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Compendio della Somma Teologica


di S. Tommaso DAquino

Storia dItalia Einaudi

Edizione di riferimento: Compendio della Somma Teologica, a cura di Sac. Dott. G. Dal Sasso, Libreria Gregoriana Editrice, Padova 1923

Storia dItalia Einaudi

II

Sommario
Parte prima Parte seconda Sez. Prima Sez. Seconda Parte terza Supplementi 1 87 87 154 281 379

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III

PARTE PRIMA

Quest. 1. Scienza sacra rivelata. 1. Una dottrina rivelata necessaria a ciascun uomo per saper giungere al suo fine, che Dio, il quale, essendo infinito, supera la naturale capacit delluomo. Per le cose poi che non superano la capacit umana, trattandosi di fine supremo, affinch nessuno sbagli, ma invece le cose di Dio siano note a tutti, subito e con certezza, una dottrina rivelata necessaria allumana societ intiera. 2. Questa dottrina rivelata o Teologia scienza, poich forma un sistema di dottrine derivate da principii certi, perch da Dio rivelati; come lo la Geometria, che scienza, perch parte da principii certi: 3. e nella sua moltiplicit ha unit, perch la costituisce tutto e solo ci che rivelato. 4. La Teologia tratta direttamente delle cose divine e, per riflesso, anche degli atti umani, perci scienza pi speculativa che pratica. 5. Tale suo oggetto il pi nobile di tutti, essa perci la scienza pi nobile. 6. Anzi essa non solo scienza, ma sapienza, perch lo studio delle cose pi alte sapienza. 7. Dio, punto di partenza e di riferimento, il soggetto della Teologia. 8. La Teologia, che adopera senza discussione le prove della rivelazione, adopera anche argomenti di ragione. Essa infatti disputa con quelli che ammettono qualche cosa in base a ci che ammettono; confuta quelli che nulla ammettono sciogliendo le loro obiezioni. 9. Luomo ricava le cognizioni intellettuali dalle cose sensibili, e anche la Scrittura, che contiene la rivelazione, fa uso di metafore.

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10. Autore della Scrittura Dio, il cui intelletto infinito, perci le frasi della Scrittura hanno pi sensi: il senso letterale e un triplice senso spirituale, cio lallegorico per la fede, il morale per le opere, lanagogico per la vita futura.

Quest. 2. Esistenza di Dio. 1. Questa proposizione: Dio esiste vera, ma non evidente, questaltra: il tutto pi di una parte vera ed evidente; di questa infatti conosciamo il valore dei due termini: tutto e parte; della prima invece si sa cosa sia esistere, ma non si sa universalmente cosa sia Dio, bench di Dio sia proprio lesistere: necessario quindi farne la dimostrazione, 2. e la dimostrazione si pu fare da ci che di Dio ci pi noto, cio dagli effetti di cui causa. 3. Si fa poi la dimostrazione in 5 maniere: a) evidente nel mondo una continua mutazione; molte cose sono in moto, ma nessuna si trova in moto se non vien mossa, perch niente passa da s dal poter essere qualche cosa allatto dessere quel qualche cosa. Un ferro freddo che pu diventar caldo non si d il calore da s, perch allora dovrebbe essere e freddo per diventar caldo e caldo per darsi il calore. Se tutto ci che si trova in moto vien mosso, non vale per retrocedere allinfinito, perch se ogni cosa intermedia singolarmente zero, zero allinfinito sempre zero. Bisogna ammettere un Primo Motore non mosso per non negare il moto intermedio e anche lultimo che evidente nel mondo. b) Ci che vediamo termine di una serie di cause efficienti; nessuna cosa poi causa di se stessa, perch allora dovrebbe non esistere per ricevere lesistenza e esistere per darsela. Retrocedere allinfinito con cause seconde negare la causa prima, ma negare anche le

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cause seconde, perch le cause seconde non ci sono senza la causa prima. c) Ci che si forma e poi si dissolve un contingente, cio esiste quando capita che esista; pu esistere e anche non esistere, ossia un possibile che una qualche volta non esiste pi e una volta non esistette ; tutti gli esseri che vediamo sono dei possibili, dunque una volta nulla esistette e anche ora nulla esisterebbe se non ci fosse stato chi non pu non esistere, lEnte necessario. d) Nelle cose c del bene e ce n pi o meno secondoch pi o meno ne fu loro partecipato da chi la fonte del Bene; c adunque chi il Bene in se stesso. e) Le creature prive di ragione hanno un istinto ragionatissimo: ci fu adunque chi cos le conform, cio il Sommo Intelletto.

Quest. 3. Semplicit di Dio. 1. Dio non corpo, perch: a) Il corpo muove se mosso Dio Motore Immobile; b) Il corpo, soggetto a mutazioni Dio Immutabile; c) Se il corpo meno nobile dello spirito, tanto meno sar corpo Dio, essere nobilissimo. 2. Materia ci di cui sono fatte le cose: Forma ci che d lessere proprio a ciascuna cosa. Orbene: Dio non composto di materia e di forma, perch, come si disse: I. non ha materia, non essendo corpo, II. non ha forma, perch a) una cosa che ha il suo essere dalla forma, un bene per la forma Dio invece il Bene in s. b) se una cosa ha il suo essere dalla forma, ha moto, cio agisce, per la forma Dio invece Principio del moto; quindi anzich avere forma, per s forma. 3. Quindi ancora: luomo, che composto di materia e di forma, ha lumanit, ma non lumanit; Dio che

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non composto di materia e forma, la Divinit; perci Dio la sua stessa essenza o natura. 4. Anzi in Dio essenza e esistenza lo stesso. Lesistenza quando distinta dallessenza, come nelluomo, sempre causata, perch nessuno produce se stesso, ma in Dio nulla vi di causato. Pi: lesistenza lessenza attuata, perci lessenza sola possibilit (potenza); lesistenza attuazione e realt (atto). Ma in Dio non c potenza quindi non c neppure essenza distinta dallesistenza. Infine, come gi dicemmo, se luomo ha lumanit, Dio la Divinit. 5. Dio non appartiene a nessun genere, perch il genere si concepisce prima delle cose che vi si ascrivono. Dio invece prima di ogni cosa anche secondo lintelletto. Dio non appartiene a nessuna specie, perch la specie risulta di genere e differenza specifica quasi di atto e potenza e questa in Dio non c. 6. In Dio non vi sono accidenti, perch questi completano il soggetto, Dio invece per nulla perfettibile, Dio puro atto. 7. Dio semplicissimo, I. non essendo composto, come si disse, n di parti materiali, n di materia e forma, n di essenza e esistenza, n di genere e differenza, n di soggetto e accidenti. II. non potendo essere composto, perch a) sarebbe posteriore e dipendente dai suoi componenti egli che lEnte Primo; b) ci dovrebbe essere anche per Dio una Causa congiungente i componenti, mentre egli Prima Causa; c) nei composti le parti, relativamente al tutto, sono in potenza e il tutto maggiore delle parti, invece Dio puro atto e in Dio tutto Dio. 8. Nessuna cosa pu essere composta di Dio quasi Dio fosse o lanima del mondo, o la forma o la materia delle cose, perch formando ununit col mondo cesserebbe di essere il Primo Ente, diverrebbe mutabile e anche si degraderebbe, divenendo inferiore al Composto.

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Quest. 4. Dio perfettissimo. 1. Dio perfettissimo, perch non materia, quindi nulla ha in potenza; primo principio attivo, quindi primo principio di ogni perfezione, la fonte di ogni perfezione. 2. Le cose tanto hanno di bene quanto hanno di essere e sono perfette se hanno il loro essere completo, ma questo lo hanno da Dio, il quale lo stesso essere; Dio quindi la stessa perfezione, e le perfezioni delle cose si trovano in Dio eminentemente; 3. questo tuttavia importa che le cose siano simili a Dio per analogia, non che siano dello stesso genere o specie di Dio.

Quest. 5. Cosa sia il Bene. 1. Le cose hanno tanto di bene, quanto hanno di essere, ma la ragione distingue il bene dallessere, chiamando bene ci che: ha lessere e inoltre lappetibilit; 2. Ne segue che per la ragione viene grinza lentit, poi lappetibilit, 3. ma che, essendo lentit atto e perfezione, ogni ente perci anche bene, eccetto lente matematico che di puro intelletto. 4. Il bene, essendo ci che tutti cercano, diviene causa finale. Bello importa: forma che desta ammirazione e si riferisce allintelletto; bene importa: forma che attrae e si riferisce alla volont; 5. e poich la costituzione di essa forma avviene: a) quando commisurandosi si attuano i preesistenti principio materiali o efficienti, b) nellunione di un dato numero di principi costitutivi, che ne determinano la specie, c) colla conseguente inclinazione alloperare suo proprio, cos la scrittura dice che Dio dispose ogni cosa in pondere, numero et mensura.

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6. Il bene in quanto attrae dilettevole, in quanto serve come mezzo utile, in quanto bene finale si chiama onesto, o conveniente.

Quest. 6. Dio il Bene. 1. Dio Bene, perch appetibile per tutti, giacch gli effetti tendono ad assimilarsi alla causa, e di ogni cosa Dio Causa; 2. Dio sommo Bene, perch Causa Prima, quindi fonte di ogni Bene particolare; e poich nessuna cosa nel genere di Dio, le perfezioni delle cose vi sono in Dio, ma in modo eminente. 3. Dio Bene per essenza, perch: 1) avendo lessere per natura ha la pienezza dellessere; 2) essendo immutabile, non si pu pensare che possa anche migliorare; 3) essendo ultimo fine, non pu esservi Bene maggiore, cui Dio serva di mezzo. 4. Ogni cosa buona di Bont divina, perch bene in quanto , e come tale ha Dio per suo principio esemplare, effettivo e finale; ogni cosa per ha una bont formale sua propria, distinta da quella di Dio, perch nessuna cosa ha in s lessere divino.

Quest. 7. Dio infinito. 1. Dio non Materia, che unendosi a una Forma viene determinata dalla Forma; non Forma, che unendosi a determinata Materia viene dalla Materia circoscritta; ma lo stesso Essere per s sussistente, quindi infinito: 2. gli altri esseri invece, appunto perch composti di materia e forma, sono finiti. Gli angeli stessi, che sono solo Forma e non Materia, sono finiti, perch hanno quella parte di essere che loro fu data da Dio.

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3. Ogni corpo finito a) secondo la essenza, perch la forma gli delimita la specie e la materia lo determina come individuo; b) secondo la grandezza, perch ogni corpo ha una superficie e questa limite. Questo va detto del corpo naturale, perch il corpo matematico non esiste se non nella mente di chi lo pensa. 4. Il numero reale, essendo esso la moltitudine misurata dallunit, non infinito; pu per esserlo il numero matematico, ossia del calcolo.

Quest. 8. Dio in ogni cosa. 1. Dove uno opera, l ; ma Dio opera in tutte le cose, dunque in tutte le cose. Come laria si illumina alla presenza del sole, e resta illuminata finch resta alla presenza del sole, cos le creature tutte hanno e conservano lessere in quanto dura in loro linflusso di chi lEssere essenziale. 2. Dio si trova in tutti i luoghi, perch li sostenta tutti col suo essere, e mentre per le cose una impedisce la presenza dellaltra, per Iddio la sua presenza che rende presenti le altre cose. 3. Dio Creatore di tutte le cose = in tutte per essenza. Dio impera a tutte le cose = in tutte per potenza. Dio conosce tutte le cose = in tutte per presenza. 4. Dio in ogni cosa, quindi dappertutto e, siccome Egli non corpo e perci non ha parti, tutto dappertutto, e questo proprio di Dio solo.

Quest. 9. Dio immutabile. 1. Dio il Primo Essere, quindi realt, atto, e la potenza, che allatto posteriore, non entra nellEnte Primo, Dio quindi solo atto, Atto Puro (3. 4).

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Se in lui non c potenza, nulla pu diventare e cos mutarsi. Dio quindi Immutabile; questo anche perch nelle mutazioni parte resta e parte va o si arriva dove prima non si era, mentre in Dio non ci sono parti e non c luogo dove gi non sia. 2. Tutte le altre cose sono mutabili: i corpi perch son corruttibili, e gli spiriti perch possono cessare di esistere se cos piace a chi li cre.

Quest. 10. Eternit di Dio. 1. Eternit : possesso della vita simultaneo, perfetto, senza principio e senza fine. Tempo : Somma di mutazioni computate fra un prima e un poi. 2. In Dio, immutabile e sempre eguale, non ci sono mutazioni, non quindi neppure possibile stabilire nella sua esistenza due punti distinti che servano da prima e da poi; a Dio quindi non comete il tempo, ma leternit. Come dappertutto e tutto dappertutto, cos sempre tutto, sempre eguale, 3. e poich ci appartiene allo stesso essere di Dio, leternit di essenza esclusiva di Dio; ogni altro essere non pu avere che uneternit impropria e participata. 4. Se leternit : totalit simultanea e tempo : mutazione con principio e fine, havvi tempo tanto che si possano calcolare le mutazioni senza saperne fissare il principio e la fine, come degli astri; quanto che il principio o il fine sia anche solo possibile come degli spiriti angelici medesimi. 5. Degli astri, che hanno una mutazione in atto aggiunta allesistenza e degli Angeli, che la hanno in potenza, proprio levo.

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Quest. 11. Uno solo Dio. 1. Unit il contrario di divisione. Un essere semplice, cio senza parti, sempre uno. Un essere che ha parti uno finch non in parti diviso. 2. Unit anche il contrario di moltitudine, perch il principio e anche la misura della moltitudine. 3. Se Socrate fosse non un uomo, ma luomo, ci sarebbe un solo Socrate e un solo uomo, questa cosa che non propria di Socrate propria di Dio, perch Dio la sua natura; dunque c un Dio solo. Inoltre: Dio ha tutte le perfezioni, ma se ci fossero pi Dei si distinguerebbero fra loro per qualche perfezione o prerogativa che uno ha e allaltro manca, per cos nessuno sarebbe perfettissimo, nessuno sarebbe Dio non pu esservi quindi che un Dio solo. Infine: Il mondo nel sua ordine ha carattere di unit, ne quindi creatore e conservatore un Dio solo. 4. Lunit compete allente indiviso; ma Dio in grado massimo Ente, perch lo stesso essere: e in grado massimo Indiviso, perch semplicissimo, non ha e non pu avere parti, dunque lunit compete a Dio in grado massimo.

Quest. 12. Come conosciamo Dio. 1. Se ogni essere tanto pi perfetto quanto pi si avvicina al suo principio, anche per la creatura ragionevole la perfezione dellessere non potr consistere e trovarsi che in chi le principio dellessere, cio in Dio. Orbene, avendo luomo come distintivo di natura lintelletto e essendo Dio intelligibile, perch Ente semplice, (anzi sommamente intelligibile perch in sommo grado Ente e in sommo grado semplice), luomo sar perfetto quando fisser lintelletto in Dio; e chi gi perfetto, come sono i Santi, certamente vede Dio. Ma come?

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2. Allatto di conoscere occorre che ci sia nel soggetto la facolt conoscitiva e che loggetto, mediante la sua imagine, a lui sunisca. Nel caso nostro Dio, mentre ad un tempo il principio della facolt intellettiva e anche loggetto della visione intellettiva, non , per lEssere suo Infinito, riducibile a unimagine. Per lunione quindi dellintelletto a Dio occorre una conformazione a Dio della nostra facolt intellettiva, cio il lume di gloria. 3. Collocchio per o colla fantasia non si raggiunge Dio, perch occhio e fantasia sono materiali e Dio essere spirituale. 4. Nella cognizione naturale le cose sono conosciute conformemente alla natura del conoscente: luomo percepisce le nature individuate nella materia e, colla astrazione dellintelletto, le conosce anche in universale; gli angeli percepiscono le nature non materiali, ma la natura di Dio al di sopra anche di queste, essendo sussistente per s, perci di cognizione naturale la conosce Dio solo. 5. e lintelletto creato per conoscerla abbisogna di un aumento della forza intellettiva, laumento si chiama illuminazione, e Dio il lume, che fa diventare a lui simili, cio Deiformi. 6. Questo lume di gloria Dio lo d come premio proporzionato alla Carit di ciascuno, e uno ne avr pi dellaltro. 7. Dio si comprende quando si conosce perfettamente, cio quanto conoscibile; ma Dio infinito infinitamente conoscibile, mentre lintelletto creato, cui si applica il lume di gloria, finito, dunque Dio gli resta incomprensibile. 8. E per questo nellaltra vita, bench le cose si vedano in Dio, lintelletto creato non pu conoscere in Dio tutte le cose, tutto quello cio che Dio fa e pu fare; 9. le cose, vedendosi nellessenza divina, si vedono nelle loro nature, non nelle loro immagini:

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10. e si vedono tutte contemporaneamente come in un campo visivo, (pi o meno ampio in proporzione al lume di gloria), che viene presentato. 11. Quaggi abbiamo un essere spirituale in materia corporale, a ci si conforma la nostra cognizione; conosciamo cio attraverso la materia; ma conoscere Dio nelle creature non mai vedere lessenza di Dio; dunque in questa vita nessuno pu vedere Dio. 12. Per attraverso le cose materiali possiamo conoscere che queste sono effetto, che Dio ne la causa, che questa causa esiste e che ne derivano parecchie relazioni. 13. Alla cognizione nostra concorrono la forza della mente e le imagini mentali; Dio pu rafforzare luna e infondere le altre, come avviene nei profeti e cos per grazia si pu avere una pi alta cognizione delle cose di Dio.

Quest. 13. Nomi di Dio. 1. Le parole sono segni delle idee, le idee sono imagini intellettuali delle cose. A Dio, che conosciamo dalle creature, attribuiamo nomi ricavati dalle creature, ma essi non esprimono mai lessenza divina, qual in s. 2. I nomi di Dio relativi, come Creatore e i negativi come Infinito indicano di Dio o relazione o rimozione di difetto, ma non la sua sostanza; i nomi positivi, come buono la indicano, per imperfettamente e nel senso, per esempio, che ci che diciamo bont nelle creature preesiste in Dio e cos sono nomi sostantivi, 3. e spettano a Dio in senso proprio, eccetto che nel loro contenuto di modo di essere, il quale resta per le creature; 4. i varii nomi non sono mai sinonimi, perch sempre un unico principio semplice bens, ma che risponde alle diverse perfezioni delle creature e ai molteplici concetti della nostra mente:

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5. ma, data la infinita Perfezione di Dio, non hanno in Dio lo stesso significato che nelluomo; rappresentano s Dio, ma solo in qualche modo; sono perci n equivoci, n univoci, ma analogici. 7. Dio sopra lordine del Creato; le creature sono ordinate a Dio, non Dio alle creature, perci relazione reale c fra le creature e Dio, ma non viceversa; ed in questo senso che i nomi relativi, come Creatore appartengono da dopo che c il tempo a Dio, che eterno. 8. Col nome di Dio tutti intendono chi presiede alluniverso quindi la parola Dio per s rappresenta unoperazione divina, ma diretta a designare la natura divina. 9. E poich la natura divina non comunicabile, cos in senso proprio non comunicabile nemmeno il nome Dio, e tanto meno sarebbe comunicabile il nome proprio del vero Dio. 10. Il nome proprio del vero Dio Jehova (colui che ), perch a) indica che di Dio proprio esistere, cosicch lesistenza forma la sua essenza; e appunto i nomi propri devono indicare lessenza, b) il nome che abbraccia il pi possibile di Dio, cio lessere che infinito; c) perch col verbo (presente) esclude il passato e il futuro e designa leternit, che esclusiva di Dio.

Quest. 14. Scienza in Dio. 1. La conoscenza in proporzione della immaterialit. La pianta nulla conosce; luomo molto; lAngelo molto di pi, Dio, che perfettamente immateriale, ha una scienza perfetta. 2. Luomo pu conoscere; conosce poi in atto, quando una cosa gli si fa presente colla sua imagine intelligibile: orbene Dio che, solo, sempre in atto e di intendere e di esistere, non pu avere che se medesimo, come oggetto intelligibile di se stesso, adeguato e sempre presente; Dio perci conosce s in se stesso;

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3. e, perch sempre cos in atto, perfettamente conoscibile a se stesso perfettamente conoscente; perci conprende se stesso, cio conosce totalmente tutto s stesso. 4. E poich cos in Dio: conoscente, conosciuto e mezzo di conoscere tuttuno, il suo intendere la sua sostanza stessa. 5. Conoscendosi perfettamente, Dio conosce anche ci a cui pu estendersi la sua virt, conosce quindi tutte le cose, essendone la causa. 6. Conoscendosi perfettamente, Dio conosce anche quanto partecipabile dalle cose, conosce perci in se stesso ogni cosa con cognizione non generica, ma distinta e propria; 7. e in se stesso vede anche le cose tutte insieme, mentre luomo conosce le cose una dopo laltra, con scienza discursiva. 8. In Dio conoscere, volere, essere tuttuno; si pu dire quindi che in Dio la conoscenza delle cose causa delle cose e che le cose esistono in quanto Dio le conosce e non gi che Dio le conosce perch esistono. 9. Dio sa tutto quello che pu fare lui e anche quello che possono fare, dire, pensare le creature; e siccome Dio eterno e per lui tutto presente quello che o presente, o fu, o sar, si dice che Dio lo vede (scienza di visione): quello che non presente e neppur fu o sar, ma resta soltanto possibile, si dice che Dio lo intende (scienza di semplice intelligenza). 10. E, conoscendo il bene, Dio conosce anche il male, che o corruzione del bene o mancanza del bene. 11. Bench le essenze delle cose siano universali, unendosi alla materia formano tante cose particolari e Dio le conosce tutte; perch le cose hanno da Dio lessenza, e anche la materia. 12. Conoscendo Dio tutto quello che , e tutto quello che possibile sia da parte di Dio sia da parte delle

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creature, si deve dire che Dio colla stessa scienza di visione vede cose infinite; p. es. i pensieri e gli affetti che scaturiranno in infinito dagli esseri intelligenti che sono immortali. 13. A Dio eterno tutto presente. Cos dallalto di un osservatorio in capo a una via vi si vedono contemporaneamente tutti i passeggieri, i quali invece per chi gi nella via, a una finestra sono parte passati, parte presenti, parte ancor da venire. Anche ci che sar, ma che non ha necessit di esistere, cio il futuro contingente, che legato a cause impedibili, in quanto sar, per Iddio come presente; inoltre esso conosciuto da Dio infallibilmente, perch conosciuto nelle sue cause, ed anche in se, mentre per noi solo congetturabile, perch conoscibile solo nelle cause, e queste sono impedibili. 14. Dio conoscendo la forza di ciascun intelletto, conosce anche tutto ci che pu essere pensato e detto da ognuno, conosce gli enunziabili. 15. In Dio la conoscenza delle cose non dipende dalle cose, essendo essa la sua stessa sostanza, e come questa immutabile, anche la scienza immutabile in Dio. 16. In Dio essere, conoscere, volere tuttuno, quindi la conoscenza che Dio ha delle cose si pu dire la causa delle cose; cos tale scienza di Dio speculativa e anche pratica, cio operativa.

Quest. 15. Idee in Dio 1. Le cose procedono da Dio quanto alla forma o essenza e quanto alla materia; Dio non ha fatto le cose a caso, quindi le forme o essenze prima che nelle cose cerano nella mente di Dio, cerano in Dio le idee delle cose. 2. E ce nerano tante quante dovevano essere le cose, n ci contro la semplicit di Dio, perch esse sono in Dio in quanto Dio conosce direttamente la sua essenza per tanti modi participabile dalle creature, e tali idee,

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essendo nella mente di Dio, sono unappartenenza di Dio e sono con Dio eterne e immutabili. 3. Idea si prende come esemplare, ossia principio di esecuzione di ci che vien fatto e come ragione, ossia principio di cognizione di ci che si conosce; cos in Dio c lidea di ogni cosa, anche di lui stesso, o come esemplare o come ragione.

Quest. 16. La verit. 1. Verit dice ordine allintelletto. Nel volere la volont che tende alla cosa perci la Bont nella cosa; nel conoscere invece la cosa che va allintelletto, dunque la verit propriamente nellintelletto; ma come per la cosa si dice buona anche la volont, cos per lintelletto si dice vera anche la cosa. Verit nelle cose se corrispondono allidea di chi ne fu lartefice; verit nellintelletto conoscente, se si conforma alla cosa sconosciuta. Verit quindi conformit fra intelletto e cosa. 2. Verit nella cosa se conforme alla sua natura; verit nella cognizione dellintelletto, se si conforma alla cosa; ma la conoscenza della verit appartiene allintelletto che forma il giudizio se cio la cognizione si o no conforme alla cosa, e qui sta propriamente la verit. 3. Una stessa cosa si dice vera in rapporto allintelletto e in rapporto allappetito si dice buona: ente, vero, buono sono lo stesso; 4. ma poich per appetirla bisogna prima conoscerla, cos prima sta il vero, poi il buono. 5. Se verit : conformit fra intelletto e cosa Dio somma verit, perch fra il suo intelletto e il suo essere c non solo conformit, ma identit; Dio prima verit, perch Il suo intelletto misura delle cose. 6. La verit considerata in ciascuna cosa una sola, ma relativamente agli intelletti che la conoscono, sono tante quante gli intelletti;

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7. e, poich cose e intelletti sono creati e non eterni, resta che verit eterna c in Dio solo. 8. La verit mutabile quando di una cosa lintelletto si forma diversa opinione, o quando, restando lopinione, inavvertitamente si scambia la cosa; ma ci sar dellintelletto creato, non gi di Dio, cui niente sfugge: in Lui la verit immutabile.

Quest. 17. Cos la falsit. 1. Come verit cos falsit ha rapporto collintelletto. Per Iddio falsit non c nelle cose, perch sono quale Dio le vuole; pu esserci nelle volont se si allontanano dalla regola di Dio. Per luomo pu esserci anche nelle cose, o in ci che rappresentativo del vero, come nelle tragedie, o in ci che inganna per mezzo dei sensi, come nei fiori artificiali. 2. Nel senso, se non difettoso, non c falsit relativamente al sensibile suo proprio, come il suono per ludito; pu esserci relativamente a un sensibile comune a pi sensi, come il moto, che si percepisce, pi che nel sensibile proprio, nella sua modificazione pu esserci anche nel sensibile accidentale, che si percepisce in un sensibile diverso, come il freddo nel veder caduta la neve. 3. Come locchio non si inganna vedendo la luce, ma pu ingannarsi circa il colore, cos lintelletto non si inganna conoscendo le cose, ma pu ingannarsi giudicandole, e allora c in lui falsit. 4. Vero e falso sono contrari, come bianco e nero.

Quest. 18. Vita in Dio. 1. Un animale si dice vivo finch si muove da s. Vita non hanno tutti gli esseri, ma solo quelli che hanno moto dallintrinseco, cio impulso a operazioni sia di sviluppo, sia di senso, sia di pensiero.

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2. La vita lattribuiamo a chi ha il moto da s, ma la parola vita per s designa, pi che il moto, sostanza cui tale moto compete; talora poi la vita indica le operazioni della vita, come sentire e intendere. 3. La vita, che sta nel moto, ha i suoi gradi. Le piante hanno il moto da s soltanto in ordine alla sua esecuzione: gli animali lo hanno anche in ordine al suo indirizzo e cio proporzionatamente allo sviluppo dei loro sensi; chi ha l intelletto ha il moto da s anche in ordine al fine e sappiamo gi che lintellettualit tanto maggiore quanto maggiore limmaterialit. Questa Dio possiede in sommo grado, quindi in sommo grado possiede anche la vita. 4. Tutte le cose sono in Dio a modo di idee, le idee sono la stessa sostanza (15. 2), la stessa vita di Dio; si pu dire quindi che tutte le cose sono vita in Dio.

Quest. 19. Volont in Dio. 1. Relativamente alla perfetta attuazione del proprio essere, tutto ha inclinazione di cercarla, se non la possiede, di acquetarvisi, se la possiede. Questa inclinazione, che si dice appetito nelle cose prive di cognizione e appetito sensitivo gli animali, negli esseri forniti di intelletto si dice volont. Dio ha intelletto, quindi anche volont. 2. Le cose Dio le vuole in quanto sono attuazione della sua bont. 3. Per necessit di natura Dio vuole il suo essere, la sua bont; le cose invece, che non sono il suo essere e la sua bont, ma mezzi manifestativi della sua bont, le vuole come mezzi, cio liberamente, e soltanto supposto che le voglia, essendo egli immutabile, non pu essere che non le voglia. 4. Causa delle cose la Volont di Dio libera, non gi una sua necessit di natura, ossia listinto. Difatti a) Ogni istinto ragionatissimo, perch disposto da un etto supe-

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riore preesistente; ma Dio Ente Primo, dunque agisce non per istinto, ma con intelletto e volont. b) Listinto di natura, che negli esseri finiti porta a un effetto unico e sempre tale, in Dio, che infinito, porterebbe a effetti infiniti; il che impossibile (7. 2). c) Gli effetti preesistono nella causa secondo la natura delle cause, ma la natura di Dio intelletto e volont, perci preesistono in Dio secondo volont e non secondo istinto. 5. Dio nel suo volere non mosso dalle cose, perch tutto conosce in sua essenza, cos tutto vuole in sua bont; vuole le cose ordinate al fine e tali sono perch egli lo vuole, non gi egli ci vuole, perch tali sono. 6. La volont di Dio non una volont particolare, ma una volont universale; ci che non si compie secondo un ordine della volont di Dio, si compie secondo laltro; la volont di Dio quindi si adempie sempre. 7. Altro mutare volont, altro volere una mutazione. Muta volont chi si muta nellessere o nel conoscere, cos che una cosa, la quale prima non era per lui o da lui non era conosciuta come un bene, tale poi diviene o come tale vien conosciuta; ma Dio immutabile nellessere e nel conoscere, quindi anche nella volont. 8. Ad alcune cose Dio ha fissato cause necessarie ineluttabili, a altre cause contingenti defettibili, ma neppure queste sfuggono lefficacia della volont di Dio, perch fu Egli che volle la loro contingenza. 9. Il male non si pu volere per s, ma solo in quanto congiunto con qualche bene. Dio volendo la sua bont sopra tutto, rigetta il male di colpa che le direttamente contrario; quanto agli altri mali, volendo Dio le altre cose in ordine a s, pu volere il male di pena in ordine alla Giustizia e il male naturale in ordine alla Provvidenza. 10. Il libero arbitrio si ha di ci che non oggetto del volere necessario o dellistinto. Cos vogliamo essere felici non di libero arbitrio ma per istinto. E soltanto se

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stesso che Dio vuole necessariamente, non cos le cose fuori di lui; resta che queste le voglia di libero arbitrio. 11 12. La manifestazione della volont di Dio, che metaforicamente detta volont di segno, di 5 sorta: opera, comanda o consiglia il bene; permette o proibisce il male.

Quest. 20. Amore in Dio. 1. Il primo moto della volont lamore, che tende al bene, il quale prima del male e che tende al bene in comune, che poi suddiviso in beni particolari. In Dio c volont non inerte, dunque in Dio c Amore. 2. Ogni cosa in quanto esiste un bene. Amare voler bene, dunque Dio, volendo lesistenza delle cose, vuole bene, ama le cose: ma se, quanto a noi, amiamo le cose perch sono bene; quanto a Dio, le cose sono bene perch Dio le ama; 3. cos si pu dire che Dio ama una cosa pi dellaltra, perch egli causa nelluna pi di bene che nellaltra; quantunque come intensit di volere, le ami tutte egualmente; 4. e cos pure si dice che Dio ama di pi le cose migliori e che pi degli innocenti Dio ama i penitenti, perch in questi possono sorgere maggiori virt.

Quest. 21. Giustizia e Misericordia, 1. Giustizia commutativa, che sta nelleguaglianza tra il dare e lavere non corre tra Dio e noi, perch tutto abbiamo e nulla diamo. In Dio, che per lordine delluniverso d a ciascun essere ci che gli proprio, c la giustizia distributiva; 2. e tale Giustizia, che ordine stabilito nelle cose conforme alla sua sapienza, anche verit, la quale conformit tra intelletto e cosa.

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3. A Dio compete, non gi il contristarsi per il male altrui, ma allontanare il male altrui; gli compete quindi la misericordia, non come passione, ma come effetto e nel senso che le perfezioni che Dio d alle cose allontanano i difetti. 4. In tutte le opere di Dio c giustizia; perch Egli fa ci che conviene alla sapienza e bont sua, allordine e alla proporzione delle cose. Anzi labbondanza di sua bont sorpassa lesigenza dellordine e la proporzione delle cose, e le cose stesse nessuna preesistente esigenza hanno verso Dio; dunque colla giustizia c anche la misericordia che ne il fondamento.

Quest. 22. Provvidenza di Dio. 1. In Dio c Provvidenza, che parte principale della prudenza ed assai bene definita da Boezio: la stessa ragione divina che dispone ogni cosa; infatti nelle cose c esistenza e ordine al fine e luna e laltra cosa opera di Dio; nel suo intelletto perci preesisteva il disegno dellordine, elle cose al fine; 2. e poich la causualit di Dio e anche la sua scienza si estende a tutti gli enti, a tutto si estende pure la Provvidenza di Dio. Casi e fortune ci possono essere relativamente a cause particolari, non relativamente a Dio, causa universale, che talora permette il male per non impedire un qualche bene. 3. La Provvidenza si esplica nella disposizione dellordine e nella esecuzione dellordine. La disposizione, la tratta Dio immediatamente, lesecuzione laffida alle cause seconde, e cos nellabbondanza di sua bont d a creature dignit di causa. 4. Scopo della Provvidenza nella creazione la Perfezione delluniverso con Enti di ogni grado, e con effetti

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preparati parte da cause necessaria, parte per anche da cause libere; dunque la provvidenza non fatalit.

Quest 23. La predestinazione. 1. In Dio non solo c provvidenza, cio il disporre in ordine al fine naturale di ogni creatur, ma anche il destinare, disponendo gli aiuti proporzionati, le creature razionali a un fine che eccede la proporzione e facolt di natura creata, cio la vita eterna; in quanto questo disegno preesisteva nellintelletto di Dio si chiama Predestinazione. Non viene rivelata a nessuno, affinch non ci sia chi fa il negligente e chi si dispera. 2. La predestinazione, come disposizione dellordine, appartiene a Dio; come esecuzione appartiene passivamente anche agli uomini colla vocazione alla fede e colla glorificazione. 3. In Dio c anche la Riprovazione, ma questa importa: a) Dio di Provvidenza generale permette che alcuni per loro cattiva volont facciano peccati e non obbligato di impedirli; b) destina loro la pena. 4. Mentre noi scegliamo quelli che amiamo, Dio ama quelli che sceglie; ama, cio vuol bene, vuole efficacemente il bene, procura il bene, dunque i predestinati da Dio sono eletti e diletti. Dio in generale vuole che tutti si salvino, in particolare vuole che si salvi chi lo merita. 5. Quanto alla causa della predestinazione: a) da parte di Dio nulla c sopra la sua volont; b) da parte degli uomini non ci sono meriti antecedenti alla vocazione alla fede, perch prima di avere la fede nessuno ha veri meriti davanti a Dio; quindi, bench in particolare si possa dire che un primo buon effetto della predestinazione ne tira un secondo, leffetto totale della predestinazione non ha altra causa che la bont divina. 6. Si sa che nella disposizione delluniverso (22. 4) gli effetti sono legati non solo a cause necessarie, ma anche

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a cause libere; resta dunque per luomo il libero arbitrio, e leffetto della predestinazione non necessitato; per Iddio per, essendo alla sua scienza tutto presente e nulla sfuggendo alla sua volont, leffetto della predestinazione certo e infallibile; 7. Cosicch Dio sa quanti e quali sono i predestinati, avendoli preordinati quale elemento principale delluniverso, cos come un ingegnere prefinisce le dimensioni e anche le mansioni del palazzo che vuol costruire e lo sa lui solo. 8. Le orazioni dei Santi aiutano la Predestinazione, se non per la preordinazione di Dio, la quale ab aeterno, certamente per il suo effetto.

Quest. 24. Il libro della vita. 1. Libro della vita espressione metaforica presa dal libro di coscrizione di quelli che sono scelti o per soldati o per consiglieri, e significa la nozione fissa che ha Dio dei predestinati. 2. Ma come larruolamento dei soldati si fa non perch si armino, ma perch combattano, cos il libro della vita importa elezione non alla grazia, ma alla gloria. 3. Rettamente si pu dire che uno viene cancellato dal libro della vita, quando vien meno alla grazia che lo condurrebbe alla gloria.

Quest. 25. Onnipotenza. 1. Dio che atto ed esclude ogni potenza (4. 1), che cio tutto e nulla di pi pu diventare, nulla ha da acquistare e tutto a dare, egli ha potenza attiva e non passiva. 2. Lessenza di Dio infinita, perci anche tale potenza attiva di Dio infinita. 3. Questa infinita attiva potenza di Dio si dice onnipotenza, perch ne oggetto ogni possibile, ossia tutte ci

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che pu esser fatto, che cio non sia una contraddizione come: un bianco tutto nero tutto ci insomma che pu essere. 4. Che il passato non sia passato Dio non pu farlo, perch sarebbe come fare che ci che vero sia falso. 5. Quanto a ci che Dio opera nel mondo, non essendo Egli determinato da necessit di natura e non esaurendosi nellordine presente la sua sapienza e bont, potrebbe anche fare cose diverse da quelle che fa. 6. Quindi potrebbe fare cose migliori delle presenti e che le presenti fossero migliori accidentalmente: p. e. che gli uomini fossero pi alti; ma farne di migliori essenzialmente non pu, perch cambierebbero natura; p. e. se lasino avesse la ragione non sarebbe pi asino.

Quest. 26. Beatitudine di Dio. 1. Beatitudine : bene perfetto di intellettuale natura: Dio perfettissimo e sommamente intelligente, gli compete perci la beatitudine perfetta; 2. la beatitudine sta nella perfezione, la perfezione sta nella piena esplicazione della natura e questa sta nelloperazione, perci la perfezione e la beatitudine di una natura intellettuale sta nellintendere, che in Dio : lo stesso suo essere. 3. I beati hanno Dio ber oggetto del loro atto di intendere; perci la beatitudine unica quanto alloggetto, diversa quanto agli atti. Questa beatitudine contiene eminentemente ogni altra. Essa infatti porta come oggetto della felicit contemplativa Dio e tutte le cose; della attiva il governo delluniverso; della felicit terrena, quanto ai piaceri: il gaudio personale e comune; quanto alle ricchezze: la sufficienza indefettibile; quanto alla potenza: lonnipotenza di Dio; quanto alla gloria: lammirazione di tutto il creato.

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LA TRINIT Quest. 27. Le divine persone procedono... 1. La Scrittura parla di un procedere in Dio. Ario lo prese nel senso di effetti procedenti da una causa, ma cos il Verbo sarebbe creatura e non gi Dio; Sabellio lo prese nel senso di diverse operazioni di uno stesso soggetto, ma cos le persone sarebbero una, non tre. Errarono ambedue perch considerarono quel procedere come unoperazione esteriore. Invece loperazione di Dio si deve considerare alla stregua non delle creature pi basse, ma delle creature pi alte, quali le intellettuali, nelle quali c una operazione interiore, unazione immanente, ossia rimanente nel soggetto: p. e. il concetto che si forma in mente (Verbo), che si significa colla voce (Parola). Cos intende la Fede il procedere delle persone in Dio. 2. Poich il procedere, in somiglianza naturale, di un vivente da un non vivente congiunto quale principio vitale Generazione, la processione del Verbo (= concetto formato) dal Padre Generazione. Infatti loperazione dellintelletto operazione vitale, perci un Vivente che procede da un Vivente; gli congiunto, perch non si tratta di operazione esteriore; procede in somiglianza naturale, perch proprio del concetto dellintelletto rappresentare loggetto in cui si affissa. E poich Dio conosce se stesso cos che conoscente, conosciuto e mezzo di conoscere lo stesso Dio (14. 4), cos il Verbo Dio eguale al Padre. 3. Ma la natura intellettuale ha una, duplice operazione interna: di intelletto e di volont. La processione del Verbo, per cui la cosa intesa nellintelligente, secondo loperazione dellintelletto. E come in noi secondo loperazione della volont c una seconda processione, quella dellamore, che fa s che lamato sia nellamante, cos anche in Dio oltre la processione del Verbo c la processione dellAmore.

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4. Per la processione della volont importa non gi riproduzione di simile, ma inclinazione quasi di un vento che, spirando, spinge e piega, e quindi ci che cos procede in Dio procede non come Figlio, ma come vento che spira, spirito. 5. Oltre quella dellintelletto e quella della volont in Dio non ci sono altre processioni, sono quindi due sole.

Quest. 28. Relazioni in Dio. 1. Ricordiamo che le cose possono essere in 10 modi generali e cio o come sostanza o come un che di inerente alla sostanza, e ci in 9 modi o accidenti, che sono: quantit, qualit, relazione, azione, passione, tempo, luogo, sito ed abito. Ecco le categorie di Aristotele. La relazione pu essere naturale come: Figlio, creatura... e questa reale; pu essere solo nellintelletto di chi considera la cosa, e questa mentale. In Dio le relazioni che dipendono dalle processioni, le quali avvengono nella stessa natura divina, sono naturali, quindi, sono anche reali. 2. Ci che reale se fuori di Dio creatura, se appartiene a Dio lo stesso suo essere, quindi in Dio la relazione reale in s la stessa essenza di Dio; per la nostra mente un riferirsi al suo opposto. 3. Le relazioni in Dio importano opposizione, lopposizione importa distinzione; la relazione reale e reale la distinzione. 4. Ogni relazione importa opposizione di 2 termini: le relazioni in Dio seguono le processioni e queste sono 2, dunque le relazioni reali sono 4: paternit, figliazione, spirazione e processione per spirazione.

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Quest. 29. Le persone divine. 1. Essere un individuo, conviene meglio alla sostanza che agli accidenti, e meglio ancora alla sostanza razionale che non alle altre, perch a lei spetta e azione e dominio dellazione: lazione poi spetta allindividuo, bench la natura ne sia il principio. Lindividuo che sostanza di natura razionale si chiama persona; 2. e persona nel genere delle sostanze razionali indica ci che negli altri generi di sostanza indica: cosa di una data natura, sussistenza, sostanza, (grec. ipostasi = ci che sotto gli accidenti), 3. cosicch la parola persona designa lindividuo pi perfetto di tutta la natura; e poich ogni perfezione delle cose si deve attribuire a Dio e in misura eminente, cos anche il nome persona conviene adoperarlo per Dio e in misura eminente. 4. Se persona indica: Individuo cio distinto e la distinzione in Dio c per lopposizione che consegue la relazione, persona in Dio indica relazione come sussistente; cos la Paternit divina Dio Padre. Quest. 30. Le persone divine sono pi di una. 1. In Dio le relazioni sono pi di una, pi di una sono anche le persone 2. Tre sono le Persone divine; non mezzo e non pi. Infatti: reale opposizione di relazione (28. 4) c fra la paternit e la figliazione e queste designano a persone: il Padre e il Figlio. La spirazione e la processione per spirazione sono opposte bens fra esse due, non per con i termini precedenti, la spirazione perci conviene a ambidue i termini precedenti. Ma la processione per spirazione non pu convenire a nessuno dei 2 termini precedenti: Paternit e Figliazione, perch conseguono la processione per intelletto, mentre la spirazione processione di volont; essa deve quindi designare una terza persona e questa lo Spirito Santo.

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3. Il numero tre applicato alle persone divine importa divisione, non materiale, ma formale e va preso come trascendentale al pari delluno trascendentale; e come questo vale soltanto negazione di divisione, cos il tre importa soltanto indivisione di ciascuna delle persone divine. 4. II nome persona nome comune delle tre persone, come nome comune il nome uomo quando diciamo tre uomini.

Quest. 31. Cautele nelluso dei termini. 1. Trinit vuol dire che le persone divine sono pi di una e sono precisamente tre. 2. Quando diciamo che il Figlio diverso dal Padre, contro Ario intendiamo dire che distinto dal Padre, non per che sia separato, diviso e differente dal Padre, e contro Sabellio intendiamo escludere che sia una sola e unica cosa col Padre o con lui confusa e che Dio sia un solitario. 3. Parlando di Dio la parola solo possiamo adoperarla non categoricamente = come predicato; p. e. Dio . solo: ma sincategoricamente = come avverbio; p. e. solo Dio eterno. 4. e questa frase esclusiva: solo Dio ... la adoperiamo relativamente alla natura e alla personalit, non. relativamente alla persona. Diciamo: infinito Dio solo, la paternit in Dio una sola, ma non diciamo: solo il Padre Dio.

Quest. 32. Conoscenza della Trinit. 1. La ragione umana da s non pu conoscere la Trinit, perch essa da s conosce Dio in quanto Causa del Mondo, e Dio ne

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Causa in quanto Uno nellEssenza, non in quanto Trino nelle Persone. Le triadi concepite da Aristotele, dai Platonici, dal Trimegisto ecc. non sono la trinit, perch essa consiste nella Paternit, Figliazione e Processione e questa nel senso suo proprio i filosofi non la conobbero. 2. Per parlare distintamente delle Persone divine non solo in concreto, ma anche in astratto abbiano bisogno di fissare in Dio le nominazioni o nozioni o propriet, ci poi non fa contro la semplicit di Dio, perch il nostro intelletto limitato che si rivolge a Dio uno con concetti molteplici. 3. Abbiamo cos: 5 Nozioni: Innascibilit, paternit, figliazione, spirazione e processione per spirazione. 4 Relazioni: paternit, figliazione, spirazione e processione; 3 Persone: paternit, figliazione, processione. 4. Finch pero i concetti delle nozioni non sono fissati per autorit della Chiesa, si pu su questi opinare anche diversamente.

Quest. 33. La persona del Padre. 1. Al Padre compete il nome di principio (= ci da cui procede...), perch da lui procede il Figlio e nei rapporti della Trinit noi adoperiamo sempre la parola principio usando maggior distinzione dei greci che adoperano indifferentemente le parole: causa e principio. 2. Il nome Padre none proprio della Prima Persona, perch il nome che la distingue dalle altre. 3. Il nome Padre compete alla Prima Persona pi in quanto principio del Figlio che in quanto principio delle creature, perci gli compte pi come Persona divina che come Dio.

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4. Il Padre principio; principio importa che da lui altri proceda e esclude che egli proceda da altri, perci al Padre proprio essere ingenito.

Quest. 34. La persona del Figlio. 1. Verbo in Dio nome di persona, non di natura, perch Verbo (= parola) significa: a) concetto che la mente si forma di una cosa; b) imaginazione della parola che lo rappresenta; c) articolazione della voce che lo esprime; in tutti tre i casi indica un procedente da un principio, quindi in Dio, non pu essere che nome di persona; 2. e poich Verbo indica processione di intelletto e chi cos procede si chiama Figlio e la sua processione detta Generazione, cos Verbo nome proprio del Figlio. 3. Il Verbo in Dio il concetto rappresentativo, che, con un unico atto, Dio si forma e di se e delle creature che dipendono dalla sua scienza e potenza; il Verbo, quindi importa anche relazione alle creature ed la ragione fattiva della Creazione.

Quest. 35. Della voce: Imagine. 1. In Dio i nomi relativi a processione sono personali, quindi anche il nome Imagine in Dio nome di persona, perch in senso stretto una cosa imagine di unaltra quando da lei procede in similitudine di specie; 2. e propriamente il nome Imagine non compete alla Spirito Santo, perch la scrittura non glielo attribuisce mai; conviene piuttosto al Figlio, al quale, essendo Verbo (= concetto rappresentativo), conviene naturalmente la somiglianza col Padre.

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Quest. 36. La persona dello Spirito Santo. 1. La prima processione in Dio ha i nomi propri di Figlio, Verbe, Imagine; la seconda non ha un nome proprio, ma un nome appropriato Spirito Santo e gli si appropria il nome di Spirito, perch, come di un vento che spira proprio spingere e muovere, cos dellamore e proprio spingere chi ama verso chi amato e la seconda processione appunto per modo di amore. 2. Le divine persone si distinguono fra di loro per opposizione di relazione determinata da processione (28. 3) se lo Spirito Santo non procedesse anche dal Figlio, mancherebbe la ragione di distinguerlo dal Figlio, dunque procede anche dal Figlio. 3. Il Figlio ha dal Padre che d lui proceda lo Spirito Santo, perci il Padre spira lo Spirito Santo mediante il Figlio e lo Spirito Santo procede dal Padre mediante il Figlio; ci per non costituisce un ordine di tempo o di potenza, ma solo un ordine di persone. 4. Il Padre e il Figlio sono una stessa cosa in tutto ci in cui non sono distinti per opposizione di relazione (28. 3,4), e poich ci che distingue lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio una stessa e unica relazione, cos Padre e Figlio, formano un unico principio dello Spirito Santo.

Quest. 37. Nome proprio dello Spirito Santo Amore. 1. In Dio per latto di intendere, che appartiene alla Natura divina, c il Verbo, che nome di persona, perch esprime la relazione del procedente al suo principio nella prima processione; nella seconda processione per latto di amare si pu dire che chi amato si imprime nellamante e questa relazione non si pu meglio esprimere che colla parola amore: Amore quindi pu essere nome proprio dello Spirito Santo. 2. Che Padre e Figlio si amino dellAmore dello Spirito Santo si pu dire, non nel senso che lo Spirito Santo sia

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il principio dellamore, il quale appartiene alla natura di Dio, ma nel senso che, amandosi il Padre e il Figlio, procede la persona dello Spirito Santo, cos come si dice che lalbero fiorisce di fiori.

Quest. 38. Nome dello Spirito Santo Dono. 1. Dono importa a) attitudine di una cosa a diventare di altri; b) appartenenza di tale cosa a chi fa il dono. Orbene, fra le persone divine qualcuna pu essere di unaltra in quanto da lei procede e ha origine, e pu diventare di altri p. es. della creatura ragionevole, che pu possederla; dunque qualcuna delle divine Persone Dono. 2. In particolare poi questo nome Dono compete allo Spirito Santo, perch dono ci che si d come bene; si d come bene, perch si vuol bene cio si ama, e lo Spirito Santo appunto Amore. Quest. 39. Le persone in relazione alla Essenza 1. Poich la relazione, donde la Persona (29.4), non che la stessa sostanza rispetto ad altri (28. 2), essenza e persona in Dio lo stesso; e se appunto per questo non c reale distinzione fra essenza e persona, ci non impedisce che le Persone siano tre, essendovi tra loro distinzione reale per lopposizione di relazione (28. 3). Cos resta una essenza e tre persone. 2. Di Dio parliamo con concetti ricavati dalle cose create, e come in queste Essenza sarebbe la forma e Persona sarebbe ogni individuo che ha tale forma e noi ne parliamo adoperando un aggettivo che la designi, p. es.: quellatleta ha una forma perfetta, cos in Dio diciamo che tre Persone sono di una sola Essenza e che una sola Essenza di tre Persone. 3. Perci i sostantivi, che si riferiscono allEssenza, vanno in singolare p. es. leterna onnipotenza; gli agget-

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tivi invece, che si riferiscono alle persone vanno in plurale, p. es. tre esistenti coeterni. 4. Secondo il significato della frase, il nome concreto di natura, p. es. Dio, pu riferirsi talora allessenza, talora a una persona, talora a tulle tre: p. es. Dio Cre; Dio Gener; a Dio Gloria. 5. Ma il nome astratto di Natura, p. es. la Divinit, non si pu prendere in luogo del nome di persona, perch porterebbe a dire: la divinit gener la divinit; e bench gli aggettivi di persona non si possano attribuire allessenza, p. es. lessenza generata, 6. tuttavia ci si pu fare coi nomi di persona, perch lessenza divina eguale per le tre persone quindi si dice: lUnigenito Dio; Dio tre persone. 7. La Trinit non si pu dimostrare, ma si pu indicare, e poich ci sono pi manifeste le propriet di Natura che quelle di Persona conveniente attribuire qualche propriet di natura a ciascuna persona in particolare, il che si dice: appropriare. 8. Convenientemente quindi i Padri attribuirono
al Padre in quanto Dio esiste: uno: causa: ha creato i complementi leternit lunit la Potenza dal quale al Figlio lo splendore luguaglianza la Sapienza per il quale allo Spirito S. la soavit la concordia la Bont nel quale

Quest. 40. Le persone e le relazioni divine. 1. Le relazioni in Dio sono le stesse persone, perch sono reali, quindi esistenti, anzi sono la stessa essenza di Dio, colla quale pure si identificano le persone. Cos la paternit il Padre.

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2. Ci che distingue una dallaltra le Persone divine non si trova nellessenza che identica per tutte tre, ma si trova nellorigine e nella relazione; anzi pi che nellorigine, che dice atto, p. es. generazione, tale distintivo va riposto nella relazione, che importa realt. 3. Che se si dovesse fare astrazione in Dio delle relazioni e delle propriet personali, cesserebbe ogni ragione di distinguere in Dio tre persone. 4. Ci che designa lordine di origine di una persona dallaltra si dice atto nozionale, p. es. il Padre genera il figlio, e gli atti nozionali si hanno in mente prima delle propriet, perch ne sono la strada.

Quest. 41. Le tre Persone divine e gli atti nozionali. 1. necessario attribuire alle Persone divine gli atti nozionali, perch essi designano lorigine e appunto secondo lorigine si distinguono le tre divine Persone. 2. Gli atti nozionali si possono dire volontari in quanto sono in Dio con volont, ma non in quanto siano per volont e a volont, perch invece ne principio la natura. 3. Gli atti nozionali importano origine da qualcuno, ne viene cos che il Figlio non creato, ma ha origine dal Padre e non in quanto il Padre a Lui fa parte della sua sostanza, ma in quanto gliela comunica tutta intera. 4. Gli atti nozionali importano in Dio anche la Potenza che ne il principio, p. es., la potenza di generare nel Padre. 5. Potenza di generare, se soggetto (Nominativo) si riferisce alla essenza divina, negli altri casi pu riferirsi anche alla Paternit e relazione. 6. Ogni atto nozionale non pu avere per termine che una sola persona, perch una sola procede come Verbo, una sola come Amore.

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Quest. 42. Le tre Persone divine sono eguali fra di loro. 1. Le tre divine persone sono eguali, perch ciascuna sussiste nella divina essenza numericamente una e identica. 2. Il Figlio procede dal Padre non per volont del Padre, ma per la Natura divina, anzi per effetto della perfezione della natura divina, ed essendo tale perfezione eterna, ab eterno ci sono Padre, Figlio e cos pure Spirito Santo. 3. ne segue che nelle Persone divine c un ordine di principio dorigine: prima c il Padre, poi il Figlio, poi lo Spirito Santo, ma ci senza priorit; mai fu il Padre senza il Figlio. 4. Ne segue ancora che, importando la Trinit comunicazione a tre Persone della numericamente una e identica natura divina, il Figlio eguale al Padre nella Grandezza, cio nella Perfezione di Natura; 5. e che essendo nel Figlio lessenza del Padre, il Padre nel Figlio e il Figlio nel Padre; 6. e che il Figlio ha anche la stessa Potenza del Padre.

Quest. 43. Missione delle Persone divine. 1. La Missione (mandare) non disconviene a Persona divina, perch significa: origine da altra Persona e insieme nuovo termine o nuovo modo di essere: cos il Figlio che si incarn si dice mandato dal Padre nel mondo. 2. Relativamente al termine o punto di arrivo, che fuori di Dio, la Missione del tempo non dellEternit. 3. Missione invisibile di divina persona vale: essere mandata e essere ricevuta. Questo avviene nella grazia santificante, per la quale Dio si trova in una creatura ragionevole oltrech per essenza, presenza e potenza, anche conosciuto e amato, quindi come in suo tempio. 4. Al Padre che non proviene da nessuna persona, non spetta missione. Cosicch,

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5. se colla grazia santificante si trova nellanima tutta la Trinit, la missione invisibile resta propria del Figlio e dello Spirito Santo, 6. e ne sono partecipi tanti quelli che hanno la grazia. 7. Lo Spirito Santo ebbe la missione visibile a indizio della invisibile nella Pentecoste. 8. Nellincarnazione si pu dire che il Figlio lo ha mandato lo Spirito Santo, non quale principio della Persona, ma quale principio delleffetto della stessa incarnazione.

Quest. 44. Processione delle creature da Dio. 1. In Dio essenza ed esistenza lo stesso (3. 4). Egli quindi lEssere ed da se stesso. Tale uno solo (11. 3. 4); le altre cose invece non possono che avere un essere, e un essere partecipato e precisamente da Dio; quindi sono da Dio. 2. La materia prima, si intenda o grossolanamente o sottilmente, entra come costitutivo e fa parte delle cose: tutte le cose sono da Dio, quindi anche la materia prima. 3. Come lartefice d alla materia, che maneggia, una forma secondo un esemplare che ha in mente o che ha sottocchio, cos nella sapienza creatrice di Dio ci sono le forme esemplari delle cose; e queste, quanto alle cose sono la stessa unica essenza di Dio; Dio quindi il primo esemplare 4. Dio creando ag per un fine; fine non pu essere che il bene; ma per Iddio, il quale infinito, non si tratta di bene da acquistare, ma di bene da comunicare, e la Bont divina il fine delluniverso.

Quest. 45. In che modo procedono le cose dal primo principio. 1. Quello che vien fatto, prima non cera se

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anche luniversalit delle cose (44. 2) proviene da Dio, prima nessuna cosa cera, niente cera, e creare fare dal niente. 2. Non solo Dio pu creare; ma fu necessario che creasse; gli artefici, danno forma a cose che hanno dalla natura; la natura opera sulla gi formata materia Dio invece, siccome nulla c se non da Lui, perch ci siano le cose ha dovuto creare anzitutto la materia. 3. Nelle creature la creazione importa, non gi mutazione, perch vi manca il punto reale di partenza ma relazione reale verso Dio Creatore, come principio del loro essere. 4. Creare dare a un ente lesistenza; enti reali sono le sostanze e i composti, di questi, quindi si dice che si creano; degli accidenti e delle forme va detto invece che si concreano. 5. Leffetto universalissimo termine esclusivo della Causa universalissima; lessere effetto universalissimo perci creare spetta alla causa universalissima, a Dio solo. 6. e spetta a Dio in quanto Dio, dunque creare proprio di tutta la Trinit; per Dio fa collintelletto ci che ha nel volere, va detto quindi che il Padre cre il mondo col Verbo nello Spirito Santo. 7. Le creature irragionevoli rappresentano di Dio la sola Causalit, esse quindi hanno in se solo un vestigio della Trinit, rappresentandola in quanto ognuna ha un essere, una data forma, una data inclinazione. Le creature poi che constano di intelletto e volont portano in s non solo il vestgio, ma anche limmagine della Trinit: Padre, Verbo e Spirito Santo. 8. Siccome nella materia si trovano in potenza tutte le forme di cui essa suscettibile, cos nelle opere di natura e arte non si riscontra un vero creare.

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Quest. 46. Inizio della durata delle creature. 1. Soltanto un Ente necessario e sufficiente che esista ab aeterno, e questo Dio. Il mondo ha avuto una Causa, questa la volont di Dio; ma se si prova che Dio non pu non volere se stesso (19. 3), non si pu altrettanto provare che necessariamente Dio volesse il mondo eterno, e concludere che il mondo eterno. Ci che a questo proposito dice Aristotele non per dimostrare, ma per fare della dialettica. 2. Che per il mondo abbia cominciato e non sia eterno lo si sa solo di fede, perch a farne la dimostrazione non si prestano i due suoi principii: linterno cio le Essenze e lesterno cio la Causa: infatti le essenze sono universali, esistono quindi sempre e dappertutto; la causa poi la volont di Dio, ma di questa soltanto se stesso si pu provare che Dio vuole necessariamente; in quanto al resto si sa qualche cosa secondo che Dio lo manifesta, si sa dunque per fede; 3. e precisamente dalla Scrittura sappiamo che Dio cre le cose in principio: sia principio delle cose in Dio cio il Verbo; sia principio delle cose stesse; sia principio del tempo.

Quest. 47. Distinzione comune delle cose. 1. La moltitudine e distinzione delle cose proviene dallintenzione di Dio, avendo egli creato il mondo per comunicare la sua Bont e non potendo questa essere resa sufficientemente manifesta da una cosa sola. 2. E parimenti procede dalla sapienza di Dio la disuguaglianza delle cose, necessaria alla loro distinzione formale o di specie, nellambito della quale variano gli individui per il pi o il meno, che pero non cambia specie. 3. Lordine del mondo gli d unit, e avendo le le cose tutte ordine e fra se stesse e relativamente a Dio, come c un solo Dio, c un solo mondo.

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Quest. 48. Distinzione speciale delle cose. 1. Cosa sia il male si conosce dal suo opposto cio il bene; bene ci che appetbile in quanto perfeziona lessere di chi lo cerca; bene quindi entit; il male che il suo opposto, sar mancanza di bene, mancanza di entit. 2. La disuguaglianza delle cose (47. 2) per la perfezione delluniverso; questa importa che ci siano esseri incorruttibili e anche corruttibili, che non sarebbero per corruttibili se mai soggiacessero a corruzione o difetto: questo si avvera colla mancanza di relativo bene, cio col male; il male adunque per la perfezione delluniverso. 3. La mancanza di relativo bene si trova in qualche soggetto, che in quanto ha di entit bene, dunque il male si trova nel bene. 4. Male mancanza di tutto il corrispondente bene, ma non corruzione dello stesso soggetto in cui si trova il male, perch allora neppur il male potrebbe esistere. 5. Atto primo lessere, atto secondo loperare; il male adunque duplice: mancanza di atto primo o di atto secondo; nelle creature razionali si chiama male di pena luno, male di colpa laltro. 6. Il male di colpa, che procede dalla nostra volont e che ci fa cattivi, giacch consiste nel disordine della stessa volont, maggiore del male di pena, che privazione di qualche cosa, che oggetto della volont.

Quest. 49. La causa del male. 1. Il male ha la sua causa: non gi causa formale e finale, essendo esso mancanza e di forma e di ordine al fine, ma bens, causa materiale, ed il bene che il soggetto del male, e anche causa efficiente ed quellessere che per accidente lo produce: quindi causa del male si pu dire il bene. 2. Dio non si pu dire causa del male in quanto la sua azione sia difettosa, ma solo in quanto dipende da Dio quella mancanza di relativo bene, donde lineguaglianza

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delle cose (48. 2), e in quanto viene da Dio il male di pena per la punizione della colpa. 3. Il male assoluto, totale, principio del male non, esiste. Infatti a) mentre c il Bene sommo, il Bene per essenza (6. 2, 3), il male soltanto mancanza relativa di bene, non c quindi male assoluto; b) il male non corruzione dello stesso soggetto in cui si trova (48. 4), perch altrimenti non potrebbe esistere, non c quindi male totale; c) il male ha origine dal bene, dunque non principio, ma principiato; quando poi causa lo per accidente, dunque non Causa Prima, perch la causa per accidente posteriore alla causa propria.

Quest. 50. Sostanza angelica. 1. Gli angeli sono incorporei, perch dovendo luniverso rappresentare Dio, necessario che nella scala degli esseri ce ne siano di puramente intellettuali, quindi incorporei, 2. e perci senza materia, perch lintendere operazione del tutto immateriale. Gli angeli quindi non risultano di materia e forma. 3. Essi sono sostanze separate, non pero nel senso di Platone, cio di esemplari delle cose sensibili: e ve ne sono in numero straordinario, conviene infatti alla potenza di Dio che, essendo esseri creati i pi perfetti, fossero in gran numero. 4. Le cose composte di materia e forma per la forma appartengono a una stessa specie e per la materia si distinguono fra loro quali individui; gli angeli invece non risultano di materia e forma, quindi impossibile che ce ne siano due di una stessa specie. 5. La corruzione si fa per separazione, la separazione possibile in un composto, gli angeli non sono composti nemmeno di materia e forma, essi sono quindi incorruttibili.

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Quest. 51. Gli Angeli e i corpi. 1. Nel genere delle sostanze intellettuali come c limperfetto, cio luomo che allanima ha unito il corpo e che si forma la scienza delle cose sensibili, cos ci deve essere il perfetto che esclude il corpo: questo perfetto langelo, langelo quindi non ha corpo. 2. Gli angeli per possono assumere corpo. Infatti la scrittura parla di Angeli che si sono resi visibili a tutti; questo fecero assumendo un corpo di aria, la quale per condensazione pu prendere figura e colore come si vede nelle nubi. 3. Con un tal corpo gli angeli possono prendere moto, dare impulso a onde sonore cos da far sentire ogni suono, ma non possono fare opere vitali, come sarebbe mangiare, perch a tal corpo non danno vita.

Quest: 52. Gli Angeli e i luoghi. 1. LAngelo pu trovarsi in un luogo, ma non nel senso solito; vi si trova in quanto vi opera qualcosa e cos anzich essere contenuto nel luogo lo contiene. 2. Langelo non essendo infinito non pu trovarsi contemporaneamente in due luoghi diversi: pu essere per molto ampio il luogo in cui esercita la sua virt. 3. Due angeli per non possono trovarsi in uno stesso punto, perch non possono darsi due cause complete di una stessa cosa.

Quest. 53. Moto locale degli Angeli. 1. Langelo, come si trova in un luogo diversamente dai corpi, perch non ne circoscritto, ma lo abbraccia (52. 1), cos anche si muove diversamente dai corpi. I corpi si muovono con continuit di parti, lAngelo invece, come in uno stesso luogo pu applicare la sua azione e a tratti e con

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continuit, cos pu muoversi di moto non continuo e continuo; 2. nel primo caso non passa per mezzo, nel secondo s; 3. e tanto nellun caso come nellaltro lazione viene applicata in istanti successivi, perci avviene nel tempo.

Quest. 54. Scienza angelica. 1. Nelle creature lazione della sostanza, ma non la sostanza, perci anche negli Angeli, che sono creature, lintendere non la sostanza. Dio solo, in cui tutto perfezione infinita, lintendere sussistente. Se un angelo fosse lintendere sussistente non si distinguerebbe da Dio e nemmeno da altri angeli, mancando nellintendere sussistente, nellatto puro di intendere, il pi e il meno. 2. Parimenti lintendere degli Angeli, come lazione di ogni creatura, nella esistenza e non la esistenza. Ci evidente se si tratta di azione transeunte, perch fuori del soggetto; ed chiaro se si tratta di azione immanente come lintendere, perch importerebbe esistenza assoluta, infinita, ma questa propria di Dio solo; 3. perci neppure il principio dellintendere, cio la potenza intellettiva, lessenza dellAngelo. 4. LAngelo sempre in atto di intendere e lo fa per mezzo di imagini delle cose impressegli da Dio. Ma luomo non da tanto, perci lintelletto nostro agente quando sta in azione scrutando la verit, nel rendere effettivamente, a forza di astrazioni, intelligibili le nature delle cose materiali che per s tali non sono; resta poi possibile finch della verit scrutata si imposessa formandosi il concetto. 5. Agli Angeli che non hanno corpo sono attribuibili sole quelle potenze dellanima nostra che non hanno relazione col corpo, cio lintelletto e la volont.

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Quest. 55. Mezzo della cognizione negli Angeli. 1. LAngelo non conosce tutto per la sua natura, cio per mezzo di se stesso, perch dovrebbe avere in se stesso tutto ci che pu conoscere. Questo invece proprio di Dio e langelo conosce per immagini mandategli da Dio, per riflessi di Dio. 2. Cosicch tali imagini sono agli Angeli connaturali e non potrebbero essi averle dalle cose, perch allora dovrebbero la loro perfezione alle cose. 3. Dio perfettissimo conosce tutto nella sua essenza una, semplice, universale. Gli Angeli superiori sono pi perfetti, pi si assomigliano a Dio e pi conoscono le cose per le imagini sempre pi universali di esse.

Quest. 56. Conoscenza delle cose immateriali negli Angeli. 1. LAngelo che non consta di materia, una forma sussistente; questa forma immateriale, quindi intelligibile, perci lAngelo conosce se stesso per mezzo della sua forma sussistente, cio della sua sostanza. 2. Gli altri Angeli e le altre cose lAngelo le conosce nelle imagini connaturali impresse nel suo intelletto. 3. LAngelo pu conoscere colle forze naturali Dio in modo migliore degli uomini in quanto cio alla sua potenza conoscitiva si fa presente la imagine di Dio. Come per noi si forma limagine di un sasso nellocchio, cos per lAngelo si rispecchia nella sua natura lessenza di Dio.

Quest. 57. Conoscenza delle cose materiali negli Angeli. 1. Gli Angeli che sono pi vicini a Dio, pi partecipano di Dio; le cose materiali preesistono in Dio, e, per partecipazione, anche negli Angeli, e precisamente secondo lessere degli Angeli, che intellettuale; vi pre-

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esistono perci nelle loro imagini intellettuali, e cos gli Angeli conoscono le cose materiali. 2. Gli Angeli conoscono le cose particolari, ma non come lastrologo che nelle leggi universali prevede le singole ecclissi, sibbene le conoscono in s per imagini infuse da Dio. 3. Quanto al futuro, esso pu essere conosciuto nelle sue cause o in se stesso. Nelle sue cause gli Angeli prevedono il futuro necessario e congetturano meglio degli uomini il futuro ordinario; ma in se stesso il futuro noto a Dio solo, che lo conosce nelleternit. 4. Similmente i segreti dellanima gli Angeli possono conoscerli dagli effetti, mentre in se stessi sono a Dio solo naturalmente noti. 5. I misteri poi della grazia, che dipendono dalla sola volont di Dio, gli Angeli non li conoscono se non per cognizione soprannaturale e beatifica.

Quest. 58. Limiti della scienza angelica. 1. Della cognizione naturale gli Angeli hanno sempre labito, ma questo non sempre in atto: invece la cognizione beatifica del Verbo in loro sempre in atto. 2. In assieme gli Angeli conoscono luniversalit delle cose di cognizione beatifica; ma di scienza naturale non conoscono in assieme le cose di cui hanno infuse imagini distinte. 3. Gli Angeli conoscono una cosa nellaltra, non una cosa per mezzo dellaltra; essi quindi hanno scienza intuitiva anzich discursiva. 4. E come non abbisognano di termine medio o di paragone, per passare dai principi alle conclusioni, cos non ne abbisognano per affermare o negare il convenire o no di un predicato ad un soggetto. 5. La scienza angelica quindi non come quella degli uomini che per istrada pu arrestarsi o deviare, essa va

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diritta al suo termine e non soggetta a falsit, a meno che, come nei demoni, la cattiva volont turbi lintelletto. 6. Osserva S. Agostino che i 6 giorni della creazione, non sono come i nostri, perch il sole che li regola ci fu soltanto al quarto; giorno perci va inteso cognizione angelica di sei generi di cose; vespero: gli Angeli hanno conosciuto le cose nel Verbo; mattino gli Angeli hanno conosciuto le cose in loro stesse. 7. essenzialmente diverso conoscere le cose in se stesse vedendole nel Verbo, e vedendole nelle loro imagini agli Angeli connaturali, perci essenzialmente differiscono vespero e mattino.

Quest. 59. Volont angelica. 1. Tutto procede da Dio ed inclinato al bene: questa inclinazione si distingue in naturale, sensitiva e intellettuale; lintellettuale si chiama volont. Gli Angeli hanno intelletto, quindi anche volont. 2. Gli Angeli hanno volont soltanto per il bene, intelletto anche per il male, perci differiscono in loro intelletto e volont. 3. Gli Angeli conoscono non un bene particolare cui siano determinati, ma il bene in generale per giudicare se poi in particolare una cosa bene o no; ci equivale a giudizio libero, anche agli Angeli quindi spetta il libero arbitrio. 4. Negli Angeli non c irascibile e concupiscibile, perch questi sono parti dellappetito sensitivo.

Quest. 60. Amore negli Angeli. 1. Linclinazione che consegue la conoscenza intellettuale propria della natura e, in quanto si accompagna a conoscenza intellettuale, si chiama amore; negli Angeli c dunque lamore.

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2. Tale amore si distingue in naturale, che riguarda il fine, ed elettivo che riguarda i mezzi, e il naturale principio dellelettivo anche negli Aneli. 3. Amare voler il bene; questo bene sostanziale o accidentale: ciascuno ama se stesso volendo e il suo essere e la sua perfezione, perci anche lAngelo ama se stesso di amore naturale per naturale inclinazione, e di amore elettivo quando per elezione si desidera il bene; 4. di amore naturale langelo ama e vuole il bene della propria natura e quindi anche il bene di chi partecipe della stessa natura, cos e in questo gli Angeli si amano di amore naturale; nel resto si amano di amore elettivo. 5. Linclinazione naturale maggiore per ci che principale, minore per ci che subordinato; cos istintivamente la mano si stende e si espone a un colpo per proteggere il capo. Dio il Bene universale, perci lAngelo di amore naturale anta pi Dio che se stesso, altrimenti avrebbe un amore perverso, impossibile fondamento alla grazia.

Quest. 61. Creazione degli Angeli. 1. Solo Iddio esiste di per se stesso (3. 4), quindi anche gli Angeli, come tutte le cose, hanno in Dio la causa del loro essere. 2. E, come tutte le cose, furono creati dal niente, hanno avuto come precedente il niente, perci non sono ab aeterno; 3. ed essendo lultimo gradino della scala degli esseri delluniverso furono creati colluniverso e non prima, 4. ed ebbero una sede proporzionata alla loro natura spirituale; non la terra, ma il cielo.

Quest. 62. Perfezione di grazia e di gloria negli Angeli. 1. Beatitudine naturale (= ultimo grado di Perfezione)

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per una natura intellettuale contemplazione del sommo intelligibile, che Dio: e poich lAngelo a differenza delluomo raggiunge direttamente il suo oggetto, cos lAngelo la ebbe appena creato. Beatitudine invece soprannaturale (la visione dellessenza di Dio) sopra la natura e non appartiene alla natura angelica averla subito; 2. e il rivolgersi a lei per conseguirla non poteva dipendere che da una mozione di Dio, dalla grazia di Dio; 3. S. Agostino ritiene che tale mozione gli Angeli la abbiano avuta nella creazione e quindi che siano stati creati in grazia. 4. E per tale mozione indirizzandosi essi a beatitudine non dovuta alla natura, convien dire che chi la consegu, la merit. 5. Come per lintelletto, cos anche per la volont lAngelo va direttamente al suo oggetto, bast quindi un atto di amore per conseguire la beatitudine. 6. Ciascun Angelo ebbe grazia e gloria proporzionata alle forze della natura e ci convenne e alla Sapienza di Dio e agli stessi Angeli che chi pi forte pi abbia di mozione, di grazia. 7. E poich natura e grazia stanno fra loro come primo e secondo, negli Angeli beati non vengono distrutti, ma restano e cognizione e amore naturale. 8. LAngelo beato vede Dio, Bene essenziale, perci non pu volere agire se non indirizzandosi, se non mirando a Dio, perci non pu peccare. 9. Se gli Angeli potessero progredire in gloria arriverebbero fino a comprendere Dio; ma Dio infinito, quindi incomprensibile, quindi non si pu dire che possano progredire.

Quest. 63. Malizia degli Angeli. 1. Peccare, cio venir meno allatto regolare nelle cose e naturali e artificiali e morali proprio di ogni creatura. Lartefice che traccia

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uno schizzo da copiarsi, non sbaglia, ma pu sbagliare chi deve copiarlo. La volont di Dio regola e non sbaglia; le volont create che a quella regola devono conformarsi possono invece sbagliare. 2. Il primo peccato degli Angeli fu di affetto, non ai beni corporali, ma ai beni spirituali. Laffetto ai beni spirituali in loro non poteva essere peccaminoso se non in quanto discordante dalla regola del superiore, il che superbia e ribellione; tale peccato quindi non poteva essere che superbia. 3. Vollero gli Angeli essere come Dio, non nel senso di trasmutarsi in Dio, perch questo non si conseguisce se non colla distruzione del proprio essere, il che ripugna al sentimento naturale ma nel senso che o pretesero di diventare come Dio, capaci di creare, o pretesero definitiva la perfezione naturale, o pretesero di conseguire colle forze naturali, senza la grazia, la beatitudine soprannaturale. 4. Ogni effetto rivolto al suo principio. Gli Angeli sono effetto di Dio, sono perci di lor natura rivolti a Dio, che Bene. Ma questa naturale inclinazione al Bene pu nelle creature intellettuali essere depravata dalla volont. 5. Il peccato degli Angeli fu non del primo istante, ma posteriore al primo istante della loro creazione, perch questa, cio il loro essere, termine della operazione di Dio, che non si pu dire agente difettoso, mentre il peccato termine della loro malizia. 6. Il diavolo pecc subito dopo il primo istante della sua creazione, perch lo si ritiene creato in grazia; col primo atto, se non avesse peccato, avrebbe meritato la beatitudine. 7. Il peccato degli Angeli fu di superbia, il cui motivo fu leccellenza, perci ritenibile che il primo degli Angeli ribelli sia stato lAngelo pi eccellente; ed esso 8. indusse a peccare gli altri, che perci gli furono assoggettati nella pena;

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9. e poich la inclinazione naturale non fu di peccare e la natura ordinariamente conseguisce il suo effetto, cos quelli clic non Peccarono furono in maggior numero.

Quest. 64. La pena dei Demoni. 1. I demoni furono danneggiati nellintelletto, non quanto alla cognizione naturale, ma quanto alla cognizione di grazia, perdendo parzialmente quella speculativa dei misteri di Dio e totalmente quella affettiva. Cos la cognizione vespertina. divenne per loro notturna e lIncarnazione fu cognizione terrificante. 2. Poich la forza appetitivi si proporziona alla apprensiva e li adesione della volont allapprendimento intellettuale, lintelletto delluomo apprende immobilmente qualche cosa cio i primi principi; lintelletti dellAngelo invece apprende tutto immobilmente e proporzionatamente, quindi, come la volont degli Angeli buoni ferma nel bene, cos ora la volont dei demoni ostinata nel male. 3. Dolore corporale certamente non ne risentono i demoni, ma risentono dolore di volont, cio quellinane renitenza di volont per cui non vorrebbero certe cose, p. es. la beatitudine dei Santi. 4. Luogo della pena dei demoni linferno, ma finch ci sono nel mondo uomini da tentare, avendo Dio disposto che luomo sia aiutato dagli Angeli e combattuto dai demoni, essi si aggirano anche per laere caliginoso del mondo.

Quest. 65. Creazione delle creature corporali. 1: Le creature corporali non provengono dal Principio del, male, ma da Dio, perch anche esse hanno lessere, e tutto ci che ha lessere viene da Dio.

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2. N, come pensa Origene, da ritenersi che le creature corporali Dio le fece quando volle punire i i peccati delle creature spirituali; le fece perch nella loro variet colla subordinazione delle meno nobili alle: pi nobili formassero un tutto rappresentante la bont di Dio e manifestante la sua gloria. 3. Le creature corporee non si possono dire prodotte dagli Angeli, perch anche in esse c lesistenza che effetto universale nelle cose e che perci si deve attribuire alla sola causa universale, Dio. 4. Platone ammetteva delle forme separate, di uomo, F di cavallo, di albero, da imprimersi come uno stampo, unimpronta, per dare lessere specifico alle cose; Avicenna sosteneva che le forme delle cose non sussistono nelle cose, ma sussistono negli intelletti separati, cio negli Angeli, come sussistono le forme delle cose artificiali nella mente degli artefici. Queste sono opinioni inutili; perch nella creazione le forme furono create colle cose e nelle cose e non separatamente, perci anche le forme sono esclusivamente da Dio.

Quest. 66. Ordine di distinzione nella Creazione. 1. Le parole della Scrittura: Le tenebre coprivano la terra e la terra era informe e vuota non indicano che sia esistita con precedenza di tempo una materia informe, cio la materia prima senza ancora nessuna forma sostanziale, perch questa sarebbe un essere senza essere; la precedenza non pu essere che di natura? detto informe cio quasi deforme, perch al cielo mancava la luce e alla terra, sommersa nelle acque, mancava ladornamento delle erbe e delle piante. 2. La materia non unica per i cori celesti e per i corpi inferiori, altrimenti potrebbero trasmutarsi gli uni negli altri, il che non avviene.

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3. Fu conveniente che in principio, insieme colla terra informe, fosse creato un luogo di splendore, quale sede degli Angeli e inizio della gloria corporale, cio il cielo empireo (= ardente). 4. Il tempo cominci colla materia informe, perch col tempo che si misura la sua durata in tale, stato e il suo passaggio agli stati successivi.

Quest. 67. Distinzione della Creazione. 1. Luce significa: a) ci che fa vedere, b) ci che rende manifesto relativamente Balla vista degli occhi, e a ogni altra evidente cognizione sensitiva e allo stesso intelletto; perci nelle cose spirituali luce nel primo significato si adopera in senso metaforico; nel secondo si adopera in senso proprio. 2. La luce non corpo, perch se fosse corpo a) la sua coesistenza cogli altri corpi farebbe contro la legge dellimpenetrabilit; b) la rapidit della sua diffusione farebbe contro la lentezza del moto locale proprio dei corpi; c) la sua cessazione avverrebbe per corruzione essa si muterebbe in tenebre, anche queste corpo, e resterebbe inspiegabile il sorgere della luce allaltro emisfero. 3. La luce, che non corpo, non una pura nostra sensazione, perch i raggi di luce scaldano e le nostre senzazioni no; non la forma sostanziale o natura del sole, perch le forme sostanziali si possono intendere, ma non vedere; invece una qualit attiva conforme alla natura del sole e degli altri corpi luminosi. 4. Fu conveniente la creazione della luce al primo giorno per rimuovere la deformit delle tenebre, affinch potessero le altre cose manifestarsi.

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Quest. 68. Secondo giorno della Creazione distintiva. 1. Anzitutto ricordisi losservazione di S. Agostino: La Scrittura, divinamente ispirata, dice sempre il vero, ma la nostra interpretazione pu essere errata. Come e perch il Cielo o firmamento sia stato fatto nel secondo giorno se un composto dei quattro elementi, come pensa Empedocle, o se un elemento semplice, come opina Platone, o se un quinto corpo, come giudica Aristotele, inutile ricercare, quando si ritiene con S. Agostino che i giorni della creazione indicano ordine di natura pi che di tempo. Del resto Firmamento indicherebbe quella parte di atmosfera in cui si condensano le nubi; 2. e cos si spiega lesistenza delle acque sopra il firmamento; sono quelle che vengono portate a maggior grado di evaporazione. Non giova per sottilizzare tanto, perch ci ricorda S. Agostino che lautorit della Scrittura supera la capacit del nostro ingegno. 3. Lopinione di Talete che lacqua sia un corpo infinito, principio digli altri corpi. Ma quando Mos riferisce la parola di Dio: si faccia il firmamento nel mezzo delle acque anzich acconciarsi a quella opinione, adattava le sue espressioni al rozzo Popolo ebreo, non nominando laria, che per gli ignoranti lo stesso che il vuoto, e designandola per i dotti col nome di firmamento. 4. Il cielo inteso naturalmente, o nelle sue propriet, o metaforicamente, uno solo, ma vien distinto in parti, in virt e generi di visione; perci la Scrittura: nomina talora il cielo, talora i cieli. Nel sistema tolemaico i cieli sono 10: il cielo empireo, il cielo cristallino e, nel cielo sidereo, la sfera delle stelle fisse e 7 sfere di pianeti.

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Quest. 69. Terzo giorno della Creazione distintiva. 1. La riunione delle acque e lapparizione della terra la Scrittura la pone nel terzo giorno. S. Agostino, che considera pi lordine di natura che di tempo trova conveniente il terzo giorno, perch la terra vien terza in dignit dopo la luce e il cielo. Altri Padri, che ammettono lordine di tempo, trovano congruente il terzo giorno per la terra, perch doveva precedere la rimozione della deformit in cielo, le tenebre, e della deformit nelle acque, gli abissi! 2. La terra brulla e deserta aveva anche una deformit visibile da rimuoversi, e la Scrittura dice che ci fu fatto rivestendosi la terra di erbe e di piante, o per lo meno ricevendo la virt di produrle, come opina S. Agostino.

Quest. 70. Creazione adornativa. Quarto giorno. 1. Al periodo di distinzione dei primi tre giorni corrisponde in simmetria un periodo di ornamento di altri tre giorni; al quarto giorno perci bene la Scrittura pone che il cielo si adorna del sole, della luna e delle stelle; 2. e per distogliere il popolo dal culto degli astri bene la Scrittura espone che essi sono opera di Dio e che sono fatti per utilit degli uomini. 3. I Platonici ammettevano che gli astri avessero lanima. Invece bisogna dire che non lhanno, perch non ce n bisogno n per la vita vegetativa, essendo essi incorruttibili; n per la vita sensitiva, non avendo essi contatti colle cose; n per la vita intellettiva, potendo lintelletto fare senza corpo; n per il moto, potendo questo essere impresso e mantenuto da un agente esterno.

Quest. 71. Quinto giorno della Creazione. 1. Come il giorno dimezzo del primo ciclo di tre giornate della crea-

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zione fu assegnato alla distinzione delle acque col firmamento, cos bene la Scrittura assegna il giorno dimezzo del secondo ciclo allornato delle acque e del firmamento colla produzione dei pesci e degli uccelli.

Quest. 72. Sesto giorno della Creazione. 1. Similmente lultimo giorno del secondo ciclo, cio il sesto, corrisponde al terzo per lornato della terra, che si popol degli animali terrestri, o che ricevette per lo meno la virt di produrli, come opina S. Agostino.

Quest. 73. Settimo giorno della Creazione. 1. La Scrittura dice bene che il Signore nel settimo giorno diede compimento allopera sua, risultando la perfezione delluniverso dallunit delle parti; 2. ed aggiunge che il Signore si ripos, perch riposo cessazione del moto, che proprio dei corpi; ma si applica alle cose spirituali come cessazione di opera o come appagamento di desiderio; luno e laltro convengono a Dio. 3. Convenientemente poi la Scrittura assegna al settimo giorno la benedizione, che riguarda la moltiplicazione degli esseri e la santificazione, che riguarda il loro riposarsi in Dio.

Quest. 74. Dei 7 giorni insieme. 1. La enumerazione dei sei giorni della creazione fatta dalla Srittura perfetta secondo i Pitagorici, che dicono perfetto il tre risultante dai principio, mezzo e fine, perch narrata la distinzione e lornato del cielo, dellacqua e ella terra; ed perfetta anche secondo S. Agostino, che dice perfetto il tre nel-

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la somma dei suoi componenti: uno, due e tre, che fanno sei, perch sei sono i giorni della creazione. 2. S. Agostino ritiene che i 7 giorni non siano che un giorno solo di settemplice rappresentazione dei diversi generi delle cose fatta alle angeliche intelligenze. Altri padri invece intendono sei diverse produzioni propriamente dette. In ogni modo certo che Iddio non ha bisogno di tempo e si pu ritenere che Iddio cre insieme tutte le cose, ma che esse non si formarono insieme quanto alla distinzione e allornato, bens a diversi stati di perfezione indicati dai 6 giorni. 3. La Scrittura nel racconto della Creazione sapiente, perch fa cenno del Verbo dicendo: In principio, cio in chi fonte ed archetipo, e fa cenno dello Spirito Santo parlando dello Spirito di Dio, che si libra sulle acque per dare vita al mondo.

Quest. 75. Essenza dellanima umana. 1. Ogni anima, essendo semplice, inestesa, perci non pu essere corpo, di cui propria lestensione. Anima primo principio della vita e la vita ha una duplice manifestazione: cognizione e moto. Antichi filosofi dicevano: ci che non corpo niente, lanima, esistendo, non pu essere niente, dunque corpo. Errore! Un corpo non pu essere primo principio di vita in quanto corpo, perch allora ogni corpo sarebbe vivo. invece vivo qualche corpo, p. es. il cuore, quel corpo cio che ha in atto lanima; lanima quindi non corpo, ma latto, lagente di qualche corpo. 2. Lanima umana qualche cosa in s di indipendente dal corpo, perch principio della cognizione intellettuale, per cui conosce la natura di tutti i corpi, al che occorre che non sia alcuno di essi, perch in tal caso non conoscerebbe la natura degli altri corpi, come chi ha la bocca amara non percepisce gli altri sapori. Cosicch altres

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impossibile che la cognizione intellettuale si compia per mezzo di un organo corporeo. 3. Lanima dei bruti invece non qualche cosa di indipendente dal corpo, perch la loro cognizione, che sensitiva, si compie sempre con qualche mutazione del corpo. 4. Ma lanima non luomo, perch luomo consta di anima e di corpo, avendo esso anche la cognizione sensitiva, che non soltanto dellanima. Si pu per dire che lanima luomo in quanto, essendo lanima il primo principio della vita, tutto quello che fa luomo a lei riferibile. Luomo composto di anima e corpo quali for ma e materia; questa carne p. es. di me individuo, la carne, invece, di ogni uomo; 5. ma lanima, anzich essere composta di materia e forma, non pu nemmeno avere materia, perch se ogni anima soltanto forma, tanto pi lo lanima delluomo, che intellettiva. Essa conosce p. es. la pietra nella sua ragione formale assoluta di pietra, non nella ragione sensitiva particolare di questa pietra. Se dunque nellanima ci sono le ragioni formali assolute delle cose, essa che le contiene deve essere una forma assoluta, non una forma composta di materia. 6. Ne segue che lanima umana incorruttibile: Essa qualche cosa di indipendente dal corpo, perci la distruzione del corpo non porta con s necessariamente anche la distruzione dellanima, come invece avviene degli accidenti e delle forme materiali dei corpi. Se essa fosse composta di materia e forma, cesserebbe di esistere alla separazione della materia dalla forma. Essa invece solo forma e per cessare di esistere bisognerebbe, cosa impossibile, che si separasse da se stessa. Ne anche segno il desiderio di perennit che natura ci inspira e non pu essere fallace.

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7. Lanima umana per non della stessa specie dellAngelo. Differiscono di specie, perch hanno operazioni generali differenti.

Quest. 76. Unione dellanima col corpo. 1. Forma sostanziale del corpo umano e lintelletto, principio delloperazione intellettiva, della vita intellettiva delluomo, anima quindi delluomo. Lintelletto cos, forma, si unisce immediatamente e intimamente al corpo, materia. Che la forma sostanziale del corpo umano, (= ci che d essere, anzi essere specifico alluomo) sia lintelletto, lo si desume dalla natura umana, essendo per noi lintendere distintivo di specie ed essendo la forma costitutivo di specie. 2. evidente che di principii della vita intellettiva non ce n uno solo, che vale per tutti gli uomini, come pensava Averro, perch allora ci sarebbe unazione unica, una forma sostanziale unica, unesistenza unica, perci un solo uomo; ma invece i principi intellettivi sono tanti quanti i corpi umani. 3. Ed anche evidente che, essendo lanima la forma sostanziale del corpo, ce n una sola per ciascuno e non tre essenzialmente differenti cio la nutritiva nel fegato, la concupiscibile nel cuore, la conoscitiva nel cervello, come vorrebbe Platone, perch ciascuno sarebbe allora un essere triplice, e si potrebbe attendere contemporaneamente alle tre diverse operazioni colla massima intensit, il che invece non . 4. Inoltre, essendo lanima intellettiva la forma sostanziale, che d cio lessere, anzi lessere specifico al corpo umano, c essa sola quale forma sostanziale. altre, come la sensitiva e la vegetativa non se ne devono supporre, perch, come nei numeri il pi contiene i meno, cos lanima intellettiva, essendo di grado superiore, fa quello che fanno le inferiori e anche qualche cosa di pi.

