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Universita degli studi di Nilano

Dipartimento di studi sociali e politici




Working Papers
del Dipartimento di studi sociali e politici

n. 6 f 200+



I dIrIttI dcI pnpn!I IndIgcnI.

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prIncIpIn dI autndctcrmInazInnc


Roberto Cammarata




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1
I DIRITTI DEI POPOLI INDIGENI
Lotte per il riconoscimento e principio di autodeterminazione

di Roberto Cammarata
*








Premessa

Sebbene su tematiche come quelle inerenti ai diritti fondamentali non sia certo la dimensione
quantitativa a mostrare la reale portata delle questioni, quando si parla di popoli indigeni bene
iniziare dicendo che ci si riferisce a circa 350/400 milioni di attuali abitanti del nostro pianeta
1
.
Questo per sgombrare immediatamente il campo dallidea che quella che viene definita la que-
stione indigena riguardi solo il passato della storia dellumanit o, al pi, un settore estremamen-
te marginale, se non residuale, dellattuale popolazione mondiale. Al contrario, vedremo come
tale questione sia ben presente nellagenda istituzionale e nel dibattito, sia politico che accademi-
co, internazionale dellinizio del terzo millennio.
Nel 2004 giunge a termine il decennio internazionale dei popoli indigeni dellO.N.U. (1995-
2004). Una decade che, nonostante gli sforzi delle Nazioni Unite e le enormi trasformazioni fatte
registrare dal movimento indigeno, dal punto di vista del percorso istituzionale di riconoscimento
rischia di risolversi in un sostanziale e clamoroso stallo. Vista la scarsa conoscenza della tematica
e la conseguente scarsa coscienza delle sue implicazioni, vale la pena soffermarvisi, provando ad
analizzare le motivazioni, di natura teorica ma a mio avviso soprattutto politica, di questo
empasse. Ci anche alla luce dei progressi che in tal senso si sono potuti registrare nella decade
immediatamente precedente, senza peraltro far cessare quella che, non va dimenticato, continua
ad essere una situazione di conflitto, di dominazione e resistenza.

*
Desidero ringraziare Fabio Calzolari per aver contribuito con la propria collaborazione, le proprie conoscenze e il la-
voro svolto sul tema, alla redazione di questo paper.
1. Per comprendere meglio il significato di tale cifra opportuno considerala anche dal punto di vista dinamico. Jairo
Agudelo Taborda, studioso colombiano e membro del Forum Giustizia Internazionale e Diritti Umani dellUniversit di
Pavia evidenzia in tal senso come dei 350/400 milioni stimati, circa 35 milioni vivono nelle Americhe, dei quali 33 milioni
nel solo subcontinente latinoamericano. Si calcola che nel 1492, allarrivo degli europei, nelle Americhe vi fossero circa
80 milioni di abitanti, appartenenti a 2.000 culture diverse. Nel 1580, a seguito della conquista e della prima colonizzazio-
ne, erano rimasti solo 5 milioni di amerindiani. Secondo lOrganizzazione panamericana della sanit, oggi vi sono circa

2
Pi specificamente in questo lavoro mi propongo di analizzare e mettere a confronto, da un la-
to, le diverse (e anche nuove) rivendicazioni che emergono dal mondo indigeno e, dallaltro lato,
le conseguenti risposte istituzionali, concentrandomi in particolare sul piano del diritto interna-
zionale.
E evidente che parlando di diritti dei popoli indigeni ci si trovi immediatamente catapultati
nella complessa questione della comunicazione interculturale. E possibile utilizzare nostre
categorie concettuali per descrivere e comprendere altre realt sociali e culturali? E possibile
dare una definizione dellarea semantica dei concetti di diritto e di diritti che possa essere accetta-
ta dalla nostra cultura cos come dalle culture indigene? E possibile ridefinire, riconcettualizzare
i diritti umani in chiave multiculturale? Esiste o non esiste una dimensione collettiva dei diritti
fondamentali?
Come ebbe a dire Ted Moses, uno dei massimi esponenti del movimento indigeno canadese, a
met degli anni 90:
Per le nostre culture il concetto di diritto individuale esiste solo allinterno della colletti-
vit. E dagli obiettivi comuni, dalle relazioni interpersonali e da quelle con la Madre Ter-
ra che derivano i diritti e le responsabilit dei singoli. Negarci il riconoscimento dei nostri
diritti collettivi significa negare al singolo i vantaggi della nostra identit collettiva e
quindi separare due cose che per noi sono tuttuno.
2
.
Analizzare questa affermazione significa muoversi in quello spazio di riflessione che interseca
le aree di confine fra le discipline della sociologia del diritto, dellantropologia giuridica, della
filosofia del diritto, della teoria generale del diritto, nonch nel caso specifico del diritto interna-
zionale. Ed proprio in tale spazio che vuole situarsi questo contributo alla comprensione di
alcuni aspetti di una problematica che ha profonde radici nella storia e, allo stesso tempo, pesan-
tissime implicazioni per il presente e lavvenire di milioni di esseri umani.
Non mio intento addentrarmi in questa sede nel dibattito fra relativisti e antirelativisti, fra
individualisti e collettivisti, n rendere conto di quello che stato in antropologia il dibattito

400 gruppi etnici diversi. (Jairo Agudelo Taborda, Il diritto a difesa dei popoli indigeni dellAmerica Latina, in Missione
Oggi n. 2/2002, Ed. CSAM, Brescia).
2 Il discorso riportato nel sito internet: http://www.gfbv.it/3dossier/popoli/pop.3.html.

3
sullo statuto epistemologico del concetto di diritto
3
, o ripercorrere le diverse posizioni sul multi-
culturalismo
4
.
Si tratta qui, piuttosto, con riferimento alla questione indigena, di comprendere se e in quale
misura gli stessi strumenti giuridici votati alla promozione dellemancipazione universale (i diritti
umani) non contengano in s anche elementi di freno alla stessa
5
e in tal caso analizzarne e valu-
tarne la portata e le conseguenze. In altre parole, si tratta di porsi alla ricerca di quelle tracce di
etnocentrismo presenti in tali strumenti, capaci di mettere a repentaglio la reale efficacia delle loro
disposizioni.
Cercher di fare ci ponendo in modo particolare lattenzione su quello che uno dei principi
cardine del diritto internazionale umanitario, il principio dellautodeterminazione dei popoli, e
indagando come lo stesso diritto internazionale traduca tale principio/diritto con riferimento ai
popoli indigeni. Mi soffermer in particolare sulle potenzialit presenti in quella che la dottrina
individua come la dimensione interna del principio di autodeterminazione. Vedremo, infatti,
come tale configurazione del principio coincida nella sostanza con quelle che sono le rivendica-
zioni del movimento indigeno, senza porsi in termini confliggenti col mantenimento dellintegrit
politico-territoriale dei singoli Stati.
Per tracciare un quadro che fornisca le chiavi interpretative della questione cos come si pre-
senta oggi necessario ricostruire, in estrema sintesi, gli ultimi passi di questo percorso di ricono-
scimento, soffermandosi in modo particolare sulle nuove strategie, modalit e forme assunte dalla
presenza indigena nel panorama politico internazionale.

Un decennio di lotte e rivendicazioni indigene

Il decennio che giunge al termine si distinto per la particolare fase che stanno vivendo i
movimenti indigeni, presenti e attivi come non mai sulla scena internazionale. Cercher pertanto
in primo luogo di delineare i tratti distintivi e i momenti significativi di queste lotte per il ricono-
scimento. Prender in considerazione in modo particolare il contesto geopolitico che pi di ogni

3 Conosciuto come dibattito Gluckman Bohannan. Una breve ricostruzione viene offerta da B. de Sousa Santos in
Estado, Derecho y Luchas Sociales, ILSA, Bogot, 1991.
4 Cfr. J. Habermas, C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Elementi Feltrinelli, Milano, 1998.
5 Cfr. B. de Sousa Santos, Toward a multicultural conception of Human Rights, in Sociologia del diritto, n. 1/1997; T.
Pitch, Lantropologia dei diritti umani, in A. Giasanti e G. Maggioni (a cura di), I diritti nascosti, Raffaello Cortina editore,
Milano, 1995.

4
altro ha mostrato al mondo quella che Jos Bengoa chiama la emergencia indgena
6
, lAmerica
Latina.
Bengoa descrive il nuovo emergere del movimento indigeno suddividendolo in tre periodi. Il
primo periodo, riscontrabile negli anni Ottanta, consiste nellapparizione a livello locale di diver-
se nuove organizzazioni indigene, spesso legate allattivit delle Ong o delle Chiese presenti sul
territorio. Il secondo periodo (quello dal quale partir la nostra analisi) inizia con la preparazione
della Celebrazione dei 500 anni dalla scoperta dellAmerica e culmina nel 1992 con le grandi
manifestazioni organizzate direttamente dalla Spagna. Il terzo periodo propriamente quello che
lautore chiama la emergencia indgena degli anni 90 e che vede nelle sollevazioni in Ecuador e
in Chiapas i suoi picchi pi elevati. Lautore individua poi lavvio di una nuova tappa, della quale
per ancora difficile dire se segni linizio di un nuovo periodo o se sia da considerarsi la conti-
nuazione di quello precedente. E la tappa della negoziazione e dellistituzionalizzazione della
domanda indigena
7
.
Il 1992 lanno del cinquecentenario, ovvero del cinquecentesimo anniversario della Con-
quista, con le relative pompose celebrazioni in onore di Colombo e della civilt nata dalla sua
impresa. Ma il 1992 anche lanno delle contromanifestazioni indigene lungo tutto il continente
americano. Lintento dichiarato quello di riportare allattenzione mondiale la questione indige-
na e proporre una diversa lettura della conquista (qui, inevitabilmente, con la c minuscola) e
dei cinquecento anni di storia che ne sono seguiti, questa volta dal punto di vista di chi lha subita
e di chi ne subisce tuttoggi le dirette e indirette conseguenze. Gli indigeni americani approfitta-
rono dellopportunit per far sapere al mondo che erano vivi, che c continuit tra i popoli prei-
spainici e i popoli indigeni del ventesimo secolo, che questi popoli vivono ancora oggi una situa-
zione di dominazione, di discriminazione, di misconoscimento; che i loro diritti in quanto popoli
e i diritti delle persone che in essi si riconoscono non solo sono sistematicamente violati, ma
spesso non sono nemmeno riconosciuti. Quello del cinquecentenario fu anche il contesto nel qua-
le sono potute emergere nuove identit indigene, nuovi discorsi sulletnicit, nuove organizza-
zioni e nuovi movimenti
8
, perch si venisse a creare una nuova e moderna coscienza indigena.

6 Jos Bengoa, La emergencia indgena en America Latina, Fondo de cultura economica, Santiago de Chile, 2000. Da
sottolineare lutilizzo del termine spagnolo emergencia, che identifica qualcosa che emerge, che esce allo scoperto o sale
sulla ribalta, ma anche qualcosa che necessita con urgenza di essere affrontato.
7 Cfr. Jos Bengoa, op. cit., pagg. 86-87.
8 Ivi, pag. 88.

