedessi un po del mio tempo per ascoltare i funzionari. Acchiappata. Nella rete. Non potei pi sottrarmi. Feci s con la testa. *** Il salone viene approntato come per una seduta ufficiale e solenne. Il grande tavolo ovale al centro e intorno tante seggiole con lo schienale di cuoio e i braccioli di legno: tante quanti sono i dignitari, gente spedita in terra di conquista dalla Catalogna, con promessa di benefici e prebende e potere. Gente, quindi, assetata di benefici, prebende e potere. Al servizio del Re e, sotto di lui, del grande feudatario. Ed eccoli l, ritti sulle seggiole, con le mani incrociate, a protezione delle loro pance. Con un occhio guardano verso di me, ma i loro corpi sono rivolti verso don Ignazio, il castellano che, infatti, comincia a parlare. suadente la sua voce e piagnucolosa. Sarebbe arrivata una donna, qui al Castello. Una nobildonna. Per quanto sorpresi e perplessi, eravamo felici nellattendervi. Siete arrivata voi, donna Violante e avete portato una ventata di grazia femminile, di gio125

vent Ecco, ci dicevamo, faremo di tutto per ridarle il sorriso, perch il distacco dalla corte della regina non le pesi tanto, qui, sul monte Ci sentivamo lusingati, emozionati: poter essere i consiglieri di una feudataria! Pensate: potervi ammirare mentre girate per queste terre, popolate di gente brutta, sporca, rozza, servi, che contrasta con questo splendido cielo Io comincio ad agitarmi sulla seggiola, non so dove voglia infilarsi la volpe Ecco, voi, nobildonna dAragona, nostra padrona e signora, a dominare su tutto, bella quanto questo cielo, fresca come un ruscello. Credevamo eravamo convinti che avreste avuto bisogno continuo di noi, dei nostri suggerimenti, della nostra esperienza la voce sempre pi mielosa, noi, che siamo uomini e nobiluomini, avremmo certamente fugato ogni vostra preoccupazione, vi avremmo permesso di dedicarvi a tutto ci che pu far piacere ad una donna. E saremmo stati pronti a scortarvi fino a Callr, gi in citt, ad un vostro appena accennato desiderio di compagnia degna di voi, del vostro rango Ho paura, sento che il miele sta per finire. Lo interrompo, e, con voce flebile gli chiedo cosa vuole ancora dire. Ebbene, donna Violante, e la voce si indurita, voi avete preferito chiudervi al mondo, non trattare con noi, solo con noi. Ci avete nascosto i messaggi del Re, ci avete nascosto la verit sullassalto della nave saracena, si infiamma sempre di pi, sul rapimento dei soldati nostri. Capite? nostri! Insomma e poi voi sapete bene qual il vostro segreto, quali sono le vostre trame Comincio a tremare tutta ma riesco a minacciare:
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Badate, don Ignazio, badate alle parole, non potete osare tanto A me a me non permettete tanto, riprende lui, col viso sanguigno, ma a quella carcassa senzanima del vecchio servo pescatore permettete ben altro, a quanto pare. Ah! Se il Re sapesse! A quel punto, gli altri, incoraggiati dal tono di sfida di don Ignazio, si voltano, come allunisono, tutti verso di me, con le loro pance, con le loro facce bavose, con gli occhi bovini: e i falsi saraceni? e il pericolo dallArborea? e il Maligno? Vogliamo la verit! Io grido solo: Basta! Poi, con un filo di voce, pur di sottrarmi a tutto quello, prometto che far giustizia contro i traditori. Carta e penna sigleranno la vostra giustizia e laccordo tra voi e noi. Riprende mellifluo, chinandosi verso di me, don Ignazio. E mentre parla ancora, un forte suono di campane a martello arriva alle orecchie di tutti: il suono arriva fin lass, portato dal vento del mare. Due tocchi ripetuti sconvolgono il mio cuore, rintronano nel mio cervello. Tutta la vallata pervasa da quel cupo rintocco annunciatore di morte. In bocca sento il sapore della beffa. E se quei rintocchi fossero per il vecchio? Con faccia stralunata e con la penna doca in mano, con la punta rivolta verso il cielo, chiedo cosa pu essere quel martellare. Don Ignazio mi risponde maligno:
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Qualcuno, gi a valle, avr tirato le cuoia, magari il vostro pescatore *** Salutavano Pedru i campanili di ogni villaggio. Pedru il vecchio pescatore. Era riuscito a sottrarsi alla mia vendetta e a sottrarre me a una ridicola giustizia. Poggiai la penna ancora gocciolante di inchiostro nero, mi sedetti comoda comoda sulla seggiola abbandonando la posizione rigida di pochi istanti prima. Incrociai anche io le mani sul grembo, mi guardai intorno e con voce pacata: Ebbene signori, io, donna Violante Carrz, feudataria di queste terre di Sardegna, ho deciso. Non firmer nessuna condanna. La vendetta non appaga il mio cuore, e io mi rifiuto. Non ho altro da aggiungere. I funzionari, sprizzando rabbia, abbandonarono il loro posto, con il cuore pieno di minacce, di minacce di vendetta. Rimasta sola, mi feci il segno della croce, e recitai un requiem per quella povera anima. Quel vecchio, che vecchio! Si era preso gioco di me, ancora una volta. *** Da quel giorno decisi. Fuori dal Castello: a scaldarmi finalmente di quella primavera ritardataria, a vedere ogni cosa, a cercare soprattutto rocce strane, di mille forme, come ce nerano tante in quei luoghi. E ogni roccia aveva la sua storia, la sua leggenda. Il palafrenie128