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5. Il corpo umano, quale , si deve dire convenientemente organizzato, affinch sia sua forma sostanziale lanima intellettiva, perch se essa, come inferiore agli Angeli, deve raccogliere le cognizioni intellettuali dalle cose per mezzo dei sensi, essa per informa un corpo nel quale diffuso ed fino pi che negli altri animai il senso generale del tatto, che poi in certi organi specializza in senso di gusto, di olfatto etc. 6. Il corpo per, che dallanima informato, non ha precedenti disposizioni nemmeno accidentali, perch lanima ne il primo principio, lanima ne la forma sostanziale, cosicch prima dellanima non nemmeno sostanza, non esiste nemmeno. 7. Che se una cosa ununit in quanto esiste e luomo esiste per la forma sostanziale, che lanima luomo ununit collanima; e non c quindi bisogno di un corpo intermedio, gi proprio dellanima prima che essa si unisca al corpo. 8. E lanima intellettiva, forma sostanziale del corpo, c in tutto il corpo e in ogni sua parte, perch loperazione specifica dellintellettualit pu essere esplicata in ogni parte del corpo, p. es. nel piede, gestendo, e perch se lanima si diparte il corpo non funziona pi, n nel tutto, n in alcuna parte; lanima, che semplice, se c in ogni parte, c tutta in ogni parte ma c di totalit di sostanza, non di totalit di operazione, perch la potenza visiva p. es. la esplica negli occhi e non nel naso.

Quest. 77. Potenze dellanima in generale. 1. Le operazioni dellanima e ogni principio di queste operazioni; cio le potenze e i relativi atti, non sono lanima stessa, lessenza dellanima. Non lo sono degli Angeli (59. 2), tanto meno lo sono delluomo. Ed evidente, perch come chi ha sempre lanima sempre vivo, cos chi ha sempre lanima dovrebbe avere in esercizio sempre e tutte le

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operazioni vitali; noi invece abbiamo lanima, ma, quanto alle operazioni vitali, ne abbiamo alcune in esercizio, altre in potenza. Lanima adunque ha le potenze che sono principii di operazione, lanima atto primo ordinata alloperazione, che atto secondo; ed atto primo del corpo che ha la vita non in esercizio,. cio in atto secondo; ma soltanto in potenza. 2. Le potenze dellanima sono parecchie, perch luomo, che si trova ai confini delle creature spirituali e corporali, ha molti atti, cui corrispondono parecchie potenze. 3. Le potenze sono principio degli atti, questi si diversificano secondo gli oggetti, perci secondo gli alti, e gli oggetti si diversificano anche le potenze; la potenza poi passiva se loggetto relativamente a lei principio o causa, attiva se invece loggetto termine o effetto. 4. In ordine di eccellenza prima vengono le potenze intellettuali; in ordine di origine prima vengono le potenze sensitive, in ordine poi di percezione la precedenza spetta alla potenza visiva. 5. La potenza operativa di quel soggetto che ha il potere di operare, perci il soggetto delle facolt inorganiche lanima sola e il soggetto delle facolt organiche il corpo unito allanima, cio il composto umano; 6. e appunto perch se il corpo non avesse lanima, che ne la forma sostanziale, non sarebbe il soggetto delle facolt organiche, cos anche le facolt organiche derivano dallanima. 7. Le potenze poi difendono una dallaltra; in ordine di natura si prima animali e poi uomini, perci lintelletto dipende dal senso: ma in ordine di azione ci che vivifica il senso lanima che intellettiva, perci il senso dipende dallintelletto.

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8. Quando poi si muore restano attive le potenze inorganiche e le organiche rimangono soltanto in radice, in virt.

Quest. 78. Potenze dellanima in particolare. 1. Si distinguono nellanima: 5 generi di potenze: la vegetativa, considerato loggetto come corpo unito allanima; la sensitiva, lappetitiva, la locomotiva, considerato loggetto come corpo sensibile; lintellettiva, considerato loggetto come ente universale; 3. anime: la vegetativa, la sensitiva, lintellettiva, secondo i tre gradi di superiorit sulla pura natura corporea; 4. modi di vivere: il vegetativo, il sensitivo, il locomotivo, lintellettivo, secondo i gradi dei viventi. 2. La potenza vegetativa ha tre parti: la generativa, laumentativa, la nutritiva, secondo le 3 finalit del corpo: acquistare lessere, raggiungere il completo sviluppo, conservarsi. 3. Gli organi sono proporzionati alla potenza e poich sono 5 gli organi del senso, perci sono pure 5 le parti della facolt sensitiva. 4. La vita dellanimale perfetto esige apprensione delle cose anche in loro assenza. Occorre quindi che lanima snsitiva non solo riceva le imagini delle cose, ma anche le ritenga e conservi. Occorrono altri organi, distinti dagli organi esterni. Perch lagnello fugge il lupo? non perch locchio scorge in lui brutti colori, ma perch un senso dellanima glielo fa riconoscere come un nemico naturale. Questi sensi dellanima, o sensi interni, sono 4: il senso comune, che raccoglie le diverse senzazioni, la fantasia che le conserva come in uno scrigno, la memoria che le riconosce come passate, lestimativa che ne giudica utile o nocivo loggetto.

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Quest. 79. Potenze intellettive. 1. Lintelletto una potenza dellanima, non la stessa anima, perch luomo ha potenza di intendere, ma non sempre in atto di intendere, a meno che si voglia dire che tutte le operazioni delluomo, anche. quelle della vita vegetativa, sono operazioni di intelligenza!

2. Lintelletto una potenza passiva, ossia termine di operazione e non gi potenza attiva, ossia principio di operazione. Infatti lintelletto di Dio, Creatore, relativamente alluniverso principio, cio atto; ma lintelletto umano, che per di pi fra le sostanze intellettuali il pi discosto da Dio, quanto alle cose e in particolare quanto allintenderle, termine, in potenza, possibile, per se una pagina bianca, pronta a ricevere una scrittura, ma sulla quale niente ancora scritto. Tabula rasa. 3. Lintelletto pero anche agente, perch compie latto di astrarre la natura, lessenza di ogni cosa per conoscerne il genere e la specie; atto che necessario da parte dellintelletto, non potendosi sostenere con Platone che esistano le essenze separate, le quali imprimendosi nelle cose formino gli individui, rendendosi cos esse da s conoscibili al nostro intelletto. 4. Ciascuno sa per esperienza di saper fare astrazioni delle condizioni particolari di ogni cosa per conoscerne lessenza, perci lintelletto agente proprio dellanima di ciascuno, ma poich lanima umana soltanto in parte intellettiva, cos intellettiva per partecipazione, e per partecipazione dello stesso intelletto infinito, che Dio. 5. Se dunque lintelletto agente proprio di ciascuna anima, ce ne sono tanti quante sono le anime e non gi uno solo di tutti. 6. Allintelletto spetta anche memoria, perch quando esso si impossessato di unidea, pu ritornarvi su e intanto la conserva e pi tenacemente ancora della memo-

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ria sensitiva; ma solo alla memoria sensitiva spetta il riconoscere una impressione come passata, perch come tale, limpressione legata a circostanze particolari, il che spetta al senso e non gi allintelletto, che ha per oggetto luniversale. 7. Tale memoria intellettiva non una potenza distinta dallintelletto non essendovi diversit di oggetto, ma funzione conservativa dellintelletto che si impossessato delle idee. 8. E nemmeno la ragione una potenza diversa dallintelletto, ma unaltra funzione dellintelletto in ci che si conosce gradatamente. 9. La ragione inferiore e la superiore non sono due potenze, ma una stessa cosa, distinta secondo loggetto, che delluna la sapienza delle cose eterne, dellaltra la scienza delle cose temporali. 10. Anche lintelligenza, come la ragione, non una potenza diversa dellintelletto, ma latto, la funzione dellintelletto. 11. N sono due diverse potenze lintelletto speculativo e lintelletto pratico, ma una stessa cosa, distinta secondoch delluno proprio lapprendere, dellaltro proprio lindirizzare allopera ci che fu appreso. 12. Non potenza la sinderesi, ma invece cognizione abituale dei principi morali. 13. Non potenza la coscienza, ma invece atto di rapporto di unazione, da farsi, colla legge morale.

Quest. 80. Potenze appetitive. 1. Lappetitiva , una potenza dellanima. Lanima ha una inclinazione, superiore alla naturale, in conformit alla cognizione superiore di cui essa, in confronto degli animali, capace. 2. E come la conoscenza sensitiva diversa da conoscenza intellettiva, cos linclinazione sensitiva diversa dalla intellettiva e sono due potenze diverse.

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Quest. 81. La sensualit. 1. Nella conoscenza la cosa va al soggetto, nellinclinazione il soggetto va alla cosa; linclinazione determinata da conoscenza sensitiva si chiama sensualit, o appetito sensitivo. 2. E poich tale inclinazione si determina talora a fuggire ci che nocivo e talora a resistervi, talora a seguire ci che attrae e talora a lottare contro gli impedimenti, perci le potenze della sensualit sono due la concupiscibile e lirascibile, 3. ed obbediscono allintelletto o meglio alla ragione nellatto interno e alla volont nellatto esterno.

Quest. 82. Della volont. 1. La volont ha inclinazione naturale, e perci necessaria, al bene in genere, che il suo fine, e anche a ci che per il fine mezzo unico e necessario, n per questa violenza. Violenza moto contrario alla naturale inclinazione e poich questa inclinazione viene da un principio intrinseco, la violenza non pu provenire che da un principio intrinseco. 2. Ma per i beni particolari, che non sono quel mezzo unico necessario al fine, la volont non ha inclinazione naturale e necessaria, cos come lintelletto, che aderisce necessariamente ai primi principi, aderisce invece alle proposizioni, che non hanno necessaria connessione con essi, soltanto in seguito a dimostrazione. 3. Lintelletto per s potenza pi nobile della volont e ci per ragione delloggetto, perch prima viene il vero, poi il bene; ma in qualche cosa la volont pi nobile dellintelletto: p. e. pi amare Dio che conoscerlo. 4. Lintelletto muove la volont in quanto le presenta loggetto conosciuto come bene, come fine: ma la volont, quale agente principale in ordine al fine universale, muove tutte le potenze compreso lintelletto, escluse per le potenze vegetative.

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5. Propriamente nella volont non si distingue, come nella sensualit, lirascibile e il concupiscibile, perch la volont, appetito intellettivo, ha per oggetto il bene in genere, non qualche bene particolare. Per si pu dire in senso improprio che la speranza p. es., appartiene allirascibile e la carit al concupiscibile.

Quest. 83. Del libero arbitrio. 1. Se luomo non avesse il libero arbitrio, i precetti e le proibizioni non avrebbero ragione di essere. Ma luomo non come una pietra che cade allingi e non lo sa: non nemmeno come la pecora che fugge il lupo, perch istintivamente, collestimativa, lo riconosce quale un nemico naturale. Luomo agisce giudicando, non per istinto, ma per confronto di ragioni, considerando il pro e il contro, e, con giudizio libero, potendo appigliarsi alluno o allaltro; e nelle cose particolari, come per lintelletto c il liberamente opinabile, cos per la volont c il liberamente operabile. Luomo quindi ha il libero arbitrio. 2. Il libero arbitrio non unabitudine naturale, perch questa importerebbe una inclinazione naturale e necessaria, contraria perci al libero arbitrio; non nemmeno unabitudine acquisita, perch questa importa uninclinazione molto forte, p. e. dellintemperanza al bere, mentre invece il libero arbitrio indifferenza nella scelta: resta quindi che esso una potenza; non poi atto, perch latto passa, esso resta; 3. e la scelta, che propriet del libero arbitrio, risulta di cognizione, che esamina e giudica cosa sia preferibile, e di appetizione che accetta ci che giudi. cato preferibile e a esso tende, come a qualche cosa, che, quale mezzo, utile. Lutile bene, il bene oggetto della volont, il libero arbitrio perci potenza di volont. 4. anzi il libero arbitrio sta alla volont come la ragione sta allintelletto, perch come intelletto lintendere

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semplicemente e ragione intendere con ragionamento, cosi volont volere semplicemente, libero arbitrio volere con scelta; perci come la ragione non potenza diversa dallintelletto, cos il libero arbitrio non potenza diversa dalla volont.

Quest. 84. Come lanima nostra conosce le cose corporali. 1. Lintelletto nostro conosce i corpi, tanto vero che esistono la scienza fisica e le scienze naturali. Eraclito negava la scienza o conoscenza certa, dicendola impossibile, stante la mutabilit delle cose. Platone la asseriva, facendola derivare dalla visione delle essenze separate. Invece va ricordato che nella cognizione la cosa spassa a essere nel soggetto secondo la maniera di essere del soggetto, e va perci detto che lintelletto conosce le cose materiali e mobili immaterialmente e immobilmente, tale essendo la natura dellintelletto. 2. Le cose corporali per lanima nostra non le conosce per mezzo della sua essenza, perch questo proprio di Dio solo, la cui essenza contiene immaterialmente tutto, giacch nella causa preesistono virtualmente gli effetti e Dio Causa di tutte le cose. 3. non le conosce nemmeno per mezzo di imagini infuse, perch questo riservato agli Angeli ed essa si trova come una pagina bianca su cui nulla ancora fu scritto; tanto vero che un cieco p. es. nulla sa e nulla pu sapere di colori; 4. le imagini intellettuali delle cose non provengono allanima dalle essenze separate di Platone, le quali partecipate alle cose formano gli individui, partecipate alla mente nostra formano le nostre cognizioni, perch allora non avremmo pi bisogno dei sensi, come invece abbiamo.

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5. Direttamente nelle ragioni eterne le cose immateriali le conosce lanima beata, noi quaggi le conosciamo indirettamente, attraverso cio le cose sensibili. 6. dalle cose sensibili che proviene la nostra cognizione intellettuale, perch dal senso che proviene alla fantasia limagine sensibile sulla quale lavora lintelletto agente; 7. e senza imagine sensibile della fantasia lintelletto umano quaggi non pu nemmeno ripensare alle cose, come avviene a chi ha lesioni celebrali. perci che gli insegnamenti si illustrano con esempi e che lo stesso matematico lavora colla mente sopra formole e figure imaginarie. 8. Quando i sensi sonto legati, come avviene nel sonno, anche il giudizio impedito, non pu essere perfetto, mancando il termine di confronto, cio la realt esterna; perci quello che si fa nel sonno non peccato.

Quest. 85. Modo e ordine dellintendere. 1. Lintelletto nostro, che immateriale, conosce immaterialmente; ma avendo bisogno dei sensi che, essendo materiali, conoscono materialmente, esso conosce immmaterialmente mediante astrazione dalle immagini sensibili, riservando cio di esse le nozioni generiche e stabili, trascurando le particolari e variabili. 2. Ma le imagini intellettuali, ricavate mediante astrazione dalle imagini sensibili, sono il mezzo e non loggetto della nostra cognizione: conosciamo le cose mediante limagine, come attraverso il cannocchiale si vede la cosa. Che se la nostra conoscenza diretta fosse dellimagine e non della cosa, allucinati e pazzi avrebbero anche essi ragione. 3. La cognizione intellettuale per non tosto perfetta: prima incompleta e generica, poi diviene completa e specifica; cos come in distanza si vede prima una cosa

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generica, poi si distingue, per esempio, che un uomo, infine si distingue chi . 4. A ogni atto corrisponde un oggetto e pi cose insieme possono essere oggetto dellintendere se raggruppate in una imagine unica. Dio vede tutte le cose insieme nella unica sua essenza. 5. Non essendo tosto perfetta la cognizione nostra, abbiamo bisogno di procedere mediante confronti, giudicando affermativamente o negativamente: a differenza dellAngelo, che conosce i paragoni, ma non ha bisogno di paragoni. 6. E poich lintelletto procede mediante i confronti, pu venirne deviato ed arrivare al falso; ma per s, e lo si vede nelle cose semplici, lintelletto non falso circa il suo proprio oggetto, come la vista non sbaglia circa la luce, che il sensibile suo proprio mentre pu sbagliare quanto a un sensibile o comune o accidentale, scambiando per esempio miele con fiele. 7. Come avviene nei fisici e nei filosofi relativamente a un esperimento o a un assioma, uno pu conoscere una stessa cosa pi di un altro, non per la cosa in s, ma per la forza pi o meno grande dellintelletto che la scruta. 8. Lindivisibile, che anche indiviso, si conosce prima delle sue possibili divisioni: ma lindivisibile in quanto negazione di divisione un concetto negativo posteriore al positivo.

Quest. 86. Ci che lintelletto nostro conosce nelle cose. 1. Lintelletto nostro mediante lastrazione dalle imagini sensibili si forma un concetto generale della cosa e questo loggetto diretto dellintelletto; pu per anche conoscere la cosa stessa particolare, riflettendo sulla imagine sensibile di essa. 2. Si pu dire che lintelletto mostro ha infinite cose da conoscere, perch quante pi ne conosce, tante pi ne ha

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da conoscere; ma non sar mai in atto di conoscere linfinit delle cose, perch conosce una cosa alla volta e la stessa visione di Dio, che infinito, non la comprensione di Dio. 3. Lintelletto conosce anche le cose contingenti e eventuali in quanto in esse c qualche rapporto di: necessit. Vero che ci sono le scienze morali e sociali e la scienza non di particolarit, ma di principii e conclusioni generali. 4. Il futuro legato alle condizioni particolari del tempo e il particolare oggetto del senso: ma il futuro legato anche alle sue cause, che sono le ragioni universali di esso e queste sono oggetto dellintelletto, quindi anche lintelletto conosce il futuro.

Quest. 87. Come lanima conosce se stessa e ci che ha in s. 1. Lanima conosce se stessa non per mezzo di se stessa, ma per mezzo del suo atto, perch lintelletto nostro potenza conoscitiva, non gi atto conoscente: quando non in atto solo potenza, quasi latente, ed soltanto collatto che si fa presente. Cos i corpi che sono alloscuro sono in potenza a essere visti, ma si vedono realmente quando vengono illuminati. 2. E similmente gli abiti buoni o cattivi dellanima, che, in quanto abiti, sono potenza, sono conosciuti dallintelletto non in se stessi, ma dai loro atti. 3. Lintelletto nostro conosce anche se medesimo dal suo atto, ma con questordine: prima conosce loggetto, poi latto, poi se stesso. 4. E poich la volont inclinazione dellintelletto, perci lintelletto pu conoscere anche questa sua inclinazione e con ci latto di volont.

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Quest. 88. Come lanimaconosca le cose che le sono superiori. 1. Lintelletto nostro in questa vita legato al senso, perci si riferisce direttamente alle cose materiali, presentategli dal senso, immaterializzandole nella cognizione colla operazione sua; alle sostanze immateriali non si riferisce direttamente, ma soltanto indirettamente, per esempio dagli effetti; 2. e quanto a conoscerle non le pu conoscere quali sono, essendo esse di altra natura; 3. che se lintelletto nostro quaggi non pu conoscere le sostanze immateriali create, in se stesse, tanto meno potr conoscere la sostanza immateriale increata, cio Dio.

Quest. 89. Cosa e come conosca lanima separata. 1. Loperare segue lessere e il modo di operare segue il modo di essere. Lunione che lanima nostra ha col corpo naturale e quindi di perfezione anche se perci nellintendere legata alle imagini sensibili, perch come agli intelletti pi tardi sono necessari gli esempi pratici, cosi allanima nostra, che allultimo grado delle sostanze spirituali, per intendere occorrono le imagini sensibili, altrimenti avrebbe una cognizione troppo generica e confusa. Quando per lanima si separa dal corpo, le compete il modo di intendere che hanno le altre sostanze separate, le quali si riferiscono alle cose intelligibili semplicemente e comprendono a misura dellinflusso che godono del lume divino. 2. Lanima separata vede se stessa e cos conosce se stessa e cos pare le altre sostanze separale, cio gli altri spiriti; ma poich degli altri spiriti ne misura la cognizione su se stessa, perci delle anime separate ha conoscenza perfetta, ma degli Angeli, che le sono superiori, ha conoscenza imperfetta. 3. La cognizione nelle sostanze separate essendo commisurata allinflusso del lume divino, gli Angeli, che ne

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sono pi vicini, conoscono perfettamente la natura tutta: le anime dei trapassati, che ne sono pi lontane, hanno della natura una cognizione generica e confusa; 4. e per la stessa ragione hanno conoscenza anche dei fatti e delle cose particolari, soltanto per di quelle verso le quali hanno un precedente legame o di cognizione o di affetto o di abitudine. 5. La scienza, che un abito non della volont, ma dellintelletto, rimane nellanima dei trapassati e non sar nemmeno pi soggetta ad alterazione dipendente da falsit dargomentazione, perch questa dopo morte non pi possibile non essendoci pi luso dei sensi; 6. e non solo la scienza, ma anche le singole cognizioni restano solo morte, senza per la possibilit delluso dellimmagine sensibile nel ripensare alle cose; 7. e appunto perch dopo morte lanima ricava le sue cognizioni dallinflusso del lume divino e non dalle imagini sensibili, la forza del senso non centra pi, e ci che si ha a conoscere si conosce sia vicino o sia lontano. 8. Essendo per le anime dei trapassati separate dal consorzio dei viventi per divina disposizione sono perci impedite di conoscere ci che avviene nel mondo. Per grazia per i Santi conoscono ci che quaggi avviene e tuttavia non se ne rattristano essendo essi beati.

Quest. 90. Produzione del primo uomo quanto allanima. 1. Non si pu dire che lanima sia parte della sostanza di Dio, perch Dio puro atto, lanima invece nostra, che intellettiva, non sempre in atto di intendere, ma talora soltanto in potenza di intendere; resta perci che da Dio sia fatta. 2. Lanima sostanza e non accidente; le compete lesistenza, a questa via la produzione; non pu essere prodotta da preesistente sostanza materiale essendone superiore; non pu essere prodotta da preesistente so-

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stanza spirituale, perch le sostanze spirituali non si trasmutano una nellaltra; perci deve essere stata prodotta dal niente e cio creata; 3. e poich creare spetta a Dio solo, deve esser stata creata immediatamente da Dio; 4. ed essendo parte dellumana natura, ha la sua perfezione naturale quando unita al corpo e perci da Dio, il quale ha creato ogni cosa perfetta, fu creata insieme col corpo.

Quest. 91. Produzione del corpo del primo uomo. 1. Il mondo risulta dalla distinzione e dallornato del cielo, della terra e delle acque e perci luomo per essere il microcosmo, o piccolo mondo, doveva essere fatto di terra e dacqua, cio di loto, contemperato a una speciale incorruttibilit propria dei corpi celesti. 2. E poich precedentemente non era stato formato un organismo quale quello delluomo, cosicch per generazione se ne potesse avere uno simile nella specie, Dio ha dovuto crearlo immediatamente; 3. e di Dio, ottimo artefice, deve dirsi che lha creato quale conveniva per lunione con unanima spirituale; 4. e la Scrittura narra diffusamente la creazione delluomo per indicare che esso il culmine e il re del creato.

Quest. 92. Creazione della donna. 1. Alluomo compete, anzi in grado superiore, ci che proprio degli animali perfetti, cio la generazione attiva e passiva in sesso distinto: la donna perci doveva essere creata distintamente dalluomo; 2. e perch luomo fosse effettivamente capo di tutto il genere umano, convenne che la prima donna creata fosse ricavata dalluomo;

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3. e fu di fatto formata con tanta costa di Adamo e ci fu con significato simbolico, perch doveva essergli compagna; usc quindi non dal capo, perch non doveva essere padrona e non dai piedi, perch non doveva essere serva. 4. Poich la formazione della prima donna non poteva avvenire altro che fuori dellordine naturale, perci la sua produzione non pu spettare ad altri che a Dio, autore di tutte le cose.

Quest. 93. Fine della creazione delluomo. 1. Iddio causa esemplare di tutto e anche luomo fu creato a sua somiglianza, anzi provenendo luomo da Dio e essendo a sua somiglianza, in lui c limagine di Dio, la quale esige appunto somiglianza con un soggetto e provenienza da lui; 2. non per qualunque somiglianza importa imagine, ma soltanto la somiglianza di natura o dellaccidente proprio della specie, cio la figura. Luomo simile a Dio non solo in quanto esiste e in quanto vive, ma anche in quanto intende; questa vera somiglianza, compete alle creature intellettuali, perci le creature irrazionali non sono imagini di Dio; 3. e perci ancora gli Angeli, strettamente parlando, sono imagini di Dio pi delluomo. 4. Luomo sopratutto imagine di Dio quando imita Dio nel grado maggiore e lo imita in grado massimo quando imita Dio che conosce e ama se stesso. Ogni uomo pu farlo e questa imagine di Creazione: lo fanno i giusti e questa imagine di Redenzione; lo fanno poi i beati in modo perfetto e questa imagine di Glorificazione. 5. In Dio c una natura e tre persone secondo le relazioni di origine (40. 2) e nelluomo c limagine di

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Dio, e quanto alla natura divina e quanto alla trinit delle persone. 6. Nel creato ci che materiale rappresenta Dio in qualit di vestigio, come sarebbero le orme del piede di uno che passato, la cenere rimasta da un incendio, perch dicono causalit; si pu anche dire che ogni, cosa ha in se un vestigio della Trinit in quanto ogni cosa ha un essere, una forma, uninclinazione naturale; ma rappresentare Dio come imagine spetta esclusivamente alle creature ragionevoli, perci questo appartiene alluomo quanto allanima e non quanto al corpo; 7. e spetta allanima sopratutto in quanto ha gli atti di pensare e di volere, perch allora ha in s un verbo e un amore; 8. e spetta allanima quando rivolge il pensiero e lamore a Dio perch allora lo imita in grado massimo. 9. Somiglianza e imagine non sono sinonimi; quando la somiglianza raggiunge la perfezione allora si chiama imagine e lespressione dellimagine la somiglianza.

Quest. 94. Stato del primo uomo quanto allintelletto. 1. Non si pu dire che il primo uomo vedesse Dio quale , a meno che fosse rapito in estasi; perch la visione di Dio la beatitudine, e chi gode la beatitudine non tale da rivolgere altrove la volont e quindi peccare. Cosi dei Santi. Adamo aveva per di Dio una scienza pi perfetta della nostra. Le creature sono specchio a Dio e Dio tanto meglio si vede quanto pi terso lo specchio e quanto pi sano locchio che dentro vi rimira. Per Adamo, prima che peccasse, le creature erano specchio tersissimo e il suo intelletto nel rimirarvi non era per nulla offuscato. 2. Bench lo stato di peccato non sia lo stato di innocenza, tuttavia tanto nelluno come nellaltro stato ce lu-

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nione naturale dellanima col corpo e la conoscenza dellintelletto per mezzo dei sensi; perci come adesso luomo non pu vedere direttamente gli Angeli, cos non poteva farlo neppure il primo uomo. 3. Dovendo Adamo essere capo di tutto il genere umano e avendo con ci lonere di istruirlo, bisogna dire che aveva piena conoscenza delle cose naturali e sufficiente conoscenza delle cose soprannaturali. 4. Ma bench potesse a lui mancare la cognizione di qualche cosa, le cognizioni che aveva non potevano essere false, perch in lui le potenze inferiori erano soggette alle potenze superiori e non poteva perci subire illusioni di fantasia e allucinazioni di senso.

Quest. 95. Stato del primo uomo quanto alla volont. 1. Nel primo uomo cera la soggezione del corpo allanima, delle forze inferiori alla ragione e della ragione a Dio. Ma questo non era proprio della natura, altrimenti sarebbe rimasto anche dopo il peccato, perci Adamo lo ebbe per grazia; dunque fu creato in grazia. Anzi la soggezione della ragione a Dio importava la soggezione delle forze inferiori alle superiori e del corpo allanima, sicch la mancanza di soggezione della ragione a Dio, port lo scompiglio nelle forze inferiori e nel corpo. 2. Le passioni sono del bene, come il gaudio, e del male, come il timore. Nel primo uomo cerano le passioni, ma soltanto del bene e, stante il dominio perfetto della ragione, non prevenivano il suo giudizio. 3. Nel primo uomo cerano anche tutte le virt. Ma in atto cerano solo le virt non ripugnanti al suo stato, come la giustizia e la fede, e le virt ripugnanti al suo stato, come la penitenza, cerano in abito. 4. Il merito si pu misurare e dalla carit di chi opera e dalla difficolt che egli incontra: quanto alla carit

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potevano essere pi meritorie le opere di Adamo; quanto alla difficolt sono pi meritorie le nostre.

Quest. 96. Dominio delluomo in istato dinnocenza. 1. In istato di innocenza Adamo aveva leffettivo dominio degli animali, bench ne avesse meno bisogno di quello che ne abbiamo noi ora; 2. aveva anche il dominio delle altre cose, adoperandole senza impedimento e senza averne nocumento. 3. Per fra gli uomini ci sarebbe stata qualche disuguaglianza e quanto al sesso e quanto allet e quanto al corpo e anche quanto allanima nei riguardi del libero arbitrio, 4. e ci sarebbe stata non servit, ma dipendenza di uno allaltro, perch, dovendo vivere socialmente, doveva esserci un regime.

Quest. 97. Delluomo quanto alla sua conservazione. 1. In istato di innocenza luomo era immortale non per natura, ma per grazia, cio per una virt particolare, preservatrice della corruzione, concessa allanima;

2. e non era soggetto a patire, cio a subire ci che lo rimovesse dalla sua naturale disposizione. 3. Ma poich nella naturale disposizione della vita vegetativa c il nutrirsi, il crescere, il riprodursi, anche nello stato di innocenza luomo aveva bisogno di cibo. 4. In chi giovane il cibo fa anche crescere: in chi adulto il cibo conserva, ma in chi vecchio ci il cibo non lo fa pi; per riparare le perdite della vecchiaia cera nel paradiso lalbero della vita.

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Quest. 98. Conservazione della specie. 1. Anche nello stato dinnocenza cera la Generazione e non era peccato, perch era necessaria per la moltiplicazione degli uomini e per la conservazione del genere umano agli individui che per s non sono perpetui, 2. e sarebbe avvenuta cos come avviene adesso, essendo fin dallora cos conformati gli uomini; non ci si sarebbe per stato nulla di indecente e di libidinoso, dato lo stato di innocenza.

Quest. 99. Condizione della prole quanto al corpo. 1. Come adesso, cos anche nello stato di innocenza i bambini non avrebbero avuto tosto la forza per luso perfetto delle membra per qualunque atto, ma soltanto per gli atti infantili, perch questa condizione naturale, stante lacquosit iniziale del cervello; sarebbero per stati esenti dalle malattie, come pi tardi sarebbero stati esenti dai difetti senili; 2. e a complemento della natura umana vi sarebbero stati tanti maschi quante femmine.

Quest. 100. Condizione della prole quanto alla santit. 1. I bambini sarebbero nati nella giustizia originale, essendo allora questa un dono di natura; non sarebbe stata per trasmessa dai genitori, ma sarebbe stata conferita da Dio a ogni nuove soggetto che fosse sorto di natura umana; 2. tuttavia i bambini non sarebbero stati confermati in grazia, ma sarebbero rimasti nella possibilit di peccare come i genitori.

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Quest. 101. Condizione della prole quanto alla scienza. 1. Anche nello stato di innocenza, nascendo il bambino, lanima sarebbe stata tabula rasa, pagina bianca, perch questa condizione naturale, tuttavia allora i bambini avrebbero senza difficolt appreso e da s e dagli altri; 2. e luso perfetto di ragione lavrebbero avuto quando il cervello avesse acquistato perfetta solidit.

Quest. 102. Luogo del primo uomo, il Paradiso. 1. Il Paradiso fu un luogo reale, altrimenti la Scrittura non ne avrebbe fatto una narrazione storica. 2. Il Paradiso fu luogo conveniente alluomo innocente, che era per grazia immortale. Infatti alla causa interna di morte si ovvia col cibo e nel Paradiso cera lalbero della vita; causa esterna di morte un clima perfido e nel Paradiso terrestre cera un clima sano e mitissimo. 3. Luomo fu messo nel Paradiso terrestre per custodirlo e lavorarlo, non con un lavoro faticoso, ma con un lavoro dilettevole; sarebbe stato uno studio della natura. 4. Luomo non fu creato nel Paradiso, ma vi fu portato, perch come era di grazia il dono dellimmortalit, cos fu di grazia e non gi naturale il luogo conveniente allimmortalit.

Quest. 103. Governo delluniverso. 1. Anzich andare avanti a casaccio il mondo lo vediamo sospinto al meglio; c dunque una forza che lo sospinge, anzi lo stesso ordine che vediamo nelluniverso, come in una casa bene ordinata, ci dice che c chi lo regola. N potrebbe essere diversamente. Se la Bont divina ha dato lessere alle cose, alla stessa Bont divina spetta condurle alla loro perfezione, guidarle al fine e questo governare.

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2. Il mondo tende al bene, perch attratto dal bene assoluto, dal bene in s. Ma tutto il bene che c nel mondo bene partecipato, il bene perci cui tende il mondo un bene fuori del mondo; 3. il bene assoluto, il bene in s, il bene sommo, che attrae il mondo e cos lo governai uno solo, perci nel governo del mondo c lunit; questo anche conforme alla natura delle cose, cui ripugna lo smembramento. 4. Ma se relativamente al fine nel governo del mondo c un effetto unico, relativamente alla natura che tende a Dio c un effetto duplice: assomigliare a Dio e nellessere buona e nel comunicare la bont; relativamente poi ai mezzi di ci fare leffetto molteplice. 5. Dio il fine di tutte le cosec come ne anche il Creatore, tutte le cose sotto perci soggette al Governo, alla Provvidenza divina. 6. Nel Governo delle cose Dio riserva a s il piano universale di regime, ma, quanto alla sua esecuzione, ne fa barie anche alle cose, appunto perch devono assomigliare a Dio nel comunicare la bont. Dio infatti non deve giudicarsi da meno dei bravi maestri, i quali istruiscono i loro discepoli non solo perch sappiano, ma perch anchessi siano maestri. 7. Cosicch se qualche cosa sembra sfuggire lordine della Provvidenza, ci potr essere relativamente a qualche causa particolare, non relativamente allo stesso Dio che causa prima e universale. 8. E come nessuna cosa pu sottrarsi allordine del Governo divino, cos nessuna cosa pu a esso ribellarsi, n lo fa, almeno nello spirito, bench sembri volerlo fare: infatti in ogni opera c un impulso e un fine; orbene, chi sospinge il mondo e chi attrae il mondo quale fine, Dio che governa il mondo.

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Quest. 104. Effetti del governo del mondo. 1. La cosa deve allartefice la sua formazione, ma non tutto il suo essere; la statua deve allo scultore il suo essere statua, non il suo essere pietra, e lo scultore conservandola le conserva il suo essere statua; distruggendola la distrugge come statua, ma non come pietra. La luce partecipata dal sole e laria che viene illuminata dal sole resta illuminata finch resta alla presenza del sole. Cos e pi di cosi noi, che abbiamo un essere partecipatoo, dobbiamo a Dio, Essere per se, la nostra conservazione. Per Iddio la conservazione delle cose una creazione continuata, 2. e come nella produzione delle cose, cos pure nella conservazione delle cose, Dio si serve anche di cause seconde. 3. Nessuna cosa fuori di Dio ha unesistenza necessaria e Dio relativamente alle cose libero, perci non si pu dire che Dio, se volesse, non potrebbe distruggere le cose; 4. tuttavia si pu dire che nessuna cosa sar ridotta al niente: Dio infatti ha fissato che le sostanze immateriali, Angeli, anime, siano incorruttibili; che la materia si muti, ma non si distrugga. La distruzione potrebbe avvenire per miracolo, ma sarebbe un miracolo contrario alla bont di Dio.

Quest. 105. Dio e la mutazione nel creato. 1. Sulla materia, che potenza passiva, Dio pu agire immediatamente, perch ne lautore, e pu informarla cos che venga attuata nella costituzione dei corpi; 2. tanto pi quindi Dio pu immediatamente muovere qualunque corpo. 3. Muovere vuol dire essere principio doperazione e per gli intelletti muovere vuol dire dare la forza dintendere e anche dare latto di intendere. Dio muove gli intel-

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letti in ambidue i modi, e perch lEnte primo immateriale, e perch in lui preesistono tutte le cose intelligibili; 4. e similmente anche la volont mossa da Dio, sia in quanto forza di volere, il che uninclinazione, sia come atto di volere relativamente a un oggetto; ci perch Dio il Bene universale, verso cui tutto inclina, e perch in ogni cosa risplende la sua bont. 5. Bench Dio operi negli intelletti, nelle volont e in ogni agente, non fa per in modo che essi nulla pi facciano, quasi sopprimendo la loro azione; questo sarebbe contro la natura delle cose. Dio agisce cos che anche le creature agiscano, perch Dio come Creatore e conservatore d e conserva loro lessere specifico; Dio causa prima, muove le cause seconde; Dio ultimo fine attira tutto e tutto muove a operare. 6. Dio pu fare qualcosa fuori dellordine da lui stabilito nelle cose, dellordine cio risultante nelle cause seconde, perch questo dipende da lui; non pu fare nulla contro lordine relativo alla causa prima, perch farebbe contro se stesso; 7. e ci che avviene allinfuori delle cause che ci sono note, desta la nostra ammirazione e perci si chiama miracolo; purch per si tratti di ammirazione assoluta, e non gi di cosa che desta lammirazione di alcuni che ne ignorano le cause, e non degli altri che le conoscono. 8. I miracoli sono uno pi grande dellaltro sia quanto alla sostanza, del fatto, per esempio lingresso di Ges Risorto nel Cenacolo; sia quanto al soggetto, sper esempio, un morto che vien risuscitato; sia quanto al modo, p. es. una guarigione istantanea.

Quest. 106. Azione di una creatura sullaltra. 1. Un Angelo pu illuminare lintelletto dun altro Angelo, ossia manifestargli una verit di cui esso ha cognizione;

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2. ma non pu piegarne la volont, perch ci riservato a Dio, bene universale, autore della natura Angelica. 3. Lordine poi delle cause seconde, disposte da Dio per la diffusione della sua bont, porta non che un Angelo inferiore fossa illuminare un Angelo superiore; 4. ma che sia lAngelo superiore, che pu illuminare lAngelo inferiore.

Quest. 107. Colloqui angelici. 1. Un Angelo pu parlare a un altro Angelo, pu cio manifestargli un suo concetto e a ci fare basta un atto di volont; 2. e parlare quando ci non sia illuminare, pu anche un Angelo inferiore con un Angelo superiore; 3. parlare anzi pu lAngelo anche con Dio, o per chiedergli qualche cosa, o per consultarlo o per ammirarne e lodarne la gloria; 4. e nei colloqui angelici la distanza a loro non fa ostacolo, perch il luogo e il tempo sono contingenze dei corpi e gli Angeli sono incorporei; 5. e poich il, parlare determinato da un atto di volont, il colloquio riservato a chi si vuole, e non aperto a tutti gli Angeli.

Ouest. 108. Gerarchia e ordini degli Angeli. 1. Gerarchia significa principato sacro. Bench Dio sia padrone degli Angeli e degli uomini, tuttavia Angeli e uomini non costituiscono una stessa gerarchia, essendo diverso il regime per gli uni e per gli altri; anzi neppure fra di loro gli Angeli costituiscono terza stessa gerarchia, ma ne costituiscono tre;

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2. e come in ogni genere c il grado supremo, il medio e linfimo, cos in ogni gerarchia ci sono tre ordini secondo i diversi uffici e atti; 3. in ogni ordine ci sono molli Angeli, ma non sappiamo lufficio di ciascuno; 4. e la distinzione di gerarchie e di ordini si fonda sulla natura degli Angeli, e va secondo i doni naturali che ciascuno ha ricevuto per conoscere e amare Dio. 5. Opportunamente la Scrittura distingue gli ordini angelici secondo i loro uffici e le perfezioni; 6. e, secondo le perfezioni spirituali, S. Dionigi gli ordini degli Angeli li distingue cos: I. Gerarchia: Serafini, Cherubini, Troni. II. : Dominazioni, Virt, Potest. III. : Principati, Arcangeli, Angeli. 7. Tali ordini resteranno dopo il Giudizio Universale quanto alla distinzione di natura e di grazia; non resteranno quanto agli uffici da compiersi, che sono relativi allumanit, di cui compita allora la sorte. 8. Gli uomini, quanto al grado di gloria, possono essere eguagliati agli Angeli, nei loro diversi ordini.

Quest. 109. Gerarchia dei Demoni. 1. Anche fra i Demoni ci sono i diversi ordini, fondati sopra i loro doni naturali; 2. perci anche fra di loro ci sono i superiori e gli inferiori; ma essere superiore di ribaldi non una felicit, una miseria. 3. Poich illuminare vale manifestare una verit in ordine a Dio, non si d fra i demoni; si d per il parlare, cio il manifestare a un altro il proprio concetto. 4. Gli Angeli buoni hanno impero soffra gli Angeli cattivi quale partecipazione del supremo dominio di Dio.

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Quest. 110. Gli Angeli presiedono alle creature corporee. 1. La virt intellettuale universale, la virt corporea particolare: luniversale presiede al particolare, perci gli Angeli presiedono alle creature corporali. 2. Ma la materia corporale con ci non deve dirsi che obbedisca al cenno degli Angeli, perch ci che avviene nel mondo procede o immediatamente da Dio o dalle leggi naturali; 3. tuttavia gli Angeli hanno potere sui corpi quanto al moto locale. 4. Ci per che fanno gli Angeli non miracolo, perch anche essi sono forze comprese nellambito delle forze naturali e il miracolo invece qualche cosa di oltre e allinfuori della natura.

Quest. 111. Azione degli Angeli sugli uomini. 1. Gli Angeli possono illuminare gli intelletti umani, rivelando loro cose divine, ma per proponendo la verit sotto imagini sensibili e cos adattandosi alla natura degli uomini. Ma luomo, mentre conosce di essere illuminato, non sempre conosce da chi lo sia. 2. Gli Angeli per non possono piegare le volont degli uomini, perch ci esclusivo di Dio. Gli Angeli possono indurre gli uomini colla persuasione e, come possono fare anche gli uomini, possono muovere bens la volont, eccitando le passioni, ma non la possono violentare. 3. Gli Angeli e anche i demoni possono muovere limmaginazione, per esempio nel sonno, possono ridestare, e combinare le imagini sopite, eccitare gli umori, ed alienare dai sensi. 4. Gli Angeli possono perfino, e lo possono colle forze loro naturali, impressionare i sensi nostri presentando un sensibile magari di loro diretta formazione, oppure

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agendo internamente colleccitare spiriti e umori, cos da farci avere delle senzazioni.

Quest. 112. Missione degli Angeli. 1. Gli Angeli possono essere mandati a compiere qualche ministero presso qualcuno o in qualche luogo particolare. ovvio che se fossero infiniti e se fossero dappertutto non potrebbero essere mandati in qualche luogo particolare. 2. Tali missioni per vengono affidate agli Angeli inferiori, detti perci Angeli, che vuol dire annunciatori. 3. Anche durante la missione continua la loro contemplazione di Dio, perch lo vedono immediatamente. 4. Alcune missioni superiori furono affidate ad Angeli superiori, cio agli Arcangeli, e anche ad altre gerarchie compete un ministero esterno, non per a tutte.

Quest. 113. Custodia degli Angeli e infestazione dei Demoni. 1. Fu necessario che gli uomini, volubili nelle cognizioni e negli affetti, fossero guidati dagli Angeli, che in ci sono fermi. 2. Ogni uomo custodito dal suo Angelo. 3. Gli Angeli custodiscono gli uomini particolari, gli Arcangeli ecc., custodiscono le Comunit e le Societ e reggono la natura. 4. Tutti gli uomini, mentre sono quaggi, hanno il loro Angelo custode, perch tutti corrono pericolo; 5. e lo hanno fin dalla nascita, perch fin dalla nascita sono uomini, e dai fanciulli gli Angeli tengono lontani i demoni. 6. La custodia degli Angeli appartiene alla esecuzione dellordine della Provvidenza divina, e come nellordine della divina Provvidenza c la permissione delle tribolazioni e del peccato, cos allora avviene una specie di

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abbandono da parte dellAngelo custode, abbandono per che non totale; 7. e poich anche allora si compie la volont di Dio negli scopi generali, gli Angeli, che alla volont di Dio aderiscono, non si contristano, perch la tristezza avviene da ci che contrario alla volont. 8. Anche fra gli Angeli ci pu essere lotta, ma solo in quanto sono in contrasto fra loro le cose affidate alle loro cure ed essi le vogliono tutelare.

Quest. 114. Infestazione dei Demoni. 1. I demoni fanno guerra agli uomini per malizia, sfogando invidia pei loro progressi, ed esercitando la superbia di avere, dei dipendenti nel fare la guerra. Il Signore ci permette a fine di bene e noi sorregge colla sua grazia e collassistenza degli Angeli. 2. Il diavolo tenta non per provare e al caso aiutare, ma per nuocere e per indurre nel peccato. 3. Tutti i peccati per non derivano immediatamente da tentazione del diavolo; alcuni derivano o da cattiva volont o da corruzione; per indirettamente si devono tutti alla tentazione di Adamo e di Eva. 4. I diavoli possono anche sedurre gli uomini facendo, col potere naturale che ancora conservano, opere meravigliose, che per non sono veri miracoli. Cos possono agire sulla fantasia e sui sensi; possono anche plasmare collaria corpi visibili e sensibili di qualunque forma e figura ed assumendoli farli anche parlare ed agire. 5. Quando il diavolo nella tentazione vinto, si ritira, almeno per un poco, dalla lotta.

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Quest. 115. Azioni delle creature corporali. 1. Mentre la materia prima puramente passiva, i corpi formati hanno anche attivit specifiche. 2. Nella natura, e il nome preso da ci che nato e che perci ha la vita, ci sono le ragioni seminali, cio i principi attivi e passivi. 3. I corpi celesti, come esercitano azione uno sul laltro, cos esercitano azione anche sulla terra e collazione esercitano anche un influsso. 4. Ma poich linflusso sulla materia, potr essere esercitato sul senso, non sullintelletto e sulla volont, che sono potenze spirituali, perci resta intatto il libero arbitrio; 5. e tanto meno pu linflusso dei corpi celesti essere esercitato sui demoni, che sono puri spiriti. 6. A ogni modo linflusso dei corpi celesti non importa azione necessaria n alle volont, cause libere, n alle cose naturali, perch tale influsso pu facilmente essere impedito.

Quest. 116. Il Fato. 1. Fato o destino sarebbe la Provvidenza divina, che ordina le cose al loro fine, ma, sia pure con questo significato, i Santi evitano di adoperare tale parola. 2. Poich le cause seconde sono da Dio determinate a conseguire dati effetti, perci c un destino (= una destinazione) nelle cose; 3. il quale non invariabile relativamente alle cause seconde, ma invariabile relativamente alla causa prima; per di necessit condizionata. 4. Tale destinazione inoltre fissa soltanto nelle cose dipendenti da cause seconde.

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Quest. 117. Azione degli uomini. 1. Un uomo pu istruire lintelletto di un altro uomo, come fa il maestro col discepolo; 2. ma non pu istruire, cio illuminare un Angelo perch lAngelo gli superiore; pu per manifestargli i suoi concetti, ossia parlargli. 3. Luomo non pu colle forze dellanima agire sui corpi, se non mediante il corpo; 4. perci anche dopo la morte lanima nostra, che una forma determinata a informare il corpo, non pu agire sui corpi quanto al moto locale, come possono gli Angeli.

Quest. 118. Derivazione dun uomo da un altro uomo quanto allanima. 1. Nella generazione, sin dal primo principio, sempre un vivente che nasce da un vivente; quindi unanima c nello stesso seme dellorganismo. 2. Ma lanima intellettiva non pu sorgere da esso; ella, che sussiste anche senza corpo, viene creata da Dio. 3. Le anime non furono create tutte insieme fin dal principio del mondo, ma vengono create quando vengono infuse nel corpo.

Quest. 119. Propagazione delluomo. 1. Lalimento serve anzitutto alla conservazione dellindividuo; 2. poi e nel soprappi serve alla conservazione della specie, nella riproduzione degli uomini.

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PARTE SECONDA

Sez. Prima

Quest. 1. Scopo finale della vita umana. 1. Luomo padrone della sua volont e dei suoi atti, i quali da lei procedono, e sono atti umani. Ma oggetto della volont il bene, questo anzi il fine, per cui si muove la volont; nei suoi atti quindi luomo ha un fine ed il bene. 2. Le cose irrazionali ignorano lo scopo cui sono, dirette; luomo lo conosce; 3. e il fine specifica i suoi atti in buoni e cattivi. 4. Luomo in ogni suo atto mosso da uno scopo. E ci deve essere di tutta la vita uno scopo finale, capace di appagare del tutto l volont. 5. Questo scopo, se finale, non pu essere che uno; 6. perch scopo finale, luomo vi subordina ogni suo atto di volont; 7. perch rappresenta la perfezione umana, unico per tutti; 8. e perch luomo il re del creato, a tale fine resta coordinato tutto lUniverso.

Quest. 2. Cosa possa essere loggetto finale della Vita. Questo scopo finale, che forma la beatitudine consiste: 1. non nelle ricchezze, perch non sono ogni bene si usano consumandole; 2. non negli onori, perch sono fuori di noi; sono segno della stima che gli altri hanno di noi; 3. non nella fama, perch spesso falsa e facilmente si perde, mentre la beatitudine non pu essere che un bene vero e stabile;

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4. non nella potenza, perch piena di brighe e di timori; 5. non in qualche bene del corpo, perch il corpo non tutto, ed subordinato allanima; 6. non nel piacere, che non il bene, ma un effetto del bene; 7. non in qualche bene dellanima, perch la beatitudine un bene universale oggetto di tutta lanima; 8. non nelluniverso medesimo che finito, e fu creato da Dio per Iddio; ma in Dio che ogni bene e infinito.

Quest. 3. Cosa sia la beatitudine. 1. Beatitudine Oggettiva Dio stesso, essa dunque eterna; beatitudine soggettiva invece il nostro possesso di Dio, e questa qualche cosa di creato. 2. La beatitudine detta vita, vita eterna, e siccome; la vita sta nelloperare, cos essa un operare; 3. non per operazione del senso, perch la beatitudine nel senso non c che di ridondanza; 4. ma perch distintivo delluomo lintelletto, essa sopratutto: operazione dellintelletto, poi anche operazione della volont; 5. e come operazione dellintelletto, propria dellintelletto speculativo, che operazione perfetta, pi che dellintelletto pratico: 6. non per in quanto lintelletto conosce le scienze speculative, perch questa una cognizione bassa, che che ha i suoi principii nel senso: 7. n in quanto vedesse gli Angeli medesimi, perch il loro essere creato, finito: 8. ma in quanto lintelletto ha la Visione della divina essenza, che la ragione delluniverso, cosa che non si ha se non nellaltra vita.

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Quest. 4. Requisiti della beatitudine. 1. Per la beatitudine necessario: a) la contentezza, e questa si ha dallavere raggiunto il bene sommo; risponde alla carit; 2. b) la visione della divina essenza; risponde alla fede; 3. c) la comprensione, non nel senso di chiudere Dio in se stessi, ma di averlo presente, risponde alla Speranza: 4. la rettitudine della volont evidentemente necessaria sia per conseguire che per godere la beatitudine: 5. la compagnia del corpoo occorre per essere completi nella natura, ma non per vedere Dio; 6. al corpo poi compete il decoro e la perfezione conveniente. 7. Non sono necessari beai esterni, i quali sono mezzi al fine in questa vita; 8. e nemmeno la compagnia degli amici, perch basta Dio.

Quest. 5. Conseguimento della beatitudine. 1. Luomo ha nellintelletto, capace di cognizioni universali, la fondamentale capacit della visione divina nellaltra vita; 2. in essa, di beatitudine soggettiva, uno pu essere beato pi che un altro. 3. In questa vita nessuno pu essere beato, perch non pu evitare ogni male; e cio lignoranza per lintelletto, le passioni per la volont, le pene per il corpo; ne pu avere beni capaci di saziarlo. 4. La beatitudine del cielo non si pu perdere, perch esclude ogni male, quindi anche il timor di perderla. 5. Luomo pu acquistarla, ma solo collaiuto di Dio; da se non pu acquistarla, perch supera le sue forze naturali; 6. anzi supera ogni natura creata, perci gli Angeli stessi non potrebbero darla, ma soltanto aiutare nei mezzi di conseguirla.

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7. Dio potrebbe fare per tutti che la volont rettamente tendesse e tosto conseguisse lultimo fine; invece per gli adulti vuole non che lo conseguiscano tosto, vuole che vi arrivino per la via retta, quella delle opere buone e meritorie. 8. Ogni uomo aspira alla beatitudine in quanto un bene perfetto; ma non tutti la cercano quale , perch non la sanno distinguere.

Quest. 6. Cosa sia volontario e involontario. 1. Il volontario, cio quello che procede da un principio interno con cognizione del fine, riscontrabile negli atti umani, perch quando nelluomo c la cognizione razionale, e perci perfetta, del fine, verso cui da s si indirizza; 2. negli animali come anche nei fanciulli c invece imperfetta cognizione del fine: la cognizione del fine perfetta quando lo si conosce come fine, se ne vedono i mezzi, si vede il loro rapporto col fine; allora c deliberazione. Compete a chi ha luso della ragione. 3. Il volontario diretto se c latto interno e anche lesterno; indiretto se c solo latto interno e latto esterno consiste in una omissione di chi pu fare, deve fare e non fa. 4. La volont non si pu violentare quanto agli atti suoi interni, cio eliciti; ma si possono violentare gli atti imperati, cio gli atti esterni dipendenti dalla volont: in questo caso si riscontra linvolontario; perci 5. linvolontario quello che procede da un principio esterno contro volont. 6. Gli atti dipendenti da timore non sono involontari, perch procedono egualmente da principio interno con cognizione del fine; ma siccome se non ci fosse il timore non si farebbero, sono per se volontari, ma in qualche cosa, in certa maniera, involontari.

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7. Gli atti dipendenti da concupiscenza sono volontari, e tanto pi quanto la volont, che tende al bene, rafforzata dalla concupiscenza di un bene: a meno che ne sia impedito luso della ragione. Invece 8. gli atti dipendenti da antecedente ignoranza, non colpevole, sono involontari, perch sono s da principio interno, non per con cognizione del fine; non cos se lignoranza o voluta o concomitante.

Quest. 7. Circostanze degli atti umani. 1. Le circostanze sono estrinseche e perci sono accidentali allatto umano, tuttavia hanno con esso attinenza; 2. esse lo mettono pi o meno in rapporto col fine, perci meritano speciale considerazione; 3. riguardano latto o per modo di misura: in che tempo e luogo? o per modo di qualit: in che modo? o riguardano il fine: perch? o la materia: che cosa? o lagente principale: chi? o lagente strumentale con quali mezzi? o leffetto: cosa si ottiene? Sono quindi sette; 4. e di esse le pi importanti sono il che cosa, cio loggetto dellatto umano, e il perch, cio il fine dellatto stesso.

Quest. 8. Volont e cose volute. 1. Appetito in Genere inclinazione al simile o al conveniente. La volont appetito razionale e tende necessariamente a ci che , o almeno apparisce bene. 2. La volont, come potenza, si riferisce tanto al fine che ai mezzi; ma come atto, si riferisce soltanto al fine, perch i mezzi si vogliono per il fine; 3. perci se latto di volere il fine pu prescindere dai mezzi, viceversa latto di volere i mezzi, non pu prescindere dal fine.

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Quest. 9. Moventi della volont. 1. Lintelletto muove la volont presentandole una cosa non in quanto vera, ma in quanto bene, presentandola come oggetto e cos specifica latto della volont; la volont poi mette in esercizio tutte le potenze. 2. Lappetito sensitivo muove la volont causando una disposizione per cui ad un arrabbiato, p. es. sembra bene ci che non sembra a un calmo. 3. La volont, volendo il fine, muuove se stessa a volere i mezzi: quindi mossa dallintelletto per ragione delloggetto, mossa da se stessa per ragione del fine. 4. Oltre loggetto c un altro esteriore principio, motore della volont, giacch la volont non sempre in atto di volere, e per cominciare a volere deve essere mossa da altro principio esteriore. 5. Questo principio esteriore non sono i corpi celesti, perch i corpi non hanno azione diretta sullo spirito. 6. Questo principio esteriore invece Dio, che muove sempre la volont, come ultimo fine, e che talvolta la muove a qualche atto particolare.

Quest. 10. Come mossa la volont. 1. La volont, che appetito razionale del bene, viene mossa naturalutente da ci che bene; 2. ma quanto allesercizio del suo atto non viene mossa necessariamente dagli oggetti esteriori, essendo libera; 3. n viene necessitata dallappetito sensitivo, a meno che questo tolga luso di ragione; 4. e nemmeno viene necessitata da Dio, perch Dio la muove come volont libera.

Quest. 11. Accontentamento della volont. 1. Fruire (Godere) aderire per amore a una cosa, e lamore parte

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appetitiva. Perci la beatitudine in quanto visione per lintelletto, in quanto godimento per la volont. 2. Il fruire, come atto di volont, non compete agli animali. 3: Poich soltanto dellultimo fine pu appagarsi la volont, la vera fruizione soltanto dellultimo fine; 4. e il fruire perfetto non pu aversi che nel reale possesso dellultimo fine.

Quest. 12. Intenzione. 1. Lintenzione propria della volont, che muove a conseguire il fine. 2. Lintenzione quindi, essendo moto verso il fine, si riferisce anche ai mezzi e non esclusiva dellultimo fine; 3. pu riferirsi a pi cose, specialmente se una subordinata allaltra; 4. e poich il fine la ragione di volere i mezzi, lintenzione del fine e dei mezzi per s un atto solo. 5. Lintenzione dice ordine dei mezzi al fine, di ordine sono capaci soltanto gli esseri forniti di ragione, perci vera intenzione non compete gli animali.

Quest. 13. Elezione dei mezzi. 1. Lelezione sostanzialmente atto di volont, perch tendenza a un proposto bene e si compie in un movimento dellanima al bene; ma siccome c prima la ragione che propone il bene e la volont detta appetito razionale lelezione formalmente atto di ragione, materialmente atto di volont. 2. Gli animali hanno istinto, non elezione, la quale e appetito con discernimento. 3. Lelezione si riferisce noti al fine ultimo, ma ai mezzi da adoperarsi per conseguirlo, 4. i quali poi sono le cose stesse che noi facciamo, 5. e cose tali che ci siano possibili, perch le impossibili non possono essere oggetto dellelezione;

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6. nella scelta dei mezzi non si necessitati alla elezione, perch si pu scegliere lopposto e anche scegliere nulla.

Quest. 14. Deliberazione. 1. Lelezione o deliberazione della volont preceduta dal consiglio o discussione, che formalmente appartiene allintelletto. 2. La discussione non si fa del fine, ma soltanto dei mezzi; 3. anzi si fa soltanto di quei mezzi che sono in nostro potere; 4. e non si riferisce a tutte le cose, ma soltanto a quelle che sono discutibili; 5. la discussione procede con ordine risolutivo, cio analitico, 6. ma non procede allinfinito, perch linfinito irragiungibile.

Qvest. 15. Consenso. 1. Il consenso, che segue lelezione, essendo parte appetitiva, della volont. 2. Gli animali non lhanno, perch non hanno intelletto da deliberare e non sono padroni dei loro atti. 3. Il consenso facendo seguito allelezione, , come lelezione, solo dei mezzi e non del fine; 4. e, bench si dica consenso, non appartiene al senso, ma appartiene alla parte nostra superiore.

Quest. 16. Uso dei mezzi. 1. Procedere alluso dei mezzi, un atto distinto, proprio della volont e che segue lelezione; 2. essendo atto di volont libera, conseguente un atto della ragione riferente una cosa ad unaltra, non compete ai bruti;

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3. luso dei mezzi, appunto perch dei mezzi, non si applica allultimo fine; 4. dopo lelezione che la volont passa alluso dei mezzi, perci luso non precede, ma segue lelezione, atto di intelletto; talvolta per diventa un mezzo la stessa ricerca, dellintelletto per la scelta dei mezzi.

Quest. 17. Atti imperati. 1. Gli atti imperali procedono dalla ragione, ma supposto latto di volont, in virt della quale la ragione muove le facolt esterne comandando: 2. procedendo essi dalla ragione, non competono agli animali; 3. luso dei mezzi non precede, ma segue latto imperato; 4. atto imperato per ed impero della ragione fanno tuttuno, perch sono uno per laltro. 5. Possono essere imperati anche gli atti di volont, perch la ragione, come giudica che sia bene volere una cosa, cos pu anche imperare di volerla. 6. Possono essere imperali gli atti di ragione, perch si riflette su se stessa e ci sono cose che per s non la convincono, lasciandola sospesa. 7. Possono essere imperati gli atti dellappetito sensitivo, se dipendono dallanima, come limaginazione; non per se dipendono dal corpo; 8. ma non possono essere imperati gli atti di vita vegetativa, perch sono naturali, 9. e non possono essere imperati i movimenti delle membra che seguono le forze naturali, ma soltanto quelli che obbediscono alla parte sensitiva o alla ragione.

Quest. 18. Bont e malizia degli atti umani. 1. Le azioni, come le cose, sono buone in quanto hanno

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dellessere, sono cattive in quanto mancano di qualche cosa che ci dovrebbe essere. Le azioni morali devono essere buone da quattro capi, che sono: azione in se stessa, e questa bont generica; 2. oggetto, perch loggetto specifica latto; e questa bont specifica; 3. circostanze, le quali sono accidenti dellatto, e agli accidenti completano la sostanza: e questa bonta accidentale, 4. fine, che importa nellatto un ordine di dipendenza, e questa bont causale. 5. Poich logetto specifica lazione, loggetto buono rende lazione specificamente diversa dalloggetto cattivo. 6. Anche il fine specifica lazione, perch esso specifica la volont dellagente e con ci il volontario cio lazione morale. 7. Per s per la specie morale del fine non fa parte della specie morale delloggetto, ma sono due specie disparate; nel rubare quindi per ubbriacarsi ci sono due malizie distinte e uno stesso atto. 8. Unazione, pur nella sua specie, pu essere indifferente, n buona, ne cattiva, se, per esempio, il suo oggetto indifferente in rapporto collordine di retta ragione, come sarebbe levare una paglia. 9. Ciascuna azione per, in quanto intesa e voluta, o buona o cattiva; 10. anche la circostanza pu diventare differenza specifica di un atto buono o cattivo, se cio riguarda uno speciale ordine di ragione: cos rubare alla Chiesa sacrilegio. 11. La circostanza che aggrava non cambia specie allazione, perch il pi e il meno non cambia specie.

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Quest. 19. Bont e malizia degli atti interni della volont. 1. La volont buona quando ha per oggetto il bene. 2. La bont della volont specificata dalloggetto e non dalle circostanze che sono accidenti dellatto. 3. La bont della volont dipende dalla ragione, perch la ragione propone loggetto e se la volont non la segue disordinata, anzich subordinata. * La ragione muove la volont colloggetto; la volont muove la ragione allesercizio dei suoi atti. 4. La bont della volont dipende dalla legge eterna; che la prima causa rispetto alla ragione, causa seconda. 5. La volont che non segue la ragione, anche se questa erra, cattiva, perch fa contro la coscienza, la quale la ragione applicata alle nostre azioni, 6. e invece la volont che segue la ragione buona, anche se la ragione erra, se lerrore dipende da ignoranza scusabile; non per se lerrore dipende da ignoranza vincibile, o da ignoranza affettata, cio voluta. 7. e quanto a ci che fa raggiungere il fine la bont della volont dipende dallintenzione, perch Dio rimunera anche la sola intenzione, Acciocch la volont sia buona occorre che voglia il bene per il bene: bene poi ci che esclude qualunque difetto: Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu. 8. Nel male la malizia della volont proporzioata alla forza della cattiva intenzione: nel bene invece non sempre cosi: quindi taluno non ha tanto merito quanto ha intenzione daverne, se il suo atto non ha quel merito. 9. La bont della volont dipende dalla conformit alla volont divina, che ne la prima misura, 10. per cui deve volere ci che vuole Dio, se non di volere particolare, almeno di volere universale.

Quest. 20. Bont e malizia degli atti esterni. 1. La bont delle azioni difende e dalla ragione e dalla volont:

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dalla ragione se in s esse sono alla retta ragione conformi, dalla volont se questa nella loro esecuzione non ha scopi cattivi; 2. perci la sola buona volont non pu far buono atto esterno in s cattivo, ma la cattiva volont pu far cattivo un atto in s buono; 3. e cos pure un atto pu essere cattivo in s e inoltre cattivo anche per il fine. 4. Latto esterno non accresce bont o malizia, se non in quanto nella esecuzione si rinnova e si estende latto interno di volont. 5. Leffetto di unazione accresce bont o malizia se fu previsto, perch cos divenne volontario. 6. Uno stesso atto nella sua identit naturale pu essere buono o cattivo secondo la volont dellagente, ma nella sua identit morale non pu essere nello stesso tempo buono o cattivo.

Quest. 21. Conseguenze degli atti buoni o cattivi. 1. Male termine pi largo di peccato. Male privazione di bene. Peccato azione non ordinata al fine: ogni atto umano diretto al fine, perci ogni atto umano o retto o peccato; 2. latto umano, essendo imputabile alluomo, perch ne padrone, gli merita lode se buono e biasimo se cattivo, 3. altrettanto gli merita o premio o pena, 4. e questo anche presso Dio, che lultimo fine e il re delluniverso.

Quest. 22. Dove risiedano le passioni. 1. Passione,(da patire) nel senso di subire mutazione di cosa non altra peggiore, non c nellanima; che semplice e non ha parti variabili, soltanto le arriva per mezzo del corpo.

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2. La passione c piuttosto nella parte appetitiva per la quale tendiamo alle cose, che non nella parte apprensiva per la quale tiriamo a noi le cose, 3. e, poich la passione in senso proprio importa. mutazione corporale, c nellappetito sensitivo meglio che nellappetito intellettivo, chiamato volont.

Quest. 23. Distinzioni delle passioni. 1. Lappetito concupiscibile ha per oggetto il bene e il male semplicemente tale. Lappetito irascibile ha per oggetto il bene e il male arduo e difficile. Si distingue perci specificamente il concupiscibile dallirascibile. 2. Nelle passioni dellirascibile lopposizione, quale c tra speranza e timore, dipende sia dalloggetto, sia dal modo di comportarsi relativamente a uno stesso termine; nelle passioni invece del concupiscibile lopposizione, quale c fra amore e odio, dipende solo dalloggetto. 3. Senza il suo contrario c solo lira per la singolare sua condizione di essere passione di un male incombente dal quale non c scampo. 4. Differenti di specie, ma non fra loro contrarie, sono nel concupiscibile: lamore, il desiderio, il gaudio; lodio, lavversione e la tristezza: e nellirascibile: la speranza e laudacia; il timore, la disperazione e lira.

Quest. 24. Bont e malizia delle passioni. 1. Bene o Male morale c nelle passioni, non in quanto sono moti dellappetito, ma in quanto dipendono dalla ragione e sono volontarie. 2. Le passioni, che sono principio di moto di volont, regolate dalla ragione divengono virt.

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3. La passione, assecondando la volont, rende latto umano pi perfetto e perci gli aggiunge moralit. 4. Le passioni sono di specie buona o cattiva non nella loro entit naturale, ma nella loro entit morale.

Quest. 25. Confronto fra le passioni. 1. Le passioni del concupiscibile prima sono inizio, poi divenrgono termine delle passioni dellirascibile, cos per amore si lotta e poi si gode del conquistato bene. 2. Tra le passioni del concupiscibile prima c lamore, che del bene, poi c lodio, che del male. 3. Fra le passioni dellirascibile la prima la speranza che del bene, poi viene il timore che del male. 4. Gaudio e tristezza, speranza e timore sono le passioni principali e gaudio e tristezza sono le passioni finali.

Quest. 26. Dellamore. 1. Lamore appartiene allappetito concupiscibile ed triplice: naturale, sensitivo, razionale. 2. Lamore strettamente parlando passione dellappetito sensitivo; in senso largo passione della volont. 3. Amore non lo stesso che dilezione, perch qusta esclusiva della volont e presuppone una scelta fatta dalla ragione. 4. Amare voler bene, ma o si vuole bene a s o si vuole bene ad altri, perci lamore si divide in amore di concupiscienza e amore di amicizia.

Quest. 27. Cause dellamore. 1. Causa propria dellamore il bene, ossia ci che a ciascuno connaturale e proporzionato: il male si ama se apparisce bene. Il bello lo stesso che il bene, colla differenza che il possesso

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del bello sta nella vista o nella cognizione, il possesso del bene nellunione. 2. Causa prossima dellamore la conoscenza del bene. Ignoti nulla cupido. 3. Anche la somiglianza causa di amore, perci ognuno ama il suo simile. 4. Lamore il principio delle altre passioni, che a esso si possono ridurre, non pu quindi esserne leffetto, se non accidentalmente.

Quest. 28. Effetti dellamore. 1. Lamore ha per effetto ununione reale alle cose presenti; ununione di affetto alle cose apprese come parte di se stesso e questo amore di concupiscenza, o a quelle apprese come altro se stesso, e questo amore di amicizia. 2. Effetto di amore la mutua adesione dellanimo perch lamore fa che lamante sia nellamato. 3. Lestasi affetto di amore; pu esserci per apprensione di bene o anche di male, come nel frenetico, ovvero per una potente inclinazione. 4. Lo zelo e la gelosia sono effetto di amore, perch lamore intenso fa ricacciare ci che gli contrario e lo ostacola. 5. Lamore, avendo per oggetto il bene, per s conservativo e perfettivo; pu per riuscire lesivo per sua intensit o per loggetto cattivo. 6. Lamore la causa di tutto ci che fa chi ama: per il fine che si opera.

Quest. 29. Dellodio. 1. Come il bene causa dellamore, cos il male causa dellodio. 2. Lodio deriva dallamore, perch lamore che fa conoscere una cosa come ripugnante a ci che si ama.

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3. Bench sia pi sensibile dellamore, non per lodio pi forte dellamore, perch sarebbe un effetto superiore alla causa. 4. Ciascuno naturalmente ama se stesso; nessuno quindi, per s, pu odiare se stesso; ci pu essere accidentalmente, cio per falso giudizio; 5. e neppure si pu, per s, odiare la verit, perch vero e bene sono lo stesso. 6. Lodio universale non pu esserci nellappetito sensitivo se non come inclinazione naturale; nella parte intellettiva invece pu esserci anche come intenzione.

Quest. 30. Del desiderio. 1. La concupiscenza, ossia il desiderio del piacere, appartiene propriamente lappetito sensitivo. 2. Il desiderio distinto dallamore e dalla gioia: loggetto presente appaga, ecco la gioia, loggetto assente conforma a s lappetito, ecco lamore; loggetto assente attrae, ecco il desiderio; esso quindi una passione speciale. 3. C un desiderio naturale, come quello del cibo, che ci comune cogli animali e si chiama concupiscenza; e c un desiderio, non cos naturale, che segue cognizione e si chiama cupidigia.

4. Si pu dire infinito e il desiderio che segue la ragione, la quale va allinfinito, e il desiderio dellultimo fine che infinito.

Quest. 31. Del piacere o godimento. 1. Il piacere o godimento, una passione, perch un moto dellappetito sensitivo proveniente da cognizione sensitiva,

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2. essendo quiete dellanimo, per s, non appartiene al tempo, che sta nel moto e successione; si misura per anche esso sul tempo, se al tempo soggiace loggetto cui si aderisce. 3. Differiscono piacere, o godimento, e gaudio, perch il gaudio proprio delle facolt razionali, agli animali quindi si attribuisce piacere, ma non gaudio; 4. pu esserci infatti piacere anche nelle facolt razionali, appunto perch c lappetito razionale che si chiama volont. 5. Il godimento corporale pi sentito e pi veemente, ma maggiore il godimento che si ha da operazioni spirituali, perch pi nobili, pi vaste ed pi intima col bene posseduto la cognizione dellintelletto, perch esso penetra ogni cosa, e si riflette anche su se stesso. 6. I piaceri del tatto sono i pi utili, perch servono alla conservazione; ma quelli della vista sono pi importanti perch servono allintelletto. 7. Per causa di qualche difetto pu esserci qualche godimento non naturale come quello di mangiare i carboni; 8. ci sono anche piaceri uno allaltro contrari, quelli cio che vicendevolmente si impediscono.

Quest. 32. Causa del godere. 1. Il godimento proviene da operazioni, perch la consecuzione di un bene e la cognizione di tale consecuzione sono una specie di operazione. 2. A dilettare concorrono il bene, lunione col bene e la cognizione di questa unione ma in tutto ci c una misura e perch non sopravvenga la noia occorre variare. Da ci: variata placent: il variare causa di diletto. 3. La speranza, che fa presente un bene come possibile, e la memoria, che ce lo fa presente col ricordo, sono causa di godimento.

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4. Anche la tristezza pu essere causa di godimento, in quanto fa pensare o alla cosa amata o al male sfuggito; 5. lo sono, anche, le altrui azioni, quando procurano un bene a noi o agli amici nostri; 6. lo sono anche i benefici che facciamo, perch il bene dellamico come nostro e perch possiamo spere e compiacerci. 7. Anche la somiglianza, che genera amore, cagiona goimento. 8. La meraviglia, in quanto fa nascere la speranza di conoscere ci che fa stupire, causa di godimento; cos, pure le rarit che ammiriamo ci procurano diletto.

Quest. 33. Effetti del godimento. 1. Il godimento ha per effetto di allargare, come metaforicamente si dice, la mente e il cuore. 2. Il godimento, quando di cosa presente, ma non posseduta, genera sete, ossia desiderio, di se stesso. 3. Il godimento corporale distrae dalluso della ragione, ne contrario, conturba troppo e lo impedisce; mentre il godimento spirituale lo accresce. 4. Il godimento fa che pi si attenda alloperazione che lo produce, impedisce per le altre operazioni.

Quest. 34. Bont e malizia del godimento. 1. Il godimento non sempre cattivo; se conforme a ragione, buono; 2. parimenti il godimento non sempre buono, perch talora buono per qualcuno soltanto, od solo apparentemente e non veramente buono. 3. C poi un godimento che ottimo, ed quella del sommo bene cio dellultimo fine.

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4. Regola del bene o del male il godimento, non per quello dellappetito sensitivo, bens quello della volont che appetito razionale.

Quest. 35. Del dolore e della tristezza. 1. Il dolore passione dellanima, bench la causa sia nel corpo, perch per lanima, che lo fa vivere, che il colpo sente il dolore. 2. Il dolore che proviene da apprensione dintelletto o di imaginazione, propriamente si chiama tristezza; 3. e questa opposta al gaudio, perch opposto a quello del gaudio ne loggetto; 4. e in generale gaudio e tristezza sono sempre fra loro contrari perch contrari fra loro sono bene e male che ne formano loggetto: talora sono soltanto disparati e perci non si escludono a vicenda; cos pu accompagnarsi al dolore per la morte dellamico il gaudio della contemplazione; 5. a questo gaudio anzi nessun dolore contrario e soltanto per accidente gli si unisce; 6. per s il desiderio del piacere pi forte della fuga del dolore, talora per avviene il contrario; perch il bene si apprezza solo quando perduto e il dolore impedisce ogni diletto. 7. Il dolore interno pi forte del dolore esterno, che affligge solo il corpo; vero che talora si incontra volontariamente il dolore esterno per evitare il dolore interno. 8. Quattro sono le specie di dolore o tristezza:, misericordia, invidia, ansiet accidia.

Quest. 36. Cause del dolore e della tristezza. 1. Il dolore causato pi dal male presente che dal bene che non si ha pi.

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2. Il desiderio possessivo, quando ostacolato, pu cagionare dolore; 3. parimenti il desiderio unitivo, finch non sodisfatto, causa di dolore, perch tutto ci che contraria linclinazione naturale causa di dolore; 4. perci anche un potere, cui si vorrebbe, ma non pu resistere, causa di dolore.

Quest. 37. Effetti del dolore e della tristezza. Un grande dolore sensibile, impedendo lapplicazione dellanima, impedisce di imparare. 2. Il dolore opprime lanima come fosse un peso. 3. inoltre rende fiacchi nelloperare, finch non diventa principio di reazione. 4. Il dolore nuoce al corpo pi delle altre passioni, perch ritarda il giusto battito del cuore: e ancora pi delle altre pesa, perch il suo oggetto un male presente.

Quest. 38. Rimedi del dolore e della tristezza. 1. ll dolore si lenisce con qualunque diletto, come fa il riposo per un corpo affaticato. 2. Il dolore si lenisce col pianto, perch il suo naturale sfogo, si riversa anche fuori e diminuisce dentro, 3. lenisce il dolore la compassione degli amici, che diventa un sollievo di amore, 4. lenisce grandemente il dolore lo studio del vero e sopratutto la celeste contemplazione. 5. Il dolore si lenisce anche col sonno e col bagno, perch con questi la natura ricondotta al suo stato e il cuore al suo battito regolare.

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Quest. 39. Bont e malizia del dolore e della tristezza. 1. Il dolore per s male; ma non , per esempio, male rattristarsi del male. 2. Quindi onesto il dolore che proviene da rettitudine di volont e di ragione; 3. anzi utile, quando eccita a fuggire ci che sidetesta. 4. Il dolore del corpo non male sommo, perch male di pena ed pi grande il male di colpa.

Quest. 40. Speranza e disperazione. 1. La speranza, come passione, distinta dal desiderio: sia perch questo ha per oggetto il bene semplicemente, mentre la speranza ha per oggetto un bene futuro, arduo, possibile; sia perch il desiderio dellappetito concupiscibile, mentre la speranza dellirascibile; 2. la speranza, riferendosi al bene, appartiene alla facolt appetitivi anzich alla facolt apprensiva. 3. Lappetito irascibile c anche negli animali, quindi anche in loro c la speranza. 4. La speranza di un bene arduo possibile cui ci si avvicina i la disperazione di un bene arduo impossibile da cui ci si allontana, sono perci una allaltra contrarie. 5. Lesperienza, rendendoci pi atti e pi esperti, causa di speranza. 6. Oggetto della speranza un bene futuro, arduo, possibile: perci hanno molta speranza i giovani, che hanno pi di futuro e di vitalit e meno di esperienza; gli ubriachi che nulla considerano e gli stolti che tentano ogni impresa. 7. La speranza deriva dallamore del bene che si spera, talvolta per essa causa di amore verso colui nel quale si spera. 8. La speranza giova allopera, perch non solo non impedisce, ma invece favorisce la naturale inclinazione.

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Quest. 41. Del timore. 1. Il timore muove a fuggire un male futuro, difficile a evitarsi, quindi una passione dellanima; 2. anzi una passione speciale, perch il suo oggetto, cio un male futuro difficile a evitarsi, un oggetto speciale. 3. Il timore non naturale nel senso che appartenga a tutta la natura, anche alle cose prive di cognizione; tuttavia c un timore naturale, come quello della morte, al quale la natura stessa ci inclina. 4. Il timore nellagire delluomo pu diventare ritrosia, rossore e vergogna e nellapprensione delluomo pu essere stupore, spavento e agonia.

Quest. 42. Oggetto del timore. 1. Il bene oggetto indiretto del timore, in quanto se ne teme la privazione: oggetto diretto il male; 2. oggetto del timore pu essere anche un male naturale, come la morte, quando per sia evitabile; 3. non pu invece propriamente essere oggetto del timore il peccato, perch in nostro potere di evitarlo; 4. si pu anche aver timore di aver timore, come si pu dolersi di dolersi. 5. Le cose repentine si temono di pi, perch appaiono un male maggiore e mancano i pronti rimedi. Le persone calme e astute, che nascondono lira e il danno che si teme, cagionano maggior timore di quelle che mostrano la collera. 6. Le cose poi contro le quali non c rimedio sono qulle che maggiormente si temono, perch si reputano pi durature.

Quest. 43. Cause del timore. 1. Il timore deriva dallamore del bene di cui si teme la privazione, ma il

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timore pu anche essere causa dellamore, quando chi teme la punizione osserva i comandi, comincia a sperare e viene avviato ad amare. 2. Causa del timore o la debolezza nel soggetto, o la forza delloggetto che pu nuocere.

Quest. 44. Effetti del timore. 1. Il timore, che sta in una contrazione, stringe il cuore e trattiene il respiro. 2. Il timore rende riflessivi, bench come ogni passione impedisca di bene riflettere. 3. Il timore fa tremare, perch il timore contrae la vitalit e le membra esterne si indeboliscono: quindi fa anche impallidire; 4. toglie anche le forze del corpo e cos impedisce di operare, ma quanto alle forze dellanima, se non eccessivo, le sollecita.

Quest. 45. Dellaudacia. 1. Laudacia il contrario di timore, perch ha lo stesso oggetto, ma si trova al lato opposto. 2. Laudacia, che sta nellaffrontare un male terribile, deriva dalla speranza di conseguir un bene. 3. I difetti, per s, non sono causa di audacia; lo possono per essere quei difetti che escludono il timore, come p. es. un cuore piccolo, che batte pi forte, e lamor del vino, che toglie la conoscenza del pericolo. 4. Gli audaci sono pi eccitati in principio che in fine di un pericolo, perch il loro un moto dellappetito sensitivo con giudizio avventato. Fanno il contrario coloro che sono veramente forti.

Quest. 46. Dellira. 1. Lira non passione generale in quanto sia causa di altre passioni, ma in quanto deriva

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dal dolore subito e dalla speranza di vendetta, cio dal concorso di pi cause. 2. Lira vuole la vendetta quale bene, contro il nemico che si reputa il male; questo il suo oggetto. 5. Lira appartiene non al concupiscibile, ma allirascibile, tanto che dallira esso prende nome. 4. Lira, fa la proporzione fra il male patito e la pena da infliggersi, questo proprio della ragione, nellira c quindi sempre un che di ragione; 5. perci alluomo lira pi naturale che la concupiscenza, mentre allanimale pi naturale la concupiscenza che lira. 6. Lodio peggiore dellira, perch lodio vuole il male come male e lira lo vuole come giusta vendetta, 7. e poich vuole la giusta vendetta di uningiusta azione, lira riguarda tanto la giustizia quanto lingiustizia; 8. lira poi, secondo i suoi gradi, si distingue in rabbia e furore.

Quest. 47. Cause dellira. 1. Causa dellira sempre qualche cosa fatta contro chi si adira; 2. questa si riduce sempre a essere mancanza del dovuto rispetto. 3. Chi si adira ha per motivo dellira la propria dignit, ma ha per causa un difetto; 4. labbiezione poi di chi provoca causa di pi facile o di maggior ira, come avviene, quando il ricco insultato da un povero.

Quest. 48. Effetti dellira. 1. Lira, col pensiero e la speranza della vendetta, cagiona diletto. 2. Lira ci che pi di tutto scalda il cuore, perch il suo un moto di impetuosit e veemenza.

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3. Lira sopra tutte le passioni impedisce luso di ragione, perch pi di tutte turba il cuore e sconvolge lorganismo; 4. e lo sconvolgimento talora tale, che la lingua resta impedita di parlare e allora lira causa di taciturnit.

Quest. 49. Abiti in generale. 1. Labito, parola che deriva dal verbo avere, e vale: aversi secondo la propria natura o secondo il fine, : buona o cattiva qualit. 2. ed una determinata specie della qualit, perch disposizione del soggetto in ordine alla sua natura e anche perch disposizione stabile; 3. perch disposizione secondo natura, e natura vuol dire sostanza considerata come principio delle operazioni; cos abito importa sempre: principio di operazione. 4. Gli abiti sono perfezioni, la perfezione necessaria essendo il fine stesso dellesistenza, gli abiti quindi sono necessari.

Quest. 50. Soggetto degli abiti. 1. Il corpo che ha il suo moto o dalla natura o dallanima, che lo fa vivere, non propriamente soggetto di abiti che sono disposizioni a operare; gli possono essere attribuiti come abiti le sue disposizioni abituali, quali la sanit, impropriamente per, perch non sono stabili; in un istante si perdono. 2. Prossimi principi di operazione per la natura sono le potenze, perci gli abiti appartengono alle potenze dellanima: la grazia tuttavia sola dellanima; 3. alle potenze sensitive per spettano solo in quanto dipendono dalla ragione. 4. Poich la scienza, la sapienza, lintelligenza sono operazioni dellintelletto, i relativi abiti sono pure dellintelletto.

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5. Anche la volont una potenza dellanima e a lei compete labito della giustizia. 6. Anche gli Angeli hanno nella volont e nellintelletto gli abiti che bene li dispongono in ordine a Dio.

Quest. 51. Causa degli abiti. 1. Abito naturale lintelletto dei princip: cio tutti hanno da natura la disposizione di applicare alle cose apprese dai sensi principi dellintelletto: cos vedendo una cosa e una sua parte si applica il principio che il tutto maggiore della parte. 2. Una potenza spesso eccitata a operare diviene pi facilmente eccitabile; cos acquista una stabile disposizione a compiere il suo atto; acquista labito della sua operazione, perci si dice che la ripetizione di un atto ne induce labito. 3. Un solo atto non basta a generare un abito di virt nella potenza appetitiva, perch con un solo atto non se ne vince la resistenza passiva; basta invece nella potenza conoscitiva, perch lintelletto, capta una volta una cosa, ne ha tosto la scienza. 4. Quanto agli atti che si riferiscono allultimo fine la vita eterna che eccede le forze umane, i relativi abiti non possono essere che infusi da Dio.

Quest. 52. Accrescimento degli abiti. 1. Labito pu divenire pi intenso o farsi pi rilassato sia in s, sia nella partecipazione di chi ne il soggetto e cos pu crescere o diminuire: 2. il crescere per non sta nellaggiungere ancora abito, ma nel perfezionarsi del soggetto in esso; il crescere poi della scienza sta nellestendersi delle cognizioni. 3. Ogni atto che sia allaltezza dellintensit del suo abito lo accresce, se al disotto lo diminuisce.

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Quest. 53. Diminuzione e perdita degli abiti. 1. Labito si perde o per lesercizio di atti a esso contrari, o per il venir meno della potenza cui si riferisce; cos colui, cui vien meno la vista, pu perdere la scienza dello spazio. 2. Labito, come pu crescere, cos pu diminuire; 3. e la diminuzione avviene per la mancanza dellesercizio.

Quest. 54. Distinzione degli abiti. 1. Una stessa potenza pu avere parecchi oggetti e perci parecchi atti e quindi ancora parecchi abiti; p. es. lintelletto pu possedere parecchie scienze. 2. Un abito si distingue specialmente da un altro per ragione o del suo principio attivo, o della sua natura, o del suo oggetto; 3. gli abiti poi si distinguono sopratutto in buoni e cattivi, secondoch inclinano a atti convenienti o sconvenienti alla natura. 4. Un abito non mai un composto di molti altri abiti, perch ogni abito una forma semplice.

Quest. 55. Virt nella sua essenza. 1. La virt rende una potenza perfetta; la potenza perfetta se ha la determinazione al suo atto; la determinazione allatto un abito, perci la virt un abito; 2. virt umana quella che perfeziona le potenze proprie delluomo, cio le potenze razionali; essa quindi non abito entitativo, ma abito operativo; 3. ed abito operativo buono, perch altrimenti nonsarebbe perfezione delle potenze. 4. S. Agostino la definisce bellamente: Buona qualit dellanimo per cui rettamente si vive, di cui male non si usa (e che Dio opera in noi, se la virt infusa).

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Quest. 56. Soggetto delle virt. 1. Soggetto delle virt sono le potenze; perch le virt sono perfezioni delle potenze; 2. ma una stessa virt non pu trovarsi in diverse potenze, perch qualit, cio accidente e un accidente non pu essere in pi soggetti. 3. La virt propria della volont o di una potenza, in quanto mossa dalla volont; quindi anche dellintelletto, in quanto mosso da buona volont; cos lintelletto speculativo pu avere la virt della fede e lintelletto pratico pu avere la prudenza. 4. La virt pu essere anche dellirascibile, e del concupiscibile in quanto obbediscano alla ragione; 5. ma le facolt della conoscenza sensitiva non possono essere soggetto delle virt, perch le virt morali o intellettuali ed i sensi possono soltanto esser buone disposizioni per lintelligenza; 6. soggetto invece delle virt pu essere la volont, da cui il concupiscibile e lirascibile dipendono.

Quest. 57. Distinzione delle virt intellettuali. 1. Gli abiti intellettuali si possono dire virt non in quanto facciano essi operare il bene, perch questo proprio della volont, ma in quanto procurano la facolt di operare il bene. 2. Le virt dellintelletto speculativo sono 3: Intelletto o intuizione dei principi che si rendono evidenti; scienza o ragionata e piena cognizione dei diversi generi di cose; sapienza o conoscenza profonda che arriva agli ultimi perch delle cose. 3. Larte, o giusta norma dellesecuzione di unopera virt in quanto procura la facolt di ben agire; 4. la prudenza invece o giusta norma delle nostre azioni virt non in quanto procura tale facolt, ma

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in quanto esige luso retto delle facolt, perci dieta dallarte. 5. Il ben vivere sta nel ben operare, il ben operare sta nella retta elezione, per la retta elezione occorre la prudenza, perci la prudenza alluomo necessaria; 6. alla prudenza poi si accompagnano: leubulia, la sinesi e la gnome che fanno essere ponderati, perspicaci e decisi.

Quest. 58. Distinzione delle virt morali dalle intellettuali. 1. Non tutte le virt sono virt morali; virt morali sono quelle che rettamente inclinando la parte appetitiva regolano i costumi; 2. e bench anchesse abbiano per principio la ragione, tuttavia si distinguono dalle virt intellettuali, perch alla ragione obbediscono potendovi contraddire. 3. Nelluomo non ci sono altri principi attivi oltre lintellettivo e lappetitivo; perci sufficiente la divisione delle virt in intellettuali e morali; 4. divisione non per esclusione, ch anzi non ci pu essere virt morale senza le virt intellettuali, dellintelletto, che fa presenti i princip morali, e della prudenza; che procura la buona scelta; 5. le virt intellettuali invece possono trovarsi senza le virt morali; per eccettuata la prudenza che in se stessa retta norma dellagire.

Quest. 59. Le virt morali e le passioni. 1. La virt morale, che principio di moto dellappetito sensitivo e buon abito, non passione, che semplicemente moto dellappetito sensitivo, per se indifferente. 3. la virt morale non incompossibile colla tristezza; perch chi virtuoso si rattrista di ci che contrari alla virt.

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4. La giustizia, che virt morale, regola la volont che appetito intellettivo, perci non tutte le virt morali regolano passioni; 5. c quindi una virt morale, cio la giustizia, che pu trovarsi senza la compagnia delle passioni; che se qualcuna,. come il gaudio, laccompagna, ci solo per ridondanza.