5
Il 1992 anche lanno della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sullo Sviluppo e sul
Clima tenutasi in Brasile, a Rio de Janeiro
9
. Anche in tale occasione la presenza indigena si
rivelata particolarmente significativa
10
e volta in special modo a sottolineare lo stretto legame
esistente fra le culture indigene e la tutela dellambiente. Ci non solo con riguardo alle peculiari-
t delle cosmovisioni indigene, ma anche e soprattutto in termini di reale pericolo per la soprav-
vivenza delle comunit, minacciate dalle alterazioni quali-quantitative delle risorse naturali a loro
disposizione. Tale preoccupazione trova un suo riconoscimento nella Dichiarazione di Rio
sullambiente e lo sviluppo
11
che agli articoli 22 e 23 prende appunto in considerazione il rappor-
to di interdipendenza tra i temi della salvaguardia ambientale e della protezione delle popolazioni
indigene. A tal riguardo vi anche chi ha ravvisato nelle condizioni in cui si trovano alcuni popo-
li indigeni delle fattispecie di eco-cidio, ossia di distruzione della cultura di un popolo attraverso
la distruzione del suo habitat
12
.
Tutto ci ha comportato un vero e proprio incontro fra due discorsi, quello indigeno e quello
ambientalista, incontro capace di arricchire e completare entrambi gli approcci di partenza, sino a
far parlare di etnoecologismo o ecoetnicit. Da un lato lambientalismo trova nel discorso
indigenista unanima, un aspetto spirituale complementare a quello di natura pi tecnica di de-
nuncia delle conseguenze nefaste dellideologia della crescita. Dallaltro lato, la domanda indi-
gena trova non solo un partner capace di amplificare a livello planetario lesile voce delle proprie
rivendicazioni, ma anche un motivo e uno stimolo a trasformare quella che Vargas Llosa identifi-
cava come unutopia arcaica
13
in un discorso identitario pienamente addentro alla modernit
14
.
Lelemento capace di unire i due discorsi ravvisabile nel concetto di sostenibilit che, seppur
nato dalle elaborazioni proprie del mondo ambientalista, configurabile anche come una riela-
borazione della relazione uomo-terra evidentemente presente nel patrimonio culturale indigeno
ben prima che in quello dellecologismo moderno
15
.

9 Alla quale, a dieci anni di distanza e dopo un sostanziale nulla di fatto, seguita a Johannesburg la seconda conferen-
za (chiamata, infatti, anche Rio + 10) che vede nuovamente una nutrita presenza del mondo indigeno.
10 Si svolse anche una riunione parallela, conosciuta come Riunione di Karioka o Parlamento della Terra, che affront
in modo particolare il tema dei legami fra territorio, autodeterminazione e ambiente.
11 Rif. UN.DOC: A/CONF.151/26 (vol. 1), Annex 1 (1992)
12 Cfr. B. R. Howard, Human Rights and Indigenous Peoples: On the Rilevance of International Law for Indigenous
Liberation, in German Yearbook of International Law, vol. 35, 1992, p. 130.
13 Cfr. Mario Vargas Llosa, La Utopia Arcaica. Jos Maria Arguedas y las ficciones del indigenismo, Fondo de Cultura
Econmica, Mxico, 1997.
14 Cfr. Jos Bengoa, cit., pagg. 134 e ss.
15 Ivi, pag. 136.

6
Un altro tema di grande complessit e di particolare attualit quello della tutela del patrimo-
nio di conoscenze proprio dei popoli indigeni. Quello che, mutuando la terminologia giuridica
corrente potremmo definire il diritto alla tutela delle loro propriet intellettuali. Su questo tema
una prima presa di posizione avvenuta con la Dichiarazione adottata a conclusione di una con-
ferenza tenutasi a Whakatana (Nuova Zelanda) dal 12 al 18 agosto 1993, promossa dalle nove
trib Maori di Mataatua, e che ha riunito oltre 150 delegati indigeni provenienti dal Giappone,
dalle Americhe, dallIndia e da varie parti del Pacifico. La conferenza ha affrontato temi quali la
biodiversit, le nuove tecnologie, la gestione ambientale, le arti, la cultura e la difesa delle lingue.
Il documento finale, noto come Dichiarazione di Mataatua, rappresenta un importante salto di
qualit nella rivendicazione dei diritti indigeni a livello internazionale
16
.
Su questo tema e con particolare riguardo allimpatto della diffusione degli organismi geneti-
camente modificati (OGM) considereremo poi lulteriore decisa presa di posizione esplicitata
nella Dichiarazione di Seattle del 1999.
Il primo di gennaio del 1994 avviene un fatto che cambia radicalmente le modalit e le strate-
gie di azione del movimento indigeno e che riporta nuovamente la questione indigena alla ribalta
delle cronache mondiali. E il levantamiento zapatista in Chiapas (Messico), uninsurrezione
armata volta a denunciare e ad ottenere la cessazione dello stato di misconoscimento, discrimina-
zione, sfruttamento ed estrema povert delle comunit di indigeni e campesinos del sud-est mes-
sicano. Non una nuova guerriglia di stampo marxista come se ne sono viste e se ne vedono an-
cora in diverse zone del continente latinoamericano. Non una guerra civile con obiettivi seces-
sionistici, n una lotta di liberazione in senso stretto, n, infine, un tentativo armato di presa del
potere. E una nuova forma di lotta di riconoscimento, unistanza di democratizzazione e
partecipazione dal basso che sceglie la modalit dellinsurrezione. Al grido di un mundo donde
quepan muchos mundos e todo para todos, nada para nosotros il movimento zapatista divie-
ne simbolo di un nuovo modo di intendere la lotta degli emarginati, non solo indigeni, da un si-
stema politico ed economico sordo alle loro istanze. Dal conflitto nasce e si sviluppa negli anni a
seguire unelaborazione nella quale le questioni etniche si mischiano ad una critica generale del
modello neoliberista, facendo cos assumere allo zapatismo il carattere di una lotta per il diritto

16 Il testo della Dichiarazione si trova in UN Doc. E/CN.4/Sub.2/Al.4/1993/CRPS, 26 luglio 1993. Un commento al te-
sto si pu trovare in N. Rouland, S. Pierre-Caps, J. Poumarede, Droit des minorites et des peuples autochtones, PUF, Pari-
gi, 1996, pag. 419-421.

7
alla differenza in senso lato, non solo etnica, fino a rivendicare il diritto a scegliere un differente
modello di sviluppo.
Nel 1995 ha inizio il Decennio internazionale dei popoli indigeni delle Nazioni Unite che si
apre sullonda dei buoni auspici provocati dalla recentissima approvazione del Progetto di dichia-
razione universale dei diritti dei popoli indigeni (che verr approfondito nel prosieguo del presen-
te lavoro). Limportanza di questo evento per il movimento indigeno va oltre i risultati formali
che potr ottenere al suo termine (e che come detto rischiano di essere relativamente scarsi) poi-
ch conferisce una sorta di legittimazione alla sue lotte, una sorta di riconoscimento politico del
valore delle questioni poste sul tavolo.
Nel 1996, in Chiapas, si tiene il Primero encuentro intercontinental por la humanidad y con-
tra el neoliberalismo che segna linizio del proficuo dialogo tra il mondo indigeno, nelle sue di-
verse espressioni, e la societ civile messicana e mondiale creando i presupposti per un allarga-
mento ulteriore del movimento a tutte quelle realt che criticano il modello di globalizzazione
neoliberista e che daranno vita negli anni successivi al Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre.
Lo stesso anno in Guatemala si firmano gli Accordi di pace che segnano la fine di un conflitto
armato interno durato 36 anni tra lo Stato guatemalteco e la guerriglia dellURNG, conflitto che
ha visto come principali vittime le comunit indigene Maya, maggioranza nel paese. Fra gli Ac-
cordi compreso lAccordo sullidentit e i diritti dei popoli indigeni che recepisce lo spirito del-
la Convenzione I.L.O. 169 dell1989 sui diritti dei popoli indigeni e tribali in Stati indipendenti
(verr anchesso approfondito in seguito) costituendone un rilancio quale strumento di spinta alla
riforma degli ordinamenti giuridici interni ai singoli Stati.
Nel 1999 irrompe prepotentemente sulla scena internazionale il cosiddetto movimento no-
global, grazie allimponente manifestazione tenutasi a Seattle in occasione della terza riunione
ministeriale dellOrganizzazione Mondiale del Commercio (30 novembre 3 dicembre 1999).
Anche in tale occasione la presenza del movimento indigeno risulta essere particolarmente signi-
ficativa, anche in termini di contenuto. Ne esempio la Dichiarazione di Seattle dei popoli indi-
geni, sulla quale vale la pena di soffermarsi. In essa vengono espresse serie preoccupazioni sui
rischi che la politica adottata dallO.M.C. comporta per il mantenimento di quella diversit cultu-
rale e biologica di cui questi popoli si sentono parte:
La liberalizzazione del commercio e lo sviluppo orientato allesportazione, che sono i
principi fondamentali sui quali si basano le politiche sostenute dallOMC, stanno gene-

8
rando i pi negativi effetti sulla vita dei popoli indigeni. Il nostro diritto
allautodeterminazione, la nostra sovranit come nazioni, i trattati e gli altri accordi con-
sultivi che le nazioni e i popoli indigeni hanno negoziato con gli stati-nazione, si vedono
minati dagli Accordi della OMC.
La dichiarazione si concentra principalmente sulla denuncia del grave impatto che hanno sulla
vita delle popolazioni indigene due Accordi dellOMC: lAccordo sullagricoltura e lAccordo
TRIPs su aspetti concernenti i diritti di propriet intellettuale legati al commercio.
Al primo Accordo si attribuisce un elevato rischio di compromissione definitiva delle coltiva-
zioni tradizionali di piccola scala, sempre pi soppiantate da ampie piantagioni commerciali in
mano a poche multinazionali agro-alimentari ed a ricchi proprietari terrieri che producono per
lesportazione, con tutto quello che ci pu comportare per la vita delle comunit indigene.
Lappropriazione delle nostre terre e delle nostre risorse, insieme allaggressiva promo-
zione del consumismo e dellindividualismo della cultura occidentale, stanno distruggendo
gli stili di vita e le culture tradizionali. Il risultato di questo processo non solo il degrado
ambientale, ma sono anche le malattie, lalienazione e lalto livello di stress, che si manife-
stano con alti tassi di alcolismo e suicidio.
Il secondo Accordo permette, a detta degli estensori della dichiarazione, il sostanziale furto
tramite brevettazione di numerose risorse biogenetiche.
Alcune delle piante che i popoli indigeni hanno scoperto, coltivato e utilizzato come ali-
mento, come medicine e per i loro rituali sacri sono gi state brevettate negli USA, in
Giappone e in Europa. Tutte queste forme di vita e tutti questi processi generatori di vi-
ta sono sacri e non devono essere soggetti a nessun tipo di propriet privata.
Il capoverso che chiude la dichiarazione lascia intendere il grado di consapevolezza che le or-
ganizzazioni indigene hanno dei loro diritti, e la grande capacit che questi popoli ancora possie-
dono di interpretare il presente mantenendo lo sguardo rivolto al futuro:
Intendiamo che la filosofia che sottost agli Accordi della OMC e i principi e le politiche
che essa promuove si oppongono ai nostri valori fondamentali, alla nostra spiritualit e al-
la nostra cosmovisione, cos come alle nostre idee e pratiche rispetto allo sviluppo, al
commercio e alla protezione dellambiente. Per tanto chiediamo alla OMC che ridefinisca
i propri principi e le proprie attivit verso un paradigma di comunit sostenibili, e che
riconosca e permetta la permanenza di altre visioni del mondo ed altri modelli di sviluppo.