re che spesso mi scortava, fin dalla prima volta in cui mi aveva accompagnato alla piccola chiesa di mattoni rossi a valle, me ne raccontava in continuazione di quelle storie. Oppure andavo sola, sulla mia cavalla bionda e docilissima, dalla mattina fino al tramonto del sole. A volte godevo del saluto dei sudditi, quando, chini sui campi aridi, si levavano il cappello; ma troppe volte capitava di vederli scappare, quando mi vedevano arrivare. Aspettavano da un momento allaltro un bando di morte. La minaccia fatta a Pedru era corsa di bocca in bocca, e perfino chi viveva lontano da Colostrai temeva qualcosa. Cosa era successo al castello, nellultima riunione, nessuno sapeva. I funzionari, quella volta, si erano ben cuciti la bocca. La loro sconfitta rodeva solo le loro teste e le loro viscere. Erano stati bravi a tenere un segreto. Era il loro segreto! Un giorno mi trovai in aperta campagna. Era destate. Unestate resa pi calda da un vento di maestrale che portava fin l tutto il calore di una pianura afosa e arsa per gli incendi quellestate divampati pi a nord. Avevo fatto una cavalcata faticosa, che mi aveva fatto venire una gran sete. Mi guardai intorno e, un po in lontananza vidi una fontanella, vicina ad un abbeveratoio per bestie. Rimasi perplessa. La sete decise. Lasciai la cavallina dietro ad un poggio, ben nascosta e, impacciata dai miei pesanti e ingombranti vestiti, scesi a terra. Il contatto dei miei piedi col suolo fu molto doloroso: non avevo mai visto, n sentito tante spine in vita mia.
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Cespuglietti spinosi, con fiorellini viola chiaro: una distesa enorme; mi penetravano e mi pungevano i piedi, protetti soltanto da calzari leggeri, e le caviglie gi stanche per la posizione a cavallo. Ed io con quellarsura! Mi guardai intorno con fare prudente: non volevo essere certo riconosciuta da qualcuno. Ma le labbra erano proprio secche: ansiosa ma anche divertita, mi chinai alla canna della fontanella. Non ero abituata a simili situazioni. Cercare ristoro direttamente con la bocca ad una fonte campestre non era certo da nobildonna, tanto meno da nobildonna aragonese. Ma sorrisi alla sola idea di quella postura, china sul bordo basso dellabbeveratoio. E per la prima volta in quellisola riuscii a ridere di tutto e di me stessa, perch, insomma, il risultato fu che la finii tutta bagnata, riuscendo a mala pena a dissetarmi. E fu l che sentii delle voci scappai, mi acquattai dietro un cespuglio, il cuore in gola, senza quasi respirare per non rivelare la mia presenza. Il mio riparo era un grosso cespuglio di rosmarino, profumatissimo, e, per fortuna, senza spine. Le voci, che si avvicinavano sempre di pi, erano di donna: due donne. Avevano dei cesti sulla testa, forse avevano lavato i loro panni, o forse li stavano portando da qualche parte: non sapevo. Cercavano, comunque, ristoro alla stessa fonte da cui io mi ero dovuta allontanare bruscamente. Cercai di intravederne le fattezze: poggiavano per terra le ceste, si toglievano dalla testa il fazzoletto, avevano il viso accaldato. Mi chiedevo che et potessero avere. Non si capiva. I loro abiti scuri, marrone, sembravano pesanti, nonostante il caldo. Conversavano le due: le voci non erano allegre, pa130