Quest. 60. Distinzione delle virt morali tra di loro. 1. Le virt morali appartengono alla volont, la volont ha per oggetto il bene appetibile, questo varia secondo il suo rapporto colla ragione, varie sono quindi anche le virt e non una sola. 2. Le virt morali che regolano le azioni sono distinte da quelle che regolano i moti interni di passione, cosicch chi percuote un altro manca esteriormente di giustizia e interiormente manca di mansuetudine. 3. Lordine di ragione delle nostre azioni esterne si commisura da ci che a ciascuno dovuto, c dunque a regola delle nostre azioni una virt generale, che comprende la religione, la piet, la gratitudine etc. ed la giustizia; 4. a regola, invece dei moti interni di passioni diverse ci sono diverse virt; una sola impossibile perch le diverse passioni appartengono a potenze diverse. 5. Le virt morali si distinguono secondo la materia, le passioni e gli oggetti e anche secondo le operazioni, e Aristotele ne numera undici.

Quest. 61. Le virt cardinali. 1. Virt cardinali sono quelle che contengono la rettitudine dellappetito; questo proprio delle virt morali, fra queste sole quindici sono virt cardinali;

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2. le virt morali principali o cardinali sono 4: a regola della ragione la prudenza, a regola della volont la giustizia, a regola dellappetito concupiscibile la temperanza, a regola dellirascibile la fortezza. 3. Virt cardinali oltre e pi di queste quattro non ce ne sono, perch in queste quattro ci sono tutte le principali ragioni formali di virt; 4. esse diversificano fra di loro secondo la diversit degli oggetti, 5. secondo poi i diversi atteggiamenti delluomo in ordine a Dio, ultimo fine, tali virt sono o politiche, o purificanti, o di animo purificato, od esemplari.

Quest. 62. Le virt teologali. 1. Oltre alle virt morali, che sono proporzionate alla beatitudine naturale, ce ne sono altre, proporzionate alla beatitudine soprannaturale; esse si chiamano teologali, perch hanno Dio per oggetto, ed infuse, perch non le abbiamo se non da Dio; 2. e poich loro oggetto Dio, in quanto per eccede la cognizione della ragione nostra, esse si distinguono dalle virt intellettuali e morali, il cui principio la ragione. 3. Le virt teologali, che hanno per oggetto la beatitudine, la quale eccede la naturale capacit umana(perch ne occhio vide, ne cuor desider.... S. Paolo) sono 3: per lintelletto la fede; e per la volont: a tendere a Dio la speranza; a unirsi a Dio, la carit; e questa numerazione e distinzione perfetta.

4. La fede prima della speranza e della carit, perch senza conoscere Dio non si pu amarlo; ma la carit pi eccellente della speranza e della fede perch la loro perfezione.

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Quest. 63. Cause delle virt. 1. Da natura abbiamo, non la virt, ma il principio di operazione, che virt perfeziona. 2. La virt morale possiamo averla dalla frequenza degli atti: ma la virt teologica totalmente solamente da Dio, perci si dice infusa. 3. In proporzione delle virt teologiche vengono in noi infuse da Dio anche alcune virt morali. 4. Le virt morali acquisite hanno uno scopo umano, invece le infuse hanno uno scopo soprannaturale, divino; queste perci sono da quelle distinte.

Quest. 64. Giusto mezzo nelle virt. 1. Virt conformit colla retta ragione, da questa, che misura, ci si allontana o per eccesso o per difetto, quindi virt stare nel giusto mezzo: In medio stat virtus. 2. Questo giusto mezzo della ragione non sta nello stesso atto della ragione, ma sta nella conformit della cosa colla retta ragione, ovvero sta nella materia stabilita dalla retta ragione, che nella giustizia si identifica colla cosa, e nelle altre virt morali sta nel lanimo nostro. 3. Anche per le virt intellettuali c un giusto mezzo e sta fra un difetto e un eccesso, cio fra un affermazione falsa e una negazione falsa. 4. Invece nelle virt teologali il giusto mezzo non da ricercarsi in Dio, ma nella nostra condizione; manca quindi chi non spera ci che nelle sue condizioni pu sperare.

Quest. 66. Connessione fra le virt. 1. Le virt morali sono perfette quando una non senza laltra, perch tutte sono radicate nella prudenza, e la prudenza non perfetta senza le altre virt: sono quindi fra loro legate.

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2. Le virt morali acquisite possono stare senza la carit; non sono per assolutamente perfette, perch si chiudono nellambito dellordine naturale; invece le virt infuse che riguardano lordine soprannaturale non possono essere senza la carit, 3. e la carit non mai scompagnata dalle virt morali; esse vengono infuse insieme con lei, affinch luomo sia perfettamente ordinato al suo ultimo fine. 4. Per s fede e speranza possono trovarsi senza la carit, perch nella loro origine non dipendono dalla carit; ma non sono perfette, perch perfetta la virt che indirizza a opera perfettamente buona, perci non sono vere virt; 5. la carit invece non pu stare senza la fede e la speranza, perch sono esse che iniziano alla carit.

Quest. 66. Grado delle virt. 1. Diversi sono i gradi delle virt e cio: nel genere di virt secondo la loro specie; nella stessa specie secondo i diversi soggetti; nello stesso soggetto secondo i diversi tempi: la virt quindi pu essere maggiore o minore. 2. In un medesimo soggetto le virt, che insieme si trovano, sono eguali, perch eguale per tutte il giusto mezzo che una medesima ragione segna; salvo le particolari inclinazioni o doni di grazia. 3. Come per s lintelletto pi nobile della volont, cos per s le virt intellettuali sono pi nobili delle virt morali e di esse la pi grande la sapienza. 4. Ordine di nobilt fra le virt morali : giustizia, che regola pi da vicino la ragione, fortezza e temperanza: prima virt morale quindi la giustizia: 2. invece fra le virt intellettuali la prima la sapienza, che ha per oggetto la Causa Altissima, dalla quale si guarda poi ai sottostanti effetti; essa detta virt architettonica.

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6. La pi grande fra le virt teologali la carit, perch la fede di ci che non si vede, la speranza di ci che non si ha, la carit di ci che si possiede.

Quest. 67. Durata delle virt dopo la morte. 1. Nellaltra vita restano le virt morali, in quanto buoni abiti, ma senza passioni da regolare. 2. Nellaltra vita restano le virt intellettuali, maper le idee, non per la fantasia. 3. Nellaltra vita la fede, che di ci che non si vede, cessa, perch allora si vede; 4. cessa la speranza, che di ci che non si ha, perch allora si ha, 5. e non ne resta di loro nemmeno una parte, perch sono abiti semplici non divisibili in parti; 6. la carit invece si perfeziona da quello che era in questa vita e resta anche nellaltra vita.

Quest. 68. I doni dello Spirito Santo. 1. Le virt sono perch luomo segua leccitamento della ragione; i doni sono perch luomo segua leccitamento dello Spirito Santo, si distinguono adunque dalle virt. 2. Ancorch la ragione sia informata dalle virt teologiche, la sua mozione non sufficiente al fine soprannaturale; occorre anche la mozione dello Spirito Santo, occorrono i doni: 3. come le virt, cos anche i doni sono disposizioni stabili e perci abiti permanenti dellanima. 4. I doni sono 7, cos convenientemente disposti: a) Quanto allApprensiva:
Per la ragione speculativa pratica Per il giudizio speculativo Lintelletto. Il consiglio. La sapienza.

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pratico

La scienza.

b) Quanto allAppetitiva:
verso le persone contro le cose che spaventano le cose che allettano La piet. La fortezza. Il timore di Dio.

5. I doni dello Spirito Santo sono fra loro legati, perch radicati nella carit; 6. essi dureranno, nella loro essenza, anche nellaltra vita e saranno perfettissimi. 7. La enumerazione solita dei doni, presa da Isaia, li dispone secondo lordine di dignit e si trova in accordo colla elencazione fatta sopra, bench ci non sembri, perch son da prendersi a gruppi e lordine talora inverso. 8. Le virt teologali sono superiori ai doni, perch ne sono la regola, ma i doni sono superiori alle altre virt, perch essi danno una mozione superiore, cio quella dello Spirito Santo.

Quest. 69. Le beatitudini. 1. Le beatitudini sono operazioni delle virt e dei doni, le quali ci avviano alla beatitudine eterna; sono perci distinte dai doni e dalle virt; 2. i premi assegnati alle beatitudini sono premi della vita futura, che cominciano in questa. 3. Le beatitudini sono bellamente ordinate; infatti: a) esse ritraggono dagli allettamenti di questa vita:
delle ricchezze e degli onori: dellirascibile: del concupiscibile Beati i poveri; i miti; i piangenti;

b) esse nella vita attiva col prossimo

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inclinano alla giustizia: ritraggono dallavarizia:

i famelici; i misericordiosi;

c) esse dispongono alla vita contemplativa


colla purezza: col trattar bene il prossimo: Beati i mondi; i pacifici.

4. Parimenti sono in bella corrispondenza enunciati i premi delle beatitudini, che ritraggono dagli allettamenti e reggono nella vita attiva e contemplativa, quando si dice: Beati i poveri. perch di loro il regno dei cieli, ecc.

Quest. 70. I frutti dello Spirito Santo. 1. I frutti dello Spirito Santo sono atti, quelli cio che si compiono secondando la mozione dello Spirito Santo. 2. Essi vanno distinti dalle beatitudini; frutti sono opere virtuose che procurano gaudio spirituale; beatitudini sono opere perfette che procedono dai doni dello Spirito Santo; 3. essi sono: carit, gaudio, pace, pazienza, benignit, bont, longanimit, mansuetudine, fede, modestia, continenza, castit, come dice S. Paolo (Ga1. V: 22 23); scaturiscono in noi in quanto per la mozione dello Spirito Santo lanima si dispone bene o in se stessa, o riguardo al prossimo o riguardo ai propri atti: 4. essi ci fanno tendere al cielo e perci possono dirsi contrari alle opere della carne, che ci fa tendere alle bassezze della terra.

Quest. 71. Vizi e peccati: 1. Vizio il contrario della virt, perch contrario alla ragione e ordinato al male.

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2. Distintivo della natura umana la ragione; la virt conformit alla ragione; il vizio contrariet alla ragione e quindi anche alla natura. 3. Labito sta fra la potenza e latto ed latto che rende cattivo labito pi che viceversa; perci latto vizioso peggiore del vizio. 4. Un peccato mortale fa cessare le virt infuse, ma non le acquisite, perch queste con un solo atto non sacquistano e nemmeno si perdono. * Il peccato mortale espelle la carit e con lei la fede e la speranza in lei radicate; se restano la fede e la speranza, restano perci informi e quindi non vere virt. 5. Il peccato non consiste sempre in un atto, perch talvolta il peccato consiste nellomissione di un atto, che si poteva e si doveva fare. 6. Peccato un atto umano cattivo; cattivo si pu dire in confronto di una norma e le norme sono due: la prossima cio la retta ragione; la remota cio la legge eterna: alla norma poi si fa contro con atti, parole, desideri.

Quest. 72. Distinzione della specie dei peccati. 1. Ogni atto viene specificato dal suo oggetto; il peccato un atto, perci un peccato di specie diversa di un altro secondo la diversit delloggetto. 2. Loggetto del peccato produce un godimento disordinato e poich tale godimento pu essere o spirituale o corporale, perci i peccati si distinguono altres in peccati spirituali e peccati carnali. 3. I peccati si distinguono specificamente, non secondo la causa efficiente, che eguale per tutti i peccati, essendo essa la volont, ma secondo la causa finale, perch il fine, che oggetto della volont, specifica gli atti umani.

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4. Il peccato un atto disordinato; lordine contro cui va il peccato triplice: Dio, prossimo, s stesso, da ci si distinguono i peccati contro Dio, il prossimo e se stesso; 5. non si distinguono invece specificamente secondo il reato che importano, perch questo non precede, ma consegue il peccato: perci la distinzione dei peccati in veniali e mortali non una distinzione specifica; 6. e nemmeno, strettamente parlando, una distinzione specifica la distinzione di peccati di omissione e di commissione, perch lavaro pecca tanto rubando laltrui guanto non pagando i debiti. 7. La distinzione dei peccati in peccati di pensiero, di parole e di opere giusta; ma non distinzione di specie, invece distinzione di grado. 8. I peccati che stanno fra loro come leccesso e il difetto sono fra loro contrari e perci tanto pi sono differenti di specie: p. es. lavarizia e la prodigalit. 9. Le circostanze non mutano la specie dei peccati, ci per purch non ci sia in esse un motivo particolare, che diventa fine dellatto, perch il fine specifica gli atti e quindi i peccati.

Quest. 73. Gravit dei peccati. 1. Le virt sono legate una allaltra, perch sono fra di loro connesse; i peccati invece non sono fra di loro connessi, perch ce ne sono di quelli che sono contrari uno allaltro come prodigalit e avarizia. 2. I peccati sono pi o meno gravi secondo che si allontanano pi o meno dalla rettitudine della ragione e perci non sono tutti eguali. 3. La. gravit dei peccati varia secondo loggetto cos graduato: cose, persone, Dio; essendo le cose per luomo e luomo per Iddio; 4. varia anche secondo la dignit delle virt cui vanno contro, perch anche esse prendono specie dalloggetto.

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5. I peccati di carne sono di maggiore infamia; ma i peccati di spirito sono pi gravi, perch in questi lincentivo minore. 6. Le cause che diminuiscono luso della ragione e della volont diminuiscono anche il peccato, perch alle cause si proporziona leffetto. 7. La circostanza influisce nel peccato e perci lo accresce, talvolta la aggrava soltanto, talvolta lo moltiplica; talvolta infine lo cambia anche di specie. 8. Il danno che un peccato produce aggrava il peccato, ed sempre imputabile quando segue per s latto del peccato o quando essendone un effetto fu previsto ed inteso. 9. Aggrava il peccato la dignit della persona contro cui si commette, perch essa in qualche modo oggetto del peccato; 10. e lo aggrava anche la dignit della persona che lo commette, perch il peccato pi disdicevole e di maggiore scandalo.

Quest. 74. Soggetto del peccato 1. Il peccato un atto umano; principio dellatto umano la volont, perci soggetto del peccato la volont; 2. ma poich oltre gli atti eliciti della volont ci sono anche gli atti imperati delle potenze che da lei dipendono, perci soggetto del peccato non soltanto la volont, 3. anche la sensualit ossia il moto dellappetito sensitivo, pu dipendere dalla volont, perci anche nella sensualit pu esserci il peccato; 4. allultimo fine per pu assurgere la ragione e non la sensualit, perci peccato mortale, ossia disordine relativo allultimo fine, pu esserci nella ragione, ma non nella sensualit, quale solo appetito sensitivo.

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5. La ragione pu mancare al suo compito o errando nella cognizione della verit o non bene regolando gli atti delle potenze inferiori, perci anche nella ragione, sia superiore che inferiore, pu esserci il peccato. 6. La ragione deve regolare gli atti esterni e gli atti interni e manca al suo compito non solo quando ordina i moti cattivi, ma anche quando non li reprime; in questo sta la dilettazione morosa, essa perci appartiene alla ragione. 7. Il consenso allatto non che giudizio finale dellatto; il giudizio finale spetta al superiore, perci il consenso sta nella ragione superiore. 8. Altra cosa dilettarsi di un nostro pensiero e altra cosa acconsentire al diletto che sorge in noi per il pensiero di un oggetto cattivo; questa non che consentire a un atto cattivo e perci, se la materia grave, peccato mortale. 9. Il consenso spetta alla ragione superiore, il consenso poi pu essere di peccato veniale; nella ragione superiore pu esserci quindi anche peccato soltanto veniale, 10. e poich la ragione superiore nel suo stesso atto pu essere sorpresa e portata al consenso non con intuizione e anche deliberazione, ma di sola intenzione c senza deliberazione, perci anche il consenso di peccato mortale pu essere peccato soltanto veniale per limperfezione dellatto.

Quest. 75. Cause del peccato in generale. 1. Il peccato un atto difettoso, esso perci ha la sua causa come atto, ed la volont; ed ha la sua causa come difettoso, ed la mancanza di dovuta rettitudine. 2. La causa interna del peccato prossima cio la ragione e la volont, e remota cio limmaginazione elappetito sensitivo.

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3. Causa esterna pel peccato possono essere le cose mondane, gli uomini, il demonio; ma la causa esterna indiretta e vale in quanto muove la ragione e lappetito sensitivo; pu muovere, ma non indurre al peccato. 4. Un peccato pu in vari modi essere causa di un altro peccato e sopratutto perch dispone ad altri peccati e ne prepara la materia.

Quest. 76. Cause del peccato in particolare. 1. Lignoranza pu essere causa di peccato quando privazione di quella scienza che, se ci fosse stata, avrebbe illuminata la ragione e questa avrebbe diretto diversamente la nostra azione. 2. peccato non sapere ci che si pu e si deve sapere; ciascuno poi tenuto a sapere: 1. Le cose di fede 2. Le cose principali della legge. 3. I doveri particolari del proprio stato. 3. Solo lignoranza antecedente e invincibile di ci che si deve sapere pu scusare totalmente il peccato. 4. Quando si pecca per ignoranza, se lignoranza colpevole il peccato diminuisce, perch diminuisce la volont di peccare; ma se fu apposta cercata il peccato cresce.

Quest. 77. Parte dellappetito sensitivo nelle cause del peccato. 1. Le passioni dellappetito sensitivo non agiscono direttamente sulla volont, perch essa una facolt immateriale dellanima, ma agiscono indirettamente, e ci in due modi, distraendola o impedendo il retto giudizio della ragione. 2. La volont tende sempre a ci che bene, o che la ragione le presenta come bene; ma la ragione pu essere sopraffatta dalla passione, la quale o distrae, o

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spinge al contrario la ragione, o commuove e conturba lorganismo, tanto che taluno per ira o amore impazzisce; 3. le passioni cos si possono dire malattie dellanima, che impediscono le operazioni sue proprie, come la miopia impedisce la vista chiara. 4. Causa del peccato rivolgersi alle cose terrene contro la norma della ragione, ci si fa per disordinato amore di se stessi, e questo quindi sempre causa del peccato; 5. e le cose terrene cui luomo si rivolge contro la norma della ragione sono i beni che dilettano il concupiscibile o col contatto: concupiscentia carnis o collapprensione: concupiscentia oculorum; e quelli che allettano lirascibile colla mira di cosa ardua: superbia vitae. 6. Un peccato pu essere reso meno grave dalla passione quando essa antecedente e per la sua veemenza diminuisce il libero arbitrio; non cos se la passione conseguente, cio viene di seguito alluso del libero arbitrio. 7. Le passioni quando tolgono luso della ragione, scusano dal peccato, purch per non siano volontarie, 8. tuttavia il peccato, pur provenendo dalla passione, mortale se la ragione potendo e dovendo non resiste a tempo alla passione.

Quest. 78. La malizia come causa del peccato. 1. Il peccato di malizia certa il peccato conosciuto e voluto ed di chi pecca per calcolo anzich per ignoranza o passione. 2. Abitudine ferma e quasi naturale disposizione della volont al male; quindi chi pecca per labitudine pecca di malizia certa; 3. talora uno fa un peccato di malizia certa senza averne labitudine, come pu fare un atto virtuoso senza averne la virt, perci un peccato di malizia certa indica

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sempre cattiva inclinazione, ma non indica sempre anche labitudine cattiva. 4. Chi pecca per abitudine pi reo di chi pecca per passione, perch ha la volont pi legata al male.

Quest. 79. Cause esterne del peccato. 1. Dio, sommo bene, non pu essere causa del peccato, che sta nel volere il male. 2. Luomo nulla fa se non sostenuto da Dio, Causa Prima; ogni azione umana quindi e delluomo e di Dio; per il peccato che unazione difettosa, procede da Dio, in quanto azione; ma il difetto proviene dalluomo. Cos il zoppicare proviene non dai centri nervosi, ma dalla gamba corta. 3. Dellaccecamento della mente e dellinduramento del cuore Dio causa non perch spinge al male, ma perch sottrae la grazia che illumina la mente e ammollisce il cuore; 4. ed hanno di mira talvolta il ravvedimento del reo e talvolta la sua dannazione ad altrui esempio. Quest. 80. Parte del diavolo nelle cause del peccato. 1. Il demonio non per luomo causa diretta e sufficiente di peccato, esso agisce indirettamente sulla volont: 1. Presentando qualche oggetto che eccita il senso. 2. Turbando la ragione con eccitare internamente la fantasia e lappetito sensitivo. 3. Sforzandosi di persuadere la ragione che la cosa proposta bene: causa diretta del peccato la volont; 2. il diavolo non sempre apparisce visibilmente, perci istiga al peccato internamente eccitando la volont, la fantasia e lappetito sensitivo sia nel sonno che nella veglia; 3. esso per non pu sforzare mai la volont, perch la ragione, se non ne impedito luso, non legata.

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Quest. 81. Parte delluomo nelle cause del peccato. 1. Tutti i posteri di Adamo si possono considerare membra di un corpo, di cui capo Adamo, e una sola persona con lui, perch hanno la stessa natura; questa natura aveva in Adamo la giustizia originale; Adamo col peccato la ha privata della giustizia e infettata di peccato; non poteva pi trasmetterla che come tale; tutti i suoi posteri hanno il peccato originale che si dice peccato di natura. 2. Gli altri peccati di Adamo spettano a lui non come natura, ma come persona, perci non si trasmettono ai posteri, come non si trasmettono i meriti. 3. Il peccato si trasmette colla naturale generazione; 4. perci se qualcuno venisse da Dio miracolosamente formato, non lavrebbe. 5. Il principio attivo dellumana generazione luomo; perci se avesse peccato solo Eva, il peccato originale non ci sarebbe.

Quest. 82. Essenza del peccato originale. 1. Il peccato originale un abito non operativo, ma naturale: una disposizione disordinata derivante dalla dissoluzione di quellarmonia che formava la giustizia originale. 2. Il peccato originale uno di numero in ciascun uomo ed anche uno di specie, perch unica ne la causa, cio la privazione della giustizia originale. 3. Punto culminante di quellarmonia che formava la giustizia originale era la soggezione della volont Dio: perci nel peccato originale lavversione della volont a Dio la parte formale, il reato; lo scompiglio interno delle facolt delluomo la parte materiale ed la concupiscenza. 4. Il peccato originale eguale per tutti, perch tutti sono egualmente figli di Adamo.

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Quest. 83. Soggetto del peccato originale. 1. Il peccato originale come colpa nellanima soltanto; nelle sue conseguenze e come pena anche nel corpo. 2. Il peccato originale peccato della natura umana; la natura umana si ha dalla forma sostanziale che lanima; lanima forma sostanziale del corpo non per mezzo delle sue potenze ma per la sua essenza, perci il peccato originale ha per soggetto lanima nella sua essenza. 3. Il peccato originale, in se stesso, inerisce allessenza dellanima, ma nella sua inclinazione riguarda le potenze e poich nellinclinazione ad agire la prima potenza la volont, perci esso riguarda la volont prima che le altre potenze, 4. e fra queste ne sono infette maggiormente quelle che, come la generativa, servono alla trasmissione dellinfetta natura umana.

Quest. 84. I peccati cause di peccati. 1. Radice di ogni peccato, come dice S. Paolo, la cupidigia delle ricchezze, perch le ricchezze giovano a nutrire ed effettuare ogni desiderio cattivo. 2. Inizio di ogni peccato, come dice lEcclesiastico la superbia, in quanto un disordinato amore della propria eccellenza; che si persegue specialmente cercando il maggior acquisto di beni temporali e cos si confonde collavarizia che di ogni peccato la radice; 3. ma peccati capitali, che cio sono fini della volont e che quindi come cause finali danno origine ed iniziano ad altri peccati, non sono soltanto la superbia e lavarizia. 4. Iniziano e dirigono ad altri peccati, ossia sono peccati capitali, oltre la superbia e lavarizia, la lussuria e la gola con lallettamento dei relativi beni; laccidia collimpressione della fatica pel profitto spirituale; linvidia per laltrui successo che impedisce la propria eccellenza; lira

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per laltrui prevalenza che eccita alla vendetta; in tutti sono quindi sette.

Quest. 85. Effetti del peccato. 1. Il peccato originale ci priv dei beni della giustizia originale, il peccato attuale diminuisce linclinazione alla virt; il peccato per non ci priva dei costitutivi della natura umana: essa quindi, minorata, ma non estinta; 2. anzi impossibile che il peccato estingua tutto il bene dellumana natura, perch, non potendo la colpa gi stare nella grazia se non rimanesse come soggetto della colpa la natura umana non potrebbe esistere nemmeno la colpa; similmente se il peccato estinguesse tutto il bene di natura umana, farebbe che luomo non sia pi ragionevole e allora non sarebbe nemmeno pi capace di peccato. 3. La giustizia originale fortificava le forze dellanima: intelletto, volont, concupiscibile, irascibile: col peccato originale ci vennero: ignoranza, malizia, concupiscenza, fragilit: queste sono le quattro ferite della natura umana; 4. ogni ente, in quanto bene, ha misura, specie ed ordine: il peccato privazione di bene, perci anche privazione di misura, specie ed ordine; 5. per la perdita della giustizia originale, vennero la morte e i dolori, che la giustizia originale allontanava, essi quindi sono un effetto del peccato originale: 6. luomo composto di corpo e di anima; il corpo materia corruttibile, lanima spirito immortale; perci nelle ragioni universali di materia la morte e i dolori sono naturali alluomo, non lo sono nelle ragioni partitolari della forma sostanziale delluomo la quale , per s, incorruttibile; che in fatto la forma supplisse alla materia e luomo fosse immortale fu dono della giustizia originale.

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Quest. 86. La macchia del peccato. 1. Lanima ha un doppio candore; il rifulgere del lume naturale di ragione e il rifulgere del lume divino, attaccandosi essa disordinatamente alle cose, soffre un contatto che la deturpa e, metaforicamente, la macchia, 2. e finch dura la mancanza di candore dura anche la macchia, la quale perci resta anche cessato latto di peccato.

Quest. 87. Reato di pena. 1. Peccando luomo si sottrae allordine: 1. della propria ragione; 2. della societ di cui suddito; 3. del regime divino; incorre quindi nella pena del rimorso, del disonore e della collera di Dio. 2. Per s un peccato non pu essere pena di un peccato, perch il peccato procede dalla volont e la pena invece contro la volont; pu per esserlo per accidente, in quanto cio il peccato sottrae la grazia che rafforzava lanima e preveniva i peccati. 3. Principio dei tre ordini: individuale, sociale universale, lultimo fine: la sovversione dellordine che intacca perfino il principio dellordine, cio la soggezione della volont a Dio, disordine irreparabile e fa incorrere nella pena eterna. 4. Il peccato importa avversione a un bene infinito, per conversione a beni finiti; deve quindi corrispondere una pena parte infinita, parte finita; cio ha pena del danno e quella del senso. 5. La pena eterna dovuta al disordine irreparabile, allavversione cio al bene infinito, la quale rompe la carit, cio lunione con Dio; ma ai peccati il cui disordine non cos grave, cio ai peccati veniali, si deve solo la pena temporale. 6. Nel peccato si distingue latto che cessa e la macchia che resta, in questa poi c il reato di colpa e il reato di pena; questa dovuta a compenso della divina giu-

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stizia affinch chi troppo assecond la sua volont soffra qualcosa contro volont; ancorch luomo si ricongiunga a Dio colla carit, pu rimanere per le ragioni della giustizia il reato di pena da soddisfare. 7. Le pene non sono tutte punitive, ce ne sono di medicinali e preservative, ma siccome se non ci fosse stato il peccato originale non ci sarebbero state nemmeno le pene, perci tutte le pene dipendono dal peccato. 8. Taluno pu portare la pena dei peccati di un altro quando forma con lui ununica persona; tale pena per non che soddisfatoria, e non mai medicinale, sono quindi escluse le pene spirituali che sono sempre medicinali.

Quest. 88. Peccato veniale e peccato mortale. 1. La sovversione dellordine che arriva fino allultimo fine per s irreparabile e il peccato mortale; il disordine invece circa i mezzi, salvo lultimo fine, riparabile e peccato veniale, questo quindi ben distinto da quello. 2. Il peccato mortale e veniale differiscono di genere per loggetto, come sarebbe bestemmiare Dio o burlare il prossimo, ma differiscono anche per lintenzione dellagente; perci un peccato che per oggetto di suo genere mortale, pu essere veniale per imperfezione dellatto nellagente e viceversa un peccato che per loggetto di genere veniale pu diventare mortale per una particolare perfidia della volont. 3. Un peccato di genere veniale se non dispone direttamente al peccato di genere mortale, che specificatamente diverso, vi dispone per indirettamente, sia formando unabitudine del peccato, sia togliendo il ritegno al peccato mortale: 4. per s, per, un peccato veniale non diventa mai mortale, perch mortale e veniale, differendo di genere, differiscono sempre, anche andando allinfinito:

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5. altrettanto la circostanza di un peccato veniale, finch resta circostanza di peccato veniale, non pu farlo diventare mortale; pu farlo soltanto quando lo fa diventare di altra specie: 6. il peccato mortale poi non diventa mai veniale per laggiunta di un peccato veniale, come ci che perfetto non diventa imperfetto per laggiunta di una cosa imperfetta; il peccato mortale pu diventare veniale solo per limperfezione dellatto, che si verifica quando manca qualche cosa alla perfetta deliberazione della ragione.

Quest. 89. Il peccato veniale in s. 1. Il peccato veniale macchia, ma in quanto priva solamente del candore che deriva dagli atti di virt. 3. Un peccato di genere veniale se non dispone direttamente al peccato di genere mortale, che specificatamente diverso, vi dispone per indirettamente, sia formando unabitudine del peccato, sia togliendo il ritegno al peccato mortale: 4. per s, per, un peccato veniale non diventa mai mortale, perch mortale e veniale, differendo di genere, differiscono sempre, anche andando allinfinito: 5. altrettanto la circostanza di un peccato veniale, finch resta circostanza di peccato veniale, non pu farlo diventare mortale; pu farlo soltanto quando lo fa diventare di altra specie: 6. il peccato mortale poi non diventa mai veniale per laggiunta di un peccato veniale, come ci che perfetto non diventa imperfetto per laggiunta di una cosa imperfetta; il peccato mortale pu diventare veniale solo per limperfezione dellatto, che si verifica quando manca qualche cosa alla perfetta deliberazione della ragione.

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Quest. 89. Il peccato veniale in s. 1. Il peccato veniale macchia, ma in quanto priva solamente del candore che deriva dagli atti di virt. 2. La S. Scrittura paragona i peccati veniali alla legna, al fuoco e alla paglia, perch come queste materie bruciano, cos i peccati veniali si purgano col fuoco delle temporali tribolazioni. 3. Durante la giustizia originale, essendo perfetta la soggezione del corpo allanima e del senso alla ragione, luomo non poteva peccare venialmente. 4. Gli angeli confermati in grazia, non peccano nemmeno venialmente, perch mirano sempre a Dio; i demoni negli atti di loro volont sono sempre guidati dalla loro superbia e peccano sempre mortalmente. 5. Sede del peccato mortale lanima, non la sensualit, perci i primi moti del senso, senza il consenso della ragione, non sono peccati mortali nemmeno negli infedeli. 6. Quando uno raggiunge luso di ragione, o tosto si indirizza debitamente al fine ultimo ed mondato dal peccato originale, o non si indirizza e pecca mortalmente; perci in un adulto non si combina il peccato originale con un solo peccato veniale.

Quest. 90. Le leggi. 1. Legge (dal verbo legare) regola e misura degli atti umani: come tale cosa della ragione; perch della ragione disporre in ordine al fine; la ragione principio e misura degli atti, come lunit il principio e la misura del numero. 2. Il fine in ordine al quale proprio della ragione disporre il fine ultimo, che fine comune di tutti gli uomini; quindi ha ragione di legge quello che ordinativo del bene comune. 3. Disporre al fine comune di tutti gli uomini spetta alla ragione comune di tutti gli uomini, cio alla moltitudine; o spetta alla ragione del principe che fa le veci

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della moltitudine; e non spetta alla ragione di qualunque privato. 4. Perch la legge serva da regola o misura agli atti umani bisogna che questa regola o misura sia applicata, e lapplicazione si fa colla promulgazione. La legge adunque va definita cos: ordinamento della ragione al bene comune, promulgato da colui cui spetta la cura della societ.

Quest. 91. Leggi diverse. 1. Il mondo che retto da Dio e disposto in ordine al fine dalla ragione, che eterna, di Dio, che Padrone delluniverso; c quindi nel mondo una legge eterna. 2. La disposizione data alle cose dalla Ragione di Dio, la legge eterna, nelle cose impressa secondo la loro natura e alluomo partecipata secondo la sua natura di essere ragionevole, perci conosciuta per il lume naturale di ragione: cos la legge eterna si fa naturale. 3. La legge naturale d i principii comuni, che vengono applicati da disposizioni particolari della ragione umana e queste prendono il nome di leggi umane. 4. Legge eterna, naturale, umana bastano per lordine naturale; non bastano per lordine soprannaturale, per questo ci vuole una legge particolare di Dio, la legge divina. 5. La legge divina si distingue in Legge Vecchia e Legge Nuova; una imperfetta, laltra perfetta; una con promesse di beni sensibili terreni, laltra con promesse di beni intelligibili celesti; una legge di timore, laltra legge di amore. 6. C anche la legge del fomite, ed la stessa inclinazione della sensualit, che negli animali semplicemente legge; in noi piuttosto deviazione della legge fissata per legge della divina giustizia in pena del peccato.

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Quest. 92. Effetti della legge. 1. Effetto della legge fare buoni gli uomini, perch proprio della legge indurre i sudditi alla virt loro propria. 2. Lufficio della legge : comandare gli atti virtuosi e proibire i viziosi, permettere gli atti indifferenti, inoltre punire i mancamenti.

Quest. 93. La legge eterna. 1. Come la sapienza creatrice arte, esemplare, idea delle cose create, cos lo degli atti la Sapienza governatrice di Dio, che dirige tutte le cose al debito fine: e la legge eterna si pu dire: la ragione della divina sapienza direttiva degli atti. * La ragione in Dio una sola, perch la stessa sua essenza; ma perch ha per termine molte nature, vi sono in Dio molte ragioni ideali. 2. La legge eterna in se stessa nota soltanto a Dio e ai beati; ma per la sua irradiazione nella cognizione della verit nota a tutti. 3. Essendo la legge eterna esemplare di ogni di direttiva di atti, ogni disposizione umana, ne partecipazione; quindi la sapienza di Dio dice di s: per me i legislatori decretano il giusto; 4. alla legge eterna sono soggette tutte le cose create, siano esse necessarie, siano contingenti; le cose invece di Dio non sono soggette alla legge eterna, ma sono la stessa legge eterna. 5. alla legge eterna sono soggette tutte le cose naturali e contingenti, anche le irrazionali, perch Dio la imprime in loro come principio dei loro atti; 6. alla legge eterna sono soggette le cose umane in modo particolare, perch luomo la ha impressa e nelle sue naturali inclinazioni e nella sua ragione.

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Quest. 94. La legge naturale. 1. La legge naturale un abito, non in quanto principio di operazione, ma in quanto si possiede e si conosce non sempre in atto, ma sempre in abito. 2. La legge di natura indirizza luomo a ci che gli conviene come natura materiale, animale, razionale, a ci quindi che cos bene. Ora, come il primo principio intellettuale: ci che non pu non essere si fonda sulla nozione di ente, cos il primo principio morale si fonda sulla nozione di bene ed : fare il bene, evitare il male: a esso si riducono tutti gli altri precetti. 3. Agli atti di virt luomo inclinato dalla natura perci gli atti di virt derivano dalla legge di natura. 4. La legge naturale coi suoi principii generali eguale per tutti; variano piuttosto le pi o meno prossime deduzioni presso i singoli. 5. Alla legge naturale nulla si pu togliere; si pu per aggiungere qualche cosa utile come applicazione, qualche applicazione, non pi pratica, sostituirla: cos solo essa mutabile. 6. La legge naturale pu essere abolita non nei princip, ma nelle applicazioni, dai cuori umani offuscati dalle passioni.

Quest. 95. La legge umana. 1. Luomo ha lattitudine alla virt, ma la perfezione della virt non pu venirgli che da una disciplina, alla quale per esso non da s, dordinario, sufficiente; tale disciplina, chi costringe alla virt col timore della pena, la disciplina delle leggi, perci le leggi umane sono non solo utili, ma anche necessarie. 2. La legge umana che sia in disaccordo colla legge naturale in disaccordo anche colla retta ragione; non legge, ma corruzione della legge: la legge umana perci deve derivare dalla legge naturale.

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3. Come ogni cosa retta e misurata se ha forma proporzionata alla sua regola e misura, cos anche la legge positiva retta e misurata sulla legge superiore se onesta, giusta, possibile, conveniente, necessaria e utile, come dice S. Isidoro. 4. Quelle leggi che derivano dalla legge naturale come conclusioni di principii costituiscono il diritto delle genti; quelle invece che derivano come determinazioni particolari formano il diritto civile; ci sono inoltre le leggi degli uffici particolari, dei singoli Stati e degli speciali titoli, secondo la distinzione di S. Isidoro.

Quest. 96. Potere della legge umana. 1. La legge umana ordinata al bene comune, deve perci avere carattere di generalit e di stabilit. 2. La legge umana deve essere possibile; perci deve avere riguardo alla generalit degli uomini e prescrivere ci che tutti possono fare e proibire soltanto i vizi pi gravi; se troppo minuziosa: munge, troppo e cava il sangue, direbbe Salomone. 3. La legge umana pu prescrivere non gli atti di tutte le virt, ma quegli atti di virt che fanno al bene comune, allora utile. 4. Le leggi giuste, quando cio il fine il bene comune, lautore non esorbita nelle sue attribuzioni e gli oneri per il bene comune sono perequati, obbligano anche in coscienza in base alla legge eterna, 5. tutti sono soggetti a una legge superiore, ma non tutti sono soggetti alla stessa legge e soltanto i cattivi ne sentono il peso. 6. Non la cosa che serva al discorso, ma il discorso che serve alla cosa; lespressione deve interpretarsi secondo la causa che mosse il legislatore a formularla, quando la legge pi dannosa che utile stando alle parole; ci sarebbe fare epicheia e per s di competenza del supe-

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riore, purch non sia il pericolo improvviso e il ricorso al superiore impossibile.

Quest. 97. Mutazione delle leggi. 1. La legge umana ordinamento della ragione, ma la ragione pu talora esigere che allimperfetto si sostituisca qualche cosa di pi perfetto e che a mutate condizioni si sostituisca qualche cosa di pi adattato alla comunit; perci si pu mutare: 2. ma poich le mutazioni della legge sono sempre a scapito della forza della legge, non si deve la legge mutare senza la vera necessit o almeno senza evidente, grandissima utilit della comunit. 3. Una legge si pu stabilire non solo con parole, ma anche con fatti; cio con atti conformi ripetuti, ossia colla consuetudine, perch il legislatore pu manifestare la sua volont non solo con parole, ma anche con atti. 4. Il superiore, quando avviene che la legge comune in qualche caso particolare impedisce un bene maggiore o produce un danno, pu dispensare nella legge umana, il che commisurazione della legge comune ai singoli.

Quest. 98. Legge di Mos. 1. La legge di Mos bench fosse imperfetta, era buona, perch era conforme alla retta ragione; 2. e, bench fosse imperfetta, proveniva da Dio, e non dal principio del male, perch era ordinata al suo figlio Ges Cristo, Signor nostro; 3. fu per data per ministero degli Angeli, perch a Dio doveva essere riservato di dare immediatamente la legge perfetta. 4. Doveva essere data al popolo ebreo solamente, perch conveniva che quel popolo, da cui doveva nascere Cristo, si distinguesse per santit;

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5. perci alla legge di Mos non erano obbligati tutti gli uomini, eccetto in ci che essa ha della legge naturale; 6. convenne poi che la legge scritta fosse data soltanto al tempo di Mos, affinch luomo si convincesse della sua ignoranza e della sua impotenza.

Quest. 99. Precetti della legge di Mos. 1. La legge di Mos aveva precetti molteplici e unit di scopo: lamore di Dio e del prossimo. 2. La legge di Mos conteneva anche precetti morali per la santificazione del popolo, che si riannodavano ai dieci comandamenti; 3. conteneva anche precetti cerimoniali, che indirizzano luomo a Dio col debito culto; 4. conteneva inoltre precetti giudiziali, riguardanti: lamministrazione della giustizia, per mettere gli uomini in buona relazione fra loro e con Dio. 5. La legge stessa distingue solo i precetti, le cerimonie e i giudizi; perci le altre disposizioni sono per ladempimento della legge: 6. conteneva poi minacce e promesse di bene temporale per indurre quegli uomini imperfetti a osservarla.

Quest. 100. I precetti morali della legge di Mos. 1. I precetti morali della legge di Mos avevano per principio la legge naturale, perch il bene morale bene di ragione. 2. Essi riguardavano tutti gli atti di virt, perch proibivano tutti i peccati, 3. ed erano contenuti nel Decalogo o come conclusioni di principii o come principii di conclusioni. 4. I precetti del Decalogo sono convenientemente distinti da S. Agostino in 3 precetti che riguardano Dio e 7 che riguardano il prossimo.

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5. I dieci comandamenti mettono luomo nella dovuta relazione con Dio e col prossimo; proibendo ogni offesa di opera, di parola, di sentimento sia a Dio che ai prossimi e congiunti e non congiunti: il loro numero quindi giusto: 6. e sono anche disposti nel debito ordine, perch cominciano da ci che pi grave prescrivendo fedelt, riverenza e culto a Dio e proscrivendo ogni danno alla persona, alla roba e allonore del prossimo. 7. La legge di Mos essendo data a un popolo bambino aveva una sanzione temporale di prosperit e di avversit. 8. Nei dieci comandamenti, poich rappresentano la precisa intenzione del legislatore, non si pu dispensare; dispensare si pu solo circa la pratica determinazione di essi. 9. Compiere il precetto in modo virtuoso, ossia con scienza con proposito e con costanza, pu la legge esigerlo quando pu punirne la mancanza; la scienza la esigono la legge divina e anche la legge umana; il proposito pu esigerlo solo la legge di Dio che vede il cuore; la costanza non la esige n legge umana n la legge divina, perch nessuna pena comminata a chi p. es. onora i genitori anche se non lo fa per virt. 10. neanche il modo della carit, cio il compiere il precetto per spirito di carit, nonostante il precetto positivo della carit, imposto dalla legge divina, altrimenti chi non ha la carit peccherebbe pur facendo opere buone. 11. Alla legge appartenevano anche altri precetti morali oltre il decalogo, ordinati alla purezza dellanima; anchessi per erano riducibili al decalogo o come conclusioni o come determinazioni di esso. 12. I precetti morali della Legge Antica non santificavano, ma indicavano la santificazione e a essa disponevano.

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Quest. 101. Precetti cerimoniali. 1. I precetti cerimoniali sono determinazioni dei precetti morali che riguardano Dio; sono perci quelli che spettano al culto di Dio. 2. I precetti cerimoniali della Legge Antica erano figurativi di Cristo che ci guida al Cielo; ossia erano ombre dellimmagine che qui abbiamo della vita futura. 3. I precetti cerimoniali dovevano essere molti, perch avevano il compito di reprimere il male nei cattivi e di promuovere, il bene nei buoni. 4. Le cerimonie del culto antico riguardavano distintamente i sacrifici del culto; le cose sacre o strumenti del culto; i sacramenti o mezzi di santificazione; e le osservanze o segni distintivi del popolo eletto.

Quest. 102. Cause dei precetti cerimoniali. 1. I precetti cerimoniali furono fissati dalla sapienza di Dio, per ci convien dire che avevano finalit ed erano ragionevoli. 2. Causa finale di tali precetti cerimoniali era che fossero figurativi del Messia venturo, perci contenevano un senso mistico, oltre il senso letterale. 3. Le cerimonie dei Sacrifici nel senso letterale avevano la finalit di indirizzare le menti a Dio e di rimuovere gli animi dallidolatria; e nel senso figurativo, avevano la finalit di adombrare la volontaria passione e immolazione del Cristo. 4. Le cerimonie che riguardavano le cose sacre avevano lo scopo di indurre negli animi il concetto della maest di Dio perch sia venerato, e di rappresentare qualche somiglianza del Cristo; perci le cose sacre dovevano tutte essere speciali. 5. Le cerimonie dei sacramenti, istituiti per la santificazione del popolo e specialmente dei ministri, miravano a stabilire lo stato del culto, luso di ci che appartiene al culto e la rimozione di ci che ne impedimento e que-

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sto ottenevano sia nel loro senso letterate, sia nel senso figurativo del Cristo. 6. Le cerimonie delle osservanze riguardavano tutto il popolo eletto, ma in modo particolare i sacerdoti, allo scopo che anche nella convivenza sociale si mostrassero adoratori del vero Dio e prefigurassero la vita cristiana.

Quest. 103. Durata dei precetti cerimoniali. 1. Anche prima della legge di Mos cerano cerimonie, quelle per non erano di istituzione divina promulgata da Mos. 2. Le cerimonie dellAntica Legge purificavano per loro virt dalle immondezze corporali, ma dal peccato purificavano per virt di Cristo, come implicite protestazioni di fede in Lui. 3. Esse cessarono di aver valore alla morte di Cristo, con cui la Vecchia Legge cess, 4. tuttavia furono per alcun tempo conservate, come dopo morte per alcun tempo piamente si conserva un cadavere: ma in s non si possono conservare senza peccato, perch rappresentando esse il Cristo venturo, darebbero una protestazione di fede non in Cristo gi venuto e morto per noi, ma in Cristo ancora da venire.

Quest. 104. Legislazione sociale mosaica. 1. I precetti giudiziali sono determinazioni dei precetti morali che riguardano il prossimo, e la loro natura che hanno forza di obbligare non solo per la ragione, ma anche per divina istituzione. 2. I precetti della legge sociale erano direttamente ordinati a stabilire la giustizia; indirettamente per erano figurativi, perch tutto lo stato del popolo Ebreo era preparazione di Cristo,

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3. e perch erano figurativi di Cristo, cessarono di aver vigore alla venuta di Cristo in ci che avevano di figurativo del Cristo; 4. essi si distinguevano secondo lordine cui si riferivano e che riguardava i principi, i cittadini, gli stranieri e i famigliari.

Quest. 105. Ragionevolezza di tale legislazione. 1. La legislazione sociale mosaica importava un ottimo ordinamento governativo, perch esso era monarchico aristocratico democratico: infatti il principe suscitato da Dio era assistito da 72 seniori e questi venivano eletti dal popolo fra il popolo. 2. Essa importava un ottimo ordinamento sociale assicurando una saggia amministrazione della giustizia e un ben regolato regime della propriet terriera. Infatti essa stabiliva: a) una primitiva divisione dei terreni per testa; b) la ricostituzione di quella primitiva divisione ogni cinquantanni col giubileo; c) il correttivo alle possibili deviazioni e concentrazioni di patrimonio per diritto ereditario proibendo alle donne ereditiere di contrarre matrimonio fuori trib. Era provvisto anche per i poveri, perch a loro era concesso di saziarsi sul campo altrui e di spigolarvi e per di pi era riservato a loro il prodotto di ogni settimo anno. Era provvisto per gli operai, perch si doveva loro pagare giornalmente la mercede. 3. Essa regolava le relazioni internazionali stabilendo debiti riguardi coi pellegrini, coi viaggiatori e coi residenti stranieri in tempo di pace e fissava il regime di guerra per cui la guerra doveva essere preceduta dallultimatum e dallofferta di pace; iniziata, doveva essere condotta fortemente colla fiducia in Dio; il timido e chi aveva forti interessi sarebbe stato un impedimento e si doveva

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lasciare a casa; della vittoria si doveva fare un uso moderato. 4. Essa infine importava un ottimo ordinamento della societ domestica sia coniugale che paterna, o padronale, mirando al rispetto della vita tanto come conservazione dellindividuo, quanto come conservazione della specie.

Quest. 106. La legge evangelica. 1. Per legge nuova sintende anzitutto la stessa grazia della Spirito Santo scritta nei cuori; si intende anche, ma in secondo luogo, la legge scritta, che alla grazia dispone: 2. nel primo senso rende giusti, nel secondo no, quindi: lo spirito vivifica, non lo scritto. 3. La legge nuova non conveniva che fosse data fin dal principio del mondo, perch, essendo legge perfetta, doveva essere preceduta dalla imperfetta e sopra tutto occorreva che luomo riconoscesse il suo bisogno della grazia. 4. La legge nuova e gi perfetta, quindi non attende altra perfezione e durer tale fino alla fine del mondo. * Essa opera di Cristo e anche del Padre e dello Spirito Santo; perci non da aspettarsi il tempo dello Spirito Santo.

Quest. 107. Confronto fra la legge nuova e la legge vecchia. 1. La legge nuova, che legge damore e di perfezione, diversa dalla legge vecchia, che legge di timore e di preparazione, bench eguale delluna e dellaltra sia il fine. 2. La legge nuova compie la vecchia, perch compie quanto la legge vecchia prometteva e ne attua le figure, dando la Redenzione ed il Cristo, che complet la legge dandone la intelligenza, precisandone i precetti ed aggiungendo i consigli.

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3. La legge nuova era contenuta nella legge vecchia, perch vi era in potenza, come lalbero nel seme, essendo luna la perfezione dellaltra. 4. La legge vecchia era pi pesante per il numero dei precetti. Ma la legge nuova pi difficile perch riguarda anche linterno.

Quest. 108. Precetti della legge nuova. 1. Non dovevano mancare nella legge nuova gli atti esterni di sacramenti da riceversi, di virt da praticarsi, per cooperare alla Grazia di Ges Cristo che opera nel nostro interno. 2. Le disposizioni della legge nuova circa gli atti esterni di uso dei sacramenti e di esercizio di virt sono sufficienti perch a essa non spettava che determinare, comandando o proibendo, i sacramenti e i precetti morali relativi a quelle che sono naturalmente virt. 3. poi perfetta nella legge nuova linformazione cristiana della vita interiore; giacch nel discorso della montagna Ges Cristo, dopo promulgate le beatitudini e costituita la dignit apostolica, stabilisce luomo quanto al suo interno in perfetto ordine colle cose, col prossimo, con Dio. 4. La legge di Ges Cristo liber gli uomini dalla farragine di precetti cerimoniali e giudiziali della Legge di Mos, perci detta legge di libert, conveniva quindi che la professione di perfetta virt: castit, povert, obbedienza, fosse proposta e inculcata a modo di consiglio.

Quest. 109. Della grazia. 1. Certamente se Dio non ci avesse data e non ci conservasse la ragione e non le movesse allatto, nulla potremmo conoscere; questo lume naturale basta da se per conoscere verit di ordine naturale che sono intelligibili per mezzo di cose sensibili. Per cose, invece, pi alte lintelletto nulla pu senza un

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lume particolare, per esempio, il lume di fede in questa vita, il lume di gloria nellaltra. 2. Prima del peccato luomo aveva forza sufficiente per il bene proporzionato alla sua natura; non per per il bene di ordine soprannaturale: dopo il peccato come un ammalato, e non ha forze sufficienti n per il bene soprannaturale n per tutto il bene naturale e abbisogna di un doppio aiuto divino: uno sanante, laltro operante, oltre al movente, necessario sempre. 3. Amare Dio sopra tutte le cose avrebbe luomo potuto nello stato di natura integra, non ancora cio corrotta e nemmeno elevata allordine soprannaturale perch ci era naturale a lui come anche a tutte le cose, che tendono allultimo fine; abbisognava soltanto della grazia movente; ma per far ci nello stato di natura corrotta luomo anzitutto ha bisogno della grazia sanante. 4. Osservare tutti i comandamenti senza la grazia poteva luomo prima del peccato, non pu farlo dopo il peccato senza la grazia sanante; fare peraltro ci per amore di Dio senza la grazia non lo poteva neppure prima, 5. e neppure la vita eterna egli poteva meritare senza la grazia; perch essa supera le forze naturali. 6. Stato necessario per disporsi a fare buone opere e meritare con queste Iddio la grazia santificante: ma per disporsi ad acquistarla necessaria una grazia di Dio che ispiri il buon proposito, perch ci che primo muove la volont il fine, qui il fine supera le forze naturali; occorre perci una mozione speciale: 7. altrettanto la grazia necessaria per risorgere da un peccato commesso, e ci tanto pi che Iddio deve ridare la grazia santificante, raddrizzare la volont e rimettere la pena eterna, per riparare i danni del peccato. 8. In istato di natura integra luomo poteva evitare i peccati mortali e veniali per la generale provvidenza di Dio conservatore; in istato di natura riparata, pu evitare i peccati mortali e anche ogni singolo peccato veniale, non

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per tutti i veniali; in istato invece di peccato la fragilit non solo pei veniali, ma anche per mortali cos grande, che non si pu durare molto tempo senza commetterne, perch il loro peso trascina. 9. Astenersi dai peccati parte negativa, quanto alla parte positiva fare cio opere buone e prevenire il male date la concupiscenza e lignoranza che restano, cosa per la quale anche i giusti hanno bisogno della grazia attuale: 10. e una grazia attuale di ordine speciale necessaria al giusto per essere stabile nella grazia contro il complesso di tutte le tentazioni ed la perseveranza finale.

Quest. 110. In che consiste la grazia. 1. Quando Dio, non per lamore per cui ama tutte le cose, ma per un amore speciale eleva una creatura razionale sopra la sua condizione a partecipare del bene di Dio, d a lei la grazia santificante e questa conferisce alluomo uno stato nuovo. 2. In proporzione di tale elevazione Dio conferisce anche una abituale inclinazione a conseguire il bene soprannaturale, e questa inclinazione o grazia abituale una qualit. 3. Questa qualit lume di grazia distinta dalle virt infuse che sono da quel lume derivate e a questo lume indirizzate. 4. Appunto perch c prima delle virt, se le virt appartengono alle potenze, essa appartiene allessenza dellanima, che delle potenze principio.

Quest. 111. Divisione della grazia. La grazia si distingue in grazia che fa luomo gradito a Dio ed la grazia santificante, e grazia gratuitamente concessa, e sono i doni che superano la facolt e i meriti della nostra persona

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e ci fa cooperatori della salute altrui: p. es. il dono dei miracoli. 2. La volont umana non pu muoversi al bene se non riceve il moto da Dio: ecco la grazia operante; gi mossa al bene non pu, comandando alle facolt, compierlo se Dio non sorregge e la volont e le facolt: ecco la grazia cooperante. 3. La grazia, per ragione degli effetti, sta con questo ordine: 1. sana; 2. opera; 3. coopera; 4. d perseveranza; 5. glorifica. Ciascuna sussegue a quella che prima, previene quella che dopo: cos si distingue in preveniente e susseguente. 4. Le grazie gratuitamente concesse ci fanno cooperatori di Dio nella salute del prossimo; per questo compito necessario conoscere intimamente le cose divine, poterle provare, saper bene proporle: le grazie gratuite sono perci convenientemente ed ordinatamente noverate da S. Paolo cos: spirito di sapienza, di scienza e di fede; grazia di guarigioni, di portenti, di profezia e di scrutazione delle coscienze; dono dei linguaggi e dono dei discorsi. 5. La grazia santificante per, che direttamente ci indirizza allultimo fine, supera la grazia gratuita, perch questa ci indirizza solo a ci che preparatorio dellultimo fine.

Quest. 112. Autore della grazia. 1. La grazia una qualche partecipazione della natura divina; pu venire quindi soltanto da chi ha natura divina, da Dio. 2. La grazia abituale che qualit, forma, la quale non pu sopravvenire che a materia disposta a riceverla, esige da parte delluomo la disposizione; ma per la grazia attuale movente non ci pu essere da parte delluomo disposizione che prevenga lazione di Dio; invece tutto proviene da Dio.

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3. Quando Iddio inizia una azione di grazia, certo che anche la continua, purch il libero arbitrio delluomo non la contrasti, quindi a chi fa ci che sta in lui Dio non nega la sua grazia, per il libero arbitrio che la asseconda non pu darsi il merito di pretenderla, perch sempre azione che supera le esigenze e le facolt naturali delluomo. 4. Grazia, chi ne ha pi e chi ne ha meno e questa variet di grazie fu disposta da Dio per bellezza della Chiesa. 5. Se Dio non lo rivela, nessuno pu sapere con certezza di avere la grazia, perch essa dipende totalmente ed esclusivamente da Dio; se ne possono per avere indizi.

Quest. 113. Effetti della grazia. 1. La giustificazione dellempio importa moto da contrario a contrario e cio remissione del peccato e acquisto della giustizia; prende poi nome da questa, perch pi importante. 2. Il peccato reca a Dio offesa; loffesa non viene rimessa se Dio non ci rid la sua pace, che consiste nel suo amore: effetto di questo amore la grazia che ci rende degni della vita eterna, perci non sintende la remissione della colpa se non collinfusione della grazia. 3. Dio d la giustificazione movendo luomo ad acquistarla; e siccome egli muove tutte le cose secondo la loro natura, e luomo ha per natura il libero arbitrio, il moto delluomo sempre di libero arbitrio. 4. Per acquistare la giustificazione lempio si rivolge colla mente a Dio; questo primo rivolgersi colla mente a Dio si fa colla fede, quindi per la giustificazione occorre la fede. 5. Lempio che di libero arbitrio si rivolge a Dio per la giustificazione, deve altrettanto di libero arbitrio staccarsi dal peccato colla detestazione e il proposito, perch Dio e peccato sono termini antitetici.

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6. Questo moto di distacco dal peccato, di odio al peccato, viene completato dalla remissione della colpa da parte di Dio, anchessa quindi fa parte della giustificazione dellempio. 7. La giustificazione nelle sue varie parti avviene in un solo istante, perch opera della potenza infinita di Dio; 8. tuttavia per ordine naturale la prima cosa la infusione della grazia, perch questa che caccia la colpa e la pena. 9. Considerato il modo di operare, la Creazione, che dal nulla, pi grande della giustificazione di un peccatore; ma questa, per il suo termine che il bene soprannaturale, maggiore della Creazione, che ha per termine cose di ordine naturale. 10. Dio solo pu operare la giustificazione di un peccatore, essa quindi pu per questo dirsi un fatto miracoloso; non per tale dal lato della capacit naturale, perch lanima non come un cadavere che non ha capacit naturale di vita; essa ha una naturale capacit della grazia; infine un fatto solito e non gi straordinario.

Quest. 114. Del merito. 1. Merito, in senso di mercede dovuta per giustizia, ci pu essere per coloro fra i quali c eguaglianza; fra Dio e luomo non c eguaglianza, perci merito presso Dio c solo se Dio ha disposto che luomo consegua come mercede quello a che egli stesso lo aiuta. 2. Senza aiuto di grazia luomo non avrebbe potuto meritare la vita eterna neppure prima del peccato; perch la vita eterna supera le forze naturali e per essa ci vuole quindi un moto, un impulso superiore; tanto meno quindi dopo il peccato e col peccato. 3. Luomo per la sostanza delle opere buone e per il libero arbitrio non pu aver merito di giustizia, ma solo di convenienza per la vita eterna; per per effetto della

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grazia santificante, che lo eleva alleguaglianza con Dio, pu aver merito di giustizia. lo Spirito Santo che opera in lui. 4. Principio di merito pi che le altre virt la carit, che indirizza a Dio e rende volonterosi. 5. Nessuno pu meritare la prima grazia, quella che muove luomo alla giustificazione, perch chi ne abbisogna in stato di peccato e non pu meritare; se fosse giusto e potesse meritarla, pi non avrebbe bisogno della prima grazia. 6. Ges Cristo come capo della Chiesa pu meritare di giustizia la prima grazia per gli altri; i giusti invece possono meritarla solo di convenienza, e questo in proporzione della loro amicizia con Dio. 7. Nessuno pu assicurarsi la conversione dopo un peccato futuro, perch quel peccato lo priva del merito di giustizia e diventa un obice al merito di convenienza; 8. si pu invece meritare anche di giustizia laumento della grazia, che non se non progresso nella via in cui uno si trova per giungere al fine. 9. La perseveranza finale non effetto della grazia, ma piuttosto principio e causa della grazia, perci nessuno pu conseguirla come effetto del suo stato di grazia, Dio la d gratis a chi la d. 10. Termine del merito la vita eterna: se i beni temporali giovano alla vita eterna, sono oggetto di merito, se no, strettamente parlando, no. Sez. Seconda

Quest. 1. Le Fede. 1. Loggetto della nostra fede la prima verit, cio Dio; esso loggetto e insieme il motivo della nostra fede; va detto quindi che della Fede Egli loggetto e materiale e formale.

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2. Dio, oggetto materiale della nostra fede, un oggetto complesso da parte dei credenti, perch lintelletto nostro pu formularne gli articoli soltanto procedendo con affermazioni o negazioni, ma non un oggetto complesso da parte di Dio, perch Dio semplice. 3. Dio loggetto formale della fede, cio il motivo per cui crediamo; la fede perci non poggia sul falso, perch Dio, che illumina la nostra fede, non pu farci vedere il falso. 4. Fede si ha delle cose che non appariscono, perci oggetto della fede non ci che lintelletto da s intende, ma ci cui esso si piega per comando della volont; 5. perci una stessa verit non pu essere oggetto e dellintendimento e della fede nello stesso tempo e per il medesimo soggetto, pu invece esserlo per soggetti diversi: quello tuttavia che vien proposto da credere comunemente non inteso dagli intelletti. 6. Vengono distinte in articoli le verit da credere, perch, come nel nostro organismo distinguiamo gli arti, cos, conviene al nostro intelletto che anche nelloggetto della Fede, il quale per lui complesso, distinguiamo tanti piccoli arti, o articoli. 7. Lungo il corso dei secoli gli articoli di Fede crebbero ma non quanto alla sostanza, bens quanto al loro svolgimento e quanto alla professione esplicita dei Fedeli. 8. La Chiesa poi ha distintamente formulato gli articoli della Fede nella Divinit e della Fede nellumanit di G. C., 9. ed ha operato opportunamente riunendoli nel Simbolo. 10. Sul Simbolo per, trattandosi di cosa che riguarda tutta la Chiesa, ha competenza chi il Capo di tutta la Chiesa, cio il Papa.

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Quest. 2. LAtto di Fede. 1. Credere pensare con assenso e precisamente con assenso fermo, altrimenti sarebbe o dubitare, o sospettare, o opinare. 2. Le espressioni: credo Deum, credo Deo, credo in Deum, indicano una loggetto materiale, laltra loggetto formale, la terza loggetto finale della Fede. 3. Se fede si ha di ci cui la mente da s non arriva e se poi senza fede non si pu piacere a Dio, necessario credere in qualche cosa, che supera la ragione umana. La Fede infatti ci ammaestra in ci che guida alla visione beatifica, la quale di natura superiore alla natura umana. 4. Anzi, parlando in generale, si deve dire che la Fede necessaria anche in ci, a cui la Ragione potrebbe da s arrivare, come lesistenza di Dio; perch solo cos tutti, subito e senza errori arrivano alla cognizione della verit divina. 5. Le prime cose da credersi, cio gli articoli di Fede, si devono credere esplicitamente, invece le cose che hanno relazione secondaria colla Fede basta crederle implicitamente. 6. I superiori poi, che devono istruire gli inferiori, devono credere esplicitamente pi cose che non gli inferiori. 7. Dalla venuta di G. C. in poi la fede esplicita dellIncarnazione necessaria a tutti per salvarsi, 8. ed egualmente necessaria la Fede, esplicita della Trinit, perch collIncarnazione fu resa a tutti manifesta. 9. Credere meritorio, perch un atto libero, che asseconda la mozione della grazia; 10. la ragione poi accresce il merito se si volge a illustrare la verit della Fede, ma la diminuisce se essa che induce lintelletto a credere.

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Quest. 3. Professione della fede. 1. La professione esterna della Fede atto di Fede, essendo termine della Fede, cos come la parola termine del pensiero. 2. La professione della Fede necessaria per salvarsi, essa per , come ogni altro precetto positivo, che obbliga, ma non per ogni momento, sibbene per quelle date circostanze.

Quest. 4. Virt della Fede. 1. Le parole dellApostolo: Fede sostanza di cose sperate e argomento delle non parventi , bench non siano una definizione formale della Fede, ricavata cio dal genere prossimo e dalla differenza specifica, tuttavia ne sono una definizione descrittiva, desunta dal suo oggetto, la visione cio beatifica iniziantesi colla fede, e dal suo effetto, lassenso cio dellintelletto alle cose non apparenti. 2. La Fede sta, come in suo soggetto, nellintelletto, perch il credere atto dellintelletto, avendo il credere per oggetto la verit ed avendo la verit rapporto collintelletto; e la Fede principio del credere. 3. La Carit poi la forma della Fede, giacch la forma ci che rende perfetto ed la carit che rende perfetta la Fede, la quale opera per amore: 4. e poich la carit, che la forma della Fede, appartiene alla volont anzich allintelletto cos pu darsi che la Fede si trovi in un intelletto unito a una volont priva della Carit e della grazia e sia cos una Fede imperfetta, informe, e che riesca poi una Fede formata e perfetta, quando cio la volont conseguisca la carit, cio la grazia; e pu darsi pure che una Fede prima formata, poi sia informe. 5. Vera virt soltanto la Fede formata, perch essa soltanto principio di atti perfetti.

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6. La Fede, da parte degli uomini che la posseggono, molteplice, ma da parte di Dio, che ne loggetto, unica ed eguale per tutti. 7. La Fede per s la prima virt, perch il principio della vita spirituale e non si pu amare Dio, ultimo Fine, n sperare in Lui, se non lo si conosce per Fede; accidentalmente per, siccome senza umilt non c Fede, cos si pu dire che la prima virt lumilt. 8. La Fede ha maggiore certezza della scienza, della sapienza e dellintelletto, sia da parte della sua causa, che il Verbo di Dio; sia da parte dellassenso, perch lassenso della Fede fermo. 5. Chi ha Fede? 1. Gli Angeli e gli uomini furono creati in grazia e perci ebbero la Fede, che inizio e preparazione alla visione beatifica. 2. Fede, che assenso dellintelletto sotto limpero della volont, ne hanno anche i demoni, costrettivi dallevidenza dei segni, ma la loro una fede forzata che a loro dispiace. 3. Chi nega fede anche a un solo articolo della Fede, degli altri articoli non ha nemmeno la Fede informe, perch con ci rigetta lo stesso oggetto formale della Fede, cio lautorit della Chiesa, che procede da Dio; e perci degli altri articoli leretico pu avere soltanto unopinione secondo la propria volont. 4. Uno pu avere pi Fede degli altri sia quanto al numero degli articoli, sia quanto alla fermezza dellintelletto e alla prontezza della volont.

Quest. 6. Chi causa la Fede? 1. Dio che infonde la Fede: Egli causa in noi la Fede quanto alloggetto materiale, perch Dio che rivela le verit da credersi; ed Egli causa in noi la Fede anche quanto allassenso della mente, perch esso proviene dalla volont, mossa

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per dalla grazia, e non gi dal solo libero arbitrio come pretesero i Pelagiani. 2. La stessa Fede informe dono di Dio, perch anche essa Fede e, se informe, lo per un difetto; non intrinseco, ma estrinseco, per la mancanza cio di Carit della volont.

Quest. 7. Effetti della Fede. 1. Effetto della Fede il timore; ed in particolare il timore servile effetto della Fede informe che fa temere la punizione di Dio, Giudice; il timore figliale effetto della Fede formata che fa temere la separazione da Dio, Sommo Bene. 2. Effetto della Fede anche la purificazione del cuore, perch, se impurit mescolanza con cose pi basse, purificazione sar il contrario, e di questa il primo principio la Fede, la quale ci innalza fino allunione con Dio.

Quest. 8. II dono dellIntelletto. 1. LIntelletto un dono dello Spirito Santo, perch esso quel lume della mente per cui si penetra nella considerazione delle cose soprannaturali, alle quali la forza naturale della mente non arriva. 2. Il dono dellIntelletto non incompatibile colla Fede, perch esso si esercita intorno ai misteri, come la Trinit, non per capirli, ma per ammirarne la consistenza degli argomenti di fronte alla inanit delle obiezioni; ovvero si esercita intorno a cose che non sono di fede, ma hanno ordine alla Fede, come sarebbe una conoscenza profonda della Scrittura. 3. Il dono dellIntelletto non solo speculativo, ma anche pratico perch esso si esercita anche in tutto ci che ha ordine colla Fede e ordine colla Fede lo hanno anche le buone opere.

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4. Il dono dellIntelletto lo posseggono tutti quelli che hanno la grazia, perch nessuno pu essere indirizzato perfettamente al bene soprannaturale senza la considerazione di questo bene e in tale considerazione sta appunto il dono dellintelletto. 5. Il dono dellIntelletto perci non si pu trovare, se non impropriamente, in chi non ha la grazia santificante, perch non pu dirsi che uno segue pienamente le mozioni, che lo Spirito Santo gli fa sentire, se ha il cuore distolto dallultimo fine. 6. Il dono dellIntelletto si distingue dagli altri doni e perch appartiene alla potenza conoscitiva, anzich allappetitiva, e perch detta potenza conoscitiva una funzione speciale, la penetrazione cio della verit della Fede. 7. Per la visione di Dio occorre e lintelletto e la mondezza del cuore: allIntelletto quindi corrisponde la 6. beatitudine. 8. E al dono dellIntelletto corrisponde anche la Fede nei suoi frutti, che sono la certezza in questa vita e il gaudio nellaltra.

Quest. 9. Il dono della Scienza. 1. La Scienza un dono dello Spirito Santo, perch, come nelle cose materiali per lassenso della mente occorre, oltre allintelletto per capire ci che proposto, anche la scienza per giudicare se si deve o no prestare lassenso, cos anche nelle cose soprannaturali occorre, oltre lintelletto, anche la scienza per discernere le cose che sono da credersi da quelle che tali non sono. 2. La Scienza vale a formulare un giudizio certo; giudizio certo quello che si fa in base alle cause, perch come la causa prima causa delle cause seconde, cos rettamente si giudica delle cause seconde in base alla causa prima. Della causa prima, cio Dio, non si pu

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giudicare che per se stessa, e questa sapienza, ossia cognizione delle cause altissime: delle cause seconde, cio delle cose del mondo, si giudica invece rettamente in base alla causa prima, cio Dio; e questa scienza, distinta dalla sapienza. 3. La Scienza principalmente speculativa, perch fa che sappiamo cosa si deve tenere per Fede, ma anche pratica, perch la Fede ci indirizza nelle opere allultimo fine. 4. Al dono della Scienza corrisponde la 3. beatitudine: Beati coloro che piangono, perch ci fa conoscere di quanto inciampo ci sono le cose del mondo nel cammino spirituale.

Quest. 10. Gli infedeli. 1. Un infedele in peccato se infedele, perch rigetta la Fede che gli viene predicata; ma non in peccato se infedele, perch della Fede non ha mai sentito parlare. La sua piuttosto una disgrazia, effetto del peccato di Adamo. 2. Come il credere atto dellintelletto, cos la mancanza di fede appartiene allintelletto, come a suo soggetto; ma appartiene anche alla volont, come a causa motiva. 3. Negare la fede il peccato che pi ci allontana da Dio; per fra i tre peccati: infedelt, disperazione e odio di Dio, i quali sono i pi gravi di tutti, perch sono opposti alle virt teologali, il pi pernicioso per noi la disperazione della salute. 4. Non si pu dire che ogni opera degli infedeli, anche le elemosine, siano peccati, perch vero bens che linfedelt peccato, il peccato per corruttivo del bene soprannaturale, ma non corruttivo anche di tutto il bene naturale. Tuttavia tali opere, bench naturalmente buone, non essendo fatte in grazia non sono meritevoli di vita eterna.

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5. Linfedelt rispetto alla Fede di 3 specie: quella dei pagani, che resistono alla Fede, che non hanno mai ricevuta; quella degli ebrei che resistono alla Fede ricevuta e professata, ma solo in figura; quella degli eretici, che resistono alla Fede ricevuta e professata, ma solo in parte. 6. Quanto alla pervicacia nel resistere alla Fede, gli eretici sono pi rei degli ebrei e questi pi dei pagani e bench, quanto alla verit della Fede, errino i pagani pi degli ebrei e questi pi degli eretici, assolutamente parlando linfedelt peggiore quella degli eretici. 7. Le dispute pubbliche con gli infedeli, pu farle chi fermo nella Fede e le fa a titolo di esercizio o di apostolato; pecca invece chi, non essendo fermo nella Fede, la fa per vedere se la Fede vera: parimenti si possono fare davanti a fedeli che sono dotti e fermi nella Fede; ma non si devono fare davanti a fedeli che sono persone semplici e la cui Fede viene messa a repentaglio, perch gli infedeli e i cattivi approfittano della disputa e del contradittorio per insidiarla. 8. Chi nega la Fede, se fu battezzato, pu essere costretto a mantenere le promesse battesimali; invece contro chi non battezzato non si pu agire se non a titolo di difesa. 9. Trattare cogli infedeli si pu se non c pericolo di perversione, purch non si tratti di scomunicati, che si devono per precetto evitare. 10. Mettere i fedeli sotto la giurisdizione di infedeli non si pu; per non si pu nemmeno privare un infedele di una giurisdizione che ha gi, per il fatto che infedele. 11. Il regime umano deve imitare il governo di Dio che lascia al mondo anche i cattivi, perci il culto degli infedeli si pu tollerare a titolo di evitare mali maggiori, o di non impedire beni maggiori o per qualche bene particolare, come sarebbe la testimonianza che vien data alla Fede dal culto degli ebrei.

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12. I figli degli infedeli, quando i genitori ne siano contrari, non si possono battezzare prima delluso della ragione, e dopo luso di ragione si possono indurre, ma non costringere al battesimo.

Quest. 11. Leresia. 1. La falsit opposta alla verit; eretico colui che a suo capriccio propone o segue leresia opinioni non conformi alla Fede e quindi false; perci contraria alla Fede ed una specie di infedelt. 2. Leresia contraria alla Fede o direttamente, cio negli articoli stessi della Fede, o indirettamente, cio nei presupposti necessari degli articoli di Fede e nelle verit intimamente connesse colle verit della Fede; p. es. limmortalit dellanima un presupposto dellarticolo: Vita eterna. 3. Gli eretici per s non meritano tolleranza civile, perch falsare la Fede peggio che falsare i documenti e la moneta: ma la Chiesa per sua misericordia deve aspettarli e ammonirli una e due volte; non per oltre; se Ario non fosse stato tanto tollerato, non avrebbe fatto tanto male. 4. Gli eretici che si convertono si devono sempre ammettere alla penitenza, cos vuole la Carit che ha riguardo principale al bene spirituale del prossimo; ma ai beni temporali, che la Carit riguarda solo secondariamente, non si devono sempre e subito riammettere, cos volendo lordine disciplinare.

Quest. 12. Lapostasia. 1. Luomo si unisce a Dio collintelletto per la Fede, colla volont per losservanza della Legge e talvolta col dedicarsi a Dio mediante il voto. Lapostasia quindi, che allontanarsi da Dio, triplice, perch si receda da Dio o per ragione della Fede, e questa infedelt e si dice apostasia di perfidia, o per

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ragione dei Precetti, o per ragione del voto: in questi due casi c apostasia, ma non infedelt, perch la fede resta. 2. In un regno cristiano se il principe diviene, apostata non perde perci la giurisdizione sui sudditi, perch apostasia e giurisdizione non sono cose che si escludono a vicenda; la Chiesa per pu privarnelo e cos i sudditi sono sciolti dal giuramento di fedelt.

Quest. 13. La bestemmia. 1. La bestemmia, che in greco significa maledizione, una derogazione della bont o perfezione di Dio, che compie chi bestemmia, sia negando ci che a Dio spetta, sia attribuendogli ci che a Dio non conviene. La bestemmia pu essere interna od anche esterna, e questa contraria allesterna professione della Fede. 2. La bestemmia, derogazione di quella bont divina, che oggetto della carit, necessariamente peccato mortale in tutto il suo genere; non ammette perci parvit di materia. 3. La bestemmia ha in s la gravit della infedelt ed perci peccato massimo. 4. I dannati, odiano i peccati solamente perch ne sono puniti ma, quanto a Dio, ne detestano la giustizia, perci adesso bestemmiano in cuor loro e dopo la risurrezione anche colla bocca.

Quest. 14. La bestemmia contro lo Spirito Santo. 1. La bestemmia contro lo Spirito Santo non sta soltanto nel dire parole contumeliose contro lo Spirito Santo, ma anche nel peccare con malizia certa, cio volendo appositamente il male e respingendo ci che distoglie dal peccato;

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2. e poich i mezzi che distolgono dal peccato sono sei, dalla ripulsa di quelli mezzi deriva che sono sei i peccati contro lo Spirito Santo. 3. Fra i peccati contro lo spirito Santo la impenitenza finale irremissibile, ed anche irrimediabile, a meno che intervenga un miracolo della misericordia divina. 4. Il primo peccato di un uomo pu essere di malizia certa, e quindi contro lo Spirito Santo, non per abito precedente, perch allora non sarebbe il primo, ma per speciale istigazione del diavolo.

Quest. 15. Vizi opposti al dono della Scienza e dellIntelletto. 1. La cecit della mente, se proviene, non da difetto naturale, ma da volontaria avversione alle considerazioni spirituali e da soverchia occupazione delle cose materiali, peccato. 2. Lebetismo o ottusit del senso spirituale diverso della cecit della mente, perch proviene da cause diverse e perch esso importa debolezza della mente nella considerazione delle cose spirituali, mentre la cecit ne la perfetta privazione: anche lebetismo per peccato se volontario. 3. Lebetismo proviene dalla gola e la cecit dalla lussuria; per lopposto la castit e lastinenza dispongono in sommo grado alle operazioni dello spirito, perch rimuovono gli impedimenti dei vizi carnali, gola e lussuria, le cui soddisfazioni trascinano colla pi grande veemenza.

Quest. 16. Precetti di credere. 1. Precetti di credere non ce ne potevano essere nella Legge antica, perch non erano allora da esporre i segreti di fede che furono poi esposti nel Vangelo; riguardo alla Fede in un Dio solo, il precetto di credere in Lui non potrebbe essere fatto se non a chi gi crede in Lui e sarebbe quindi impossibile.

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2. Vengono per convenientemente dati nel Vecchio Testamento precetti circa la Scienza e lIntelletto, affinch siano questi ricevuti mediante linsegnamento, usati mediante la meditazione e conservati mediante il loro ricordo.

Quest. 17. La speranza. 1. La speranza una virt. speranza in quanto ha per oggetto Dio, quale bene futuro, arduo, possibile collaiuto di Dio stesso, virt, perch, conformando gli atti nostri alla regola superiore, cio a Dio, li rende buoni e non si presta a usi cattivi. 2. Oggetto della speranza, siccome essa si appoggia a Dio dal quale da sperarsi un bene infinito, la beatitudine eterna. Non sappiamo precisamente in cosa questa consista, per la concepiamo come bene perfetto. 3. La beatitudine eterna ciascuno la spera per s; ma per lunione di carit col prossimo atto di virt sperarla anche per altri. 4. La speranza ha per oggetto Iddio, come Bene, e il suo aiuto per conseguirlo. Sperare negli uomini, scambiandoli col sommo Bene, non si pu; in loro si pu sperare soltanto quali aiuti secondari. 5. La speranza, avendo direttamente per oggetto Dio, virt teologale. 6. La speranza si distingue dalla Fede e dalla Carit, perch la Fede ha per oggetto Dio, quale principio di conoscenza della verit; la Carit ha per oggetto Dio, quale termine di unione dellanima per amore; la speranza invece ha per oggetto Dio, quale principio del bene perfetto in noi. 7. La speranza conferma la Fede, ma non esiste prima della Fede, che ci fa conoscere Dio in cui si spera. 8. La Carit viene dopo la speranza, ma da sua parte la perfeziona.

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Quest. 18. La speranza e il suo soggetto. 1. La speranza risiede nella volont, che appetito razionale, perch essa ha per oggetto il bene e il bene si riferisce non allintelletto, ma alla volont, e ha per oggetto Dio che non un bene sensibile. 2. La speranza non c pi nei beati, perch Dio non pi per loro un Bene futuro, ma presente. 3. Speranza non ne hanno i dannati, perch conoscono il sommo Bene, ma non come a loro possibile; c invece nelle anime purganti, per le quali Dio futuro s, ma possibile e ne ritraggono conforto. 4. In noi della Chiesa militante la speranza ha la dote della certezza, purch proceda da una fede formata, resa cio perfetta dalla carit.

Quest. 19. Il dono del timore. 1. Dio si pu temere, non nel senso che Egli sia un male da fuggire, ma nel senso che da Lui ci pu venire il male di qualche castigo. 2. Il timore si distingue in filiale, iniziale, servile e mondano. Il timore mondano allontana da Dio facendo temere come mali i sacrifici che il servizio di Dio comporta; avvicinano invece a Dio il timore servile, facendone temere i castighi; il timore filiale, facendone temere loffesa, e il timore iniziale che partecipa del servile e del filiale. 3. Il timore mondano, che proviene dallamore del mondo in opposizione a Dio, sempre cattivo. 4. Il timore servile invece in s buono, nonostante la circostanza della servilit che cattiva, perch essa estrinseca. 5. Il timore filiale ha per oggetto il male di colpa, e quindi specificamente diverso dal timore servile, che ha per oggetto il male di pena.

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6. Il timore servile pu stare insieme colla carit quando riguarda la perdita di Dio, ma non quando parte dallesclusivo amore di se stesso. 7. Il timore principio della sapienza, di quella sapienza cio che direttiva della vita secondo le norme della ragione divina; ma il timore servile ne soltanto dispositivo, il timore filiale ne invece radice. 8. Il timore iniziale perci differisce dal timore filiale non sostanzialmente, una come da imperfetto a perfetto. 9. Il timore filiale un dono dello Spirito Santo, perch ci abilita a seguirne le mozioni. 10. Col crescere della carit il timore filiale cresce, il servile invece diminuisce. 11. Il timore filiale, che si esercita nella riverenza di Dio, in Paradiso resta ancora, ma non vi resta il timore servile, perch non c pi da temere la perdita di Dio. 12. Al dono del timore di Dio corrisponde la beatitudine: Beati i poveri di spirito, perch esso induce alla rinunzia degli onori e delle ricchezze.

Quest. 20. La disperazione. 1. La disperazione, derivando dal falso concetto che Dio non voglia perdonare i peccati, contraria alla virt della speranza e perci peccato; anzi essa induce a commettere altri peccati ed perci non solo peccato, ma anche principio dei peccati. 2. La disperazione non dice anche mancanza di fede, perch la fede appartiene allintelletto e la disperazione appartiene alla volont, non si escludono quindi a vicenda. 3. La gravit del peccato sta nellavversione a Dio, talch la conversione alle creature, se non importa avversione a Dio, non peccato mortale: la disperazione, essendo uno dei peccati contrari alle virt teologiche che ci indirizzano a Dio, uno dei pi gravi peccati; anzi essa, ben-

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ch linfedelt e lodio di Dio siano in s pi gravi, per noi la pi perniciosa. 4. Se la speranza si riferisce a un bene arduo e possibile; laccidia, che abbatte lo spirito e fa riputare il bene arduo impossibile, e la lussuria, per cui le cose divine non si stimano pi un bene e tornano a nausea, danno origine alla disperazione.

Quest. 21. La presunzione. 1. La presunzione contraria alla speranza per eccesso. Essa fa pretendere da Dio il perdono senza la penitenza e la gloria senza i meriti ed perci contraria a Dio, per il cattivo calcolo della sua misericordia: essa fa ritenere a noi possibile ci che supera le nostre forze ed perci contro lo Spirito Santo, del cui aiuto non fa nessun calcolo. 2. Come si corrispondono verit e bene, cos si corrispondono falsit e male: la presunzione corrisponde a un falso concetto di Dio, essa quindi e male, peccato; meno grave per della disperazione, perch di Dio pi proprio perdonare che punire. 3. La presunzione opposta direttamente pi che al timore alla speranza, perch dello stesso genere. 4. La presunzione nasce dalla vana gloria, in quanto si fa troppo calcolo delle proprie forze e nasce dalla superbia in quanto si fa cattivo calcolo della misericordia di Dio.

Quest. 22. Precetti di speranza e di timore. 1. La speranza la troviamo comandata nella Sacra Scrittura prima per mezzo di promesse, poi per mezzo di precetti; e ci doveva essere perch la fede e la speranza sono preamboli della legge senza le quali essa non viene accettata ed osservata;

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2. e per la stessa ragione dellosservanza della legge fu pure fatto precetto del timore filiale, insieme col precetto di amare Dio, e del timore servile insieme con la comminazione delle pene.

Quest. 23. La Carit. 1. La Carit fra luomo e Dio, essendo un mutuo amore col volere il bene luno dellaltro, amicizia. 2. La carit qualche cosa di creato nellanima, perch il moto dellanima ad amare Dio per se stesso e la potenza di fare atti, che sono soprannaturali, esigono una inclinazione abituale che non si ha da natura. 3. Se virt seguire la retta ragione, la carit, per cui si segue e si raggiunge Dio, che la norma suprema della retta ragione, certamente virt. 4. La carit una virt speciale, perch riguarda Dio come oggetto speciale, cio come oggetto di beatitudine; 5. mentre per ci sono parecchie specie di amicizia a seconda dellintento o del vincolo, c una sola specie di carit, perch la Bont Divina, che il suo termine, unica. 6. La carit la pi eccellente delle virt, perch riguarda Dio per se stesso, mentre la Fede e la Speranza riguardano Dio per qualche cosa che da lui a noi derivi. 7. Se virt vera non c senza ordine allultimo fine, cio al Bene infinito, senza la carit non pu esserci nessuna vera virt; 8. e poich quindi la carit indirizza le virt allultimo fine, essa che le fa, che le forma vere virt; essa la forma delle virt.

Quest. 24. La Carit e il suo soggetto. 1. La carit risiede nella volont e non nellappetito sensitivo, perch suo oggetto Dio che Bene, ma non un bene sensibile.

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2. La carit si risolve nella comunicazione della Beatitudine eterna; questa un bene gratuito e soprannaturale, per il quale non ci sono sufficienti le forze naturali, la carit quindi in noi non c se non viene infusa dallo Spirito Santo; 3. ed essendo, cos, nulla la nostra capacit naturale alla carit, lo Spirito Santo la dona a ciascuno secondo che Egli vuole. 4. La carit pu crescere in noi, e cresce col radicarsi sempre pi nellanima nostra e collavvicinarsi sempre pi a Dio mediante laffetto della mente; 5. cresce adunque non per aggiunta di altra carit, ma per aumento di grado della stessa; cio cresce intensivamente, 6. e ogni atto di carit aumenta direttamente la carit o almeno dispone allaumento della carit. 7. La carit pu crescere allinfinito, perch partecipazione dello Spirito Santo, che amore infinito; e ne causa operatrice Dio, la cui potenza infinita. 8. La carit perfetta quando si ama Dio quanto amabile. Dio amabile infinitamente, noi invece abbiamo forze limitate, perci in questo senso non a noi possibile una carit perfetta. Per noi si pu dare una carit perfetta in 3 modi: I. avere tutto il cuore sempre attualmente fisso in Dio, e questo non ci possibile se non allaltra vita; II. avere la mente solo occupata in Dio quanto lo concedono le necessit di questa vita, e questo non comune a tutti i Santi; III. avere il cuore abitualmente riposto in Dio cos che nulla si voglia che a lui sia contrario, e questo comune a tutti i giusti. 9. La carit di tre gradi: incipiente di chi si allontana dal peccato; profciente di chi si esercita nelle virt; perfetta di chi tutto unito con Dio. 10. La carit come pu crescere, cos altrettanto pu diminuire, se non in s direttamente, perch essa o c o non c, almeno indirettamente, per disposizione cio

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contraria, indotta o dai peccati veniali o dalla cessazione degli atti di carit. 11. La carit, una volta posseduta si pu poi perdere, perch lo stato di carit quaggi in noi mutabile a seconda del libero arbitrio, in quanto non siamo sempre attualmente rivolti a Dio ed allora pu occorrerci qualche cosa che ci faccia perdere la carit. 12. La carit poi avviene che si perde anche per un solo atto di peccato mortale. Negli abiti acquisiti un atto contrario non distrugge labito; ma la carit, essendo un abito infuso, dipende da Dio, la cui azione di infusione simile allazione del sole, che cessa di illuminare se si frappone un ostacolo che la impedisca totalmente: un atto solo di peccato mortale una rivolta contro Dio e fa cessare totalmente la carit che unione con Dio.

Quest. 25. Oggetto della Carit. 1. La carit si estende a Dio e anche al prossimo, essendo lo stesso Dio la ragione di amare il prossimo; volere cio che il prossimo sia in Dio. 2. Chi ama il prossimo ama lamore del prossimo; il prossimo si ama di carit, perci la carit stessa si ama di amore di carit. 3. Se la carit ha per base la comunicazione delleterna beatitudine, essa non si estende agli animali, perch non ne sono capaci; possiamo per amarli per amore di carit in quanto desideriamo che siano conservati a onore di Dio e a utilit del prossimo. 4. Fra le cose che amiamo di amore di carit come appartenenti a Dio ci siamo anche noi, perci dobbiamo amare anche noi stessi per amore di carit; 5. e di amore di carit dobbiamo amare anche il nostro corpo, perch esso viene da Dio e dobbiamo usarne in suo servizio; ci quindi che impedisce questo, come la colpa, dobbiamo eliminarlo.

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6. Dobbiamo amare di amore di carit anche i peccatori, non secondo la loro colpa, ma secondo la loro natura, che capace di eterna beatitudine. 7. I peccatori amano se stessi, ma a differenza dei buoni che amano in s luomo interiore, perch di s stessi stimano cosa principale la natura razionale, i peccatori amano in s la natura sensitiva e corporea, perch questa stimano principale, la stimano falsamente, perci anche amano se stessi falsamente, cio si odiano: Chi ama liniquit odia lanima sua. 8. necessario per la carit amare anche i nemici; per proprio perch sono nemici, ma perch non si devono escludere da quellamore per cui amiamo in generale coloro che hanno la stessa nostra natura, e basta che abbiamo lanimo disposto ad amarli anche in particolare qualora si desse un caso di necessit; amarli poi in particolare anche fuori del caso di necessit carit perfetta; 9. per cui parimenti necessario non negare ai nemici i segni comuni e generali dellamore, quando per es. si prega per tutti i fedeli: ma non altrettanto necessario estendere in particolare anche a loro i segni di amore che riserviamo ai nostri amici. 10. Se la carit ha per base la comunicazione delleterna beatitudine, si devono amare di amore di carit anche gli angeli che ne sono gi partecipi. 11. I demoni invece, come i peccatori, non si devono amare secondo la loro colpa, ma si devono amare secondo la loro natura, desiderando che conservino quanto da natura hanno per la gloria di Dio. 12. Infine, sulla base della comunicazione della eterna beatitudine, la carit vuole che nellamare seguiamo questo ordine: a) chi ne il principio, cio Dio: b) chi ne ha partecipazione diretta, cio gli angeli e gli uomini e perci noi stessi e il prossimo: c) ci cui spetta la partecipazione indiretta, cio il nostro corpo.