9
crediamo di potere anche noi offrire alternative percorribili al modello di sviluppo do-
minante basato sulla crescita economica e la crescita delle esportazioni. I nostri stili so-
stenibili di vita, le nostre culture, le nostre conoscenze tradizionali, le cosmologie, la spiri-
tualit, i valori della collettivit, della reciprocit, del rispetto e della riverenza di fronte
alla Madre Terra, sono fondamentali per la ricerca di una societ trasformata, nella quale
prevalgano la giustizia, lequit e la sostenibilit.17
Dopo Seattle 1999 lattenzione verso le problematiche indigene si spostata dal continente
americano allOceania. Questa volta il movimento indigeno ha colto loccasione di una manife-
stazione sportiva di respiro planetario, come sono state le Olimpiadi di Sidney 2000, per riportare
allattenzione dellopinione pubblica internazionale la questione della discriminazione nei con-
fronti degli aborigeni. E stata denunciata con particolare vigore la criminale esperienza della
stolen generation ovvero di quella generazione di bambine e bambini aborigeni strappati alle
loro famiglie negli anni 70 per venire integrati, con la forza, nel tessuto sociale civile australia-
no. Si pensava che in tale modo il sangue indigeno si sarebbe mischiato con quello bianco, puri-
ficandosi via via nel giro di poche generazioni di meticciato. Uno dei peggiori esempi di quella
che stata nel mondo la politica assimilazionista, una sorta di pulizia etnica scientificamente per-
seguita non con lannientamento fisico di un popolo, ma attraverso il suo superamento biologico.
Nel 2001 inizia lesperienza del Forum Sociale Mondiale, a Porto Alegre, in Brasile. Il percor-
so che da Seattle ha portato a Porto Alegre ha comportato anche il tentativo di superare la logica
della mera protesta e di avviare un percorso di riflessione che tenta ora di spingersi sul fronte del-
la proposta di unalternativa percorribile. Il contributo in tal senso offerto dalle organizzazioni
indigene riassunto nel documento finale della Conferenza dei Popoli Indigeni del Secondo Fo-
rum Sociale Mondiale (gennaio-febbraio 2002):
Politiche irrispettose nei confronti degli indigeni, politiche genocide dei governi, hanno
fatto s che le Nazioni e i Popoli indigeni del mondo iniziassero un processo di organizza-
zione e in questo cammino sviluppassero proposte di politiche alternative basate sul con-
cetto di Unit nella Diversit. Alla fine del ventesimo secolo sono state presentate ai go-
verni e agli organismi internazionali proposte vincolate al riconoscimento come Nazioni,
come Popoli, per il diritto alla territorialit, ad un ambiente sano, alla libera determina-
zione, allauto-gestione, e per una concezione di Stato plurinazionale, pluriculturale e mul-
tilingue. I Popoli indigeni non parlano del diritto di propriet territoriale basato su leggi e

17 E qui evidente, come argomentato sopra, la centralit del concetto di sostenibilit nel nuovo discorso indigeno.

10
regole scritte, ma di un diritto basato sulla forma dellidentit collettiva che attiene ad un
popolo e al suo territorio, la Pacha-Mama. Gli indigeni non rivendicano diritti come
individui, ma come collettivit. La loro rivendicazione ad essere riconosciuti come Popoli
e Nazioni Indigene vista come una minaccia allintegrit della Nazione, dello Stato Na-
zionale. .
Ci troviamo allora di fronte al problema di verificare se queste rivendicazioni costituiscano o
meno uneffettiva minaccia allintegrit territoriale degli Stati e, pi in profondit, al paradigma
stesso dello Stato-nazione. Come detto in precedenza, il concetto chiave da esaminare per poter
comprendere la reale entit di questa minaccia quello di autodeterminazione.
Unaltro passaggio del gi citato discorso di Ted Moses rivela proprio quanto tale categoria sia
centrale nella riflessione sulla questione indigena. Egli afferma, infatti,:
tutti i popoli hanno diritto allautodeterminazione. Gli Stati che si oppongono
allesercizio di questo diritto cercano di evitare lapplicazione del diritto internazionale ai
popoli indigeni per evitare le evidenti implicazioni che derivano dai criteri internazional-
mente accettati. Per non cadere nellambito di applicazione del diritto internazionale,
hanno escogitato un sistema molto semplice: hanno deciso che i nostri diritti di popoli non
esistono se solo evitano di considerarci tali. Ci hanno chiamato popolazioni, comunit,
gruppi, societ, persone, minoranze etniche; ora hanno deciso di chiamarci people (gente),
al singolare. In pratica, qualunque termine andr bene per definirci, purch non sia peo-
ples (popoli). Vogliono ridurre un concetto plurale ad un anonimo termine singolare per
evitare di dover riconoscere il nostro diritto allautodeterminazione.

Gli indigeni e il diritto internazionale: popolazioni, popoli o minoranze?

Il leader indigeno appena citato chiarisce bene limportanza del legame esistente tra il ricono-
scimento di un diritto e la precisa individuazione del soggetto titolare dello stesso. E allora op-
portuno soffermarci proprio sulla definizione da noi usata fin dal titolo di questo articolo, quella
di popoli indigeni. Tale definizione, in realt, non per niente scontata ed oggetto di una
complessa disputa che di seguito prover brevemente a sintetizzare.
Dare una definizione univoca di un soggetto collettivo di per s impresa ardua. Nel caso de-
gli indigeni la difficolt aumenta in primo luogo perch ci si trova di fronte a categorie sempre
pi costituite da variabili sociali e culturali e dove risulta sempre meno rilevante la suddivisione

11
etnica corrispondente a rigide discriminanti razziali
18
. In secondo luogo, le qualifiche di indigeno,
aborigeno e tribale vengono attribuite a comunit molto differenti tra loro, da piccoli gruppi no-
madi a popolazioni disperse in vaste regioni geografiche, fino a comunit numerose che possono
costituire delle minoranze, ma a volte addirittura la maggioranza del corpo sociale di uno Stato
19
.
Infine, necessario porre particolare attenzione ai possibili utilizzi strumentali di tale definizione,
con particolare riferimento alla sfera delle implicazioni politiche ed economiche ad essa ricondu-
cibili per gli Stati, per i soggetti economici transnazionali e, non ultimi, per gli stessi popoli indi-
geni.
Quella che potrebbe apparire come una mera questione terminologica pu in realt trasformare
una gi complessa questione di law (del diritto da applicare e/o dei diritti da riconoscere) in una
questione di policy (delle politiche che pu essere strategicamente conveniente adottare)
20
.
Gi in queste poche considerazioni stata utilizzata non a caso una pluralit di nozioni, come
quelle di popolo, popolazione, comunit, minoranza, gruppo, che vengono diversamente trattate
nellambito del diritto internazionale e comportano differenti riconoscimenti e tutele nellambito
del sistema dei diritti umani.
E opinione diffusa che la definizione pi corretta delle identit collettive indigene a cui far ri-
ferimento sia quella elaborata dallambasciatore ecuadoriano Jos R. Martnez Cobo. Nel 1971
Cobo fu nominato dalla Sottocommissione ONU per la prevenzione delle discriminazioni e la
protezione delle minoranze Relatore Speciale per uno studio, generale e completo, del problema

18 Cfr., a titolo di esempio, M. Magrassi, Guatemala Storia e prospettive di un paese diviso, ed. La citt del sole, Na-
poli, 1997, pag. 21.
19 Con tutte le riserve che meritano le statistiche demografiche sulla popolazione indigena (si veda in proposito R. Sta-
venhagen, Derecho indigena y derechos humanos en America Latina, Instituto Interamericano de Derechos Humanos El
Colegio de Mexico, Mexico, 1988, pagg. 135-138.), si pu ritenere che, nella sola America Latina, 30/40 milioni di indivi-
dui siano ascrivibili ad una delle pi di quattrocento differenti comunit etniche autoctone stanziate in territori controllati
da una ventina di stati diversi. Tra questi popoli vi una forte eterogeneit, variando da microetnie di poche centinaia di
individui (gli akuliyo, i beico de pau, i canela, i kumiai, i mura, etc) a macroetnie i cui componenti arrivano a sorpassare
il milione (i quich, i quechua, gli aymar, i nahuatl, etc), passando per etnie intermedie di alcune centinaia di migliaia (i
cakchiquel, i mapuches, i coyas, i guajiro, i mazatecos, i pipil, gli zapotecos, etc). Le due regioni a pi alta densit indi-
gena sono la cordigliera andina (dal nord del Cile e nord-est argentino al sud colombiano passando per la Bolivia, il Per e
lEcuador) e la fascia mesoamericana. In queste aree ci sono paesi dove gli indigeni costituiscono la maggioranza della
popolazione, come in Guatemala o in Bolivia, o dove si avvicinano ad essa, come in Per e in Ecuador. In altri, come il
Messico e lHonduras, superano il 10 per cento, in Cile, Panama e Nicaragua si assestano tra il 5 e il 10 per cento, mentre
in Paraguay, Colombia, Costa Rica e Argentina sono quantificabili tra 1 e il 3 per cento. In queste due macroregioni si
trova approssimativamente il 90 per cento della popolazione indigena totale dellAmerica Latina, essendo esse le zone che
videro il fiorire degli antichi imperi preispanici. Il restante 10 per cento frammentato nelle regioni dellOrinoco,
dellAmazonia, della Patagonia e del Mato Grosso, zone di selva e boschi tropicali o semidesertiche.
20 Cfr. R Stavenhagen, Derecho consuetudinario indgena en America Latina, in R. Stavenhagen, D. Iturralde (a cura
di), Entre la ley y la costumbre El derecho consuetudinario indgena en Amrica Latina, Instituto Indigenista Interameri-
cano Instituto Interamericano de Derechos Humanos, Mexico, 1990.

12
della discriminazione contro le popolazioni indigene. Il rapporto presentato nel 1983, conosciuto
appunto come Rapporto Cobo
21
, si esprime nei seguenti termini:
Sono indigene quelle comunit, popoli e nazioni che, avendo una continuit storica con le
societ sviluppatesi nei loro territori nel periodo precedente allinvasione e alla colonia,
considerano loro stesse distinte dagli altri settori delle societ che oggi prevalgono in quei
territori e delle quali sono parte. Esse formano oggi settori non dominanti di societ e so-
no determinate a preservare, sviluppare e trasmettere alle future generazioni i loro territo-
ri ancestrali e la loro identit etnica, come basi della continuazione della loro esistenza
come popoli, in accordo coi loro percorsi culturali, con le loro istituzioni sociali e i loro si-
stemi legali. [] Su base individuale, una persona indigena un individuo che appartiene
a queste popolazioni indigene attraverso lautoidentificazione come indigeno (coscienza di
gruppo) ed riconosciuto e accettato dalle stesse popolazioni come uno dei propri membri
(accettazione da parte del gruppo).22
Si pu riassumere questa definizione in quattro elementi: le distinte forme culturali e la situa-
zione di dominazione, che sono elementi comuni anche alle minoranze; la continuit storica e
lauto-identificazione, che, invece, sono elementi specifici dei popoli indigeni.
La continuit storica pu consistere nel mantenimento, per un lungo e ininterrotto periodo di
tempo, di uno dei seguenti fattori: loccupazione di terre ancestrali, o almeno di una parte di esse;
lascendenza comune con i primi abitanti delle terre; la cultura in generale, o alcune sue manife-
stazioni; la lingua o la residenza in specifiche regioni del mondo.
23

La nozione di auto-identificazione riveste due significati differenti, ma non contraddittori tra
loro. Da una parte aggiunge un elemento soggettivo in capo allindividuo (la coscienza di gruppo)
ad una serie di criteri di individuazione oggettivi, dallaltra parte accoglie le istanze delle popola-
zioni indigene stesse che pi volte hanno espresso il desiderio di mantenere lesclusivo diritto di
determinare gli appartenenti ai loro gruppi (accettazione da parte del gruppo).
24


21 Study on the problem of Discrimination Against Indigenous Populations, UN Doc. E/CN.4/Sub.2/1983/21/Add.8
(pi avanti richiamato come Rapporto Cobo). Le conclusioni, proposte e raccomandazioni di Martnez Cobo possono
essere considerate una pietra miliare sul cammino del riconoscimento dei diritti degli indigeni, hanno svolto un ruolo fon-
damentale nella formazione delle opinioni della Comunit Internazionale; la stessa Convenzione dellO.I.L. n.169 ha
tratto molti suggerimenti dal Rapporto Cobo e ne condivide lorientamento di base, ossia il pieno riconoscimento delle
particolarit dei popoli indigeni ed il loro diritto alla differenza.
22 Rapporto Cobo, 381.
23 V. Rapporto Cobo, 380.
24 V. le riflessioni sulla definizione di popoli indigeni contenuta nel Rapporto Cobo svolte in: N. Rouland et alt., cit.,
pagg.428-443; pi in generale, in merito al problema dellidentit e dei diritti dei popoli indigeni si pu far riferimento
anche a V. Buonomo, I diritti umani nelle relazioni internazionali, Mursia, Roma, 1997, pagg. 113-160.