reva si confidassero timori notturni. Ed io, con lorecchio teso, a sentire Non si pu vivere in questattesa. Il mio uomo, ogni notte, si sveglia di soprassalto, tutto sudato, con la faccia pi bianca di questi panni Anche il mio, Marianna, dice che sogna Saraceni, e poi soldati aragonesi che lo minacciano con la spada, e poi la nostra feudataria, e poi la forca, e allora caccia un urlo, si sveglia. Mi tormenta, tormentato, ed io non faccio che pregare. Se si potesse sapere cosa ci vuole riservare quella donna. Li perdoner? Far innalzare la forca? Ha minacciato un bando Da quel castello da mesi non arriva pi nessuna notizia Si interrogavano quelle donne, e avevano il viso segnato dalla fatica quotidiana. In quel momento, io non sentii pi le punture delle spine, non sentii pi il profumo di rosmarino. Capii che, senza volerlo, avevo inflitto la pena pi crudele: il silenzio. E lattesa. Se ne andarono cos come erano arrivate, nei loro panni marrone e pesanti, a capo chino, con il loro poco grave fardello di panni lavati o da lavare. La mia sete era sparita col sorriso. Rimontai sulla cavallina e mi avviai verso il colle che gi il cielo era scuro. Non rivolsi la parola a nessuno. Mi ritirai nelle mie stanze.

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Rivedo la mia vita passata. tutta sotto i miei occhi. Sono passati secoli, o chiss quanto, da allora. Ora, del castello, non sono rimaste che pietre, grosse pietre. come se la roccia, dovera stato innalzato, se lo fosse mangiato lentamente. Non c pi nessuno lass; forse, davvero, vi ha fatto il nido qualche aquila. E a valle a valle, solo campagna brulla, non pi case di contadini. Hanno vinto le spine: le pietre e le spine. rimasto il ruscello che scorre ai piedi del monte, ma non che un rivolo semisecco. La gente si concentrata vicino allo stagno, lungo il mare. come se si fosse voluta allontanare il pi possibile dalla rocca, temendo sempre un bando di morte. Vicino al castello e al suo ruscello, per, qualcosa rimasto. A sfida del tempo, si erge ancora, con i suoi mattoni rossi, con le finestrelle dai vetri colorati, la chiesetta: la mia chiesetta. In quel rosso di mattoni, in quei colori dei vetri sfumata la mia avventura, col profumo di terra bagnata.
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Ora che sono morta, rivedo tutto. Come in un sogno. come essere dentro ad un sogno.

Era un pomeriggio scuro e umido. Volevo scacciare la mia tristezza fuori da quel castello e non riuscirono a fermarmi neppure le insistenze di Maria di cui sempre meno cercavo la compagnia e che sempre meno mi capiva. Minacciava pioggia. Montai sulla mia cavallina bionda e la diressi a valle, verso la piccola chiesa dai mattoni rossi. La bestia era nervosa, ma sotto la mia mano ferma e calma, si avvi, decisa, verso la chiesa. Vi entrai col mio prezioso rosario tra le dita e mi misi a pregare. Al crocifisso, quel pomeriggio grigio, indirizzai le preghiere pi fervide. Pregai e pregai: unavemaria inanellata ad un paternoster e via via con gli amen, uno dietro laltro. Lasciai la chiesa che si era fatto tutto buio. Goccioloni pesanti venivano gi da quel cielo pauroso e nero: mi guardai intorno, non vedevo la cavalla. Presa dal panico, mi misi a correre, a cercarla: non sentii pi neanche la pioggia, avevo il viso in fiamme. A tratti mi pareva di sentire il respiro dellanimale. Andavo in quella direzione, mi sembrava vicino
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In quel momento mi arrivarono canti e musiche talmente dolci che mi fermai a cercare con lo sguardo la fonte di quella melodia. Ero ancora di fronte alla chiesa. Mi girai. Era tutta illuminata. Li vidi. Erano almeno una decina, tutti vestiti di bianco, di veli bianchi. Formavano un cerchio con le mani intrecciate che oscillavano seguendo la musica. Cantavano. Dalle loro labbra non uscivano parole distinte: la voce era una sola. Mi fermai, impietrita. Li guardai: mi passavano davanti come giravano in tondo: mi sembravano tutti uguali, cos nel canto, cos nellallegria. Ad un tratto, come ad un cenno dintesa, le loro mani si liberarono e permisero ad uno di loro di venirmi incontro. Unandatura trasognata sudavo sempre di pi dei baffetti chiari sul labbro superiore un sorriso aperto: il mio Felipe mi veniva incontro. Dolce compagna, disse, e il suono della sua voce era lo stesso del mio delirio. Qui sei in mezzo ai morti. Se vuoi, io posso salvarti. Entra, entra pure a ballare con noi, ma se vuoi andar via, canta queste parole e chino sul mio orecchio, tanto da farmi rabbrividire, mi recit una filastrocca. Cantate e ballate voi ch ora la festa vostra