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Quest. 26. Ordine della Carit. 1. Nella carit, che da Dio, principo della Beatitudine, si estende a tutto ci che ne partecipe, c, come ci deve essere, un ordine. 2. Perci Dio, che come principio della Beatitudine ne la parte principale, lo dobbiamo amare pi del prossimo che ne soltanto nostro compartecipe. 3. Anzi, essendo Dio il Bene comune e il principio fondamentale della Beatitudine di tutti e quindi anche nostra, lo dobbiamo amare pi di noi stessi. 4. Secondo la natura spirituale, che la ragione della partecipazione alla Beatitudine, ciascuno deve amare se stesso pi del prossimo, perch a quella nessuno pi prossimo di se stesso; non si devono quindi fare peccati per liberare gli altri dai peccati; 5. e secondo la stessa natura spirituale, che la ragione della partecipazione alla Beatitudine, ciascuno deve amare pi il prossimo quanto alla salute dellanima che se stesso quanto alla salute del corpo. 6. Nellordine della Beatitudine, di cui Dio il principio, alcuni ci sono pi vicini e alcuni pi lontani; dobbiamo quindi amare alcuni gi degli altri. 7. Nellordine della Beatitudine i termini della propinquit sono due: Dio e noi. Da parte di Dio dobbiamo amare di pi quelli che a lui sono pi vicini, cio i giusti, da parte nostra dobbiamo amare di pi quelli che ci sono pi prossimi, come i genitori e i fratelli; il primo amore di grado proporzionato a santit mutevole; il secondo amore di intensit proporzionato a un vincolo stabile; 8. anzi questo vincolo stesso va distinto in carnale, civile e militare e ciascun vincolo ha relazioni e uffici che ne dipendono e che non si devono scambiare; perci negli uffici di natura siamo pi doverosi ai genitori, ma negli uffici civili siamo pi obbligati verso i concittadini e negli uffici militari verso i commilitoni. Se poi nel vincolo distinguiamo la stabilit, prevale a tutti il vincolo carnale.

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9. Da parte di Dio, principio universale, ci sono pi prossimi i genitori e questi si devono amare di pi; ma da parte di chi ama si deve amare di pi il figlio e perch quasi parte del padre e per molti altri titoli. 10. Come principio dellorigine naturale prevalente la parte del padre, da cui si prende nome; perci per s il padre da amarsi pi della madre, ma come cure e fatiche prevalente la parte della madre. 11. Se per ragione di principio dellorigine si devono amare di pi i genitori, tuttavia la moglie si deve amare di pi per ragione dellunione matrimoniale. 12. Per ragione di origine il benefattore, che principio del bene nel beneficato, si deve amare di pi del beneficato; ma il beneficato che diviene quasi fattura nostra ha un titolo di maggiore propinquit e per questo lo si ama di pi. 13. In Paradiso questo ordine della carit resta quanto a Dio, che si ama sopra ogni cosa come ultimo fine; ma quanto a noi e al prossimo lordine cambia, perch il migliore, come pi vicino a Dio, si ama pi di se stessi.

Quest. 27. Lamore, atto principale della Carit. 1. Della carit, che virt e perci principio di azione, pi proprio amare che essere amato. 2. Lamore, in quanto atto di carit, include anche la benevolenza, ma questa soltanto atto della volont che vuole il bene del prossimo, mentre lamore importa anche lunione di affetto colla persona amata. 3. Dio lultimo fine di tutte le cose, la Bont in se stessa; tutte le cose quindi le amiamo per Dio e Dio lo amiamo in s: che se talvolta si ama Dio per qualche beneficio, questo diventa poi disposizione ad amarlo per se stesso. 4. Dio possiamo amarlo anche in questa vita immediatamente, perch se la nostra cognizione ci arriva media-

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tamente, non cos lamore, il quale comincia l dove la nostra cognizione arriva, 5. Luomo pu amare Dio totalmente nel senso di amarlo con tutto il cuore, ma non nel senso di amare Dio quanto amabile. 6. Nellamare Dio non si deve avere una misura, un termine: diceva S. Bernardo La causa di amare Dio Dio stesso, e la misura amarlo senza misura, perch Dio infinito. 7. Amare lamico certamente amare una cosa migliore del nemico; ma amare il nemico pi meritorio, perch cosa pi difficile e lo sforzo che si fa dimostra maggiore amore di Dio, per amore del quale dobbiamo amare amici e nemici; 8. ed pi meritorio amare il prossimo per amor di Dio, che non amare Dio senza amare il prossimo, perch sarebbe un amore monco.

Quest. 28. Il gaudio. 28. Effetto della carit il gaudio spirituale, che si ha dalla presenza in noi del Bene amato, cio dalla inabitazione di Dio in noi per la grazia santificante, frutto della carit. 2. Questo gaudio accidentalmente pu essere unito alla tristezza, derivante dal vedere che il Bene divino non da tutti partecipato; 3. e questo stesso gaudio non pu essere completo se non nellaltra vita, perch l solo nulla pi resta a desiderare ed il gaudio quindi pieno. 4. Il gaudio non una virt distinta dalla carit, ma un effetto della carit.

Quest. 29. La pace. 1. Pace non lo stesso che concordia. La pace anche concordia, ma la concordia

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non anche pace: la concordia la possono avere anche i cattivi, ma per i cattivi non si d pace. 2. Ogni cosa tende alla pace, perch ogni cosa tende al suo fine, per quietarvisi superando gli ostacoli che impediscono lordine naturale, e la pace appunto: quiete nellordine. 3. La pace con Dio e cogli uomini effetto della carit, la quale pure si estende a Dio e agli uomini. 4. La pace un atto, un effetto della carit, ma non una virt diversa dalla carit, soggetta a un precetto speciale.

Quest. 30. La misericordia. 1. Motivo proprio della misericordia il male e specialmente quel male che sofferto immeritatamente: la misericordia infatti : della miseria altrui cordiale compassione; e non vi poi miseria pi grande che ricevere male facendo bene. 2. il male che causa la miseria e suscita la misericordia; il male poi sta sempre in qualche difetto, perci la ragione della misericordia sempre qualche cosa che viene a mancare al prossimo, cui lanimo prende parte, e che si teme possa a noi stessi venire a mancare. 3. La misericordia virt quando un moto dellanimo regolato dalla retta ragione. 4. Supplire alle indigenze e difetti del prossimo pi che amarlo, perci la misericordia superiore alla carit, ma questo relativamente al prossimo; perch relativamente a Dio nulla supera la carit che a Lui ci unisce.

Quest. 31. La beneficenza. 1. Fare del bene al prossimo effetto del voler bene, cio dellamare e perci la beneficenza comunemente atto di carit: talvolta per il fare del bene ai prossimo ha una ragione speciale ed allora diventa una speciale virt.

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2. Come la carit cos anche la beneficenza si deve estendere a tutti, almeno come disposizione di animo e purch altre ragioni non si oppongano. 3. La beneficenza atto di carit, perci ha lordine stesso della carit, a meno che intervenga un caso di necessit. 4. La beneficenza atto di carit, non una virt diversa dalla carit.

Quest. 32. Lelemosina. 1. Dellelemosina il motivo la misericordia; questa effetto della carit perci lelemosina atto di carit. 2. Le elemosine si distinguono come le opere di misericordia: ci sono quindi elemosine corporali ed elemosine spirituali a seconda dei bisogni corporali interni ed esterni e dei bisogni spirituali di intelletto e di volont del prossimo. 3. Evidentemente le elemosine spirituali sono superiori alle corporali; ma talvolta le corporali sono urgenti ed allora prevalgono alle spirituali. 4. Anche le elemosine corporali per il loro motivo, che Dio, e per il loro fine, che lanima, hanno un frutto spirituale. 5. Fare lelemosina un atto di virt che la stessa retta ragione comanda quando il prossimo si trova in caso di bisogno e daltronde ci che al prossimo necessario a noi invece non necessario, ma superfluo; che se la necessit estrema, lobbligo si fa grave e riguarda non solo il superfluo, ma anche il necessario. Dice S. Ambrogio: Pasci chi muore di fame; se non lo pasci, lo uccidi; 6. e, fuori di questo caso, di ci che non superfluo, ma necessario, non c obbligo di fare elemosina, a meno che intervengano ragioni superiori del bene comune della Religione e della Patria.

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7. Il maltolto si deve, non dare in elemosina, ma restituire; il frutto ricavato da ingiusti maneggi non si pu ritenere, ma si deve dare in elemosina; il lucro invece di azioni turpi, ma non ingiuste, si pu ritenere e se si d ad altri libera e vera elemosina. In caso di necessit estrema tutto diventa di propriet comune e ciascuno a tale indigente pu somministrare anche laltrui, che gi appartiene, come al possessore, cos anche a tale indigente. 8. Chi sotto laltrui potest non pu fare elemosina se non secondo lordine del padrone o dando del proprio. 9. Lelemosina deve seguire lordine della carit; quindi i nostri prossimi pi stretti hanno maggiore diritto alla nostra elemosina, eccettuati i casi di persona pi santa, pi utile alla societ e di maggiore indigenza. 10. Abbondare nellelemosina cosa lodevole; per meglio farla a pi indigenti anzich con uno abbondare cos che ne abbia anche oltre il necessario.

Quest. 33. La correzione fraterna. 1. La correzione fraterna per rimuovere il peccato, come male di chi pecca, unelemosina spirituale dovuta come atto di carit; e la correzione fraterna per rimedio al peccato, che di danno agli altri e di nocumento comune, dovuta come atto di giustizia. 2. La correzione fraterna non oggetto di un precetto negativo, che obbliga sempre, perch proibisce cose intrinsecamente cattive; ma oggetto di un precetto positivo, che comanda un atto di virt, a tempo e luogo, per un dato fine; la correzione fraterna ha per fine lemendazione del fratello; essa quindi di precetto quando necessaria a quel fine. 3. Alla correzione fraterna, che atto di carit, sono tenuti tutti; alla correzione fraterna che atto di giustizia sono tenuti i superiori;

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4. perci agli inferiori relativamente ai superiori non spetta la correzione fraterna, che atto di giustizia, ma solo quella che atto di carit e anche questa deve essere fatta colla debita umilt. 5. Anche chi peccatore tenuto alla correzione fraterna, purch per essa non riesca unirrisione, uno scandalo o un capriccio di vanit. 6. Se per la correzione fraterna il prossimo avesse a diventare peggiore, si deve smettere quella che atto di carit, perch andrebbe contro il fine, cio lemendazione del prossimo; ma non si deve omettere quella che atto di giustizia, perch la esige il bene comune minacciato da chi pecca. 7. Prima di denunziare il prossimo necessario fare la correzione fraterna, per impedire che esso peggiori, se si tratta di peccati che sono occulti e di nocumento privato, ma se sono di nocumento generale o sono peccati pubblici, ci non pi necessario. 8. Anzi, la correzione che deve precedere la pubblica denuncia, prima di arrivare a questo estremo, deve ricorrere al mezzo di far intervenire qualche altra persona.

Quest. 34. Lodio. 1. Dio pu essere conosciuto o in s o nei suoi effetti; in s non che Bont e non pu che essere amato; ma nei suoi effetti, siccome ce ne sono di quelli che ripugnano alle volont disordinate, quali i castighi del peccato, pu essere preso in odio da taluno. 2. Lodio di Dio, siccome rappresenta la totale ed esplicita avversione a Lui, il pi gran peccato. 3. Quanto la carit bene, altrettanto lodio male. Il prossimo si deve amare in Dio e perci nella natura e nella grazia, non nella malizia e nel peccato: quindi odiare il peccato nel fratello non peccato, ma peccato odiare il fratello.

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4. Quanto allaffetto di chi pecca, il pi grave peccato contro il prossimo lodio; ma quanto al danno del prossimo i peccati esterni sono pi gravi. 5. Lodio non uno dei peccati capitali, perch questi sono principio di altri peccati, lodio invece non principio di eversione della virt, ma termine di arrivo; 6. ognuno fugge la tristezza e cerca le soddisfazioni, da queste deriva lamore, dalla tristezza lodio e linvidia, che precisamente tristezza del bene altrui, genera lodio.

Quest. 35. Laccidia. 1. Laccidia, che tristezza del bene divino e spirituale, del quale invece la carit gode, peccato; 2. ed uno speciale peccato in quanto formalmente contraria alla carit; 3. ed in quanto formalmente contraria alla carit, anche peccato mortale; purch sia accidia perfetta. 4. Anzi, non solo peccato, ma anche peccato capitale, perch essa tristezza e gli uomini fanno molte cose cos per la tristezza come per il piacere.

Quest. 36. Linvidia. 1. Linvidia rattristarsi del bene altrui, non in quanto se ne teme un danno, ma in quanto lo si considera un nostro danno, perch diminutivo della nostra gloria o eccellenza. 2. Linvidia peccato quando rattristarsi perch il prossimo spicca nel bene, perch ci contro lamore del prossimo; non peccato se il motivo di rattristarsi perch ne indegno o perch si teme che ne abusi contro di noi; se poi il motivo non gi che il prossimo ha quel bene, ma che noi ne siamo privi, allora non c invidia, ma c emulazione.

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3. Linvidia contraria alla carit, perci peccato di genere mortale; purch per sia nellanima e non nei moti del senso; 4. anzi essa peccato capitale, perch principio di altri peccati, quali la mormorazione e lodio.

Quest. 37. La discordia. 1. La discordia contraria alla concordia, che lunione dei cuori voluta dalla carit; la discordia, se dissentire deliberatamente da ci che evidentemente il bene di Dio o il bene del prossimo, peccato mortale, a meno che si tratti dei primi moti dellanimo; dissentire in qualche opinione, che non sia errore pertinace contro la fede, non peccato mortale, perch la concordia unione dei cuori e non delle opinioni. 2. La discordia, per cui ciascuno tiene troppo a s stesso, figlia della superbia e della vanagloria.

Quest. 38. Le contese. 1. La discordia importa contrariet nelle volont, e la contesa importa contrariet nelle parole. La contesa, se impugnazione della verit con modi disordinati, peccato mortale; se impugnazione della falsit senza troppa acredine, cosa lodevole; se impugnazione della falsit con troppa acredine, peccato veniale. 2. Come la discordia, cos anche la contesa, per cui non si vuole stare al di sotto degli altri, figlia della superbia.

Quest. 39. Lo scisma. 1. Lo scisma scissura degli animi, contraria allunione della carit, che unisce tutta la Chiesa nellunit dello Spirito, unit considerata in ordine al suo capo che Cristo, di cui il Papa Vicario. Lo scisma perci un peccato speciale, proprio di coloro che negano soggezione al Sommo Pontefice.

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2. Linfedelt, che peccato contro Dio stesso, pi grave dello scisma; ma uno scismatico pu peccare pi gravemente di un infedele per ragione della sua pertinacia o del pericolo degli altri. 3. La potest sacramentale, o dellordine, fissa, perci gli scismatici non la perdono, ma per restano proibiti di adoperarla; la potest invece di giurisdizione mobile e di questa sono privati; 4. e poich gli scismatici peccano contro la Chiesa, giusto che la Chiesa li colpisca colla pena dello scomunica.

Quest. 40. La guerra. 1. Perch una guerra sia giusta occorrono tre cose: I. lautorit del principe, cui spetta la tutela dello Stato; II. la giusta causa, cio unoffesa o un danno cui non si vuol dare riparazione; III. la retta intenzione, in chi la fa, di mirare al bene e di evitare il male; e non sono rette intenzioni, secondo S. Agostino, la voglia di nuocere, la crudelt nella vendetta, la libidine di dominio e linsaziabilit dellanimo. 2. Il fare la guerra affatto sconveniente agli Ordinati per le inquietudini che cagiona e perch ad essi, che trattano il Sangue di Cristo, compete non uccidere e versar laltrui sangue, ma essere pronti a versare il proprio. Per cui stabilito che siano irregolari coloro che anche senza colpa versano sangue. 3. Gli stratagemmi che consistono nel dire bugie e nel mancare alla fede data sono illeciti; ma gli stratagemmi di finte e di diversivi per occultare al nemico gli obbiettivi e i piani sono leciti. 4. Losservanza delle feste non impedisce ci che ordinato alla salute anche corporale, perci se necessario, lecito combattere anche in giorno di festa.

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Quest. 41. Le risse. 1. La rissa, contrariet non a parole, ma a fatti, una guerra privata e perci illecita, a meno che si tratti della legittima difesa fatta colla debita moderazione. 2. La rissa figlia dellira, la quale voglia di vendetta, pi che dellodio, il quale molina piuttosto in segreto.

Quest. 42. La sedizione. 1. La sedizione, opponendosi a un bene speciale, cio allunit e alla pace della moltitudine, un peccato speciale. 2. La sedizione, che si oppone alla giustizia e al bene comune, un peccato di genere grave e pi grave della rissa, che cosa privata.

Quest. 43. Lo scandalo. 1. Lo scandalo, che significa inciampo, nel cammino spirituale si definisce: un detto o un fatto meno retto che occasione di rovina. 2. Lo scandalo, sia attivo che passivo, cio sia dato che ricevuto, sempre peccato; talora per c lo scandalo attivo senza il passivo; e talora invece lo scandalo passivo senza lattivo, quando alcuno si scandalizza di cose che altri fa bene. 3. Lo scandalo, che mira a uno speciale danno del prossimo, cio a trarlo al peccato, e che contro la correzione fraterna, un peccato speciale. 4. Lo scandalo attivo peccato mortale quando dato con un peccato mortale, quando mira comunque a far peccare mortalmente e quando si segue ogni capriccio con disprezzo della salute del prossimo. 5. Negli uomini perfetti non pu esserci scandalo passivo, perch sono fermi nel bene; 6. e nemmeno pu esserci scandalo attivo, perch sempre agiscono a norma della retta ragione, eccettuata qualche piccolezza dovuta allumana fragilit.

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7. Se dalla verit deriva scandalo passivo, meglio permettere lo scandalo che lasciare la verit; dice S. Gregorio; perci le cose necessarie alla salute non si devono lasciare per timore dello scandalo e nemmeno quelle che alla salute non sono necessarie, se lo scandalo dovuto alla malizia altrui, come era quella dei Farisei; si deve invece, in queste, evitare o prevenire lo scandalo dei pusilli. 8. Le cose temporali si devono lasciare per timore dello scandalo soltanto se sono cose di propriet nostra e se si tratta dello scandalo dei pusilli che in nessuna altra maniera si pu prevenire o impedire.

Quest. 44. Precetti di carit. 1. Della carit, che dovuta per il fine della vita spirituale, cio lunione con Dio, era necessario fare un precetto. 2. Anzi erano necessari due precetti di carit, uno dellamore di Dio, laltro dellamore del prossimo, essendoci persone corte che non capiscono da s che nel primo contenuto anche il secondo. 3. Due precetti poi sono sufficienti, perch contemplano il fine e ci che ha ordine al fine, nel che sta tutto il bene che oggetto della carit; 4. e siccome il fine, a cui tutto il resto ordinato, Dio, era da comandarsi di amarlo con tutto il cuore; 5. anzi a maggiore esplicazione fu detto: con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta lanima, con tutte le forze, uomo cio e interiore ed esteriore. 6. Il precetto dellamor di Dio si pu compiere in questa vita sufficientemente s, ma imperfettamente; perfettamente si compie solo in Paradiso. 7. Era anche conveniente il precetto di amare il prossimo come se stesso, cio santamente, giustamente e veracemente. 8. Lordine della carit appartiene alla stessa virt e perci anche esso viene comandato.

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Quest. 45. Il dono della sapienza. 1. La sapienza, che conosce la causa suprema non di qualche genere, ma universale, cio Dio, e giudica secondo la verit divina, un dono dello Spirito Santo, perch luomo non pu conseguirlo da s, ma soltanto averlo dallo Spirito Santo. 2. Il dono della sapienza ha origine dalla carit, che propria della volont, ma essa proprio dellintelletto. 3. La sapienza non soltanto speculativa, ma anche pratica, perch giudica e dirige a norma di Dio i nostri atti. 4. La sapienza un dono che deriva da una certa connaturalit con Dio, dallunione con Lui ed figlia della carit, perci se per il peccato cessano la carit e lunione con Dio, cessa anche il dotto della sapienza. 5. Tutti quelli che hanno la grazia hanno anche il dono della sapienza, almeno per propria istruzione e direzione; ma un dono pi alto per istruzione e direzione anche degli altri non lo hanno tutti. 6. Al dono della sapienza corrisponde la 7 beatitudine: Beati i pacifici , perch la pace, che tranquillit nellordine, premio della sapienza.

Quest. 16. La stupidezza. 1. Alla sapienza si oppone la stupidezza, che di chi non si commuove neppure per ci che fa stupire, e che consiste nellottusit del cuore e del senso: si oppone pure la fatuit, che consiste nella privazione totale di senso spirituale. 2. La stupidezza naturale non peccato; ma la stupidezza spirituale, cagionata dallamore del mondo, simile nelle cose spirituali a una infezione del palato per cui non si sentono pi i gusti delicati, peccato; 3. e quellamore del mondo sta sopratutto nella lussuria, per cui la stupidezza figlia della lussuria.

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Quest. 47. La prudenza. 1. La prudenza virt conoscitiva, perch previsione del futuro. 2. Essa appartiene alla ragione pratica, anzich alla speculativa, perch retta norma delle azioni. 3. Ed conoscitiva non solo dei principi generali, ma anche delle applicazioni particolari. 4. La prudenza virt intellettuale e morale, perch aggiunge la considerazione del bene alla applicazione del bene; 5. anzi una virt speciale, perch ha uno specifico oggetto formale; si distingue dalle altre virt intellettuali, perch suo oggetto sono le contingenze dellagire; e si distingue dalle morali, perch essa intellettuale e morale insieme. 6. Alla prudenza appartiene, non gi fissare il fine alle virt morali, ma disporre in ordine al fine, perch il fine le virt morali lo presuppongono. 7. Appartiene alla prudenza fissare il giusto mezzo alle virt morali, perch cos si conformano alla retta ragione. 8. Dei tre atti della ragione pratica, che sono discutere i mezzi, decidere di loro e dettare norma, quello che proprio della prudenza il terzo, cio dettare norma, perch cos si ordinano i mezzi al fine. 9. La sollecitudine appartiene alla prudenza, perch cura di eseguire presto ci che frutto di uno studio lento. 10. Il bene privato parte del bene pubblico; perci la prudenza si estende anche al regime dello Stato, cio al bene pubblico, come a suo tutto. 11. La prudenza politica, domestica e monastica differiscono fra di loro specificatamente, perch ciascuna ha un oggetto formale diverso, cio il bene della societ, della famiglia e dellindividuo privato. 12. La prudenza c, non soltanto nei principi, ma anche nei sudditi, che stanno al principe come gli operai allarchitetto.

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13. C una triplice prudenza: I. la falsa, che propria dei peccatori; II. la imperfetta, che comune ai buoni e ai cattivi; III. la vera, che, propria dei giusti. 14. Tutti quelli che hanno la grazia hanno anche la virt della prudenza, perch tutte le virt sono unite nella carit. 15. La prudenza virt intellettuale, perci di essa dalla natura abbiamo i soli principii, e lo sviluppo si ha dallo studio e dallesperienza. 16. La dimenticanza relativa alle cognizioni e la prudenza sta nel dettare norme; non sono perci fra loro cos opposte, che la dimenticanza faccia perdere la prudenza.

Quest. 48. Parti della prudenza. 1. Le parti sono di tre specie: integrali, come il tetto nella casa; soggettive, come il bue e il leone nel genere animale; potenziali, come la potenza vegetativa nellanima. Nelle virt adunque ci sono le parti integrali, che concorrono alla perfezione dellatto; le parti soggettive, che sono le diverse specie della virt; le parti potenziali, che sono relative agli atti secondari della virt principale.

Quest. 49. Parti integrali della prudenza. Sono parti integrali della prudenza: 1. la memoria, che d la esperienza, per cui si accerta ci che nella maggior parte delle cose c di vero; 2. lintelletto o buona estimativa dei principii, da cui la ragione deduce la retta norma delle azioni; 3. la docilit, per cui si profitta degli insegnamenti, che vengono dallesperienza dei saggi; 4. la solerzia, per cui ciascuno si industria di formarsi da s il retto concetto del da farsi; 5. la ragionevolezza, per cui si riesce ben consigliati;

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6. la previdenza, per cui si considerano le eventualit future per raggiungere il buon esito; 7. la circospezione, per cui si coordinano i mezzi al fine col debito riguardo alle loro circostanze; 8. la cautela, per prevenire gli impedimenti.

Quest. 50. Parti soggettive della prudenza. Sono parti soggettive della prudenza, oltre alla monastica per il regime dellindividuo privato: 1. la regnativa, perch per ben regnare occorre la prudenza, ed una prudenza tutta speciale e perfetta; 2. la politica, perch il cittadino abbisogna di questa prudenza per ben condursi nellobbedienza alle leggi in ordine al bene pubblico; 3. la domestica, perch per ben reggere la famiglia, che sta fra lindividuo e lo Stato, occorre questa speciale prudenza; 4. la militare, perch ci sono anche le forze avverse, cui bisogna resistere; ed occorre questa prudenza per guardarsi dalle minacce e difendersi dagli assai nemici.

Quest. 51. Parti potenziali della prudenza. Sono parti potenziali della prudenza: 1. la eubulia, che significa ponderazione, ed una virt, perch rende retti gli atti, 2. ed distinta dalla prudenza, perch avvia alla prudenza, la quale sta nel fissare le leggi pi che nel discuterle; 3. la sinesi, che significa buon senso, perch oltre la eubulia, che bene consiglia, occorre anche la sinesi, che fa comprendere i principii comuni in ordine al da farsi, per avviarsi allatto di prudenza perfetta; 4. la gnome, che significa criterio, discernimento, perch oltre al buonsenso nei casi soliti, alla perfezione

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della prudenza occorre anche il criterio, il discernimento nei casi particolari.

Quest. 52. Il dono del Consiglio. 1. I doni dello Spirito Santo sono disposizioni per cui lanima si presta alle mozioni dello Spirito Santo; durante la ponderazione lo Spirito Santo agisce per modo di consiglio, cui lanima si presta; il Consiglio perci dono dello Spirito Santo; 2. e poich la ponderazione parte potenziale della prudenza, il dono del Consiglio corrisponde alla prudenza, che esso aiuta e perfeziona. 3. Il dono del Consiglio resta in Paradiso, dove Dio continua ai beati la cognizione di ci che sanno, e li illumina in ci che non sanno relativamente alla rettitudine delle azioni. 4. Il dono del Consiglio riguarda ci che utile al fine, perci al dono del Consiglio corrisponde la 5 Beatitudine, cio: Beati i misericordiosi che hanno piet, perch la piet utile a tutto.

Quest. 53. Vizi contrari alla prudenza. 1. Limprudenza, se mancanza della dovuta prudenza, peccato di negligenza; se vera imprudenza, contraria alla prudenza, come sarebbe disprezzare ogni ponderazione, peccato contro la prudenza ed peccato mortale se trascuranza delle regole divine; 2. ed peccato speciale perch opposta alla prudenza che una virt speciale. Sono poi vizi che appartengono allimprudenza: 3. la precipitazione, che contraria alla ponderazione ed propria di chi si lascia trasportare dagli impeti della volont o della passione; 4. la inconsideratezza, che contraria al buonsenso e al criterio ed propria di chi trascura e disprezza i principii

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generali e le circostanze particolari, da cui sorge il retto giudizio. 5. la incostanza, che contraria alla fermezza di proposito ed propria di chi muta le norme precettive nelle quali si risolve la prudenza. 6. E poich nulla pi assorbe anima quanto la lussuria, perci questi vizi provengono dalla lussuria.

Quest. 54. La negligenza. 1. La negligenza un peccato speciale, perch mancanza della dovuta sollecitudine, la quale un atto speciale della ragione; 2. anzi la sollecitudine retta appartiene alla prudenza, perci la negligenza che mancanza di rettitudine, contraria alla prudenza. 3. La negligenza poi se relativa alle cose che sono di necessit della salute eterna o se dipendente dal disprezzo, in questi due casi, peccato mortale.

Quest. 55. Vizi della prudenza. 1. La prudenza della carne, che fa consistere lultimo fine nei beni carnali, manifestamente peccato; 2. e se totalmente fa consistere il fine della vita nei beni carnali, peccato mortale perch totale avversione a Dio; altrimenti no; anzi aver cura del mangiare per conservare la salute non nemmeno prudenza della carne. 3. Lastuzia, cio lo studio dei mezzi per raggiungere il proprio fine per le vie della falsit e della simulazione, anche essa un vizio, che lopposto della prudenza, la quale invece retta norma delle azioni. 4. Linganno appartiene allastuzia; lastuzia in opera sia con parole sia con fatti. 5. La frode appartiene allastuzia, lastuzia in opera mediante soltanto parole.

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6. La sollecitudine delle cose temporali diversa dalla prudenza, ed illecita quando quelle si cercano come ultimo fine; quando vi si mette uno studio eccessivo, che soffoca ogni cura dello spirito; e quando infine vi si unisce il timore esagerato, e contrario alla Provvidenza, che, cio, altrimenti mancherebbe il necessario alla vita. 7. La sollecitudine del futuro deve aversi a tempo debito e non si deve anticipare; cos di primavera giusta la sollecitudine della potatura delle viti, ma sarebbe sciocca in quel tempo la sollecitudine della vendemmia. 8. Questi vizi, che assomigliano alla prudenza, sono contro luso retto della ragione, che appartiene sopratutto alla giustizia, ed hanno origine dallavarizia, che in sommo grado alla giustizia si oppone.

Quest. 56. Precetti di prudenza. 1. Nel decalogo non occorreva un precetto particolare sulla prudenza, perch a costituire la prudenza, che direttiva di atti virtuosi, concorre tutto il decalogo. 2. Ci sono, vero, nel vecchio Testamento precetti proibitivi delle forme di simulata prudenza, quali linganno e la frode, ma ci sono pi nei riguardi della giustizia, cui si oppongono, che nei riguardi della prudenza, cui somigliano.

Quest. 57. Il diritto. 1. Mentre le altre virt dirigono luomo in ordine a se stesso, la giustizia lo dirige in ordine agli altri in ci che loro si deve; si dice aggiustare, porre ci che adegua, e ci che adegua forma eguaglianza, perci la giustizia importa eguaglianza; e poich mirando a questo scopo luomo ben diretto in ordine agli altri, perci la giustizia, che a ci mira, ha per oggetto il diritto, latinamente jus.

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2. Una cosa pu essere adeguata, cio commisurata, alluomo o per natura della cosa, o per un patto posto, cio per una convenzione sia privata che pubblica: il diritto quindi si distingue in naturale e positivo. 3. Il diritto naturale comprende ci che per natura commisurato ad altri, e pu esserlo o assolutamente, come la relazione tra un padre e il suo figlio, che deve nutrire, o non assolutamente, come la relazione fra un padrone e il suo campo, nella quale non il campo che esige di essere del tal padrone, ma il padrone che per la coltura e luso esige di possedere il tal campo. Il diritto naturale poi si distingue dal diritto delle genti, perch quello comune anche agli animali, questo proprio solo degli uomini. 4. Diritto ci che commisurato ad altri: ma questo altri pu essere o estraneo o non estraneo e il non estraneo pu essere o il servo o il figlio, perci il diritto si sottodistingue in paterno e dominativo.

Quest. 58. La giustizia. 1. La virt che abito operativo, importa atti volontari, fermi e stabili; la giustizia ha per oggetto il jus o diritto, cio quello che commisurato ad altri, perci la giustizia come virt viene definita: Perpetua e costante volont di attribuire a ciascuno il suo diritto. 2. Una cosa non si dice, se non metaforicamente, eguale a se stessa, perci la giustizia, che importa leguaglianza, importa insieme relazione ad altri, e relazione a se stesso pu importarla soltanto metaforicamente. 3. Ci che rende buoni gli atti e chi li compie virt; la giustizia fa rette, e perci rende buone, le operazioni delluomo, perci la giustizia virt. 4. La giustizia appartiene alla volont e non gi allintelletto, i cui atti sono conoscitivi e non operativi, e nem-

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meno allappetito sensitivo perch questo non sa considerare la commisurazione di una cosa ad altri. 5. La giustizia si pu dire una virt generale, perch essa dirige gli atti di tutte le virt al bene generale o comune; e poich tale il compito della legge, perci tale giustizia generale si dice legale; 6. la giustizia generale una speciale virt se ha per oggetto particolare il bene generale, si identifica colle altre virt se le coordina al bene generale. 7. Ma oltre alla giustizia generale, che dirige gli uomini in ordine al bene comune, c anche la giustizia particolare, che dirige gli uomini nelle relazioni fra singoli. 8. E poich le relazioni esteriori fra singoli stanno in cose e in parole, perci materia della giustizia particolare sono le cose e le parole; 9. e poich invece relativamente alle passioni interne gli uomini non stanno in immediata relazione fra loro, perci le passioni interne non sono materia della giustizia particolare. 10. Se la materia della giustizia particolare sono le parole e le cose esteriori, il giusto mezzo di questo virt sta nel giusto mezzo delle cose stesse in relazione alle persone, 11. e perci latto proprio della giustizia sta nel rendere alle persone le cose che dalla demarcazione del giusto mezzo restano loro proporzionate; atto di giustizia rendere a ciascuno il suo. 12. La giustizia, che regola la volont in ordine al bene degli altri, la pi utile delle virt, essa quindi la pi grande delle virt morali.

Quest. 59. La ingiustizia. 1. La ingiustizia si oppone alla giustizia; la giustizia una virt speciale, perci lingiustizia un vizio speciale.

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2. Chi commette uningiustizia con precisa intenzione e determinazione ingiusto, non lo invece chi la commette senza intenzione o agendo sotto limpulso dellira. 3. Per s, si agisce di volont e si patisce contro volont; perci si pu soltanto commettere lingiustizia volendola e soffrirla non volendola; ma accidentalmente si pu anche commettere lingiustizia non volendola, come quando non lo si sa, e patirla volendola, come quando si paga pi di quanto si deve. 4. Ci che contro la carit, che la vita dellanima, peccato mortale; nuocere al prossimo contro la carit e nuocere al prossimo fare cosa ingiusta; quindi il fare cosa ingiusta un peccato di genere mortale.

Quest. 60. Giudicare. 1. Il giudizio la determinazione di ci che giusto, perci giudicare atto di giustizia e il giudice la giustizia animata. Cos Aristotele. 2. Il giudizio in tanto lecito in quanto atto di giustizia e perch sia tale occorre che non sia fatto n contro giustizia, n da chi non ha autorit, n con insufficienti motivi. 3. Il sospetto proviene o da eguale difetto, o da cattivo affetto, o da troppa esperienza; in ogni modo sempre vizio e tanto pi grande quanto pi avanzato il sospetto; in questo vi sono tre gradi: I. da lievi indizi si comincia a dubitare, e questo peccato veniale, di tentazione umana; II. da lievi indizi si giudica come cosa certa uno cattivo e questo in cosa grave peccato mortale; III. un giudice per solo sospetto pronuncia una condanna e questa diretta ingiustizia ed peccato mortale. 4. Quando gli indizi sono dubbi, per non essere ingiusti col prossimo, dobbiamo interpretarli in bene e non ritenere cattivo nessuno senza prove. Nullus malus nisi probetur.

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5. Le leggi insegnano il diritto naturale e contengono il diritto positivo, perci la sentenza, che determinazione del giusto, deve essere conforme alla legge scritta. 6. Una sentenza ha forza di legge perch interpretazione della legge; ed alla stessa autorit spetta fare e interpretare la legge, perci come una legge cos anche una sentenza non ha valore se emanata da chi non ha autorit.

Quest. 61. Parti della giustizia. 1. Nelle relazioni di giustizia si pu considerare lordine o delle parti fra di loro o del tutto colle parti, e cio o delle persone particolari o delle comunit coi singoli e con ci la giustizia si distingue in commutativa e distributiva. 2. Il giusto mezzo nella giustizia commutativa va preso matematicamente, cosicch a chi presta dieci si deve dieci; nella distributiva invece va preso geometricamente, cosicch uno per essere rimunerato il doppio degli altri deve valere o prestare il triplo di loro. 3. Bench alla giustizia commutativa e distributiva servano le stesse cose, tuttavia esse riguardano azioni diverse, perch la commutativa direttiva degli scambi, mentre la distributiva direttiva delle ripartizioni, hanno perci materia diversa. 4. Nella giustizia commutativa la proporzione di cosa a cosa e in tal maniera si devono corrispondere loffesa e la pena, perch sia giusta, ed altrettanto la prestazione e la privazione, lopera e la mercede, lazione e la ricompensa e a servire a questo furono introdotte le monete. Ma nella giustizia distributiva la proporzione invece geometrica e perci il corrispettivo diverso.

Quest. 62. La restituzione. 1. Restituire significa ristabilire uno nel possesso o nel dominio di ci che

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suo; in ci si guarda alleguaglianza di cosa a cosa, che propria della giustizia commutativa; perci restituire atto della giustizia commutativa. 2. Come di necessit della salute conservare la giustizia, cos di necessit della salute restituire il maltolto, o in proprio, o in equivalente se il proprio impossibile, come nel caso di mutilazione. 3. Dopo un furto necessario e sufficiente restituire semplicemente ci che daltri; ma se si aggiunge anche una sentenza del giudice, che condanna a una pena, allora bisogna scontare anche questa pena. 4. Ciascuno obbligato a restituire ci di cui priv un altro; se la privazione di ci che questi realmente aveva, deve seguirsi la proporzione di eguaglianza; ma se la privazione di ci che esso non aveva ancora ed era soltanto in via di ottenere, non si obbligati al tutto, ma soltanto a un compenso proporzionato alla condizione delle persone e degli affari. 5. Leguaglianza che la giustizia importa vuole che chi ha meno di quanto gli appartiene abbia il completo perci la restituzione, per se, da farsi a colui cui fu tolto, a meno che non ci siano cause che vogliono altrimenti. 6. Nella restituzione bisogna distinguere la cosa altrui presa e lazione di prenderla: quanto alla cosa, deve restituirla chi la prese finch in sua mano; quanto allazione di prenderla se fu in danno altrui, come nel furto, o in vantaggio proprio, come nel prestito, si tenuti alla restituzione della cosa ancorch non la si abbia pi in mano; ma se non fu n in danno altrui n in proprio vantaggio, come nel deposito, allora non si tenuti n per la cosa presa n per lazione di prenderla. 7. Alla restituzione sono tenuti non solo coloro che presero la roba altrui, ma anche coloro che vi concorsero direttamente o indirettamente sia con azione positiva che negativa; e fra essi chi in qualunque modo causa effica-

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ce del furto obbligato alla restituzione, anche indipendentemente dallobbligo altrui. 8. Come il prendere cos il ritenere la roba altrui costituisce in istato di peccato, che si deve fuggire; perci la restituzione si deve fare subito, per quanto possibile.

Quest. 63. Preferenza di persone. 1. Le preferenze di persona sono peccato, perch sono contro la giustizia distributiva; per esse infatti si d a uno non perch la cosa gli dovuta, ma perch egli la tal persona; 2. e usare preferenze nelle cose spirituali di Chiesa peccato pi grave, perch esse hanno valore pi del cose temporali. 3. Tale peccato pu esserci anche negli atti di ossequio e di riverenza, quando si fanno solo in vista delle altrui ricchezze, mentre per s onorare fare testimonianza dellaltrui virt. 4. I riguardi personali e le preferenze sono peccato anche in una sentenza del giudice, perch impediscono che essa sia atto di giustizia.

Quest. 64. Lomicidio. 1. Nellordine naturale le cose imperfette sono a uso delle pi perfette, sono quindi subordinate le piante agli animali e questi alluomo. Perci, il comandamento: non ammazzare, riguarda luomo. 2. Come le cose inferiori sono subordinate alle superiori, cos la parte subordinata al tutto e come per la salute del corpo talora si amputa un membro malato, cos uno scellerato, che pericoloso alla societ, pu anche essere ucciso; 3. ma questo riservato a colui cui spetta la tutela della societ; non possono quindi i privati uccidere i malfattori;

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4. a coloro poi che hanno gli ordini sacri ci assolutamente proibito perch devono rivestirsi della mansuetudine di Ges Cristo. 5. Il suicidio proibito I. perch contro la natura, che inclina alla propria conservazione, e alla carit, per cui ciascuno deve amare se stesso; II. perch unoffesa alla societ, cui si appartiene; III. perch la vita un dono affidato da Dio, ma sempre soggetto al suo potere e il suicidio ne usurpazione. Perci esso non lecito n per voler andar tosto in Paradiso; n per sottrarsi a una morte terribile o a dispiaceri gravissimi; n per punirsi di qualche peccato e nemmeno per impedire di essere oggetto dellaltrui peccato, perch non dobbiamo fare un peccato noi per impedire che ne commettano gli altri. Certe morti di Santi sono da ascriversi allispirazione di Dio, padrone assoluto della vita umana. 6. Per chi innocente non si verifica il caso dello scellerato nocivo alla societ, perci non mai lecito uccidere un innocente. Se noi siamo solo depositari della vita, Dio ne padrone e il sacrificio di Isacco era lecito per il comando di Dio. 7. Uccidere per difendersi non peccato; perch la difesa importa due effetti cio la conservazione propria, cui si mira, e la uccisione altrui che ne segue senza volerla. Ci per purch si usi la moderazione dellincolpevole tutela propria. 8. Se caso ci che succede oltre la nostra intenzione, chi per caso uccide uno non reo di omicidio a meno che ne sia reo in causa, per non aver cio usata la dovuta diligenza o per aver atteso a cose per tale pericolo illecite.

Quest. 65. La mutilazione. 1. Mutilare pu quellautorit pubblica che pu anche uccidere, ma non pu farlo

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un privato, neanche se colui che viene mutilato contento, a meno che si tratti di un membro guasto che bisogna amputare per la salute del corpo. 2. A titolo di correzione e di disciplina i genitori possono, non uccidere e nemmeno mutilare, ma battere i fgliuoli soggetti alla loro potest; per con moderazione. 3. Infine privare del moto e delluso delle membra coi ceppi e col carcere lecito secondo lordine della giustizia a titolo di pena o di prevenzione; agli altri illecita qualunque forma di detenzione. 4. Tali peccati poi a parit di condizione sono pi gravi se si commettono verso persone che hanno congiunti, perch a questi si estende lingiuria e il danno.

Quest. 66. Furto e rapina. 1. naturale alluomo il possesso delle cose fuori di lui, non certo quanto alla loro natura, che soggetta esclusivamente al potere di Dio, ma ben certo quanto al loro uso per la sua utilit; 2. e per ragione di questa utilit lecita la propriet privata delle cose quanto alla produzione e destinazione dei frutti; questo necessario alla vita umana per tre ragioni: I. ciascuno sollecito di procurare ci che deve servire a lui solo pi di ci che deve servire a tutti; II. c pi ordine se a ciascuno assegnata la propria cura; III. Tanto pi lo Stato pacifico quanto pi ciascuno contento del suo stato; ma non lecita la propriet privata delle cose quanto al loro uso, quando questa sia collesclusione assoluta degli altri; perch luso si deve comunicarlo facilmente agli altri secondo le necessit. La comunione dei beni di diritto naturale nel senso che il diritto naturale non assegna i privati possessi; questi dipendono da convenzione umana, per cui se la propriet privata non viene dal diritto naturale, non gli nemmeno contraria ed un portato della ragione umana;

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il diritto civile poi regola luso e la trasmissione della propriet. 3. Furto prendere ci che altri possiede come suo, di nascosto. 4. La rapina prendere ci che daltri, colla violenza, aggiunge quindi al furto la violenza ed perci un peccato di specie diversa dal furto. 5. Il furto contro la giustizia ed ha anche dellinganno o della frode, perci ogni furto peccato. Le cose trovate, se esse prima non furono di nessuno o furono abbandonate, sono di chi le trova. 6. Ci che contro la carit, che la vita dellanima, peccato; il furto contrario alla carit, perch nuoce al prossimo tanto che se gli uomini si rubassero di continuo a vicenda sparirebbe la stessa convivenza sociale; perci il furto peccato mortale. Dal peccato mortale scusa la parvit della materia, perch il poco riputato quasi niente. 7. Il diritto umano non pu derogare al diritto naturale e divino. Nellordine naturale per divina provvidenza le cose inferiori sono ordinate a sovvenire alle necessit umane. Perci la propriet privata, che procede da diritto umano, non pu impedire che con tali cose si sovvenga a una umana necessit. Perci quello che sovrabbonda si deve di diritto naturale agli indigenti; resta libera la distribuzione, perch questi sovrabbondano. Che se la necessit evidente ed urgente, ciascuno pu soccorrere se stesso con ci che altri ha e questo non furto, n rapina. 8. La rapina furto con coazione. La coazione spetta al principe secondo lordine di giustizia, cosicch esercitata contro i malfattori e i nemici non sarebbe pi rapina: ma ai privati la coazione sempre illecita. 9. La rapina pi grave del furto, perch oltre il danno alle cose, involge anche ingiuria alle persone.

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Quest. 67. Ingiustizia nel Giudice. Un giudice non pu dare sentenza su chi non gli in qualche modo soggetto, perch la sentenza una legge particolare e la legge non pu farla se non chi ha autorit sui suoi sudditi. 2. Il giudice, fungendo da autorit pubblica, deve giudicare secondo quanto gli risulta esercitando, nella discussione della causa, lautorit pubblica di cui investito, ancorch a lui, come persona privata, fosse noto il contrario. 3. Il giudice non pu condannate per un delitto se manca laccusatore, perch egli interprete della giustizia e la giustizia importa relazione ad altri; egli quindi non pu giudicare se non fra due. 4. Il giudice soltanto giudica fra laccusatore e il reo e giudica, non di propria, ma di pubblica autorit. Spetta perci a chi investito della pubblica autorit, spetta cio solo al principe, condonare la pena se laccusatore consente.

Quest. 68. Laccusa. 1. Mentre la denuncia (33: 6, 7) tende alla correzione del fratello, laccusa tende alla punizione del reo. Le pene di quaggi non sono lultima retribuzione, ma servono di medicina o del reo o della societ. Perci chi conosce un delitto che di pregiudizio della societ deve farne laccusa, purch possa provarlo. 2. convenientemente stabilito che laccusa sia formulata per iscritto, perch cos le cose si fissano e si precisano e danno modo al giudice di procedere con certezza. 3. Laccusa ordinata al bene pubblico, ma questo non si deve promuovere ingiustamente; ci avverrebbe o calunniando laccusato o impedendone la punizione colla frode; o desistendo dallaccusa; perci ingiusta la calunnia, la prevaricazione e la tergiversazione. 4. Se la giustizia eguaglianza, giusto che laccusatore, il quale non pu provare laccusa, sia punito con quella

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pena con cui egli voleva fosse punito il prossimo; questa la pena del taglione.

Quest. 69. Ingiustizia nel reo. 1. Laccusato non pu senza peccato mortale negare la verit per salvarsi dalla condanna, perch atto di giustizia prestarsi nellordine giuridico allazione del giudice; ma se questi procede non giuridicamente, pu appellarsi e non rispondere, o in qualche modo sottrarsi. 2. Dire il falso diverso dal tacere il vero: non si sempre obbligati a dire il vero, ma si sempre obbligati a non dire il falso; nel tacere il vero altre sono le vie della prudenza, come far uso di risposte evasive, e queste sono lecite; altre sono le vie dellastuzia, come difendersi calunniosamente, e queste sono proibite. 3. Pu uno appellare quando confida nella giustizia della sua causa, ma non pu appellare quando mira a differire lapplicazione della giustizia, perch sarebbe eluderla e difendersi calunniosamente. 4. Un condannato a morte se la condanna giusta non pu resistere alla forza pubblica, perch ne seguirebbe una guerra da parte sua ingiusta; ma se la condanna ingiusta pu resistere come si trattasse di assassini, purch per non ci sia scandalo da evitare.

Quest. 70. Ingiustizia nel teste. 1. Chi giuridicamente citato dal suo superiore come testimone tenuto a comparire quando i fatti si possono provare o sono notori; altrimenti no; e se chi lo cita non il suo superiore obbligato a comparire solo quando si tratta di liberare il prossimo da una condanna. 2. Nei fatti umani possibile soltanto una certezza morale che si ottiene per testimonianza della moltitudine; la moltitudine risulta di almeno tre: principio, cor-

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po e fine; perci la prova di due testi, che collaccusatore fanno tre, necessaria e sufficiente; 3. questa testimonianza, che non di certezza assoluta ma soltanto di probabilit, inefficace e pu essere respinta quando involge una probabilit in contrario per la condizione del teste dipendente o da infamia da inimicizia e quindi con colpa; o da insufficiente uso di ragione, o da consanguinit o da stato e quindi anche senza colpa. 4. La falsa testimonianza sempre peccato mortale, perch uno spergiuro, uningiustizia e una falsit.

Quest. 71. Ingiustizia negli Avvocati. 1. Patrocinare le cause dei poveri una delle opere di misericordia e a queste si tenuti del superfluo: a patrocinare poi la causa di un dato povero tenuto un avvocato solo quando si verifica il caso di estrema necessit cui non si pu altrimenti sovvenire. 2. Lufficio di avvocato vietato a taluni, come i sordomuti, per ragioni di impotenza, e ad altri, come i monaci, per ragioni di decoro. 3. Difendere una causa ingiusta cooperare allingiustizia, e se un avvocato scientemente lo fa, non solo pecca, ma anche tenuto alla restituzione. 4. Lavvocato, fuori dei casi di obbligo, vende il suo patrocinio e perci lecitamente prende quel denaro, che gli compete come giusta ricompensa.

Quest. 72. Le ingiurie. 1. La contumelia sta nel disonorare uno principalmente colle parole rendendo noto in faccia di lui e di altri ci che contro il suo onore; 2. essa peccato mortale se c proprio intenzione di disonorarlo, perch togliere lonore per lo meno quanto togliere la roba altrui.

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3. Per la virt della pazienza dobbiamo avere lanimo disposto a tollerare le offese; ma talvolta dobbiamo respingerle o per correzione delloffensore o per tutela della nostra dignit e autorit. 4. La contumelia si pu dire figlia dellira, perch il suo fine coincide col fine dellira, che la vendetta.

Quest. 73. La detrazione. 1. La detrazione sta nel disonorare uno colle parole di nascosto; essa assomiglia al furto, come la contumelia assomiglia alla rapina, e se questa derogazione dellonore, essa denigrazione della fama; 2. ed essendo la fama la pi preziosa delle cose temporali, togliere scientemente la fama per s peccato mortale, che importa anche lobbligo della restituzione. 3. La detrazione per non il pi grave peccato contro il prossimo, perch la fama, che si lede colla detrazione, uno dei beni esterni delluomo, mentre i beni interni dellanima e del corpo sono pi preziosi. 4. Chi ascolta una mormorazione e non la impedisce per la ragione che gli piace, reo dello stesso peccato, perch partecipe; ma se non gli piace e omette di impedirla solo per negligenza o per riguardo, di solito, pecca solo venialmente.

Quest. 74. La mormorazione. 1. La mormorazione eguale nella materia e nella forma alla detrazione, ma ne differisce nello scopo, perch il mormoratore mira a separare le amicizie, 2. e poich lamicizia un bene maggiore della fama, perch la buona fama mezzo alle amicizie, perci la mormorazione un peccato pi grave della detrazione.

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Quest. 75. La derisione. 1. La derisione si distingue dagli altri vizi di lingua, perch ha uno scopo distinto, quello cio di fare arrossire chi vien deriso. 2. La derisione, che deprime non la fama di uno, ma la sua stessa persona, tanto pi grave quanto pi onorabile tale persona; secondo quindi le circostanze del difetto e della persona che si deride pu essere peccato mortale.

Quest. 76. Le maledizioni. 1. illecito maledire collanimo di maledire cio desiderando o imprecando un male al prossimo; questo per diverso dallesecrare un delitto, dal prenunciare un giusto castigo e dal desiderare un correttivo del male. 2. Maledire alle creature irrazionali in quanto sono creature di Dio bestemmia; maledirle invece in se stesse una cosa oziosa e sciocca. 3. Maledire con animo di maledire augurando un male grave peccato mortale se non lo scusa la leggerezza o limpeto di passione. 4. La maledizione meno grave della detrazione, perch questa ha per oggetto il male di colpa e quella ha per oggetto il male di pena.

Quest. 77. Frodi nelle compra-vendite. Vendere pi caro usando frode inganno e danno, perci peccato. Anche se non c frode, nelle compra-vendite, introdotte affinch gli uomini si giovino a vicenda nella eguaglianza delle cose determinata dalla moneta, vendere a maggior prezzo o comperare a minor prezzo contro la eguaglianza, perci ingiusto ed illecito. C ragione di vendere a pi caro prezzo se la cessione per chi vende anche una privazione, perch allora ha un doppio titolo; non cos se per chi vende non c privazione, ma solo

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chi compra ha un giovamento, perch chi vende non ha doppio titolo. Il giusto prezzo non appuntino determinato, ma si computa fra un po pi e un po meno. 2. Quando la cosa non della stessa specie, ma vien cambiata; ovvero la misura non giusta, ma mancante; ovvero la qualit non quella dovuta, ma scadente, la vendita illecita, perch c difetto. 3. Essendo illecito dare occasione di pericolo o di danno, non si pu vendere una merce viziata, a meno che si manifesti il vizio se esso occulto, e si riduca il prezzo quando il vizio palese. 4. Il negoziare, bench non sia lodevole, perch ha per scopo solamente il lucro di cui facilmente luomo insaziabile, tuttavia non illecito quando il lucro moderato e ordinato a un fine onesto, come il sostentamento della famiglia.

Quest. 78. Mutuo ed usura. 1. Usura farsi pagare luso di una cosa; essa illecita quando luso si identifica col consumo, come sarebbe del vino, perch non ha ragione o titolo di essere; non invece illecita quando luso non si identifica col consumo, come sarebbe di una casa. Nel denaro che si presta per le necessit della vita luso si identifica col consumo, per esso quindi lusura illecita. 2. Ma se per tali prestiti illecita lusura, sia in denaro che in equivalente, come dovuta per patto espresso o tacito, non per illecito ricevere qualche spontaneo segno di gratitudine ed esigere maggiore benevolenza ed amore, che non sono equivalenti di denaro. Chi presta pu, per es. pattuire un compenso per il disagio e il danno che gli cagionano la privazione di ci che presta.

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Nulla pu essere pattuito per il pericolo del capitale; nel prestito di cosa, in cui coincide colluso il consumo, il dominio non resta in chi la presta, altrimenti il consumo per conto suo: perit domino; il dominio trasferito in chi la riceve e questi assume in s il pericolo della perdita del capitale. Fare societ poi non trasferire il dominio; non c quindi mutuo, di cui illecita lusura. 3. Poich nelle cose in cui non si distingue luso dal consumo non c giuridico usufrutto, perci chi ha in prestito di tali cose non tenuto che a restituire il capitale, ancorch ne abbia ricavati dei frutti, perch questi sono dovuti alla sua ingegnosit; non cos delle cose, come un campo, in cui c giuridico usufrutto. 4. Farsi concedere un prestito a interesse illecito, perch sarebbe indurre uno al peccato; lecito per adattarsi alla necessit di accettarlo da chi non presta denaro se non a interesse, perch non fare il male, ma subirlo.

Quest. 79. Parti integrali della giustizia. 1. Sono parti integrali della giustizia, che concorrono cio alla perfezione dellatto, levitare il male e fare il bene, presi non nel senso generale, ma nel senso che per bene si intende ci che al prossimo dovuto e per male si intende ci che al prossimo di danno. 2. La trasgressione uno speciale peccato, perch in s involge il disprezzo dello speciale precetto contro cui va e anche perch la trasgressione contro i precetti negativi, mentre la omissione contro i precetti positivi, 3. e anche la omissione, che si oppone, non al bene dovuto generalmente, ma al bene dovuto al prossimo come oggetto della giustizia, uno speciale peccato. 4. Per s la trasgressione, che contro i precetti negativi, pi grave dellomissione, che contro i precetti positivi, perch anche quelli sono pi gravi di questi.

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Quest. 80. Sue parti potenziali. 1. Le parti potenziali della giustizia sono le parti che riguardano gli atti secondari della virt e in qualche cosa con lei convengono e in qualche cosa non convengono; e poich la giustizia ha per oggetto ci che ad altri dovuto, bisogna considerare laltri come Dio, i genitori etc; e bisogna anche considerare l dovuto, cio il debito che pu essere legale o morale e questo o di necessit di essere o di necessit di bene essere, sono perci parti potenziali della giustizia: la Religione, la Piet, losservanza ecc.

Quest. 81. La Religione. 1. La Religione tanto nel senso di rielezione, propugnato da Cicerone, quanto nel senso di rilegamento, propugnato da S. Agostino, importa ordine di relazione esclusivamente a Dio. 2. La Religione porta a dare a Dio lonore che a Lui dovuto; rendere a uno ci che gli dovuto un atto buono; la Religione quindi che ne principio virt. 3. La Religione ha un oggetto unico, quindi una virt unica; 4. inoltre essa una virt speciale, perch ha un oggetto speciale, cio lonore dovuto a Dio, che un onore tutto speciale; 5. e poich loggetto della Religione lonore dovuto a Dio, Dio il fine, ma non loggetto di questa virt, perci essa non virt teologica; 6. e poich ancora la Religione fra le virt morali quella che pi va vicino a Dio, perci essa la pi eccellente di quelle. 7. La Religione sta non solo negli atti interni, ma anche negli atti esterni, perch questi sono subordinati agli interni, come il corpo subordinato allanima. 8. Religione e santit, (che grecamente significa niente terra e latinamente mondezza) bench siano essenzialmente la stessa cosa, tuttavia santit dice piuttosto appli-

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cazione della mente a Dio e Religione dice invece esercizio del culto a Dio dovuto, quindi c ragione di distinguerle.

Quest. 82. La devozione. 1. La devozione, che una volont di fare con prontezza ci che appartiene al servizio di Dio, un atto speciale della volont, 2. ed un atto di religione, perch il servizio di Dio spetta alla religione. 3. Della devozione la causa estrinseca e principale Dio, ma da parte nostra la causa intrinseca la meditazione, perch lintelletto che apre la via alla volont, mostrandoci la bont divina e la miseria nostra; 4. e i suoi effetti sono: diletto per la considerazione della divina bont; tristezza unita a speranza per la considerazione delle miserie nostre.

Quest. 83. Lorazione. 1. Lorazione (etimologicamente orale ragione ) atto della ragione pratica, che dispone in ordine a chi superiore, cui conviene non comandare, ma domandare e perci va definita domanda a Dio di cose convenienti. 2. Come non vero che gli eventi umani non siano governati dalla Provvidenza divina o che dipendano da una legge di necessit, cos non neppure vero che i decreti della Provvidenza si mutino; ci nonostante lorazione necessaria per ottenere ci che Dio ha disposto che si compia per mezzo delle orazioni. 3. Lorazione un atto di religione, perch collorazione ci professiamo bisognosi di Dio, onoriamo cos Dio e lonorare Dio Religione. 4. Lorazione si presenta a uno o perch da lui sia esaudita o perch da lui sia patrocinata; nel primo mo-

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do si deve pregare solamente Dio, nel secondo modo si possono pregare anche i Santi. 5. Bench Socrate pensasse che a Dio si deve domandare beni indeterminatamente, siccome ce ne sono di quelli, come gli onori, che riescono a male, cos conviene chiedere determinatamente i beni che giovano per questa vita e per laltra, come insegn Ges col Pater noster; 6. i beni quindi temporali si devono chiedere non come fine a se stessi, ma come mezzi alla beatitudine, cio in quanto servono organicamente agli atti di virt. 7. Dobbiamo chiedere ci che dobbiamo desiderare e siccome dobbiamo desiderare non solo il bene nostro, ma anche quello del prossimo, cos dobbiamo pregare anche per il prossimo, anzi la preghiera della carit fraterna pi grata a Dio; 8. e siccome la carit vuole che amiamo anche i nemici, cos vuole che preghiamo anche per i nemici, se non in particolare, fuori del caso di necessit, almeno non escludendoli alle nostre preghiere. 9. Lorazione domenicale orazione perfetta, perch in quella non solo si chiedono tutte le cose che possiamo rettamente desiderare, ma anche collordine con cui le dobbiamo desiderare; infatti si comincia col fine del nostro desiderio, cio Dio, e seguono prima le cose che a quello ci conducono, poi le cose che da quello ci allontanano. 10. Se lorazione atto della ragione pratica, il pregare non spetta agli animali irragionevoli; 11. e se lorazione atto di carit, i Santi, che sono in Paradiso e hanno una carit pi perfetta, tanto pi pregano per chi ne ha bisogno, cio per noi, e le loro orazioni sono tanto pi efficaci quanto a Dio essi sono pi vicini. 12. lorazione comune non pu che essere vocale, tale perci lorazione dei ministri della Chiesa: lorazione invece singolare non necessario che sia vocale; per

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conveniente che lo sia: I. per incitare la divozione interna; II. per pagare a Dio il debito dovuto anche dal corpo; III. perch una naturale ridondanza dallanima al corpo. 13. Lorazione ha tre effetti e cio di merito, di esaudimento e di pascolo della mente: per i primi sufficiente lattenzione di prima intenzione cio virtuale, ma per il terzo necessaria lattenzione attuale, essa poi pu essere rivolta o alle parole, o al senso, o a Dio. 14. Lorazione deve essere continua nella sua causa, che la carit, ma in se stessa deve durare quanto serve, senza tedio, a eccitare il fervore interno. 15. Lorazione non soltanto causa di consolazione spirituale, ma anche meritoria per la carit che ne la radice ed efficace per la grazia di Dio, il quale vuole che lo preghiamo mentre non ci esorterebbe a chiedere se Egli non volesse dare. Ed sempre esaudito chi chiede per s cose necessarie alla salute con piet e perseveranza. 16. I peccatori che pregano come peccatori, cio secondo desideri di peccato, meritano di essere puniti anzich di essere esauditi; ma se la loro orazione proviene da desiderio naturalmente buono, Dio li ascolta non per giustizia, perch non hanno merito, ma per sua misericordia. 17. Le parti dellorazione, come si vede negli Ormus, sono 4: lorazione nellelevazione della mente a Dio, il ringraziamento dei benefici passati, il voto o desiderio relativo ai benefici futuri, e la supplica fatta per Dominum nostrum J. C.

Quest. 84. Culto esterno di latria. 1. Ladorazione atto di Religione, perch con essa si presta onore a Dio. 2. Dobbiamo a Dio onore corpo ed anima, perci ladorazione esterna ed interna e luna allaltra subordinata:

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3. ed un determinato luogo per esercitarla, se non necessario per ladorazione interna, certo per conveniente per ladorazione esterna.

Quest. 85. Il sacrificio. 1. Offrire sacrificio a Dio di diritto naturale; lo hanno praticato tutti i popoli in ogni et e la ragione naturale insegna che luomo ha una naturale dipendenza da un essere superiore e che il naturale modo di manifestarla sono i segni sensibili. 2. Il sacrificio esterno segno del sacrificio interno, del sacrificio cio dellanima che si offre a chi suo principio di creazione e suo fine di beatificazione. Ma tale solo Dio; dunque il sacrificio si deve offrire solo a Dio. 3. Offrire sacrificio un atto che fatto oggetto di speciale lode nella S. Scrittura, perci esso un atto speciale di virt e precisamente di religione. 4. Essendo il sacrificio di diritto naturale, tutti vi sono obbligati; va per distinto il sacrificio interno, al quale sono obbligati tutti, e il sacrificio esterno, il quale incombe a coloro che vivono sotto la Legge, la quale talora lo comanda e talora lo consiglia.

Quest. 86. Offerte e primizie. 1. I fedeli sono tenuti alle offerte, non per la Legge dellAntico Testamento, ma o per una convenzione fatta colla Chiesa, o per un voto emesso, o per le necessit della Chiesa, o in forza della consuetudine. 2. Le offerte vanno fatte al Sacerdote, che mediatore fra Dio e il popolo, affinch servano per i ministri della Chiesa, per il culto della Chiesa e per i poveri della Chiesa. 3. Nella Legge del Nuovo Testamento non c pi la distinzione fra creature monde ed immonde, ma tutto

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mondo per merito di G. C. perci si pu di ogni cosa fare offerta a Dio, purch per sia di buon possesso. 4. I fedeli, come sono tenuti alle offerte, cos sono tenuti alle primizie secondo la consuetudine della regione e della Chiesa.

Quest. 87. Le decime. 1. Nel Vecchio Testamento le decime erano dovute per il sostentamento dei ministri della Chiesa: questa ragione naturale sussiste anche ora, perci anche ora le decime sono dovute; e poich nel Nuovo Testamento lautorit risiede nella Chiesa, cos ora spetta alla Chiesa stabilire con equit e benignit la parte che si deve intendere per decima. 2. La radice del debito sta in questo che chi semina le cose spirituali ha diritto di mietere nelle temporali, le quali sono tutte date da Dio, perci il dovere di pagare le decime si estende a tutte le cose temporali. 3. Chi semina le cose spirituali il Sacerdote, a lui quindi si deve pagare la decima; essa per una cosa temporale, perci pu passare anche ai laici. 4. Il dovere di pagare le decime si estende a tutti i fedeli che possedono di proprio, perci anche quelli dello stato clericale, che possedono di proprio, devono pagare le decime.

Quest. 88. Il voto. 1. Il voto una promessa fatta a Dio; Dio legge anche il pensiero, perci la promessa pu essergli fatta anche col solo pensiero: ma la promessa procede da un proposito e il proposito procede da volont deliberata, perci a formare il voto sono necessarie tre cose: deliberazione proposito e promessa. 2. Il voto una promessa che si fa Dio, deve perci essere di cosa, non che gli sia contraria come il peccato, ma che gli sia grata come un atto di virt; deve essere

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di cosa possibile e alla quale non si sia gi tenuti per necessit di salute, ma che meglio conduce alla salvezza dellanima e perci il voto si dice promessa di un bene migliore. 3. Se ogni promessa un debito, tanto pi lo una promessa fatta a Dio; perci ogni voto obbliga; 4. e poich ci che si vota, pi che ad utilit di Dio torna ad utilit nostra, perci conveniente fare voti. 5. Il voto disporre qualche cosa in onore di Dio, perci il voto un atto di religione. 6. pi lodevole e meritorio fare qualche cosa per voto, che senza voto, perch col voto ogni atto diventa un atto di culto, ne segue una maggior soggezione a Dio e la volont resta fissata nel bene. 7. Il voto nel ricevere gli ordini sacri e nella professione religiosa viene reso solenne per una benedizione spirituale o per una consacrazione di istituzione apostolica. 8. Se il voto promessa di cosa possibile, deve essere di cosa che non soggetta allaltrui potest, perci i dipendenti non possono fare voti senza il consenso dei superiori. 9. I fanciulli non possono obbligarsi a farsi religiosi, e perch non hanno la capacit della relativa deliberazione e perch sono soggetti alla potest dei genitori, e questa tale che anche se ne avessero la relativa capacit, il loro voto pu essere annullato dai genitori. 10. Il voto importa una legge particolare, ma alla legge particolare prevale la legge generale, che pu modificare la legge particolare in tutto o in parte; conci il voto viene o dispensato o commutato. 11. Uno non pu restare monaco e contemporaneamente essere dispensato dal voto di povert e di castit nemmeno per autorit del Sommo Pontefice, perch monaco vuol dire solo. 12. Il voto promessa fatta a Dio di qualche cosa che a Dio sia grata; ma chi giudica in persona di Dio ci che

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pi o meno grato il Superiore ecclesiastico; perci alla dispensa o commutazione del voto occorre lautorit del Superiore ecclestico.

Quest. 89. Il giuramento. 1. Un fatto non si prova colle ragioni, ci vogliono testimonianze; ma la testimonianza umana non d la certezza, occorre quindi ricorrere alla testimonianza divina; questo ricorso si chiama giuramento, che pu essere assertorio o promissorio. Giurare quindi chiamare Dio in testimonio di ci che si asserisce o si promette; 2. e giurare una cosa buona e perci lecita, purch non se ne usi male, cio senza necessit e senza la debita cautela; 3. perci il giuramento deve essere fatto con verit, con giudizio e con giustizia; 4. il giuramento allora importa una professione della superiorit assoluta, della sapienza e della indefettibile verit di Dio; un onorare Dio; un atto di religione. 5. Il giuramento che rimedia il difetto della testimonianza umana come una medicina, perci al giuramento, come alle medicine, si deve ricorrere non sempre, ma quando ce n necessit. S. Si pu giurare anche per le creature, non in se stesse, ma in quanto in loro evidente la verit divina, come il Santo Vangelo. 7. Il giuramento di una fede data o di un impegno preso obbliga, purch sia fatto con giudizio e con giustizia; 8. mancare al giuramento irriverenza, mancare al voto infedelt e anche irriverenza, perci mancare al voto pi grave che mancare al giuramento. 9. Come per il voto, cos per il giuramento, al particolare prevale il generale, che modifica in tutto o in parte il particolare, perci anche nel giuramento si pu dispensare.

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10. Essendo il giuramento un atto solenne in onore di Dio a conferma di quanto si dice, sono esclusi dal giurare i fanciulli, che non ne hanno sufficiente capacit; gli spergiuri, la cui parola non ha pi credito, e i sacerdoti, la cui parola deve essere di per s autorevole.

Quest. 90. Lo scongiuro. 1. Si possono scongiurare gli uomini o esigendo qualche cosa in nome di Dio da chi ci suddito, o da chi non ci suddito semplicemente domandandola. 2. Si possono scongiurare i demoni, ma a fine di cacciarli da noi in nome di Dio come nostri nemici, non gi per invocarli che ci aiutino o ci insegnino. 3. Scongiurare le creature irragionevoli, che non capiscono, vano; per siccome sono mosse da Dio e anche possono essere mosse ai nostri danni dal diavolo, cos lecito scongiurarle, intendendo di invocare prodigi da Dio come intendono i Santi, o intendendo di ricacciare i danni del diavolo, come intende la Chiesa negli esorcismi.

Quest. 91. Nominare Dio. 1. Dio merita di essere lodato, non per come facciamo cogli uomini, che lodiamo o per incoraggiarli o per eccitare altri ad imitarli; Dio lo lodiamo per eccitare noi stessi a maggiormente venerarlo; lo facciamo quindi non in suo, ma in nostro profitto; 2. e a tale scopo fu assai opportuno introdurre il canto delle divine lodi, perch esso assai adatto per eccitare in noi gli affetti.

Quest. 92. La superstizione. 1. La superstizione un vizio opposto alla religione per un eccesso o di termine o

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di modo in quanto si presta culto divino anche a chi non Dio, o lo si presta a Dio, ma in modo che non si deve: 2. la ragione del modo costituisce una specie di idolatria; la ragione del termine, ne costituisce tre secondo il diverso fine; difatti il culto si presta o per onorare Dio, o per ottenerne i lumi, o per ottenerne gli aiuti, quindi il culto rivolto, anzich a Dio, alle creature diventa o idolatria, o divinazione, o osservanza.

Quest. 93. Superstizione specifica. 1. La superstizione una menzogna nel culto divino; una discordanza cio fra il segno e la cosa significata: questa discordanza poi pu esserci o per parte della cosa, come sarebbe il culto ebraico, che di attesa del Messia, ora che il Messia gi venuto; o per parte della persona, che, esercitando il culto in nome della Chiesa, facesse contro le disposizioni della Chiesa. 2. Relativamente a Dio che infinito, niente sovrabbondante: ma relativamente alle cose ci pu essere del superfluo nel culto quando esse non servono al culto interno, ovvero sono contro le disposizioni e le consuetudini.

Quest. 94. Lidolatria. 1. Lidolatria un eccesso di religione quanto al termine, perch culto divino che prestarono gli antichi o a imagini o a quelle creature di cui le imagini erano, sia perch le stimassero Dei, sia perch ritenessero tutto il mondo una divinit di cui Dio lanima; sia perch riputassero che al sommo Dio si annodasse una lunga catena di esseri superiori: perci lidolatria una specie di superstizione. 2. Il sacrificio spetta a Dio solo, e non gi anche a creature, che per quanto eccellenti sono a Dio inferiori; il sacrificio poi una cosa esterna bens, ma sempre segno del culto interno, e non si pu tollerare come semplice

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materialit di consuetudine; perci il sacrificio offerto a chi non Dio, cio lidolatria, sempre peccato; 3. e poich lidolatria in s sconvolge tutto lordine della religione, perci lidolatria il pi grave peccato; per in chi lo commette, che pu averne pi o meno coscienza, pu non essere il peccato pi grave. 4. Dellidolatria causa dispositiva furono gli uomini i quali o hanno troppo amato e venerato qualcuno; o troppo si dilettarono di rappresentazioni espressive; o troppo trascurarono di conoscere Dio: ma causa consumativa dellidolatria furono i demoni che cercavano di farsi adorare dagli ignoranti dando responsi e operando cose mirabili.

Quest. 95. La divinazione. 1. Luomo pu predire uneclissi e congetturare una tempesta, ma non pu con certezza predire ci che far un altro uomo, perch questo un futuro libero, noto a noi solo dopo il fatto, a Dio invece da tutta leternit. Divinazione invece la pretesa di sapere, senza che ci sia rivelato, ci che appartiene esclusivamente alla scienza divina; 2. e poich in tale pretesa o si ricorre ai demoni onorandoli o i demoni stessi si ingeriscono e vogliono essere onorati, perci la divinazione una specie della superstizione. 3. I generi di divinazione sono tre: I. invocazione espressa dei demoni, che danno le risposte; a) con apparizioni che possono essere o di prestigi, cio di luci e di suoni, o di sogno, o di morti; b) con responsi di oracoli; c) con figurazioni nelle cose inanimate terrestri, acquee, aeree, ignee e aruspicali; II. invocazione non espressa dei demoni nelle pratiche degli astrologi, degli auguri, degli auspici, degli indovini e dei negromanti, fatte per conoscere il futuro; III. invocazione non espressa dei demoni nei giuochi di sortilegio fatti o coi dadi, o colle paglie, o

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colle carte o con altri oggetti e studiati per conoscere cose occulte. 4. La divinazione collespressa invocazione del diavolo illecita, e perch un patteggiare col diavolo, che nemico di Dio e perch un trattare con chi ha per ultima mira la nostra perdizione, ancorch le sue prime risposte non siano contrarie alla verit. 5. Lastrologia vana, perch pretende di conoscere gli eventi futuri fortuiti i quali non hanno cause fisse, o gli eventi futuri umani, i quali hanno cause libere; perci anche illecita: non invece illecito, bens utile, lo studio dellastronomia e della metereologia, anche se si tratta di formulare congetture di carattere generale dipendentemente dallinflusso fisico degli astri. 6. Dai sogni che hanno una causa naturale, per es. la fantasia, lorganismo, latmosfera, non si pu trarre una conoscenza certa del futuro, certe coincidenze sono affatto casuali; per non illecito trarne congetture; dei sogni mandati da Dio per ministero degli angeli si pu giovarsi per la conoscenza del futuro; ma dei sogni ottenuti con fatto diabolico illusorio servirsi per la conoscenza del futuro che Dio solo pu conoscere, ed anche illecito. 7. Altrettanto nelle altre specie di divinazione consistenti nelle pratiche degli auguri, degli indovini ecc. voler estendere la propria scienza oltre lordine naturale e provvidenziale degli eventi illusorio e superstizioso e perci illecito. 8. Si distinguono le sorti in divisorie o delle parti, consultorie o degli atti, e divinatorie o del futuro. Nel tirare le sorti: I. si pu avere lanimo di rimettersi alla fortuna in quelle divisorie, e questo sempre vanit; II. si pu avere lanimo di rimettersi agli astri od agli spiriti in quelle consultorie, e questa superstizione; III. si pu avere lanimo di rimettersi a Dio, unico padrone delluniverso, e questo non illecito, purch non lo si

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faccia nelle elezioni ecclesiastiche, perch proibito e lo si faccia non con mire di umane passioni; ma colla debita riverenza e quando c necessit.

Quest. 96. Vana osservanza. 1. Le osservanze dellarte notoria, cio le pratiche della sedicente arte di acquistare il sapere, sono illecite, perch superstiziose, sono, vane, perch inefficaci. Fissare certe figure e pronunziare parole magiche non sono segni di istituzione divina, come i sacramenti, per lacquisto della scienza; non possono quindi esserlo che per patto diabolico; ma infondere la scienza, in modo da conoscerla senza il precedente studio, pu Dio, ma non il diavolo, che pu dare solo qualche suggerimento particolare; perci sarebbero tentavi vani. 2. Le osservanze o pratiche per ottenere modificazioni nei corpi, come la sanit in un malato, sono lecite se quegli effetti possono essere naturali; se invece quegli effetti non possono essere naturali, bisogna pensare che quelle pratiche non ne sono le cause e sono invece segni di un patto col demonio, perci sono illecite. 3. Le osservanze o pratiche relative alle fortune o alle disgrazie, se non sono segni dati da Dio, resta che siano segni di cooperazione della vanit umana e della malizia diabolica e perci illeciti. 4. Appeso al collo si pu portare, non invocazioni del diavolo; non parole ignote con sensi illeciti, o parole note con sensi falsi; bens qualche detto divino, purch non sia mescolato con segni vani e purch la fiducia sia riposta non nel modo di scriverlo e di portarlo, ma nella assistenza divina.

Quest. 97. Tentazione di Dio. 1. Tentare vuol dire fare esperimento della scienza, potenza e volont altrui,

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e quando uno trascura quello che pu fare per evitare i pericoli e solo si rimette allaiuto di Dio, tenta Dio, almeno interpretativamente, perch il suo fare non ha altra necessit e altro scopo che di provare la potenza, la sapienza e la bont di Dio. 2. Tentare Dio peccato, perch non si mette a prova se non si dubita e tentare Dio quindi proviene da fede dubbia. Non invece peccato se lo si fa non per se stessi ma per gli altri e per glorificare cos Dio e la fede. 3. Tentare Dio unirriverenza a Dio, tuttaltro che onorare Dio, perci peccato contro la virt della religione. 4. Poich per lerrore pi grave del dubbio; la superstizione, che professione di errore, un peccato pi grave della tentazione di Dio, che solo professione di dubbio.

Quest. 98. Lo spergiuro. 1. Il fine del giuramento confermare la verit; ma se il giuramento fatto con falsit, questa rende vano il fine del giuramento, che quindi, non pi giuramento, ma spergiuro. 2. Lo spergiuro viene a dire che Dio o non conosce la verit o testifica la falsit, il che una irriverenza a Dio, perci lo spergiuro peccato contro la religione; 3. ed non solo irriverenza, ma anche disprezzo di Dio; e poich tutto ci che disprezzo di Dio peccato mortale, perci lo spergiuro sempre, anche nelle cose piccole, peccato mortale. 4. Chi esige un giuramento che prevede sar falso, se un privato pecca, perch coopera al male anzi lo vuole; se il giudice non pecca, perch vuole semplicemente lordine giuridico.

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Quest. 99. Il Sacrilegio. 1. Sacro ci che destinato al culto di Dio e che diviene cos qualche cosa di divino, cui si deve riverenza che si riferisce poi a Dio. Lirriverenza perci alle cose sacre ingiuria fatta a Dio ed sacrilegio. 2. Il sacrilegio, che lesione o violazione di cosa sacra, ha la sua speciale deformit, di essere cio lopposto della religione, che una virt speciale, quindi un peccato speciale. 3. Ci che sacro e che oggetto del sacrilegio si distingue in persone, luoghi, e cose sacre; ci sono quindi tre specie di sacrilegio, cio personale, locale e reale, e ne cresce la gravit quanto pi grande la santit di ci contro cui si pecca. 4. Le pene hanno carattere di medicina, perci se non basta la scomunica, contro i sacrileghi sono da adoperarsi anche le penalit temporali.

Quest. 100. La simonia. 1. Le cose spirituali sono materia di contratti; I. perch nessun compenso terreno sufficiente; II. perch i prelati ne sono dispensatori e non padroni; III. perch in origine sono gratuito dono di Dio: perci chi vuol farne contratto fa irriverenza a Dio e alle cose divine e commette un peccato di irreligiosit, che da Simon Mago ha nome di Simonia. 2. Le cose pi spirituali sono i sacramenti, che producono la grazia spirituale, cui non c oro che si possa equiparare; perci non si pu ricevere denaro o cosa equivalente in corrispettivo dei sacramenti: non per simonia offrire alcunch per il sostentamento dei ministri dei sacramenti; 3. Altrettanto per gli altri atti del ministero ecclesiastico che hanno effetti spirituali va detto che non si possono contrattare, ma che si pu ricevere quello che secondo le consuetudini approvate dalla Chiesa viene of-

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ferto per il sostentamento dei ministri del Signore, anzi, compiti quegli atti, le offerte si possono domandare ed esigere. 4. Le cose annesse alle spirituali possono esservi annesse con dipendenza dalle cose spirituali, come un beneficio, e possono esservi annesse perch preordinate alle spirituali, come un calice; delle prime ogni contratto simonia, delle seconde no, purch si prescinda dal carattere sacro che hanno. 5. Per le cose spirituali proibito ricevere denaro e ci che al denaro equivalente, e poich il prestare servizi e limpiegare tempo in preghiera rappresentano unutilit, che si pu stimare a denaro, perci sono proibiti, come il denaro, cos anche i servizi e le preghiere che, in fatto di simonia, si chiamano dono di ossequio e dono di lingua. 6. Oltrech ad altre pene spirituali i simoniaci sono soggetti alla privazione di ci che frutto di simonia da parte e dei venditori e dei compratori e dei mediatori, perch non si pu tenere ci che fu acquistato contro la volont del Padrone, cio di Dio che disse: come avete ricevuto cos date gratis.

Quest. 101. La piet. 1. Luomo doveroso ad altri secondo la loro eccellenza e secondo i benefici ricevuti; cos luomo ha doveri prima verso Dio, poi verso i genitori, poi verso la patria. Coi genitori si intendono tutti i consanguinei; colla patria si intendono i cittadini. Onorare Dio religione, onorare Genitori e Patria piet. 2. Il dovere di piet, per s, sta nellonorare; ma accidentalmente sta anche nel prestare soccorso. 3. La piet ha un oggetto speciale, cio il culto dei parenti e della patria, perci una speciale virt. 4. Religione e piet sono virt ambedue, perci non si escludono a vicenda quasi opposte fra loro come virt e vizio, si devono quindi ambedue praticare nei debiti

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limiti; per cui se la piet non impedisce la religione, si devono compiere anche i doveri di piet; non cos se la piet impedisce la religione, perch non si deve abbandonare Dio per gli uomini: non si deve lasciare di convertirsi per non fare dispiacere ai genitori.

Quest. 102. Losservanza. 1. Losservanza una speciale virt che fa parte della piet e consiste nel prestare culto e onore alle persone costituite in dignit, le quali ci sono principio nel governo come Dio ci principio nella creazione e i genitori ci sono principio nella nascita. 2. Il culto e lonore loro dovuto per leccellenza del loro stato e per lufficio che esercitano. 3. La piet per, come virt, supera losservanza, perch essa dovuta ai genitori e consanguinei che sono persone a noi maggiormente congiunte.

Quest. 103. La riverenza. 1. Onorare testificare leccellenza altrui. Leccellenza di Dio per Iddio si pu testificarla col cuore, ma per gli uomini bisogna testificarla con segni esterni, perci lonorare consiste in segni esterni e corporali. 2. Leccellenza altrui che si testifica collonorare pu anche avere nessun rapporto con chi onora, e averlo sono con altri, ma si tratta sempre di eccellenza che implica superiorit, perci lonore dovuto a chi superiore. 3. Altra la riverenza che si deve agli uomini e altra la riverenza che si deve a Dio, che ha dominio plenario e principale su tutte le cose; a Dio si deve una riverenza superiore, gli si deve cio il culto di latria, relativamente agli altri padroni si deve riverenza, grecamente, dulia. 4. Questa dulia o riverenza dovuta dai servi ai padroni, linfima forma di culto.

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Quest. 104. Lobbedienza. 1. Deve avvenire nelle cose umane quello che avviene nelle cose naturali, che cio le inferiori sono mosse dalle superiori. Muovere colla ragione e colla volont comandare, cui corrisponde lobbedire, quindi di diritto anche naturale che gli inferiori obbediscano ai superiori; 2. e lobbedienza, perch ha questo speciale obbietto, una virt speciale. 3. Le virt morali, radicate nella carit, hanno il loro pregio in questo che ci fanno rinunciare a tutto, piuttosto che perdere lunione con Dio; lobbedienza ci fa rinunciare al massimo dei beni umani cio alla volont che supera gli altri beni sia interni dello spirito e del corpo che esterni delle cose, perci lobbedienza la pi grande delle virt morali. 4. Se obbedire corrispondere da parte di chi inferiore alla mozione di chi superiore alla mozione di Dio, che motore primo e universale devono corrispondere tutte le cose; perci a Dio si deve, di diritto naturale, obbedire in tutto da parte di tutti. 5. Se una cosa inferiore non risponde alla mozione della cosa superiore, ci avviene o per lintervento di una forza maggiore o perch manca il contatto. Altrettanto linferiore non tenuto a obbedire al superiore se c di mezzo un precetto superiore di Dio, o se il superiore comanda in ci su cui non ha giurisdizione; come sarebbe per i genitori la scelta dello stato dei figliuoli. 6. La fede cristiana ha per fine di sostenere lordinamento giuridico e non di sopprimerlo; e poich esso vuole che gli inferiori obbediscano ai superiori, perci i fedeli non sono dispensati dallobbedire alle potest secolari solo perch sono cristiani.

Quest. 105. La disobbedienza. 1. La disobbedienza contraria alla carit che mira ai buoi rapporti con Dio

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e con gli uomini: ci che contrario alla carit per s peccato mortale; quindi la disobbedienza in s peccato mortale. 2. Ma poich disprezzare la persona di chi comanda ancor peggio che disprezzarne i comandi, perci ci sono peccati pi gravi della disobbedienza.

Quest. 106. La gratitudine. 1. Si deve ai benefattori la gratitudine per qualche beneficio particolare ricevuto; la gratitudine perci ha un motivo particolare ed una speciale virt, distinta dalla religione, dalla piet e dallosservanza. 2. Linnocente deve a Dio pi gratitudine del penitente se si guarda alla quantit della grazia ricevuta ma un penitente deve a Dio pi gratitudine dellinnocente se si guarda alla gratuit del dono fatto da Dio, che diede grazia quando si doveva pena. 3. Allordine universale in cui Dio, motore immobile, il principio e anche il fine di tutte le cose, deve conformarsi lordine particolare del beneficio, che deve sotto qualche forma ritornare al benefattore e precisamente sotto la forma di ringraziamento e, al caso, anche di soccorso. Anche al servo si deve gratitudine se fa pi del suo dovere. 4. Un beneficio non si deve ricambiare subito e chi lo facesse mostra di avere lanimo del debitore anzich del riconoscente. 5. Nel ricambiare un beneficio bisogna prendere la misura dalleffetto, se si tratta di un debito legale, dovuto per giustizia, come il mutuo, o di un debito di quelle amicizie che hanno per motivo linteresse; bisogna invece prendere la misura dallaffetto, se si tratta di un debito morale originato da amicizia vera o da generosit.

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6. La gratitudine poi importa che nel ricambiare si dia anche pi del ricevuto, perch altrimenti pagamento di debito anzich ricambio riconoscente.

Quest. 107. Lingratitudine. 1. La gratitudine un debito della onest che virt esige; lingratitudine quindi contro la virt ed perci peccato. 2. La gratitudine una virt speciale ed ha tre gradi: riconoscere il beneficio, ringraziare, ricambiare; lingratitudine, che opposta alla gratitudine, perci peccato speciale ed ha anchessa tre gradi: rendere male per bene, disprezzare il beneficio, riputarlo unoffesa; 3. cotesta sarebbe ingratitudine perfetta ed in s sarebbe peccato mortale, lingratitudine invece imperfetta, cio non ricambiare, non ringraziare, non riconoscere il beneficio soltanto omissione di ci che si deve per liberalit e sarebbe soltanto peccato veniale. 4. Chi ingrato merita la punizione di non ricevere pi benefici; ma il benefattore deve mirare e rendere grato chi ingrato e conviene perci che ripeta il beneficio a questo scopo.

Quest. 108. Le punizioni. 1. Nelle punizioni bisogna guardare allanimo di chi punisce; se questi intende soltanto di vendicarsi, peccato; se invece ha per scopo lemendazione del colpevole o la tranquillit pubblica, non peccato. Se pecca la moltitudine, non si devono punire tutti, ma solo i capi. 2. Il punire nei debiti limiti secondare e perfezionare la naturale inclinazione di prevenire e di rimuovere ci che nuoce, perci una virt speciale; 3. il punire tuttavia lecito e virtuoso quando mira a tenere in freno i cattivi, il che si ottiene col sottrarre

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a coloro che non sono amanti della virt le cose che amano ed hanno care ancor pi di ci che si procurano peccando e queste cose sono p. es. la vita, gli averi, la libert ecc. cio colle pene consuete. 4. Le pene come pene spettano solo a chi reo, a chi cio pecca volontariamente; cogli altri si possono talora adoperare come medicine; per come non si cava locchio per guarire il calcagno, cos non si devono sottrarre i beni spirituali a medicina di qualche difetto temporale.

Quest. 109. La veracit. 1. La verit loggetto della veracit; dire il vero un buon atto: la veracit fa dire il vero, essa quindi un buon abito, ossia una virt; 2. e poich la veracit fa che luomo disponga il suo esterno cio i fatti e le parole in ordine alla verit e tutto questo ha una bont speciale, perci la veracit una virt speciale. 3. La veracit fa che soddisfiamo al debito morale, che ci viene dallonest, di manifestare agli altri il vero, perci essa parte della giustizia. 4. La veracit ha questa particolarit che fa che ci tratteniamo quando parliamo di noi e diciamo meno di quello che in noi c di bene; per, se questo dire meno arriva alla negazione di ci che in noi c, allora non pi virt, perch falsit.

Quest. 110. La bugia. 1. La veracit consiste nel disporre le nostre manifestazioni in ordine alla verit; quando invece si dispongono in ordine alla falsit, la volont pu avere di mira o la falsit o anche il suo effetto, cio ingannare; se si dice il falso, se c, la volont di dirlo e se c lintenzione di ingannare, c la falsit materiale, formale ed effettiva; orbene la bugia consiste

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nella falsit formale e pi precisamente nella volont di dire il falso; perci la bugia opposta alla veracit; 2. la gravit poi della bugia va desunta dallintenzione di chi la dice e che pu avere di mira o il danno altrui, o un vantaggio, almeno negativo, ossia la rimozione di un nocumento, o un divertimento; e con ci la bugia si distingue in dannosa, officiosa e giocosa. 3. Essendo naturalmente le parole segno di ci che si ha in mente, indirizzarle a scopo contrario contro natura, perci ogni bugia peccato; 4. per, siccome la bugia giocosa e officiosa non sono contro la carit, esse non sono peccato mortale.

Quest. 111. Simulazione e ipocrisia. 1. Le nostre manifestazioni non sono soltanto di parole ma anche di fatti; e se queste sono contrarie alla verit, sono bugie; la manifestazione consistente in fatti contraria alla verit si chiama simulazione; la simulazione perci bugia e come la bugia peccato. 2. Lipocrisia propria di chi internamente cattivo ed esternamente si manifesta buono; essa perci una simulazione, bench non ogni simulazione, sia ipocrisia; 3. in quanto poi una simulazione, lipocrisia direttamente si oppone alla veracit e indirettamente si oppone ad altre virt, secondo cio i fini e i mezzi suoi particolari. 4. Lipocrisia di colui che non cura affatto la santit, ma ogni cura invece mette soltanto nellapparire santo, peccato mortale; fuori di questi estremi lipocrisia peccato mortale o veniale secondo che , s o no, contro la carit.