13
Bench tale definizione non abbia fino ad ora trovato una sua traduzione in atti ufficiali del-
le Nazioni Unite, la sua influenza riscontrabile nella formulazione di quello che , ad oggi,
lunico riferimento internazionale in materia dotato di valore giuridico, la Convenzione n. 169
del 1989 dellOrganizzazione Internazionale del Lavoro (O.I.L.), ove, fin dallart. 1, se ne ritrova-
no i punti essenziali; il criterio della continuit storica (comma 1 lett. b) e la self-identification
(comma 2)
25
.
Anche secondo la O.I.L. sarebbe quindi il fatto stesso che il popolo indigeno percepisca la
propria distinzione rispetto al resto della societ a renderlo soggetto di diritto.
S, ma di quale diritto, e di quali diritti? Se ci limitiamo al diritto internazionale possibile
constatare come non vi siano norme di carattere generale che riconoscono lesistenza di questi
soggetti collettivi e che ne riconoscano i diritti in quanto popoli. I vari trattati facenti parte di
quello che possiamo definire come il sistema di protezione dei diritti umani, la Dichiarazione
Universale dei Diritti dellUomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il Patto interna-
zionale sui diritti economici, sociali e culturali, ma anche la Convenzione sulleliminazione di
ogni forma di discriminazione razziale e la Convenzione sui diritti dei bambini e delle bambine,
sono strumenti di applicazione universale, atti quindi a fornire protezione anche ai diritti degli
indigeni in quanto individui. Ma abbiamo visto come ci sia ritenuto assolutamente insufficiente
dagli indigeni stessi. Gli unici riconoscimenti internazionali dellesistenza di diritti collettivi spe-
cifici di tali popoli restano quindi quelli previsti dai due testi citati: la Convenzione O.I.L. n. 169 e
il Progetto di Dichiarazione universale. Passiamo quindi in rassegna tali documenti per verificare
la loro capacit di fornire risposte adeguate a quelle che sono le rivendicazioni indigene nonch la
loro potenziale portata innovatrice nel contesto della scienza giuridica e della teoria del diritto in
merito alla questione dellautodeterminazione.

La Convenzione 169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro e il Progetto di Dichiara-
zione Universale sui diritti dei popoli indigeni dellO.N.U.

25 1. This Convention applies to: (a) tribal peoples in independent countries whose social, cultural and economic con-
ditions distinguish them from other sections of the national community, and whose status is regulated wholly or partially by
their own customs or traditions or by special laws or regulations; (b) peoples in independent countries who are regarded as
indigenous on account of their descent from the populations which inhabited the country, or a geographical region to which
the country belongs, at the time of conquest or colonisation or the establishment of present state boundaries and who irre-
spective of their legal status, retain some or all of their own social, economic, cultural and political institutions. 2. Self-
identification as indigenous or tribal shall be regarded as a fundamental criterion for determining the groups to which the
provisions of this Convention apply.

14

La Convenzione O.I.L. n. 169 sui popoli indigeni e tribali in stati indipendenti stata adotta-
ta il 27 luglio del 1989 e fa seguito ad una precedente Convenzione approvata nel 1957 sulla me-
desima materia, la n. 107.
Vi sono vari fattori che hanno spinto lO.I.L. a rivedere la Convenzione n. 107. Essa si fonda-
va sulla convinzione che il miglior metodo per abolire le ineguaglianze di cui sono vittime gli
indigeni fosse la loro integrazione nelle rispettive comunit nazionali e che fosse a tal fine neces-
saria una loro progressiva assimilazione, da realizzarsi anche attraverso un processo di uniforma-
zione giuridica.
26

A conferma di questa impostazione si parlava significativamente di popolazioni, anzich di
popoli, e non si faceva alcuna allusione a una loro eventuale autonomia che avrebbe, secondo
le convinzioni dellepoca, vanificato le possibilit di uneffettiva integrazione.
27

La preoccupazione principale di quel documento era stabilire delle regole che permettessero di
elevare gradualmente il livello socio-culturale degli indigeni per portarli, alla fine del processo di
integrazione, al pari del resto della comunit.
Lo sfondo culturale di riferimento che influenz la Convenzione risiedeva in alcune tesi antro-
pologiche diffuse negli anni cinquanta secondo le quali gli indigeni, in un teorico processo evolu-
tivo, sarebbero stati in ritardo rispetto alle societ dominanti. Lo stesso art. 1 della Convenzione
precisava che la stessa sarebbe stata applicata ai membri delle popolazioni tribali e semi-tribali
degli Stati indipendenti, le cui condizioni sociali ed economiche corrispondevano ad uno stadio
meno avanzato rispetto agli altri settori della comunit nazionale.
Secondo lorientamento dominante dellepoca le politiche separatiste avrebbero inevitabil-
mente peggiorato la posizione delle popolazioni indigene, impedendo che venisse loro ricono-
sciuta una parit di trattamento con rispetto alla maggioranza della popolazione nazionale, dato
che allorigine degli abusi di cui erano vittime gli indigeni vi era proprio la discriminazione.
Ci che ha fornito particolare rilevanza allapprovazione della nuova Convenzione, la n. 169,
stata proprio la volont di abbandonare la tesi della progressiva integrazione tramite assimila-
zione degli indigeni nella struttura sociale, politica e giuridica degli Stati, ormai considerata fuori

26 Per una breve riflessione sullapproccio integrazionista ed assimilazionista si veda P. Thornberry, International Law
and the Rights of Minorities, Clarendon Press, Oxford, 1991, pag. 380 e N. Rouland et alt, cit., pag. 407 e ss.
27 Cfr. R. L. Barsh, Revision of ILO Convention n. 107 in American Journal of International Law, Vol. 81, Lancaster,
1986, pp. 756757 e V N. Lerner, The 1989 I.L.O. Convention on Indigenous Populations: New Standards? in Israel
Yearbook on Human Rights, Vol. 20, Martinus Nijhoff Publishers, Dordrecht /Boston /London, 1990, pagg. 232235.

15
moda
28
e incapace di accogliere anche minimamente le istanze delle popolazioni indigene, rivol-
te piuttosto al pieno riconoscimento della propria identit ed autodeterminazione.
Le linee guida della nuova Convenzione si sono ispirate perci alla volont di dare riconosci-
mento al diritto alla differenza e di assicurare protezione ai popoli indigeni. Il timore che
questo riconoscimento potesse, se utilizzato in modo improprio, trasformarsi in una forma di di-
scriminazione, o peggio di segregazione, ha spinto i redattori a riconoscere contestualmente il
pieno diritto alla partecipazione alla vita politica, sociale, economica e culturale dello Stato di cui
fanno parte con particolare riferimento alle decisioni e alle politiche che li riguardano.
Non possibile qui entrare nel merito delle singole disposizioni della Convenzione, peraltro in
molti casi estremamente innovative. Mi limito a sottolineare la presenza di numerose disposizioni
tese alla conservazione e trasmissione della cultura e dellidentit di ciascuna popolazione (con
riguardo alla lingua, ai costumi, alle tradizioni, al rapporto con la terra, allordinamento giuridico,
al modello di sviluppo, etc...). Ci anche tramite il riconoscimento di alcuni diritti catalogabili
innegabilmente come collettivi (ne sono esempio il diritto a mantenere il proprio stile sanitario
o il proprio stile educativo, cosa ben diversa dal diritto individuale alle prestazioni del sistema
sanitario ed educativo), anche se mai definiti come tali nel testo della Convenzione.
Unomissione questultima che, a detta delle organizzazioni indigene, pu avere ripercussioni
sulla reale efficacia del sistema di tutela cos costituito.
La novit che per prima balza agli occhi nel leggere la Convenzione contenuta gi nellart. 1
quando si statuisce che la medesima si applica a: Popoli tribali e indigeni. Scompare quindi il
termine Popolazioni, profondamente contestato dai rappresentanti delle organizzazioni non
governative indigene, sostituito con quello di popoli, termine che conferisce uno status giuridi-
co ben pi elevato. Basta per proseguire nella lettura per comprendere la reale portata di questa
novit. Il terzo comma, infatti, precisa: Luso nella presente Convenzione del termine popoli
non pu essere in alcun modo interpretato come avente implicazioni di qualsiasi natura per ci
che riguarda i diritti connessi a detto termine in base al diritto internazionale. Questa proposizio-
ne, dal significato ambiguo, assume un chiaro rilievo se ricollegata a quanto disposto dallart. 1 di
entrambi i Patti internazionali sui diritti delluomo adottati dalle Nazioni Unite nel 1966, ed alle
istanze dei popoli autoctoni volte al riconoscimento del loro diritto di autodeterminazione.

28 Cfr. N. Rouland et alt., cit., p. 409.

16
Sembra quasi, e questa la maggiore critica che si pu rivolgere alla Convenzione, che si sia
voluta configurare listituzione di una sorta di popoli di secondordine, ovvero di popoli ai qua-
li non viene riconosciuto il principale se non, secondo lorientamento pi diffuso, unico diritto
collettivo, quello allautodeterminazione. E chiaro come questa sorta di compromesso sia il frut-
to della gi esposta preoccupazione degli Stati interessati a non cedere porzioni della loro sovrani-
t e a non esporsi al rischio di possibili richieste di indipendenza e/o secessione. Il risultato non
pu che riflettere lo stato dei rapporti di forza fra i soggetti (collettivi) contendenti, riportando
cos la quaestio (giuridica) alla sua vera natura di questione di potere.
Un tentativo di spingersi oltre nel processo di riconoscimento rinvenibile nel Progetto di di-
chiarazione universale sui diritti dei popoli indigeni
29
, approvato nel luglio del 1993 dal Grup-
po di lavoro sui popoli indigeni delle Nazioni Unite
30
.
Questo testo ci che di pi avanzato esiste sul fronte del riconoscimento dei diritti (anche
collettivi) dei popoli indigeni. Proprio per questo, per, apre una serie di problematiche che non
riescono a trovare soluzione. E infatti dal 26 agosto 1994 (data in cui, con la risoluzione
1994/45, la Sottocommissione per la prevenzione delle discriminazioni e la protezione delle mi-
noranze approv il progetto) che la Commissione dei diritti umani lo sta esaminando. Finora sen-
za esito.
Lapprovazione definitiva di questo testo significherebbe, infatti, una svolta epocale nelle rela-
zioni fra popoli (indigeni) e Stati e si configurerebbe, a mio avviso, come la trasposizione giuridi-
ca di un significativo mutamento nella teoria stessa dello Stato e della sovranit. Una rivoluzio-
ne nella direzione del pieno riconoscimento dei diritti collettivi (che per la prima volta, infatti,
vengono esplicitamente identificati e nominati come tali
31
) fino alla loro massima espressione.