Nella mia testa non cera pi nulla: non il castello, non una feudataria, niente di niente. Seguii Felipe, volevo sentire il suo contatto, che riposava nella memoria di fanciulla. I miei piedi toccavano appena il suolo e, con la mano che sfiorava quella di lui, mi fermai, lo guardai, gli sorrisi. Mi circondava la vita con un braccio. Il girotondo si era fermato. Tutti si erano rivolti verso di noi. Uno di loro si spost per farmi largo; mi sforzai di guardarlo in volto, per vedere chi potesse essere Lo riconobbi. Sorrise con indulgenza: era il vecchio Pedru. Diablo de viejo. Proprio accanto a me un altro sorriso mi tocc il cuore. Il volto: sconosciuto. Mi sussurr: Non c bene che sempre duri, n male che perduri. Anchio mi chiamavo Pietro, signora, Pietro de Aen. Avevo la vista annebbiata Avevo la vista annebbiata per lemozione. Non sapevo pi quanto avevo danzato con loro, e quando vidi che mi accerchiavano sempre di pi, mi prese paura e cominciai lentamente a cantare: Cantate e ballate voi ch ora la festa vostra Cercando nella memoria le parole finali della filastrocca, sollevai lo sguardo e incontrai quello di Felipe. Mi sorrise di un sorriso dolcissimo, invitante avvicin le sue labbra alle mie io smisi di cantare. Intrecciai la mia mano con la sua e la melodia fu su tutto e su tutti.

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Mille torce quella stessa notte furono accese al Castello. La ricerca fu lunga e faticosa, sotto la pioggia scrosciante. Ma di Violante nessuna traccia. Donna Violante Carrz, feudataria di una parte delle terre orientali dellisola di Sardegna non cera pi. Sparita. Nel nulla. Cos raccont il palafreniere a Maria, che consumava tutte le sue lacrime: Sotto il castello, c un corridoio lunghissimo che porta fino al mare. E dallaltra parte del monte ci sono delle grotte naturali. Domus de janas le chiamano: case di fate. Cosa? fate? streghe? dove sono? si disperava Maria. No, no, Maria, non c da aver paura. Non sono streghe cattive. No! Non fanno del male. Sono loro, invece, ad aver paura degli uomini. E allora? Allora? strillava laltra tra i singhiozzi, perch hanno fatto del male alla mia signora? Io so che non le hanno fatto del male Maria si calm tutta a quella rassicurazione e incoraggi il palafreniere - bast uno sguardo - a continua139