Quest. 112. Lostentazione. 1. La jattanza o ostentazione c quando uno si vanta non solo pi di quanto sti-

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mato, ma anche pi di quanto esso : e allora contraria alla veracit. 2. Lostentazione poi peccato mortale quando si arriva ad appropriarsi la gloria di Dio o ad offendere con disprezzi la carit del prossimo; altrimenti peccato veniale, purch non costituisca un grave atto di superbia, o di inganno.

Quest. 113. La ironia. 1. La ironia ed irrisione di se stesso quando non semplice reticenza, ma negazione dei meriti che si hanno e attribuzione di demeriti che non si hanno, contraria alla veracit e perci peccato; 2. per lirrisione di se stesso ordinariamente meno grave della ostentazione, perch questa procede da sentimenti pi bassi.

Quest. 114. La cortesia. 1. La cortesia, per cui ci comportiamo bene col prossimo nel comune conversare sia colle parole che cogli atti, ci dispone a un particolare bene, perci essa una speciale virt; 2. essa fa che rendiamo al prossimo quello che un debito di convenienza, quindi la cortesia parte della giustizia;

Quest. 115. Ladulazione. 1. Mentre la cortesia fa che evitiamo di contristare il prossimo, ladulazione fa che nel comune conversare cerchiamo di troppo piacergli e sovente collintenzione di conseguire qualche vantaggio, il troppo, cio leccesso peccato, perci ladulazione peccato. 2. Ladulazione quando fatta o per esaltare un peccato, o per sorprendere la buona fede o per eccitare

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al peccato contraria alla carit ed allora anche peccato mortale, altrimenti no.

Quest. 116. Il litigio. 1. Il litigio contrario alla carit se procede da avversione verso il prossimo che parla; invece contrario allamicizia se procede da mancanza di cortesia. 2. Il litigio che difetto di amicizia in s peggiore delladulazione, che ne un eccesso, perch meglio abbondare che essere mancanti.

Quest. 117. La liberalit. 1. La liberalit consiste nel far buon uso dei nostri beni, mentre potremmo farne un uso cattivo, perci virt. 2. La liberalit sta nel dare con larghezza, perci materia propria della liberalit il denaro o i suoi equivalenti; 3. e poich gli atti si specificano dai loro oggetti, latto proprio della liberalit il buon uso del denaro; 4. e poich luso del denaro sta nel darlo via, anzich nellacquistarlo, perch questo sarebbe produzione pi che uso del denaro, e poich ancora la emissione del denaro tanto pi grandiosa quanto pi esso va lungi da noi, perci alla liberalit appartiene pi dare il denaro ad altri che spenderlo per noi. 5. La liberalit ha attinenza colla giustizia, perch come la giustizia ha per oggetto gli averi, per termine gli altri. 6. La liberalit, che ci regola nei beni esterni, inferiore per alle altre virt, che bene ci regolano nei beni interni.

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Quest. 118. Lavarizia. 1. I beni esterni hanno loro ragione nellessere utili per le necessit della vita; ma in tutto ci deve essere la debita misura: lavarizia un eccesso nel procurarsi e nel conservarsi questi beni, perci lavarizia vizio, peccato; 2. e lavarizia nel senso che un disordinato amore al denaro uno speciale peccato. 3. Lavarizia contraria alla giustizia quando il troppo amore alle ricchezze fa che si prenda o che si tenga ci che daltri, invece contraria alla liberalit quando il troppo amore ai denari fa che si trattengano anzich darli via. 4. Lavarizia contraria alla giustizia un peccato di genere mortale; lavarizia invece contraria alla liberalit, finch non lede la carit, peccato veniale. 5. Lavarizia, bench sia turpe, non il pi grave peccato, perch si riferisce allinfimo dei beni umani, cio al bene esterno e corporale, che sono le ricchezze. 6. Lavarizia un peccato di spirito, perch la sua soddisfazione sta nella considerazione dei propri averi, mentre i peccati carnali consistono nelle soddisfazioni carnali, perci un peccato distinto. 7. A seconda del fine che si propone luomo opera molte cose o buone o cattive, e per il denaro, che un fine pravo, molte cose cattive, perci lavarizia, che amore al denaro, principio di tanti peccati, un peccato capitale. 8. 1. Lavarizia un eccesso nellacquisto e nella conservazione delle ricchezze; perci da lei nascono: tradimenti, frodi, inganni, spergiuro, inquietudine, violenza e durezza di cuore.

Quest. 119. La prodigalit. 1. La prodigalit contraria allavarizia, perch ne leccesso e il difetto opposto nelluso del denaro: laprodigalit eccede nel darlo via ed

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mancante nellacquistarlo e conservarlo; lavarizia invece mancante nel darlo via ed eccede nellacquistarlo e conservarlo. 2. La prodigalit quindi essendo lestremo opposto dellavarizia non mantiene neppur essa il giusto mezzo nelluso del denaro e perci peccato. 3. per un peccato non pi grave, ma meno grave dellavarizia e perch alla virt della liberalit, che sta nel dare largamente, pi vicina la prodigalit, eccesso, che non lavarizia, negazione; e perch il prodigo utile a molti e lavaro a nessuno; e perch invecchiando la prodigalit si sana e lavarizia si peggiora.

Quest. 120. Lepicheia. 1. Lepicheia o equit una virt, perch causa di atti buoni in quanto ci guida a praticare la legge scritta secondo che esige e il senso della giustizia e la pubblica utilit; per essa, ad esempio, neghiamo di restituire la spada che uno ci ha affidata se ce la domanda mentre sulle furie. 2. Lepicheia o equit parte della giustizia in qualit di regola superiore degli atti umani.

Quest. 121. La piet. 1. La piet, che fa che prestiamo a Dio il debito culto ed onore per ispirazione dello Spirito Santo, un dono dello Spirito Santo. 2. Al dono della piet corrisponde la 2. beatitudine: Beati i miti, perch la mansuetudine toglie gli impedimenti agli atti di piet.

Quest. 122. Precetti di giustizia. 1. Se per la giustizia dobbiamo a ciascuno il suo, tutti i precetti del decalogo, che stabiliscono cosa dobbiamo in particolare a ciascuno, appartengono alla giustzia.

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2. Come primo precetto del Decalogo fu convenientemente messo quello che riguarda Dio ultimo fine, perch esso il fondamento della vita religiosa e ne rimuove i principali ostacoli. 3. Come secondo precetto del Decalogo fu convenientemente messo quello che riguarda luso del santo nome di Dio, perch dopo il precetto che rimuove gli ostacoli alla religiosit deve venire quello che della religiosit impedisce le deviazioni, 4. e come terzo precetto del Decalogo fu convenientemente messo quello che riguarda il culto di Dio, perch rimossi gli ostacoli e le deviazioni della religiosit, luomo deve con opera positiva fondarsi nella Religione mediante lesercizio del culto. 5. Come quarto precetto del Decalogo fu convenientemente messo quello che riguarda i genitori, perch cos si passa dallonore dovuto a Dio, come principio universale di tutti noi, allonore dovuto ai genitori, come principio particolare di ciascuno di noi. 6. Gli altri sei precetti del Decalogo furono convenientemente disposti, come lo sono, dopo i primi quattro, perch cos dopo lonore di Dio e dei genitori viene specificato e graduato ogni debito che abbiamo col prossimo per distinte e particolari ragioni.

Quest. 123. La fortezza. 1. Virt ci che rende luomo buono, cio conforme alla retta ragione; questo avviene in tre modi: I. la ragione viene rettificata, e questo compito delle virt intellettuali; II. la ragione rettificata viene applicata alle cose umane, e questo compito della giustizia; III. si rimuovono gli impedimenti di una retta applicazione di essa ragione derivanti o da attrattive, e questo compito della temperanza, o da difficolt, e questo invece compito della fortezza e anche la fortezza perci una virt.

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2. C una fortezza generale, e questa condizione di ogni virt, ma c anche una fortezza speciale, che sta nellaffrontare i pericoli e nel sopportare le fatiche, e questa una virt speciale. 3. La fortezza si esercita quando il timore ci ritrae dalle difficolt o quando laudacia ci porterebbe agli eccessi, la fortezza perci si dice repressiva del timore e moderativa dellaudacia. 4. La fortezza sostiene la volont del bene di fronte ai mali corporali fino al pi grande di essi; il pi grande dei mali corporali la morte, perci la fortezza contro il timore dei pericoli della vita. 5. La fortezza pi propriamente quella che si prostra nella battaglia, perch allora di fronte alla morte imminente la fortezza sostiene la volont del bene comune da difendersi colla guerra: per la fortezza anche degli altri pericoli di morte. 6. La fortezza sta pi nel reprimere il timore che nel moderare laudacia, perch quella cosa pi difficile di questa; perci latto principale della fortezza non aggredire, ma stare fermi nei pericoli. 7. Fine prossimo di chi forte un atto di fortezza, ma fine remoto la beatitudine, cio Dio. 8. Nellesercizio della fortezza c il diletto spirituale dellatto compiuto, ma c anche la molestia corporale della vita compromessa, questa di solito impedisce la percezione del diletto dellanima, ma la fortezza impedisce che la ragione resti assorbita dalla molestia corporale. 9. La virt della fortezza propria sopratutto dei casi repentini, non nel senso che li sceglie di preferenza, perch essi non si scelgono ma capitano, bens nel senso che vi tiene lanimo preparato. 10. Chi forte nel compire un atto di fortezza fa uso della passione dellira, che di sua natura non n buona,

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n cattiva, ma come virtuoso fa uso di unira moderata e non gi di unira sregolata. 11. Se virt cardinali sono quelle che fanno operare bene fermamente, questo proprio sopratutto della fortezza, essa, quindi una virt cardinale; 12. essa tuttavia non la maggior delle virt cardinali, perch la prima quella che costitutiva del bene razionale cio la prudenza; poi segue quella che del bene produttiva, cio la giustizia, infine vengono quelle che del bene sono conservative, cio la fortezza e la temperanza, e fra queste due la precedenza spetta alla fortezza, perch nulla allontana dal bene pi del pericolo di morte e di fronte a questo ci sostiene la fortezza.

Quest. 124. Il martirio. Il martirio, per cui uno sta fermo nella verit e nella giustizia contro limpeto dei persecutori, un atto di virt, 2. ed evidentemente un atto della virt della fortezza, perch questa che rende fermi nel bene anche di fronte al pericolo di morte. 3. Il martirio il pi grande atto di virt, se non secondo la fortezza, che non la pi grande delle virt, certo per secondo la carit, che ne il motivo, essendo esso il segno del pi grande amore. 4. Il martirio testimonianza della fede, che delle cose invisibili, col disprezzo di tutte le presenti cose visibili, e della stessa vita che ne la pi grande; perci il martirio perfetto quando importa la morte per Cristo. 5. Il martirio testimonianza alla verit di Cristo, e poich tutte le virt, in quanto si riferiscono a Dio, sono una implicita protestazione della fede, perci non la sola fede, ma tutte le virt possono essere causa di martirio.

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Quest. 125. La timidezza. 1. Il timore disordinato, quello cio che fa fuggire ci che si deve tollerare per proseguire nel bene, peccato; ma non peccato il timore ordinato, quello cio che fa fuggire ci che la stessa ragione dice di fuggire. 2. Timore ce n in ogni vizio, cos lavaro teme sempre di perdere il suo denaro, ma il timore principale quello del pericolo di morte; questo opposto alla virt della fortezza ed un vizio che si chiama ignavia. 3. Il timore disordinato se soltanto nella sensibilit non pi che peccato veniale, ma se accompagnato da deliberata volont di fuggire la morte o qualunque altro male a costo di commettere una trasgressione o omissione grave peccato mortale. 4. Il timore disordinato, che per non sconvolge luso della ragione, non scusa dal peccato, ma tuttavia lo rende meno volontario.

Quest. 126. La temerit. 1. La temerit, o disprezzo della propria vita, pu derivare da scarso amore di se stesso, da superbia dellanimo o da stolidezza, e in ogni caso un vizio. 2. Alla fortezza, che repressiva del timore e moderativa dellaudacia, si oppone tanto la timidezza, che un eccesso di timore, quanto la temerit, che assenza totale di timore.

Quest. 127. Laudacia. 1. Laudacia, passione naturale dellappetito irascibile, quando non regolata dalla ragione, ed o con mancanza o con eccesso di moderazione, diventa un vizio; 2. ordinariamente poi laudacia viziosa laudacia eccessiva e come tale opposta alla fortezza in quanto, come la temerit, mancanza del debito timore.

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Quest. 128. Parti della fortezza. 1. Le parti integrali della fortezza, quelle cio che ne rendono latto perfetto, sono 4: fiducia, magnificenza, pazienza e perseveranza; la fiducia e la magnificenza dispongono lanimo ad iniziare latto; la pazienza e la perseveranza sostengono lanimo a proseguirlo.

Quest. 129. La magnanimit. 1. La magnanimit, come dice il nome, mira a cose grandi; fra le cose esterne delluomo la pi grande lonore; quindi la magnanimit mira sopratutto agli onori; 2. anzi il nome stesso indica che mira, non agli onori comuni, ma ai grandi onori, come a qualche cosa di buono e di difficile, per cui occorre maggiore virt; 3. ed precisamente una virt la magnanimit, perch essa relativamente agli onori pone nellanimo la giusta misura di ragione. Il magnanimo non precipitoso, perch mira a cose che, in quanto grandi, sono poche ed esigono grande attenzione. Il magnanimo non superbo; perch come non si innalza negli onori, non stimandoli superiori a s, cos cerca di rendersene degno secondo i doni ricevuti da Dio. 4. La magnanimit una virt speciale, perch ha una materia speciale, cio gli onori, per, siccome lonore premio di ogni virt, cos la magnanimit anche una virt generale. 5. La magnanimit ha attinenza colla fortezza, perch, come la fortezza rende fermi di fronte al pericolo della vita, cos la magnanimit rende fermi di fronte ai massimi beni da sperare e da conseguire. 6. Colla magnanimit poi ha attinenza la fiducia, la quale forza della speranza, derivata da qualche con-

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siderazione, che d grande opinione del bene da conseguirsi; 7. ed ha attinenza anche la sicurezza, che importa quiete danimo, perch sebbene in quanto caccia il timore essa appartenga alla fortezza, tuttavia in quanto tiene lungi il disperare ha attinenza colla magnanimit. 8. I beni di fortuna molto conferiscono alla magnanimit, perch essa tende agli onori grandi; a questi non si pu arrivare se non operando qualche cosa digrande e di far questo danno facolt, colle forze e le amicizie, i beni di fortuna.

Quest. 130. La presunzione. 1. La presunzione, come indica il nome, assumersi e tentare ci che supera le proprie forze; essa quindi contro lordine naturale delle cose, vizio e peccato. 2. La presunzione contraria alla magnanimit essendone un eccesso.

Quest. 131. Lambizione. 1. Ci che merita onore una qualche eccellenza, e questa, se si ha, viene da Dio ed data a bene del prossimo; lambizione invece, che aspira allonore o non meritandolo, o non riferendolo a Dio, o riducendolo esclusivamente a proprio vantaggio, un disordinato desiderio di onore, e perci peccato. 2. Anche lambizione, come la presunzione, si oppone alla magnanimit per eccesso.

Quest. 132. La vanagloria. 1. Gloria, che vuol dire chiarezza, importa manifestazione di qualche cosa di decoroso, sia spirituale che corporale, collapprovazione comune; ma desiderare gloria o da cosa che non merita, o presso persone di scarso giudizio o a scapito della gloria

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di Dio e del bene del prossimo vanagloria, cio desiderio di una gloria inutile e vuota; difetto e peccato. 2. Siccome la gloria effetto dellonore e questo oggetto della magnanimit, cos la vanagloria si oppone alla magnanimit. 3. La vanagloria, quando non contraria allamore di Dio n quanto alloggetto della vanagloria, n quanto allintenzione di chi la desidera, non peccato mortale, ma peccato veniale. 4. La gloria, molto affine alleccellenza che tutti massimamente desiderano, cosa anchessa molto appetibile; da questo desiderio derivano molti vizi, esso quindi un vizio capitale; 5. e i vizi, figli della vanagloria sono: la disobbedienza, lostentazione, lipocrisia, le contese, la pertinacia, la discordia e lo spirito di novit, secondoch alla manifestazione della propria eccellenza si mira con parole, o con fatti, direttamente o indirettamente.

Quest. 133. La pusillanimit. 1. Quello che contrario allinclinazione naturale contrario alla legge naturale, e c in tutti linclinazione di fare ci che commisurato alle proprie forze; a questa, come contraria la presunzione per eccesso, cos contraria lapusillanimit per difetto; anchessa quindi vizio, peccato. 2. Il pi o il meno non cambia specie, perci lamagnanimit e la pusillanimit sono della stessa specie e la pusillanimit lopposto della magnanimit.

Quest. 134. La magnificenza. 1. La magnificenza in Dio virt, nelluomo ne una partecipazione, perci anche nelluomo la magnificenza virt. 2. Magnificenza vale fare cose grandi; il fare strettamente verbo transitivo che ha un oggetto esteriore e in

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questo senso la magnificenza una virt speciale: se invece il verbo fare si prende nel senso generico di qualunque azione, sia interna che esterna, allora la magnificenza una virt generale. 3. La magnificenza mira a grandi opere per le quali ci vogliono grandi spese, perci la materia della magnificenza sono le grandi spese; ma insieme ne sono materia anche il denaro e lamore stesso al denaro per regolarlo cos che non impedisca le grandi spese. 4. La magnificenza ha attinenza colla fortezza, perch, come la fortezza cos anche la magnificenza tende a qualche cosa di arduo e di difficile.

Quest. 135. La grettezza. 1. Mentre la magnificenza ha per materia le grandi spese, la grettezza ha per materia le spese piccole, ma poich chi poco spende molto spende, cos chi gretto non tiene la giusta proporzione fra le spese e lopera e la grettezza quindi un vizio. 2. Poich al piccolo si oppone il grande, perci alla grettezza si oppone lo spreco, ambidue distanti dal giusto mezzo.

Quest. 136. La pazienza. 1. La tristezza un impedimento a fare il bene secondo ragione; la pazienza rimuove limpedimento della tristezza e fa proseguire la via del bene, perci la pazienza virt. 2. La pazienza non la pi grande virt, perch, in confronto delle altre virt che costituiscono luomo nel bene, essa impeditiva di ci che ritrae dal bene, ma in ultimo grado, ed in questo che essa rende perfetta lopera della virt. 3. La pazienza, come virt non si pu avere senza aiuto della grazia celeste perch, mentre lanima aborrisce naturalmente dai dolori, essere tuttavia disposti a tutti i

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dolori pur di non perdere il bene della grazia non pu essere che effetto della carit. 4. La pazienza regge lanimo a sopportare i malanni; il massimo di questi la morte ed a questo regge lanimo la fortezza, la pazienza quindi parte della fortezza. 5. La pazienza conviene colla longanimit nel senso che la pazienza tolleranza di un male, la longanimit per conviene di pi colla magnificenza nel senso che questa mira di un bene lontano.

Quest. 137. La perseveranza. 1. La virt ha per oggetto il bene difficile; dove c una speciale ragione del bene o del difficile ci vuole una speciale virt; nellattendere lungamente a qualche cosa di difficile c una speciale difficolt; la perseveranza reggelanimo a questo, la perseveranza quindi virt ed speciale virt. 2. La perseveranza regge lanimo alle cose difficili; la pi difficile di queste la morte, alla quale regge lanimo la fortezza, la perseveranza quindi parte della fortezza. 3. La costanza parte della perseveranza, perch tendono ambedue allo stesso fine cio alla fermezza nel bene; ma differiscono fra di loro in quanto la perseveranza rende fermi contro la difficolt di attendervi lungamente, la costanza invece rende fermi contro le difficolt esterne. 4. La perseveranza quale virt ha bisogno del dono della grazia santificante, come tutte le virt infuse; c poi la perseveranza finale, cio latto di perseverare nel bene fino alla morte, e questa ha bisogno non solo della grazia santificante, ma anche di una grazia speciale, perch la sola grazia santificante non sufficiente a rendere immobile nel bene il libero arbitrio che per s volubile.

Quest. 138. Vizi della fortezza 1. Molle e cedevole ci che non resiste ma rientra e si ritira a ogni tocco;

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mollezza quindi o cedevolezza il facile recesso dal bene per qualunque difficolt: essa contraria alla perseveranza, che fermezza nel bene con lunga tolleranza di cose difficili e laboriose. 2. La pertinacia, ossia tenacia in tutto e tenacia imprudente per la persistenza nella propria opinione pi di quanto ragionevole, si trova allestremo opposto della cedevolezza, ed anche contro la perseveranza, che tiene il giusto mezzo di ragione.

Quest. 139. Il dono della fortezza. 1. Se lavirt della fortezza rende fermi nelloperare il bene e nel sopportare il male, la mozione dello Spirito Santofa che luomo giunga al fine di ogni opera buona cominciata sfuggendo a tutti i pericoli imminenti, cosa che eccede le forze della natura umana; e questo un dono dello Spirito Santo, cio il dono della fortezza, che consiste in una speciale fiducia infusa nellanimo escludente ogni contrario timore. 2. Al dono della fortezza corrisponde la 4. beatitudine, perch se la fortezza si mostra nelle cose ardue, una delle cose pi ardue non solo compiere le opere della giustizia, ma averne un insaziabile desiderio, cio la fame e la sete.

Quest. 140. Precetti di fortezza. 1. Fu conveniente che nella Sacra Scrittura Dio desse precetti di fortezza, perch tendono al fine degli altri precetti, cio allunione dellanima con Dio; 2. e fu conveniente che i precetti fossero non soltanto relativi alla fortezza, ma anche alle virt secondarie che sono parte della fortezza affinch siamo bene istruiti a vivere rettamente.

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Quest. 141. La temperanza. 1. Virt ci che inclina luomo al bene e bene ci che conforme alla ragione; la temperanza inclina luomo a temperarsi, a moderarsi, a contenersi conforme alla ragione, la temperanza quindi virt; 2. anzi, presa nel senso che frena lappetito in quelle cose che pi delle altre allettano luomo, una speciale virt, perch ha una speciale materia. 3. Il bene di ragione avversato da due moti dellappetito sensitivo, uno che persegue i beni sensibili e corporali, laltro che rifugge dai mali sensibili e corporali; il primo ripugna alla ragione, perch nel perseguire i beni sensibili, i quali per s sono naturali e non contrari alla ragione, lo fa senza moderazione; il secondo ripugna alla ragione, perch fuggendo dai mali corporali, che sono uniti al bene di ragione, si fugge dal bene stesso: e come il secondo regolato dalla fortezza, moderatrice fra il timore e laudacia, cos il primo regolato dalla temperanza, moderatrice fra la concupiscenza dei diletti e la tristezza della loro mancanza; 4. e come la fortezza regge lanimo di fronte ai mali pi grandi, cos la temperanza contiene lanimo nei diletti pi grandi; i diletti sono tanto maggiori quanto pi naturali sono le operazioni da cui derivano; le operazioni pi naturali sono quelle dellistinto della conservazione dellindividuo e della specie e perci la temperanza relativa ai piaceri del gusto e del tatto, che ne conseguono. 5. La temperanza direttamente relativa al diletto derivante dalluso di ci che necessario alla conservazione; in questo prevalente il gusto, perci la temperanza pi propriamente del gusto. 6. Bene ci che conforme alla ragione e di questa proprio disporre dei mezzi in ordine del fine; perci la regola della temperanza va presa secondo la necessit della vita, per cui dei piaceri si deve far uso tanto, quanto la necessit di questa vita lo esige.

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7. La temperanza una virt cardinale, perch la moderazione, che la regola comune delle virt, ha lode particolare nella temperanza di quei diletti per i quali, venendo essi da operazioni che sono le pi naturali e da oggetti che sono i pi necessari alla vita, pi difficile lastensione e il freno. 8. Come il bene pubblico da anteporsi al privato, cos le virt che hanno attinenza col bene pubblico, quale la giustizia, sono da anteporsi a quelle che hanno attinenza col bene privato, quale la temperanza; essa quindi non la virt pi grande.

Quest. 142. Vizi contrari. 1. Fu la natura che un il diletto alle operazioni necessarie alla vita; ci poich contro lordine naturale vizioso, perci come non si deve cercare, cos non si deve il diletto fuggire oltre quanto necessario alla salute umana e alla conservazione della natura; e nel fuggirlo sta la insensibilit, che perci difetto, vizio. 2. Lintemperanza un vizio bambinesco, non perch sia proprio dei bambini, ma perch della loro indole, cio poco ascolta la ragione, diventa presto incorreggibile ed ha bisogno di castigo. 3. Lintemperanza ha dei punti di contatto colla ignavia, questa ha per oggetto il pericolo di morte, quella invece i piaceri della vita, ma mentre lignavo turbato nella ragione, lintemperante pi sollecitato, perci latto volontario maggiore nellintemperanza ed essa un peccato maggiore dellignavia; 4. lintemperanza poi, essendo il vizio che pi ripugna alla dignit umana, perch ha per oggetto i diletti che abbiamo comuni coi bruti e perch il lume di ragione, che lo splendore della virt, poco o nulla vi ha parte, ci che vi ha di meno degno di onore, il vizio pi obbrobrioso.

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Quest. 143. Parti della temperanza. 1. Della temperanza sono parti integrali, necessarie cio alla perfezione dellatto: la verecondia e lonest; sono parti soggettive, ossia specie: lastinenza, la sobriet, la castit e la pudicizia; sono parti potenziali, ossia virt relative agli atti secondari: la continenza, lumilt e la mansuetudine per gli atti dellanimo, e la modestia per gli atti del corpo.

Quest. 144. La verecondia. 1. La verecondia ossia vergogna di un atto turpe, essendo conseguenza di unazione cattiva, non propriamente virt, che una perfezione; essa piuttosto un sentimento lodevole; per ordinariamente e in largo senso si prende come virt, che facendo temere lobbrobrio ritrae dal male; 2. la verecondia quindi, che timore della turpitudine, direttamente riguarda il vituperio, che la turpitudine penale, e indirettamente riguarda il vizio, cui il vituperio dovuto. 3. Ci vergogniamo pi davanti ai congiunti, che agli stranieri, perch reputiamo di pi il giudizio dei congiunti, e perch la loro testimonianza ci quasi sempre addosso, mentre quella degli stranieri fuggitiva. 4. Non temono vergogna gli scellerati che ne hanno perduto il sentimento e di nulla pi ritengono si debba vergognarsi, e nemmeno la temono i vecchi ed i virtuosi, che la ritengono non pi possibile per loro e facilmente evitabile.

Quest. 145. Lonest. 1. Onest stato di onore, lonore si deve alla virt, perci onest equivale a virt. 2. Onesto lo stesso che decoroso, cio bello, ma bello di bellezza spirituale, che consiste in questo chelagire e il conversare delluomo sia proporzionato alla chiarezza spirituale della ragione.

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3. Onesto, dilettevole e utile soggettivamente sono lo stesso, cos la virt decorosa, oggetto di compiacenza ed utile alla felicit; ma nel significato differiscono, perch onesto ci che splende di bellezza spirituale; dilettevole ci che appaga il desiderio, utile ci che serve ad uno scopo; e se tutto ci che onesto e utile anche dilettevole, non tutto che dilettevole anche onesto o utile. 4. Lonest parte integrale della temperanza, perch se la temperanza trattiene dalle cose turpi, lonest importa bellezza spirituale che lopposto del turpe.

Quest. 146. Lastinenza. 1. Lastinenza, o sottrazione di cibo, per s indifferente; ma se regolata dalla ragione, allora virt; 2. ed virt speciale, perch trattiene luomo dallimpeto speciale di passione verso i piaceri della gola.

Quest. 147. Il digiuno. 1. Il digiuno, regolato dalla ragione pel conseguimento di un triplice bene, e cio: I. a reprimere la concupiscenza, II. ad elevare la mente, III. a far penitenza dei peccati, un atto di virt; 2. ed atto della virt dellastinenza, perch esso riguarda i cibi, relativamente ai quali lastinenza che ci regola. 3. Il digiuno in quanto corrisponde al conseguimento del suo triplice bene di diritto naturale e ciascuno vi tenuto quanto gli necessario per conseguirli; ma la sua determinazione pratica di diritto positivo e spetta alla Chiesa; 4. e ad esso sano tenuti tutti, eccetto coloro che ne hanno uno speciale impedimento; il legislatore infatti guarda alla moltitudine e alla generalit, ma non intende

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di obbligare chi ragionevolmente impedito di osservare il precetto. 5. Fu poi convenientemente fissato il digiuno per quei tempi nei quali c una ragione particolare di purgare i peccati e di elevare la mente a Dio, come il tempo di quaresima, delle tempora e delle vigilie; 6. ed ragionevole la legge dellunica cogestione, perch cos e si soddisfa alla natura e si frena la concupiscenza. fissato il numero delle comestioni, ma non la quantit del cibo. I liquidi sono permessi, perch servono pi alla digestione che alla nutrizione. 7. Affinch poi davvero si ottenga che mentre si soddisfa la natura si freni la concupiscenza, lora dellunica cogestione fu fissata quando la digestione precedente da parecchio tempo completa; in memoria poi dellora in cui spir Ges fu stabilita lora nona; 8. e a chi digiuna, per lo scopo stesso del digiuno fu giustamente interdetto luso delle carni, delle uova e dei latticini, perch questi sopratutto sono deliziosi e provocanti il senso.

Quest. 148. La gola. 1. Essendo la gola un appetito di mangiare e bere, ma disordinato, cio contrario allordine della ragione, la gola evidentemente un peccato. 2. La gola poi un peccato mortale, quando fare cedere dallultimo fine, ossia fa riporre lultimo fine nei piaceri del ventre; altrimenti peccato veniale. 3. Bench la gola sia occasione di tanti peccati, essa tuttavia non il pi grande peccato, perch sono maggiori per es. i peccati che sono contro Dio. 4. Le diverse specie della gola furono distinte secondo le sue condizioni contenute nel verso:

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Praepropere, laute, nimis, ardenter, studiose e che riguardano la sostanza, la qualit, la quantit dei cibi il tempo e il modo di mangiare. 5. Essendo i piaceri della gola una cosa molto appetibile, per raggiungere la quale si commettono molti peccati, perci la gola un peccato capitale. 6. Sono figlie della gola: la scipitezza, la scurrilit, limmondezza, la loquacit, e lottusit di mente; vizi altri dellanima, altri del corpo.

Quest. 149. La sobriet. 1. La sobriet, in quanto virt, ha per oggetto ci in cui c la ragione del bene e del difficile; e poich sobriet significa giusta misura, essa si esercita dove difficile osservarla, cio nelle bevande inebrianti, in cui luso misurato molto giova e leccesso molto nuoce: la sobriet quindi riguarda sopratutto il bere, quel bere cio che per i suoi fumi turba la mente; 2. e poich il bere inebriante, che colla sua fumosit turba il cervello, uno speciale impedimento al bene della ragione, la sobriet, che mira ad impedirlo, una speciale virt. 3. Il vino non illecito, per s, ma pu diventare illecito per accidens quando chi lo beve o debole di stomaco, o legato da un voto, o eccede nella misura, o d scandalo. 4. A misura poi del pericolo del vino e della condizione delle persone si richiede una maggiore sobriet dai giovani, di per s ardenti; dalle donne, troppo deboli; dai vecchi, perch mai venga a loro meno lassennatezza; dai prelati, per la gravit dei loro uffici.

Quest. 150. Lubbriachezza. 1. Lubbriachezza, come stato di chi per il troppo vino ha perduto lusodella ragione, una penalit della colpa; lubbriachezza invece

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come atto di chi per disordinata voglia e uso di vino cade in quello stato un peccato, a meno ci avvenga inopinatamente, perch il vino era troppo forte; ed peccato di gola. 2. Chi sa e che il vino potente e che pu restare ubbriacato e vuole restare ubbriacato commette peccato mortale, perch si priva delluso della ragione, e si compromette a fare il male. 3. Lubbriachezza non il pi grande peccato, perch i peccati per es. che sono contro Dio sono pi gravi. 4. Lubbriachezza quanto meno fu volontaria tanto pi scusa dai peccati che in essa si commettono, ma li aggrava se fu volontaria e appositamente procurata.

Quest. 151. La castit. 1. Castit significa castigata concupiscenza, la quale ha bisogno di essere frenata come un fanciullo, ed evidentemente virt. 2. In tal senso di castigata concupiscenza e presa metaforicamente come freno di qualunque piacere ossia di ogni unione dellanima con ci che non Dio, una virt generale; ma nel senso suo proprio virt speciale, perch freno speciale della concupiscenza relativamente ai piaceri impuri; 3. ed distinta dalla temperanza, che riguarda i cibi, perch questa regola gli atti relativi alla conservazione dellindividuo e quella regola gli atti relativi alla conservazione della specie. 4. La pudicizia, che ha nome dal pudore o vergogna, ha per oggetto ci di cui ci vergogniamo e sono gli atti in cui si manifestano quei piaceri impuri che sono invece partita della castit; perci la pudicizia distinta dalla castit e ne parte.

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Quest. 152. La verginit. 1. Verginit vale verdeggiante et, immune dallarsura prodotta dalla concupiscenza: la verginit formale e completa sta nel proposito di astenersi sempre dai piaceri impuri; mentre la perdita impura, che di essi causa, ha relazione soltanto materiale collatto morale, e la violazione del fiore o sigillo verginale ha collatto morale relazione soltanto accidentale. 2. La verginit non illecita perch non viziosa, invece lodevole perch utile al bene supremo delluomo, che la contemplazione della verit; e come conforme a ragione astenersi da qualche cosa esterna per la salute del corpo cos conforme a ragione astenersi da qualche cosa del corpo per la salute dellanima. 3. Il proposito di astenersi sempre da qualunque piacere carnale, in cui consiste la verginit distinto dal proposito, in cui consiste la castit, di astenersi cio dai disordini in tali piaceri, perci la verginit una virt speciale, distinta dalla castit e di tanto ad essa superiore di quanto la magnificenza supera la liberalit. 4. Se il matrimonio ha per oggetto un bene di carattere corporale, cio la prole, e la verginit invece ha per oggetto un bene di carattere spirituale, cio la contemplazione della verit, certo che la verginit migliore del matrimonio con castit coniugale, comelanima migliore del corpo. 5. Nel genere della castit la verginit la pi grande virt; non per essa la gi grande di tutte le virt; ma lo la carit, che consiste in quellunione con Dio, cui la stessa verginit serve.

Quest. 153. La lussuria. 1. Lussurioso vale dissoluto nei piaceri, e poich sono sopratutto i piaceri impuri quelli che portano la dissoluzione nellanima, perci la lussuria sopratutto il vizio dei piaceri impuri.

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2. Come un bene la conservazione dellindividuo, cos un bene la conservazione della specie, perci luso dei piaceri carnali, in quanto si accorda con questo fine secondo lordine della ragione, pu essere senza peccato; 3. data per limportanza di tale fine qualunque cosa sia contro lordine della ragione vizio e peccato; 4. e poich il piacere carnale, che oggetto della lussuria, ha molta attrattiva e per esso gli uomini commettono molti peccati, perci la lussuria un peccato capitale. 5. Poich poi nella lussuria le potenze inferiori lottano potentemente contro le potenze superiori, quando le potenze inferiori vincono, le superiori, cio la ragione e la volont, restano molto scompigliate e ne seguono, come figlie della lussuria: la cecit della mente, linconsideratezza, la precipitazione e lincostanza nel giudizio della mente; lamore di se stesso, lodio di Dio, lamore della vita presente e lorrore della futura nellavolont.

Quest. 154. Parti della lussuria. 1. Secondo loggetto dellatto impuro le specie della lussuria sono 6: fornicazione, adulterio, incesto, stupro, ratto e peccato contro natura. 2. La fornicazione in s rappresenta una vita umana, quella della prole, messa in pericolo quanto alleducazione, per il cui bisogno gli stessi animali si accoppiano e fanno nido; quel pericolo poi un grave nocumento alla sicurezza della vita umana; la fornicazione quindi ha in s una gravit naturale. La Sacra Scrittura poi la qualifica un peccato che fa perdere il Paradiso, cio un peccato mortale. 3. Anzi essendo un peccato che nuoce non allindividuo, ma alla specie, un peccato molto grave; bench sia inferiore per gravit ai peccati che sono p. es. contro Dio.

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4. Quando lo si fa senza malizia e per costume del luogo, abbracciarsi e darsi un bacio non peccato; ma se invece lo si fa per il piacere della lussuria, allora peccato mortale. 5. Un disordine che avvenga mentre si dorme, mancando allora luso della ragione, non peccato, purch non si sia colpevoli in causa, e la causa pu essere interna, cio il corpo e la mente, ed esterna, cio ildiavolo. 6. Lo stupro, essendo fornicazione con chi vergine ed ancora sotto la tutela del padre, un peccato distinto, che aggiunge alla malizia della fornicazione e il danno fatto alla persona vergine e lingiuria fatta a chi ne padre. 7. Il ratto, consistendo nel rapire una persona a scopo di lussuria, un peccato speciale perch aggiunge alla malizia della lussuria la violenza fatta alla persona. 8. Ladulterio, cio peccato di lussuria di persona unita in matrimonio con unaltra, per questo un peccato che alla malizia della lussuria aggiunge lingiustizia verso il coniuge tradito e il danno verso la propria e laltrui prole, al cui bene delleducazione sinuoce. 9. Lincesto, ossia peccato fra congiunti, un peccato distinto, che aggiunge alla malizia della lussuria lirriverenza a propri congiunti e alle domestiche pareti. 10. Il sacrilegio, ossia peccato di persona consacrata a Dio, aggiunge alla malizia della lussuria la lesione del carattere sacro, ed perci un peccato speciale. 11. Il peccato contro natura non solo ripugna alla retta ragione, ma anche contro lordine di natura, perci un atto distinto, 12. ed insieme il pi grave dei peccati contro la purit.

Quest. 155. La continenza. 1. La continenza perfetta, cio astinenza da qualunque piacere carnale, lo stesso

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che verginit; la continenza invece, che freno della veemenza dei desideri cattivi, virt in senso largo; 2. ed precisamente freno dei desideri di atti impuri, ha quindi per oggetto i piaceri del tatto. 3. Essa poi bens freno dellappetito concupiscibile, ma, come virt, propria della volont. 4. La continenza perfetta la stessa temperanza, la continenza invece, che virt in largo senso, fa parte della temperanza.

Quest. 156. Lincontinenza. 1. Degli animali nonsi dice che abbiano n continenza, ne incontinenza; sene parla invece solo delluomo che ha lanima ragionevole, lincontinenza perci cosa dellanima e il corpo colle sue passioni ne soltanto loccasione. 2. Lincontinenza, o mancanza di freno, nei piaceri impuri peccato doppio, cio recesso dalla retta ragione e immersione nelle cose turpi; nei desideri di onori, di ricchezze e simili peccato semplice, cio recesso dalla retta norma della ragione; nel desiderio di cose nobili invece non peccato, ma virt. 3. In confronto dellintemperanza, lincontinenza meno grave, perch consiste nella mancanza di freno in qualche momento di passione, mentre lintemperanza una inclinazione abitualmente cattiva. 4. In confronto invece dellira, come passione, lincontinenza turpe peggiore dellincontinenza dira, perch un disordine pi grave contro la ragione; ma, come effetti, quelli dellira sono pi gravi perch nuocciono al prossimo.

Quest. 157. Clemenza e mansuetudine. 1. Clemenza e mansuetudine, bench gli effetti siano eguali, non sono lo

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stesso, perch la clemenza propria dei superiori soltanto, la mansuetudine invece propria di tutti; 2. ambedue tuttavia sono virt, perch frenano lira a norma della retta ragione; 3. e fanno parte della temperanza, di cui proprio il frenare le passioni. 4. Bench siano inferiori alle virt teologali, tuttavia hanno uneccellenza particolare, perch la mansuetudine frena lira, che altrimenti impedisce di giudicare liberamente la verit, e la clemenza avvicina alla carit, che la pi grande delle virt.

Quest. 158. Liracondia. 1. Lira una delle passioni; queste sono cattive quando fanno contro la ragione, perch si volgono a un cattivo oggetto ovvero nel modo eccedono o mancano: lira quindi, se contro la retta ragione, cattiva, se invece conforme alla retta ragione, buona; 2. perci lira, se desiderio che si faccia quella vendetta che di ragione diventa zelo ed lodevole, purch il moto dira non sia esagerato; se invece desiderio di una vendetta ingiusta, o immeritata, cio, od esagerata, allora lira cattiva, vizio; 3. ed peccato mortale lira, che desiderio di vendetta ingiusta, perch contro la giustizia e la carit, a meno che si tratti di piccola cosa; il moto invece troppo acceso dellira in s peccato veniale, a meno che trascenda tanto da rompere la carit verso Dio e verso il prossimo. 4. Lira, che desiderio di vendetta cio di punizione per il bene, per questo lato meno grave dellodio e dellinvidia, ma quanto al suo moto che di scatti pronti e violenti la vince sugli altri peccati. 5. Gli iracondi sono o acuti, che pungono per ogni piccola cosa; o amari, che si legano le offese ad un dito; o difficili, che non la perdonano pi.

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6. Per la vendetta, a cui si tanto propensi, e per gli scatti di collera, di cui si tanto facili, si commettono tanti peccati; dallira quindi derivano tanti vizi ed essa un peccato capitale, 7. e sono figlie dellira, secondoch essa o nel cuore, o sulla bocca, o negli atti: le risse, la bile, le offese, gli schiamazzi, lindignazione e la bestemmia. 8. Dal mancare poi di ira, anche quando la retta ragione vuole che ci si agiti, deriva il vizio opposto allira, che si chiama apatia.

Quest. 159. La crudelt. 1. La crudelt, che cruda ed aspra, si oppone alla mansuetudine, che invece lene e dolce. 2. La crudelt differisce dalla ferocia quanto la malizia umana differisce dalla bestialit.

Quest. 160. La modestia. 1. A freno delle concupiscenze carnali di gola e di lussuria, che sono le pi difficili a frenarsi, c la temperanza; a moderare invece le altre concupiscenze c la modestia, virt che fa parte della temperanza; 2. essa ha per oggetto non soltanto le azioni esteriori, ma anche gli atti interni, ed umilt quando moderale spinte a primeggiare, studiosit quando modera la curiosit di sapere, decoro quando modera gli atti sia seri che scherzevoli, ed eutrapelia quando modera il divertimento del giuoco.

Quest. 161. Lumilt. 1. Relativamente ad un bene arduo necessaria una duplice virt, una che ecciti e una che impedisca alleccitazione di riuscire eccessiva; alla magnanimit quindi, che eccita, occorre il contrappeso

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di una virt, che sia freno allanimo, affinch non tenda smodatamente a cose alte; tale virt lumilt. 2. Questo freno viene dal conoscere ci che sproporzionato alle proprie forze; cosicch la cognizione dei propri difetti per lumilt la regola direttiva e lumilt consiste nello stesso freno dellappetito. 3. Di quanto c in noi, quello che bene viene da Dio, quello che difetto viene da noi stessi; perciciascuno, mettendosi a confronto col prossimo e quanto al bene che ha da Dio e quanto al male che ha da se stesso, deve essere prono allumilt generalmente con tutti. 4. Lumilt, che freno dellanimo, parte della temperanza. 5. Lumilt la pi grande delle virt; per dopo le virt teologali; dopo le virt intellettuali che informano la stessa ragione ordinatrice e dopo la giustizia, che costituisce lordine universale, essendo lumilt un particolare ordinamento della ragione. 6. S. Benedetto enumera 12 gradi di umilt, dei quali il primo : mostrare sempre umilt di cuore e di corpo, e lultimo : temere Iddio e ricordarsi dogni suo precetto; e cos dallinfima manifestazione di umilt si arriva al fondamento, che il timor di Dio.

Quest. 162. La superbia. 1. Superbia vale sopra ci che si pretendere , essa contro la retta ragione, la quale vuole che la volont di ciascuno tenda a ci che gli proporzionato, perci peccato; 2. ed un peccato speciale in quanto consiste in tale disordinato desiderio della propria eccellenza; in quanto poi questo disordinato desiderio si riversa negli altri peccati, per cui o gli altri peccati servono alla superbia o per la superbia si disprezzano i comandamenti di Dio, la superbia diventa un peccato generale.

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3. Oggetto della superbia qualche cosa di arduo, e larduo loggetto proprio dellappetito irascibile; la superbia quindi si trova nellirascibile, preso in senso stretto, se si tratta di cose sensibili, preso in senso largo, se si tratta di cose spirituali. 4. Quattro sono le specie della superbia: I. credersi autori del proprio bene; II. i doni del cielo riputarli dovuti ai propri meriti; III. vantarsi di ci che non si ha; IV. disprezzare gli altri per essere singolari in ci che si ha. Cos S. Gregorio Magno. 5. Se lumilt soggezione anzitutto a Dio, la superbia, che le contraria, ribellione anzitutto a Dio; nel distacco da Dio sta la morte dellanima, perci la superbia un peccato di genere mortale, sorgente dal ricusare soggezione a Dio e alla sua legge; veniale soltanto se non ci sono questi estremi o se latto volontario imperfetto. 6. La superbia anzi il pi grande dei peccati, se non per il suo oggetto, certo per per la ribellione aDio che essa rappresenta. 7. E poich la ribellione a Dio porta per conseguenza il trasgredirne i precetti, perci la superbia il primo peccato e il principio degli altri; 8. la superbia quindi, come peccato speciale, un peccato capitale, fonte di altri peccati i e inoltre come peccato generale, per la sua influenza su tutti gli altri peccati, la regina dei peccati, come la chiama SanGregorio.

Quest. 163. Il peccato del primo uomo. 1. Il peccato del primo uomo, dato il suo stato di innocenza, non poteva essere di concupiscenza della carne dalla quale era immune; resta perci che sia stato di desiderio di un bene spirituale a lui sproporzionato, il che superbia; perci il primo peccato fu di superbia; 2. e il bene spirituale sproporzionato cui tese Adamo fu la somiglianza con Dio; non la somiglianza diseguaglian-

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za, perch impossibile ed egli non era cos sciocco da non capirlo, ma la somiglianza di imitazione, la quale di tre specie: di natura, di cognizione, e di operazione; quella di natura Adamo laveva gi; quella di cognizione lavevano gli Angeli e non luomo; quella di operazione non lavevano n gli angeli, n luomo: Lucifero pecc aspirando allimitazione di operazione; Adamo pecc aspirando allimitazione di cognizione per fissarsi da s la regola del bene e del male e passare poi alla somiglianza di operazione. 3. Il peccato di Adamo fu il gi grave di tutti, se non nella sua specie, perch la bestemmia per es. pi grave, certo per nelle circostanze della persona elle lo commise, data la perfezione del suo stato. 4. Il peccato di Adamo fu pi grave del peccato di Eva, se si guarda alla persona di chi pecc, perch Adamo era uomo e pi forte di Eva; ma se si guarda al peccato stesso di superbia, il peccato di Eva fu maggiore, perch essa credette al serpente e indusse al peccato anche Adamo, il quale pecc per essere a lei compiacente: perci Eva fu punita pi gravemente di Adamo.

Quest. 164. Pene del primo peccato. 1. Quando per una colpa si privati di un dono che si aveva ricevuto, la privazione di quel dono diventa la pena della colpa. Adamo aveva ricevuto la immunit dalla morte e dai difetti corporali come privilegio dello stato di innocenza; e cio alla sua dipendenza a Dio corrispondeva in lui la dipendenza perfetta delle potenze inferiori alle superiori e del corpo allanima spirituale in una specie di assorbimento: a questo successe il dissolvimento e la ribellione, in corrispondenza alla sua ribellione a Dio; ne seguirono per conseguenza la morte e i dolori, pene del peccato. La morte naturale al corpo per la condizione della materia, che scomponibile; ma anche una pena a

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cagione della perdita di quel dono, che preservava dalla morte. 2. La Scrittura determina esattamente le pene che derivarono in Adamo ed Eva dalla privazione di quel dono che avrebbe conservato lintegrit della natura umana. Il luogo competente al loro stato, cio il Paradiso terrestre, non fu pi quello e ne seguirono in loro tali impedimenti da non poterlo pi riacquistare; furono inflitte a ciascuno pene di corpo secondo conveniva alloro sesso; e furono inflitte pene di anima, consistenti sopratutto nella vergogna e nel rimpianto della colpa passata e nello spettro continuo della morte futura.

Quest. 165. La tentazione dei progenitori. 1. Anche della natura umana proprio che le altre nature le siano o di aiuto o di ostacolo; nessuna sconvenienza al quindi se Dio permise che gli angeli cattivi tentassero Adamo come fece che gli angeli buoni lo aiutassero; mentre poi egli aveva, per grazia speciale, che nulla potesse nuocergli contro volont. 2. Luomo ha una doppia natura: intellettiva, sensitiva; e nella prima tentazione fu tentato in ambedue; nella intellettiva per il desiderio della somiglianza con Dio e nella sensitiva per mezzo e di un pomo, di un serpente e di una donna.

Quest. 166. La studiosit. 1. Lo studio applicazione della mente a una cosa, e si effettua nella cognizione della cosa, alla quale poi segue luso della cognizione; ma siccome le virt si specificano dal loro oggetto principale, perci la studiosit relativa alla cognizione e non al suo uso. 2. Essa modera il desiderio di cognizione e poich moderare i desideri oggetto della temperanza, perci la

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studiosit, che sta fra la negligenza e la curiosit, fa parte della temperanza.

Quest. 167. La curiosit. 1. La cognizione della verit in s buona, ed accidentalmente cattiva quando uno se ne insuperbisce o se ne serve per peccare: altrettanto il desiderio del sapere pu essere buono, ma pu essere anche cattivo o per il fine cui tende, cio o insuperbirne o servirsene a peccare; o per un disordine che ha in s, che si verifica; I. quando distoglie da uno studio pi necessario; II. quando fa rivolgersi a chi non si deve; III. quando si studia la natura per obliarne lautore; IV. quando per voler studiare cose superiori nonsi imparano che errori. In tali cose il desiderio di sapere curiosit viziosa. 2. La cognizione sensitiva necessaria per provvedere alle necessit della vita, ed via alla cognizione intellettiva ed allora buona; ma la curiosit dei sensi che distrae dallo studio o che porta al male, come sarebbero i pensieri cattivi dal guardare cose pericolose, o le mormorazioni dallosservare sottilmente i fatti altrui; una curiosit peccaminosa.

Quest. 168. La modestia esterna. 1. Le membra sono mosse dallanima, il loro moto quindi regolabile dalla ragione; e quando il moto delle membra regolato in ordine al decoro della persona e dellambiente in cui si trova, allora c la virt della modestia esterna. 2. Come il corpo ha bisogno di riposo, cos lanimo ha bisogno di sollievo, altrimenti larco troppo teso si spezza. Ma il sollievo si deve cercare non nelle cose turpi e non con jattura della propria dignit o prestigio, ma sempre in modo conveniente alle circostanze di tempo, luogo e persone; in ci sta leutrapelia.

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3. Nel giuoco pu esserci sregolatezza o dello stesso giuoco, che pu essere o contro la purit o contro la carit, ed peccato mortale; o delle circostanze di tempo, luogo e persona, ed allora di solito peccatoveniale. 4. Come contro ragione leccesso, cos contro ragione e peccaminoso il difetto nel giuoco e consistein quella che si dice musoneria e selvatichezza.

Quest. 169. Modestia nel vestire. 1. Circa il vestire c una virt, che consiste nellevitare tutto ci che vi di vizioso; questo poi pu trovarsi e nella foggia del vestire contraria ai costumi umani; e nel vestito troppo lussuoso che pu avere senso o di libidine o di pompa, o di troppa delicatezza o di troppa ricercatezza; e anche nel vestito troppo trasandato quando lo o per poltroneria o per ambizione nascosta; 2. quanto poi alle donne c da aggiungere che il loro abbigliamento provoca gli uomini alla lascivia; perci se si tratta di una donna che ha da piacere al marito non peccato; ma se si tratta di chi non ha da piacere a nessuno peccato ed anche peccato mortale se c lo scopo perfido di provocare laltrui concupiscenza; non cos se lo si fa per leggerezza e vanit.

Quest. 170. Precetti di temperanza. 1. Poich scopo dei Comandamenti ottenere la carit di Dio e del prossimo, era conveniente fissare precetti di temperanza specialmente in ci che pi contraria quello scopo, furono perci dati il 6 e il 9 comandamento, 2. e per lo stesso scopo fu anche conveniente che fossero aggiunti precetti delle virt connesse con la temperanza per impedire lira, per cui si offende il prossimo, e la superbia, per cui si nega il debito onore ai genitori.

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Quest. 171. Profezia. 1. Profezia significa visione di cose remote e la visione appartiene alla cognizione, perci la profezia consiste primieramente nella cognizione; secondariamente consiste nella locuzione, cio nella manifestazione delle visioni, e in terzo luogo consiste anche nel fare miracoli a conferma della verit di ci che si profetizza. 2. Per la visione necessario il lume, lume intellettuale se la visione intellettuale; lume poi intellettuale superiore se la visione intellettuale supera la capacit naturale; tale la profezia per luomo. Il lume intellettuale pu essere o permanente, come la luce del sole, o transeunte, come la luce nellaere; ma nei profeti esso non permanente, perch non sempre sono in grado di profetare; resta quindi che la Profezia un atto transeunte e non un abito permanente: 3. essendo per esso un lume divino, la visione profetica si estende a tutte le cose, come la luce corporale si estende a tutti i colori; e tale visione essendo di cose remote, non solo di ci che supera lintelligenza comune e di ci che di fatto a nessuno noto bench lo possa essere, ma anche si estende a ci che a nessuno pu essere noto se non a Dio, quali sono i futuri eventi umani, e questa propriamente profezia. 4. Conosciuto perfettamente un principio in tutta la sua forza, si conosce anche tutto ci cui si estende; conosciuto invece imperfettamente, si conosce soltanto ci in cui esso si fa rilevare; il principio di tutto ci che profetabile la verit divina, ma questa i profeti non la vedono in se stessa, perci i profeti conoscono soltanto ci che loro viene rivelato. 5. La mente del profeta viene istruita o per mezzo di unespressa rivelazione o per un istinto che essa inconsciamente subisce; nel primo caso il profeta sa distinguere ci che viene dallo spirito di profezia da ci che viene dal suo; nel secondo caso no.

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6. La profezia partecipazione della verit divina; alla verit divina la falsit impossibile, impossibile quindi la falsit anche alla profezia. Non si avver qualche profezia condizionata, come quella di Ninive, perch non si avver la condizione.

Quest. 172. La profezia nelle sue cause. 1. La profezia visione delle cose remote in se stesse e non gi previsione di eventi futuri nelle loro cause; questa possibile agli uomini perch naturale, ma quella no, perch pu aversi soltanto per rivelazione divina in quanto preconoscere i futuri in se stessi proprio esclusivamente dellintelletto divino. 2. Di tale rivelazione la Scrittura ci dice che sono ministri gli Angeli, i quali possono illuminare lintelletto umano. . Dipendendo la vera profezia esclusivamente da rivelazione divina, non c predisposizione naturale a essa; e Dio nel fare rivelazioni pu infondere la necessaria disposizione e anche crearne il soggetto. 4. Non si esige nemmeno come predisposizione la santit; perch essa propria della volont, mentre la profezia propria dellintelletto: pu per la malvagit essere impedimento al dono della profezia. 5. La profezia propriamente detta, essendo visione degli eventi umani futuri in se stessi, di cosa che propria esclusivamente dellintelletto divino, non pu perci aversi dal diavolo, il quale quindi, per quanto sia di acuto intelletto, non pu fare che profeti falsi; 6. i quali per, dato lacume dellintelletto diabolico, possono insieme alle falsit intoppare a dire qualche cosa di vero.

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Quest. 173. Mezzi della cognizione profetica. 1. Poich la visione della divina essenza riservata allaltra vita, e la divina essenza semplice e non si pu quindi distinguere in lei loggetto della beatitudine pei santi e lo specchio delleternit per i profeti; i profeti non videro la divina essenza, n, quello che videro, lo videro nella divina essenza, bens in qualche similitudine o specchio della divina essenza. 2. La visione profetica si compie talora per influenza del lume divino sulle nozioni gi possedute, talvolta collinfusione di nozioni nuove, e talvolta con una nuova disposizione delle nozioni vecchie; 3. e non avviene sempre con estasi, o astrazione dai sensi, anzi quando si compie a mezzo di qualche rappresentazione sensibile, come il roveto di Mos, necessario si compia senza lastrazione dei sensi. 4. E poich i profeti, in confronto dello Spirito Santo che li muove, sono strumenti deficienti, perci non occorre che capiscano quanto dicono: cos avvenne per es. di Caifa.

Quest. 174. Divisione della Profezia. 1. La profezia di 3 specie: di minaccia, di prescienza, di predestinazione; perch o commina delle pene, o annuncia ci che Dio prevede che sar fatto dagli uomini; o predice ci che ha destinato di fare Dio stesso. 2. La profezia, che visione di una verit soprannaturale, pu essere o visione diretta della verit, o visione a mezzo di imagini della verit: ma quella superiore a questa, perch pi si avvicina alla visione beatifica e perch mostra nel profeta una maggiore altezza di mente. 3. Nella visione poi a mezzo di imagini della verit, secondo la forma dellimagine si distinguono i gradi di profezia; essi sono: sogno, visione durante la veglia; audizione di parole; apparizione di simboli; apparizione del perso-

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naggio che parla, in sembianza angelica; apparizione dello stesso in sembianzadivina. 4. Mos fu il pi grande profeta e quanto alla visione intellettuale, perch, come S. Paolo, vide apertamente la verit, e quanto alla visione a mezzo di imagine, perch aveva lapparizione del personaggio che parlava, in sembianza divina, e quanto infine alla manifestazione e alla confermazione delle profezie; per Davide per es. annunci di Dio pi verit di Mos. 5. Se la profezia visione di verit remota, essa non ha luogo nei beati, che hanno la verit presente. 6. Quanto al progresso della profezia esso non fu in tutto conforme allo svolgersi dei tempi, perch se quanto alla profezia per la fede in Dio il suo graduale sviluppo segnato dal tempo dei patriarchi, di Mos e di Cristo; e se quanto alla profezia per la fede nellIncarnazione il suo graduale sviluppo cresce a misura che il mistero si avvicina e si compie; invece quanto alla profezia per la regola delloperare essa pi o meno grande a seconda dei bisogni dei tempi.

Quest. 175. Il rapimento. 1. Il rapimento, che dice violenza, cio forza dallestrinseco, significa astrazione della mente: ne pu essere causa uninfermit, che fa perdere i sensi; ne possono essere causa i demoni e ne pu essere causa anche la virt divina e questo il vero rapimento per cui taluno viene elevato dallo spirito divino a cose soprannaturali con astrazione dai sensi. 2. Il rapimento, che ha per termine la visione della verit, appartiene per s alla facolt conoscitiva, talvolta per, avendo una causa affettiva, pu appartenere alla facolt appetitiva; in paradiso poi di ambedue le facolt. Lestasi effetto dellamor di Dio; il rapimento per aggiunge allestasi, uscita di s, il concetto di una specie di violenza operata dalla spirito divino.

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3. S. Paolo nel suo rapimento da ritenersi che abbia veduto lessenza divina medesima, perch si trov nel cielo dei beati, che ne hanno la visione beatifica, 4. e nel suo rapimento S. Paolo fu alienato dai sensi, perch se le stesse nostre cognizioni intellettuali sono operazioni di astrazione dai sensi, la visione altissima dellessenza divina non pu essere senza lastrazione dai sensi. 5. Alla visione per di S. Paolo non era necessario che lanima si separasse anche dal corpo, perch bastava che lintelletto di S. Paolo astraesse dalle imagini sensibili della fantasia e da ogni percezione sensibile. 6. S. Paolo per, mentre sapeva di essere nel terzo cielo, non sapeva se la sua anima fosse separata o no dal corpo; anche noi quando sogniamo conosciamo chiaramente il sogno, ma non badiamo a sapere se doriamo o siamo desti.

Quest. 176. Il dono delle lingue. I. Gli Apostoli, che dovevano evangelizzare i diversi popoli della terra, ricevettero nella Pentecoste il dono di tutte le lingue e perch ne avevano bisogno e perch, come la confusione delle lingue fu segno dellallontanamento del mondo da Dio, cos il dono delle lingue doveva essere segno del riavvicinamento del mondo a Dio. 2. Il dono per della profezia supera il dono delle lingue, perch pi eccellente, pi nobile e pi utile alla Chiesa.

Quest. 177. Il dono del discorso. 1. Oltre al dono delle lingue gli Apostoli ricevettero dallo Spirito Santo il dono del discorso, perch avevano bisogno non soltanto di conoscere le lingue, ma anche di saper parlare efficacemente per convincere, commuovere e convertire.

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Il dono del discorso in loro ha supplito la mancanza dello studio della Retorica. 2. Al dono del discorso, della scienza e della sapienza possono partecipare anche le donne, ma soltanto per i discorsi famigliari e privati e non per i discorsi pubblici in Chiesa, poich questi sono di spettanza dei Prelati.

Quest. 178. Il dono dei miracoli. 1. Poich per luomo naturale riconoscere le verit intellettuali per mezzo di sensibili effetti, lo Spirito Santo, per provvedere sufficientemente alla Chiesa aggiunse al dono delle lingue e al dono del discorso anche il dono dei miracoli, i quali sono effetti soprannaturali che inducono luomo alla cognizione soprannaturale delle verit da credersi. 2. Cose mirabili possono operarle anche i demoni, ma veri miracoli pu operarli Dio solo; di essi Dio si serve e per dimostrare la santit di un uomo e per dimostrare la santit della fede che egli predica e in questo secondo caso un miracolo pu essere fatto anche se la persona che predica la fede o invoca Iddio non santa.

Quest. 179. Vita attiva e vita contemplativa. 1. Lintelletto, che la caratteristica delluomo, si distingue in speculativo, la cui cognizione ha per fine la stessa contemplazione della verit, e pratico la cui cognizione ha per fine lagire; perci ci sono due vite: la contemplativa e lattiva; 2. e poich la vera vita umana ha principio dallintelletto, questa divisione sufficiente.

Quest. 180. La vita contemplativa. 1. La vita contemplativa consiste principalmente nella contemplazione della verit, non per esclusivamente in questo; anzi, poich

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lintelletto principio della volont, dal possesso della verit da parte dellintelletto ne deriva alla volont compiacenza ed amore; 2. e le virt morali, bench non siano costitutive della vita contemplativa, ne sono per dispositive, perch frenano le passioni che altrimenti impedirebbero la vita contemplativa; 3. inoltre, bench la vita contemplativa consista nellatto della contemplazione della verit, a questo si devono premettere altri atti, come lascoltare, il leggere, il pregare, il meditare ecc.; 4. essa infine consiste primieramente nella contemplazione di Dio, ma secondariamente anche nella contemplazione dei divini effetti, perch dalle cose visibili che conosciamo le cose invisibili di Dio. 5. La contemplazione di Dio, tuttavia, nella presente vita e durando luso dei sensi, non arriva alla visione della stessa essenza divina; ci pu avvenire soltanto in un rapimento, quale fu quello di S. Paolo. 6. La contemplazione perfetta si compie o raccogliendo nella sola contemplazione della verit tutte le operazioni dellanima, o elevandosi dalle cose sensibili esteriori alle cose intellettuali, o lavorando di raziocinio in base a lumi celesti: vi sono cos tre moti distinti dellanima e cio il circolare, il retto e lobliquo. 7. La vita contemplativa, sia perch consiste nella pi alta operazione umana, sia perch ha la radice nel divino amore, la vita pi gioconda. 8. La vita contemplativa diuturna non solo perch il suo oggetto inesauribile, ma anche perch in noi si compie nella parte incorruttibile, che lintelletto, e senza fatica del corpo.

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Quest. 181. La vita attiva. 1. Gli atti delle virt morali appartengono tutti alla vita attiva, perch essa ha per iscopo lagire. 2. Anche la prudenza appartiene alla vita attiva, perch essa retta norma dellagire. 3. Linsegnamento, in quanto opera del maestroe concorso dello scolaro, appartiene alla vita attiva; ma nello scolaro appartiene alla vita contemplativa quando in lui diventa fissarsi nella contemplazione della verit e compiacersene. 4. Il Paradiso consiste nella visione beatifica, che vita contemplativa, cesser quindi in Paradiso la vita attiva.

Quest. 182. Confronto fra le due vite. 1. Le necessit della vita presente esigono maggiormente la vita attiva, ci per non toglie che la vita contemplativa sia la migliore. 2. Ed anche pi meritoria della vita attiva la vita contemplativa, perch essa si riferisce direttamente allamore di Dio, il quale pi eccellente dellamore del prossimo, cui si riferisce direttamente la vita attiva; a meno che succeda che taluno si dedichi alla vita attiva per sovrabbondanza del divino amore. 3. La vita attiva, in quanto occupata nelle azioni esteriori, di impedimento alla vita contemplativa; ma invece di giovamento ad essa in quanto modera le interne passioni dellanima che impediscono la contemplazione. 4. Per natura sarebbe prima la vita contemplativa, perch essa diventa motivo della vita attiva, ma in ordine di tempo prima la vita attiva, perch essa diventa dispositiva della vita contemplativa.

Quest. 183. Uffici e stati degli uomini. 1. Stato significa condizione stabile, questa risulta non dalle ricchezze o

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dalle dignit, che sono mutevoli, ma dallessere uno padrone di s o meno; stato quindi riguarda direttamente la libert e la servit, sia nelle cose civili che nelle spirituali. 2. Nella Chiesa c diversit di stati e di uffici, e ci per la sua perfezione, la quale risulta dalla variet nellordine; per la sua necessit, essendo varie le sue funzioni; infine per il suo decoro, essendovi tutto ingradazione. 3. La diversit poi degli uffici si distingue dai relativi atti, perch se la perfezione porta la differenza degli stati, uno pi perfetto degli altri; la necessit porta la differenza degli uffici, che importano diversi ordini di azioni; mentre il decoro importa diversi gradi, essendoch anche in uno stesso stato od ufficio ci sono gli uni superiori agli altri. 4. Spiritualmente ci sono due stati: uno di servit al peccato o alla giustizia, e uno di libert o dal peccato o dalla giustizia: il peccato contrario alla natura umana, perci naturale alluomo lo stato di libert dal peccato che diviene tosto stato di servit della giustizia e come in ogni cosa c il principio, il mezzo e il fine, cos nello stato di servit della giustizia si pu essere incipienti, proficienti e perfetti.

Quest. 184. Lo stato di perfezione. 1. La perfezione cristiana si deve sempre guardare sotto il punto di vista della carit, che il vincolo della perfezione. 2. Amare Dio quanto esso amabile e amare Dio colle forze tutte sempre e solo in atto di amarlo ci impossibile nella presente vita; ma ci possibile amareDio escludendo sempre tutto quello che ripugna allamor di Dio e in questo sta la perfezione possibile nella presente vita. 3. La perfezione, che riposta essenzialmente nella carit, consiste primieramente nellosservanza dei precetti, i quali hanno per fine la carit e la rimozione di ci che contrario alla carit; nella pratica dei consigli, che hanno

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per fine la rimozione di certi impedimenti dellatto di carit che per non sono contrari alla carit, come loccuparsi di affari, consiste solo secondariamente. 4. La perfezione per, o stato interno, non coincide collo stato di perfezione, o professione di vita di perfezione, perch c chi manca al suo dovere e c chi fa pi di quello che deve; ci sono dei religiosi cattivi e ci possono essere dei semplici fedeli ottimi, ci sono adunque dei perfetti che non sono nello stato di perfezione e viceversa. 5. Nello stato di perfezione si trovano i religiosi per voto e i vescovi per ufficio, perch gli uni per la solennit del voto, gli altri per la consacrazione episcopale sono obbligati alla perfezione. 6. Coloro che sono insigniti dellordine del diaconato o del presbiterato non sono costituiti con ci nello stato di perfezione, perch in loro lordine dice soltanto facolt di compiere atti sacri e la cura danime non li lega totalmente, giacch possono lasciarla, e ci anche senza permesso del Vescovo se si fanno religiosi. Costituisce invece nello stato di perfezione lEpiscopato, perch i vescovi sono legati alla cura cos, che senza il consenso del Papa non possono lasciarla. 7. Lo stato poi episcopale superiore allo stato religioso, perch agire pi che soffrire e lo stato episcopale prevalentemente di agire, mentre quello religioso di soffrire. 8. I sacerdoti secolari, che hanno cura danime, in confronto dei religiosi, che hanno gli ordini sacri ma non hanno cura danime, sono inferiori quanto allo stato di vita, che non stato di perfezione; ma sono superiori quanto alla cura danime, perch pi difficile vivere bene in cura danime che vivere bene in religione.

Quest. 185. Episcopato. 1. Desiderare lepiscopato per lufficio, che di pascere il gregge di Cristo e di essere

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utile al prossimo, cosa buona per chi si sente in forze; ma desiderare lepiscopato per la riverenza, lonore e lopulenza che ne consegue ambizione e cupidigia; desiderarlo poi per la eccellenza del grado presunzione. 2. Ma se lepiscopato anzich desiderarlo viene imposto non si pu rifiutarlo, perch sarebbe contro la carit del prossimo e contro lobbedienza dovuta al superiore. 3. Chi elegge allepiscopato deve eleggere il migliore, e cio non semplicemente il pi santo, ma chi il pi atto al governo della Chiesa da affidargli; chi poi viene eletto non deve stimarsi il pi degno, deve per sapersi non indegno. 4. Lo stato di perfezione episcopale consiste nellattendere alla salute del prossimo per amor di Dio, e chi ne insignito vi obbligato finch utile alla Chiesa e non pu lasciarlo, nemmeno per farsi religioso, senza il consenso del Papa e senza legittima causa; questa pu trovarsi in lui, per qualche difetto, cio, sopravveniente o di anima o di corpo e pu trovarsi anche nel gregge che a lui non corrisponde; 5. e quando la salute del gregge esige la presenza corporale del Pastore e del Vescovo, esso non pu abbandonarlo nemmeno per il pericolo della vita, a meno che possa sufficientemente provvedere altrimenti. 6. I Vescovi non sono proibiti di possedere qualche cosa di proprio, giacch non sono legati n dallufficio che a ci non si estende, n dal voto di povert, che non hanno emesso. 7. I redditi della Chiesa sono per i poveri, per il culto e pei ministri, e quindi al vescovo ne spetta solo una parte; se lamministrazione distinta, il vescovo, che esige anche ci che non gli spetta, pecca contro la giustizia, ma di quello che gli spetta pu far uso come fosse suo; se lamministrazione non distinta ed a lui affidata, nella ripartizione, non pu attribuirsi una

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parte eccessiva, perch allora non il dispensatore fedele richiesto da S. Paolo. 8. Quando un religioso viene fatto vescovo deve conservare delle sue regole ci che non impedisce lufficio Pontificale il che potrebbe essere del silenzio, delle veglie, dei digiuni, dellorario e resta obbligato a ci che serve alla custodia della perfezione, come la castit, la povert e labito, che il segno della professione di vita perfetta.

Quest. 186. Lo stato religioso. 1. Lo stato religioso stato di perfezione, perch religiosi si dicono quelli che totalmente si dedicano al servizio di Diocome in olocausto e nellattendere totalmente a Dio consiste la perfezione. 2. La perfezione consiste essenzialmente nella carit; consequenzialmente nelle opere virtuose, e strumentalmente negli esercizi di perfezione. Chi si fa religioso si obbliga non ad avere gi la perfezione, ma ad acquistarla, perci tenuto a tendere alla carit perfetta, ad avere lanimo di manifestarla cogli atti di virt, e a praticare quegli esercizi di perfezione che sono fissati dalla regola che ha professata; non per obbligato agli esercizi di altre regole. 3. Per giungere alla carit perfetta bisogna avere il cuore totalmente distaccato dalle cose mondane, perci alla perfezione del religioso necessario il voto di povert. 4. Anche lunione coniugale impedisce al cuore di darsi totalmente al servizio di Dio, tanto pi che vi si aggiungono le brighe della famiglia, perci alla perfezione del religioso necessario anche il voto di castit. 5. La perfezione consiste sopratutto nellimitazione di Cristo; di Cristo fu lodata sopratutto lobbedienza, perci alla perfezione del religioso necessaria lobbedienza. 6. I religiosi appartengono allo stato di perfezione; lo stato di perfezione lo costituisce per i vescovi la consa-

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crazione episcopale, per i religiosi lobbligazione assunta solennemente, cio con voto; perci la povert, la castit e lobbedienza, che sono necessarie alla perfezione, devono essere assunte con voto; 7. e poich per questi tre voti il religioso liberato da ogni sollecitudine temporale, che gli impedirebbe di attendere alla perfezione, e inoltre esso fa sacrificio a Dio di quanto gli pu appartenere perch gli offre ogni bene esterno, col voto di povert e, dei beni interni, quello che sarebbe suo possesso del corpo col voto di castit e, col voto di obbedienza, quello che sarebbe suo possesso dellanima, perci in quei tre voti consiste la perfezione del religioso. 8. Di quei tre voti poi il pi importante il voto di obbedienza, perch con quello si fa sacrificio a Dio della volont, che il bene nostro pi intimo e pi nobile, e perch la volont principio di tutta la vitareligiosa. 9. La professione religiosa riguarda principalmente i tre voti, perci i voti importano obbligazione grave; non cos il resto della regola, la sua trasgressione quindi non peccato mortale, a meno che vi si unisca il disprezzo dellautorit. 10. Un peccato pi grave in un religioso che in un secolare e ci per il voto che esso ne pu avere, poi per lo stato di perfezione che professa, e infine per lo scandalo che ne deriva. Se per il peccato per fragilit o ignoranza, nel religioso riesce pi facilmente riparabile che nel secolare.

Quest. 187. Competenza dei religiosi. 1. Lo stato religioso non rende illecito ai religiosi il predicare, confessare, insegnare ecc., ma nemmeno ne conferisce loro la facolt; questa a loro viene conferita dagli ordini sacri e dallautorizzazione della competente autorit.

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2. Come dello stato clericale, cos pure dello stato religioso che non si possono trattare affari per amore di denaro, ma si pu soltanto, per amor del prossimo, fare opera di amministrazione e di direzione colla debita moderazione e collautorizzazione dei superiori. 3. I religiosi, che non lo hanno per regola, non sono obbligati al lavoro, pi di quanto lo siano i secolari, perci, come essi, vi sono tenuti per procurarsi il vitto, per fuggire lozio, per frenare la concupiscenza dellaltrui e per poter fare elemosina; per lavoro poi si intende il lavoro manuale e qualunque altra onestaoccupazione. 4. Ad ognuno lecito vivere, anzich di lavoro, di ci che proprio in quanto o lo si ha o se ne ha il diritto; anche ai religiosi perci lecito vivere, non di lavoro, ma di elemosine, che divengono loro proprie in quanto o sono date dai benefattori o sono loro donate dal prossimo; sono poi loro dovute le elemosine quando essi non hanno sufficientemente da vivere, sono ammalati o non sono in grado lavorare, ovvero quando esse sono la corresponsione di altre prestazioni; non per lecito far uso delle elemosine dei benefattori se non si corrisponde alle loro intenzioni e se si vuol vivere oziosamente. 5. Quanto al mendicare esso pu essere considerato o come esercizio di umilt o come modo di acquisto; come esercizio di umilt sempre lecito ai religiosi il mendicare; ma come modo di acquisto il mendicare loro lecito per le loro necessit o per qualche impresa utile; non lecito invece il mendicare se si fa per cupidigia di denaro o per vivere oziosamente. 6. Quanto al vestire luso di vesti vili loro lecito per penitenza e per disprezzo della pompa, ma non lecito neanche a loro luso di tali vesti se per avarizia, per poltroneria o per ambizione nascosta.

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Quest. 188. Differenza di religiosi. Tutti i religiosi si danno al servizio di Dio, ma diversi sono i modi di servirlo, perch diverse sono le opere di carit e diversi gli esercizi di piet, perci diverse sono anche le religioni nella Chiesa. 2. Poich alla perfezione della carit appartiene lamore di Dio, che principio della vita contemplativa, ed anche lamore del prossimo, che principio della vita attiva, perci oltre ai religiosi della vita contemplativa ci devono essere anche religiosi di vita attiva. 3. E poich a sovvenzione del prossimo pu essere anche indirizzato lufficio dei soldati, non solo a pro dei privati, ma anche a pro della repubblica cristiana, perci conveniente anche listituzione di ordini religiosi militari. 4. E poich il bene del prossimo sta sopratutto nel bene dellanima e questo si procura specialmente predicando e confessando, perci convenientissima listituzione di ordini religiosi a questo scopo. 5. E poich allutile esercizio del predicare e del confessare necessario lo studio, perci conveniente anche listituzione di ordini religiosi che attendono agli studi, tanto pi che lo studio giova altres alla vita contemplativa e promovendola e impedendone gli errori. 6. Nel confrontare gli ordini religiosi fra di loro bisogna guardare prima al fine cui tendono, poi agli esercizi che praticano. Per s quindi il primo posto spetta agli ordini di vita contemplativa; ma c un genere di vita attiva, cio lo studio, che suppone la pienezza della vita contemplativa, questo adunque prevale su tutti, anche perch prepara allinsegnamento e alla predicazione, cose che sono le pi vicine allo stato di perfezione dei vescovi, che superiore allo stato di perfezione dei religiosi. 7. La perfezione consiste essenzialmente nella carit; e nella povert consiste solo strumentalmente, cio in quanto serve a rimuovere quellimpedimento alla ca-

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rit che sono le ricchezze, per le quali c sollecitudine, amore, e vanagloria; la sollecitudine, per, quando limitata alle cose necessarie alla vita, impedisce poco lamor di Dio; quanto invece allamore e alla vanagloria per le ricchezze bisogna considerare che sono massimi se le ricchezze sono proprie; minimi se le ricchezze sono comuni; perci il possedere in comune non impedisce la perfezione religiosa, purch non ecceda le necessit dellordine secondo il suo fine; cos gli ordini ospitalieri hanno bisogno di maggiori mezzi che gli ordini contemplativi. 8. Negli ordini contemplativi la vita monastica odi solitudine, migliore della cenobitica o di comunit; purch per ci sia la debita preparazione o della grazia divina o dellesercizio delle virt, che si affina vivendo in comunit.

Quest. 189. Del farsi religiosi. 1. Il farsi religioso utile a chi virtuoso per crescere nella virt, e a chi peccatore per diventare virtuoso; 2. ed anche utile fare il voto di farsi religiosi, perch col voto la cosa diventa pi meritoria e la volont si fissa nel proposito. 3. Chi poi ha fatto un tale voto, ed il voto valido, obbligato a farsi religioso, perch se si devono eseguire i contratti fatti cogli uomini, tanto pi si deve stare ai contratti fatti con Dio; 4. ed obbligato anche a rimanere in religione per sempre, se tale fu la sua intenzione quando fece il voto; o altrimenti a rimanervi per tutto il tempo che vot; e se a ci non ha pensato quando fece il voto deve rimanere in religione almeno fino allanno diprova. 5. Quanto ai fanciulli prima dei 14 anni o il loro voto non valido per mancanza di debita capacit, o irritabile dai genitori, sotto il cui potere si trovano per tale riguardo fino ai 14 anni. poi disposizione

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della Chiesa che una professione religiosa non abbia comunque valore se emessa prima dei 14 anni. 6. A cagione della piet verso i genitori lingresso in religione deve sospendersi soltanto nel caso che i genitori si trovino in tale necessit da avere assoluto bisogno del figliuolo, perch non hanno altri che possa e che debba aiutarli. 7. I sacerdoti in cura danime possono abbandonare la cura, anche senza il consenso del superiore, per farsi religiosi, perch lo stato religioso stato di perfezione e quello di cura non lo . 8. lecito anche passare da un ordine religioso ad un altro o per zelo di una religione pi perfetta, o per il disagio di una rilassata disciplina, o per debolezza di costituzione; nel primo caso basta chiedere il permesso; nel secondo occorre ottenerlo, nel terzo necessaria una dispensa. 9. meritorio, non costringere, ma consigliare altri a farsi religioso, purch gli si parli con prudenza e sincerit. 10. Chi poi vuol farsi religioso, se certo della sua vocazione, non abbisogna di consigliarsi con alcuno; a meno che possa avere qualche impedimento; abbisogna soltanto di informazioni circa la religione che gli conviene e il modo di entrarvi.

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PARTE TERZA

Quest. 1. Convenienza dellIncarnazione. 1. Conveniente per una cosa ci che le compete secondo la sua natura; cos conviene il ragionare alluomo, che ragionevole. Dio il bene; il bene diffusivo di se stesso; gli compete quindi comunicarsi agli altri; lIncarnazione il modo sommo di comunicazione del Sommo bene alla creatura, dunque fu conveniente per Iddio lIncarnazione, anzi fu convenientissima, perch cos con cose visibili si resero evidenti gli invisibili attributi di Dio. 2. Lincarnazione fu altres necessaria, non di necessit assoluta, perch Iddio poteva in altri modi rimediare al peccato di Adamo, ma bens di necessit relativa, perch fu il miglior modo di fare ci colleffetto di promuovere il bene delluomo, perfezionandone la speranza, la carit, il retto operare e la partecipazione della divinit, e colleffetto anche di rimuoverne il male, cio la pretesa del diavolo di farsi adorare, la dimenticanza della nostra dignit, la nostra presunzione, la nostra superbia; sopratutto poi eralunico modo di liberare dal peccato luomo dandone a Dio la condegna soddisfazione, che luomo per s non poteva e Dio per s non doveva dare. 3. Se luomo non avesse peccato, Dio non si sarebbe incarnato, perch la Scrittura ci parla sempre dellIncarnazione come rimedio del peccato. Questo tuttavia non per limitare la potenza di Dio, perch Dio se avesse voluto avrebbe potuto incarnarsi ugualmente. 4. LIncarnazione per cancellare tutti i peccati, ma principalmente per cancellare il peccato originale il quale il pi grande, almeno estensivamente, perch si estende a tutti gliuomini. 5. Non fu per conveniente che Dio si incarnasse al principio del mondo, perch cos luomo ebbe modo di

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umiliarsi della sua superbia: si comp per la dignit del Verbo la pienezza dei tempi; e fu prevenuto il rattiepidirsi della fede per un mistero da troppo tempo compiuto. 6. Non fu per nemmeno conveniente che lIncarnazione fosse differita alla fine del mondo, perch la gloria dellIncarnazione, che cresce nel tempo per arrivare alla perfezione alla fine del mondo, non avrebbe avuto modo di crescere e di essere perfetta; poi perch superata la pienezza dei tempi, si sarebbe spenta gradualmente nel mondo la cognizione e la venerazione di Dio e anche lonest del costume; infine perch doveva essere pi manifesta la potenza di Dio che salva per la fede del Messia venturo, ma anche per la fede nel Messia gi venuto.

Quest. 2. Modo dellunione del Verbo incarnato. 1. Natura, principio di operazioni proprie, significa lessenza di una cosa risultante da due elementi, uno come genere, laltro come differenza specifica. Quando per di due cose si forma una cosa nuova, talora si uniscono, restando tali e quali, due elementi in s perfetti, ma allora la cosa che ne risulta non nuova che per la forma esterna, cos pietre accatastate formano una muraglia; orbene lunione del Verbo alla natura umana non pu essere tale, perch sarebbe ununione accidentale, senza vera unit, e artificiale. Talora invece i due elementi in s perfetti, che si uniscono, si trasmutano uno nellaltro e si forma una combinazione; ma nemmeno tale pu essere lunione del Verbo, perch la natura divina immutabile, poi nella combinazione il risultante specificamente diverso dai componenti, infine fra i componenti ci deve essere propinquit mentre fra la natura divina e la natura umana la distanza enorme. Talora infine due elementi, in s imperfetti, si uniscono per completarsi a vicenda, cos corpo e anima formano la natura umana: ma neanche

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tale poteva essere lunione col Verbo, perch in lui sono perfette e la natura divina e la natura umana; poi la natura divina non pu essere parte o forma di una natura corporea, quale lumana; infine Ges Cristo non sarebbe pi stato e di natura divina e di natura umana. Resta cos totalmente escluso che dallUnione del Verbo alla natura umana risultasse una nuova natura e fosse cos ununione di natura. 2. LUnione del Verbo fu invece ununione nella persona. Mentre natura significa lessenza di una specie, persona significa un individuo di quella specie; per luomo sono cose fra loro realmente distinte natura e persona, perch la persona possiede la natura, ma non la natura, cos di Socrate si dice che ha lumanit, ma non lumanit; non cos invece di Dio, perch (P. I. q. 3 art. 3) di Dio si dice che la divinit e non gi che ha la divinit, e anche del Verbo, che Dio, si dice che la Divinit: se poi sempre quello, che diviene proprio di una persona, sia che appartenga alla sua natura, sia che non vi appartenga, si dice che si unisce nella persona, deve perci dirsi che lUnione del Verbo allumana natura fu ununione nella persona del Verbo, tanto pi che essendo escluso che possa essere unione in natura, non resta altro che sia unione in persona. 3. Ipostasi, o soggetto, lo stesso che persona, con questa sola differenza che la parola persona, essendo propria di un soggetto di natura intellettuale, ne mette in evidenza la dignit ed perci nome di dignit. Non si pu quindi asserire che lUnione del Verbo allumana natura fu fatta nella persona e non nellipostasi, perch cos si distingue realmente ci che non da realmente distinguersi e, facendo cos due di ci che uno, lUnione sarebbe non intima, ma soltanto esterna, per conferire, cio, autorit e, peggio ancora, distinguendo in Ges Cristo lipostasi del Verbo e la Persona, non si pu pi attribuire al Verbo, ma si deve attribuire ad altri ci che proprio

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delluomo cio la nascita, la passione e la morte; e questo fu lerrore di Nestorio. 4. La persona del Verbo dopo lIncarnazione in s semplice; ma secondo il modo di sussistere, siccome sussiste e nella natura divina e nella natura umana, cos si dice composta di due nature. 5. Ges Cristo uomo della stessa specie degli altri uomini e perci come in ogni altro uomo si uniscono lanima come forma e il corpo come materia per costituire la natura umana, cos anche in Ges Cristo ci fu lanima che si unita al corpo. Mentre per negli altri uomini anima e corpo unendosi formano una persona umana, in Cristo lanima e il corpo non formarono una persona umana, perch si unirono in una persona superiore, cio nella Persona divina del Verbo. 6. Lunione del Verbo, che non in natura e quindi non essenziale, non perci ununione accidentale, perch unione in persona, ossia unione ipostatica con unit di persona in due nature. Err quindi Nestorio, il quale, distinguendo in Ges Cristo la Persona Figlio di Dio e la Persona Figlio delluomo, ammetteva ununione di inabitazione, di affetto e di operazione con comunicazione di dignit e di nome e queste sono tutte unioni non ipostatiche, ma accidentali; peggio poi di Nestorio errarono altri i quali volendo rispettarelunit della persona supposero in Cristo aroma e corpo fra loro separati e da Cristo assunti come unindumento, e questa ununione ancora pi accidentale. 7. Lunione della natura umana alla divina qualche cosa di creato, perch avvenne nel tempo, e tutto quello che non eterno, ma avviene nel tempo, creato; non per Dio che si mutato, ma la natura umana che si mutata rispetto a Dio, giacch la relazione (P. I. q. 13 art. 6) che ne sorge a Dio esterna.

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8. Lunione propriamente non assunzione; lunione della natura divina ed umana consiste in una relazione fra la natura divina ed umana secondoch convengono nella Persona di Cristo; tale relazione dipende da una mutazione e la mutazione consiste in una azione fatta da una parte e subita dallaltra; lunione importa la relazione, lassunzione importa lazione, perci la natura umana si dice unita ed assunta; ma la natura divina si dice unita e non gi assunta. 9. Lunione ipostatica considerata da parte di colui in cui essa avviene la maggiore delle unioni, non per la maggiore delle unioni considerata da parte delle nature unite, perch vi restano distinte e fra loro sono infinitamentedistanti. 10. Lunione delle due nature in Cristo si dice fatta per grazia, sia perch viene dalla volont di Dio di dare gratuitamente, sia perch un dono gratuito al quale la natura umana non aveva precedenti meriti; 11. meriti, infatti, precedenti non ce ne furono da parte di Ges Cristo, che, come Ges Cristo non preesisteva allIncarnazione e merito di giustizia non ne aveva altri, perch lo stesso meritare di giustizia effetto della grazia e il principio della grazia per lappunto lIncarnazione. I Santi dellAntico Testamento avevano merito non di giustizia, ma solo di convenienza. 12. La grazia di Ges Cristo, sia la grazia dellunione, sia la grazia abituale si pu dire naturale a Ges Cristo, ma non come proveniente in lui dai principii che costituiscono la natura umana, ma come causata nella natura umana dalla natura divina e posseduta fin dalla nascita, ossia dal primo istante dellesistenza.

Quest. 3. Modo dellunione da parte della Persona assumente. 1. Assumere la natura umana compete non alla natura divina, ma a Persona divina, perch lassunzione

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azione e le azioni sono delle persone; per di pi lunione della natura divina allumana fu fatta, come si disse, non in natura, ma in Persona divina. 2. Per, siccome il principio dellassunzione la natura divina, per virt della quale essa si comp, perci, bench proprissimamente si debba dire che una persona assunse lumana natura, secondariamente si pu anche dire che la natura divina si incarnata assumendo la natura umana. 3. Lintelletto umano, non pu conoscere Dio infinito con una sola idea, pu soltanto conoscerlo con idee molteplici e divise, e come pu conoscere la bont di Dio indipendentemente dalla Paternit divina, cos pu conoscere lassunzione della natura umana da parte di Dio, senza pensare alla persona in cui si compie. 4. Nellassunzione della natura umana distinguiamo il principio e il termine dellazione; come principio lazione procede dalla virt divina che comune alle tre divine persone, ma, come termine, lunione, che in persona divina, non pu convenire che a una persona, cio al Verbo, perci lIncarnazione opera della Trinit e si compi nella persona del Figlio. 5. Veramente, siccome la ragione della personalit eguale per le tre divine persone, lIncarnazione poteva compirsi tanto nella Persona del Padre, che del Figlio, che dello Spirito Santo, perch la potenza divina, che il principio dellIncarnazione, comune alle tre divine persone e le era quindi indifferente unire la natura umana a una o allaltra persona; 6. anzi se le tre divine persone tutte tre sussistono in una unica natura divina, possono altrettanto tutte e tre sussistere in una unica natura umana, perch se la natura umana assunta costituisse anche persona, allora s pi persone non potrebbero assumere un unico e medesimo uomo in unicit di persona, ma essa invece

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non costituisce persona e niente quindi impedisce che lIncarnazione si potesse compiere anche in gi persone; 7. per di pi, la persona divina che assume la natura umana, essendo di potenza infinita, non pu essere limitata dalla natura umana assunta e coartata cos da essere impedita di assumere anche una seconda natura umana; 8. fu per convenientissimo che lIncarnazione si compisse nella Persona del Verbo, perch con ci il Verbo fu il concetto del sommo artefice, tanto nella creazione, quanto nella riparazione della natura umana; il Verbo, che il concetto della sapienza eterna, come fu principio cos divenne anche il perfezionamento della sapienza umana; gli uomini divennero figli adottivi di Dio per mezzo di chi ne era figlio naturale e il Verbo della vera sapienza ricondusse a Dio luomo che se ne era allontanato per disordinato amore di scienza.