29 The Draft Declaration on Rights of Indigenous Peoples, UN Doc. E/CN.4/SUB.2/RES/ 1994/45, 26 agosto 1994.
30 Il Gruppo di Lavoro sui popoli indigeni delle Nazioni Unite (Working Group on Indigenous Peoples), stato
istituito dal Consiglio Economico e Sociale ed un organo ausiliario della Sottocommissione per la prevenzione delle
discriminazioni e la protezione delle minoranze, si riunisce ogni anno a Ginevra e discute dei problemi concernenti i popoli
indigeni. Gli incarichi ufficiali del gruppo di esperti sono due: esaminare gli avvenimenti nazionali relativi alla promozione
e protezione dei diritti umani e delle libert fondamentali dei popoli indigeni; elaborare norme internazionali relative ai
diritti degli stessi.
31 A titolo di esempio: Art. 6) I popoli indigeni hanno il diritto collettivo di esistere in libert, pace e sicurezza come
popoli distinti e di essere protetti dal genocidio o da qualsiasi altro atto di violenza, incluso lallontanamento di bambini
indigeni dalle loro famiglie e comunit, per qualunque pretesto. Inoltre, essi hanno i diritti individuali alla vita, all'integrit
mentale e fisica, alla libert e alla sicurezza della persona. Art. 7) I popoli indigeni hanno il diritto collettivo ed individuale
di essere protetti dall'etnocidio e dal genocidio culturale, inclusa la prevenzione e la riparazione per: a) qualunque azione
che abbia l'intento o l'effetto di deprivarli della propria integrit come societ distinte, o dei propri valori culturali o identit
etniche; b) qualunque azione che abbia l'intento o l'effetto di espropriarli delle loro terre, territorio risorse; c) qualunque
forma di trasferimento di popolazione che abbia l'intento o l'effetto di violare o minacciare qualunque dei loro diritti; d)
qualunque forma di assimilazione o integrazione forzata ad altre culture o stili di vita imposti mediante misure legislative,
amministrative o altro; []. Art. 8) I popoli indigeni hanno il diritto collettivo e individuale di mantenere e sviluppare le

17
Fino a porre le basi per la configurazione di una nuova forma di Stato, capace di riconoscere e
sviluppare le peculiarit della societ da cui trae origine, di valorizzare le sue differenze, di rifon-
darsi su basi multietniche, pluriculturali e multilingue, capace cos di riproporsi come protagoni-
sta nello scenario geopolitico mondiale del terzo millennio.
La novit di maggiore portata e complessit del Progetto presente nellart. 3 che riconosce
espressamente il diritto allautodeterminazione dei popoli indigeni. Testualmente: I popoli indi-
geni hanno il diritto allautodeterminazione. In virt di tale diritto essi determinano liberamente il
loro status politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale
32
.


Uninterpretazione autentica di quanto statuito nellart. 3 pu essere rinvenuta nella parte VII
dello stesso testo, dove viene in primo luogo precisato come non ci si riferisca ad una nozione di
autodeterminazione intesa in termini secessionistici, ma piuttosto come il diritto allautonomia e
allautogoverno relativo ai loro affari interni e locali, includendo in essi la cultura, la religione,
leducazione, linformazione, i media, la salute, la residenza, il lavoro, il welfare, le attivit eco-
nomiche, la terra, la gestione e lutilizzo delle risorse e lingresso dei non membri, cos come le
modalit e i mezzi di finanziamento di tali funzioni autonome (art.31). Viene inoltre riconosciu-
to agli indigeni uno status civico particolare attraverso il diritto ad ottenere la cittadinanza del
popolo autoctono a cui appartengono e, contestualmente, quella degli Stati in cui risiedono (art.
32).
Il riconoscimento del popolo indigeno passa, inoltre, attraverso il riconoscimento delle sue isti-
tuzioni e del suo ordinamento giuridico (art. 33).
Anche questa, come si pu facilmente immaginare, stata una questione molto discussa
(e non solo nel Gruppo di lavoro di Ginevra). In questo passaggio si sostanzierebbe il cambia-
mento copernicano, gi avviato dalla Convenzione n. 169, non solo dal punto di vista della
strategia con la quale viene affrontata la questione indigena, ma anche dal punto di vista della
scienza giuridica e della teoria dello Stato, riconoscendo la possibilit se non addirittura
lauspicabilit dellesistenza di Stati ove possano coesistere anche ordinamenti giuridici differen-
ti. Ci, soprattutto, se si prende in considerazione limpulso che la Dichiarazione, cos come gi
avvenuto per la Convenzione n. 169, pu dare ai processi di revisione costituzionale in atto in

loro distinte caratteristiche ed identit, incluso il diritto ad identificare se stessi come indigeni ed essere riconosciuti come
tali.
32 La stesura in questi termini dellart. 3 venne fortemente osteggiata, durante i lavori preparatori, dai rappresentanti di
alcuni Governi (es. Brasile, Australia, Canada, Paesi Scandinavi, India, e la maggioranza dei Paesi Asiatici). I contenuti

18
molti paesi nella direzione di un riconoscimento de jure di quel pluralismo (anche giuridico) esi-
stente de facto.
33

Il Progetto opera, inoltre, un interessante rinvio alle norme internazionali per regolare gli ac-
cordi siglati tra i popoli indigeni e gli Stati, accordando di fatto a queste intese lo status dei trattati
internazionali.
34


Il diritto di autodeterminazione

Quanto esposto finora rende necessario, se si vuole comprendere il reale significato delle i-
stanze di questi soggetti e allo stesso tempo individuare gli strumenti giuridici capaci di tutelarne
lidentit e i diritti, un approfondimento di cosa si debba intendere in questo contesto per princi-
pio/diritto di autodeterminazione e quali siano i soggetti titolari di tale diritto.
Il principio di autodeterminazione da tempo oggetto di unintensa riflessione tesa a chiarirne
il contenuto, spesso lasciato indeterminato dagli stessi strumenti giuridici internazionali
35
. Acco-

dellart. 3 costituiscono uno dei maggiori fattori di freno alla redazione del testo definitivo, ed prevedibile che susciteran-
no grande dibattito nellAssemblea Generale delle Nazioni Unite al momento della sua discussione (se mai avverr).
33 Sul tema possibile consultare, fra gli altri, D. Sanders, Self-Determination and Indigenous Peoples, in C. Tomu-
schat (a cura di), Modern Law of Self Determination, Martinus Nijhoff Publisher, Dordrecht/Boston/London, 1993; C.
Ochoa Garca, Derechos indgenas y pluralismo legal en America Latina, in http://geocities.com/alertanet/index.html ; R.
Motta, Laddomesticamento degli etnodiritti, Unicopli, Milano, 1994.
34 Nelle altre parti del Progetto di Dichiarazione si delineano gli elementi distintivi del sistema di autonomia che si in-
tende configurare. La terza parte rivolta a mantenere, proteggere e sviluppare le manifestazioni della cultura dei popoli
indigeni e a riconoscere il diritto a trasmettere alle future generazioni la storia, la lingua, le tradizioni orali, la filosofia, i
sistemi di scrittura e la letteratura (art. 14). In questa parte trova spazio anche la tutela delle tradizioni e delle cerimonie
spirituali e religiose (art. 13). La quarta parte si occupa delle questioni relative al sistema educativo dei popoli indigeni. Si
parte dal riconoscimento della libert di insegnamento della lingua, delle tradizioni e costumi indigeni per poi assicurare
anche la libert dellintero sistema educativo, permettendo ai popoli interessati di fondare e controllare propri sistemi edu-
cativi ed istituzioni docenti (art. 15). La quinta parte prefigura delle procedure di codecisione e collaborazione tra Stati e
popoli indigeni in merito alle decisioni che riguardino i diritti, le vite ed i destini di questi ultimi (art. 19). Gli Stati devono
ottenere il consenso, espresso liberamente e coscientemente, dei popoli interessati prima di adottare qualsiasi misura legi-
slativa e amministrativa che li riguardi (art. 20). I profondi legami che le comunit indigene intrattengono con le terre da
loro occupate sono garantiti nella sesta parte della dichiarazione. Le disposizioni ivi contenute riprendono quanto gi sta-
tuito nella Convenzione n. 169; il Progetto si preoccupa di difendere uno degli aspetti pi problematici e, al tempo stesso,
pi peculiari della cultura di questi popoli, mirando a salvaguardare un rapporto che non possibile ricondurre esclusiva-
mente allo schema della propriet (si vedano in particolare gli artt. 25, 26, 29).
35 Per una ricostruzione storica ed un commento al principio di autodeterminazione v. J. Salmon, Internal Aspects of
the Right to Self-Determination: Towards a Democratic Legitimacy Principle? in C. Tomuschat (a cura di), Modern Law of
Self-Determination, Martinus Nijhoff Publisher, Dordrecht /Boston /London, 1993, pag. 253 e ss. Quanto al diritto interna-
zionale contemporaneo, enunciazioni del principio dellautodeterminazione si trovano in numerosi strumenti, quali la Carta
Atlantica del 14 agosto 1941 (punti 2, 3 e 6) recepita nella Dichiarazione delle Nazioni Unite il 1 gennaio 1941, la Carta
dellOrganizzazione delle Nazioni Unite (preambolo, artt.1.2, 55 e 56), nonch in vari atti successivi. Fra questi vanno
segnalati i due Patti internazionali sui Diritti delluomo (Parte I del Patto sui diritti civili e politici e del Patto sui diritti
economici, sociali e culturali). Tra gli strumenti regionali duopo menzionare lAtto finale della Conferenza per la Sicu-
rezza e la Cooperazione in Europa, sottoscritto a Helsinki il 1 agosto 1975.