re a spiegare, se cerano spiegazioni, e a raccontare, visto che sapeva. Cap lo sguardo il palafreniere e non si fece pregare: Un tempo le fate erano come donne, come donne molto belle, ma piccole. La loro pelle, che non tollerava la forte luce del sole, era candida come la luna e la loro bellezza era tale che gli uomini le importunavano e davano loro la caccia in continuazione. Ma quelle detestavano il contatto umano. Quelle non si nutrivano come gli uomini, pare mangiassero solo petali di rose. Erano fate, insomma, mi segui? Maria annu, cullata dalle parole e dal racconto. Il palafreniere prosegu: Le fate, una sera dautunno, decisero che Basta! Basta con gli uomini. Si fecero trasportare dal vento, insieme alle foglie cadute dagli alberi, e il vento le adagi, alcune ai piedi dei monti, dove cercarono rifugio in piccole grotte naturali - quelle che gradiva tanto Donna Violante e sembrava volerci spiare dentro quando laccompagnavo Altre fate, invece, furono adagiate allingresso dei cunicoli sotterranei che stanno sempre sotto i castelli. E questo un castello, Maria. Maria fece s con la testa. Ebbene, si organizzarono in comunit, quelle delle grotte e quelle dei cunicoli. Tutte misero insieme le loro doti e i loro poteri. Filavano, tessevano e ricamavano gli scialli pi belli che mai si erano visti, con fili doro e dargento, color del sole e color della luna. Maria era di sale. Non si muoveva, quasi non respirava: per non perdere una parola del racconto e per non perdere il braccio di quelluomo che ora - solo ora se nera accorta - le circondava la vita. Gli occhi persi e il cuore in tumulto.
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Solo il loro telaio poteva tessere quei ricami meravigliosi. E gli uomini lo sapevano. Quindi tendevano mille trappole per catturarle e impadronirsi di quel magico strumento. E le fate si stancarono di essere sempre minacciate e ancora importunate e abbandonarono anche quelle grotte e quei cunicoli sotterranei. Sono andate via ormai da molto tempo, chiss dove Ma hanno lasciato il loro telaio doro, solo che prima di partire gli hanno fatto un incantesimo. Nessuno, dicono, da allora lo pu vedere il telaio. Solo loro, le fate - nel caso un giorno decidessero di tornare - e solo anime pure hanno occhi per vederlo. E quel telaio, cara la mia Maria, se mano di anima pura lo vede e sfiora, pff come per incanto, trasforma la persona in una jana. Ecco, questo deve essere accaduto a Donna Violante. Rasserenata dal destino felice della sua signora, Maria diede sfogo ad altre curiosit tutte umane: Ma erano proprio belle queste janas? E come erano belle? Se non fossi qui, accanto a me, e sentissi il tuo contatto e la tua morbidezza, direi direi che tu sei una di loro, perch sei proprio bella come una jana Cos raccontava il palafreniere, e Maria, catturata dal fascino del racconto, e vinta dal potere del suo abbraccio, affid a quelluomo stravagante tutte le notti che le restavano da vivere.

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La notizia della sparizione arriv, un bel po di tempo dopo, anche alla corte della regina Sibilla de Forti, dove fu commentata con particolari piccanti, piccantissimi. Avete sentito, donna Carmelita? Cosa sapete? Cosa sapete di donna Violante? Donna Ins, donna Ins che brutta storia. La regina Sibilla trepidante per quella l. Non fa che pregare. Le notizie che sono arrivate da quellisola dicono che pfff: si volatilizzata. Sparita nel nulla. Ma come possibile che una persona scompaia cos? Lei, la regina, solo lei ci crede a questa storia. Perch, donna Carmelita, sapete qualcosaltro? Dei marinai che sono sbarcati pochi giorni fa pare abbiano portato notizie nuovissime e inquietanti. Vero donna Maria? Eh! Su, non fatemi dire, non fatemi parlare. Lo dicevamo gi da tempo che quella l era una specie di Ma i marinai cosa hanno detto quei marinai che sono partiti da quellisola? Raccontate donna Maria, non fateci stare sulle spine. Lei lei se ne andava per i boschi a cavallo.
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A cavallo per i boschi? E con chi? Da sola diceva lei. Un pastore di capre pensate, un pastore di capre, pare che un giorno labbia trovata a terra, tramortita E allora? E allora? Pare labbia trascinata fino al suo ovile e lei, vi ricordate con quali occhi guardava gli uomini? Beh! Immaginate quello, a vedersi fissato in quel modo, un selvaggio senza fede in Dio e nella Vergine Maria insomma lha portata dentro una grotta e ne ha fatto quello che voleva. Oh! Ma allora! Poveretta mi fa quasi pena. Ih! Ih! Che pena e pena. Quei selvaggi che vivono nelle terre dove sorge il suo castello, dicono che lei, lei si data tutta a lui e alle sue voglie. E vive tra le capre, coperta di stracci per non farsi riconoscere. Ecco perch non la trovano Perch non vuole farsi trovare Conclusero in coro complice donna Carmelita de Jerez y Ortega, donna Ins de Perez y Esterra e donna Maria de Mariner y Gasset.