Quest. 4. Modo dellunione da parte della natura assunta. 1. Fra le nature create la pi atta a essere assunta da Dio la natura umana; essa infatti, essendo intellettuale e potendo perci conoscere il Verbo, era pi degna di ogni altra natura inferiore, che sempre irrazionale; essa, avendo il peccato originale da riparare, era pi bisognosa della natura Angelica, in cui non c un peccato di natura e di origine, ma un peccato personale e irrimediabile. Si tratta per di unattitudine negativa e non gi positiva; non si intende poi con ci di limitare la potenza di Dio. 2. Il Figlio di Dio assunse non persona umana, ma natura umana individuata nella Persona del Figlio di Dio, perch se si preintende la persona nella natura umana assunta, dopo lassunzione questa persona o si corruppe e non rest pi assunta, o si conserv ed allora sono due persone in Cristo, il che lerrore di Nestorio.

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3. La Persona divina assunse natura umana, ma a non un uomo, perch un uomo significa un individuo di natura umana, cio una persona umana, e saremmo ancora nellerrore di Nestorio. Nella frase si fece uomo, uomo il termine dellassunzione; nella frase invece: assunse un uomo, uomo si preintende allassunzione come individuo, anzi persona e questo errore nestoriano. 4. Il Figlio di Dio assunse la natura umana concreta in se stessa e non gi la natura umana astratta, e cio: a) non secondo la intenderebbe Platone, ossia unidea esistente in se stessa, perch ci contradditorio in quanto la natura umana, che materiale, avrebbe esistenza reale in modo immateriale; b) non come esistente nella mente divina, perch sarebbe idea divina, scienza divina, natura divina; c) non come esistente nella mente delluomo, perch sarebbe fittizia e non reale. 5. Il Figlio di Dio assunse le natura umana in concreto, ma non quella che concreta nei singoli uomini, perch se cos fosse, resterebbero soppressi i singoli uomini e Cristo non sarebbe pi primogenito fra molti fratelli, ma tutti sarebbero in lui ed eguali. Era conveniente che come una sola persona si incarn, cos fosse assunta la natura umana in una sola anima e in un solo corpo che si unirono nella Persona del Verbo. 6. Dio prefer assumere la natura umana per generazione da Adamo, anzich per altre vie, perch cos la soddisfazione la diede chi pecc; fu elevata la dignit delluomo e si mostr la potenza particolare di Dio che elev in dignit chi era caduto ed aveva prima bisogno di essere rialzato.

Quest. 5. Modo di unione relativamente allanima eal corpo. 1. Ges ha assunto un corpo non imaginario, ma vero, perch: a) se doveva assumere lumana natura,

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questa ha un corpo non imaginario, ma vero; b) se il corpo assunto fosse stato imaginario, non sarebbe realmente morto; c) non conveniva che fosse una finzione ogni opera che veniva compita da chi verit; 2. anzi questo corpo fu terreno, cio di carne e ossa, perch tale il corpo proprio della natura umana; inoltre con un corpo celeste, che impassibile, non avrebbe potuto patire; ed infine con un corpo celeste, fatto comparire come terreno, Ges avrebbe ingannato gli uomini, egli che verit. 3. Ges ha assunto non solo corpo, ma anche anima umana, perch la natura umana costituita di corpo e di anima ed err Apollinare insegnando che lanima stata sostituita dal Verbo; infatti la Scrittura parla espressamente dellanima di Ges e gli attribuisce fame, sete, tristezza, indignazione, stupore, sonno, che sono propri dellanima umana ed impossibili al Verbo divino; inoltre se non avesse assunto lanima, non lavrebbe guarita ed era proprio lanima che aveva bisogno della redenzione; infine il corpo di Ges Cristo senza lanima non sarebbe stato un corpo umano, perch lanima la forma sostanziale del corpo ed per essa che il corpo nostro di uomo e non di animale. 4. Lanima umana poi di Ges Cristo aveva la sua propria mente, ed errano gli Apollinaristi insegnando che in Ges Cristo, se non lanima umana almeno lintelletto dellanima stato sostituito dal Verbo; infatti, lo stupore che la Scrittura attribuisce a Cristo possibile allintelletto umano, ma non al Verbo; poi lanima che fu assunta, perch aveva bisogno di redenzione, lanima peccabile, lanima quindi che ha la mente, perch non c peccato se non c mente che lo avverta; infine senza lintelletto il corpo, pur animato, assunto da Cristo non sarebbe stato un corpo umano, perch per lintelletto che il nostro corpo si distingue da quello di un animale.

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Quest. 6. Ordine nellassunzione dellanima e del corpo. 1. Distinguiamo ordine di tempo da ordine di natura. Secondo lordine di tempo non ci fu precedenza, ma secondo lordine di natura Ges Cristo assunse il corpo mediante lanima, perch essendo lanima la forma sostanziale del corpo, per esso che il corpo si forma e si sviluppa, inoltre ci esigeva anche lordine di dignit, perch lanima pi nobile del corpo; 2. e per lo stesso ordine di dignit da dirsi che Ges Cristo assunse lanima mediante lintelletto, perch lintelletto la pi nobile delle altre potenze dellanima, ed quella che al Verbo pi si avvicina, perch conoscente; 3. e come le anime nostre vengono create nellatto che vengono infuse nel corpo, cos fu dellanima di Cristo e lopinione di Origene, il quale riteneva che tutte le anime, anche quella di Cristo, fossero state tutte insieme create fin da principio, se erronea per tutti, lo doppiamente per Ges Cristo, perch lanima di Ges Cristo preesistendo sarebbe stata persona ecos si ricade nellerrore di Nestorio, ovvero per salvarsi da tale errore bisogna pensare che allatto dellunione essa fu sostituita da unaltra e cess ed un altro errore. 4. Siccome poi il corpo, non corpo di natura umana se in lui non viene infusa lanima razionale, cos Ges Cristo non assunse il corpo prima che non fosse animato dallanima razionale. 5. Ripetiamo che non si parla di ordine di tempo, ma di ordine di natura: in questo ordine come il corpo per lanima e il corpo e lanima sono per il tutto, cos Ges Cristo assunse il corpo mediante lanima ed assunse il corpo e lanima mediante il tutto. 6. Che Ges Cristo abbia assunto la natura umana mediante la grazia non si pu dire, sia che si intenda la grazia dellunione, perch essa si identifica collIncarnazione; sia che si intenda la grazia santificante, perch essa,

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come effetto, posteriore allIncarnazione: si pu per dire che lUnione fu fatta per Grazia, se si intende la volont generosa di Dio che ne la causa efficiente.

Quest. 7. La grazia di Cristo come uomo. 1. Che in Ges Cristo ci sia stata la grazia santificante lo si deve ritenere e perch lanima sua era unita al Verbo, cio a Dio che ne la fonte, e perch la sua anima nobilissima era a Dio elevata, e perch era costituito mediatore fra Dio e gli uomini. 2. La grazia riguarda lanima, le virt riguardano le potenze dellanima; in Ges Cristo adunque, come ci fu la grazia per lanima, cos ci furono le virt per le potenze dellanima fuorch la fede e la speranza: 3. la fede di ci che non si vede: Ges Cristo invece fin dal primo istante della sua esistenza videDio per essenza, dunque in Ges Cristo non ebbe luogo la fede; 4. similmente la speranza teologica di conseguire la visione beatifica; ma Ges Cristo vedendo Iddio per essenza, fin dal primo istante della sua esistenza ebbe la visione beatifica, perci in Lui non ebbe luogo la speranza teologica, se non delle cose accessorie, per es. della gloria e della immortalit del suo corpo. 5. In Ges Cristo ci furono i doni dello Spirito Santo, perch essi sono perfezioni delle potenze dellanima, che le rendono docili alle mozioni dello SpiritoSanto; Ges era pieno di Spirito Santo, in lui quindi necessariamente ci furono anche i doni: 6. e anche il dono del timor di Dio ci fu in Ges Cristo, non per temerne male o di colpa o di pena, ma per temerne la maest con affetto riverenziale. 7. Essendo Ges Cristo il primo e principale Dottore della fede ci furono in lui tutti i doni di grazia, che poi si

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ripeterono ripartiti negli apostoli, i quali ebbero il dono delle lingue, dei miracoli ecc. 8. Ges Cristo, avendo quaggi la visione beatifica, era insieme comprensore e viatore; conosceva le cose lontane e remote e le comunicava e cos era Profeta. 9. In Ges Cristo vi fu la pienezza della grazia, perch fin dal primo istante della sua esistenza era vicinissimo a Dio, principio della grazia, essendo a Dio unito; perch doveva essere il principio della grazia per tutti noi; infine perch la sua grazia si estende a tutti gli effetti della grazia, quali sono i doni, le virt e simili. 10. La vera pienezza della grazia propria ed esclusiva di Ges Cristo, perch egli la ebbe nella massima eccellenza e nella massima estensione degli effetti che le spettano; la pienezza di grazia, invece, ad altri attribuita, non riguarda la grazia in se, ma solo la capacit di chi la possiede ed importa che uno, secondo la sua condizione, abbia pienamente la grazia. 11. In Cristo la grazia dellunione, di essere cio unito alla Persona del Verbo, infinita quanto infinito il Verbo, che Dio; la grazia invece abituale se si considera lanima di Cristo che limitata si devedire limitata, mentre se si considera in se stessa anchessa infinita sia in quanto essa contiene in s tutto quanto pu dirsi grazia, sia in quanto data senza misura. 12. Cosicch la grazia in Cristo non poteva crescere n per parte di Cristo, perch fin dal primo istante fu unito alla persona divina del Verbo ed ebbe la visione beatifica; n per parte della grazia, perch gli fu partecipata quanto essa allumana natura partecipabile: poteva invece crescere Cristo nella grazia e ci secondo gli effetti della grazia, cio facendo opere sempre pi sapienti. l3. In Cristo la grazia dellunione c prima della Grazia Santificante, ma ci non in ordine di tempo, bens in ordine di natura, infatti anzitutto principio dellUnione il Verbo, che la seconda Persona divina, mentre

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principio della Grazia abituale lo Spirito Santo, che la terza persona divina; poi la grazia abituale, che causata dalla presenza di Dio in noi, in Cristo causata dalla presenza della persona del Verbo; infine la grazia che ha ordine allazione, affinch sia con merito, presuppone la persona cui spetti lazione.

Quest. 8. Grazia di Cristo come Capo della Chiesa. 1. Ges Cristo il capo del corpo mistico della Chiesa, perch da lui derivano alla Chiesa, come in un corpo umano dal capo, a) lordine, perch Ges la parte eccelsa della Chiesa; b) la perfezione, perch in Ges la Grazia c con pienezza; c) la forza di agire, perch la grazia da lui a noi partecipata. 2. Cristo capo della Chiesa relativamente alle anime, e questo in modo principale, e lo anche relativamente ai corpi, e questo in modo secondario, in quanto per lui essi divengono, ora, strumenti di giustizia, poi, termini di gloria. 3. Ges Cristo, in quanto capo di un corpo mistico, non , come avviene nel corpo naturale, capo delle membra che al momento a lui stanno unite, ma capo di coloro che gli sono uniti e in atto e in potenza e perci capo di tutti gli uomini, perch tutti possono avere la salute in Lui. 4. Corpo si dice una moltitudine ordinata con atti ed uffici distinti: poich la Chiesa moltitudine ordinata alla gloria di Dio, anche gli Angeli vi appartengono e perci Cristo essendo Capo della Chiesa capo anche degli Angeli. 5. Essendovi in Ges Cristo la pienezza della grazia, anche perch doveva esserne il principio per tutti noi, in Lui la grazia santificante personale la stessa grazia santificante di capo della Chiesa per la santificazione altrui.

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6. Essere capo della Chiesa quanto allinteriore influsso della grazia proprio di Ges Cristo solamente; ma essere capo della Chiesa quanto allesterno governo, questo comune anche di altri, con questa differenza che mentre Cristo capo immortale e universale e governa di propria virt e autorit, gli altri sono capi temporali o locali, e facienti le sue veci. 7. Il diavolo, quanto al governo esterno, capo di tutti i malvagi, perch li tira al suo fine, che la rivolta a Dio; 8. anche lAnticristo si pu dire capo di tutti i malvagi; lo gi quanto alla perfezione, perch la sua malizia superiore a tutte, e se non lo ancora quanto al tempo e allinflusso, perch esso verr alla fine dei tempi, tuttavia si pu dire il capo egualmente, perch il diavolo, o altri che lo procedette e lo proceder, nonne sono che la figura.

Quest. 9. La scienza di Cristo. 1. Oltre alla scienza divina bisogna ammettere in Ges Cristo anche una scienza creata, perch egli ha assunta intieramente lumana natura cio corpo e anche anima e questanima perfetta, perci, non col sapere in potenza, ma col sapere in atto; per di pi Cristo avrebbe avuto inutilmente lanima intellettiva se non ne avesse fatto uso; infine se ogni anima umana possiede una scienza creata, quella cio dei primi principi, non la si pu negare a Cristo. 2. A Ges, che aveva quaggi la visione beatifica, competeva la scienza dei beati, tanto pi che egli doveva esserne le causa per i fedeli e la causa sempre superiore agli effetti. 3. La scienza creata, che bisogna ammettere in Cristo, perch assunse una natura umana perfetta, (collanima quindi perfetta e collintelletto possibile in atto, fornito cio delle specie intelligibili che sono le sue forme completive), importa in Ges Cristo una scienza infusa, come

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la ebbero gli Angeli, per la quale conosce le cose nella loro natura mediante specie intelligibili proporzionate alla mente umana. 4. Come c in ogni uomo, anche in Cristo, che uomo perfetto, ci fu oltre allintelletto possibile, che si fa padrone delle cognizioni, anche lintelletto agente, che lavora per ricavarle dalle cose; e si deve altres ritenere che non ci fu inutilmente; perci ci fu in Cristo anche una scienza acquisita, ricavata cio dalle cose per mezzo dellintelletto agente: ci fu adunque in Cristo la scienza acquisita connaturale agli uomini; la scienza infusa connaturale agli Angeli; la scienza beata connaturale a Dio.

Quest. 10. La scienza beata di Cristo. 1. Lanima di Cristo vide il Verbo, cui era unita, e con ci conobbe Dio nella sua essenza; ma non lo conobbe quanto conoscibile, perch mentre Dio infinito, lanima di Cristo finita e linfinito non pu essere compreso dal finito, perci lanima di Cristo conobbe lessenza divina, ma non la comprese. 2. Nel Verbo quindi Cristo conobbe tutto ci che vi di reale pel presente, pel passato e pel futuro, sia di fatti, che di detti, che di pensieri, perch ci spetta alla sua dignit specialmente di giudice del mondo; non conobbe per tutto ci che vi di possibile dipendentemente dalla potenza, non degli uomini, ma di Dio, perch allora avrebbe compreso la potenza divina e con ci la essenza divina. 3. Lanima di Cristo, che conobbe tutto ci che vi di reale in ogni tempo, non conobbe con ci linfinito in atto, perch tali realt non costituiscono talinfinito; conobbe per linfinito in potenza ossia lindefinito, perch conobbe linfinit di cose possibili dipendentemente dalla potenza delle creature, con una scienza, non di visione, ma come di intelligenza semplice.

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4. La visione della essenza divina compete ai beati secondo il lume di gloria loro partecipato, cio secondo la loro vicinanza al Verbo, ma lanima di Cristo essendo unita al Verbo, la pi vicina a Lui, perci lanima di Cristo vede lessenza divina pi chiaramente di tutti i beati.

Quest. 11. La scienza infusa di Cristo. 1. Lanima di Cristo colla scienza infusa ebbe cognizione di ogni cosa, perch era conveniente che fosse attuata ogni sua capacit, che cio, fosse ridotta in atto ogni sua potenza passiva sia naturale, in dipendenza cio da agenti naturali, che obedienziale, in dipendenza cio dalla causa prima: colla scienza infusa quindi Cristo conobbe e tutto ci che umano intelletto pu conoscere e tutto ci che pu essere a uomo da Dio rivelato. 2. Apparteneva quaggi Cristo non solo ai poveri viatori, ma anche ai beati comprensori, cui compete non essere soggetti al proprio corpo, Egli perci poteva far uso della scienza infusa senza bisogno di imagini sensibili della fantasia. 3. Scienza discorsiva quella che passa dal noto allignoto, scienza collativa quella che mette a confronto due termini, per es. causa ed effetti, per conoscerne la relazione; la scienza infusa di Cristo fu discursiva e collativa quanto alluso e a pro degli altri, ma non quanto allacquisto, perch gli venne dallalto. 4. La scienza infusa di Cristo fu superiore a quella degli Angeli e per la moltitudine delle cognizioni e per la loro certezza, perch ci era dovuto al lume spirituale della grazia dato allanima di Cristo, superiore a quello degli Angeli; essa per fu inferiore a quella degli Angeli quanto al modo di conoscere, perch questo si conforma alla natura dellanima umana, che inferiore a quella degli

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Angeli, i quali non fanno uso di sensi, di fantasia, di ragionamento. 5. La scienza infusa di Cristo era quale si conveniva allanima umana che Egli aveva assunto e cio non sempre in atto, non in sola potenza, ma in abito, giacch anche per noi la scienza un abito mentale; 6. ed appunto per ci, come in noi ci sono tanti abiti di scienza quanti sono i generi di scibile, cos in Cristo la scienza infusa fu distinta secondo i diversi abiti di scienza.

Quest. 12. La scienza acquisita di Cristo. 1. Come la scienza infusa attuava completamente in Cristo lintelletto possibile, quello cio che pu farsi, conoscendo, tutto, cos la scienza acquisita in Cristo doveva attuare completamente lintelletto agente, quello cio per lazione del quale lintelletto possibile pu farsi, conoscendo, tutto; perci Cristo di scienza acquisita conobbe ogni cosa. 2. Crebbe poi Cristo come in et cos anche nella scienza acquisita, sia accrescendola mediante lazione dellintelletto agente, che dalle imagini della fantasia ricavava sempre nuove intellezioni, sia manifestandola con ragionamenti sempre pi sottili e con opere sempre pi sapienti. 3. Ges non impar niente dagli altri, perch ci non conveniva a Lui che era stato costituito da Dio capo della Chiesa e anche di tutti gli uomini. 4. Neppure dagli Angeli Cristo ricevette alcun insegnamento, perch la scienza infusa e la scienza acquisita erano in se stesse perfette e daltronde il ministero degli angeli per la scienza acquisita, proveniente dalle imagini sensibili, superfluo e per la scienza infusa, proveniente dal Verbo, non era necessario.

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Quest. 13. Potenza dellanima di Cristo. 1. La potenza attiva di qualunque conforme alla sua natura: lanima di Cristo parte della natura umana, che non infinita, perci era impossibile allanima di Cristo una potenza infinita. 2. Lanima di Cristo secondo la natura e potenza sua propria poteva ci che pu unanima, cio virificare e dirigere il corpo; ma se essa si considera come strumento del Verbo, le si deve attribuire sulle cose la potenza di tutti i miracoli ordinabili al fine dellIncarnazione, che quello di instaurare ogni cosa in terra ed in cielo; 3. e anche sul proprio corpo lanima di Cristo aveva un potere miracoloso immutativo, non come anima umana semplicemente, ma come strumento del Verbo; 4. a ogni modo lanima di Cristo pot ci che volle, perch dove non bastarono le sue forze naturali agiva come strumento del Verbo.

Quest. 14. Miserie del corpo assunte da Cristo. 1. Mentre lanima assunta da Cristo doveva essere perfetta, il corpo invece doveva essere assunto colle sue naturali miserie, perch cos Cristo dava alla divina giustizia la dovuta soddisfazione, ai nemici della fede la prova della realt dellIncarnazione e a noi lesempio della pazienza. 2. Il corpo di Cristo sub la necessit naturale dei dolori e della morte e sub anche la violenza dei carnefici, perch dai chiodi non poteva non essere forato, ma non sub violenza la volont, la quale, mentre di moto naturale rifuggiva dalla morte, di moto deliberato laccettava. 3. Le miserie naturali del corpo Cristo non le contrasse per debito di peccato, ma per volere suo, perch Egli assunse la natura umana quale era nello stato dinnocenza e perci, come lassunse senza il peccato, poteva assumerla anche senza le miserie che ne seguirono;

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4. e poich venne per soddisfare al peccato della natura umana, al quale fine era in Lui necessaria la perfezione della scienza e della grazia, doveva assumere quelle miserie corporali che sono comuni alla natura umana e che tuttavia non impediscono la perfezione della scienza e della grazia; tali sono la fame, la sete, il sonno; non doveva per assumere certe miserie particolari che dipendono o da difetti gentilizi, come sarebbe il malcaduco, o da disordini personali, come sarebbe lindigestione.

Quest. 15. Miserie dellanima assunte da Cristo. 1. Cristo non assunse nessuna miseria di peccato, perch il peccato non avrebbe giovato, come giovarono le miserie del corpo, ai tre fini dellIncarnazione, che sono soddisfare per noi, mostrare la verit della natura umana ed esserci di esempio, anzi sarebbe stato loro contrario. 2. Cristo possedeva nel modo pi perfetto la graziae tutte le virt le quali rendono il corpo soggetto allaragione, in Lui perci non ci fu il fomite della concupiscenza, cio linclinazione dellappetito sensitivo a ci che contro ragione. 3. Come la virt esclude il fomite, cos la scienza esclude lignoranza: in Cristo oltre alla grazia e alle virt ci fu anche la pienezza della scienza, in Lui quindi non ebbe alcun luogo lignoranza. 4. Lanima di Cristo, formando una unit sostanziale col corpo, pativa dei dolori del corpo; ci furono anche in Lui, come in noi, le passioni animali, intesenel senso di affezioni dellappetito sensitivo, in modo per ben diverso da noi, perch 1. in lui non inclinarono mai a oggetti illeciti; 2. non prevennero mai il giudizio della ragione; 3. tanto meno poi la travolsero, come in noi invece purtroppo succede. 5. In Cristo ci fu il dolore sensibile, alla verit infatti del dolore sensibile occorre la lesione e il sensodella lesione e

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in Cristo lanima aveva tutte le potenze naturali e il corpo poteva essere leso. 6. Il dolore si ha per una lesione percepita daltatto, la tristezza invece si ha per un male percepito internamente dallimaginazione e dalla ragione; nellanima di Cristo perci come ci fu vero dolore, ci fu anche vera tristezza, nonostante la visione beatifica di cui godeva, perch questa per divina dispensazione era contenuta nella mente. 7. La tristezza si differenzia dal timore solo in quanto la tristezza deriva dallapprendere un male come presente, il timore invece deriva dallapprenderlo quale futuro; in Cristo come ci fu vera tristezza cos ci fu vero timore; non ci fu per paura, che trepidazione per un evento futuro senza sapersene dare ragione. 8. In Cristo ebbe luogo anche la meraviglia, che si ha per le cose nuove ed insolite, ma questa solo per la sua scienza sperimentale, perch alla sua scienza beata ed infusa nulla poteva riuscire nuovo. 9. Dalla tristezza per uningiuria fatta a s o ad altri deriva il desiderio di riparazione e ne sorge lira, passione composta di tristezza e di desiderio di vendetta: in Cristo, come pot esserci la tristezza, pot esserci lira, ma lira senza peccato, perch in lui le passioni non prevennero mai, n travolsero la ragione: quellira che si chiama zelo o santo sdegno. 10. Cristo quaggi era comprensore, perch godeva della visione beatifica; ma questa per dispensazione divina era contenuta nella mente, gli restava per da conseguire la beatitudine quanto al resto, cio nellanima passibile e nel corpo passibile e mortale, perci era insieme anche aviatore.

Quest. 16. Conseguenti dellunione ipostatica. 1. Dio uomo verit, perch Cristo vero Dio e vero uomo, perci i due termini, soggetto e predicato, sono veri, ed

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inoltre il secondo si pu attribuire al primo, perch uomo si pu giustamente dire di ciascuno che abbia lumana natura, e Dio si pu dire di ciascuna delle tre divine persone. 2. Supposta la verit della natura divina e della natura umana e lunione delle due nature nellunica persona del Verbo, come si dice: Dio uomo, si pu anche dire: e un uomo Dio, perch colla parola uomo si designa una persona e questa pu essere o una persona semplicemente umana, o la persona dal Verbo che ha assunto in s la natura umana; 3. che se dicendo: quelluomo che si chiama Ges, si designa la persona del Verbo che lo stesso Dio, padrone dellUniverso, non si pu dire che Ges uno uomo del Signore, ma si deve dire che lo stesso Signore, altrimenti si nestoriani: altrettanto per la natura umana non si pu dire divina, ma deificata, e questo non per mutazione, ma per unione alla naturadivina. 4. Si pu dire: il Dio della gloria fu crocifisso e il figlio delluomo onnipotente, perch essendo in Cristo una stessa la Persona che ha due nature, la quale viene designata tanto col nome Dio, quanto col nome uomo, ed essendo che i predicati e le azioni si attribuiscono alla persona, ne consegue la comunicazione delle propriet idiomi di ciascuna natura sia alla parola Dio, sia alla parola uomo, che designano la persona del Verbo; bene inteso per che predicati ed azioni si riferiscono, come a loro principio, alla relativa natura. 5. Che se una stessa la Persona, non per una stessa, ma sono due le nature, e perci la comunicazione degli idiomi si pu fare coi nomi concreti, come Cristo, che designano la persona, ma non si pu fare coi nomi astratti, come la divinit, che designano la natura. 6. Dio si fatto uomo verit, perch, se Dio uomo, non da tutta leternit, ma nel tempo ha assunta lumana natura e ci che comincia nel tempo si dice fatto;

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7. invece: un uomo si fatto Dio falsit, sesi intende che, divenendo un Dio, questo Dio abbia allora cominciato a essere Dio, perch Iddio eterno; falsit anche se si intende che uno, gi persona umana, sia diventato Dio o sia stato assunto da Dio, perch in Ges Cristo la persona sempre unica e divina; invece verit se si intende che avvenne che un uomo sia Dio. 8. Cristo creatura, detto cos semplicemente, parlare secondo lerrore degli ariani e perci non si pu dire; se invece si aggiunge questa determinazione secondo la natura umana allora si pu dire; si pu poi omettere tale determinazione quando attribuendo a Cristo ci che proprio della natura umana non si pu sospettare che si intenda detto di lui come persona divina; cos si pu dire: Cristo nacque, Cristo pat, Cristo mor. 9. Avrebbe detto una falsit chi, indicando Cristo, avesse detto: questuomo ha cominciato ad esistere, perch la sua indicazione avrebbe designato direttamente la persona di Cristo, la quale divina ed eterna: nelcaso, per non parlare secondo gli ariani, bisognerebbe aggiungere ancora la determinazione: secondo la natura umana . 10. Cristo, secondoch uomo, creatura verit o falsit secondo che si intende; se colla parola uomo si intende o in qualunque maniera si designa la persona, falsit, perch la persona divina; se invece, come di solito, colla parola uomo si intende designare la natura umana, allora verit. 11. Cristo, secondo che uomo, Dio falsit se colla parola uomo si intende di designare non la persona, ma la natura umana di Cristo e poich di solito si intende cos quella una frase che non da non adoperarsi. 12. Cristo, secondo che uomo, persona falsit se si intende che lumana natura in Cristo sia anche persona; verit solo se colla parola uomo si intende di designare non la natura umana, ma la persona di Cristo; ovvero intendendo di designare la natura umana si vuol

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dire che essa compete a una persona e cio alla Persona del Verbo.

Quest. 17. Unit di esistenza in Cristo. 1. InDio si identificano Persona e natura, essenza ed esistenza, si pu quindi attribuire a una Persona la divinit tanto in concreto quanto in astratto e dire, p. es. che il Figlio Dio ed la Divinit; la natura umana invece non si identifica colla persona, per cui se si pu dire che Cristo uomo non si pu dire che Cristo lumanit; cosicch possiamo dire che Cristo ha due nature, ma non possiamo dire che Cristo due nature; e poich ancora le due nature in concreto sussistono nellunica Persona divina, dobbiamo dire che Cristo uno solo e non gi due e che in Cristo vi un solo essere e non gi lunione di due esseri. 2. Lesistenza appartiene alla natura e alla persona; la persona riguarda chi ha lesistenza, la natura riguarda ci per cui si ha lesistenza: Cristo non ha unito a s una preesistente persona umana, ma ha assunto la natura umana nella sua persona divina, la quale cos ebbe lesistenza non solo secondo la natura divina, ma anche secondo la natura umana; ci import in lui soltanto una nuova forma di relazione colla natura umana; ma, quanto allesistenza, come in Cristo uno solo chi ha lessere e c un solo essere personale, cos c in Lui una sola esistenza.

Quest. 18. Le volont in Cristo. 1. La natura umana assunta da Cristo era perfetta, aveva perci la volont che ne una naturale facolt, assumendo poi lumana natura Cristo non sub nessuna diminuzione nella natura divina,

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cui pure compete la volont, perciin Cristo ci sono due volont, una divina e laltra umana; 2. e poich alla perfezione dellumana natura, assunta da Cristo, appartiene anche lappetito sensitivo, perci ci fu in Cristo anche questo moto del senso, il quale, guidato dalla ragione, partecipa della volont. 3. Come in ciascun uomo c una sola volont, cos anche in Cristo, come uomo, c una sola volont, la quale per come in tutti, al fine tende necessariamente e ai mezzi tende liberamente, e perci, ha dueatti: uno di volont naturale, laltro di volont deliberativa. 4. La volont deliberativa si attua colla scelta; la quale scelta latto proprio del libero arbitrio: in Cristo c volont deliberativa con scelta, in lui quindi c il libero arbitrio. 5. Cristo di moto della volont naturale dellappetito sensitivo, che partecipa della volont, pot non volere la passione e la morte che Dio invece voleva, ma di moto della volont deliberativa li volle come mezzi della Redenzione e perci ebbe sempre la volont a Dio conforme. 6. Che poi il moto della volont naturale e dellappetito sensitivo in Cristo, come avvenne nella Passione, potesse non volere ci che volle di volont deliberativa, non importa in lui contrariet di volont, perch la contrariet ci sarebbe stata qualora avesse voluta e anche non voluta la stessa cosa per lo stesso motivo, ma il motivo invece era diverso; inoltre in Cristo la volont naturale e lappetito sensitivo erano soggetti alla volont deliberativa, e questa come anche la volont divina non erano impedite dalla volont naturale e dallappetito sensitivo.

Quest. 19. Le operazioni in Cristo. 1. In Cristo come cerano due volont cos cerano due operazioni, perch in Lui agiscono, in comunione una collaltra, la natura divina e la natura umana; la natura umana poi

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serve da istrumento alla natura divina e, come la scure partecipa al moto del legnaiuolo per fare uno sgabello e conserva la propria azione che quella di tagliare, cos in Cristo la natura umana partecipa delloperazione della natura divina e conserva lazione sua propria, altrimenti bisognerebbe dire o che la natura umana assunta da Lui era imperfetta o che si confusa colla natura divina. 2. Come in ogni uomo c una sola operazione veramente umana, quella cio che procede dalla volont con cognizione intellettuale, cos, anche in Cristo, nel quale c una sola natura umana, c di conformit una sola operazione umana: e ci in modo speciale, in Lui, perch mentre negli altri uomini ci sono operazioni, come quelle della vita vegetativa, che non dipendono dalla volont, in Cristo invece anche le operazioni naturali e corporali dipendono dalla volont, perch espressamente volute. 3. Cristo colle azioni umane merit per se stesso quello che non aveva ancora conseguito, cio la gloria del corpo nella Risurrezione, lAscensione al Cielo esimili, perch era pi nobile che ci Egli avesse per merito e la Scrittura glielo attribuisce per lobbedienza. 4. La grazia poi Cristo lebbe non solo come uomo particolare, ma anche come capo del suo corpo mistico, che sono gli uomini, perci il suo merito si estende anche agli altri, che sono membri del suo corpo mistico.

Quest. 20. Soggezione di Cristo al Padre. 1. La natura umana dipende da Dio, 1. perch Dio il principio di quanto in lei c di buono, 2. perch, come ogni cosa, cos anchessa soggetta alla divina disposizione e 3. perch soggetta alla divina legge quanto alla volont; Cristo aveva la natura umana, anchEgli quindi era cos soggetto a Dio e questa triplice soggezione Egli a Dio profess.

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2. E poich Cristo nellunit di Persona ha due nature, perci secondo la natura divina padrone di se stesso e secondo la natura umana servo di se stesso.

Quest. 21. Lorazione di Cristo. 1. In Cristo ci sono due volont, la divina e la umana e poich la volont umana non pu ci che vuole, ma alluopo ha bisogno del soccorso della potenza divina, perci a Cristo come uomo compete pregare. 2. Lorazione per tutti atto dellintelletto e non atto del senso, tale quindi fu anche per Cristo; per si dice pregare secondo il senso quando collorazione si presenta a Dio qualche cosa che riguarda lappetito sensitivo; e anche Cristo nella Passione preg cos per insegnarci e che egli aveva assunto veramente la natura umana, e che lecito cos pregare il Signore e che in ogni modo bisogna rassegnarsi alla divina volont. 3. A Cristo poi convenne pregare per se stesso non solo secondo lappetito sensitivo, ma anche secondo la volont deliberata per insegnarci che il Padre suo lautore di ogni bene e per darci lesempio della preghiera. 4. Cristo fu sempre esaudito nelle Preghiere che furono di volont vera ossia deliberata, perch allora non volle se non ci che sapeva essere volere di Dio; non lo fu invece nelle preghiere fatte secondo il desiderio naturale e lappetito sensitivo; queste per sono preghiere pi di velleit che di volont.

Quest. 22. Il Sacerdozio di Cristo. 1. Ufficio del Sacerdote, cos chiamato perch tratta le cose sacre, di essere mediatore fra Dio e il popolo, offrendo a Dio le preghiere e dando al popolo le grazie divine. Cristo ha ricondotto il mondo riconciliato a Dio, ha dato al mondo

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i doni celesti, Egli perci mediatore fra Dio e gli uomini e gli compete il nome di Sacerdote.

2. per Cristo che agli uomini fu condonato il peccato, donata la gloria e conferita la perfezione della gloria e poich questi sono gli scopi del sacrificio, che perci si distingue in sacrificio per il peccato, in ostia pacifica ed in olocausto, perci Cristo non soltanto sacerdote, ma anche ostia perfetta. 3. A mondare perfettamente il peccato occorre la cancellazione e della macchia di colpa e del reato di pena, per cui occorre linfusione della grazia e la soddisfazione di ogni debito: Ges Cristo ci rese giusti colla grazia e port il peso nei nostri peccati, il suo sacerdozio perci ebbe per effetto lespiazione perfetta dei peccati. 4. Cristo essendo mediatore fra Dio e gli uomini al di sopra degli uomini e perci, come il sole illuminagli altri ma non se stesso, cos Ges col suo sacerdozio santifica gli altri, ma non ha bisogno di santificare se stesso. 5. Il Sacerdozio di Cristo eterno, non per quarto alloblazione del sacrificio, bens quanto ai frutti del sacrificio che si perpetuano in cielo. 6. Il sacerdozio di Mechisedech era figura del sacerdozio della Legge e questo era figura del sacerdozio di Cristo, perci Cristo sacerdote secondo lordine di Mechisedech; di tanto per pi eccellente di quanto la realt supera la figura.

Quest. 23. Adozione di Cristo. 1. Adottare uno significa ammetterlo alla partecipazione della propria eredit: in quanto Dio per sua bont ammette gli uomini alleredit della beatitudine rettamente si dice che li adotta, e questa adozione superiore alla adozione umana, perch

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gli uomini, adottano chi degno, Dio invece colla grazia rende degno chi adotta; 2. e poich tale adozione relativa alle creature, comune a tutte tre le Divine Persone, perci adottareluomo in figlio di Dio spetta a tutta la Trinit. 3. Lessere adottato in figlio di Dio riservato alle creature intellettuali, perch ladozione ci assomiglia al Verbo, che Figlio naturale del Padre e procede dal Padre per loperazione dellintelletto; ma poich il Verbo unito al Padre, ladozione resta per di pi riservata a chi unito a Dio mediante la grazia. 4. Ges Cristo anche come uomo sempre Persona divina e come tale figlio naturale di Dio e perci in nessuna maniera si pu chiamare Cristo figlio di Dio adottivo.

Quest. 24. La predestinazione di Cristo. I. LIncarnazione, cio lunione delle due nature in Cristo, bench si sia compita nel tempo, fu per preordinata da tutta leternit; perci Cristo si pu chiamare predestinato. 2. Tale predestinazione sia nel decreto sia nel compimento relativa alla natura umana: quindi non errore il dire: Cristo in quanto uomo fu predestinato Figlio di Dio. 3. La predestinazione di Cristo lesemplare della predestinazione nostra, non gi quanto allatto di Dio predestinante che non precedette latto della predestinazione nostra, ma certo bens, quanto alleffetto e quanto al termine di essa, perch per lui che noi siamo predestinati alladozione di figli di Dio e ne abbiamo la grazia; 4. e perci nello stesso senso, cio se non quanto allatto bens quanto al termine, si pu dire che la predestinazione di Cristo fu la causa della predestinazione nostra.

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Quest. 25. Adorazione di Cristo. I. Lonore termina sempre alla persona, tantoch anche quando si onora qualche parte di una persona nella parte si onora il tutto ed ancorch ci siano diverse ragioni di prestare onore, uno solo lonore che si presta a quellunica persona che si onora per molte cause: orbene in Cristo la persona unica, bench due siano le nature, perci si deve adorare Ges con un unico e medesimo culto di latria, sia nella natura divina, sia nella natura umana; 2. perci lumanit di Cristo, intesa come una appartenenza della Persona divina del Verbo, si deve adorare con culto di latria; che se si intendesse di onorare lumanit di Cristo, come umanit, per la sua perfezione, allora le si deve culto di dulia; 3. anzi anche alle imagini di Cristo si deve culto di latria, quando si intende di onorarle con culto strettamente relativo, cio come Cristo e non come segno; 4. la Santa Croce poi si deve adorarla con cullo di latria anche per il contatto che ebbe colle membra di Cristo e per il prezioso Sangue di cui fu cosparsa. 5. Il culto di latria si deve solo a Cristo; alle creature, come creature, si deve culto di dulia, purch siano delle creature razionali, che sole sono per s capaci di onore; alla Vergine quindi, che creatura, si deve non culto di latria, ma culto, anzi speciale culto di dulia ossia culto di iperdulia. 6. Se dei nostri antenati ci sono cari i vestiti perch loro appartenevano, i corpi, che a loro appartenevano pi strettamente, ci devono essere anche pi cari; ragionevolmente perci onoriamo le reliquie dei Santi, i quali sono membra di Cristo, figli di Dio, nostri amici e nostri intercessori; tanto pi che le onora lo stesso Dio, il quale per loro mezzo opera di continuo miracoli.

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Quest. 26. Cristo Mediatore. 1. Mediatore colui che unisce gli estremi; fu Cristo che colla morte riconcili gli uomini a Dio; Cristo quindi il perfetto Mediatore fra Dio e gli uomini. 2. Il mediatore si trova fra i due estremi, cio al disopra delluno e al disotto dellaltro e li unisce comunicando allinferiore ci che proprio del superiore; Cristo per non al di sotto di Dio ma Dio e non comunica ci che di altri superiore a s, ma ci che anche a Lui proprio, perci lufficio di mediatore a Cristo compete non come Dio, ma come uomo.

Quest. 27. Santit della Vergine. 1. La Chiesanon celebra la festa se non di qualche santo; nella Chiesa si celebra la festa della Nativit di Maria, dunque Maria nacque colla santit. 2. La Vergine non poteva essere santificata prima della sua animazione, perch la grazia un dono dellanima: doveva poi anchessa venire santificata, perch Cristo Redentore di tutti, doveva quindi esserlo anche di Lei. 3. Per fomite si intende la disordinata concupiscenza dellappetito sensitivo, disordinata, cio, perch contraria alla ragione: nella Vergine santa il fomite dapprima rimase nella sua essenza, ma fu come legato nei suoi effetti e fu soppresso poi quando divenne Madre del Redentore, quasi a riverbero della immunit dal peccato propria di Cristo. 4. La santificazione conseguita dalla Vergine import che essa non commise alcun peccato, n mortale n veniale, perch era preannunciata: Tota pulchra. 5. Inoltre per la Divina Maternit trovandosi la Vergine vicina a Cristo, principio della grazia, pi degli stessi Angeli da Lui consegu la pienezza di ogni grazia, come signific lAngelo chiamandola: Gratia Plena.

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6. Dalla Scrittura sappiamo che prima della nascita furono santificati anche Geremia e il Battista i quali prefigurarono Cristo, luno nella Passione e laltro nel Battesimo.

Quest. 28. Verginit della Madonna. 1. La Scrittura dice che la Madonna fu vergine prima del parto, e ci fu conveniente per la dignit del Padre, del Figlio che Verbo del Padre, e dellumanit di Cristo, venuto per distruggere il peccato e per fare rinascere gli uomini alla grazia. Ecco Vergine una concepir.... dice Isaia. 2. La Scrittura aggiunge che la Madonna fu Vergine nel parto, e ci fu conveniente per la dignit del Verbo di Dio che da lui nasceva; per lo scopo della Incarnazione, che doveva essere quello di togliere la corruzione e per lonore della madre che Cristo nascendo doveva conservare. E Vergine una partorir. 3. La Scrittura insegna che la Madonna fu Vergine dopo il parto; pensare il contrario derogare alla perfezione di Cristo, che essendo unigenito come Dio doveva essere unigenito anche come uomo; ed fare ingiuria alla dignit dello Spirito Santo, alla santit della Madonna e alla modestia di S. Giuseppe. Questa porta chiusa rester. 4. Le virt sono pi lodevoli se sono legate con voto; deve perci ritenersi come consono alla santit della Madonna, cui convenne per tante ragioni la verginit, che Essa vi si leg con voto quando si leg in matrimonio con S. Giuseppe.

Quest. 29. Sposalizio della Madonna. 1. Fu conveniente che Cristo nascesse da una Vergine sposata: I. per la le-

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gittimit della nascita, per la genealogia e per la tutela di Cristo; II. per la buona fama e perlappoggio terreno della Vergine; III. per la conferma della nostra fede, il buon esempio della prudenza elonore dello stato di verginit e di matrimonio. 2. Il matrimonio della Vergine con S. Giuseppe fu perfetto quanto alla forma, cio nel consenso dellunione coniugale e fu anche perfetto quanto a quegli effetti che verso una prole divina rimanevano possibili, cio leducazione.

Quest. 30. LAnnunciazione della Vergine. 1. Lannuncio del Mistero da compiersi che lAngelo diede alla Vergine era doveroso per lordine naturale delle cose; per la testimonianza del mistero che la Vergine doveva a noi; per lossequio della volont che Ella avrebbe prestato a Dio; e per la indicazione del matrimonio spirituale tra il figlio di Dio e lumana natura che Ella avrebbe data. 2. Era doveroso che lannuncio del mistero fosse dato a Maria da un angelo, che ministro di Dio, perch bisognava trattare con una Vergine. 3. Era doveroso che lAngelo, il quale veniva ad annunciare la visibile Incarnazione di un Dio invisibile, prendesse forata visibile, perch cosi la Vergine fu pi cerziorata della cosa. 4. Nellannunciazione lAngelo segu un ordine conveniente, perch prima richiam lattenzione della Vergine, poi le annunci il mistero da compiersi, infine la indusse al consenso.

Quest. 31. Formazione del corpo del Salvatore. 1. Essendosi Cristo incarnato per purificare la natura

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umana dal peccato di Adamo era conveniente che Egli si formasse il corpo con materia derivata da Adamo. 2. Cristo, che doveva compiere le promesse fatte ad Abramo e a Davide, doveva discendere per generazione da loro. 3. Gli Evangelisti ci danno di Cristo la genealogia completa, perch uno ci d la genealogia naturale e laltro ci d la genealogia legale; uno ci mostra la discendenza da Davide per mezzo di Giuseppe, laltro ce la mostra per mezzo di Maria. 4. Bench il Figlio di Dio avesse potuto formarsi il corpo con qualunque materia, convenne tuttavia che Egli nascesse di donna, perch cos fu nobilitata lumana natura e cos pure la verit dellIncarnazione fu meglio stabilita. 5. Essendo Cristo nato di donna, ma di donna vergine, la sua generazione fu simile a quella degli altri uomini, ma fu anche distinta, e perci il suo corpo fu formato dal sangue, ma dal sangue purissimo della Vergine. 6. E poich il sangue ossa e carne non in atto, ma in potenza, Cristo non prese dalla Vergine per il suo corpo alcunch di ci che apparteneva ai genitori ed antenati della Vergine e quindi nessuna parte speciale e designata di Adamo pot arrivare sino a Lui. 7. Perci in Cristo nulla deriv da Adamo che fosse stato nei suoi antenati soggetto a peccato; che se nei suoi antenati la natura umana derivata da Adamo era stata soggetta a peccato, ci fu perch erano essi soggetti al peccato. 8. Similmente si pu dire che Abramo non pag decima a Melchisedech anche per Cristo suo discendente, perch Cristo aveva da ricevere decima, ma non dapagarne.

Quest. 32. Concepimento di Cristo. 1. Il principio attivo del concepimento di Cristo, cio la causa efficiente

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dellIncarnazione stata tutta la Trinit, ma si attribuisce allo Spirito Santo, perch lIncarnazione opera di amore e di santificazione. 2. Perci Cristo si dice concepito di Spirito Santo; lo Spirito Santo ha col Figlio di Dio relazione di consostanzialit e anche relazione di causa efficiente delsuo corpo e ambedue le relazioni si esprimono colla frase di Spirito Santo. 3. Con tutto ci lo Spirito Santo non si pu dire Padre di Cristo, come uomo, e nemmeno si pu dire Cristo figlio della Trinit, perch ha nome di filiazione ci che procede in simiglianza di natura e ci non fu di Cristo come uomo relativamente allo Spirito Santo e alla Trinit. 4. La Vergine, essendo essa stata scelta come madre, per somministrare cio la materia del corpo di Cristo, ed essendo la materia distinta dalla forma, cui spetta ogni principio attivo, nel concepimento di Cristo fu principio esclusivamente passivo e in nulla fu principio attivo.

Quest. 33. Modo ed ordine del concepimento di Cristo. 1. La formazione perfetta del corpo di Cristo dal sangue della Vergine avvenne nello stesso istante del suo concepimento, bench soltanto in seguito sia cresciuto fino alla debita grandezza, ci poi era dovuto allinfinito potere della causa efficiente, cio dello Spirito Santo cos pure ci era anche richiesto dallunione ipostatica, cio dallunione di due nature in una sola persona; 2. e poich Cristo assunse il corpo mediante lanima, perci nel primo istante della concezione il corpo non fu soltanto formato, ma anche animato. 3. Mentre diciamo che Dio si fece uomo, non diciamo che un uomo si fece Dio e perci il corpo di Cristo nello stesso istante del concepimento fu formato e anche

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assunto dal Verbo e in nessuna maniera preesistette a tale assunzione. 4. Il concepimento di Cristo si deve dire miracoloso perch il principio attivo, secondo il quale si soliti parlare delle cose, nel concepimento di Cristo soprannaturale.

Quest. 34. Perfezione della prole di Maria. 1. La prole di Maria era stata preannunciata santa, perci se nel primo astante del concepimento era animata, ebbe anche quei doni dellanima nei quali consiste la pienezza della grazia. 2. Cristo nellistante medesimo del suo concepimento fu perfetto ed animato perci ebbe insieme anche luso del libero arbitrio; 3. e poich nello stesso istante fu anche santificato, la sua fu una santificazione con moto di libero arbitrio, e perci meritoria, cosicch Cristo nel primo istante del suo concepimento merit; 4. e poich la grazia che Cristo consegu e consegu subito fu grazia senza misura e perci comprendente anche la grazia di beato comprensore, perci Cristo fu compensore ed ebbe la visione beatifica nello stesso istante del suo concepimento.

Quest. 35. Nascita di Cristo. 1. Chi nasce una persona, ma la nascita ha per termine il conseguimento della natura, perci la nascita si dice via alla natura. 2. Se perci la natura il termine della nascita, a Cristo, nel quale ci sono due nature, si devono attribuire due nativit: una eterna e una temporale; 3. e la Vergine, avendo prestato a Cristo tutto ci che presta una madre, veramente Madre di Cristo.

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4. Essere concepito e nascere va attribuito non alla natura in astratto, ma alla persona in concreto; in Cristo la persona unica ed divina, Cristo Dio, e perci la Vergine se Madre di Cristo Madre di Dio. 5. In Cristo come ci sono due nativit, leterna e la temporale, cos ci sono due filiazioni, ma di ambedue uno solo il soggetto, perci riferendosi alla persona bisogna ammettere una sola filiazione, leterna; riferendosi invece alle nature, se ne devono ammettere due. 6. Essendo la Madonna rimasta Vergine anche nel parto diedealla luce il Salvatore Ges senza nessun dolore e colla grande gioia che sia nato al mondo lUomo-Dio Redentore. 7. Cristo volle nascere a Betlemme, perch di Betlemme era Davidde, dalla cui stirpe Egli discendeva; e perch Betlemme vuol dire Casa di pane ed Egli era il pane vivo disceso dal cielo, come disse di s nel Vangelo. 8. Cristo si deve dire nato nel tempo pi opportuno, perch fu quello che Egli, padrone del tempo, scelse secondo i disegni della sua sapienza; e nacque quando regnava la pace, il popolo ebreo aspettava il Messia e il mondo abbisognava del Redentore.

Quest. 36. Manifestazione di Ges. 1. La nascita di Ges non doveva essere manifesta a tutti, perch altrimenti sarebbe stata impedita lopera della Redenzione e sarebbe stato diminuito il merito della Fede; 2. ma affinch poi essa fosse proficua doveva essere manifesta ad alcuni e precisamente a testimoni preordinati, come fu altres della sua Risurrezione; 3. e quei testimoni preordinati furono convenientemente scelti, perch ce ne furono di ogni condizione cio: i pastori e i magi, Simeone ed Anna; ossia poveri e ricchi, ignoranti e sapienti, uomini e donne, giusti e peccatori;

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4. e convenne che Cristo si rendesse manifesto per loro mezzo e non gi per se stesso per cominciare cos la propagazione di quella Fede, in cui sta la salute. 5. A quei testimoni preordinati la manifestazione di Cristo doveva effettuarsi per mezzo di segni a loro familiari, e questi furono lispirazione dello Spirito Santo per i giusti; gli Angeli per i pastori che erano dei Giudei soliti agli annunci angelici; e la stella per i magi, i quali erano dediti alla contemplazione degli astri e dovevano ricevere lannuncio di un fatto non terreno, ma celeste. 6. Nella manifestazione della nascita di Cristo fu seguito anche il debito ordine, perch allora fu fatta prima ai pastori, poi ai magi e infine ai giusti nel tempio, come pi tardi doveva farsi prima agli Apostoli e discepoli, poi ai gentili ed infine alla nazione giudaicatutta. 7. La stella che apparve ai magi deve ritenersi non una stella comune ma una stella miracolosa, perch segu una via nuova, ebbe una apparizione improvvisa e risplendeva di notte e anche di giorno. 8. da ritenersi che i Magi, i quali sono le primizie dei gentili, siano venuti ad adorare Cristo seguendo lispirazione dello Spirito Santo.

Quest. 37. Ges Bambino e le osservanze legali. 1. Cristo sub la circoncisione per mostrare che aveva un corpo vero; per approvarne il rito; per provare la sua discendenza da Abramo; per non riuscire inviso ai Giudei; per darci esempio di obbedienza alla legge e per liberare i credenti dallonere che essa portava. 2. A Cristo fu convenientemente imposto il nonne di Ges, che significa Salvatore, perch Egli era venuto per salvare gli uomini dalla morte del peccato; nome che lAngelo aveva preannunciato a Maria e a Giuseppe. 3. La Legge di Mos prescriveva che tutti i neonati fossero presentati al tempio e prescriveva inoltre che il pri-

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mo figliuolo che nascesse fosse offerto a Dio e riscattato; avendo Cristo voluto nascere al tempo della Legge convenientemente si sottopose allosservanza di quei due precetti; 4. e come Egli volle sottoporsi allosservanza della Legge, bench non ne fosse soggetto, perch era il Padrone e non il suddito, cos volle che anche la sua Vergine Madre si sottoponesse alla Legge della Purificazione, bench non ne avesse bisogno.

Quest. 38. Il Battesimo di S. Giovanni. 1. Il battesimo di Giovanni fu opportuno, perch diede occasione al battesimo e alla manifestazione di Cristo e perch assuefaceva gli uomini al battesimo di Cristo e colla penitenza ne li rendeva degni. 2. Nel battesimo di Giovanni va distinta listituzione che era divina, cio ispirata dallo Spirito Santo, dalleffetto, che era umano, perch era una esterna, bench simbolica, abluzione; 3. perci il battesimo di Giovanni non conferiva la grazia, ma disponeva alla grazia in quanto preparava alla fede, assuefaceva al battesimo di Cristo e induceva alla penitenza per riceverlo con frutto. 4. Altri oltre a Cristo dovevano ricevere il battesimo di Giovanni, perch se solo Cristo lavesse ricevuto, sarebbe ad alcuni apparso migliore del battesimo di Cristo e perch erano gli altri che avevano bisogno di essere preparati al battesimo di Cristo; 5. ed appunto perch il battesimo di Giovanni preparava gli uomini al battesimo di Cristo non occorreva che cessasse quando Cristo cominci a battezzare, tanto pi che la cessazione avrebbe potuto sembrare effetto di gelosia, e poi i discepoli del Battista si sarebbero tanto pi adontati che Cristo battezzasse.

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6. Essendo stato il Battesimo di Giovanni non in aqua et Spiritu Sancto, ma in aqua soltanto, occorreva che tutti quelli che lo avevano ricevuto, per avere la grazia, ricevessero poi totalmente il battesimo di Ges Cristo.

Quest. 39. Il Battesimo di Ges. 1. Ges volle ricevere il battesimo non per essere santificato dalle acque ma per santificare le acque; per santificare non in se stesso, ma negli altri la natura umana da lui assunta; e per darci esempio di sottomissione a ci che egli aveva disposto non per s ma per gli altri. 2. Cristo ricevette il battesimo di Giovanni per approvarlo e per santificare il battesimo; ma non ricevette il battesimo suo, perch nonne aveva bisogno. 3. Cristo ricevette il battesimo allinizio del suo ministero pubblico per apparire idoneo a insegnare e a predicare e per mostrare che il battesimo rende luomo perfetto, come era Lui a quellet. 4. Cristo ricevette il battesimo nel Giordano, perch fosse significato che il Giordano per quel battesimo apr ladito al regno di Dio, come una volta il Giordano apr ladito al regno della terra promessa. 5. Quando Cristo si battezz, i cieli si aprirono per mostrarci che il battesimo di una virt celeste ed la chiave del regno dei cieli. 6. Quando Cristo si battezz lo Spirito Santo discese sopra di Lui in forma di colomba per mostrare che tutti coloro che ci battezzano ricevono lo Spirito Santo, purch si battezzino con semplicit di cuore, come simboleggiato dalla colomba. 7. La colomba che apparve si pu ritenere una colomba vera, miracolosamente formata, perch le finzioni mal si addicono al figlio di Dio, che la stessa verit. 8. Il battesimo ricevuto da Ges lesemplare del battesimo nostro, che viene dato nella virt e nellinvocazio-

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ne della Trinit, perci a completare lesemplare quando Cristo si battezz si fece anche udire la voce del Padre.

Quest. 40. Cristo e il suo modo di trattare cogli uomini. 1. Cristo era venuto al mondo a manifestare la verit, a liberare gli uomini dal peccato e ad aprirci laccesso a Dio; a questi tre fini conform il suo vivere; visse quindi non solitario ma in mezzo agli uomini. 2. Convivendo cogli uomini si conform anche alloro modo di vivere ed anzich una vita austera nel mangiare e nel bere segu il modo di vivere che comune a tutti gli stati di vita. 3. Scelse anzi il genere di vita pi comune, che la vita povera e cos, senza beni da amministrare Egli era pi libero di dedicarsi a predicare e conduceva una vita, cui fu degna corona la morte di croce; inoltre la sua predicazione appariva evidentemente disinteressata e lo stato di povert veniva in Lui esaltato. 4. Cristo conform la sua vita anche ai precetti della Legge e con ci la approv, la compi in se stesso, ponendovi cos termine, e prevenne le maligne accuse dei Giudei.

Quest. 41. Tentazione di Cristo. 1. Cristo volle essere tentato per mostrarci che nessuno, per quanto giusto, esente da tentazioni, per insegnarci il modo di vincerle e per eccitarci alla confidenza. 2. Cristo volle essere tentato nel deserto per indicarci che quanto pi cerchiamo la solitudine per il raccoglimento dello Spirito Santo, tanto pi siamo tentati. 3. Cristo volle che la sua tentazione venisse dopo il digiuno per insegnarci che il digiuno ottimo apparecchio alla tentazione e che anche chi digiuna soggetto alla

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tentazione, e precisamente a tentazioni che riguardano lo stesso suo digiuno. 4. Cristo volle che la sua tentazione seguisse con quellordine e in quel modo per insegnarci che la tentazione comincia dal poco e sale al molto, comincia da cose che sembrano esigenze naturali, progredisce colla superbia ed arriva fino al disprezzo di Dio.

Quest. 42. Insegnamenti di Cristo. 1. Cristo acquist il dominio di tutti i popoli colla sua Passione, perci prima di essa la sua predicazione si limit ai Giudei anche perch a loro era stato il Messia promesso; a loro doveva risultare evidente la sua venuta da Dio e a loro doveva essere sottratto ogni pretesto di non entrare nella Chiesa. 2. Lo scandalo che mostrarono gli Scribi e Farisei era uno scandalo di malizia per impedire la salute del popolo, giustamente quindi Cristo lo sprezz ed affront. 3. Linsegnamento di Cristo fu pubblico e non occulto, perch Egli non era geloso della sua scienza, n aveva dottrine furtive da insegnare; Egli insegnava sempre alle turbe o anche ai soli Apostoli, ma in comune e se talora fece uso di parabole, fu perch esseri vestivano bellamente i misteri spirituali. 4. Cristo insegn a voce e nulla scrisse e ci convenne alla sua eccellenza di maestro che imprime gli insegnamenti nellanima e non nella carta e ci convenne anche alleccellenza della sua dottrina, che non pu essere ristretta e chiusa nei libri.

Quest. 43. I miracoli di Cristo in genere. 1. I miracoli confermano la verit di ci che uno insegna e manifestano la presenza di Dio in Lui; luna e laltra cosa

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doveva essere nota agli uomini relativamente a Cristo, era quindi convenientissimo che Egli operasse Miracoli. 2. I veri miracoli possono essere fatti soltanto per virt divina, perch Dio solo pu mutare lordine della natura; Cristo fece veri miracoli; Egli perci oper per virt divina. 3. I miracoli di Cristo avevano lo scopo di confermare la verit che insegnava e perci convenne che aspettasse a farli quando cominci ad insegnare; doveva poi cominciare ad insegnare quando fosse giunto allet perfetta, cos si spiega perch cominci a fare miracoli alle nozze di Cana. 4. I miracoli di Cristo dimostrarono scientemente la sua divinit, e perch erano opere che trascendevano lumano potere, perch li operava in suo nome e cio di sua autorit, e perch Egli stesso li citava come prova della sua divinit.

Quest. 44. I miracoli di Cristo in specie. 1. Fu conveniente che Cristo operasse miracoli sugli esseri spirituali, cio sui demoni, col cacciarli, perch questi miracoli, che erano diretti contro il diavolo, che il nemico della Fede, riuscivano i pi validi argomenti della Fede. 2. Fu conveniente che Egli operasse miracoli anche sui corpi celesti come quando alla sua morte il sole si oscur, perch cos mostr che il suo potere si estendeva anche al cielo. 3. Fu convenientissimo che Cristo operasse miracoli sugli uomini, ridonando ai malati la salute, perch cos si mostr loro universale e spirituale salvatore. 4. Fu altres conveniente che Cristo operasse miracoli sulle creature irrazionali, con prodigi di ogni genere, per mostrare che tutte le cose sono a Lui soggette ed aiutare cos la fede degli uomini.

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Quest. 45. La trasfigurazione di Cristo. 1. Opportunamente Cristo si trasfigur e si mostr ai discepoli nello splendore della sua gloria, per insegnare che essa il fine della tribolazione. 2. Lo splendore della trasfigurazione era uno splendore essenziale a Cristo, perch derivato dallinterna gloria dellanima sua beata e della sua divinit; Egli per per un volere suo particolare lo contenne sempre dentro di s fin dalla nascita; fu perci esso anche uno splendore fuggevole e non una qualit permanente del corpo. 3. Ges volle che presenziassero alla sua trasfigurazione Mos ed Elia e gli Apostoli prediletti, perch ne fossero testimoni gli uni quali rappresentanti degli uomini anteriori a Cristo, gli altri quali rappresentanti degli uomini a Lui posteriori. 4. La nostra adozione a figli di Dio comincia col Battesimo e si compie colla gloria del Paradiso; perci come si fece udire nel Battesimo di Ges la voce del Padre, cos fu conveniente che essa si facesse udire altres nella trasfigurazione, per indicare che la nostra adozione perfetta.

Quest. 46. La Passione di Cristo. 1. Per la Redenzione del genere umano era necessario che Cristo subisse la Passione e la Morte; ma ci non di necessit assoluta, perch Iddio poteva provvedere altrimenti, e neppure di necessit estrinseca, perch nessuno poteva costringervelo, nessuno essendo a Dio superiore, bens di necessit relativa al fine da conseguire, che per noi era la liberazione dalla morte, per Cristo era lesaltazione nella gloria e per Iddio era ladempimento delle promesse. 2. Quindi, assolutamente parlando, la Redenzione umana era possibile a Dio con qualunque altro mezzo, allinfuori della Passione di Cristo; invece parlando relativamente alla prescienza e ai decreti divini la Redenzione

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umana non era possibile a Dio con nessun altro mezzo, allinfuori della Passione di Cristo. 3. La Passione poi di Cristo riusc il modo pi conveniente dellumana Redenzione, perch cos luomo conobbe quanto Dio lo ama; Cristo ci diede lesempio di ogni virt e ci acquist non solo liberazione, ma anche grazia e gloria; noi impariamo ad essere solleciti di conservarci immuni dal peccato e lumana natura, vinta dal diavolo, ebbe sul diavolo la rivincita e riacquist il suo prestigio. 4. Fu poi convenientissimo che la morte di Cristo fosse morte di croce, perch con essa ci fu dato esempio e ci fu infuso coraggio ad incontrare qualunque morte; perch come da un albero ci venne la rovina, cos da un albero ci venne la Redenzione; perch Cristo sospeso in aria purific anche laria piena di demoni, sollevato da terra ci invit al cielo, rivolto ai quattro angoli del mondo tutti chiam alla salute e della Croce di sua passione fece la Cattedra della sua dottrina; infine perch il legno della Croce corrispose a molte figure del Vecchio Testamento nelle quali il legno strumento di salute, come nellarca di No e nellarca dellalleanza. 5. Si pu dire che Cristo soffr tutti i dolori nel senso che soffr ogni genere di dolore: da parte degli uomini concorsero alla sua Passione Giudei e Gentili, uomini e donne, dignitari e popolo, estranei e familiari; da parte della sua persona Egli soffr nellamicizia per labbandono dei suoi, nella gloria per le ingiurie, nella fama per le calunnie, nella roba per la spogliazione delle vesti, nellanima per la tristezza, il tedio, il timore, e nel corpo per le ferite e la flagellazione; da parte delle sue membra Egli soffr nel capo coronato di spine, nel viso schiaffeggiato, nelle mani e nei piedi trapassati dai chiodi, e in tutto il corpo sottoposto alla flagellazione; da parte dei sensi Egli soffr nel tatto per le spine, i chiodi e i flagelli, nel gusto per il fiele e laceto; nellolfatto per i cadaveri del Cal-

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vario, che era luogo di supplizio, nelludito per lo schiamazzo degli spettatori e nella vista per il dolore di Maria e di Giovanni che stavano a pie della Croce. 6. I dolori della Passione di Cristo eccedono ogni altro dolore per 4 ragioni: I. per le loro cause: il dolore sensibile fu causato in Lui da lesioni acerbissime e generali; dolorosissima fu la sua morte in croce, perch le mani e i piedi nel centro della loro sensibilit furono trapassati da chiodi e straziati dal peso del corpo; lunghissimo fu il suo tormento a differenza di chi decapitato, che muore subito: il dolore interno fu causato dai peccati di tutto il mondo, dalla perdizione del popolo eletto e dal naturale orrore alla morte; II. per la sensibilit di Cristo: Ges, figlio di Maria, era delicatissimo di corpo e di animo; III. per il dolore in s: ogni dolore sofferto da Cristo fu senza mitigazione o conforto; IV. per il dolore considerato in relazione al fine: Ges sofferse volontariamente e volonterosamente per la salvezza di tutto il mondo e la grandezza di questo fine importava una grandezza proporzionata di dolore. 7. Nei dolori della Passione pativa tutta lanima di Cristo, perch lanima, che forma sostanziale del corpo, quanto allessenza c tutta in tutto il corpo etutta in tutte le parti del corpo; non cos quanto alle potenze, ma le singole potenze inferiori, che nellanima erano radicate, partecipavano ai dolori delle altre; non pativa invece in Cristo la ragione superiore, perch essa era fissa in Dio: 8. e perci anche lanima di Cristo, che quanto allessenza cera tutta anche nella ragione superiore, godeva colla ragione superiore, mentre pativa nel corpo, n ci contradditorio, perch diverso era il motivo del godere e del patire. 9. Il tento della Passione fu scelto da Dio sapientissimo, si deve dire adunque il pi opportuno, e tale davvero fu, perch la morte di Cristo, Agnello senza macchia,

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coincidette col tempo Pasquale, e collora del sacrificio vespertino ed avvenne nellet perfetta di Cristo. 10. Anche il luogo della morte di Cristo si deve dire opportunamente scelto dalla divina sapienza e tale fu perch Gerusalemme era il centro del mondo di allora e si riteneva che nel monte Calvario fosse seppellito Adamo, da cui deriv la perdizione del mondo. 11. Fu pure sapiente disposizione di Dio che Cristo fosse crocifisso fra due ladroni, perch cos fin dalla Croce apparve Giudice degli uomini. 12. La Passione e morte di Cristo si pu attribuire alla Persona divina di Ges Cristo, non per alla sua natura divina, perch la natura divina impassibile eimmortale.

Quest. 47. Causa efficiente della Passione di Cristo. 1. Non Cristo uccise se stesso, ma lo uccisero gli altri; si pu per dire volontaria la sua morte in quanto non la imped, pur potendo impedirla. 2. Ges Cristo si sottopose per obbedienza alla morte di Croce e cos offr a Dio il sacrificio pi gradito, quello cio della volont; san la disobbedienza di Adamo; diede a noi esempio di quella obbedienza, che la virt necessaria per vincere; 3. il Padre poi ha dato il Figlio alla Passione e alla morte colleterna preordinazione della sua volont, collispirazione data al Figlio di voler patire e collazione negativa di non sottrarlo alle mani dei Giudei. 4. Come la Redenzione doveva avere corso prima coi Giudei e poi coi Gentili, cos convenne che la Passione di Cristo fosse iniziata dai Giudei e terminata dai Gentili. 5. I maggiori responsabili della morte di Cristo sapevano che Egli era il Messia, ma ignoravano, bench di ignoranza affettata, che Egli fosse Figlio di Dio; il Popolo poi non sapeva bene nemmeno che Egli fosse il Messia;

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6. il peccato dei primi, perci, fu gravissimo e per genere di peccato e per la malizia della volont; meno grave fu il peccato dei secondi e pi scusabili furono i Gentili.

Quest. 48. Come merit la Passione di Cristo. 1. La Passione di Cristo ha causata la nostra salute meritandola, perch Egli era capo della Chiesa e i meriti del capo appartengono anche al suo corpo mistico. 2. Cristo colla Passione ha causata la nostra salute soddisfacendo per noi, anzi la soddisfazione da Lui prestata alla divina giustizia fu superiore al debito di tutti i peccati del mondo e ci per la immensit della carit di Cristo nel patire, per la dignit infinita della sua persona e anche per luniversalit dei dolori da Lui sofferti. 3. Essendo il Sacrificio unopera in onore di Dio per placarlo, la Passione di Cristo per la nostra salute ebbe anche il pregio del sacrificio; fu poi sacrificio accettissimo, perch proveniente da somma carit; fu sacrificio vero perch corrisponde alle molte e varie figure della Legge; fu sacrificio sommo, perch tale risulta se si considera a chi, da chi, per chi e che cosa in esso viene offerto. 4. Per causa di Adamo luomo era soggetto alla schiavit del diavolo per il peccato ed era soggetto alla Giustizia di Dio per le pene dovute al peccato; Ges Cristo soddisfacendo per noi ha come pagato il prezzo della nostra liberazione da quei due vincoli, e ci ha con ci redenti vale a dire ricomperati; 5. e poich il prezzo della Redenzione fu il sangue versato da Cristo, la Redenzione va attribuita al Figlio, che ha assunta lumana natura, bench la causa prima ne sia tutta la Trinit. 6. Anzi la Passione di Cristo si pu dire causa efficiente della nostra Redenzione, bench sia causa efficiente strumentale e non principale.

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Quest. 49. Effetti della Passione di Cristo. 1. La passione di Cristo ci ha liberato dai peccati in tre modi: I. provocandoci alla carit che ridona la grazia; II. pagando il prezzo della nostra schiavit del peccato; III. espellendo il peccato per virt divina di cui la Passione era strumento. 2. La Passione di Cristo ci ha sciolti dal potere del diavolo, perch per essa il peccato ci fu rimesso, noi siamo stati riconciliati con Dio e il diavolo rovinse stesso per eccesso di malizia, esso infatti procur la morte di Cristo che doveva essere la nostra Redenzione. 3. La Passione di Cristo ci ha liberati dalla pena dovuta ai peccati sia direttamente, soddisfacendo cio per noi, sia anche indirettamente, perch ne toglie cio la radice che il peccato, dal quale essa cilibera. 4. La Passione di Cristo ci ha riconciliati con Dio per due motivi: I. perch ha rimosso il peccato che ci fa nemici di Dio; II. perch ha avuto pregio di sacrificio, il cui effetto di placare Dio. 5. La Passione di Cristo ci ha aperte le porte del Cielo, perch ci ha liberati dalla colpa e dalla pena del peccato che ce le tenevano chiuse. 6. Cristo colla Passione merit la sua esaltazione; giustizia vuole che quanto pi uno viene ingiustamente depresso tanto pi sia poi esaltato; nella Passione la dignit di Cristo fu oltremodo depressa: incontr la morte cui non era soggetto, il suo corpo fu posto in un sepolcro e lanima and ai luoghi inferni, Egli sostenne ogni ignominia e fu anche dato in potere dei nemici; gli spett quindi passare dalla morte alla Risurrezione gloriosa, dal sepolcro e dal limbo al Cielo nellAscensione, dal disprezzo degli uomini al consesso con Dio alla destra del Padre e dallessere in potere altrui allavere il potere su tutti, per esercitarlo nel Giudizio.

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Quest. 50. Morte di Cristo 1. Fu opportuno che Cristo morisse, perch: I. la morte la pena del peccato ed Egli ha fatto suoi i nostri peccati; II. Nella morte mostr la verit della natura umana; III. Colla morte ci ha liberati dal timore della morte; IV. morendo corporalmente per il peccato ci insegna a morire spiritualmente al peccato; V. morendo e poi risorgendoci infonde speranza nella risurrezione. 2. Nella morte di Cristo la divinit non si separ dal suo corpo, perch la divinit era unita al corpo di Cristo per la grazia di unione e ci che si ha per grazia si perde solo per la colpa; ma a Ges non imputabile nessuna colpa, Egli quindi conserv sempre la grazia di unione; 3. per la stessa ragione nella morte la divinit non si separ nemmeno dallanima di Cristo, il che deve maggiormente dirsi per la ragione che Cristo nellIncarnazione assunse il corpo mediante lanima. 4. Uomo non chi non ha il corpo animato; nella morte di Cristo, che fu vera morte, lanima si separ dal corpo, Cristo perci nei tre giorni della morte non aveva un corpo animato e perci non era pi uomo e soltanto si poteva dire un uomo morto. 5. Il corpo di Cristo, vivo e morto, fu sempre numericamente quello stesso, cio quellunico e medesimo corpo che, vivo e anche morto, era ipostaticamente unito alla Persona del Verbo; non fu per totalmente lo stesso, perch il corpo vivo ha lanima che qualche cosa di essenziale per lui, e il corpo morto non lha. 6. La morte di Cristo in fieri la stessa Passione ed ha lo stesso merito della Passione; invece la morte di Cristo in facto, ossia la separazione dellanima dal corpo, non merit la nostra Redenzione, perch alla morte sua Cristo, Dio e uomo, non esisteva pi in essa per il corpo, bench separato dallanima, era unito alla divinit, e perci di efficienza strumentale ci valse

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la liberazione dalla morte dellanima per la grazia e dalla morte del corpo per la Risurrezione.

Quest. 51. Sepoltura di Cristo. 1. Fu conveniente che Cristo vestisse sepolto, perch con ci fu provatala verit della sua morte; colla susseguente risurrezione ha in noi attenuato lorrore del sepolcro; col suo celarsi al mondo ci ha insegnato che chi muore al peccato si sottrae ai rumori del mondo. 2. Parimenti fu opportuno il modo con cui venne sepolto, perch divenne argomento della verit della morte e della Risurrezione di Cristo e a noi ha segnalato lesempio della piet di coloro che alla sepoltura si prestarono. 3. Il corpo di Cristo non doveva nel sepolcro andare soggetto alla dissoluzione e ridursi in polvere, perch la sua morte non era dovuta a infermit della natura assunta, ma a volontaria assunzione della morte. 4. Ges Cristo rimase morto due notti e un giorno e ci ha un senso mistico: le due notti sono le due morti, quella dellanima e quella del corpo, da cui liber noi, la morte sua invece era il giorno.

Quest. 52. La discesa allinferno. 1. Fu opportuna la discesa di Ges allinferno, perch, come assoggettandosi alla morte liber noi dalla morte, cos discendendo allinferno liber noi dallinferno; inoltre conveniva che, dopo di aver vinto il diavolo, gli strappasse di mano la preda; infine conveniva che, come aveva mostrata la sua potenza in terra, la mostrasse anche allinferno. 2. Colla sua anima Cristo discese solo allinferno dei giusti, cio al Limbo, ma colla sua azione discese anche allinferno dei dannati per rinfacciarli della incredulit e

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malizia loro e discese allinferno delle anime purganti per consolarle. 3. Nella morte di Cristo lanima si separ dal corpo, ma n luna n laltro si separ dalla persona di Cristo che persona divina e perci Cristo come persona fu allora tutto nel sepolcro, tutto allinferno e tutto dappertutto. 4. La Scrittura sembra insinuarci che lanima di Cristo sia rimasta nel Limbo per tutto il tempo che il corpo rimase nel sepolcro. 5. Cristo discendendo al Limbo liber i Santi Padri, che ivi stavano chiusi, perch essi vi erano per il peccato di Adamo, la cui pena fu la morte corporale e lesclusione dalla gloria del cielo, e Ges colla sua morte ha liberato il mondo dalla colpa e dalla pena del peccato originale. 6. Ma poich il frutto della sua morte era applicabile soltanto a quelli che erano a Lui uniti di fede e di carit, delle quali i dannati mancavano, perci la discesa di Ges allinferno non port la liberazione ai dannati. 7. Gli stessi bambini morti col peccato originale, se non erano a Cristo uniti di Fede e di Carit, non potevano essere liberati alla sua discesa allinferno. 8. Quanto poi alle anime del Purgatorio, siccome la Passione di Cristo doveva valere allora quanto vale oggi, si deve ritenere che alla discesa di Ges allinferno furono liberate quelle che erano pronte per la loro liberazione.

Quest. 53. La Risurrezione di Cristo. 1. Era necessaria la Risurrezione di Cristo per lesaltazione della Giustizia divina, per listruzione della nostra fede, per lerezione della nostra speranza; per linformazione della nostra condotta e per il compimento della nostra salvezza. 2. Fu conveniente che Cristo risorgesse il terzo giorno, perch Egli doveva restare nel sepolcro solo quanto era necessario per confermare la verit della sua morte e per

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questo bastavano le due notti e il giorno compreso; il terzo giorno poi aveva il senso mistico della terza et del mondo, che cominciava colla Risurrezione di Cristo. 3. La vera Risurrezione sta nel risorgere dalla morte per non mai pi morire in seguito; in questa maniera Cristo fu il primo a risorgere e le risurrezioni di altri prima di Lui furono risurrezioni imperfette. 4. Cristo fu causa della sua Risurrezione, perch risuscit se stesso per virt della divinit che, essendo alla morte rimasta unita allanima e al corpo, riun nel terzo giorno lanima al corpo; per virt invece dellumanit ci non era possibile; essa aveva bisogno di essere risuscitata da Dio.

Quest. 54. Qualit di Cristo risorto. 1. Il risorgere proprio di ci che cade: il corpo di Cristo, che cadde per la morte ed ebbe lanima separata, fu quello che ritorn in vita per la risurrezione ed ebbe lanima riunita; e come prima della morte esso era un corpo vero, cos dopo la risurrezione fu un corpo vero; 2. nella Risurrezione quindi il corpo di Cristo fuun corpo della stessa natura, bench di diversa gloria; perci riebbe quella carne, quel sangue, quelle ossa, quella pelle di prima, altrimenti non sarebbe stata verarisurrezione. 3. Il corpo di Cristo risorse glorioso, perch, se risorgono gloriosi i giusti, tanto pi doveva essere gloriosa la risurrezione di Cristo, che ne lesemplare; inoltre Cristo merit la gloria della Risurrezione collignominia della Passione; infine era stata disposizione della sua volont che la gloria della sua anima, beata fin dal concepimento, non ridondasse nel corpo per non impedire il mistero della Passione; compto questo quella disposizione cessava. 4. Fu poi conveniente che il corpo di Ges risorgesse colle cicatrici, perch esse erano per Ges un segno di glo-

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ria, per gli Apostoli un argomento della sua risurrezione, per il Padre un segnacolo del suo merito, per i fedeli lemblema della sua misericordia e peri dannati la voce della sua giustizia.

Quest. 55. Manifestazione della Risurrezione. 1. La Risurrezione non doveva essere resa manifesta a tutti, ma soltanto ai testimoni preordinati da Dio, per cui, essendo una verit superiore, cio rivelata, fu manifestata a coloro che dovevano poi predicarla. 2. Non era poi necessario che i testimoni preordinati da Dio, cio gli Apostoli, ne fossero spettatori, perch per loro era impossibile vedere lanima di Cristo rientrare nel corpo; ci invece era possibile per gli Angeli, e fu disposto che gli Angeli ne dessero lannuncio agli uomini. 3. Per rendere certi gli Apostoli della risurrezione e della gloria di Cristo bast che Egli a loro pi volte apparisse, non fu per necessario che convivesse di continuo con loro come prima, anzi ci non convenne, affinch si persuadessero che il suo nuovo stato non era pi quello di prima. 4. Essendo la Risurrezione una cosa divina doveva essere manifestata nello stesso modo con cui vengono rivelate le verit divine e cio secondo le disposizioni di animo delle persone; perci ai ben disposti apparve nelle sue sembianze e ai tiepidi nella fede, come i discepoli di Emmaus, apparve nelle sembianze di un altro. 5. Dovendo Ges provare, con argomenti, agli Apostoli la verit della sua Risurrezione, lo fece anzitutto collautorit della Scrittura, che il fondamento della Fede, e poi con segni evidenti della sua vera risurrezione, affinch il loro cuore per lautorit della Scrittura fosse preparato a crederla e per i segni evidenti diventasse poi fervente a predicarla; i ragionamenti erano inutili perch o

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non erano capiti se cominciavano con verit superiori, o non potevano concludere alla verit della Risurrezione, che una verit superiore, se cominciavano con verit comuni. 6. Gli argomenti poi adoperati da Cristo erano sufficienti a dimostrare la verit della sua Risurrezione, perch largomento di autorit era ineccepibile, consistendo nella testimonianza degli Angeli e della Scrittura, e largomento di fatto era irrefragabile sia da parte del corpo che egli mostr essere vero corpo, corpo umano e quello stesso di prima, sia da parte dellanima di cui rese manifeste le tre facolt cio la vegetativa, la sensitiva e lintellettiva; mostr anche la gloria della risurrezione entrando nel cenacolo a porte chiuse.

Quest. 56. A chi si deve la Risurrezione. 1. Il Verbo di Dio, che causa della vivificazione nostra, oper per prima la Risurrezione del corpo che gli era naturalmente unito e perci pi vicino, perch la risurrezione di Cristo doveva essere la causa della risurrezione dei nostri corpi, causa efficiente, non principale, ma strumentale, e causa esemplare: 2. ed non solo causa efficiente ed esemplare della risurrezione dei corpi, ma anche delle anime nostre, affinch come i corpi vi sono per lanima, cos le anime vivano per la grazia.

Quest. 57. Ascensione di Cristo. 1. Colla Risurrezione Cristo inizi una vita incorruttibile e immortale; a essa spettava un luogo proporzionato, che non poteva essere la terra, convenne quindi che Ges dopo la risurrezione ascendesse al cielo; con ci per se fu sottratta ai fedeli

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la presenza della sua umanit, non fu loro sottratta la presenza della sua divinit. 2. Ascendere al cielo lasciando la terra poteva Ges Cristo come uomo, ma non come Dio, che dappertutto; ma ascendere dalla terra al cielo poteva Ges Cristo per virt divina, e non per virt umana; nellAscensione quindi la nuova condizione della natura umana e la causalit efficiente della natura divina. 3. Vi ascese per Ges Cristo per virt sua propria precisamente prima per virt divina e poi per virt dellanima glorificata dallunione del Verbo, non per per virt naturale dellanima umana. 4. Cristo ascese nella parte pi eccelsa del cielo, perch il suo corpo il corpo pi glorioso di tutti, quello che pi da vicino partecipa della divinit. 5. Anzi, poich il corpo di Cristo, se per la condizione naturale inferiore alle sostanze angeliche, per a loro superiore per la dignit dellunione ipostatica, in cielo sal anche al di sopra degli Angeli. 6. Lascensione di Cristo causa per noi di salvezza, per essa infatti lanima nostra attirata in cielo, e Cristo ce ne aperse la porta, vi entr come il Sommo Sacerdote nel Sancta Sanctorum e di l ci manda i suoi doni divini.

Quest. 58. Cristo alla destra del Padre. 1. La parola sedere significa riposare e anche fare da Giudice; a Cristo conviene in ambidue questi sensi sedere alla destra del Padre, perch col Padre beato e col Padre regna su in cielo. 2. come Dio che Cristo siede alla destra del Padre, perch ci significa avere la stessa gloria, la stessa potest del Padre e la frase alla destra non indica distinzione di potesti, di beatitudine e di gloria, ma soltanto distinzione della Persona del Figlio dalla Persona del Padre.

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3. Cristo siede alla destra del Padre anche come uomo, ma ci gli compete essenzialmente non in quanto uomo, ma in quanto Dio; gli compete per la grazia di unione, non per per ragione dellumana natura, ma per ragione della divina persona cui ipostaticamente unita la natura umana; gli compete anche per la grazia abituale, che in Cristo abbondante pi che in tutte le altre creature, e che perci la costituisce in beatitudine e potere superiore a tutte le altre creature. Quindi Cristo siede alla destra del Padre anche come uomo, non perch uomo, sibbene perch persona divina anche nella natura umana; ovvero siede anche come uomo e in quanto uomo, ma ci per la graziaabituale. 4. Se Cristo quindi siede alla destra del Padre, eguale al Padre nella divinit; perch poi possiede la grazia in grado superiore a tutte le altre creature, sedere alla destra del Padre cosa esclusiva di Cristo.

Quest. 59. Potere giudiziario di Cristo. 1. Allesercizio del potere giudiziario occorrono tre cose: autorit, rettitudine e sapienza; la sapienza poi quella che d forma al giudizio, il quale viene chiamato legge della sapienza: essendo Cristo la sapienza eterna, la verit che dal Padre procede e il Messo del Padre in terra, a Cristo spetta in modo particolare il potere giudiziario. 2. Il potere giudiziario compete a Cristo come uomo, perch Egli il capo di tutta la Chiesa; tale poterepoi gli conviene, 1. perch Egli fra Dio e gli uomini, essendo lUomo-Dio; 2. perch Egli sar un giorno la Risurrezione di tutti; 3. perch tutti, anche i cattivi, dovendo averlo per Giudice, devono poterlo vedere. 3. Come la gloria del corpo, cos anche il potere giudiziario compete a Cristo, perch Persona divina; perch ha dignit di capo; perch possiede la pienezza della grazia; ma anche perch lo merit colla Passione.

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4. Tutte le cose del mondo sotto soggette al potere giudiziario di Cristo non solo come Dio, ma anche come uomo, perch per lunione ipostatica lanima sua piena della verit del Verbo; perch ci Egli merit colla morte; perch tutte le cose sono ordinate al fine della eterna salute per il quale si fa il Giudizio. 5. Dopo il Giudizio del tempo presente resta a farsi il Giudizio finale, ci perch di ogni cosa mutabile non si pu formare un giudizio perfetto, se non quando totalmente compita, e come le azioni vanno considerate in s e negli effetti, cos la vita delluomo, bench colla morte finisca il suo tempo, tuttavia resta nella memoria, nei figli, nei suoi effetti, nella tomba e nelle cose che formavano loggetto degli affetti; e di queste cose non si pu fare completo giudizio se non quando il mondo totalmente finisce. 6. Anche gli Angeli sono soggetti al potere giudiziario di Cristo non solo come Dio, ma anche come uomo, perch la natura umana assunta dal Verbo a Dio pi vicina degli Angeli; perch Cristo per la Passione fu esaltato sopra gli Angeli; e perch gli Angeli hanno una missione relativamente agli uomini dei quali Cristo il capo; Cristo poi giudice degli Angeli quanto alle loro opere, quanto ai loro doni accidentali e anche quanto allessenziale premio degli Angeli buoni e allessenziale pena degli Angeli cattivi, giudicati gi in principio dal Verbo.

Quest. 60. I Sacramenti. 1. Come per analogia diciamo sano non solo luomo, ma anche la medicina o la dieta che tale lo fanno, cos diciamo sacramento non solo ci che ha in s una santit, ma anche ci che ha ordine alla santit, quali la causa e il segno, e precisamente nel senso di segno adoperiamo ora la parola Sacramento.

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2. Se adunque Sacramento significa Sacro Segno, segno per disposto per gli uomini affinch da una cosa nota apprendano una cosa ignota, Sacramento ogni segno di cosa sacra per la santificazione degli uomini. 3. Nella santificazione degli uomini si deve considerare la causa, che la Passione di Cristo, la forma che la grazia e il fine che la eterna beatitudine, perci ogni Sacramento un segno triplice, cio rememorativo, dimostrativo e prenunziativo. 4. Essendo naturale alluomo conoscere le cose intelligibili per mezzo delle cose sensibili, il Sacramento, segno per gli uomini di cose spirituali oggetto dellintelligenza, doveva essere ed un segno sensibile. 5. I Sacramenti non sono soltanto atti di culto, lala cui istituzione pu competere agli uomini, ma sonoanche mezzi per santificare gli uomini, la cui istituzione compete solamente a Dio, perci i Sacramenti consistono in cose determinate per divina istituzione; 6. alle cose poi dovevano unirsi anche delle parole nella istituzione dei Sacramenti, e ci per tre ordini di ragione: I. perch devono conformarsi al Verbo, che ne la causa e che lEterna Parola del Padre; II. perch devono conformarsi alluomo, di cui sono medicina spirituale, e che consta di anima e di corpo cio di forma e di materia; III. perch devono conformarsi alla loro natura, che di essere segno sacramentale e che non riesce tale se non quando alla materia si uniscono le parole come forma, altrimenti il segno resta indeterminato, infatti un bagno di acqua, per es. pu servire tanto per lavarsi che per refrigerarsi. 7. E poich le parole nel Sacramento sono la forma, la quale sempre principio di determinazione, se nei Sacramenti dovevano essere determinate le cose, tanto pi dovevano essere determinate le parole; 8. a queste parole poi, che sono la forma dei Sacramenti, nulla si pu aggiungere e nulla si pu togliere quan-

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do colla mutazione che si introduce si mira a cosadiversa da quella che intende la Chiesa, ovvero si altera il senso sostanziale.

Quest. 61. Necessit dei Sacramenti. 1. Alla salvezza dellanima i Sacramenti sono necessari, perch con essi luomo viene istruito per mezzo di cose sensibili; viene umiliato, conoscendosi soggetto alle cose corporali e viene preservato da azioni cattive con esercizi salutari. 2. Nello stato di innocenza luomo non abbisognava di Sacramenti, perch essi sono medicina del peccato ed allora non cerano peccati da guarire. 3. Poich nessuno pu essere santificato dopo il peccato se non per mezzo di Cristo, fu necessario che anche prima della sua venuta ci fossero segni di protestazione della fede nel Messia venturo, e perci anche prima di Cristo dovevano essere istituiti Sacramenti; 4. e per la stessa ragione dovevano esserci Sacramenti dopo Cristo, quali segni di protestazione della fede nel Messia venuto.

Quest. 62. Effetto principale dei Sacramenti. 1. I sacramenti sono causa efficiente della grazia, non certo causa principale, perch questa Dio, bens per causa strumentale. 2. La grazia fa partecipi di una qualche somiglianza dellessenza divina; come poi dallessenza dellanima derivano le potenze, cos dallessenza della grazia derivano alle potenze dellanima alcune perfezioni che si dicono doni e virt; e poich i Sacramenti sono ordinati a effetti speciali nella vita cristiana, perci la grazia sacramentale importa sopra lei grazia comune uno speciale aiuto divino a conseguire il fine del Sacramento.

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3. I Sacramenti della nuova Legge contengono la grazia, perch ne sono causa efficiente, bench strumentale; ed appunto perch ne sono causa istrumentale la contengono in modo transitorio e incompleto e non gi come causa univoca e con forma propria e permanente della grazia, infatti essi ne sono strumento egli strumenti agiscono solo quando sono adoperati ed agiscono secondo linflusso dellagente principale. 4. Del resto come ogni strumento ha anche unazione propria, proporzionata alla sua natura, cos pure i Sacramenti hanno unazione propria strumentale, che si esplica quando si compie lazione dellagente principale e perci non da dirsi che i Sacramenti abbiano soltanto unazione concomitante. 5. Relativamente allagente principale lo strumento pu essere separato, come il bastone, ovvero congiunto, come la mano; orbene, relativamente a Dio, causa principale della grazia, i Sacramenti sono strumento separato, invece la Passione di Cristo lo strumento congiunto, perch leffetto della Passione che mediante il Sacramento viene trasmesso allanimanostra. 6. Per il che i Sacramenti della Legge vecchia non potevano trasmettere la grazia, perch di questa causa efficiente, meritoria e soddisfattoria la Passione di Cristo e allora questa non si era ancora compiuta, perci potevano soltanto procurare la grazia per mezzo della Fede che essi significavano.