19
gliendo la formulazione della dottrina con riguardo alla Carta delle Nazioni Unite
36
, il principio
di autodeterminazione pu essere definito, in sintesi, il diritto di ciascun popolo a vivere libero
da qualsiasi tipo di oppressione, tanto interna che esterna, condizione questa prioritaria per il rag-
giungimento di relazioni amichevoli tra gli Stati membri e per un progresso economico dei popo-
li, fondato su una equa distribuzione delle risorse a livello sia internazionale che interno.
37

E opinione pressoch unanime che lautodeterminazione formi oggetto di una norma non solo
di diritto internazionale convenzionale (vincolante per gli Stati appartenenti allO.N.U), ma di
diritto consuetudinario internazionale, per di pi rientrante nel ristretto novero delle norme di jus
cogens, quindi con valore erga omnes.
38

In quanto principio giuridico ricavabile dalla prassi degli Stati, esso ha per un campo di ap-
plicazione piuttosto ristretto. Si applica infatti ai popoli sottoposti ad un governo straniero: in
primo luogo ai popoli soggetti a dominazione coloniale, in secondo luogo alle popolazioni di
territori conquistati ed occupati con la forza, in terzo luogo ai popoli sottoposti ad un sistema di
governo fondato sulla discriminazione razziale.
Tali criteri di applicazione sembrano per non possedere una dimensione diacronica. Il caso
dei popoli indigeni , a tal riguardo, emblematico. Essi hanno subito nel corso della storia tutte e
tre le situazioni sopra descritte, ma il fatto che il divenire storico abbia comportato la trasforma-
zione delle colonie in Stati indipendenti e che gli stessi siano poi stati protagonisti in un passato
recente di diverse ondate di democratizzazione ha come risultato una sostanziale sanatoria delle
violazioni pregresse e una imperdonabile amnesia nei confronti dei soggetti che hanno ereditato
quel passato e che si ritrovano tuttora ad esserne vittime, senza mai un contestuale riconoscimen-
to dello stato di dominazione. In altre parole, quando la situazione di dominazione era palese non
era riconosciuto alcun diritto di autodeterminazione. Con laccoglimento di questo principio a

36 La quale enuncia tra i fini dellOrganizzazione (Art. 1, par. 2) quello di sviluppare tra le nazioni relazioni amiche-
voli fondate sul rispetto del principio delleguaglianza dei diritti e dellautodeterminazione dei popoli.
37 La definizione di F. Lattanzi, Autodeterminazione dei popoli, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Vol. II,
Torino, 1987, pagg. 4 27. In modo simile si esprime anche G. Arangio-Ruiz, Autodeterminazione (diritto dei popoli alla)
in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. IV, Roma, 1988.
38 Il principio di autodeterminazione ha acquistato carattere consuetudinario attraverso una prassi che si sviluppata ad
opera delle Nazioni Unite e che trova la sua base, oltre che nella Carta, anche in certe solenni Dichiarazioni di principi
dellAssemblea Generale, come la Dichiarazione sullindipendenza dei popoli coloniali del 1960 e quella sulle relazioni
amichevoli del 1970. Sulla natura del diritto di autodeterminazione intervenuta anche la Corte Internazionale di Giustizia.
In due pareri resi su richiesta dellAssemblea Generale, rispettivamente sulla Namibia (1971) e sul Sahara Occidentale
(1975), la Corte non solo ha riconosciuto il carattere consuetudinario di questa norma, ma ne ha anche evidenziato il valore
erga omnes. Si veda inoltre F. Lattanzi Autodeterminazione dei popoli, cit.; B. Conforti, Diritto Internazionale, IV ed.,
Editoriale Scientifica, Napoli, 1997, p. 22 e ss.; G. Guarino, Autodeterminazione dei popoli e diritto internazionale, Jove-
ne Ed., Napoli, 1984, p. 47; A. Rosas, Internal Self-Determination in C. Tomuschat (a cura di), Modern Law of Self-

20
livello internazionale sono per contestualmente cessate da un lato le condizioni (formali) della
dominazione e dallaltro lato (spesso a seguito di veri e propri etnocidi) le condizioni per definire
giuridicamente quei soggetti come popoli, ovvero i due presupposti necessari allapplicazione del
principio stesso.
Un aspetto sul quale, ai nostri fini, necessario porre particolare attenzione e che ci riporta a
quanto previsto dal Progetto di Dichiarazione Universale dei diritti dei popoli indigeni (ma anche
ai Patti Internazionali sui diritti delluomo) se sia possibile configurare anche un aspetto inter-
no dellautodeterminazione ed eventualmente quali ne siano i contenuti e le caratteristiche per
un suo inquadramento sistematico. In verit la nozione di autodeterminazione interna utilizzata
poco univocamente in dottrina ed difficile riscontrarne una casistica di fattispecie concrete che
consentano la formulazione di un modello paradigmatico. Con questa nozione ci si riferisce ad
esempio al diritto di un popolo a non essere sottoposto ad un regime dittatoriale e ad avere un
governo democratico; o ancora alla possibilit per i vari popoli presenti in un medesimo Stato di
disporre di adeguati margini di autonomia e autogoverno; per arrivare al diritto dei popoli costi-
tuitisi in Stati nazionali di decidere da s del proprio destino e del proprio regime politico. Si
tratta comunque di aspetti e modi di attuazione del principio che non comportano la nascita o
lestinzione di soggetti internazionali; toccando piuttosto la vita interna degli Stati, la loro forma
di organizzazione politica, economica e sociale e, pi in generale, la loro configurazione con ri-
guardo al corpo sociale che li compone.
Loccasione per sostenere lesistenza di un diritto di autodeterminazione interna stata fornita
soprattutto dallart. 1 dei due Patti internazionali sui diritti delluomo.
39
Ci che ha corroborato la
tesi dellesistenza di una dimensione interna del principio di autodeterminazione stato appunto
il fatto che tale principio sia stato incluso in un sistema di garanzie giuridiche dedicato ad una
materia interna per eccellenza qual quella dei diritti umani.

Determination, Martinus Nijhoff Publisher, Dordrecht /Boston /London, 1993, pagg. 225252; Arangio-Ruiz, Autodeter-
minazione (diritto dei popoli alla) in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. IV, Roma, 1988, pag. 2.
39 Lart. 1 del Patto Internazionale suoi diritti civili e politici recita: Tutti i popoli hanno il diritto di autodetermina-
zione. In virt di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro svilup-
po economico, sociale e culturale. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie
ricchezze e delle proprie risorse naturali senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica interna-
zionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo pu essere privato
dei propri mezzi di sussistenza. Gli Stati parte del presente Patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell'amministra-
zione di territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere lattuazione del diritto di
autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformit alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite.

21
Sul problema dallautodeterminazione, cos come configurata nellart. 1 dei Patti Internaziona-
li sui diritti dellUomo, intervenuto anche il Comitato dei Diritti dellUomo.
40
Nellambito delle
sue reporting procedures relative allart. 1 ha affrontato spesso questioni attinenti
allautodeterminazione
41
.

Analizzando i rapporti del Comitato, si nota come la verifica relativa
allapplicazione dellart. 1 non sia da intendersi, come sottolinea Palmisano, tesa a controllare la
democraticit del regime di questo o quello Stato, o la conformit politico-ideologica della strut-
tura e dellattivit di governo alla volont popolare, bens il rispetto delle specifiche aspirazioni di
status vuoi di popoli o gruppi diversi dalla maggioranza nazionale dello Stato in questione, vuoi,
in caso di Stati multinazionali, delle varie componenti nazionali presenti nel territorio
42
.
Lautore specifica poi come per aspirazioni di status siano da intendersi le aspirazioni di detti
popoli o gruppi in merito alla forma di organizzazione politica (ma anche al sistema economico,
sociale e culturale) in cui riconoscersi in quanto entit dotate di una distinta identit.
A queste considerazioni si aggiunge il fatto che gli Stati, nel momento in cui hanno presentato
al Comitato i rapporti relativi allapplicazione del Patto del 1966, hanno preferito trattare i pro-
blemi concernenti lautodeterminazione dei gruppi etnici differenti dalla maggioranza della co-
munit nazionale, oppure dei gruppi che costituivano parte della popolazione di Stati multina-
zionali, riconducendoli allambito delle questioni relative allart. 27 (riguardante le minoranze
nazionali), anzich allart.1
43
.
Come gi stato affermato vi una vasta letteratura sullargomento e lo sforzo di coloro che
sostengono la configurabilit di un principio di autodeterminazione interna stato notevole.
44


40 Il Comitato dei Diritti dellUomo stato istituito dal Patto Internazionale sui diritti civili e politici (art. 28) ed ha
funzioni di sorveglianza sullapplicazione delle disposizioni dei Patti. Il Comitato ha anche una funzione latamente giuri-
sdizionale perch pu accettare i ricorsi di privati che lamentano il mancato adempimento degli obblighi derivanti dal Patto
da parte degli Stati di cui sono cittadini. Esso, infine, redigendo i cosiddetti general comment agli articoli del Patto sui
diritti civili e politici, assolve anche ad una sorta di funzione di interpretazione autentica delle norme dei Patti. Si veda in
proposito S. Bartole, N. Olivetti Rason, L. Pegoraro, La tutela giuridica delle minoranze, CEDAM, Padova, 1998, pag. 32,
in cui si definisce la funzione del Comitato quasi-giurisdizionale e si indicano le sue pronunce come giurisprudenza.
41 Si veda in proposito G. Palmisano, Lautodeterminazione interna nel sistema dei patti sui diritti delluomo, in Rivi-
sta di diritto internazionale, 1996, pag. 375.
42 Ivi, pag. 374.
43 Si rammenta, inoltre, che per quegli Stati che non abbiano ratificato nessuna delle Convenzioni dellOrganizzazione
Internazionale del Lavoro, si applicano ai gruppi indigeni proprio le disposizioni contenute nellart. 27 del Patto sui diritti
civili e politici, dirette ad assicurare il riconoscimento dei diritti delle persone appartenenti a minoranze linguistiche, reli-
giose e culturali. Nessuna fattispecie di diritto di autodeterminazione viene conferita, in questo o in altri trattati, a dette
minoranze.
44 V. G. Arangio-Ruiz, Autodeterminazione, cit.; A.Cassese, Self-determination of peoples. A Legal Reappraisal,
Cambridge University Press, Cambridge, 1995; A. Cassese, Il diritto dei popoli allautodeterminazione politica: dallo
Statuto dellONU alla dichiarazione di Algeri, in Marxismo, Democrazia e Diritti dei Popoli. Scritti in onore di Lelio Bas-
so, Franco Angeli Ed., Milano, 1979; F. Lattanzi, Autodeterminazione dei popoli , cit.; E. Menendez del Valle, El derecho
de los pueblos a su libre determinacin, in Marxismo, Democrazia e Diritti dei Popoli cit.; G. Palmisano, Nazioni Unite
e autodeterminazione interna, Giuffr Ed., Milano, 1997; A. Rosas, cit.; J. Salmon, cit..