Anche presso gli stagni se ne parl per anni e anni, per generazioni di pescatori. Intorno al fuoco, nelle serate invernali, e durante lestate, al fresco, sotto il pergolato. Qualcuno la vide, quella sera, su una barca che scivolava a pelo dacqua. Era bellissima, vestita di bianco e coi capelli al vento. Di fronte a lei, remava, sorridente, un vecchio pescatore di stagno. Si chiamava Pedru. Uomo molto rispettato e amato da tutti. Uno di loro. L, su quella barca, con lei, non aveva pi tutti i suoi anni: era giovane, bello, coi capelli ricci, col volto senza rughe, e tutti i suoi denti erano candidi e luccicavano per lei, in un sorriso felice. La barca si dileguata tra le onde, come se le nuvole se la fossero ingoiata. Restavano incantati gli ascoltatori di quel racconto, e lo richiedevano in continuazione, mai stanchi di riascoltarlo. E quando era finita la storia, sguardi di ammirazio-

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ne andavano ad un giovane che, nei tratti, ricordava il vecchio del racconto. Ed era infatti un pronipote di Pedru che, fiero di un tal nonno, socchiudeva gli occhi e tirava con soddisfazione una boccata dalla pipa di radica.

Di storie ne son circolate sul conto di Donna Violante Carrz. Compresa la storia dei libri di Storia. Violante Carrz. Figlia di Berengario e di una sconosciuta. Nel 1383, il Re Pietro il Cerimonioso le riconobbe in feudo il contado di Quirra. Violante fu dama della Regina Sibilla de Forti. Spos Poncho de Senesterra, morto giovanissimo. In seconde nozze spos Berengario Bertran, della famiglia catalana dei signori di Gelida, il quale scomparve senza dare pi sue notizie. La verit? Intorno alle pietre e alle spine del castello, quando soffia il vento dal mare, pare che di notte si oda come una voce. Ma sono parole appena percettibili Qualunque cosa, cara la mia Viola, tu dica o faccia, se la porter via il vento.

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INDICE

INDICE

SI CHIAMA VIOLANTE
CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 CAPITOLO 3 CAPITOLO 4 CAPITOLO 5 CAPITOLO 6 CAPITOLO 7 11 55 61 73 79 103 123

Volumi pubblicati:

Tascabili . Narrativa
Grazia Deledda, Chiaroscuro Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto Grazia Deledda, Ferro e fuoco Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo Maria Giacobbe, Il mare (2a edizione) Sergio Atzeni, Il quinto passo laddio Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri Giulio Angioni, Loro di Fraus Antonio Cossu, Il riscatto Bachisio Zizi, Greggi dira Ernst Jnger, Terra sarda Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2a edizione) Luciano Marrocu, Fulas (2a edizione) Gianluca Floris, I maestri cantori D.H. Lawrence, Mare e Sardegna Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa Flavio Soriga, Diavoli di Nurai (2a edizione) Giorgio Todde, Lo stato delle anime Francesco Masala, Il parroco di Arasol Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (2a edizione) Salvatore Niffoi, Cristolu Giulio Angioni, Millantanni Luciano Marrocu, Debr Libans Giorgio Todde, La matta bestialit (2a edizione) Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri in giallo Marcello Fois, Materiali Maria Giacobbe, Diario di una maestrina Giuseppe Dess, Paese dombre Francesco Abate, Il cattivo cronista Gavino Ledda, Padre padrone Salvatore Niffoi, La sesta ora

Jack Kerouac, Lultima parola. In viaggio. Nel jazz Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale Giorgio Todde, Ei Luigi Pintor, Servabo Marcello Fois, Tamburini Francesco Abate, Ultima di campionato Patrick Chamoiseau, Texaco Luciano Marrocu, Scarpe rosse e tacchi a spillo Alberto Capitta, Creaturine Romano Ruju, Quel giorno a Buggerru

Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea

I Menhir
Salvatore Cambosu, Miele amaro Antonio Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina Giovanni Lilliu, La civilt dei sardi Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro contadino in Sardegna

In coedizione con Edizioni Frassinelli


Marcello Fois, Sempre caro Marcello Fois, Sangue dal cielo Giorgio Todde, Lo stato delle anime Marcello Fois, Laltro mondo Giorgio Todde, Paura e carne Giorgio Todde, Locchiata letale

Narrativa
Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito Marcello Fois, Nulla (2a edizione) Francesco Cucca, Muni rosa del Suf Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi Bachisio Zizi, Lettere da Orune Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto duninfanzia Giulio Angioni, Il gioco del mondo Aldo Tanchis, Pesi leggeri Maria Giacobbe, Scenari desilio. Quindici parabole Giulia Clarkson, La citt dacqua Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti Mariangela Sedda, Oltremare Rossana Copez, Si chiama Violante

Poesia
Giovanni Dettori, Amarante Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde il secondo Gigi Dess, Il disegno Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole

Saggistica
Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in Pascale Dessanai

FuoriCollana
Salvatore Cambosu, I racconti Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre

Finito di stampare nel mese di settembre 2004 dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE

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