Quest. 63. Il carattere. 1. I Sacramenti sono ordinati a due fini, sono cio di rimedio al peccato e di perfezione allanima in ordine al divin culto; e poich luso porta che chi viene deputato a un ufficio ne riceva un contrassegno, il quale per i soldati veniva stampato con caratteri sul corpo, perci anche i cristiani venendo deputati per effetto dei Sacramenti a uffici spirituali ne ricevo-

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no il contrassegno, cio un segno spirituale che si chiama carattere. 2. Essendo un segno spirituale una cosa dellanima; nellanima distinguiamo la passione, labito e la potenza: il carattere per non pu essere passione, perch questa presto passa; non pu essere abito, perch questo una disposizione stabile o al bene o al male, mentre del carattere si pu servirsi ora per il bene, ora per il male; resta quindi che il carattere sia potenza cio un potere spirituale. 3. Per il carattere i fedeli vengono deputati a dare o a ricevere ci che riguarda il culto di Dio; vengono cos configurati al sacerdozio di Cristo e perci il carattere un segno di Cristo. 4. Il culto divino, cui i fedeli vengono deputati per il carattere, consiste in atti, gli atti provengono dalle potenze, perci nelle potenze dellanima che si imprime il carattere. 5. Il carattere indelebile sia perch partecipazione al sacerdozio di Cristo che sacerdozio eterno; sia perch si imprime nelle potenze spirituali dellanima, che sono incorruttibili. 6. I Sacramenti che abilitano luomo a qualche ulteriore potere di dare o di ricevere in ordine al culto divino sono il battesimo, che la porta dei Sacramenti, la cresima, che del battesimo la confermazione e lordine, che rende ministri del culto; perci Sacramenti che imprimono il carattere sono soltanto il Battesimo, la Cresima e lOrdine Sacro.

Quest. 64. La causalit nei Sacramenti. 1. Loperazione interna della santificazione non pu competere che a Dio, se si considera lagente principale; ma se si considera lagente strumentale pu competere anche agli uomini

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quali ministri, perch il ministro non che lo strumento in mano di Dio. 2. E poich lo strumento deriva il suo effetto dallagente principale, e questi non pu essere che Dio, si deve conchiudere che Dio solo pu istituire i Sacramenti. 3. Cristo medesimo aveva il potere di operare leffetto interno dei Sacramenti, cio la santificazione, non come uomo, ma come Dio, perch quel potere un potere divino e il potere divino Cristo lo aveva non come uomo, ma come Dio; esso, come uomo, aveva per la sua Passione e Morte soltanto un potere strumentale, di strumento per congiunto, come sarebbe la mano, e perci di eccellenza e non soltanto di strumento separato, come sarebbe il bastone che si tiene in mano. 4. Perci Cristo tale potere di autorit, proprio dellessenza divina, non poteva comunicarlo, come non pu comunicare la essenza divina; poteva per comunicare ad altri il potere strumentale di eccellenza, in modo che potessero istituire Sacramenti, e produrne leffetto, cio la grazia, senza far uso di essi; ci perch il potere di eccellenza competeva a Lui come uomo; poteva, ma non lo fece. 5. Poich i ministri nei Sacramenti hanno una azione soltanto strumentale, non viene impedito leffetto del Sacramento ancorch il ministro sia cattivo, perch anche un medico pu ridonare la salute bench abbia malato il suo corpo, strumento della sua anima nellesercizio della scienza medica. 6. I ministri per devono conformarsi a Dio, e perci se uno funge da ministro della Chiesa ed amministra i Sacramenti in stato di peccato commette peccato. Amministrare il battesimo in caso di necessit non fungere da ministro della Chiesa, ma sovvenire allaltrui necessit. 7. La virt santificatrice dei Sacramenti derivata dalla Passione che Cristo sub come uomo, a Lui quindi nel

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suo Sacerdozio possono conformarsi gli uomini, ma non possono conformarsi gli Angeli che sono puri spiriti, perci gli Angeli non sono ministri dei Sacramenti. Dio per non ha legata lazione sua santificatrice esclusivamente ai Sacramenti; pu santificare anche fuori di quelli e farne nunzi gli Angeli. 8. Nei Sacramenti occorre lintenzione, della quale le parole sono la manifestazione, perch cos solo leffetto sacramentale determinato, altrimenti ambiguo; cos per es. il bagno, per s, pu servire tanto per pulizia che per refrigerio; 9. non occorre invece la fede nel ministro del Sacramento, perch la sua unazione soltanto strumentale e perci, come non importa che sia buono o cattivo, cos non importa che abbia fede o no. 10. Altrettanto non occorre che il ministro abbia retta intenzione nel conferire il Sacramento, purch per lintenzione perversa non intacchi la stessa azione sacramentale per annullarla (come sarebbe battezzare per scherzare), ma si riferisca solo a effetti conseguenti il Sacramento, come sarebbe il consacrare onde servirsi del Sacramento nelle stregonerie.

Quest. 65. Numero dei Sacramenti 1. I Sacramenti sono ordinati a 2 fini: a rimedio cio del peccato e a perfezione dellanima nella vita spirituale. Quanto alla vita spirituale essa si conforma alla vita corporale: come nella vita corporale luomo nel riguardo individuale nasce, cresce, si nutrisce e, se ammalato, guarisce e anche si libera da tutti i residui della malattia, e nel riguardo sociale, si abilita al governo degli altri e divien atto alla naturale propagazione della specie, cos e di conformit nella vita spirituale ci sono prima i cinque sacramenti di ordine individuale: Battesimo, Cresima, Eucarestia, Penitenza e Olio Santo, poi gli altri due, cio Ordine Sacro e Matri-

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monio, di ordine sociale. Quanto al peccato pu esserci bisogno di rimedio o nella mancanza della vita spirituale, o nella debolezza dellanimo, o nella sua fragilit, o in una recente caduta, o nei residui delle cadute e questo diordine individuale; ovvero nella dissoluzione della moltitudine, o nella sua quotidiana deficienza e questo nellordine sociale; a tutto ci sono ordinati rispettivamente prima i primi cinque Sacramenti, poi gli altri due. Perci sette sono i Sacramenti della Chiesa. 2. Da ci poi apparisce chiaramente non soltanto che il loro numero sette, ma anche che la loro disposizione ordinata e razionale. 3. Il massimo dei Sacramenti lEucarestia; 1. perch esso contiene lautore stesso dei Sacramenti; 2. perch a esso hanno ordine i Sacramenti tutti, ed esso ne il centro; 3. perch in esso quasi si completano gli altri Sacramenti; cos per es. dopo lOrdine Sacro si riceve la Comunione. 4. Una cosa pu essere necessaria, quale mezzo senza di cui non si pu conseguire il fine e questa si dice necessit di mezzo; ovvero necessaria quale mezzo utile o prescritto per meglio conseguire il fine e questa si dice necessit di precetto. Necessari di necessit di mezzo sono soltanto: il Battesimo per tutti, la Penitenza per chi ha peccati attuali e lOrdine per la Chiesa; gli altri Sacramenti sono necessari di necessit di precetto.

Quest. 66. Il Battesimo. 1. Il Battesimo come segno consiste nellabluzione; come cosa significata consiste nella santificazione; come cosa significata e segno insieme consiste nel carattere. 2. Il Battesimo fu istituito prima della Passione, cio nel Battesimo di Cristo, ma la sua necessit fu promulgata dopo la Risurrezione.

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3. Per istituzione divina la materia propria del Battesimo lacqua, ed essa convenientemente significala nostra rigenerazione e anche il nostro con seppellimento in Cristo. 4. Qualunque acqua poi, per quanto artificialmente o naturalmente tramutata, purch per conservi la sua specie di acqua, serve al Battesimo. 5. Le parole: io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, giustamente costituiscono la forma del Battesimo, perch con esse si esprime la Causa Principale del Battesimo, cio la Trinit e anche la causa strumentale, cio chi lamministra. 6. Il Battesimo ha valore dalla istituzione di Cristo, Cristo lha istituito colla forma: io ti battezzo nel nome della Trinit, perci qualunque forma diversa, anche la forma: io ti battezzo nel nome di Cristo: non serve al Battesimo. 7. Luso invece dellacqua sta nellabluzione e perci in qualunque modo labluzione si effettui, sia per infusione, sia per aspersione, sia per immersione, serve al Battesimo e non di esclusiva necessit limmersione. 8. Al Battesimo assolutamente necessaria labluzione dellacqua; quanto invece al modo di compiere labluzione non vi altrettanta necessit, quindi una abluzione necessaria per la validit del Sacramento e labluzione trina non di necessit, ma di prescrizione dellautorit della Chiesa. 9. Il Battesimo non si pu ripetere, I. perch esso la rigenerazione spirituale e come si nasce una sol volta alla vita del corpo, cos una sol volta si rinasce alla vita dello spirito; II. perch esso configurazione nostra alla morte di Cristo, e Cristo mor una volta sola; III. perch esso direttamente istituito per cancellare il peccato originale e questo si contrae una volta sola; IV. perch esso imprime il carattere e questo un segno che una volta impresso nellanima vi resta per sempre, perch indelebile.

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10. Il rito della Chiesa nel battezzare contiene, oltre a ci che di necessit, anche cose che sono di solennit e queste vi furono introdotte opportunamente, perch conciliano rispetto al Sacramento; sono di istruzione e di edificazione ai fedeli; e accrescono la grazia sacramentale al battezzato col tenerne lontano il diavolo mediante gli esorcismi. 11. Il Battesimo ha efficacia dalla Passione di Cristo e pi remotamente dalla virt dello Spirito Santo, perci non solo c il Battesimo di acqua che ci configura alla Passione di Cristo, ma c anche il Battesimo disangue che ci conforma alla morte di Cristo e c pure il Battesimo di desiderio per cui il nostro cuore direttamente sotto lazione e la virt dello Spirito Santo; il Battesimo quindi di tre specie; 12. e il Battesimo pi grande il Battesimo di sangue, perch in quello converge larghissimamente lefficacia della Passione di Cristo e la virt dello Spirito Santo, che danno valore al Battesimo.

Quest. 67. Ministri del Battesimo. 1. Al Diacono non appartiene per s lufficio di battezzare, perch lufficio del Diacono, come dice il suo nome, ufficio di inserviente. 2. Il Sacerdote invece, al quale spetta consecrare il corpo di Cristo, che il Sacramento dellecclesiastica unit, ha lufficio di battezzare per rendere gli altri partecipi dellecclesiastica unit. 3. Siccome per il Sacramento del Battesimo il pi necessario di tutti, affinch nessuno possa restarne privo, la misericordia divina ha disposto che ne sia materia una cosa comune, cio lacqua, e che ne possa essere ministro anche uno non ordinato, quando c il caso di necessit. 4. E poich il ministro principale sempre Cristo e in Cristo non c distinzione fra uomo e donna, in caso

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di necessit pu battezzare anche una donna, quando non sia possibile o conveniente il ministero di un uomo. 5. Ed appunto perch il ministro principale del Battesimo Cristo e nel caso di necessit qualunque uomo pu battezzare, anche uno non battezzato pu battezzare. 6. Se due battezzassero contemporaneamente una stessa persona senza mutare le parole e senza deformare colla propria intenzione lintenzione della Chiesa si avrebbe una unica azione e con ci un unico Battesimo, come prescrive lApostolo; ma sarebbe unazione disordinata. 7. Come i bambini appena nati abbisognano della nutrice, cos quelli che rinascono per il Battesimo hanno bisogno del Padrino, che faccia loro da nutrice nella vita spirituale. 8. Il Padrino per non obbligato a prestare listruzione cristiana a chi ha tenuto al sacro fonte, senon nel caso che non gli sia altrimenti prestata.

Quest. 68. I battezzandi. 1. Nessuno pu salvarsi se non in Cristo e nessuno pu diventare membro di Cristo se non per mezzo del Battesimo, tutti quindi sono tenuti a ricevere il Battesimo; 2. e nessuno pu salvarsi senza Battesimo, per bisogna distinguere il Battesimo reale e il desiderio del Battesimo; un adulto che privo delluno e dellaltro non pu salvarsi, perch non incorporato a Cristo n sacramentalmente, n mentalmente; ma chi ha il desiderio del Battesimo e muore senza potersi battezzare pu salvarsi, perch allora il Battesimo di desiderio supplisce il Battesimo di acqua. 3. Il Battesimo non si deve differire coi bambini, perch lunico mezzo di provvedere alleterna loro salute; cogli adulti poi, nei quali il Battesimo di desiderio pu supplire il Battesimo di acqua, parrebbe che si dovesse differire il Battesimo per la garanzia della Chiesa, per la loro

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istruzione e per il rispetto al Sacramento; ma non conviene farlo se sono sufficientemente apparecchiati per prevenire qualunque pericolo di morte. 4. Quanto ai peccatori, se uno si dice peccatore per i suoi trascorsi, gli si deve dare il Battesimo che appunto istituito per mondarvelo; se invece uno si dice peccatore per lattuale volont pervicace nel male non gli si pu dare il Battesimo, perch tale volont cattivagli impedisce di unirsi a Cristo, perci il Battesimo sarebbe amministrato invano e anche sarebbe un rito irrisorio, perch labluzione esterna non potrebbe indicare labluzione interna dellanima. 5. Chi viene battezzato viene conseppellito nella morte di Cristo, che ha soddisfatto per i peccati di tutto il mondo, a chi si battezza quindi non si deve imporre nessuna penitenza. 6. La Confessione dei peccati va distinta in confessione interna che si fa a Dio, e in confessione esterna, che si fa al Sacerdote, e questa necessaria pel Sacramento della Penitenza; ma siccome chi non ha ricevuto il Battesimo non pu ricevere il Sacramento della Penitenza, perci questa confessione esterna per chi ha da battezzarsi non solo non necessaria, ma non nemmeno possibile, quale parte integrante della Penitenza; per lui quindi sufficiente la confessione generale contenuta nelle rinunzie del Battesimo. 7. Poich pel Battesimo si muore alla vita di peccato per iniziare la vita nuova della grazia, al che occorre, in chi ha luso della ragione, un atto positivo di volont, perci occorre nel battezzando lintenzione di ricevere il Battesimo, che della vita nuova della grazia il principio. 8. Nel Battesimo per ricevere la grazia necessaria la Fede, perch essa via alla giustificazione, invece per ricevere il carattere non necessaria la Fede n nel battezzando, n nel battezzante, perch leffetto del Sacramento dipende, non da loro, ma da Dio.

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9. Si devono battezzare anche i bambini, perch il Battesimo cancella il peccato originale e il peccato originale lo hanno anche i bambini. 10. Tuttavia i bambini degli infedeli, se non hanno ancora raggiunto luso della ragione, non si possono battezzare contro la volont dei genitori, perch la natura li ha affidati alle loro cure e perci si farebbe contro il diritto naturale; se invece hanno raggiunto luso della ragione, si possono indurre ed ammettere al Battesimo, perch nelle cose dellanima sono gi padroni di s. 11. I bambini che sono ancora nel grembo materno non si possono battezzare, se non possono in qualche modo ricevere labluzione. Non si deve uccidere la madre per battezzare il fanciullo, se invece la madre gi morta si pu operare per battezzare il fanciullo. 12. I pazzi e gli scemi, che tali sono fin dalla nascita, sono nella condizione dei bambini e perci, come i bambini, si devono battezzare; quelli invece che tali divennero dopo luso della ragione non si possono battezzare se prima o nei lucidi intervalli non ebbero volont di ricevere il Battesimo.

Quest. 69. Effetti del Battesimo. 1. Per il Battesimo luomo muore alla vita vecchia del peccato e comincia la vita della grazia, perci il Battesimo cancella tutti i precedenti peccati, che costituiscono la vitavecchia. 2. Per il Battesimo si incorporati a Cristo e si fatti partecipi della sua Passione che soddisfece peri peccati di tutto il mondo, perci il Battesimo libera da ogni reato di pena dovuta ai peccati. 3. Il Battesimo ha anche la virt di liberarci dalle penalit della vita presente, questo per esso non lo opera se non per i giusti nella risurrezione dei morti: ci perch anche Cristo, cui si incorporati per il Battesimo, le

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ha sopportate nella presente vita; esse poi servono di spirituale esercizio e fanno si che il Battesimo si cerchi non per linteresse terreno, ma per la vitaeterna. 4. Il Battesimo che ci incorpora a Cristo ci rende membri di Cristo, e perci, come dal capo alle membra, cos da Cristo a noi vien derivata col Battesimo la pienezza della grazia e delle virt. 5. Di tutto ci poi la Scrittura vuole che qualcosa sia messo in evidenza e precisamente che si incorporati a Cristo; che lintelletto viene illuminato dalla sua verit; e che la volont viene fecondata di bene dalla grazia. 6. Anche i bambini per il Battesimo divengono membra di Cristo, perci anche i bambini conseguiscono la grazia e le virt, bisogna per distinguere fra atto e abito: essi hanno la grazia e le virt in abito; ma quanto allatto ne sono impediti per limpedimento del corpo, come del resto avviene anche in chi di noi dorme. 7. Il Battesimo cancella ogni reato di colpa e di pena, esso perci apre la porta del regno dei cieli. 8. Nel Battesimo leffetto di rigenerazione eguale per tutti; leffetto della grazia che sta nella carit, per gli adulti si proporziona al loro fervore; leffetto infine dei doni particolari si proporziona solo al volere della divina Provvidenza. 9. Poich nei battezzandi adulti occorre la volont di ricevere il Battesimo, uno che finge la volont di ricevere il Battesimo, come sarebbe o se non crede, o se disprezza il Sacramento, o se cambia il rito, o se lo compie senza devozione, uno che non ha la vera volont e non ne riceve perci leffetto della grazia; 10. questo effetto per soltanto tenuto sospeso dalla finzione della volont; rimosso limpedimento per mezzo della penitenza il Battesimo conseguisce il suo effetto.

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Quest. 70. La circoncisione. 1. Nel Battesimo c una specie di professione della fede; una medesima la fede nostra e quella dei patriarchi e per loro cera una specie di protestazione della fede nella circoncisione; la circoncisione perci fu figura e preparazione del Battesimo. 2. Opportunamente la circoncisione, che protestazione di fede e aggregazione ai fedeli, fu istituita da Dio con Abramo, perch Abramo per primo fu da Dio segregato dagli infedeli; 3. ed anche il rito della circoncisione, quale era, fu opportunamente istituito, perch fu dato ad Abramo, da cui doveva nascere il Messia, e stabilito in rimedio del peccato originale, che si trasmette colla naturalegenerazione. 4. Anche nella circoncisione veniva conferita la grazia per tutti gli effetti di essa, con questa differenza per, che il Battesimo la conferisce per virt sua come strumento della Passione di Cristo gi compita, invece la circoncisione conferiva la grazia in virt della Fede nella Passione di Cristo da compiersi; maggiore quindi la grazia del Battesimo come la realt maggiore della speranza; inoltre il Battesimo imprime il carattere e la circoncisione non lo imprimeva. Gli adulti poi venivano liberati dai reati di colpa, ma non da ogni reato di pena.

Quest. 71. Rito precedente latto del Battesimo. 1. Nel Battesimo c una specie di professione della Fede, per fare la quale, per, necessario essere istruiti nella fede; ecco quindi perch il primo atto del rito del Battesimo costituito dal Catechismo; 2. e vengon dopo subito gli esorcismi per cacciare gli impedimenti al Battesimo e sopratutto il diavolo che tiene luomo in sua potest; seguono poi e la benedizione per impedire il ritorno al diavolo e le altre cerimonie per

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far accettare e approvare la dottrina della fede e infine lunzione per rendere atti a combattere il diavolo. 3. Gli esorcismi non sono semplici segni, ma sono cerimonie efficaci, che rimuovono gli impedimenti intrinseci ed estrinseci posti dal diavolo. 4. Poich il ministro del Battesimo il Sacerdote, spetta al Sacerdote il rito del Catechismo e degli esorcismi.

. 72. La Confermazione. 1. La Confermazione per rendere perfetti cristiani, cio per dare perfezione in quella vita spirituale, di cui il Battesimo rigenerazione; la Confermazione quindi ha uno speciale effetto di grazia e perci uno speciale Sacramento. 2. Conveniente materia di questo Sacramento il Crisma, perch composto di olio e di balsamo e significa cos i due effetti di questo Sacramento cio la pienezza dello Spirito Santo e il buon odore di Cristo, cio delle virt. 3. Non essendo lolio una di quelle materie che Cristo santific col farne Egli uso, e che sono lacqua del Battesimo e il pane dellEucarestia, il Crisma deve essere prima benedetto da chi il ministro ordinario della Cresima; e questo va pur detto dellOlio Santo. 4. Le parole: Io li segno col segno della Croce, e ti confermo col Crisma della salute nel nome ecc., sono conveniente forma della Cresima, perch, come deve fare la forma, determinano il Sacramento nella sua specie in quanto nominano la Trinit, quale causa della piena forza spirituale; designano leffetto del Sacramento, cio la forza, dicendo: ti confermo; ed esprimono lufficio a cui elevano, quasi dando le insegne del soldato, col dire: ti segno. 5. Il carattere una spirituale potest; come nel Battesimo si riceve il potere della vita spirituale, cos nella Cresima si riceve il potere della pugna spirituale e

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perci come il Battesimo imprime il carattere, cos anche la Cresima imprime il carattere. 6. Come non si pu diventare perfetti uomini se prima non si nasce, cos non si pu diventare perfetti cristiani se prima non si cristiani, perci il carattere della Cresima presuppone il carattere del Battesimo ese non si ha il Battesimo non si pu ricevere la Cresima. 7. Il Sacramento della Cresima conferisce lo Spirito Santo a fortezza; il conferimento poi dello Spirito Santo nullaltro se non la grazia santificante e perci la Cresima conferisce la grazia santificante. 8. Come intenzione della natura che ognuno che nasce divenga uomo perfetto, cos e pi di cos intenzione di Dio che ognuno che nasce spiritualmente divenga anche spiritualmente perfetto, perci il Sacramento della Cresima per tutti. 9. La Cresima conferisce la forza per la pugna spirituale; convenientemente perci questo Sacramento si conferisce in fronte, sia perch il cristiano come soldato deve portare la sua insegna manifesta, cio in fronte, sia per tenere lontano la vergogna e il timore, che fanno schivare la pugna, e che si manifestano in fronte. 10. Come il neonato ha bisogno della nutrice, cos il soldato novello ha bisogno dellistruttore, perci come occorre il padrino nel Battesimo, cos anche per la Cresima occorre il padrino. 11. Poich dare la perfezione ad unopera spetta al supremo artefice, perci rendere perfetti cristiani spetta a quelli che hanno la somma potest nella Chiesa; ecco perch riservato ai Vescovi conferire il Sacramento della Cresima. 12. Il rito della cresima stabilito dalla Chiesa che governata dallo Spirito Santo, esso quindi deve ritenersi conveniente.

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Quest. 73. LEucarestia. 1. Come nella vita corporale oltre al nascere e al crescere occorre il quotidiano alimento, cos nella vita spirituale oltre al Battesimo e la Cresima occorre un Sacramento che sia alimento spirituale; tale lEucarestia, essa quindi un Sacramento. 2. In questo Sacramento due sono le specie, cio il pane ed il vino, luno per cibo, laltro per bevanda, ma poich colluno e collaltro si forma un unico e completo alimento, perci nellEucarestia sono date le specie sacramentali; ma uno solo il Sacramento, perch uno si dice anche ci che completo nella sua unit e perfezione. 3. NellEucarestia la cosa significata lunione al corpo mistico di Cristo, fuori della quale non c salute, ma come nel Battesimo leffetto del Sacramento si pu conseguire anche col desiderio del Battesimo, quando il Battesimo non possibile, cos nellEucarestia leffetto del Sacramento si pu conseguire anche col suo desiderio; mentre per senza il Battesimo la vita spirituale non nemmeno iniziata, senza lEucarestia, invece, pu essere gi iniziata e anche resa perfetta; perci lEucarestia bens necessaria quanto il Battesimo da parte della cosa significata, ma non necessaria quanto il Battesimo da parte del Sacramento ossia del segno. 4. LEucarestia, che in s significa buona grazia , in commemorazione del passato si chiama sacrificio; in riguardo del presente si chiama comunione, e in significazione del futuro si chiama viatico; e questi diversi nomi le convengono tutti. 5. Sapientemente listituzione dellEucarestia fu fatta nellultima Cena: 1. perch era il migliore ricordo che Cristo potesse dare ai suoi apostoli lasciandoli; 2. perch era la pi parlante memoria della sua prossima Passione, fuori della quale non c salute; 3. perch fu la miglior maniera di rendere caro e venerato questo Sacramento istituendolo negli ultimi momenti passati cogli Apostoli.

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6. Molte furono nella Vecchia Legge le figure dellEucarestia, a cominciare da Melchisedecco; ma la principale figura dellEucarestia fu lAgnello Pasquale, perch anche Ges, innocentissimo come lAgnello, fu come lAgnello immolato ed il suo sangue fu la salvezza del suo popolo.

Quest. 74. Materia dellEucarestia. 1. La materia dellEucarestia il pane e il vino, perch pane e vino adoper Ges Cristo nellistituirla e furono convenientemente scelti, perch in riguardo nostro il pane e il vino formano lalimento comune degli uomini; nei riguardi della Passione di Cristo rappresentano la separazione del sangue dal corpo avvenuta in Lui alla morte; e nei riguardi della Chiesa mostrano che in essa, i diversi fedeli formano ununit come il pane il risultato di diversi grani di frumento e il vino si forma coi molti acini di uva. 2. Bench sia determinata la materia dellEucaristia, non ne per fissata la quantit; questa deve essere regolata dalla partecipazione allEucaristia che ne faranno i fedeli, perch fine di questo Sacramento ne luso da parte dei fedeli. 3. Il pane per, quale materia di questo Sacramento, deve essere di frumento e non di altri cereali; Cristo infatti: 1. consecr in pane di frumento; 2. alludendo alla sua morte, di cui lEucaristia commemorazione, si paragon a grano di frumento cadente in terra; 3. voleva indicare con tale pane, che il pi nutritivo, leffetto di questo Sacramento. 4. Quanto alla sostanza tanto vale il pane lievitato che il pane azimo; il rito latino tiene il pane azimo, perch Cristo istitu lEucaristia nel primo giorno degli azimi; meglio esso si conf a divenire il corpo di Cristo, dal quale fu lungi ogni corruzione; meglio essosi conf anche ai fedeli, perch esprime la sincerit di cui devono essere adorni nel parteciparne.

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5. Parimenti soltanto il vino di vite materia propria di questo Sacramento, perch in vino di viteche Cristo consacr; esso poi bene esprime leffetto di questo Sacramento, che la spirituale letizia. 6. Per grave precetto della Chiesa bisogna unire al vino da consacrare un po di acqua, non solo perch cos fece Cristo nellistituzione dellEucaristia, ma anche perch ci meglio riferibile alla morte di Cristo nella quale usc dal suo cuore acqua e sangue e anche perch significa lunione del popolo a Cristo nellEucaristia; 7. questi per sono effetti del Sacramento, ma non costituiscono lessenza del Sacramento, perci lacqua necessaria alla liceit della consecrazione, ma non necessaria alla validit del Sacramento. 8. Che se dunque la materia strettamente necessaria alla validit del Sacramento il vino, lacqua che vi si deve unire deve essere poca per non alterare la natura del vino.

Quest. 75. La transustanziazione. 1. Che nellEucaristia ci sia il vero corpo e sangue di Cristo non si pu percepire per mezzo dei sensi e nemmeno per mezzo dellintelletto, ma lo si sa per fede, in base allautorevolissima testimonianza di Dio. Che poi nellEucaristia Cristo ci sia veramente cosa sommamente opportuna, perch 1. se i sacrifici della Legge antica contenevano Cristo in figura, il sacrificio perfetto della Legge nuova doveva contenerlo in realt; 2. se Cristo per stare cogli uomini si incarnato, ritornando al cielo, non doveva privarli della sua presenza corporale; 3. se fede credere ci che non si vede, la perfezione della fede cristiana esigeva che le fosse occultata non solo la divinit, ma anche lumanit di Cristo. Perci dire che Cristo nellEucaristia non c veramente, ma c per es. in figura o in simbolo, errore.

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2. Cristo non pu farsi presente nellEucaristia lasciando il cielo, perci la sua presenza non pu effettuarsi che colla mutazione del pane e del vino in Cristo che in cielo; che se poi il pane ed il vino si mutano in Cristo, dopo la consacrazione nellEucaristia non c pi la sostanza di pane e di vino, e questo precisamente ci che importano e le parole della consacrazione, e il senso dei fedeli e il rito della Chiesa. 3. Che se adunque la conclusione che la sostanza del Pane e del Vino alla consacrazione si muta nella sostanza di Ges Cristo, non si pu parlare di annichilazione del pane e del vino o della loro risoluzione nelle materie originarie loro, perch mutazione non annichilazione e nemmeno risoluzione nei componenti; 4. tale mutazione o conversione della sostanza del pane e del vino in Ges Cristo non una mutazione naturale operata da agenti naturali, perch questi possono soltanto indurre una nuova forma nelle cose, ma non possono mutarne tutta lentit; essa invece una mutazione soprannaturale, operata da Dio, la cui potenza infinita e che perci pu mutare le cose anche in tutta la loro entit; questo passaggio di sostanza chiamato con nome proprio transustanziazione. 5. Per, come i sensi ci dicono, restano dopo la transustanziazione gli accidenti, ossia le apparenze del pane e del vino; ci anzi fu sapientemente disposto perch altrimenti 1. noi avremmo orrore di mangiare carne umana e di bere umano sangue; 2. gli infedeli ci irriderebbero; 3. la nostra fede non avrebbe merito. 6. Ma bench restino gli accidenti o apparenze sensibili del pane e del vino, non ne resta per la forma sostanziale, perch la forma insieme colla materia costituisce la sostanza, e tutta la sostanza di pane e di vino si converte nella sostanza di Ges Cristo: che se avvenisse la conversione soltanto della materia del pane e non della forma,

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questa diverrebbe una forma separata, cio un angelo, il che inconcepibile. 7. La transustanziazione istantanea, sia perch il pane non suscettibile di preparazione alla sua tramutazione, sia perch Cristo nella sua presenza reale non vi va gradatamente crescendo, ma sopratutto perch vi opera linfinita potenza di Dio. 8. Dire: dal pane si forma il corpo di Ges Cristo non falso, nel senso per che la particella dal indica il punto di partenza come quando si dice che dal niente Dio cre il mondo; e anche nel senso che il pane la materia dellEucaristia, come quando si dice che dallaria umida si forma lacqua, perch qualche cosa del pane resta e cio, non il soggetto ola materia come nelle mutazioni naturali, ma gli accidenti; ma falso nel senso che il pane ha naturale ordine al corpo di Cristo e quindi non si pu dire senzaltro che: il pane pu diventare il corpo di Cristo o che: col pane si forma il corpo di Cristo, perch queste frasi designano la causa consostanziale, e si adoperano per le mutazioni naturali, perci dovendole usare bisogna dichiararne il senso.

Quest. 76. In qual modo Cristo nellEucaristia. 1. Tutto Cristo si trova nellEucaristia, perch per le parole della consecrazione vi si trovano il suo corpo e il suo sangue e, per naturale concomitanza, anche lanima e la divinit, che in Cristo ora sono realmente uniti al suo corpo e al suo sangue. Le dimensioni del pane appartengono alla quantit e questa un accidente, perci queste non si convertono in Cristo, ma restano del pane; invece tutta la sostanza del pane si converte in tutta la sostanza di Cristo, perci dove prima cera sostanza di pane, sia in grande che piccola quantit, si trova tutta la sostanza di Ges Cristo, ossia tutto Ges Cristo.

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2. Parimenti Cristo si trova tutto sotto ciascuna specie consacrata, con questa distinzione per che perle parole della consecrazione sotto gli accidenti del pane si trova direttamente il corpo di Ges Cristo; e il sangue, lanima e la divinit vi si trovano per concomitanza; e, similmente, sotto le specie del vino direttamente si trova il sangue di Cristo e il resto vi per concomitanza. Che se si fosse consacrato durante la morte di Ges Cristo il corpo non avrebbe avuto per naturale concomitanza il sangue, n il sangue avrebbe avuto il corpo, perch realmente allora quella concomitanza non cera. 3. E se Cristo si trova tutto sotto ciascuna specie consacrata, per effetto della reale concomitanza vi si trova anche con la sua quantit dimensiva, non per per modo di dimensioni, ma per modo di sostanza; e poich tutto Cristo si trova l dove prima cera sostanza, anche in minima quantit, di pane, perci Cristo si trova tutto in tutte le parti dellOstia anche prima che se ne facciano frammenti; 4. e tutta la quantit dimensiva di Cristo si trova nellEucarestia; ci per non direttamente, cio per le parole della Consacrazione, che hanno per termine solo la sostanza di Cristo, ma per concomitanza, perch la sostanza di Cristo non si divide dalla sua quantit dimensiva, e nemmeno dagli altri accidenti. 5. Cristo per non si trova nellEucarestia localmente, perch sarebbe luogo troppo piccolo; prima della consacrazione il luogo occupava la sostanza delpane mediante le sue dimensioni, dopo la consacrazione occupa il luogo la sostanza di Cristo bens, ma mediante dimensioni altrui, cio del pane; Cristo non vi localmente, vale a dire non vi circoscritto. 6. Poich Cristo nellEucarestia come in Cielo, per s vi si trova perci immobilmente, perch immobilmente si trova in Cielo e quindi per s vi incorruttibilmente; solo pu dirsi che si muove di moto locale al muoversi

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delle specie, e quindi anche che cessa di essere nellEucarestia al cessare delle specie. 7. Il corpo di Cristo, come nellEucarestia, nessun occhio lo pu vedere, nemmeno un occhio glorificato; infatti nellEucarestia le specie proprie di Cristo non vi si trovano direttamente, ma vi si trovano per mezzo della sostanza di Cristo, perci non potrebbero colpirei sensi altro che per mezzo di tal sostanza, la quale dai sensi non percepibile; tale sostanza percepibile dallintelletto, quindi, non visibile, ma intelligibile; siccome per Cristo nellEucarestia vi si trova soprannaturalmente, in s essa intelligibile agli intelletti soprannaturali, di Dio cio e dei beati; ma a noi essa intelligibile soltanto per fede; come pure per fede intelligibile ai demoni, indotti dallevidenza deisegni. 8. Le apparizioni miracolose, per le quali nellEucarestia appariscono goccie di sangue, carne viva, il Bambino ecc. o avvengono solo nei sensi di chi vede in quanto Dio li modifica, e questo sembra doversi dire quando appariscono ad uno s e ad altri no; ovvero possono essere apparizioni reali nel Sacramento, come sembra doversi dire quando a tutti egualmente e per lungo tempo appariscono: non per da dirsi che quelle siano le sembianze proprie di Cristo: e neppure si devono dire finzioni, ma miracoli: la figura o il colore soltanto che si muta; ma finch restano le precedenti dimensioni, che sono il fondamento degli altri accidenti, rimane ladorabile corpo di Cristo.

Quest. 77. Le specie sacramentali. 1. NellEucarestia gli accidenti del pane e del vino, ossia le apparenze sensibili, non possono avere per soggetto la sostanza del pane e del vino perch essa nellEucarestia non c pi; non possono avere per soggetto la sostanza di Cristo, perch non possono essere apparenze di un corpo umano; non

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possono passare a un altro soggetto, per es. laria, sia perch essi non migrano, ma conservano il loro posto che non quello dellaria, sia perch laria non suscettiva delle apparenze del pane e del vino e conservando le apparenze proprie non pu assumere le apparenze altrui; per conseguenza restano senza soggetto, in quanto Dio, causa prima onnipotente, supplisce alla sostanza del pane e del vino, causa seconda della loro esistenza. 2. E cos la quantit, che il primo degli accidenti, diventa il soggetto degli altri, il che si deve asserire 1. perch tale apparisce ai sensi: il colore, per es. apparisce nelle dimensioni del pane e del vino; 2. perch la prima disposizione della materia sempre la quantit dimensiva; 3. perch il soggetto deve essere principio di individuazione e la quantit elemento costitutivo del principio di individuazione. Che poi possano gli altri accidenti essere soggetto della quantit affatto inconcepibile. 3. Le specie del pane e del vino, che restano nellEucarestia, continuano ad agire sui sensi e sui corpi come prima della transustanziazione, perch se Iddio colla sua onnipotenza le conserva nel loro essere di accidenti, naturalmente al loro essere va dietro loperare: conservano quindi, come prima, loperare loro proprio tutti gli accidenti, cio la quantit, la qualit, lazione, la passione, la relazione, il luogo, il tempo e il sito; 4. inoltre, come prima della consacrazione potevano corrompersi, cos possono corrompersi dopo la consacrazione, sia per se stessi, collalterazione per es., del colore, del sapore, della quantit ecc. sia accidentalmente, ossia per ragione del soggetto, cio pane e vino, con cui, e non gi con Cristo, ha relazione il loro essere di accidenti; per cui tutto quello che agendo sul pane e sul vino poteva farli corrompere prima della consacrazione, pu anche dopo la consacrazione: di conseguenza, siccome nellEucarestia la sostanza di Cristo succede alla sostanza di pane e di vino, se dalla corruzione degli accidenti si rileva che

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alla sostanza di pane e di vino sarebbe succeduta unaltra sostanza diversa dal pane, non pu esservi pi la sostanza di Cristo, che succede solo alla sostanza del pane ed allora cessata la presenza reale. 5. Le specie eucaristiche, come sono corruttibili, cos sono anche tali che possono generare per es. cenere, polvere ecc., come avrebbe potuto fare la sostanza del pane e del vino prima della consacrazione; poi certo che tali cose non provengono dal corpo di Cristo, perch Cristo incorruttibile, in Lui quindi non si avvera che la corruzione di una cosa porta la generazione di unaltra cosa e viceversa; per non moltiplicare senza necessit miracoli convien dire che tali cose provengono dalla capacit della quantit, soggetto degli altri accidenti, di diventare anche il soggetto delle forme susseguenti, cosa che propria della materia, e questo non un nuovo miracolo, ma una conseguenza del miracolo precedente. 6. Con ci spiegabilissimo che le specie sacramentali possono anche nutrire, perch come possono convertirsi in cenere, cos possono convertirsi in corpo umano. 7. Che poi le specie sacramentali si frangano reale e senza difficolt, perch soggetto della frattura delle specie la quantit difensiva, che nellEucarestia resta del pane e del vino; non si frange per Cristo, perch come incorruttibile anche infrangibile. 8. Parimenti, come poteva essere mescolato qualche liquore al vino prima della consacrazione, pu esserlo anche dopo: diversi sono poi gli effetti; se ci che si mescola in tanta quantit, che ne risulta una terza cosa in cui non sono conservate le specie del vino consacrato, cessa anche la presenza reale; altrettanto si dica se si aggiunge eguale vino ma in tale quantit che non sia pi lo stesso di numero il vino della consacrazione; se invece la quantit che vi si mescola cos piccola che la mescolanza si limita a una parte, cessa la presenza reale in questa parte, ma non nellealtre.

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Quest. 78. Forma dellEucaristia. 1. Mentregli altri Sacramenti si compiono nelluso della materia, lEucaristia si compie nella consacrazione della materia e mentre negli altri Sacramenti la consacrazione della materia consiste in una benedizione, nellEucaristia consiste in una miracolosa conversione, che Dio solo pu operare; negli altri Sacramenti la forma deve essere relativa alluso della materia, per es. io ti battezzo, nellEucaristia invece deve essere relativa alla consacrazione della materia, perci sono forma dellEucarestia le parole: questo il mio corpo; questo il mio sangue, queste poi il Sacerdote le pronuncia in persona di Cristo e non gi in persona di ministro, come quando dice: io ti battezzo. 2. Le parole della consacrazione del pane: questo il mio corpo esprimono lattuale effetto della transustanziazione, perci ne sono la forma conveniente: tanto pi che, terminando lattuale effetto della transustanziazione al corpo di Cristo, ci da cui comincia la transustanziazione, cio il pane, che poi resta solo negli accidenti, viene designato col solo pronome: questo. 3. Conveniente forma della consacrazione del vino sono invece le parole: questo il calice del mio sangue colle altre che seguono: del nuovo ed eterno testamento..., le quali pure appartengono alla forma della consacrazione del vino, perch sono determinazione del predicato il mio sangue; e mentre le parole: questo il calice del mio sangue designano la conversione del vino in sangue, le altre che seguono designano gli effetti del Sangue versato nella Passione. 4. Essendo lEucaristia il Sacramento pi degno, bisogna ammettere che le parole della forma di questo Sacramento, che il Sacerdote pronuncia in persona di Cristo, contengano una virt creata, effettiva della transustanziazione, sempre per istumentale. 5. Le parole della consacrazione hanno virt fattiva e non valore significativo; fanno la cosa e non la presup-

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pongono, ed operano istantaneamente e non successivamente, si prendono perci secondo lultimo istante del loro proferimento; allora significano: quello che contenuto sotto queste specie e che prima era pane, il corpo di Cristo; il soggetto non vi determinato con un nome, ma vi resta indeterminato con un pronome, perci le forme della consecrazione sono locuzioni verissime. 6. Le parole della consecrazione del pane conseguiscono subito il loro effetto ed falso che aspettino ad avverarsi quando pronunciata anche la forma della consecrazione del vino; perch il verbo adoperato: questo il mio corpo, di tempo presente e non di tempo futuro e perci si avvera subito.

Quest. 79. Effetti dellEucaristia. I. LEucaristia per la vita spirituale del mondo, essa perci conferisce la grazia, come ovvio da chi considera: 1. che lEucaristia contiene Cristo, il quale autore della grazia; 2. che la rinnovazione della Passione di Cristo, la quale diede al mondo la grazia; 3. che data a modo di cibo e di bevanda per laumento della vita spirituale che consiste nella grazia; 4. che ha per effetto lunione nostra con Cristo la quale unione di carit e perci di grazia; 2. per queste stesse ragioni poi lEucaristia, oltrealla grazia, ha per effetto anche il conseguimento della gloria, perch ce ne apersero la porta Cristo e la sua Passione e ce ne danno un saggio anticipato e il cibo spirituale e lunione con Cristo che nellEucaristia sicontengono. 3. LEucaristia, che contiene Cristo, autore della grazia, in s ha il potere di rimettere anche il peccato mortale; ma in relazione a chi la riceve, se questi ha un peccato mortale e ne ha coscienza, lEucaristia non lo cancella, ma lo aggrava, perch essendo lEucaristia cibo spirituale, non pu di lei cibarsi se non chi spiritualmente vivo; se invece ha un peccato mortale e non ne ha coscienza,

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lEucaristia divotamente ricevuta lo cancella per effetto della carit. 4. I peccati veniali vengono tutti indistintamente rimessi dallEucaristia, prima perch essi sono debolezze dellanima causati dalla concupiscenza e lEucaristia ilcibo che ristora le forze dellanima; poi perch lEucaristia ha per effetto di eccitarci ad atti di carit, e questi rimettono i peccati veniali. 5. Quanto poi alla pena del peccato lEucaristia, come Sacramento, ha direttamente per effetto di nutrire lanima e non di rimettere la pena dei peccati; indirettamente per ha anche questo effetto proporzionatamente al fervore di carit che eccita in noi; come Sacrificio invece, ha valore soddisfattorio, in favore dellofferente e con riguardo pi allaffetto che alla quantit delloblazione. 6. Il peccato morte dellanima: la morte pu avvenire o per dissoluzione interna o per esterna violenza; orbene lEucaristia ci preserva da tali forme di morte dellanima, perch essa come cibo corrobora la vita spirituale e come segno della Passione di Cristo arma terribile contro i demoni; lEucaristia quindi preserva dai peccati. 7. LEucaristia a chi la riceve giova sia come sacramento che come sacrificio; che se come Sacramento giova solo a chi la riceve, come sacrificio giova anche aglialtri, perch per tutti morto Cristo. 8. Leffetto del Sacramento viene in parte impedito dai peccati veniali, non passati, ma presenti, che ingombrano la mente, perch impediscono la percezione di tutta la dolcezza che c nel cibo spirituale dellEucaristia.

Quest. 80, La Comunione. 1. Poich talora il frutto dellEucaristia viene impedito e si riceve allora in modo imperfetto, bisogna distinguere il modo imperfetto e il modo perfetto di ricevere lEucaristia e il primo si dir sa-

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cramentale, cio del solo Sacramento, il secondo spirituale, cio anche delleffetto spirituale. Si distingue anche la Comunione spirituale, che il desiderio di ricevere lEucaristia, dalla ComunioneSacramentale, che il ricevere realmente lEucaristia. 2. Cristo nellEucaristia sotto le specie di pane e di vino, mentre in cielo sotto le sembianze sue proprie; perci lEucaristia cibo esclusivo degli uomini, invece Cristo in cielo cibo degli angeli sotto le specie sue proprie. 3. Sacramentalmente, senza leffetto spirituale, lEucaristia pu riceverla anche il peccatore, perch la presenza reale di Ges nellEucaristia, finch durano le specie, c sempre e per tutti. 4. LEucaristia significa anche il corpo mistico di Cristo, cio lunione dei fedeli, e ricevere lEucaristia significa professarsi uniti a Cristo per fede resa perfetta dalla grazia; perci chi riceve lEucaristia in peccato mortale commette una falsit e fa perci un sacrilegio. 5. I peccati contro la divinit di Cristo sono in s pi gravi dei peccati contro lumanit di Cristo; ma in chi li commette questi possono essere pi gravi di quelli; perci leresia e la bestemmia in s sono pi gravi di una Comunione sacrilega, ma la Comunione sacrilega il gi grave peccato se si commette concerta scienza e con disprezzo del Sacramento. 6. Ai peccatori certi e notori e della cui penitenza non si pu avere presunzione, se si accostano a ricevere la Comunione, il sacerdote deve rifiutarla; non pu invece rifiutarla se quelli che si accostano cogli altri a ricevere la Comunione sono peccatori occulti. 7. Dopo una perdita notturna, dipenda essa da cause o per nulla colpevoli, o venialmente colpevoli o mortalmente colpevoli, decoroso e opportuno astenersi dalla Comunione, qualora il bisogno spirituale non consigli altrimenti.

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8. Laver precedentemente presi cibi o bevande non impedisce la Comunione per se stesso, come fa il peccato mortale, ma impedisce la Comunione per precetto della Chiesa, che fu stabilito per significare che Cristo deve entrare per primo nel nostro cuore ed essere il fondamento del nostro vivere e che gli si deve tanto rispetto da sottrarlo a ogni pericolo di vomito: la Chiesa per esclude i casi degli infermi. Per digiuno si intende il digitino naturale, dalla mezza notte, di tutto, anche in minima parte, che si prenda come cibo, come bevanda o medicina; le reliquie invece del cibo che si trovano nella bocca e che si deglutiscono non come cibo, ma come saliva non rompono questo digiuno. 9. A chi non ha mai raggiunto luso della ragione non si deve dare la Comunione; a chi laveva e lo ha perduto, ma prima di perderlo ha avuto divozione dellEucaristia, in articolo di morte si deve dare la Comunione, se lo stomaco la pu tenere. 10. La Comunione capace di apportare una utilit quotidiana a chi la riceve e chi la riceve pu avere ogni giorno le disposizioni per ricavare dalla Comunione una quotidiana utilit, perci la Comunione quotidiana non ha impedimenti n per parte del Sacramento, n per parte di chi si comunica. Vari in proposito la disciplina della Chiesa, ma fu sempre lodato laccostarsi spesso alla Comunione. 11. Astenersi invece totalmente dalla Comunione illecito, perch tutti sono tenuti per comando di Cristo alla Comunione almeno spirituale, cio al desiderio di fare la Comunione, e questo desiderio sarebbe un desiderio menzognero se quando si pu non la si facesse; la Chiesa poi ha determinato il tempo di soddisfare al divino precetto. 12. Il Sacramento dellEucaristia esige primieramente e per s di essere assunto sotto tutte due le specie, per-

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ch sotto le due specie esso perfetto e perci il sacerdote che consacra deve anche completare il sacrificio assumendo tutte due le specie; secondariamente e in ordine ai fedeli esso esige di essere ricevuto con decoro e devozione e appunto per provvedere al decoro e alla devozione fu introdotto luso di comunicare il popolo soltanto sotto le specie del pane e non sotto le specie del vino.

Quest. 81. Luso dellEucaristia in Cristo. 1. Nella cena Cristo prima di comunicare gli Apostoli comunic se stesso, perch era suo uso prima dare lesempio e poi insegnare. Come potevano le specie sacramentali essere nelle sue mani, cos potevano essere nella sua bocca. 2. Ges comunic anche Giuda, perch volendo esserci perfetto esempio di giustizia non volle rendere manifesto il peccato occulto di Giuda negandogli la comunione. 3. Cristo diede agli Apostoli il corpo che aveva allora, cio corpo passibile, tuttavia come Egli, visibile, si trovava nel Sacramento in modo invisibile, cos Egli, passibile, si trovava sotto le specie in modo impassibile. 4. Se si fosse consacrato al tempo della morte di Cristo ci sarebbe stato nellEucaristia Cristo morto, perch in sostanza il corpo di Cristo lo stesso nelle apparenze sue proprie e in questo Sacramento, diverso invece quanto al modo, ossia quanto alla relazione dimensiva coi corpi circostanti; Cristo nelle apparenze sue proprie tale relazione la ha mediante le dimensioni sue, nel Sacramento invece la ha mediante le dimensioni delle specie del pane e del vino, per cui essere crocefisso poteva nelle sue sembianze, non poteva esserlo sotto le specie sacramentali.

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Quest. 82. Ministro dellEucaristia. 1. LEucaristia un Sacramento di tanta dignit che si consacra in persona di Cristo; questo potere viene concesso al Sacerdote quando viene ordinato, perci solo del Sacerdote proprio consacrare. 2. Come gli Apostoli hanno cenato con Cristo cenante, cos i Sacerdoti appena ordinati celebrano insieme col Vescovo ordinante, perci possono pi Sacerdoti consacrare insieme una sola e medesima Ostia. 3. Distribuire la Comunione appartiene al Sacerdote, 1. perch anche nella Cena Cristo che ha consacrato fu quello che ha distribuito la comunione; 2. perch il Sacerdote il mediatore fra Dio e gli uomini; 3. perch una cosa cos Sacra conviene che sia toccata solo da mani sacre. 4. Il Sacerdote che consacra deve anche assumere lEucaristia, perch lEucaristia non solo Sacramento, ma anche sacrificio e chi offre sacrificio deve partecipare del sacrificio. 5. Il Sacerdote non consacra in persona propria, ma in persona di Cristo, e non cessa di essere Sacerdote di Cristo quando un Sacerdote cattivo, quindi anche un Sacerdote cattivo validamente consacra. 6. Nella Messa bisogna distinguere la parte principale, cio il Sacramento e la parte secondaria, cio le preghiere per i vivi e per i morti; come Sacramento tanto vale la Messa del Sacerdote buono, quanto quella del Sacerdote cattivo, perch ambidue consacrano; come preghiere bisogna distinguere nel Sacerdote il Ministro della Chiesa e la persona privata del Sacerdote; le preghiere del Ministro della Chiesa sono fruttuose pel merito della Chiesa; le preghiere del Sacerdote come persona privata sono invece pi o meno fruttuose secondo la sua santit. 7. Anche i Sacerdoti eretici, scismatici e scomunicati consacrano validamente, perch la consacrazione dellEu-

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caristia dipende dal potere dellOrdine, che essi non hanno perduto. 8. Nemmeno per la degradazione un Sacerdote perde il potere dellOrdine, perci anche un Sacerdote degradato, se consacra, consacra validamente. 9. Tutti costoro per, bench consacrino validamente, consacrano illecitamente, perch lesercizio dellOrdine loro proibito, quindi non lecito ricevere i Sacramenti da loro, n ascoltare la loro Messa, perch con ci si complici del loro peccato. 10. Un Sacerdote non pu senza peccato far sempre a meno di celebrare la Messa, perch ciascuno deve far uso delle grazie ricevute e il sacrare una grande grazia.

Quest. 83. Il rito dellEucaristia. 1. NellEucaristia Cristo si offre in sacrificio come sulla Croce, e ci non solo perch lEucaristia un mistero rappresentativo del sacrificio della Croce, ma anche perch ce ne partecipa i frutti facendo a noi lapplicazione dei meriti di Cristo; 2. noi abbiamo ogni giorno bisogno di tali meriti e perci la Chiesa ha disposto che ogni giorno si celebri e poich la Passione di Cristo avvenne dopo lora di terza, perci la Messa solenne si celebra di regola nel tempo corrispondente, cio sul mezzogiorno. 3. Lapparato per la celebrazione della Messa deve essere relativo sia alla Passione del Signore, di cui la Messa rappresentazione, sia anche alla dignit del Signore che realmente presente nellEucaristia; per questo riguardo hanno ragione di essere le Chiese sontuose, gli altari consacrati, i vasi sacri preziosi e le suppellettili monde. 4. Il Sacramento dellEucaristia comprende tuttoil mistero della nostra Redenzione, per questa ragione viene celebrato con pi solennit degli altri Sacramenti, ed bene disposto nelle sue parti, che sono: I. la preparazione consistente nella lode a Dio, nellespressione della pre-

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sente nostra miseria, del ricordo delleterna gloria, nella preghiera e nellistruzione del popolo: II. la celebrazione del mistero, distinta in oblazione colla lode del popolo e lofferta del Sacerdote; in consacrazione preceduta dal Sanctus e dal Memento dei vivi e seguita da protesta della nostra indegnit e memento dei morti; in assunzione del Sacramento cui il popolo viene preparato colla orazione domenicale e con orazioni speciali: III. il ringraziamento con canto di esultanza e preghiere del Sacerdote. 5. NellEucaristia oltre alla rappresentazione della Passione di Cristo c anche un riferimento al corpo mistico di Ges Cristo e al devoto uso del Sacramento; nella Messa quindi le azioni e le parole furono tutte sapientemente disposte in ordine a questi tre fini. Cos il lavabo per la riverenza dovuta al Sacramento; le croci per rappresentare la Passione di Cristo; le cinque volte che il Sacerdote si volge al popolo ricordano le cinque apparizioni di Ges risorto; le sette volte che il Sacerdote saluta il popolo designano i sette doni dello Spirito Santo. 6. Bench le prescrizioni liturgiche siano molte e minuziose, non sono per impossibili a osservarsi e si ovvia sufficientemente ai difetti in cui si pu incorrere celebrando la S. Messa prevenendoli colla diligenza, correggendoli colla solerzia o rimediandoli colla penitenza. Le rubriche stesse, messe in principio del Messale, prevedono tutti i possibili difetti in cui si pu incorrere celebrando la Messa e indicano il modo di comportarsi.

Quest. 84. La Penitenza. 1. La Penitenza un Sacramento, perch anchessa consiste in una cosa santa ordinata alla santificazione; tale infatti latto del penitente che detesta i suoi peccati e latto del Sacerdote che lo assolve, nei quali atti consiste la Penitenza.

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2. La materia della Penitenza sono gli atti sensibili del penitente, cio il dolore, laccusa e la soddisfazione; ma la materia di questi atti sono i peccati che il peccatore detesta, perci i peccati sono la materia remota della Penitenza. 3. Leffetto della Penitenza, che la rimozione dei peccati, viene benissimo espresso colle parole Io ti assolvo perci queste parole sono la forma del Sacramento della Penitenza. 4. Il Sacramento della Penitenza istituito per rimettere i peccati e non per implorare grazie particolari e distinte; perci in questo Sacramento non si richiede limposizione delle mani. 5. Per conseguire leterna salute necessaria la rimozione del peccato; e i peccati commessi dopo il Battesimo non si rimuovono se non mediante la Penitenza, perci la Penitenza necessaria di necessit di Salute per chi ha peccato dopo il Battesimo; 6. e in questo senso la Penitenza la seconda tavola di salvezza, perch come a chi passa il mare necessario o conservare intera la navicella o aggrapparsi a una tavola se la navicella si sfascia, cos a noi necessario o conservare lintegrit della grazia dataci dal Battesimo, o aggrapparci alla tavola di salvezza dellaPenitenza. 7. Il Sacramento della Penitenza fu realmente e convenientemente istituito nel Nuovo Testamento: infatti quanto alla materia, bench essa, come negli altri Sacramenti, preesista in natura, perch naturale alluomo detestare il male fatto, viene tuttavia da Ges Cristo la determinazione degli atti del penitente come materia della Penitenza, viene pure da Cristo la determinazione dellufficio dei Ministri, e ci quanto alla forma; lefficacia poi del Sacramento della Penitenza ha origine dalla passione di Ges Cristo e ha inizio dopo la suarisurrezione. 8. La Penitenza dei peccati commessi deve durare tutta la vita nel senso che non si pu mai aver piacere di

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averli commessi, deve perci durare per tutta la vita la penitenza interna, non per la penitenza esterna. 9. La stessa penitenza interna poi, che deve durare per tutta la vita, deve essere continua come abito, non per come atto, perci basta che non si faccia un atto contrario, ma non occorre che si attenda di continuo adatti di penitenza. 10. Il Sacramento della Penitenza si pu ricevere ripetutamente, avendo cos disposto la misericordia di Dio, perch anche la carit pur una volta avuta si pu perdere per un peccato, e nessun peccato poi cos grande da superare in grandezza la misericordia di Dio.

Quest. 85. La penitenza come virt. 1. Pentirsi significa dolersi di ci che si fatto; tale dolore poi se nella parte sensitiva una passione; se invece nella volont dipendente da retta ragione allora una virt o un atto di virt; ed di questa che qui sitratta. 2. La penitenza in quanto indirizzata a distruggere il peccato, quale offesa di Dio, una virt cheha uno speciale oggetto, perci una virt speciale. 3. La riparazione delloffesa, che si compie e cessando dalloffendere e prestando la dovuta riparazione, di spettanza della virt della giustizia, perci la penitenza parte della giustizia, non per della stretta giustizia che corre fra eguali, ma della giustizia largamente presa. 4. La penitenza poi, in quanto virt, parte della giustizia, appartiene alla volont, perch la stessa giustizia ferma e costante volont di dare a ciascuno il suo. 5. La penitenza, come abito, infusa da Dio senza nostro concorso; come atto invece essa il concorso della nostra volont allazione di Dio, che ci tocca il cuore e desta in noi la fede; comincia in noi col timore servile dei castighi e diventa prima speranza del perdono, poi amore

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e dispiacere del peccato in se stesso e infine diventa timore filiale, o vera penitenza. 6. La Penitenza quindi non la prima virt nemmeno in ordine di tempo, perch la precedono la fede, la speranza e la carit; pu dirsi la prima soltanto nel senso che da lei ha inizio la giustificazione del peccatore.

Quest. 86. Effetti della Penitenza. 1. Un peccato diventa irremissibile quando o non si pu pentirsene, ovvero il pentirsene non vale; ma i viventi non hanno la volont fissa nel male, come i demoni, lhanno invece ancora flessibile come al male cos al bene, perci dei peccati essi possono sempre pentirsi; essendo poi infinita e la misericordia di Dio e lefficacia della Passione di Cristo il pentirsi dei peccati vale sempre a ottenerne il perdono: ogni peccato quindi pu essere cancellato colla Penitenza; 2. ed altrettanto per contro nessun peccato remissibile senza la penitenza, presa come virt; perch colla grazia Dio si rende grato luomo, cosa che non si pu supporre se luomo, che per il peccato si reso avverso a Dio per volgersi alle creature, non volge le spalle alle creature per rivolgersi a Dio: quanto invece alla Penitenza, presa come Sacramento, i peccati sono remissibili anche senza di quello, perch Dio, che in esso assolve dai peccati per mezzo del Ministro, pu assolvere anche direttamente senza di lui. 3. Non pu peraltro essere rimesso un peccato s e un peccato no, perch la grazia incompossibile anche con un solo peccato mortale e la penitenza, che lasciare quanto offesa di Dio, non pu esserci di un peccato s e di un peccato no. 4. Nel peccato mortale in corrispondenza al reato di colpa, che doppio e cio avversione a Dio e conversione a beni caduchi, c un doppio reato di pena, cio: I. quello

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di pena eterna, per la perdita delleterno bene e questo viene rimesso colla penitenza e colla grazia; II. quello di pena temporale in relazione ai beni caduchi, e questo per la giustizia ha bisogno di qualche espiazione. 5. Dopo la penitenza e la remissione dei peccati possono rimanere delle disposizioni e inclinazioni cattive determinate dai precedenti atti di peccato; restano adunque le reliquie dei peccati. 6. La penitenza, quale virt, cio gli atti del penitente, bench valga ad ottenere il perdono da Dio direttamente, cio anche fuori del Sacramento della Penitenza, tuttavia ordinata come materia del Sacramento della Penitenza, in cui il potere delle chiavi funge da forma, che, come in ogni Sacramento, la parte determinante della materia: perci la Penitenza cancella i peccati come virt, ma pi principalmente come Sacramento.

Quest. 87. La remissione dei peccati veniali. 1. Anche i peccati veniali sono una separazione da Dio, bench parziale soltanto; anche questa deve essere riparata e la riparazione se si pu fare colla penitenza, cio con un dispiacere del fatto, non si pu invece fare come evidente, senza qualche, almeno implicito, dispiacere del fatto; perci nemmeno i peccati veniali possono essere rimessi senza la penitenza per lo menovirtuale. 2. Ma poich i peccati veniali non tolgono la grazia, non necessario ricorrere ai mezzi che sono necessari allinfusione della grazia per chi lha perduta; sufficiente un solo moto della carit e della grazia per cancellarli; che se avviene linfusione della grazia in un adulto, siccome essa non si compie senza un moto libero di carit, perci ogni infusione di grazia in lui porta con s la cancellazione dei veniali. 3. Se adunque per la remissione dei veniali non necessaria linfusione della grazia, ma basta un moto di gra-

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zia o di fervore per cui essi o esplicitamente o implicitamente dispiacciono, essi vengono cancellati non solo coi Sacramenti, ma anche con altri atti, che ne importano lesplicita detestazione, come il Confiteor e il Pater noster e anche con atti che non importano la detestazione implicita, come sono gli atti di devozione e le benedizioni che con devozione si ricevono. 4. Ma poich la grazia che opera la remissione di tutte le colpe, non si pu avere la remissione dei peccati veniali e rimanere col peccato mortale, che esclude la grazia;

Quest. 88. Dei peccati gi rimessi. 1. Quando si torna a peccare i peccati gi perdonati non ritornano in se stessi, ma torna col nuovo peccato mortale ci che a tutti i peccati mortali comune cio lavversione a Dio e il conseguente reato di pena eterna. 2. Si pu poi dire che essi ritornano come reato di ingratitudine virtualmente contenuta nel peccato seguente, perch si agisce in opposizione al beneficio gi ricevuto della remissione dei peccati e tale ingratitudine si riscontra particolarmente nellodio fraterno, nellapostasia, nel disprezzo della Confessione e nel rimpianto di essersi confessati. 3. Non si pu per dire che per un nuovo peccato lingratitudine ritorna cos grande come sarebbe la somma dei peccati gi perdonati, perch lingratitudine si proporziona non solo al beneficio ricevuto, ma anche alle condizioni danimo di chi ne reo, si deve invece dire che il nuovo peccato pi grave in proporzione del numero e della gravit dei peccati gi perdonati. 4. Tale peccato poi di ingratitudine contenuto in un nuovo peccato non sempre un peccato speciale, lo soltanto quando ce n lintenzione esplicita.

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Quest. 89. Il ricupero delle virt. 1. Le virt ritornano colla Penitenza, perch esse scaturiscono dalla grazia e col tornare della grazia tornano anche le virt. 2. Lultima disposizione allinfusione della grazia il moto del libero arbitrio, perci secondo che questo pi o meno intenso, le virt ritornano in grado maggiore, eguale o minore di prima. 3. Colla Penitenza luomo riacquista la pristina dignit davanti a Dio, perch torna a essere suo figlio; non riacquista la pristina innocenza, perch questa una volta per sempre perduta; le dignit ecclesiastiche poi non le riacquista se si impediti dalle disposizioni canoniche in quanto o la Penitenza non fatta, o fu negligentemente fatta, o c ammessa lirregolarit, o c la ragione dello scandalo da riparare. 4. Le opere vive, cio le opere buone fatte in istato di grazia, diventano opere mortificate per un peccato mortale, perch cessano dalla loro funzione vitale di condurre alla vita eterna, in quanto il peccato mortale ne sospende leffetto; 5. ma queste stesse opere mortificate, riviviscono, cio ritornano vive, quando si rimuove per mezzo della Penitenza limpedimento che ne teneva sospeso leffetto, cio il peccato mortale. 6. Invece le opere morte, cio le opere buone fatte in istato di peccato e perci prive della vita spirituale, non riviviscono, perch non possibile sostituire il principio di vita al principio di morte in opere che appartengono al passato e che nella loro identit numerica non si riassumono.

Quest. 90. Le parti della Penitenza. 1. Parti si chiamano quelle in cui il tutto si divide ed esse sono proprie della materia; nella Penitenza gli atti del penitente costituiscono la quasi materia del Sacramento e poich sono di-

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versi gli atti che occorrono alla perfezione della Penitenza, come la contrizione, la confessione e la soddisfazione, perci si devono assegnare le Parti alla Penitenza. 2. Le parti essenziali del Sacramento della Penitenza sono la materia e la forma, le parti quantitative invece sono le parti della materia e queste nel Sacramento della Penitenza sono tre, cio la contrizione, la confessione e la soddisfazione, perch la Penitenza non consiste in una giustizia vendicativa, ma in una riconciliazione amichevole e perci occorre I. avere volont di riconciliazione, ecco la contrizione; II. rimettersi al giudizio del rappresentante di Dio, ecco la confessione; III. prestare il compenso stabilito, ecco la soddisfazione; 3. e poich nessuna di queste tre parti lintera Penitenza, ma tutte e tre occorrono per costituirla integralmente, perci esse sono le parti integrali della Penitenza. 4. La Penitenza poi come virt si distingue in Penitenza prima del Battesimo, Penitenza dei peccati mortali e Penitenza dei veniali; perch una ha per scopola nuova vita dello spirito; laltra ha per scopo la riforma della vita corrotta e la terza ha per iscopo una vita pi perfetta.

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SUPPLEMENTI

Quest. 1. La contrizione. 1. In senso proprio si dice trito un corpo duro, che cedendo totalmente al suo stato di durezza, si riduce in minutissimi pezzi; in senso figurato si dice contrito un cuore che recede totalmente dalla sua durezza spirituale, la quale lo aveva reso ribelle a Dio. Contrizione quindi dolore dei peccati col proposito di confessarli e di farne la penitenza e queste parole sono la vera definizione della contrizione, perch le convengono e come virt e come parte del Sacramento in relazione alle altre parti. 2. Come il gonfiarsi nella propria volont cattiva male, cos il contrirsi della propria volont cattiva bene, perch moto contrario e perci la contrizione atto di virt. 3. Lattrizione non pu diventare contrizione, perch il principio ne diverso; infatti il principio della attribuzione il timore servile, mentre il principio della contrizione il timore filiale. Il dolore sensibile non appartiene alla essenza della contrizione, ma ne pu essere effetto.

Quest. 2. Oggetto della contrizione. 1. Se il cuore si dice contrito, in quanto recede dalla sua durezza spirituale nel male, la contrizione non si ha delle pene che si incontrano, di queste si pu avere dolore, ma non contrizione; 2. Altrettanto si pu avere dolore del peccato originale, ma non contrizione, perch in quello non ci siamo cacciati di nostra volont.

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3. Ogni peccato nostro attuale rappresenta una durezza spirituale del cuore, perci il cuore, per essere contrito cos da cancellare il peccato, deve essere contrito di ogni peccato attuale. La contrizione generale di tutto ci che offesa di Dio vale anche per i peccati dimenticati e per i peccati veniali. 4. La prudenza, che muove tutte le virt, quanto ai peccati passati determina la contrizione e quanto ai peccati futuri determina la precauzione, ma dei peccati futuri non pu esserci contrizione, che solo riguarda il passato. 5. Pu diventare contrito quello stesso cuore che prima era duro; ma il cuore duro di un altro non pu identificarsi col cuore contrito nostro, perci degli altrui peccati pu esserci detestazione, ma non pu esserci contrizione. 6. Come ci confessiamo di ciascun peccato, cos di ciascun peccato dobbiamo contrirci; per, siccome il fine della confessione unico per tutti i peccati, cio lacquisto della grazia, cos sufficiente la contrizione generale di tutti.

Quest. 3. Quantit della contrizione. 1. Quanto maggiore il male, tanto maggiore deve esserne il dolore, ma la colpa il male pi grande, perci la contrizione, che dolore della colpa, il dolore pi grande. Ci per quanto al dolore spirituale che sta nella volont; non cos invece del dolore sensibile, perch la parte sensitiva mossa con pi veemenza dalle cose che le sono proprie, cio dalle cose sensibili, che non dalla ridondanza in lei delle forze spirituali. 2. La contrizione, come dolore nella volont, non pu mai essere troppo grande, perch si riferisce al peccato, che offesa di Dio; ma in quanto dolore sensibile

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per ridondanza della volont, pu essere eccessiva se va contro alla conservazione dello stesso soggetto. 3. Dei peccati ci pentiamo, perch sono offesa di Dio, e poich un peccato maggiore offesa di Dio di un altro, perci di un peccato bisogna pentirsi di pi che di un altro.

Quest. 4. Il tempo di pentirsi. 1. Come uno che viaggia detesta sempre ci che gli occorse in qualche momento e che gli fu causa di ritardo nellarrivo; cos per tutta la vita dobbiamo essere contriti del peccato, che fu un tempo irremisibilmente perduto nel nostro viaggio per leternit, il quale deve essere una corsa verso Dio. 2. In fatto di contrizione, quale dolore della volont, come non pu esserci eccesso nellintensit, cos non pu esserci eccesso nellestensione; perci conviene pentirsi sempre dei peccati, in modo per da non impedire le altre virt: invece in fatto di contrizione, quale dolore nella parte sensibile per ridondanza dalla volont, pu esserci eccesso come nellintensit, cos nella durata. 3. Dopo la presente vita non pu esserci contrizione, perch essa importa tre cose: dolore, carit e merito; il primo manca ai beati, la seconda manca ai dannati, e la terza manca alle anime purganti.

Quest. 5. Effetti della contrizione. 1. Come il disordinato amore del cuore produce il peccato, cos il dolore proveniente da ordinato amore di carit lo distrugge, quindi ci che rimette il peccato la contrizione; lo rimette come causa strumentale quale parte del Sacramento, lo rimette come causa materiale qualeatto di virt. 2. La contrizione pu importare una carit cos intensa da meritare lassoluzione di ogni reato di colpa e anche di pena; inoltre per ridondanza nella parte sensitiva pu

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causare un tale dolore sensibile, che gi una pena, da essere accettato da Dio come sufficiente per la cancellazione di ogni colpa e di ogni pena. 3. Ogni dolore poi, per quanto piccolo, se vera contrizione sempre sufficiente per cancellare qualunque peccato.

Quest. 6. Confessione e sua necessit. 1. Il peccato non viene rimesso se non per mezzo di un Sacramento della Chiesa ricevuto in atto o almeno in desiderio; e con ci uno si sottomette al potere della Chiesa; ma poich la Chiesa non pu applicare il rimedio se non conosce il male e questo si ottiene colla Confessione del peccatore, perci la Confessione, per chi pecc, necessaria. 2. I Sacramenti non sono di diritto naturale, ma di diritto divino soprannaturale; perci anche la Confessione necessaria, non di diritto naturale, ma di diritto soprannaturale divino. 3. Per diritto divino sono obbligati a confessarsi tutti quelli che hanno peccato mortalmente; per precetto ecclesiastico sono invece tenuti a confessarsi tutti, anche perch cos il pastore conosce le sue pecorelle. La Confessione non solo per la remissione dei peccati, ma anche per la direzione spirituale. 4. La Confessione si fa per manifestare la coscienza al confessore, ma invece di manifestarla la occulta tanto chi non confessa i peccati commessi, quanto chi confessa peccati non commessi; anche questi perci commette cosa illecita. 5. Il precetto della Confessione urge per accidente, quando si deve ricevere un altro Sacramento, per il quale occorre essere in grazia di Dio; urge invece per s quando la dilazione, come avviene pel Battesimo, osi basa su ragioni peccaminose, o si connette col pericolo di morire senza Confessione.

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6. La Confessione per chi ha peccato mortalmente necessaria di precetto divino e non ecclesiastico, perci nemmeno il Papa pu dispensarlo dalla Confessione.

Quest. 7. Essenza della Confessione. 1. Confessione quella per cui si manifesta il male nascosto perla speranza del perdono. Questa definizione di S. Agostino la pi completa, perch contempla tutte le circostanze essenziali dellatto e i suoi effetti. 2. La Confessione che ha per condizione fondamentale la verit un esercizio della sincerit e perci un atto di virt. 3. E poich tale Confessione mira allo stesso scopo cui mira la virt della penitenza, cio alla cancellazione del peccato, perci un atto della virt della penitenza; mentre la confessione di un reo in giudizio atto di giustizia e la confessione dei benefici ricevuti atto digratitudine.

Quest. 8. Il ministro della Confessione. 1. La Confessione necessario farla a un Sacerdote, perch solo il Sacerdote, che ha potere sul corpo reale e sul corpo mistico di Ges Cristo, pu distribuire la grazia. 2. La Confessione sacramentale si pu fare solo al Sacerdote; farla ad un laico sarebbe solo esercizio di umilt; 3. e tale atto di umilt potrebbe, come un sacramentale, cancellare i peccati veniali. 4. Lassoluzione che il Sacerdote impartisce non soltanto esercizio dellOrdine, ma anche della giurisdizione, perci la Confessione i fedeli devono farla ai propri Sacerdoti, cio a coloro che hanno giurisdizione sopra di loro.

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5. Un Sacerdote pu essere impedito dallascoltare le confessioni dei fedeli o perch gli manca la giurisdizione o perch gliene fu sospeso lesercizio; pu quindi ascoltare la Confessione di qualunque fedele se gli viene, nel primo caso, partecipata la giurisdizione che gli manca; e se viene evitata la sospensione nel secondo caso. 6. La Chiesa ha limitata la giurisdizione dei Sacerdoti per ragioni di disciplina; ma la necessit non ha legge, perci quando c il caso di necessit per il pericolo di morte quella limitazione disciplinare della Chiesa cessa e ogni Sacerdote pu assolvere. 7. La pena temporale che si impone non viene sempre proporzionata ai peccati, cos che per un peccato maggiore si imponga una pena maggiore, perch la pena deve essere vendicativa e medicinale, ad un tempo; la proporzione perfetta c nel purgatorio.

Quest. 9. Qualit della Confessione. 1. La Confessione come atto di virt, non pu essere informe, cio scompagnata dalla grazia, altrimenti non meritoria: invece come parte del Sacramento, che precede lassoluzione del Sacerdote, pu essere informe, cio finta; ma chi la fa non ne riceve il frutto se non rimedia alla finzione. 2. Come il malato, se vuole guarire, deve manifestare tutto il suo male al medico, perch se ne manifesta solo una parte il rimedio non pu essere adeguato, cos il peccatore deve manifestare tutti i suoi mali; s enon lo fa non si pu dire che si confessa, ma che finge di confessarsi. 3. La Confessione, come parte del Sacramento, ha il suo determinato atto in unione agli altri ed latto ordinario di manifestare le proprie colpe, cio dirle di propria bocca; perci confessarsi per mezzo di un altro o per mezzo di uno scritto, pu essere una sostituzione consentita solo quando ce n una necessit.

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4. Una Confessione fatta a perfezione risponde a molte condizioni, le pi importanti sono che sia integra, semplice, umile, discreta e fedele, vocale, mesta, pura e pronta ad obbedire.

Quest. 10. Effetti della Confessione. 1. La Confessione libera dalla morte del peccato, perch nel presente ordine la contrizione efficace soltanto col voto della Confessione; la Confessione attuale quindi completava della contrizione e collassoluzione del Sacerdote infonderebbe la grazia ove la contrizione precedente non fosse stata sufficiente. 2. La Confessione non solo libera dalla pena eterna, ma anche diminuisce la pena temporale; perch essa stessa una pena per il rossore che importa; 3. e con ci stesso la Confessione apre la porta del Paradiso; perch sono i reati di colpa e di pena, che essa cancella, quelli che ne impediscono lingresso. 4. La Confessione d la speranza delleterna salute, perch in essa il fedele si sottopone al potere delle chiavi, cui riservato applicare i meriti di Cristo. 5. Per i peccati commessi, ai quali si estesa la contrizione, sufficiente a cancellarli la Confessione generale, anche se ce ne sono di dimenticati, perch il potere delle chiavi agisce su tutto, se il penitente non vi mette ostacolo.

Quest. 11. Il sigillo della Confessione. 1. In qualunque caso il Sacerdote deve tener nascosti i peccati conosciuti sotto sigillo sacramentale, perch egli li sa come ministro di Dio e perci deve tenerli celati come li tiene celati Dio, che mai li rivela.

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2. Sotto il sigillo cadono direttamente tutti i peccati, e indirettamente tutte le cose che potrebbero rendere manifesto il peccatore, perci anche altre cose oltre i peccati vengono sotto il sigillo. 3. Per s al Sacerdote che spetta come il potere delle chiavi, ossia di assolvere, cos il dovere del sigillo, cio di tacere; accidentalmente per pu esserci anche altri che, ascoltando, partecipe delluso delle chiavi fatto dal Sacerdote e perci deve essere partecipe anche del dovere del sigillo. 4. Pu il Sacerdote col permesso del penitente palesare ad altri un suo peccato conosciuto sotto sigillo, perch il permesso del penitente fa che il confessore sappia anche come uomo e di scienza comunicabile ci che prima sapeva di scienza incomunicabile, come Dio. Tale permesso per, fuori del penitente, nessun altro pu darlo, nemmeno il Papa. 5. Il sigillo riguarda tutte e sole quelle cose che si vengono a sapere in Confessione e la cui rivelazione riesce di gravame al penitente; ma se quelle cose il confessore le conosce anche allinfuori della Confessione, e perci di scienza comunicabile, pu per s parlarne; per per timore dello scandalo e per rispetto al Sacramento deve farlo soltanto in caso di necessit e in modo da far capire che ne parla, ma non come di cose sapute in confessione.

Quest. 12. La Soddisfazione. 1. La virt formalmente sta nel giusto mezzo; la soddisfazione un giusto mezzo fra il diritto di Dio e il dovere delluomo, perci la soddisfazione formalmente un atto di virt; 2. e poich quale mezzo mira a quelleguaglianza tra cosa e cosa, che compito della giustizia, perci la soddisfazione un atto della virt della giustizia epi precisamente della giustizia vendicativa, perch questa quella che riguarda unoffesa precedente.

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3. La soddisfazione importa due cose: compenso per il passato e precauzione per il futuro; perci la bella definizione di S. Anselmo: la soddisfazione pagare a Dio il dovuto onore si completa con quella di S. Agostino: togliere le cause del peccato.

Quest. 13. La Soddisfazione possibile. 1. Soddisfazione deriva da satisfacere, che significa fare abbastanza; soddisfare a Dio quanto Dio merita alluomo impossibile; gli invece possibile soddisfare quanto pu, e poich la forma di giustizia da parte delluomo conservata, perci questo sufficiente. 2. Soddisfare per un altro come compenso del passato non proibito, anzi cosa che davanti a Dio ha grande merito di carit; ma in quanto la soddisfazione di rimedio per i peccati futuri non possibile che valga la penitenza fatta da uno per un altro.

Quest. 14. Qualit della Soddisfazione. 1. Non si pu dare soddisfazione di un peccato s e di un altro no, perch ogni peccato mortale toglie la grazia e perci basta anche un solo peccato mortale, di cui non si voglia dare soddisfazione, per impedire la riconciliazione con Dio. 2. Poich le opere imposte per la soddisfazione non riescono a Dio accette se lamicizia pi non dura, ma stata rotta con un nuovo peccato, perci della soddisfazione non si pu essere sicuri se non la si presta in istato di grazia. 3. Se quindi sono necessarie per la soddisfazione opere fatte in istato di grazia, le opere fatte in istato di peccato sono opere morte che non rivivono e perci

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non potrebbero cominciare ad avere valore nemmeno quando si riacquista la grazia. 4. Merito si chiama quellazione per cui giusto dare qualcosa a chi la fa, e quel qualcosa sarebbe il dovuto, ossia il debito; si distingue poi il debito di giustizia o de condigno, che si riferisce a chi ha da ricevere il qualcosa, e il debito di convenienza o de congruo, che si riferisce a chi ha da dare il qualcosa: nelle nostre opere di soddisfazione ci che offriamo a Dio gi di Dio, non resta quindi altro che lamore con cui le facciamo che possa a loro dare valore di merito; ma se manca lamore di Dio, e con ci la grazia di Dio, le opere buone non possono avere, per chi le fa, merito di giustizia; possono avere soltanto merito di convenienza e giovare o per conseguire benefizi temporali, o per disporsi alla grazia o per assuefarsi alla virt in questa vita; 5. per laltra vita poi non valgono certo a liberare dalla pena infernale gi meritata; valgono a prevenire una pena maggiore e a diminuire o a differire le penetemporali.

Quest. 15. Opere di Soddisfazione. 1. Il compenso a Dio dovuto non si pu prestare che con una privazione nostra; perci la soddisfazione deve consistere in unopera che non solo sia buona e sia in onore di Dio, ma anche che sia penale o di penitenza. 2. I flagelli della presente vita possono essere opere soddisfattorie nostre se o ce li assumiamo o li accettiamo da Dio, perch allora solo, divenuti di nostra propriet, sono una privazione nostra, altrimenti restano solo castighi di Dio. 3. Se la soddisfazione consiste in privazioni nostre, di nostro abbiamo lanima, il corpo e i beni di fortuna, perci le privazioni relative saranno orazione, digiuno ed elemosina e queste sono vere opere soddisfattorie, perch hanno valore di compenso del passato e di precauzione

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per lavvenire, in quanto ci dispongono bene verso Dio, verso il prossimo e verso noi stessi.

Quest. 16. Il Penitente. 1. Linfusione della grazia porta con s tutte le virt e quindi anche la virt della penitenza, ma in coloro che conservano linnocenza battesimale non c materia di penitenza cio peccati, in loro quindi la penitenza non c come atto, ma solo come abito, giacch anchessi possono peccare. 2. Nei Santi invece che sono gi in gloria la penitenza resta, ma solo come atto di gratitudine per la misericordia di Dio; e che in loro la gratitudine resti certo, perch le virt cardinali restano anche in Paradiso e la penitenza parte della giustizia, che una virt cardinale. 3. Gli Angeli non sono suscettibili di penitenza, come virt, perch questa ordinata al fine di conseguire la misericordia di Dio e questo solo possibile agli uomini che sono su questa terra; nei demoni e nei dannati c solo la penitenza come passione, cio come detestazione del loro male, perch ci naturale a tutti.

Quest. 17. Il potere delle chiavi. 1. Potere delle chiavi il potere di aprire le porte del Paradiso che il peccato ci chiude; tal potere appartiene alla Trinit per lautorit sua; appartiene a Cristo per il merito della sua Passione, ed appartiene anche alla Chiesa, che usc dal costato di Cristo, e perci anche ai ministri della Chiesa che sono dispensatori dei Sacramenti, nei quali riposta lefficacia della Passione. 2. Un potere si definisce dai suoi atti, gli atti del potere delle chiavi sono di chiudere e di aprire, che si esercitava dagli Ebrei legando o sciogliendo lo spago del catenaccio, perci rettamente si definisce quel potere

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per cui lecclesiastico giudice riceve i degni e respinge gli indegni dal regno; 3. e si dice il potere delle chiavi anzich della chiave, perch sono due gli atti che competono allufficio di ecclesiastico giudice, cio il giudizio dellidoneit alla grazia di chi si presenta al giudizio, e la sentenza di assoluzione; sono dunque due chiavi anzich una.

Quest. 18. Effetto delle chiavi. 1. Il potere delle chiavi non si limita alla remissione della pena, ma si estende alla remissione della colpa, perch altrimenti non ci sarebbe ragione che occorrano le disposizioni interne dellanimo da parte di chi riceve il Sacramento. 2. Il potere delle chiavi nel Sacramento della Penitenza opera anche la remissione della pena temporale; non di tutta, perch luomo colla Penitenza si dice non rigenerato, ma sanato e, per di pi, restano le cicatrici o i residui del morbo spirituale; certo per di una parte almeno, perch altrimenti non ci sarebbe ragione di imporre una pena temporale. 3. Il potere delle chiavi, essendo un potere razionale, non soltanto potere di sciogliere, ma anche potere di fare lopposto, cio di legare; quanto al reato di colpa direttamente scioglie, cio assolve, e solo indirettamente lega, cio nega lassoluzione e lascia nella colpa; quanto alla pena, direttamente lega, cio impone la soddisfazione e indirettamente scioglie, cio libera dalla pena temporale. 4. Il Sacerdote per non pu sciogliere e legare a capriccio, perch nelluso del potere delle chiavi egli ministro e strumento di Dio, che il principale agente nei Sacramenti, perci deve farne uso secondo lordine divino; lordine poi divino che le medicine siano appropriate anche quanto alla dose allammalato; perci anche la soddisfazione non deve imporsi cos grande da spaventare il penitente e allontanarlo dal Sacramento.

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Quest. 19. Ministri del potere delle chiavi. 1. I Sacramenti del Vecchio Testamento non conferivano la grazia, ma soltanto la figuravano, perci i Sacerdoti del vecchio Testamento non avevano il potere delle chiavi. 2. In Cristo c il potere delle chiavi, ma in modo superiore al nostro, perch in noi c il potere di strumento, come compete ai Sacramenti, in Cristo c il potere di agente, come compete allautore dei Sacramenti. Il potere delle chiavi si chiama di strumento in noi; di eccellenza in Cristo; di autorit nella Trinit. 3. Il potere delle chiavi di ordine e di giurisdizione; il potere di ordine si riferisce direttamente al Cielo ed esclusivo dei Sacerdoti; il potere di giurisdizione si riferisce direttamente alla Chiesa anticamera del Cielo, e si esercita colle scomuniche e relative assoluzioni e questo pu esserci anche in chi non ancora Sacerdote. 4. Luomo nelluso delle chiavi non agisce per se stesso, ma agisce come strumento, perch non comunica la grazia sua, ma quella di Cristo, perci per quanta santit uno abbia se non sacerdote per essa sola non ha luso delle chiavi; 5. e per la stessa ragione che il Sacerdote non comunica la grazia sua, ma quella di Cristo, perch non agente per s, ma solo strumento, per quanto egli sia privo di grazia, cio per quanto sia cattivo non viene privato delluso delle chiavi. 6. Invece negli eretici, scismatici, scomunicati, sospesi e degradati il potere delle chiavi resta come potere di ordine, ma ne viene sospeso luso, perch sono privati del potere di giurisdizione.

Quest. 20. Soggetti al potere delle chiavi. 1. Come in Cielo fra gli Angeli, cos anche in terra nella Chiesa c una gerarchia e con ci c uno che ha giurisdizione universale e sotto di lui altri che hanno giurisdizioni

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particolari e poich per luso delle chiavi occorre oltre al potere di ordine anche il potere di giurisdizione, perci le chiavi non si possono usare se non con coloro sui quali si ha giurisdizione. 2. Col proprio suddito per un Sacerdote non pu far sempre uso delle chiavi, perch ci sono dei casi in cui la sua giurisdizione limitata e perci deve rimettere il suo suddito al superiore. 3. Per s il potere delle chiavi si estende a tutti ed per ragione di gerarchia che un Sacerdote ha la giurisdizione limitata dal suo superiore; ma se il superiore gliela allarga fino a se stesso, allora il Sacerdote pu far uso delle chiavi anche col suo stesso superiore.

Quest. 21. La scomunica. 1. La scomunica importa diverse penalit, cio la privazione di comunicare coi fedeli nella convivenza sociale, nella partecipazione dei Sacramenti e nelle preghiere comuni, le conviene quindi la solita definizione: La scomunica separazione dalla comunione della Chiesa, dal frutto di questa comunione e dalle generali Preghiere. 2. Come fa Iddio coi peccatori, che manda castighi per indurli a penitenza e che gli abbandona a se stessi perch riconoscano la loro insufficienza, altrettanto deve fare la Chiesa coi peccatori ostinati scomunicandoli, cio separandoli dai fedeli, affinch siano umiliati e si pentano. 3. La scomunica unesclusione dal regno, dal quale vanno esclusi gli indegni; indegni ne sono quelli che perdono la grazia col peccato mortale; il peccato mortale pu esserci anche in un danno grave recato al prossimo, anche per tal danno quindi uno pu essere scomunicato; ma, essendo la scomunica una pena gravissima, bisogna riservarla come misura estrema, cio dopo esperiti gli altri mezzi.

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4. Una scomunica se ingiusta per il fatto che il superiore nellinfliggerla pecca di odio o di ira valida egualmente; ma se ingiusta o perch non c la dovuta causa o perch non si seguono le formalit strettamente richieste, allora la scomunica invalida e nulla.

Quest. 22. Scomunicanti e scomunicati. 1. Non chiunque Sacerdote, ma soltanto i Vescovi e i Prelati maggiori possono scomunicare, perch essi soltanto hanno giurisdizione nel foro esterno della Chiesa, 2. ed appunto perch la scomunica un atto di giurisdizione esterna e di questa sono capaci anche coloro che non sono ancora Sacerdoti, perci, anche un non Sacerdote pu scomunicare. 3. Ma scomunicare non pu uno, il quale sia scomunicato, perch la scomunica lo priva della giurisdizione; e nemmeno pu farlo uno che dalla giurisdizione sia sospeso. 4. Poich poi la giurisdizione si esercita sugli inferiori, perci uno non pu scomunicare n se stesso, n un eguale, n un superiore. 5. La scomunica non si pu dare se non in base a un peccato mortale; ma il peccato mortale c nei singoli e non in una comunit; perci saggiamente la Chiesa ha disposto che non si possono scomunicare le comunit. 6. Contro uno che gi scomunicato si pu rinnovare la scomunica e se ne possono lanciare anche altre per altre cause, queste poi diventano tanti vincoli diversi.

Quest. 23. Condotta cogli scomunicati. 1. La scomunica a titolo di medicina per la resipiscenza del reo, perci anche con uno, che si deve evitare per effetto di una scomunica, lecito trattare quando sia per ridurlo

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a penitenza ed lecito trattare anche per servirlo nelle necessit della vita secondo il dovere naturale che ne hanno quelli di casa; 2. Seguire le parti di uno che scomunicato, e cio separato dalla Chiesa, separarsi dalla Chiesa, perci che la Chiesa colpisca di scomunica anche quelli che, fuori dei casi previsti, comunicano con uno scomunicato, non illogico; 3. e non si pu negare che essi commettano anche peccato mortale, se c in loro o partecipazione al delitto, o comunicazione in cose sacre o disprezzo della Chiesa.