22
Ai nostri fini in primo luogo opportuno menzionare la rilevanza che assume il general com-
ment del suddetto Comitato agli articoli del Patto sui diritti civili e politici, nella parte in cui si
ritiene che la posizione del principio di autodeterminazione in apertura dei Patti internazionali sui
diritti delluomo testimoni lattribuzione ad esso di unimportanza tale per i diritti umani da costi-
tuire una condizione pregiudiziale per la protezione dei diritti e delle libert fondamentali degli
individui
45
. E impossibile non rilevare la forte vicinanza fra queste argomentazioni e il discorso
del leader indigeno citato supra, teso ad evidenziare lindispensabilit del riconoscimento
dellautodeterminazione. In secondo luogo, la mancanza di uninterpretazione chiara e univoca
dellart. 1 apre la possibilit di individuare un diritto di autodeterminazione interna. Infine, si
pu far leva sul fatto che questa interpretazione del principio riscontrabile in diversi documenti

e ci proverebbe quanto meno che si sta producendo un cambiamento nel modo di intendere il
contenuto di questo diritto.
Uno degli atti delle Nazioni Unite che suggeriscono maggiormente la configurabilit di un
principio di autodeterminazione interna la Dichiarazione sulle relazioni amichevoli tra gli Sta-
ti del 1970. Ci grazie al fatto che essa, riconoscendo come lautodeterminazione da principio
sia divenuta oggetto di un vero e proprio diritto, distingue abbastanza nettamente tra la sua di-
mensione esterna ed interna. La Dichiarazione definisce la dimensione esterna come libera-
zione dei popoli dal dominio coloniale e pi in generale dallassoggettamento, dominio o sfrut-
tamento straniero. Mentre, per quanto riguarda la dimensione interna, afferma che essa raggiun-
ta quando in uno Stato esista un governo che rappresenti lintero popolo appartenente al suo terri-
torio senza distinzione di razza, di credo o colore. Ma, come sottolinea Cassese, nella dichiara-
zione non vi cenno alloppressione politica, economica o sociale come fattore di negazione di
tale diritto. Lesigenza della salvaguardia dellunit nazionale e dellintegrit territoriale ha finito
dunque per schiacciare le istanze a favore di un ampio ed effettivo riconoscimento del diritto
allautodeterminazione
46
.
Un altro documento che ha rinvigorito le ragioni di coloro che sostengono la configurabilit
dellautodeterminazione interna latto finale della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazio-
ne in Europa (prima CSCE, ora OSCE) siglato ad Helsinki nel 1975. Si noti come lAtto di Hel-

45 The right of self-determination is of particular importance because its realisation is an essential condition for the ef-
fective guarantee and observance of individual human rights and for the promotion and strengthening of those rights. It is
for that reason that States set forth the right of self-determination in a provision of positive law in both Covenants and
placed this provision as Article 1 a part from an before all of the other rights in the two Covenants.
46 A. Cassese, Il diritto dei popoli allautodeterminazione politica, cit.

23
sinki sia stato concluso nel 1975, quindi in un periodo in cui era gi ben nota la disputa sulla con-
figurabilit di un aspetto interno del diritto di autodeterminazione. Nellottavo dei dieci principi ai
quali gli Stati firmatari dellAtto si sono impegnati ad attenersi si trova una delle formulazioni pi
complete del principio di autodeterminazione.
47

Si pu rilevare come in tale formulazione venga dato eguale peso ai due aspetti, esterno ed in-
terno, del principio di autodeterminazione, conferendogli valore anche in termini dinamici
48
. Il
passo fondamentale infatti quello in cui si afferma che tutti i popoli hanno il diritto in ogni mo-
mento di determinare in piena libert non solo la loro collocazione nellambito della comunit
internazionale, ma anche il loro regime politico e di perseguire come desiderano il loro sviluppo
politico, economico, sociale e culturale
49
.
Una fondamentale precisazione riguarda il fatto che questo diritto di autodeterminazione in-
terna non sarebbe azionabile dalle minoranze nazionali bens esclusivamente da quei soggetti
collettivi identificati come popoli.
Un terzo documento, estremamente rilevante, la Carta Africana sui diritti degli uomini e dei
popoli che, allart. 20 par. 1, include tra i diritti fondamentali ed inalienabili il diritto di autode-
terminazione di tutti i popoli formulato come segue: Ogni popolo ha diritto allesistenza. Ogni
popolo ha un diritto imprescrittibile e inalienabile allautodeterminazione. Esso determina libe-
ramente il proprio statuto politico e assicura il proprio sviluppo economico e sociale secondo la
via che esso ha liberamente scelto
50
. Certamente la Carta Africana ha solamente il valore di una
dichiarazione di principi, ma essa pu essere considerata a ragione un indice del consolidamento
di una sensibilit pi attenta agli aspetti interni e dinamici del principio di autodeterminazione,
esplicitando fra laltro le peculiarit di una visione non occidentale.
Da quanto esposto finora risulta chiaro come il contenuto del principio di autodeterminazione
sia, per cos dire, il risultato di un processo evolutivo nella dottrina e nella prassi giuridica. Se-

47 The participating States will respect the equal rights of peoples and their rights to self-determination, acting at all
times in conformity with the purposes and principles of the Charter of the United Nations and with the relevant norms of
international law, including those relating to territorial integrity of States. By virtue of the principle of equal rights and self-
determination of peoples, all peoples always have the right, in full freedom, to determine, when and as they wish, their
internal and external political status, without external interference, and to pursue as they wish their political, economic,
social and cultural development. The participating States reaffirm the universal significance of respect for and effective
exercise of equal rights and self-determination of peoples for the development of friendly relations among themselves as
among all States; they also recall the importance of the elimination of any form of violation of these principle.
48 A questo riguardo si rilevi che lAtto di Helsinki si riferisce ai paesi dellambito geografico europeo e cio a stati tut-
ti indipendenti e sviluppati, in cui si possono escludere situazioni di dominazione coloniale o straniera e gi questo sugge-
risce che non ci si possa riferire che ad una nozione di autodeterminazione interna.
49 V. Arangio Ruiz, Autodeterminazione (diritto dei popoli alla), cit.
50 V. 21 ILM 59, 1982.

24
guendo questa chiave di lettura storico-dinamica si pu sostenere che linserimento del principio
stesso nei Patti Internazionali sui diritti delluomo possa preludere ad una nuova fase del diritto
di autodeterminazione che porti ad una sua ridefinizione. Questa fase sarebbe tuttora in corso e
questo lascerebbe intendere per quale motivo non vi sia ancora unanimit n riguardo alla confi-
gurabilit dellesistenza di una dimensione interna di tale diritto, n riguardo alleventuale conte-
nuto specifico dello stesso.

Autodeterminazione interna e popoli indigeni

Questa lunga digressione sul principio di autodeterminazione e sulle sue possibili diverse con-
figurazioni stata necessaria per aiutarci a comprendere se e come le rivendicazioni dei popoli
indigeni possano trovare soddisfazione negli strumenti giuridici internazionali esistenti o in quelli
in fase di elaborazione.
Si pu, infatti, rilevare come linterpretazione che abbiamo definito interna del principio di
autodeterminazione nella sostanza non differisca dallinterpretazione che possiamo chiamare
indigena del principio stesso. I popoli indigeni, infatti, non considerano tale principio in termi-
ni di secessione o indipendenza, ma lo interpretano come massima autonomia possibile
nellambito di uno Stato che si afferma come multiculturale e plurietnico. Si tratta di
uninterpretazione che intende lautodeterminazione non pi come un processo di tipo escludente,
ma come un processo altamente includente, come un percorso di autonomia in un contesto di
interdipendenza, basato sul reciproco riconoscimento
51
, in perfetta sintonia con quello che uno
dei cardini della cosmovisione indigena, il principio di unit nella diversit. Con buona pace
dellintegrit territoriale degli Stati, che diviene cos palesemente un alibi necessario a coprire
preoccupazioni di ben altra natura: da quelle concernenti la cessione di una ulteriore porzione di
sovranit (in questo caso verso il basso, al proprio interno) che andrebbe a sommarsi a quella
sempre pi ampia porzione ceduta (verso lalto, allesterno) a soggetti sovrannazionali e transna-
zionali, pubblici e privati; fino alle preoccupazioni di natura pi schiettamente economica, legate
alla conseguente impossibilit di sfruttare le risorse dei ricchi territori che finirebbero sotto
lombrello della giurisdizione indigena.

51 Ci evidente anche in quei contesti dove il conflitto assume la natura di conflitto armato. Emblematico il gi cita-
to caso degli Zapatisti in Chiapas, che nel febbraio-marzo del 2001 hanno marciato fino alla capitale con le bandiere indi-

25
Laspetto da stabilire quindi se sia possibile individuare, nel diritto internazionale, un diritto
di autodeterminazione specifico per i popoli indigeni. De iure condito i riferimenti restano princi-
palmente quelli alla Convezione O.I.L. n. 169, mentre de iure condendo possibile riferirsi al
Progetto di dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni, ma anche ai processi di revi-
sione costituzionale e degli ordinamenti interni avviati in quei paesi dove le rivendicazioni indi-
gene assumono particolare peso.
Abbiamo visto e sottolineato per come i redattori della Convenzione n. 169, con
linserimento del terzo comma dellart. 1 che slega lutilizzo fatto del termine popoli dalle im-
plicazioni ad esso conseguenti nel diritto internazionale, abbiano espresso chiaramente la volont
di eliminare qualsiasi possibilit di interpretazione che avalli le aspirazioni di autodeterminazione
dei popoli indigeni.
52

Con riguardo invece al Progetto di Dichiarazione Universale si tratta di definire a quale
modello di interpretazione dellautodeterminazione esso faccia riferimento. Appare evidente che
il Progetto non abbia la finalit di infrangere il principio di integrit territoriale degli Stati, lo si
pu dedurre analizzando i rapporti delle sessioni di lavoro, soprattutto le riserve e cautele
avanzate dalle delegazioni governative che hanno partecipato ai lavori. Quale significato ha allora
questo richiamo al diritto di autodeterminazione dei popoli?
Malgrado attribuisca ai popoli indigeni il diritto ad autodeterminarsi, lart. 3 non ne stabilisce
specificamente il contenuto, che di conseguenza pu essere inteso sia nel senso (ancora confuso
ed indeterminato) di autodeterminazione interna sia nel senso di autodeterminazione esterna,
principio gi consolidato a seguito del processo di decolonizzazione.
Lart. 3 sostanzialmente uguale allart.1 del Patto internazionale sui diritti civili e politi-
ci con la sola differenza che nel primo si indica come beneficiari proprio i popoli indigeni.
Una volta appurato che ci si sta riferendo allo stesso diritto elaborato nellambito delle Na-
zioni Unite (prima dalla Carta, poi dai Patti) il problema fondamentale diviene quello di sta-
bilire se possibile e in quali termini accostare questo principio di autodeterminazione al
diritto che ha dato origine al processo di decolonizzazione. Sembrerebbe per piuttosto stra-

gene insieme a quelle messicane per poi pronunciarsi dalla tribuna del Congresso per sostenere lapprovazione della legge
di riforma costituzionale sullautonomia e i diritti dei popoli indigeni.
52 Su tale questione interessante lopinione espressa da B. R. Howard, il quale ritiene che la limitazione del terzo
comma dellart. 1 non avrebbe valore in quanto destinata ad essere sostituita dalle disposizioni dei Patti sui diritti
delluomo che, in quanto norme di diritto internazionale generale, prevarrebbero sulle statuizioni della Conv. OIL ad essa
incompatibili. Si veda B.R. Howard, "Human Rights and Indigenous Peoples: On the Relevance of International Law for
Indigenous Liberation, German Yearbook of International Law, Vol. 35, Berlino, 1992, pagg. 105 150.

26
no che lart. 3 del Progetto riconosca quello che si definito come il diritto
allautodeterminazione esterna.
Si , infatti, gi sottolineato come il modello prefigurato dal Progetto si traduca in una forma
di autonomia e self-government in alcune materie di fondamentale importanza, nonch in un ob-
bligo per gli Stati a realizzare forme di partecipazione dei popoli indigeni ai processi decisionali,
rendendo cos la complessiva organizzazione istituzionale dello Stato rappresentativa in forma
specifica dei popoli autoctoni, intesi in quanto componenti distinte dal resto della collettivit na-
zionale.
53

Dalle considerazioni svolte si ricava la costruzione di un modello di autodeterminazione inter-
na del tutto atipico, sia per il fatto che si attribuito un diritto di autodeterminazione a popoli che
non rientrano nelle fattispecie generalmente individuate come destinatarie di tale diritto (popoli di
territori coloniali, popoli sottoposti a dominazione straniera o a regimi basati sul razzismo e la
discriminazione), sia per la forma in cui si concretizzata lautodeterminazione interna, non prin-
cipio che assicuri la rappresentativit e democraticit degli Stati, ma piuttosto concessione di una
forma di autonomia in campi fondamentali per assicurare la conservazione dellidentit del grup-
po. Interessante anche il collegamento con il profilo riguardante la tutela dei diritti umani. La
concessione di questa autodeterminazione si configurerebbe, infatti, come unico modo per assicu-
rare unefficace tutela dei diritti umani dei popoli indigeni allinterno degli Stati in cui risiedono.
Bisogna per rilevare che vi sono seri dubbi sulla possibilit che il Progetto di dichiarazione
universale sia approvato nella sua stesura finale cos come stato redatto dal Gruppo di lavoro sui
popoli indigeni. Si nutre un forte scetticismo soprattutto sulla possibilit che possa essere defini-
tivamente approvato proprio lart. 3. Con ogni probabilit questo articolo sar oggetto di numero-
se critiche ed obiezioni da parte degli Stati e sembra pi verosimile che prevarr quella che Falk
definisce la statist conception
54
e che la dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni, se sar ap-
provata, non far alcun riferimento al principio di autodeterminazione.

Conclusioni

53 V. C. Iorns, Indigenous Peoples and Self-Determination: Challenging State Sovereignty in Case W. Res. J. Interna-
tional Law, 1992, pagg. 345346. Questa forma di interpretare autonomia e autodeterminazione escludendone gli aspetti
esterni simile alla ricostruzione fatta da Hannum proposta in termini generali al di fuori del contesto dei popoli indigeni.
V. H. Hannum, Autonomy, Sovereignty, and Self-Determination, University of Pensylvania Press, Philadelphia,1990,
pagg. 467468 e H. Hannum, R. B. Lillich, The Concept of Autonomy in International Law in American Journal of Inter-
national Law, Vol. 74, 1980, pagg. 888 889.

27

In queste pagine ho inteso ripercorrere nei suoi passi fondamentali le ultime tappe del lungo
percorso di riconoscimento indigeno, con attenzione sia alle rivendicazioni avanzate dal variegato
movimento dei popoli autoctoni, sia agli strumenti di tutela esistenti e alle iniziative intraprese da
parte delle Nazioni Unite. Si approfondito in modo particolare il concetto di autodeterminazio-
ne, come elemento centrale e unificante delle rivendicazioni indigene. Autodeterminazione come
fine ultimo, ma, allo stesso tempo, come barriera insormontabile, come concessione inaccettabile
da parte degli Stati e dei loro governanti. E, infine, autodeterminazione come categoria negoziabi-
le, passibile di interpretazione e di adattamento, potenzialmente conciliabile col mantenimento
delle attuali entit statuali.
Si visto, con riferimento alle posizioni espresse da diversi studiosi, come la dottrina e la giu-
risprudenza abbiano elaborato uninterpretazione del principio di autodeterminazione compatibile
sia con le richieste provenienti dalle realt indigene, sia con la pretesa indivisibilit degli Stati
coinvolti.
Pur tuttavia, se non si vuole che la formula dellautodeterminazione interna divenga la chi-
mera di un riconoscimento, per di pi puramente formale, bisogna spingersi verso quella che Co-
lajanni chiama una ridefinizione radicale dei rapporti tra indigeni e stato moderno
55
.
Limplementazione di tale principio richiede, infatti, una riforma delle istituzioni statali che
vada nella direzione di un pieno riconoscimento della diversit, dellesistenza di societ multiet-
niche e pluriculturali laddove per secoli si sostenuta lidea di un solo Popolo, una sola Nazio-
ne, un solo Stato. Lunit artificiale, spesso di origine coloniale, fra questi tre elementi stata, e
in molti casi ancora, una finzione costituzionalizzata che ha negato lesistenza stessa dei po-
poli indigeni, ed ha giustificato razzismo, violenza e violazione di diritti fondamentali
56
.
Sradicare tale concezione particolarmente difficile perch trova origine sia in elementi di na-
tura culturale (frutto di stratificazioni prodottesi in secoli di dominazione), sia in elementi che
possiamo definire strutturali, come lo sfruttamento delle terre, delle risorse e della manodopera
indigena, fino alla profonda inconciliabilit dei diversi modelli di sviluppo.

54 Cfr. R. Falk, The Rights of Peoples (In Particular Indigenous Peoples), in J. Crawford (a cura di), The Rights of
Peoples, Oxford University Press, Oxford, 1988, pag. 17 e ss.
55 A. Colajanni (a cura di), Le piume di cristallo. Indigeni, nazioni e Stato in America Latina, Meltemi Editore, Roma,
1998, Introduzione, pagg. 24-25.
56 Cfr. Jos Bengoa, cit., pagg. 27-28.

28
Quali allora i possibili scenari futuri, in una situazione nella quale la maggior parte dei go-
verni rigettano lautodeterminazione come sfida alla sovranit globale dello Stato, e accusano le
organizzazioni indigene di essere separatiste, di contrastare lunit nazionale, di destabilizzare il
sistema democratico
57
?
Molti autori manifestano un chiaro pessimismo. Jos Bengoa, ad esempio, con riferimento al
contesto latinoamericano, descrive tre possibili scenari, ugualmente negativi per il mondo indige-
no. Il primo scenario quello della repressione, prevedibile nel caso in cui il discorso indigeno
si radicalizzi su posizioni inconciliabili e sovversive per lordinamento statale attuale, o si oppon-
ga a determinati progetti economici, politici e socio-culturali definiti strategici da chi detiene il
potere. Il secondo scenario quello della cooptazione, ovvero della assunzione delle rivendica-
zioni etniche da parte dello Stato e dei suoi agenti, e la trasformazione delle stesse in disposizioni
senza efficacia. Spesso avviene anche la cooptazione nelle strutture di governo di dirigenti indi-
geni, nel tentativo di eliminare per un certo periodo di tempo il potenziale conflitto. Il terzo scena-
rio quello della marginalizzazione, possibile in quei paesi dove la presenza indigena non
sufficientemente significativa per porre con forza la questione nellagenda politica statale
58
.
Bengoa ha, indubbiamente, ragione nel sostenere che dette strategie politiche avranno buon
gioco finch le societ civili (non solo latinoamericane) non comprenderanno esattamente il si-
gnificato della emergenza indigena. Vi sono per due elementi che possono, a mio avviso, con-
tribuire ad aprire, gradualmente, un quarto scenario, che definirei di trasformazione. Il primo
elemento la capacit di resistenza ed insieme di innovazione mostrata dal movimento indigeno,
che si rivelato capace di passare dalla resistenza al cambiamento [...] alla domanda di parteci-
pazione effettiva ai benefici dello sviluppo, e da l allimpostazione delle alternative di etnosvi-
luppo
59
. Il secondo elemento la crescente consapevolezza, a livello internazionale, che lo stes-

57 A Colajanni, cit., pag. 25. Lautore prosegue chiedendosi: chi contribuisce a destabilizzare maggiormente il si-
stema politico-sociale, gli sforzi di un gruppo etnico che cerca di esaltare la propria distinzione dalla societ pi ampia e i
propri diritti fondamentali differenziali, o le strategie politiche di un governo che cerca di costruire forzatamente uno stato
unitario e omogeneo che non esiste, una nazione unitaria a partire da un crogiuolo di gruppi umani multietnici, multilin-
gui e pluriculturali?.
58 Cfr. Jos Bengoa, cit., pagg. 324-325.
59 D. Iturralde G., Movimento indio, costumbre juridica y usos de la ley, in R. Stavenhagen, D. Iturralde, cit., pag. 50.
E significativo in tal senso riportare quanto previsto dalla Convenzione O.I.L. n. 169 in tema di partecipazione dei popoli
indigeni alla definizione di quello che il modello di sviluppo loro e delle comunit nazionali in cui sono inseriti. Lart. 7 c. 1 cita
testualmente I popoli interessati devono avere il diritto di decidere le proprie priorit in ci che riguarda il processo di sviluppo,
nella misura in cui esso incida sulla loro vita, sulle loro credenze, le loro istituzioni ed il loro benessere spirituale e sulle terre che
essi occupano od in altro modo utilizzano, e d'esercitare in quanto possibile un controllo sul proprio sviluppo economico, sociale e
culturale. Inoltre, detti popoli debbono partecipare all'elaborazione, all'attuazione ed alla valutazione dei piani e dei programmi di
sviluppo economico nazionale e locale che li possano riguardare direttamente.

29
so movimento rappresenti uno dei pochi segni di vitalit in un orizzonte politico-sociale impron-
tato ad un unico modello di sviluppo carico di contraddizioni.
In ultima analisi, le esperienze indigene possono contribuire ad ampliare lorizzonte del senso
comune, non solo giuridico. Non sono solo urla di disperazione e di denuncia, richieste di ascolto
ed aiuto, ma anche e soprattutto voci critico-propositive fuori dal coro che possono contribuire
allelaborazione di una revisione critica dellidea stessa di cittadinanza.
Per far s che le rivendicazioni avanzate dagli indigeni non rimangano un ampio spazio di u-
topia
60
, necessario ridiscutere termini e concetti come popolo, stato, nazione, cittadinanza,
autonomia, autodeterminazione, revisionando profondamente molti dei concetti di base della
filosofia politica che ha costituito le fondamenta delle societ moderne del XIX secolo
61
.
Dobbiamo intraprendere quella che Artosi e Brighenti hanno definito col termine dia-
voluzione, ovvero un tipo di rivoluzione delle mentalit che sappia affrontare la propria imma-
nenza, che riesca a rimettere ogni volta in moto la storia, a rimettere in gioco le possibilit, a
riaprire gli orizzonti degli eventi
62
, ad individuare e sperimentare radicali percorsi riformatori. E
necessario un cambiamento di paradigma, o basta un mutamento di prospettiva? Mi affido ancora
agli autori citati sostenendo con loro che non si tratta di fissare obiettivi ideali, di inventare
soluzioni, ma di reinventare i problemi, di ri-attraversarli per ri-costruirli in maniere differenti
63
.
Con questo lavoro ho voluto provare a fornire un piccolo contributo che vada ad inserirsi nel
solco della rivisitazione delle categorie suddette, operata attraverso la logica del dialogo intercul-
turale, di quella che Gadamer chiama la fusione degli orizzonti
64
. Se si vuole percorrere questa
strada bisogna imparare a muoversi in un nuovo e pi ampio orizzonte entro il quale ci che
prima era lo sfondo, dato per scontato, delle nostre valutazioni pu essere riclassificato come una
delle possibilit esistenti
65
sviluppando nuovi vocabolari comparativi, anche attraverso una
trasformazione dei nostri criteri di osservazione ed analisi.


60 Jos Bengoa, cit., pag. 322.
61 Cfr. A. Colajanni, cit., pag. 27.
62 A. Artosi, A. Brighenti, Paradigma e mutamento. La molteplicit della transizione storica contemporanea, Socio-
logia del diritto n. 1/2000, pag. 111.
63 Ivi, pag. 110
64 Cfr. H. G. Gadamer, Verit e Metodo, Bompiani, Milano, 1983, pagg. 356-357.
65 J. Habermas, C. Taylor, cit., pagg. 55-56.

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