Quest. 24. Assoluzione dalla scomunica. 1. Un sacerdote pu assolvere dalla scomunica il suo penitente, quando ne abbia le dovute facolt. 2. La scomunica una pena, ma non una colpa, perci mentre i peccati non si contraggono che per volont e contro volont non vengono rimessi, invece la scomunica, come si contrae contro volont, cos contro volont pu essere rimessa; 3. e si pu essere assolti da una scomunica senza essere assolti dalle altre, appunto perch le scomuniche sono pene e non hanno connessione fra loro come le colpe, cio i peccati.

Quest. 25. LIndulgenza. 1. La penitenza rimette la pena eterna e parte della pena temporale, e della pena temporale che resta si pu ottenere la remissione mediante le indulgenze, che valgono anche davanti a Dio, perch sono lapplicazione dei meriti sovrabbondanti di Cristo e di Santi, che sono meriti comuni di tutta la Chiesa, la cui distribuzione appartiene a chi della Chiesa ha il governo.

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2. Le indulgenze valgono tanto quanto dicono, semprech per chi le concede ne ha lautorit, chi le riceve in istato di grazia e la causa di concederle la piet, che comprende lonore di Dio e lutilit del prossimo: la giustizia di Dio non ne scapita, perch si tratta solo di questo, che la pena sofferta da uno viene computata a vantaggio di un altro. 3. Si possono concedere indulgenze anche per aiuti temporali e prestazioni materiali, se queste vengono disposte ed adoperate per uno scopo spirituale, perch allora non sono pi cose semplicemente materiali.

Quest. 26. Chi pu concedere Indulgenze. 1. Soltanto il Vescovo ha giurisdizione piena nel foro esterno della Chiesa, nel qual foro avviene il compenso dei meriti degli uni colle pene temporali dovute da altri; perci i Vescovi possono concedere indulgenze, e non possono concederle i parroci, 2. e poich la concessione delle indulgenze esercizio della potest di giurisdizione, anzich di ordine, perci anche chi non ancora Sacerdote pu concedere indulgenze se ha la dovuta giurisdizione. 3. Il governo di tutta la Chiesa, e perci lintera amministrazione del suo tesoro di meriti, spetta al Papa; i Vescovi invece che sono chiamati a parte della sua pastorale sollecitudine, possono concedere indulgenze solo quanto loro consentito dal Papa di concederne. 4. Il concedere indulgenze atto di giurisdizione e questa non si perde, come la grazia, per un peccato, perci sono valide le indulgenze concesse anche da chi in peccato mortale.

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Quest. 27. Chi lucra le Indulgenze. 1. A chi in istato di peccato mortale non si possono applicare le indulgenze, perch non si pu rimettere la pena se non prima rimessa la colpa; gli si possono per applicare i meriti della Chiesa, i quali dispongono alla grazia. 2. Le indulgenze valgono anche per i religiosi, perch essi non sono da meno dei fedeli. 3. Chi non compie le opere prescritte non pu lucrare le indulgenze, perch esse sono concesse sotto condizione di fare tali opere. 4. Le indulgenze pu lucrarle anche chi le concede, perch altrimenti sarebbe in condizione peggiore degli altri.

Quest. 28. La penitenza pubblica. 1. La medicina deve essere appropriata al male; perci a qualche peccato pubblico e di molto scandalo pu essere appropriata la penitenza pubblica. 2. La penitenza solenne si assomiglia allespulsione di Adamo dal Paradiso terrestre, perci come egli nefu scacciato una volta sola, cos la penitenza solenne non si deve ripetere, anche perch altrimenti perderebbe la sua importanza. 3. La penitenza solenne, che era pubblica e con un rito che ricordava lespulsione di Adamo dal Paradiso terrestre, non si imponeva a chi aveva gli Ordini Sacri, perch ci sarebbe stato maggiore scandalo; invece la penitenza pubblica, ma non solenne, si poteva imporre anche a loro come agli altri e si poteva imporre anche a loro come agli altri e si poteva ripetere.

Quest. 29. LEstrema Unzione. 1. I Sacramenti si distinguono dai Sacramentali per il loro effetto, che di

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guarire dal peccato e non soltanto di disporre a quelleffetto come fanno i Sacramentali; leffetto dellEstrema Unzione, come dichiara S. Giacomo, di guarire dal peccato, essa quindi un Sacramento enon gi un Sacramentale. 2. Come il Battesimo un Sacramento solo, pur risultando di tre infusioni o immersioni, cos lEstrema Unzione un Sacramento solo, bench risulti di diverse unzioni perch tutte concorrono a significare e causare una cosa sola, cio la grazia; e questa unit di perfezione, secondo la quale anche una casa una, pur risultando di parecchie parti. 3. Bench lEstrema Unzione non sia uno dei Sacramenti promulgati da Cristo, tuttavia fu da Cristo stesso, come tutti gli altri, istituito, perch soltanto da istituzione divina possono i Sacramenti derivare la loro efficacia di conferire la grazia. 4. La medicina spirituale, che si adopera come ultima, deve essere perfetta e lenitiva; lolio, che lenitivo, penetrativo e diffusivo era attissimo a significarla, era la convenientissima materia di questo Sacramento; deve poi essere olio di oliva, perch il vero olio, come dice il nome quello di oliva. 5. Lolio non fu, come furono invece lacqua per il Battesimo e il pane e il vino per lEucarestia, santificato dalluso diretto di Cristo, perci bisogna benedirlo prima di adoperarlo, anche perch a ridonare la salute corporale non valgono le sue naturali propriet; 6. e deve essere consecrato dal Vescovo, perch lefficacia sacramentale gli deriva da Cristo e deve a lui discendere con ordine e quindi per via gerarchica, cio dal Vescovo, anzich dai Sacerdoti. 7. Anche lEstrema Unzione ha la sua forma, ossia le parole che determinano fra i molti sensi, cui la materia si presta, quello che il proprio di questo segno sensibile ed efficace della grazia; ci non solo perch cosi di

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tutti i Sacramenti, ma anche perch S. Giacomo espressamente ne parla. 8. La forma per dellEstrema Unzione, anzich essere indicativa, deprecativa, perch pi appropriata a un Sacramento che si conferisce a chi in fine di vita e il cui effetto non sempre dipende dal giudizio e volont del ministro. 9. Di conseguenza le parole: Per questa santa unzione ecc., le quali designano il Sacramento, la misericordia di Dio che in esso opera, e la remissione dei peccati, che ne sono leffetto, sono la forma conveniente di questo Sacramento.

Quest. 30. Leffetto dellEstrema Unzione. 1. LEstrema Unzione un Sacramento istituito come medicina spirituale; la medicina si d a chi ammalato, ma non a chi morto, perci lEstrema Unzione non si d a chi spiritualmente morto per il peccato originale o mortale, ma si d a chi spiritualmente ammalato, cio affetto di quella debolezza spirituale, che reliquia e conseguenza del peccato originale o mortale; ma poich il vigore spirituale, che essa dona, non che la grazia, la quale esclude il peccato, perci leffetto dellEstrema Unzione la remissione dei peccati quanto alle loro reliquie o conseguenze: ed anche la remissione del peccato, che ne causa, se per caso c. 2. Come il Battesimo lava lanima e anche il corpo, cos lEstrema Unzione sana lanima e sana anche il corpo, se questo effetto secondario in armonia colleffetto principale. 3. LEstrema Unzione non imprime il carattere, perch per essa, luomo non viene deputato a uffici spirituali.

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Quest. 31. Ministro dellEstrema Unzione. 1. Ministri dei Sacramenti sono solo i Sacerdoti, fatta eccezione del Battesimo per la sua necessit: lEstrema Unzione non di tanta necessit; perci i laici non possono mai amministrare lEstrema Unzione; 2. nemmeno il Diacono pu amministrarla, perchS. Giacomo parla espressamente dei Sacerdoti; 3. non per riservata ai soli Vescovi, perch ai Vescovi sono riservati quei Sacramenti che costituiscono chi li riceve in uno stato superiore; e lEstrema Unzione non ha questo effetto.

Quest. 32. A chi si deve dare lEstrema Unzione. 1. LEstrema Unzione non si deve dare ai sani, ma solo agli ammalati, perch di questi parla S. Giacomo; 2. non si pu per amministrare per qualunque infermit, ma solo per quelle infermit che conducono allestremo della vita, perch appunto da ci si chiama Estrema Unzione; 3. poich alleffetto di questo Sacramento molto conferisce la divozione di chi lo riceve, non lo si deve dare ai pazzi e ai furiosi, a meno che abbiano dei lucidi intervalli; 4. per la stessa ragione non lo si deve dare nemmeno ai bambini. 5. Lunzione non si deve estendere a tutto il corpo, perch nemmeno le medicine si applicano a tutto il corpo, ma solo alla sola parte malata, e lEstrema Unzione a titolo di medicina. 6. In noi i principii di peccare sono quelli stessi del nostro agire e sono il principio conoscitivo, come dirigente, il principio appetitivo, come imperante e il principio locomotivo, come eseguente: perci a titolo di medicina spirituale si fanno le unzioni ai sensi, nei piedi ed ai reni;

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7. e si devoto fare, come meglio si pu, anche ai mutilati, perch se sono privi di un membro non sono per privi del relativo principio di agire.

Quest. 33. Olio Santo iterato. 1. LEstrema Unzione non ha un effetto perpetuo, perch si pu di nuovo perdere la salute sia dellanima che del corpo; perci lEstrema Unzione si pu iterare; 2. e lo si pu fare anche nella stessa malattia se si rinnova lo stato di gravit, perch il Sacramento non riguarda la malattia, ma lo stato grave di una malattia.

Quest. 34. LOrdine. 1. Nella Chiesa doveva essere riprodotta la bellezza dellUniverso in cui Dio trasmette per gradi la sua influenza fino agli estremi; perci Iddio stabil nella Chiesa un Ordine per cui alcuni amministrassero agli altri i Sacramenti e fossero cos quasi cooperatori di Dio. 2. Le parole segnacolo di spirituale potere sono una definizione giusta dellOrdine come Sacramento, perch ne esprime la natura di segno e leffetto proprio. 3. LOrdine poi un Sacramento, perch consiste in segni visibili e in una consacrazione spirituale. 4. La Forma dellOrdine imperativa: Ricevete Fate, ed conveniente che sia cos, perch la Sacra Ordinazione non che una trasmissione o partecipazione di poteri. 5. Come gli altri Sacramenti hanno la loro materia, cos ha la sua materia anche lOrdine; essa deve significare i poteri che vengono partecipati e perci quella che nelluso di tali poteri si adopera.

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Quest. 35. Effetto dellOrdine. 1. LOrdine un Sacramento e poich i Sacramenti conferiscono la grazia santificante, anche lOrdine conferisce la grazia per lo speciale scopo di amministrare degnamente i Sacramenti. 2. Il carattere un segno distintivo; in ciascuno degli Ordini viene conferita una distinzione per cui si viene stabiliti in un gradino sempre pi alto, perci ciascuno degli Ordini imprime il carattere. 3. Il carattere dellOrdine per presuppone il carattere del Battesimo, perch il Battesimo la porta dei Sacramenti e chi non ha il Battesimo non suscettibile di altri Sacramenti: 4. che se il Battesimo rende suscettibili di ricevere gli altri Sacramenti, ne viene che il carattere del Sacramento della Cresima non si preesige di necessit per il Sacramento dellOrdine, per della massima convenienza averlo, perch esso che fa perfetti cristiani; 5. ed altrettanto per la stessa ragione non si preesige di necessit il carattere degli Ordini inferiori per ricevere gli Ordini superiori; la Chiesa per vuole che ci sia, affinch tutto proceda ordinatamente.

Quest. 36. Qualit degli ordinandi. 1. Chi riceve un Ordine viene anche costituito nel suo grado quasi guida agli altri nelle cose divine, ma a fare da guida deve avere attitudine, ossia deve avere la debita preparazione spirituale che consiste nella santit e perci ragionevolmente la Chiesa la richiede nellordinando; 2. ciascuno poi deve anche essere istruito in ci a cui si estende lufficio cui viene deputato, perci nellordinando si esige anche la scienza relativa allesercizio del suo Ordine. 3. Il ministro non conferisce la grazia, ma amministrai Sacramenti che conferiscono la grazia, perci una santit anche spiccata non , n conferisce nessun Ordine, tanto

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pi che la santit si pu perdere e invece lOrdine Sacro no, perch imprime il carattere. 4. Il servo fedele messo a capo della famiglia per dare le cose divine secondo la capacit di ciascuno , dice S. Luca, perci pecca chi conferisce lOrdine Sacro a chi non ne capace per lindegnit della vita. 5. Le cose sante devono essere trattate santamente, perci non pu essere immune da peccato chi esercita lOrdine amministrando i Sacramenti in stato di peccato mortale.

Quest. 37. I singoli Ordini. 1. Diversi sono gli uffici nella Chiesa e perci diversi sono gli Ordini e con ci I. viene esaltata anche nella Chiesa quella sapienza di Dio che ha disposto lunit nella variet dellUniverso; II. provvisto con molti aiuti alla insufficienza di un ministro solo; III. aperta una via di progresso nella perfezione. 2. Il Sacramento dellOrdine istituito in ordine alla Eucaristia, relativamente alla quale ci sono sette uffici e perci sette sono gli Ordini; ci sono quindi: il Sacerdote che la consacra; il Diacono che lo assiste nel distribuirla; il Suddiacono che ne prepara la materia nei vasi sacri; lAccolito che ministra le ampolle collacqua e il vino; lEsorcista che caccia il demonio che turba i comunicandi; il Lettore che dispone lanimo dei comunicandi e lOstiario che caccia dalla Chiesa gli indegni: 3. ciascuno di essi un Ordine Sacro, perch Sacramento, ma in senso stretto si dice che ha gli Ordini Sacri soltanto chi insignito di uno dei tre Ordini maggiori, cio Suddiaconato, Diaconato e Presbiterato, perch questi importano unufficio relativo a cosa consacrata; 4. con tale distinzione poi non solo sono assegnati i singoli atti caratteristici e principali di ciascun Ordine, ma viene fissata anche la gradazione degli Ordini a seconda

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che importano unazione pi o meno prossima allEucaristia. 5. Latto proprio del Sacerdote di consacrare; perci egli viene abilitato a questo atto e con ci istituito nel sacerdozio, quando gliene viene data la facolt; questa facolt gli viene comunicata quando il Vescovo gli porge la materia del sacrificio, cio il calice col vino e la patena collOstia dicendo: Ricevi il potere di consacrare; quindi allora che si imprime il carattere sacerdotale.

Quest. 38. Lordinante. 1. La potest del Vescovo, relativamente a quella dei ministri inferiori, come una potest politica, che prospetta il bene comune, fissa le norme agli inferiori determinandone gli uffici e negli uffici li istituisce; perci come a lui riservato il cresimare, cos al Vescovo riservato di conferire gli Ordini Sacri. 2. I Vescovi eretici e scomunicati conferiscono validamente gli Ordini Sacri, perch non si pu perdere la Consacrazione una volta ricevuta e quindi nemmeno il potere che essa conferisce; ma il Sacramento dellOrdine da loro amministrato non conferisce agli ordinati la grazia, perch lo ricevono disobbedendo alla Chiesa.

Quest. 39. Impedimenti allOrdine Sacro. 1. Ogni Ordine forma un gradino di preminenza; la donna invece ha uno stato naturale di soggezione e questo d ragione al precetto apostolico che alle donne non siano conferiti gli Ordini Sacri. 2. I bambini, come ricevono validamente il Battesimo e la Cresima, per conto del Sacramento possono ricevere validamente anche gli Ordini Sacri, pur essendo impediti di esercitarli dalla mancanza delluso di ragione; infatti i Sacramenti che imprimono il carattere, cio Batte-

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simo, Cresima e Ordine, conferiscono una potest spirituale, che valida e si presume sempre accettata quando non espressamente rifiutata; per conto invece della convenienza della cosa e del precetto della Chiesa gli Ordini maggiori non si possono conferire che a una debita et. 3. Anche gli schiavi si trovano in uno stato di soggezione che in contrasto colla stato di preminenza che conferiscono gli Ordini Sacri; perci anche agli schiavi proibito di conferire gli Ordini Sacri; 4. e altres a chi reo di omicidio proibito di conferire gli Ordini Sacri, perch lomicidio in opposizione con quella pace di cui simbolo lEucaristia, 5. e ai figli illegittimi pure proibito di conferire gli Ordini Sacri, perch unorigine disonorata non si concilia colla dignit di ministro della Chiesa. 6. Infine ai mutilati proibito conferire gli Ordini Sacri se la mutilazione li rende deformi, o ne impedisce lesercizio, perch sono moralmente o materialmente inetti.

Quest. 40. Annessi dellOrdine Sacro. 1. Servirea Dio regnare, perci i ministri del Signore devono portare la tonsura, che ha la figura di corona; la rasura poi dei cappelli, in cui essa consiste, indica che a loro non si addicono le vanit del mondo. 2. La tonsura per non un Ordine, perch non conferisce nessun potere spirituale, piuttosto una preparazione agli Ordini Sacri. 3. La tonsura poi importa una rinunzia non reale ma di affetto alle cose temporali, perch non il possesso delle cose temporali che ostacola il servizio di Dio, ma la loro soverchia sollecitudine. 4. Il Sacerdote quanto al suo atto principale, che di consacrare il corpo reale di Ges Cristo, ha pieno il potere di Ordine; quanto invece al suo atto secondario che di reggere il corpo mistico di Ges Cristo, cio

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i fedeli, ha invece un potere di giurisdizione limitato, perch dipendente dallautorit vescovile. 5. Se quindi il Sacramento dellOrdine tutto relativo allEucaristia e nel sacerdozio esso completo, lEpiscopato, che nulla di pi conferisce relativamente allEucaristia, non un Ordine; lo si pu per chiamare Ordine in quanto importa un ufficio speciale di carattere gerarchico relativamente al corpo mistico di Ges Cristo, cio la Chiesa. 6. Poich poi tutta la Chiesa forma un unico corpo, occorre un potere reggitivo universale al disopra del potere dei Vescovi, che reggono le Chiese particolari e questo il potere del Papa: chi non lo riconosce scismatico, che scinde cio lunit della Chiesa. 7. Opportunamente furono istituite le vesti sacre come distintivo dei singoli uffici in cui ciascuno degli Ordini istituisce quelli che sono i Ministri della Chiesa ed esse significano le attitudini generali e anche speciali che in loro si richiedono a cominciare dallAmitto, comune a tutti i ministri, fino al Pallio, proprio solo degli Arcivescovi.

Quest. 41. Il Matrimonio ufficio di natura. 1. Il Matrimonio diritto naturale nel senso che linclinazione viene dalla natura e si completa col libero arbitrio: linclinazione poi naturale tende al fine principale del Matrimonio che il bene della prole consistente non solo nella procreazione, ma anche nelleducazione completa della prole; e tende anche al fine secondario del Matrimonio, che il mutuo aiuto dei coniugi conseguibile colla coabitazione. 2. Ma poich tale inclinazione naturale mira al bene della moltitudine e non dei singoli, perci i singoli non sono obbligati al Matrimonio, anzi per il bene della moltitudine utile che alcuni si astengano dal matrimonio;

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ed il filosofo Teofrasto dimostra che ai sapienti non convengono le nozze. 3. Latto del Matrimonio, che mira alla procreazione della prole, la quale il fine inteso dellinclinazione naturale, sempre lecito ed precetto dellApostolo il rendersi il debito coniugale. 4. Anzi, poich rendere il debito atto di giustizia e mirare al fine della natura rendere omaggio a Dio che ne lautore, perci latto del Matrimonio non soltanto lecito, ma anche meritorio.

Quest. 42. Il Matrimonio Sacramento. 1. Il Matrimonio un segno sacro che conferisce santit, perci un Sacramento, e Sacramento lo chiama espressamente la Scrittura. 2. La procreazione della prole era necessaria anche prima che Adamo peccasse e il matrimonio per la procreazione della prole; perci il Matrimonio fu istituito, come ufficio di natura, prima del peccato; come rimedio al peccato, dopo il peccato e come Sacramento fu istituito da Ges Cristo; a regolare le altre utilit che dal Matrimonio derivano interviene la legge civile e conci esso ha anche un ufficio di civilt. 3. Il Matrimonio un Sacramento, perci conferisce la grazia e conferisce la grazia di compiere santamente i doveri matrimoniali. 4. Ciascuna cosa ha la sua primaria perfezione nellessere ed ha la sua secondaria perfezione nelloperare; perci anche il Matrimonio pu essere perfetto nel suo essere ancorch non ne segua luso.

Quest. 43. Gli sponsali. 1. Gli sponsali non sono Matrimonio, ma promessa di futuro Matrimonio; tale promes-

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sa pu essere assoluta o condizionata ed sempre obbligatoria, purch la condizione non sia contraria agli stessi fini del Matrimonio. 2. Luomo pu ritenersi capace di sponsali alla fine del primo settennio, ma soltanto alla fine del secondo settennio pu ritenersi capace di contrarre Matrimonio, perch allora pu non solo apprendere dagli altri, ma anche da se stesso comprendere ci che riguarda la sua persona; ci invece che riguarda le cose a lui esterne pu da s comprenderle solo alla fine del terzo settennio e perci solo a 21 anni si ottimi. 3. Lobbligazione degli sponsali cessa se uno dei due si fa religioso o direttamente contrae Matrimonio con altra persona; fuori di questi casi bisogna al caso ricorrere al Giudice ecclesiastico.

Quest. 44. Definizione dei Matrimonio. 1. Il Matrimonio ununione, perch ad un unico e medesimo scopo tendono marito e moglie, cio alla procreazione ed educazione della prole e al vicendevole aiuto. 2. Il Matrimonio che dalla sua essenza si chiama unione coniugale e dalla sua causa vien chiamato sposalizio, si chiama Matrimonio per gli oneri particolari che alla madre incombono quanto alla procreazione e alla educazione della prole. 3. La definizione del Matrimonio: Unione maritale di un uomo e di una donna fra persone legittime con metodo comune ed unico di vita una definizione appropriata, perch dichiara lessenza del Matrimonio, che unione; i soggetti del Matrimonio, che sono un uomo e una donna; e il valore di tale unione, che indissolubile.

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Quest. 45. Il consenso nel Matrimonio. 1. In ogni Sacramento c unoperazione materiale, come labluzione nel Battesimo, che significa loperazione spirituale; perci anche nel Matrimonio c una operazione spirituale, in quanto Sacramento, significata, in quanto ufficio di natura e di civile consorzio, da una operazione materiale e questa il mutuo consenso, che la causa efficiente del Matrimonio. 2. Il mutuo consenso deve essere espresso verbalmente in tutti i contratti e deve esserlo anche nel Matrimonio e diviene cos il segno sensibile del Sacramento; 3. e tale mutuo consenso deve essere espresso con parole di tempo presente, perch se espresso con parole di tempo futuro solo promessa di Matrimonio e cio: sponsali. 4. Il consenso per espresso verbalmente con parole di tempo presente non produce il Matrimonio se manca il consenso interno, perch allora non c intenzione di contrarre Matrimonio, ma intenzione di scherzare o di ingannare. 5. Il consenso espresso verbalmente con parole di tempo presente, ma clandestinamente, cio senza la solennit di rito, per se valido quando e dove tali solennit non sono prescritte sotto pena di nullit.

Quest. 46. Consenso giurato. 1. Il consenso espresso con parole non di tempo presente, ma di tempo futuro, produce non il Matrimonio, ma gli sponsali ed anche se vi si aggiunge il giuramento non produce matrimonio, ma solo sponsali giurati. 2. E anche se invece del giuramento a un tale consenso si aggiunge latto coniugale esso non ancora produce Matrimonio.

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Quest. 47. Consenso estorto o condizionato. 1. Anche nel Matrimonio pu darsi che la volont di uno sia forzata ed il consenso sia estorto, perch ci pu avvenire in ogni contratto a cagione del timore incusso. 2. Tale coazione pu subirla anche un uomo forte quando costretto a subire un male minore per timore di un male maggiore; 3. ma una coazione cos forte da forzare anche la volont di un uomo forte non pu produrre un contratto perpetuo, perci non pu valere nemmeno per il Matrimonio, il cui vincolo perpetuo. 4. E poich il Matrimonio relazione fra due termini, se manca un termine la relazione non sussiste nemmeno per laltro termine; una perci non pu essere sposa di uno se questo non suo marito; non si d quindi matrimonio che zoppichi e se il consenso da una parte forzato, nullo anche per laltra parte che lo forza. 5. Il consenso condizionato produce il Matrimonio se la condizione di cosa presente e non contraria ai fini del Matrimonio, o di cosa futura ma certa perch gi presente nelle cause; non produce invece Matrimonio, ma solo sponsali se di cosa futura e incerta. 6. Nessuno pu essere comandato di contrarre matrimonio nemmeno dal proprio padre, perch il Matrimonio quasi uno stato di servit, e non si pu sottoporvi una persona libera.

Quest. 48. Oggetto del consenso. 1. Il consenso valido pel Matrimonio riguarda solo implicitamente latto coniugale ed esplicitamente esso riguarda il vicendevole dominio di se stessi che i coniugi luno allaltro si concedono, perch in questo e non in quello sta lessenza del Matrimonio. 2. Il consenso valido produce Matrimonio anche se fu causato da fini disonesti da raggiungersi con un Matri-

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monio onesto, perch essi sono posteriori al Matrimonio ed il precedente che rende cattivo il susseguente, non il susseguente che rende cattivo ilprecedente.

Quest. 49. Beni del Matrimonio. I. Bisogna convenire che il Matrimonio porta con se dei beni, altrimenti non ci sarebbe ragione di dire che il Matrimonio rende lecito ci che fuori del Matrimonio non lecito. 2. I beni che il Matrimonio porta con se sono: la prole, cui il Matrimonio mira; la fedelt coniugale che esso esige; e il Sacramento che esso , per la grazia che conferisce. 3. Di questi tre beni il pi degno di tutti il Sacramento, perch di ordine soprannaturale; se invece quei tre beni si considerano nellordine naturale ed essenziale primo la prole; secondo la fedelt; terzo il Sacramento, perch apparteniamo prima alla natura e alla grazia poi; 4. e latto coniugale, che fuori del Matrimonio un grave disordine, viene dai tre beni predetti giustificato in se stesso, in modo da essere per se stesso un atto buono, anzi santo; 5. perci se tale atto mira alla prole ovvero alla fedelt, che i coniugi si devono, senza peccato di qualunque gemere, altrimenti no. 6. Non per peccato mortale quando in tale atto si cerca solo la soddisfazione, sempre per nei limiti del Matrimonio.

Quest. 50. Impedimenti matrimoniali. 1. Gli impedimenti matrimoniali sono parecchi e convenientemente stabiliti: ci sono infatti gli impedimenti che riguardano la solennit del Matrimonio, cos come di altri Sacramenti, e questi lo rendono illecito, ma non invalido si di-

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cono impedienti; ci sono poi gli impedimenti che riguardano lessenza stessa del Matrimonio o da parte del contratto o da parte dei contraenti e questi lo rendono non solo illecito, ma anche invalido e si chiamano dirimenti.

Quest. 51. Lerrore. 1. Causa efficiente del Matrimonio il consenso della volont; un atto della volont presuppone un atto dellintelletto e un difetto in questo porta un difetto anche in quello; lerrore impedisce latto dellintelletto e quindi impedisce anche latto della volont e perci di diritto naturale lerrore invalida il Matrimonio; 2. non per qualunque errore invalida il Matrimonio, ma soltanto lerrore circa ci che in s o equivalentemente essenziale nel Matrimonio, e cio lerrore o della persona o della sua capacit giuridica a contrarre; ci, perch il Matrimonio unione di due persone ed vicendevole dominio che i coniugi si concedono ai fini del Matrimonio.

Quest. 52. Stato di schiavit. 1. Lo stato di schiavit impedisce ladempimento dei doveri coniugali, perci lo stato di schiavit ignorato dal consorte libero, e quindi di condizione superiore, rende invalido il Matrimonio. 2. Uno schiavo per pu contrarre Matrimonio indipendentemente dalla volont del suo padrone, perch fa uso di un diritto naturale, che non pu essere sopraffatto da nessun diritto civile. 3. E poich uno schiavo pu prendere moglie anche contro la volont del padrone, perci altrettanto un uomo libero pu darsi in servit contro la volont della moglie, perch con ci non compromette i doveri coniugali, e si ha cos la schiavit susseguente il Matrimonio.

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4. La condizione servile riguarda il corpo; questo i figli lo hanno dalla madre, perci i figli seguono in questo la condizione della madre; le dignit invece riguardano la personalit e questa fa capo il padre, perci nelle dignit i figli seguono la sorte del padre.

Quest. 53. Ordine Sacro e Voto. 1. Uno non pu pi disporre di una cosa quando ne ha trasferito in altri il dominio; ma la promessa di una cosa non trasferisce il dominio di quella cosa; il voto semplice semplice promessa di osservare nel corpo continenza in onore di Dio, perci dopo un voto semplice uno resta ancora padrone del suo corpo e se, contraendo Matrimonio ne cede al coniuge il dominio, la cessione valida bench illecita, perci il voto semplice, per s, impedimento impediente e non dirimente; 2. col voto solenne invece, annesso alla solenne professione religiosa, si trasferisce in Dio il dominio del proprio corpo mediante una specie di Matrimonio spirituale, perci dopo il voto solenne non se ne ha pi il dominio, non si pu pi cederlo ad altri col Matrimonio ed il voto solenne impedimento dirimente. 3. Per chi ha gli Ordini Sacri e deve trattare le cose Sacre la castit non solo decorosa, ma doverosa e nella Chiesa Latina gli ordini maggiori, sia per se stessi sia anche per il voto di castit, che vi annesso, sono un impedimento matrimoniale, che impedisce di contrarre Matrimonio a chi non lha contratto e proibisce luso del Matrimonio a chi lavesse prima contratto; 4. dopo il Matrimonio si possono ricevere gli Ordini Sacri se la moglie defunta o se, viva, acconsente allo stato di castit del marito; infatti se lecito, dopo il Matrimonio, darsi in servit di un uomo, ancora pi lecito darsi al servizio di Dio.

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Quest. 54. 1. La consanguinit il vincolo dei discendenti, da uno stesso stipite, contratto per naturale propagazione: questa completa definizione della consanguinit, perch nel suo genere di vincolo viene differenziata, quale specie, da chi ne soggetto e da ci che ne causa. 2. La consanguinit, che vicinanza naturale fondata sulla nascita, va distinta in gradi che si dicono di linea retta, se si tratta dei discendenti o ascendenti, e di linea traversale, se si tratta di collaterali; il computo legale dei gradi diverso dal computo canonico, perch il legale conta le generazioni da tutte due le parti fino allo stipite comune; invece il canonico le conta da una parte sola. 3. Il bene della prole, che il primo cui mira il Matrimonio, ostacolato dalla consanguinit, perci la consanguinit e un impedimento di diritto naturale; infatti lordine naturale e lonest domestica sarebbero sovvertiti se per esempio una figlia, che naturalmente soggetta al padre come i fratelli, potesse diventare uguale al padre e padrona; e se laffetto fraterno potesse scambiarsi collaffetto coniugale. 4. Come fece gi Mos per gli Ebrei, cos fa ora per i fedeli la Chiesa, ammaestrata dallo Spirito Santo; essa fissa i gradi di consanguinit che sono impedimento del Matrimonio, fermandosi precisamente a quei gradi che ordinariamente non rendono difficili le combinazioni di Matrimonio e che pi che un vincolo di parentela non rappresentano oramai che un vincolo di amicizia.

Quest. 55. Affinit. 1. Poich marito e moglie nellatto coniugale formano tuttuno, perci ciascun coniuge diventa attinente ai consanguinei dellaltro e questa attinenza, che sorge dal Matrimonio, si chiama affinit. 2. Laffinit causata dalla consanguinit, e come la consanguinit perpetua e non cessa colla morte di chi ne fu la radice, cos laffinit una volta contratta continua

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a sussistere anche dopo la morte del coniuge che ne fu il principio. 3. Quella commistione che si verifica nellatto coniugale e che causa dellaffinit si verifica anche nella fornicazione, perci anche questa per s produce affinit che i Canoni talora contemplano. 4. Dagli sponsali invece, che non sono Matrimonio, ma preparazione al matrimonio, non deriva affinit, ma soltanto ci che si dice pubblica onest. 5. Per laffinit che un marito contrae coi consanguinei della moglie si ferma in lui e non si trasmette ai consanguinei di lui e altrettanto avviene per la moglie, perch Canone giuridico che laffinit non produce affinit. 6. Laffinit precedentemente contratta un impedimento dirimente del Matrimonio; ma non ne spezza il vincolo se viene contratta dopo il Matrimonio. 7. Laffinit non ha gradi di per se stessa, ma poich causata dalla consanguinit riceve i suoi gradi dalla consanguinit; 8. e perci anche si estende per tanti gradi quanti sono i gradi della consanguinit (se la Chiesa cos dispone). 9. Un Matrimonio contratto fra i gradi proibiti di consanguinit o di affinit invalido, e per s va soggetto alla separazione; 10. a tale separazione da procedersi quando ne viene presentata accusa al Giudice ecclesiastico: 11. e laccusa si deve provare coi testimoni.

Quest. 56. Cognizione spirituale. 1. Il cristiano membro della Societ e anche della Chiesa e come per la generazione corporale, che lo fa membro della Societ, contrae un vincolo di cognazione naturale, che un impedimento matrimoniale, cos pure per la rigenerazione spirituale, che lo fa membro della Chiesa, contrae un

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vincolo di cognazione spirituale, che di impedimento al Matrimonio. 2. La spirituale rigenerazione comincia col Battesimo e si fa perfetta colla Cresima, perci la cognazione spirituale si pu contrarre solo col Battesimo e colla Cresima; 3. nella rigenerazione spirituale chi la riceve diventa figliuolo di Dio e della Chiesa; perci si contrae cognazione spirituale col Ministro, il quale fa le veci di Dio, e coi padrini, i quali fanno le veci della Chiesa. 4. La cognazione spirituale per s viene comunicata da un coniuge allaltro; 5. ed altrettanto passa per s dai genitori ai figliuoli carnali, perci le vecchie regole canoniche ne facevano un impedimento matrimoniale.

Quest. 57. Cognazione legale. 1. Adozione assunzione di una persona estranea in figlio, in cui il diritto positivo supplisce alla mancanza di generazione naturale colla generazione legale e conseguente cognazione legale. 2. Le stesse leggi civili di solito fissano la cognazione legale quale impedimento matrimoniale e a esse si conformano le leggi della Chiesa. 3. La cognazione legale si approssima alla cognazione naturale pi della cognazione spirituale; se pers quindi questa viene comunicata ad altri, pi facilmente pu estendersi ad altri la cognizione legale, per es. ai discendenti delladottato in linea retta e, in forma di affinit, alla moglie delladottato.

Quest. 58. Impedimenti vari. 1. Lincapacit allatto coniugale, quale si richiede pel primo bene del Matrimonio, che la prole, se un difetto naturale inguaribile

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e perpetuo rende impossibile il Matrimonio ed perci nullo il Matrimonio contratto con tale impedimento; 2. ed nullo il Matrimonio anche se tale incapacit inguaribile e perpetua dipendente da maleficio e stregoneria, pu essere quindi incapacit relativa non a tutte le persone, ma ad una s, ad altra no. 3. Anche la pazzia antecedente il Matrimonio rende il Matrimonio invalido, purch non sia stato contratto in un lucido intervallo. 4. Le leggi Canoniche vecchie considerano come impedimento del Matrimonio anche quella affinit che deriva da illecite; commercio carnale coi congiunti di chi gi, o sta per essere il coniuge. 5. Spetta alla legge positiva la determinazione dellet nella quale i contraenti sono dichiarati capaci di deliberazione sufficiente per il Matrimonio; perci anche la mancanza di et da considerarsi come impedimento dirimente il Matrimonio.

Quest. 59. 1. La prole, che il primo bene del Matrimonio, per il culto di Dio; la disparit di culto fra un fedele e un infedele impedisce tale effetto, essa perci un impedimento del Matrimonio. 2. Il Matrimonio ha per naturale scopo non soltantola generazione della prole, che pu aversi anche fuori del Matrimonio, ma bene ancora leducazione della prole fino al suo sviluppo perfetto; questo sviluppo perfetto pu essere o solo di natura o anche di grazia; bench questo, cio di grazia, sia esclusivo dei fedeli cristiani, quello invece, cio di natura, comune ai fedeli e anche agli infedeli, perci anche tra gli infedeli c il Matrimonio, per solo come ufficio di natura. 3. Quindi se di due coniugi infedeli uno si converte, il vincolo coniugale con ci non si spezza; anzi il convertito non solo pu rimanere unito al coniuge infedele, ma fa

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bene a rimanervi per la speranza di convertirlo; che se invece tale speranza non c, ma c invece il pericolo contrario, allora, come dice S. Paolo, non tenuto a rimanergli unito; 4. infatti se per restare fedele al suo coniuge c pericolo che egli divenga infedele a Dio, non pu essere tenuto a una simile obbligazione, tanto pi che per la rigenerazione del Battesimo morto alla vita precedente e conci anche al precedente vincolo che lo legava al coniuge; 5. e, liberato cos dal precedente vincolo, pu unirsi in matrimonio con altri; 6. Fuori per di tale caso il Matrimonio quanto al vincolo non si scioglie pi; si pu invece sciogliere quanto alla convivenza nei casi di infedelt spirituale o materiale, cio di apostasia o di adulterio; per altri vizi invece non da ammettersi nemmeno lo scioglimento della convivenza, potendo bastare un castigo temporaneo.

Quest. 60. Coniugicidio. 1. Chi coglie il coniuge in peccato pu ricorrere alla giustizia umana per farlo condannare alla pena anche se questa pena di morte; ma non pu farsi giustizia da s uccidendo il coniuge infedele: ed anche se ci fossero delle leggi civili che lo consentono, per la Chiesa invece c sempre colpa davanti a Dio e alla Chiesa stessa. 2. Chi invece procura la morte del coniuge allo scopo di sposare unaltra persona non pu sposarla e giustamente luxoricidio o coniugicidio un impedimento del Matrimonio, altrimenti il delitto sarebbe lecitamente utile.

Quest. 61. Voti solenni. 1. Chi si unito in Matrimonio non pu darsi a Dio senza il consenso del coniuge,

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perch non pu liberamente disporre di ci che non gli appartiene, perch dovuto al coniuge, 2. a meno che il Matrimonio non sia ancora perfetto, sia cio contratto bens ma non ancora consumato collatto matrimoniale, perch allora ancora libero di farsi religioso, ed in tal caso il Matrimonio si scioglie come per morte; 3. e che per es. una donna, il cui marito, dopo il Matrimonio contratto, ma non consumato, si fatto religioso, possa sposare un altro evidente, perch non si pu obbligare lei alla continenza per il marito che si fatto religioso.

Quest. 62. Infedelt del Matrimonio. 1. Nelle convenzioni uno non resta obbligato a tener fede allimpegno se la comparte vi manca; perci un marito pu allontanare da s la moglie infedele, eccettoch linfedelt non le sia importabile a colpa o che vi abbia colpa lo stesso marito. 2. Tale allontanamento della moglie infedele consentito dal Vangelo a scopo di correzione, perci non pi necessario se la correzione gi si verificata, invece doveroso se la moglie incorreggibile, altrimenti il marito sembra connivente. 3. Nel caso di infedelt della moglie il marito pu procedere di propria autorit per la separazione di letto, ma per la separazione di letto e di tetto deve invocare il giudizio della Chiesa in causa propria. 4. Marito e moglie in tali casi vanno giudicati alla pari, perch ladulterio proibito tanto alluno quanto allaltro coniuge, per se in quanto riguarda la mancanza alla fedelt coniugale il delitto uguale, in quanto invece riguarda il primo bene del Matrimonio, che la prole, il delitto della moglie maggiore. 5. Nessun fatto per sopravveniente al Matrimonio, neppure ladulterio, pu sciogliere il vincolo matrimo-

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niale e perci finch il coniuge infedele vivo laltro non pu passare ad altre nozze. 6. Il marito come pu fare a meno di allontanare da s la moglie infedele s, ma pentita, cos pu poi in qualunque tempo richiamarla; non deve per richiamarla se pertinace nel suo peccato.

Quest. 63. Le seconde nozze. 1. Il vincolo matrimoniale dura fino alla morte; colla morte di uno dei coniugi cessa, e perci il coniuge superstite pu sempre contrarre nuove nozze; 2. ed anche le nuove nozze sono Sacramento, perch anche in esse c la materia e la forma del Sacramento, cio le persone dei contraenti e il consenso.

Quest. 64. Annessi al Matrimonio. 1. Il Matrimonio ha anche lo scopo di essere di rimedio alla concupiscenza ed insieme esso radicalmente ufficio di natura, di quella natura, secondo il cui ordine di quanto appartiene alla potenza nutritiva non si d alla conservazione della specie se non di ci che sopravvanza alla conservazione dellindividuo; perci i coniugi sono sempre tenuti vicendevolmente al debito coniugale con ordine alla prole e salva prima lincolumit della persona; 2. Il rimedio viene dato dal medico anche se il malato non lo chiede; altrettanto perci il marito deve prestarsi al debito coniugale anche se la domanda della moglie solo interpretativa. 3. Lincolumit della prole correrebbe pericolo nei giorni delle purge mensili, perci allora latto matrimoniale rimane proibito come era nella Legge di Mos.

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4. La moglie per, dovendo obbedire al marito, anche in tale circostanza pu, dietro richiesta, prestarsi senza peccato al debito coniugale. 5. Marito e moglie si dicono coniugi, perci nel Matrimonio sono eguali, nel senso per che ciascuno egualmente tenuto ai doveri ed oneri del Matrimonio, ma luomo da uomo e la donna da donna. 6. I coniugi si hanno vicendevolmente ceduto il dominio di se stessi, perci nessun dei due pu pi disporre di s, nemmeno per consacrarsi a Dio, senza il consenso dellaltro. 7. Nei giorni che sono consacrati a Dio e allanima chiedere il debito coniugale non pu essere senza peccato; 8. questo peccato per non peccato mortale, perch la circostanza di tempo circostanza aggravante e non circostanza mutante specie del peccato. 9. Che se non senza peccato chiedere il debito coniugale in giorno sacro, per senza alcun peccato renderlo, perch cos parla S. Paolo. 10. Siccome per la celebrazione delle nozze porta molta dissipazione di spirito, essa doveva essere proibita nei tempi in cui i fedeli sono invitati ad elevare lo spirito.

Quest. 65. Poligamia. 1. Legge naturale quel concetto naturale che guida luomo a operare convenientemente in ordine al fine che compete a lui e come animale e come ragionevole; ci che fa contro tale fine si dice contrario alla legge naturale; il fine pu essere primario o secondario e ci che contrario al fine pu o totalmente impedirlo o soltanto renderlo difficile; ci quindi che impedisce il fine primario proibito dai primi precetti di natura; quello invece che impedisce il fine secondario o rende difficile il fine primario proibito dai secondi precetti di natura. Nel Matrimonio per tutti il fine primario la prole e il secondario la fedelt coniugale; per i

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cristiani poi c un terzo fine in quanto Sacramento: la pluralit delle mogli per tutti contraria al fine secondario del Matrimonio, bench non sia contraria al fine primario, essendoch non impedisce la procreazione e leducazione dei figli: per i fedeli poi essa contraria al terzo fine, perch se il Matrimonio simbolo dellunione di Cristo alla Chiesa, c un solo Cristo e una sola Chiesa. 2. Essendo la prole il fine primario del Matrimonio per questo fine poteva essere sacrificato il fine secondario del Matrimonio quando era necessaria la moltiplicazione della prole, come al tempo dei Patriarchi; per la legge dellunica moglie di diritto divino e perci occorreva che la dispensa da tale legge venisse da Dio. 3. Lunione invece con una donna colla quale non si uniti in Matrimonio, ma che solo concubina, servendo non al fine primario del Matrimonio ma alla passione cattiva, contro la legge naturale; 4. tale peccato poi non solo perch un disordine grave, ma anche per lautorit della Scrittura peccatomortale; 5. il disordine di tale peccato consiste nellessere contrario ai primi precetti di natura, che non ammettono mai dispensa; perci le concubine dei Patriarchi, di cui parla la Scrittura non erano vere concubine, ma piuttosto mogli di secondo grado.

Quest. 66. Bigamia. 1. Il Matrimonio comeSacramento simbolo dellunione di Cristo colla Chiesa e poich c un solo Cristo e una sola Chiesa, per essere perfetto deve essere Matrimonio di uno solo con una sola; la bigamia invece contraria a questo, perciessa una imperfezione ed importa irregolarit allOrdine Sacro. 2. La bigamia sia di diritto che di fatto, sia successiva sia contemporanea, ovvero sia anche similitudinaria,

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sempre imperfezione, perci anche chi ha due mogli una di diritto e una di fatto incorre nellirregolarit. 3. Anzi limperfezione ci sarebbe anche se uno contrae Matrimonio con una che ha gi perduta la verginit, perci anche in tal caso si incorre nella irregolarit. 4. Lirregolarit poi non si evita neppure ricevendo il Battesimo, perch il Battesimo toglie le colpe, ma non il vincolo coniugale da cui deriva lirregolarit. 5. Lirregolarit per non di diritto naturale, ma di diritto positivo e perci la Chiesa pu dispensare.

Quest. 67. Il libello del ripudio. 1. Il Matrimonio mira, come a fine inteso dalla natura, alleducazione della prole non per poco tempo, ma per tutta la vita, tanto che i figli sono naturali eredi dei genitori: la prole appartiene egualmente al padre e alla madre, la prole quindi richiede che padre e madre siano sempre uniti, perci lindissolubilit del Matrimonio di diritto naturale. 2. Come il corso naturale delle cose pu mutare o per lincontro di unaltra causa naturale o per lintervento di una causa soprannaturale, cos i precetti della legge naturale possono essere sospesi o per la prevalenza di precetti di maggior grado o per la dispensa data da Dio, come pu essersi verificato nel precetto dellinseparabilit del Matrimonio, che sembra non appartenere al fine primario della natura. 3. Al tempo della legge di Mos il mandar via la moglie non sembra sia stato reso lecito, ma piuttosto legalmente tollerato per evitare maggiori mali; 4. e conseguentemente non sembra sia stato lecito a una donna ripudiata sposare un altro uomo, ma piuttosto legalmente tollerato, cio non punito secondo la legge; 5. non poteva per il marito ripigliare la moglie ripudiata, e ci era prescritto affinch ponderasse bene il fatto.

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6. Il libello di ripudio era permesso per evitare luxoricidio cagionato dallodio, perci la causa del ripudio era lodio, ma questo stesso odio doveva avere le sue cause, che furono poi tanto disputate; 7. queste cause per nel libello del ripudio non venivano specificate, ma soltanto accennate in genere, per evitare le discussioni in merito.

Quest. 68. Prole illegittima. 1. Illegittimo ci che contro lordine della legge; i figli che nascono fuori del vero Matrimonio nascono contro lordine della legge di natura; essi quindi sono figli illegittimi. 2. Si subisce danno sia quando si privati di ci che era dovuto, sia quando non si consegue ci che si poteva conseguire: i figli illegittimi non subiscono danno nella prima maniera, ma lo subiscono nella seconda maniera, perch sarebbe stato diversamente di loro se fossero nati legittimi; ed appartiene alla Chiesa fare opera perch a loro sia provvisto. 3. I danni che incontrano i figli illegittimi sono fissati non per legge naturale, ma per legge positiva, perci dalla legge positiva tali danni possono anche essere tolti mediante la legittimazione.

Quest. 69. Luogo delle anime dopo la morte. 1. Gli spiriti non dipendono nel loro essere dai corpi, ciononostante Dio ha disposto che le cose corporali siano governate da sostanze spirituali e da ci ne deriv loro un legame ed anche una certa gradazione, perch le cose pi nobili furono assegnate a spiriti pi degni; in questa maniera si dice che anche gli spiriti hanno il loro luogo: il luogo pi eccelso, che chiamiamo Cielo, lo assegniamo a Dio e diciamo che anche i Santi sono in Cielo, perch

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hanno conseguita la perfetta partecipazione della divinit: alle anime belle convengono luoghi luminosi, luoghi tenebrosi alle animenere. 2. Come i corpi vanno o in alto o in basso secondo la loro tendenza se non sono trattenuti, cos le anime, sciolte dal legame del corpo, vanno direttamente o alla pena o ai premio meritato se qualche reato di pena temporale non le trattiene in Purgatorio. 3. Non possono le anime lasciare il Paradiso o lInferno nel senso di mutare lo stato di premio o di pena, e neppure nel senso di lasciare il loro stato di segregazione dalla conversazione coi viventi, perch costoro, legati come sono ai sensi, non possono direttamente trattare cogli spiriti; possono per gli spiriti per disposizione della Provvidenza farsi sentire e farsi vedere ai vivi o per ammonirli o per pregarli; questo per, essendo alcunch di miracoloso, possibile alle anime dei giusti quando lo vogliono; alle anime dei dannati invece possibile solo quando Dio lo permette. 4. La pace dopo la morte non si ha che per la fede in Cristo; il primo ad averla fu Abramo, perci lespressione: nel seno di Abramo , significa stato di pace dopo morte; ma poich prima dellAscensione di Ges al Cielo quello era uno stato di privazione della gloria, si chiamava anche margine o limbo dellInferno: ora per non si equivalgono pi seno di Abramo e Limbo. 5. Limbo non lo stesso che Inferno, perch dal Limbo sono usciti i Patriarchi e dallInferno non usc mai nessuno: perci, bench quanto a luogo possano essere lo stesso, in quanto il Limbo il margine dellInferno, tuttavia non sono lo stesso quanto alla quantit della pena che vi si soffre: 6. per la stessa ragione il Limbo dei Padri diverso dal Limbo dei fanciulli, bench il luogo possa essere eguale, perch i Patriarchi vi stavano colla speranza della gloria, che non hanno invece i bambini morti senza Battesimo.

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7. I ricettacoli delle anime non sono altro che gli stati delle anime, questi sono cinque e perci si distinguono cinque ricettacoli dopo la morte: Paradiso, Purgatorio, Inferno, Limbo dei Patriarchi e Limbo dei fanciulli.

Quest. 70. Sensibilit dellanima separata. 1. Le potenze sensitive sono proprie del corpo congiunto allanima, perci morto il corpo esse restano nellanima soltanto in radice, cio come nel principio loro proprio perch nellanima resta lefficacia di attuare di nuovo queste potenze se di nuovo al corpo essa si unisce. 2. A maggior ragione gli atti e le operazioni delle Potenze sensitive non restano nellanima separata dal corpo se non in radice e radice remota. 3. Come sono tormentati dal fuoco materiale dellInferno i demoni, che sono spiriti puri, cos tanto pi possono essere tormentate dal fuoco le anime, che sono forma sostanziale dei corpi; e non basta dire che i demoni sono tormentati dal fuoco in quanto lo vedono e in quanto lo temono, perch non lo temerebbero nemmeno, se sapessero che a loro, che sono spiriti, esso non pu nuocere: esso strumento della giustizia vendicatrice di Dio e lo strumento trasmette sempre il potere dellagente principale; pu anche essere deputato come luogo degli spiriti e coartarne cos la libert; in tal modo ha anche un potere naturale di punizione.

Quest. 71. Suffragi dei morti. 1. Le opere che facciamo valgono o come merito, che si basa sulla giustizia di Dio, o come orazione, che si basa sulla divina misericordia: quaggi le buone opere di uno non possono valere come merito e acquistare la grazia e la gloria per un altro; possono per valergli come orazione; per chi poi ha

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assicurata la sua salute eterna le altrui opere possono valere non solo come orazione ma anche come merito per effetto della carit, che si attua nella Comunione dei Santi, 2. e poich la carit abbraccia non solo i vivi ma anche i morti, che colla carit uscirono da questa vita, perci le opere buone dei vivi valgono da se stesse anche per i morti; e tanto pi valgono se sono indirizzate a loro suffragio. 3. Nei suffragi prestati dai peccatori bisogna distinguere il merito dellopera e il merito della persona; e nella persona bisogna distinguere il rappresentante dal rappresentato; ai defunti giova sempre il merito dellopera, p. es. la S. Messa; giova anche il merito della persona rappresentata, p. es. la Chiesa nei suoi ministri; non giova invece il merito del rappresentante, perch, se questi un peccatore, non ne ha. 4. Il suffragio giova anche a chi lo fa, perch, come opera buona fatta in stato di grazia, sempre meritevole di vita eterna; per come opera espiatoria giova solo allanima alla quale si presta il suffragio. 5. Nonostante lerrore di Origene, che anche inseguito fu da altri, bench mitigato e modificato, riprodotto, pi sicuro dire che i suffragi non giovano alle anime dei dannati; tanto vero che nella Chiesa per loro non si prega, perch allora tanto varrebbe pregare anche per i demoni. 6. I suffragi valgono invece per le anime del Purgatorio, perch esse sono in istato di salvezza, abbisognano di essi e ci sono unite nella Comunione dei Santi; 7. non valgono per lo contrario per i fanciulli che sono nel Limbo, perch essi non sono in istato di salvezza; 8. e non valgono nemmeno per i Santi del Paradiso, perch essi non ne hanno bisogno. 9. I suffragi dei vivi giovano ai defunti in quanto ci sono uniti nella carit e in quanto lintenzione si rivolge a loro; perci giovano le opere della carit e prima di

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tutte lEucarestia, che il vincolo della cristiana carit, poi lelemosina che frutto della carit; giovano infine le preghiere in quanto rappresentano lintenzione dei vivi rivolta ai defunti. 10. Le indulgenze direttamente si applicano a chi fa le opere ingiunte; ma queste i defunti non possono compierle, perci ai defunti le indulgenze non si applicano direttamente; possono per essere a loro applicate indirettamente, se lo concede chi dispensa le indulgenze; non per in potere del superiore ecclesiastico liberare dal Purgatorio le anime, perch sono fuori della suagiurisdizione. 11. Le pompe funebri, che sono un ufficio di umanit e un conforto per i superstiti, non giovano per s n ai morti n ai vivi; accidentalmente per giovano anche spiritualmente ai vivi e ai morti; ai vivi in quanto fanno pensare alla morte e sono una professione di fede nella risurrezione; ai morti in quanto richiamano la loro memoria e sono spesso un mezzo od una forma di fareelemosina. 12. I suffragi in quanto provengono dalla carit giovano a tutte le anime del Purgatorio, che tutte ci sono unite nella carit; ma in quanto provengono dallintenzione di chi li fa giovano soltanto allanima a cui sono indirizzati, come qua in terra il denaro che si paga per il debito di una persona viene conteggiato in favore di quella persona e non delle altre. 13. Bench nella letizia della carit tutti in Purgatorio godano dei suffragi che si fanno per tutti come se si facessero per uno solo; tuttavia, avendo il suffragio una efficacia limitata, i suffragi che si fanno per tutte le anime del Purgatorio non giovano a ciascuna di loro tanto quanto se fossero fatti per una solo; 14. e poich i suffragi, secondo lintenzione di chi li fa, giovano a quelle anime cui sono indirizzati e non alle altre, perci alle anime del Purgatorio giovano pi

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i suffragi speciali uniti ai suffragi comuni, che non i soli suffragi comuni.

Quest. 72. Invocazione dei Santi. 1. Nellessenza di Dio si pu conoscere tutto; tuttavia i Santi, bench vedano lessenza divina, non possono in essa conoscere tutto, perch vedono bens Dio, ma non lo comprendono; per siccome la loro beatitudine importa che conoscano tutto ci che a tale beatitudine si riferisce, cos in Dio i Santi conoscono la devozione, i voti e le preghiere che noi loro indirizziamo. 2. Il retto ordine importa che noi, che siamo lontani da Dio e a Lui pellegriniamo, siamo a Lui avvicinati da chi gli pi vicino e a Lui siamo condotti da chi gi nella Patria celeste: dobbiamo quindi rivolgerci allintercessione dei Santi: che se ci raccomandiamo alle preghiere delle persone sante che sono ancora quaggi, tanto pi dobbiamo farlo colle persone sante che sono lass. 3. Le Preghiere dei Santi in nostro favore sono sempre esaudite, perch essi non vogliono se non ci che vuole il Signore e la volont di Dio sempre si compie: pu esserci per da parte nostra qualche difetto che impedisce il frutto delle loro orazioni.

Quest. 73. Segni precursori del Giudizio. 1. La venuta del Signore per il Giudizio deve essere preceduta da particolari segni, spettanti alla dignit della sua potest giudiziaria per indurre gli uomini al rispetto e alla soggezione; quali per essi siano non si pu facilmente saperlo. 2. Allavvicinarsi del Giudizio pu darsi che il sole, la luna e le stelle per divina virt siano private della loro luce e cos si oscurino per atterrire gli uomini diallora.

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3. La Scrittura dice che le virt dei cieli o colonne del Cielo si scuoteranno; ci si pu intendere sia di tutti gli spiriti celesti, che resteranno meravigliati della novit che succeder; sia di quel Coro degli Angeli, che si chiamano Virt e che presiedono al giro degli astri, ai quali allora sottrarranno la loro assistenza.

Quest. 74. Il fuoco della conflagrazione finale. 1. LApocalisse annunzia che ci saranno cieli nuovi e terra nuova; questo rinnovamento importa una purgazione ed invero dovendo servire alla gloria dei beati necessario che vi siano eliminati quegli elementi di imperfezione e di peccato che ora vi sono. 2. Tale purgazione S. Pietro annunzia che avverr per mezzo del fuoco; e a ci il fuoco bene si presta, perch esso ha naturale capacit di sprigionare luce e non ammette in s elementi contrari, ma tutto a s riduce; 3. tale fuoco poi per la purgazione del mondo niente impedisce che sia fuoco come il nostro, perch come al tempo del diluvio il mondo fu purgato con acqua comune, cos convien dire che nella purgazione finale il mondo sar purgato con fuoco comune. 4. Nei cieli superiori non c nessuna disposizione contraria alla gloria, essi quindi non hanno bisogno della purgazione e non saranno dal fuoco toccati. 5. Gli elementi di cui risulta il mondo resteranno nella loro sostanza e perci conserveranno anche le qualit loro proprie; ma dalle disposizioni tendenti alla corruzione saranno purgati, perch a ci tende la purgazione del mondo. 6. Saranno poi purgati tutti e soli gli elementi che subirono linfezione del peccato e cio tutti e soli quelli che si trovano entro latmosfera che circonda la terra. 7. Il fuoco della finale conflagrazione preceder il Giudizio, perch al Giudizio i Santi si presenteranno col cor-

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po glorioso, per il quale il mondo deve essere gi preparato e discosto colla purgazione: ma quanto allazione di ravvolgere i cattivi esso continuer anche dopo il Giudizio. 8. Il fuoco della conflagrazione finale agir e di naturale virt e come strumento della giustizia di Dio; di naturale virt agir tanto sui buoni che sui cattivi, che allora vi saranno, ma come strumento della divina giustizia tormenter i cattivi, via non nuocer ai buoni, come avvenne dei tre fanciulli nella fornace; 9. quel fuoco poi, mentre involgendo i reprobi li travolger allInferno, trasporter i giusti nelle alte regioni della gloria insieme cogli elementi nobili.

Quest. 75. La Risurrezione finale. 1. Fine ultimo delluomo e sua perfezione finale la beatitudine; luomo non vi arriva in questa vita, e neanche vi arriverebbe nellaltra vita se non risorgesse il corpo, perch n il corpo proviene dal principio del male, per doverlo eliminare, n luomo consiste soltanto nellanima; perci la risurrezione dei corpi bisogna ammetterla; 2. e poich gli uomini sono tutti della stessa naturale ragioni che valgono per uno valgono per tutti, bisogna quindi ammettere la risurrezione generale di tutti. 3. Ciononostante la Risurrezione sar un a cosa miracolosa e non una cosa naturale, perch nessun principio attivo della risurrezione c nella natura e nessuna disposizione; infatti una prima privazione ha piuttosto ordine naturale di progresso a altre privazioni, anzich di regresso; tuttavia la risurrezione si pu dire naturale nel senso che luomo vi ha una naturale inclinazione e tendenza.

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Quest. 76. Causa operante la Risurrezione. 1. Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, ci ha liberati dalla morte, a Lui si deve quindi la nostra risurrezione; anzitutto Egli ne causa come Dio, poi ne causa quasi univoca come Dio-uomo; la sua Risurrezione poi causa, non solo esemplare, ma anche strumentale, della risurrezione nostra. 2. Il suono di tromba chiama allAssemblea, desta alla battaglia e invita alla festa, e la voce, il comando di Cristo sar la tromba che suoner alla nostra Risurrezione. 3. Come ora nel Governo del Mondo Iddio si serve del ministero degli Angeli, cos nella Risurrezione universale Iddio si varr del ministero degli Angeli, per la raccolta degli elementi materiali; invece la riunione dellanima al corpo sar opera immediata di Dio, come ora opera immediata di Dio la creazione dellanima e la sua immissione nel corpo.

Quest. 77. Tempo e modo della Risurrezione. 1. Giobbe dice che la Risurrezione non avverr prima della conflagrazione finale e ci conviene perch dovendosi risorgere in stato incorruttibile la Risurrezione deve essere differita alla fine del mondo. Cristo doveva risorgere prima, perch esso primizia dei risorgenti e pu risorgere prima chi ne ha speciale privilegio. 2. Come a ciascuno tenuto occulto il tempo della sua morte, cos tenuta occulta al mondo la sua fine ed il tempo della Risurrezione universale; il Signore ha detto che non lo sanno nemmeno gli Angeli; tantomeno quindi possono conoscerlo gli uomini ed effettivamente tutte le previsioni fatte finora sbagliarono tutte. 3. Neppure lora della Risurrezione si pu sapere con certezza, tuttavia non improbabile che essa avvenga sul fare del mattino, perch in tale ora si comp la Risurre-

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zione di Cristo, la quale lesemplare della Risurrezione nostra. 4. La Risurrezione, essendo opera dellinfinita potenza di Dio, si compir in un istante.

Quest. 78. Da che cosa si risorger. 1. Tutti risorgeranno da morte, infatti: se da Cristo abbiamo tutti la Risurrezione, da Adamo abbiamo ereditato tutti la morte; perci tutti dovranno morire per poi risorgere; per di pi se la Risurrezione universale e non c Risurrezione se non si cade prima colla morte, anche la morte sar universale; infine impossibile che nella conflagrazione finale alcuno resti vivo. 2. Per tale conflagrazione, che si compir col fuoco, tutto si ridurr in cenere e tutti perci risorgeremo dalla cenere, avverandosi cos il detto di Dio in pulverem reverteris. 3. Le ceneri poi colle quali si ricostituir il corpo di ciascuno, non hanno nessuna inclinazione naturale verso lanima che al corpo si riunir, perch non disposizione naturale, ma disposizione divina che dalle ceneri risorga il corpo umano.

Quest. 79. Identit di chi risorge. 1. Risurrezione non si pu dire quando lanima non riabbia il medesimo corpo di prima, perch risorgere vuol dire levarsi in piedi di nuovo ed di colui che cade il levarsi di nuovo in piedi; altrimenti non si direbbe Risurrezione, ma assunzione di un nuovo corpo; gli errori in proposito derivano sopratutto dal non considerare lanima come forma sostanziale e come principio dellessere e della vita del corpo. 2. Chi risorge numericamente il medesimo uomo di prima; infatti la Risurrezione si deve ammettere, perch

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altrimenti luomo non ottiene la sua perfezione finale n consegue il suo ultimo fine; qualora invece non sia lo stesso e identico uomo di prima chi risorge, ma un altro, la Risurrezione inutile allultimo fine, alla perfezione, cio, finale: in questo poi Giobbe nella Scrittura ci maestro infallibile. 3. Se le cose artificiali, nelle quali la materialit prevale pi che nelle naturali, si dicono rifatte e tornate quelle di prima, ancorch le parti materiali non ritornino allo stesso sito, tanto pi facilmente saranno quelli di prima i corpi dei risorgenti ancorch i resti e le ceneri del corpo non ricostituiscano la parte cui appartenevano prima: questo per quanto alla necessit della cosa, perch quanto alla convenienza certo conviene che le parti, almeno le essenziali, ritornino al posto di prima.

Quest. 80. Integrit dei risorgenti. 1. La Risurrezione avviene non per opera della natura, che pu essere difettosa, ma per opera divina, che perfetta; perci il corpo di chi risorge corrisponder perfettamente allanima, che ne la forma e il fine, e avr tutte le sue membra interamente; 2. risorgeranno anche i capelli e le unghie, perch anchessi appartengono alla perfezione umana, almeno di secondo ordine; sono infatti a protezione delle membra, che appartengono alla perfezione umana di primo ordine; 3. e poich tutto ci che appartiene allintegrit dellumana natura torner in chi risorge, col corpo risorgeranno anche i suoi umori, quelli si intende che appartengono alla costituzione del corpo. 4. Ci che veramente appartiene alla costituzione dellumana natura tutto ci che informato dellanima ragionevole, ed precisamente per lanima ragionevole che

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il corpo ordinato alla risurrezione, perci risorger del corpo tutto quello che informato dallanima ragionevole; 5. Per non risorger tutto ci che fu materialmente parte delle membra umane, perch deve risorgere tutto ci che appartiene veramente alla costituzione dellumana natura ed relativo alla specie umana, considerata nella sua quantit, figura, sito e ordine delle parti; invece la totalit della materia, che ci fu in un uomo dal principio alla fine della vita, eccede la quantit dovuta alla specie.

Quest. 81. Qualit dei risorgenti. 1. Dio far risorgere la natura umana senza difetti come senza difetti Dio la cre; perci tutti risorgeranno nellet della perfezione, che quella di Cristo, la cui Risurrezione lesemplare della nostra; di tale et risorger tanto chi mor vecchio, quanto chi mor bambino. 2. La quantit naturale in ciascuno di noi relativa non solo alla natura di uomo, ma anche alla natura di individuo e poich nella risurrezione non sar variatala natura di ciascun individuo, perci non risorgeranno tutti della medesima statura, perch qui non eguale la quantit naturale di ciascuno; tutti per risorgeranno colla statura che a ciascuno spettava, escluso ogni difetto, nellet della perfezione; 3. inoltre, appunto perch non sar variata la natura di ciascun individuo, ognuno risorger nel suo sesso, il che per non sar motivo di rossore, perch nellaltra vita la concupiscenza totalmente morta; 4. infine, essendo ordinata la Risurrezione alla perfezione dellumana natura, tutto ci che relativo non a perfezioni, ma a difetti della natura umana, quali sono le azioni della vita animale, non risorger e percinon ci sar nellaltra vita n il mangiare, n il bere, n il generare ecc.

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Quest. 82. Impassibilit dei Beati. 1. Dopo la Risurrezione nei Beati il corpo totalmente sottratto alle influenze esterne nocive e resta totalmente dominato dallanima spirituale, perci il corpo non soggetto a mutazioni contrarie alla disposizione sua naturale e cio impassibile. 2. Limpassibilit negativa, o esclusione dai dolori, sar eguale in tutti i Beati, ma limpassibilit positiva, cio il dominio dellanima sul corpo varier, perch esso deriva dalla visione beatifica e a essa quindi si proporziona. 3. Limpassibilit per non esclude dai corpi gloriosi la sensibilit fisica, altrimenti la vita dei Beati in Paradiso sarebbe allora quasi un sonno, che si dice mezza vita, il che contrasta colla perfezione che a tale vita compete: sar per diverso dal presente il modo di sentire, perch allora i sensi riceveranno ogni impressione secondo il loro essere spirituale, cio con mutazione spirituale anzich materiale; la mutazione spirituale paragonabile allocchio, che vede il rosso ma non diventa rosso; la mutazione materiale invece paragonabile alla mano che sente caldo e anche divien calda. 4. Nei Beati dopo la Risurrezione, saranno in azione tutti i sensi e non gi alcuni soltanto, perch cos esige la perfezione dovuta a tale stato la quale va riposta nelle potenze sensitive e nel loro atto insieme, pi che nelle potenze sensitive solamente.

Quest. 83. Sottigliezza dei corpi dei Beati. 1. Sottile si dice ci che penetra; la sottigliezza si attribuisce ai corpi nei quali predomina non la materia, ma la forma; nei corpi dei Beati dopo la Risurrezione la forma prevarr totalmente sulla materia, per il completo dominio dellanima, a loro quindi spetta la sottigliezza, chela Scrittura indica chiamandoli corpi spirituali.

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2. Se gli stessi Angeli non si possono distinguere numericamente tra loro se non perch sono in luoghi diversi, tanto meno si potranno distinguere fra loro due o pi Beati dopo la Risurrezione se non perch si troveranno in luoghi distinti, e perci non potr darsi che un corpo glorioso si trovi in uno stesso luogo con unc orpo non glorioso per la sola ragione della sua sottigliezza; potr per darsi per divina potenza che si trovi in uno stesso luogo insieme con un altro corpo e ci a perfezione di gloria; 3. non infatti impossibile che per miracolo due corpi si trovino in uno stesso luogo, perch tutte le cose dipendono e dalle loro cause prossime e soprattutto da Dio, causa prima di tutte, e Dio, causa prima, pu conservare in essere le cose anche cessando lazione delle cause seconde; e come pu conservare laccidente, anche scomparso il suo soggetto, cos pu fare che un corpo resti distinto dallaltro, bench quanto al sito la materia delluno non sia distinta dalla materia dellaltro; 4. per divina potenza potrebbe pure darsi che un corpo glorioso si trovi nello stesso luogo con un altro corpo glorioso, ma questo non avverr mai, perch il debito ordine, che in Paradiso regna, vuole che ciascuno abbia il suo luogo distinto e che uno non impedisca laltro; 5. anzi la sottigliezza non rimuover nemmeno la necessit che ciascun corpo glorioso occupi quello spazio che gli proporzionato, perch la sottigliezza non diminuisce le dimensioni del corpo glorioso, non essendo essa n rarefazione, n condensazione, ma solo penetrabilit; 6. la sottigliezza infine non render il corpo glorioso impalpabile, perch, come fu di Cristo risorto, cos sar dei corpi gloriosi, saranno cio tangibili ma non pertransibili; essi per, non per la sottigliezza, ma per virt soprannaturale, possono quando vogliono rendersi impalpabili.

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Quest. 84. Agilit dei corpi gloriosi. 1. Per il totale dominio che esercita sul corpo glorioso lanima, la quale ne non soltanto la forma sostanziale, ma anche il motore, il corpo pronto e spedito ad obbedire allanima in tutti i suoi moti e in ci sta la dote dellagilit; 2. di questa dote i Beati faranno uso certamente almeno quando saliranno al cielo, come fece Cristo, e potranno poi farne uso a loro volont per visitare le opere di Dio, n cesser allora la visione beatifica di Dio per loro, perch lo avranno sempre presente; 3. il loro moto esiger un, bench impercettibile, tempo, perch il loro corpo non diventa mai spirito cessando di essere corpo e devono sempre attraversare lo spazio; il loro moto quindi non sar assolutamente istantaneo, perch se ci fosse si troverebbero in due o pi luoghi insieme, il che contradditorio.

Quest. 85. Chiarezza dei corpi gloriosi. 1. La scrittura ci dice che i corpi gloriosi avranno anche splendore e in ci consiste la dote della chiarezza, dovuta dalla ridondanza della gloria dellanima sul corpo, e perci maggiore o minore secondo del Beato; 2. e poich la luce naturalmente colpisce locchio e locchio naturalmente riceve limpressione della luce, perci per la stessa chiarezza, senza che occorra un miracolo di Dio, lo splendore del corpo glorioso sar naturalmente visto anche da occhio non glorioso; 3. per per il totale dominio dellanima sul corpo dipender dalla volont del Beato essere visto o non visto, mostrarsi o non mostrarsi a chi non Beato.

Quest. 86. I corpi dei dannati. 1. I dannati risorgeranno deformi, ma non mutilati o difettosi per quei di-

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fetti che dipendono da debolezza di principii di natura, perch la risurrezione sar anche per loro ricostituzione della natura umana in forma perfetta: 2. e poich il tempo presente, che consuma ogni cosa, sar allora passato, perci anche i corpi dei dannati saranno incorruttibili e sottostaranno eternamente alla giustizia di Dio, 3. ci perch lincorruttibilit non importa impassibilit; infatti se cesser la cosidetta passione di natura, non cesser la passione di anima, colla quale patiranno i sensi.

Quest. 87. Cognizione dei propri meriti al Giudizio. 1. Al Giudizio la coscienza di ciascuno gli render testimonianza, perch per divina virt sar richiamato alla memoria di ciascuno ogni suo fatto e in ci consiste il libro della vita; 2. e poich allora necessario che anche la giustizia di Dio apparisca evidentemente a ciascuno, cos a ciascuno saranno noti anche i meriti e i demeriti degli altri e ciascuno ne conoscer il premio o la pena; 3. e bench ci non possa avvenire in un istante, perch p. es. i dannati non hanno lintelletto cos elevato da vedere tutto nel Verbo, come hanno i Beati, tuttavia ci per lonnipotenza di Dio avverr in brevissimo tempo.

Quest. 88. Tempo e luogo del Giudizio. 1. Dopo la Risurrezione deve esserci certamente un Giudizio Universale, in cui apparisca in tutto la Giustizia di Dio: il Giudizio particolare corrisponde allopera di Dio nel Governo del mondo: il Giudizio universale occorre alla completa e finale sistemazione del mondo e quale compimento dellopera iniziata da Dio nella Creazione del mondo.

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2. per da ritenere che la locuzione del Giudizio universale sar una locuzione mentale anzich orale, perch questa esigerebbe troppo tempo. 3. La fine del mondo non dovuta a cause create, cos come a cause create non dovuto il principio del mondo; perci come la cognizione del principio del mondo fu riservata a Dio, che lo cre quando volle, cos sar della fine del mondo e per noi il tempo del Giudizio finale ignoto. 4. Quanto al come si far e si raduner il Giudizio poco si pu sapere; si pu ritenere che si far nella valle di Giosafat, che vuol dire valle del Giudizio di Dio.

Quest. 89. Giudici e Giudicati. 1. Giudicare significa accusare, approvare la sentenza, sedere a fianco del Giudice, ma pi propriamente significa pronunciare sentenza; pronunciarla di propria autorit appartiene a Dio solo, comunicarla solennemente a chi spetta sar ufficio degli uomini giusti: 2. e sar premio di coloro che si fecero poveri per Cristo, affinch coloro che a tutto rinunciarono per Cristo siano messi a parte di ci che di pi grande vi in Cristo. 3. Il giudicare riservato a Cristo, Figlio di Uomo; potranno perci partecipare alla sua dignit di Giudice, chi partecipe dellumana natura, gli Angeli quindi non dovranno giudicare. 4. Ai diavoli spetta lesecuzione della sentenza sui dannati, perch giusto che chi si sottomise al diavolo col peccato gli sia sottomesso nella pena, mentre invece gli Angeli ministreranno ai buoni i lumi divini. 5. La potest giudiziaria spetta a Cristo per la sua umiliazione nella Passione: allora Egli pat per tutti, tutti quindi gli compariranno al Giudizio. 6. Il Giudizio importa due cose: discussione dei meriti e sentenza di premio o di pena; i buoni compariranno a

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Giudizio per la sentenza di premio; quanto invece alla discussione dei meriti, essa non si far per coloro che hanno minimi demeriti; si far invece per coloro che hanno meriti mescolati con demeriti, ma finir con sentenza assolutoria; 7. i cattivi compariranno al Giudizio per la sentenza di pena; quanto invece alla discussione dei meriti essa si far solo per coloro che ebbero la fede, che la radice del merito. 8. Gli Angeli non subiranno un giudizio diretto, ma soltanto un giudizio indiretto, relativo cio allopera da loro prestata agli uomini, che accrescer la gioia degli Angeli buoni e accrescerli, la pena dei demoni, avendo essi colla loro istigazione accresciuta la comune catastrofe infernale.

Quest. 90. La venuta del Giudice. 1. Il potere di giudicare dovuto a Cristo come Figlio di uomo, perch fu colla sua Passione che Cristo acquist il dominio sullUniverso; perci Cristo comparir al Giudizio nellumana natura. 2. E poich il giudicare atto di autorit e di gloria, perci apparir in forma gloriosa. 3. Lessenza della Beatitudine sta nella visione di Dio; la Beatitudine poi gaudio, perci la Divinit non si pu vedere senza gaudio; gli empi quindi al Giudizio vedranno i segni evidenti della Divinit di Ges Cristo, ma non ne vedranno la Divinit, altrimenti sarebbero beati.

Quest. 91. Il mondo dopo il Giudizio. 1. Il mondo fu creato da Dio come abitazione degli uomini; labitazione deve convenire a chi labita; dopo il Giudizio luomo

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sar glorificato, perci anche il mondo, sua abitazione avr la sua innovazione, mediante laggiunta di una tal perfezione di gloria per cui meglio rispecchi la maest di Dio. 2. Tutto il mondo e anche gli astri del cielo furono creati per luomo, ma quando luomo sar glorificato non avr pi bisogno di quegli influssi e moti degli astri che ora alimentano quaggi lo sviluppo della vita, quei moti degli astri perci allora cesseranno. 3. Linnovazione che il mondo avr dopo il Giudizio ha per iscopo di rendere quasi sensibile Dio agli uomini, al che serve il maggiore splendore che il mondo avr e, poich lo splendore degli astri sta nella luce, alla innovazione del mondo gli astri avranno chiarezza e luce. Le tenebre allora saranno ridotte al centro della terra, che perci luogo conveniente per i dannati. 4. Alla innovazione del mondo avranno maggior chiarezza e luce gli astri del cielo, e per riflesso anche i corpi della terra; non tutti per egualmente, ma ciascuno secondo la sua attitudine. 5. Ma di piante e di animali allora non ci sar pi bisogno, perch essi furono creati per conservare la vita delluomo, e luomo allora sar incorruttibile.

Quest. 92. La visione beatifica. 1. Se la Beatitudine, che lultimo fine delluomo, consiste nella visione beatifica, bisogna dire che lintelletto umano pu vedere Iddio nella sua essenza, cio pu vedere Dio quale , nonostante linsuperabile distanza che c fra lintelletto nostro e la divina essenza; in modo che lessenza divina, la quale atto puro, informi di s lanima del beato ed avvenga una specie di unione come c in noi fra lanima spirituale, che la forma, e il corpo, che la materia. 2. I beati per non vedranno Dio dopo la Risurrezione cogli occhi corporali, perch questi percepiscono soltanto

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colori e dimensioni, che in Dio non vi sono; degli occhi corporali i beati potranno servirsi per vedere le bellezze del mondo innovato annuncianti Dio, e per vedere lumanit di Cristo; cos Dio sarebbe per locchio un sensibile per accidens, ma non pu mai essere un sensibile per s. 3. Per i Santi, pur vedendo Dio, non vedono anche tutto ci che vede Dio, il quale conosce tutte lerealt colla scienza di visione e conosce tutti i possibili colla scienza di semplice intelligenza: i beati non possono conoscere tutti i possibili, perch a ci occorre un intelletto uguagliante la infinita potenza di Dio, mentre il loro intelletto resta sempre un intelletto finito; non conoscono tutte le realt, bench vedano Dio, perch conoscere la causa non vuol dire conoscerne tutti gli effetti: la scienza dei beati varia perci secondo il loro lume di gloria con cui vedono la divina essenza.

Quest. 93. Beatitudine e mansioni dei Santi. 1. La beatitudine dei Santi sar maggiore dopo il Giudizio, perch collanima riunita al corpo glorificato sar pi perfetta la loro natura e con ci pi perfetta anche la loro operazione; con ci per sar maggiore estensivamente, non sar invece maggiore intensivamente. 2. Mansione significa posto raggiunto in cui si rimane, perci le mansioni dei Santi sono i modi coi quali raggiunsero mediante il moto di volont lultimo fine; tali modi sono diversi, secondoch vi arrivano pi o meno vicino, diverse quindi sono in cielo le mansioni ossia i gradi di beatitudine. 3. Le mansioni sono diverse secondoch sono diversi i gradi della carit, la quale quaggi la ragione del merito, principio remoto della beatitudine; e in cielo la ragione della visione beatifica, principio prossimo della beatitudine.

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Quest. 94. Relazione dei Santi coi dannati. 1. Ai Santi bisogna riconoscere tutto ci che conferisce alla loro beatitudine; a questa conferisce la conoscenza del suo opposto, per essere della beatitudine maggiormente lieti e grati a Dio; perci i beati conoscono le pene dei dannati; 2. i beati per non ne sentono compassione, n nel senso di partecipazione alla pena, perch sono beati, e neppure nel senso della misericordia, che cerca di allontanarne i mali, perch ci oramai impossibile e sarebbe una misericordia inutile; 3. ma i beati neppure godranno di tali pene inquanto i dannati ne soffrono; ne godranno, invece in quanto in esse si mostra la giustizia di Dio e in quanto da quelle essi furono scampati.

Quest. 95. Dote dei beati. 1. Il Paradiso una specie di matrimonio spirituale dellanima con Cristo, perci come nei matrimoni terreni la sposa viene fornita di dote e di ornamenti, cos, per lingresso in Paradiso, lanima, come indica la Scrittura, viene dal Padre fornita di dote e di ornamenti spirituali. 2. Poich la Beatitudine unoperazione e la dote invece un possesso, la dote si deve fare piuttosto consistere in disposizioni e qualit ordinate alla stessa Beatitudine. 3. A Cristo non compete avere tale dote, n averla in tale senso, perch lunione in Lui della natura umana alla natura divina non un matrimonio spirituale, ma ununione ipostatica; con ci per non si nega che Cristo possegga in grado eccellente ci che nei Santi forma la dote. 4. Spose di Cristo diventano in Paradiso le anime dei fedeli che appartengono alla Chiesa, vera sposa di Cristo, ma gli Angeli non appartengono alla Chiesa, a loro perci non compete lo sposalizio con Cristo e non compete a

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loro la dote del Padre; nulla tuttavia impedisce che si possano a loro attribuire metaforicamente almeno quelle prerogative che formano la dote dei beati. 5. La dote dellanima beata consiste in tre doni: cio vedere Dio, conoscerlo come bene presente e sapere che tal bene presente da noi posseduto; ci corrisponde alle tre virt teologali fede, speranza e carit.

Quest. 96. Le aureole. 1. In Paradiso il premio essenzialmente consiste nellunione perfetta dellanima con Dio posseduto e amato; questo premio detto metaforicamente corona aurea: laureola, invece, diminutivo, qualcosa di inferiore e accidentale, derivato o sopraggiunto; perci si chiama aureola sia la gloria del corpo derivata dalla gloria dellanima, sia il gaudio delle proprie opere buone in cui si vede la propria vittoria, che si aggiunge al gaudio di possedere Dio e cos laureola distinta dalla corona aurea. 2. Dallaureola differisce il frutto, che consiste nel gaudio che proviene dalla stessa disposizione danimo del beato per un maggior grado di spiritualit conseguita dallavere approfittato della parola di Dio: tanto poi esso ne differisce che il frutto viene dalla Scrittura attribuito a tali ai quali non si attribuisce laureola. 3. Il frutto spetta pi alla continenza che alle altre virt, perch essa, liberando luomo dalla soggezione della carne, lo introduce nella vita spirituale, 4. e proporzionatamente alla misura di spiritualit che la continenza procura ci sono tre frutti, menzionati dal Vangelo cio il trentesimo, dovuto alla continenza coniugale; il sessantesimo, dovuto alla continenza vedovile e il centesimo, dovuto alla continenza verginale. 5. La verginit poi, per ragione della particolare vittoria sopra la carne, che essa rappresenta, importa anche laureola, poich per la verginit virt in quanto vo-

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lont di perpetua integrit di mente e di corpo, perci tale aureola compete a coloro che ebbero il proposito di conservare perpetuamente la verginit. 6. Se dovuta laureola alla verginit, che perfetta vittoria interna, si deve laureola anche alla perfetta vittoria esterna, che quella dei martiri; ed perfetta la vittoria dei martiri, perch essi affrontano la stessa morte che il maggiore dei mali esterni, e la affrontano per Cristo, cio per la causa pi bella che ci sia; bene dice S. Agostino: Fa martire non la pena, ma la causa . Se causa del martirio non si dice la Fede, ma si dice Cristo, tutte le virt, non politiche, ma infuse, che hanno per fine Cristo sono causa di martirio. 7. E poich una perfetta vittoria anche quella che riportano i Dottori cacciando il diavolo da s e dagli altri colla predicazione e colla dottrina, perci anche ai Dottori si deve laureola, come la si deve ai vergini e ai martiri per la vittoria riportata sulla carne e sulmondo. 8. A Cristo, che la ragione principale e piena di ogni vittoria, non si deve laureola, che soltanto partecipazione di vittoria; e questo si dice non per negargli un pregio, ma per affermarlo superiore allaureola, che voce diminutiva. 9. Agli Angeli non si deve aureola, perch essa corrisponde a una vittoria riportata con di mezzo il corpo e gli Angeli non hanno corpo. 10. Laureola lhanno anche adesso i Santi del Paradiso; essa consiste in gaudio e merito che sono propri dellanima, al corpo quindi non dovuta aureola se non come ridondanza dello splendore dellanima. 11. Tre sono le battaglie che incombono ad ogni uomo: contro la carne, contro il mondo e contro il diavolo; tre le vittorie privilegiate che se ne possono quindi riportare; tre i privilegi ad aureole corrispondenti, cio laureola dei vergini, dei martiri e dei dottori.

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12. Assolutamente parlando, laureola dei martiri la pi eccellente, perch la loro battaglia la pi aspra; ma in un certo senso superiore laureola dei vergini, perch la loro battaglia pi lunga, pi pericolosa, pi stringente. 13. Il premio si proporziona al merito, questo pu essere maggiore o minore; maggiore o minore perci pu essere anche il premio accidentale cio laureola, uno quindi pu avere unaureola gi fulgida dellaltro.

Quest. 97. Pena dei dannati. 1. I dannati non avranno soltanto pena del fuoco, ma anche da altri elementi, perch il fuoco finale che purgher il mondo elever al cielo gli elementi nobili a gloria dei beati e travolger allinferno gli elementi ignobili a pena dei dannati. 2. Il verme dei dannati sar un verme spirituale, cio il rimorso, ma non sar un verme materiale, perch il fuoco finale non lascier pi nessun animale o pianta. 3. Il pianto dei dannati non sar pianto corporale, come versamento di lagrime, perch ci sarebbe contrario allincorruttibilit che ai dannati spetta; sar invece pianto corporale come commozione e turbamento. 4. I dannati si troveranno immersi in tenebre corporali, e soltanto nella penombra avranno la vista afflittiva di ci che li tormenter, perch cos compete ai dannati. 5. Il fuoco dei dannati sar corporale, perch dovendo tormentare i corpi dopo la Risurrezione deve essere fuoco corporeo per essere pena adattata ai corpi. Bench per esso sia materiale come il nostro, per certe sue particolari propriet non come il nostro; 6. ma tali sue propriet per cui differisce dal nostro, quali quelle di non consumare e di non consumarsi, non fanno s che il fuoco dellinferno non sia della stessa specie del nostro, perch il fuoco sempre fuoco nonostante la diversit delle materie cui appiccato.

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7. In che parte del mondo sia situato linferno, dice S. Agostino, non credo lo sappia alcuno, se lo Spirito Santo non glielo rivela ; tuttavia, secondo le espressioni della Scrittura, da ritenersi che sia sotterra; tanto pi che cos indica il nome inferno, cio parte inferiore a noi, e che quello il sito conveniente ai dannati, come il cielo il luogo conveniente ai beati.

Quest. 98. Volont e intelletto dei dannati. 1. Nonostante che nei dannati resti linclinazione naturale al bene, di cui autore Dio, tuttavia la volont loro propria contraria a Dio, che lultimo fine e il sommo bene e anche quando vogliono qualche bene lo vogliono per fine cattivo, perci la volont dei dannati sempre cattiva; 2. quindi i dannati non si pentono del male che hanno fatto per se stesso; ma si pentono per la pena che ne devono portare; 3. e di volont deliberativa non possono desiderare di esistere, cio di assolutamente non essere, perch ci non rappresenta nessun bene, rappresenta invece la totale privazione di ogni bene; possono per desiderare di non essere cos male, perch la privazione del male importa un qualche bene. 4. Come i beati per la carit perfetta godono del bene di tutti, cos i dannati per lodio consumato si contristano del bene altrui e vorrebbero che anche i buoni fossero allinferno. 5. Dio, nonostante che sia la bont per essenza, i dannati lo odiano, perch non lo conoscono in s, ma lo conoscono negli effetti della sua Giustizia, che alla loro volont ripugna. 6. Questa cattiva volont per in loro non pi n colpa, n demerito, perch se il merito in ordine a altre cose, essi nulla pi hanno da sperare e nulla di pi da temere.

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7. Ai dannati compete tutto ci che converge alla loro miseria affinch sia perfetta, perci compete ai dannati luso delle cognizioni che in questo mondo avevano per rattristarsene, considerando il male fatto e il beneperduto. 8. Di Dio, in quanto fonte dogni bont, non penseranno i dannati, perch tale pensiero di conforto; invece penseranno di Dio in quanto nella punizione risentono gli effetti della sua giustizia. 9. I dannati prima del Giudizio potranno vedere che i beati sono in gloria e ne saranno punti di invidia; dopo il Giudizio saranno privati di ogni vista dei beati, ma ne saranno tormentati lo stesso, cio della loro memoria.

Quest. 99. Misericordia e Giustizia di Dio nei dannati. 1. Chi pecca mortalmente contro Dio, che infinito, merita una pena infinita e questa deve scontarsi collinferno eterno: difatti nelle pene si distingue lacerbit e la durata; alla colpa poi vien proporzionata la loro acerbit, ma non la durata; quindi che un adulterio, che pur si compie in un momento, non si punisce colla pena di un sol momento nemmeno per legge umana; la durata della pena si proporziona invece alla disposizione danimo di chi pecca e come il traditore della patria si reso per sempre indegno della sua citt, cos chi offende Dio si rende per sempre indegno del suo consorzio; e chi sprezza la vita eterna meritala morte eterna. 2. Che le pene dellinferno, sia degli uomini, che dei demoni, abbiano fine per divina misericordia un errore di Origene, contrario alla Scrittura e alla Giustizia stessa di Dio, perch se hanno termine le pene dei dannati, dovrebbe altrettanto finire anche il gaudio dei beati. 3. La misericordia di Dio non impedir che anche gli uomini, oltre ai demoni, siano in eterno puniti, perch gli

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uni e gli altri sono per sempre ostinati nel male e non possono essere perdonati. 4. Non terminer per la divina misericordia, neppure la pena di quei dannati che furono cristiani, perch anche essi come gli altri dannati non hanno tenuto la via della salute, bench labbiano conosciuta; anzi per questo sono pi rei degli altri, 5. e anche i cristiani, che fanno opere di misericordia saranno ciononostante eternamente puniti, se moriranno in istato di peccato, perch senza la grazia nulla giova per meritare la vita eterna.

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