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Sommario:
1. Premessa: la propulsione a impulso. Sezione: la struttura dello spazio.
2. Sezione: come curvare a piacere lo spazio.
3. Sezione: il campo di curvatura.
4. Sezione: la velocità di curvatura.
5. Sezione: curvatura e paradossi relativistici.
6. Sezione: curvatura e tunnel spaziali.
7. Sezione: il motore a curvatura.
Nel XXIV secolo il volo interstellare fa parte integrante della vita di ogni giorno,
come un tempo lo erano gli spostamenti sulla superficie dei pianeti. Le odierne navi
stellari offrono un livello di comfort talmente elevato da indurre l'utente medio a
considerare il viaggio nello spazio come qualcosa di facile e scontato, senza
riflettere sugli enormi problemi scientifici e tecnologici che è stato necessario
risolvere negli ultimi 3 secoli per giungere alle prestazioni attuali, che la maggior
parte degli scienziati vissuti nell'epoca pre-curvatura considerava impossibile da
realizzare.
Tra questi problemi, quello della forma di propulsione ha rappresentato senza
dubbio l'ostacolo più arduo da superare: prima della scoperta della teoria della
curvatura, difatti, la maggior parte delle civiltà conosciute riteneva che il limite della
velocità della luce rendesse praticamente impossibili i viaggi interstellari. All'epoca,
difatti, l'unica forma di propulsione conosciuta era rappresentata dai motori a
impulso, basati sulla terza legge della dinamica classica. Al fine di comprendere i
principi posti a base della teoria della curvatura, e i complessi problemi che ha
consentito di risolvere, ritengo opportuno illustrare brevemente i limiti insiti nella
propulsione ad impulso, richiamando, quando necessario, le nozioni di fisica classica
e relativistica necessari per la loro comprensione.
La propulsione ad impulso, come detto, è fondata sulla terza legge della dinamica
classica, conosciuta come principio di azione e reazione: ad ogni azione corrisponde
una reazione uguale e contraria; in altre parole, ogni volta che ad un corpo viene
applicata una determinata forza, si genera (per reazione) una forza di pari intensità,
stessa direzione e verso opposto.
A questo punto è bene richiamare, per completezza di comprensione, le altre due
leggi della dinamica classica.
Secondo la prima (principio di inerzia), ogni corpo tende a conservare il proprio
stato di quiete (o di moto rettilineo uniforme), sino all'intervento di una forza esterna
che modifichi tale stato. L'inerzia può essere dunque definita come la resistenza che
un corpo oppone alla variazione del suo stato di quiete o di moto.
La seconda legge della dinamica classica afferma invece che applicando una
forza ad un corpo, lo stesso subisce un'accelerazione direttamente proporzionale
alla forza medesima, e inversamente proporzionale alla propria massa (f = m x a).
Questa legge è importante perché definisce il concetto di massa inerziale1, ossia
di resistenza all'accelerazione: la stessa forza genera accelerazioni uguali in corpi di
masse uguali e diverse in corpi di masse diverse. Per applicare una forza ad un
corpo occorre, ovviamente, impiegare dell'energia, ossia, con espressione più
tecnica, compiere un lavoro: l'energia viene difatti definita come la capacità di un
sistema (ad esempio, di un motore) di compiere un lavoro, che è a sua volta definito
come il prodotto della forza applicata ad un corpo per lo spostamento ottenuto2.
Poiché però il discorso rischia di divenire noioso, sarà meglio passare alle navi
spaziali. Muovere un oggetto nello spazio comporta diversi vantaggi rispetto al
movimento sulla superficie di un pianeta: l'assenza di attrito atmosferico e di campi
gravitazionali3 comporta che, una volta impressa una determinata velocità, l'oggetto
la conserverà indefinitamente, senza che sia necessario impiegare energia per
mantenerla.
Supponiamo di essere a bordo di una navetta e di attivare i motori ad impulso: il
sistema di propulsione preleverà del deuterio dai serbatoi e lo porterà a 15 milioni di
gradi: a tale temperatura gli atomi di idrogeno si fonderanno per produrre atomi di
elio, e una piccola parte di materia, circa lo 0,1%, si trasformerà in energia, secondo
la nota relazione E=mc2. Otterremo così del plasma da eiettare dagli ugelli ad
altissima velocità, e per reazione verremo spinti nella direzione opposta: in avanti se
usiamo gli ugelli posteriori, a destra se usiamo quelli di sinistra ecc.. Una volta
raggiunta la velocità desiderata, ad es. 1000 km/h, possiamo spegnere i motori e la
navetta manterrà invariata tale velocità (nonché la direzione), sinché non
interverremo sui comandi.
Tutto facile dunque. Sì, se ci accontentiamo di percorrere brevi distanze. Ma se
vogliamo raggiungere un'altra stella, le cose diventano terribilmente complicate!
Cominciamo col più famoso limite di velocità dell'universo, quello della luce (o, in
generale, della radiazione elettromagnetica): circa 300.000 Km al secondo nel vuoto
(indicato comunemente con la lettera c). Se avete una vaga idea delle dimensioni
dell'universo (diametro: circa 30 miliardi di anni luce4), della nostra galassia
(diametro: circa 100.000 anni luce), o della distanza dalla stella più vicina (che nel
caso del Sole è Proxima Centauri, lontana circa 4,3 anni luce), appare evidente
come tale velocità sia troppo modesta per percorrere simili distanze in tempi
accettabili. Ma perché non è possibile andare più veloci? Per rispondere a questa
domanda dobbiamo richiamare alcuni principi di fisica relativistica.
Si è già parlato del concetto inerziale di massa, comunemente usato nella fisica
classica. La caratteristica fondamentale della massa così intesa è che essa resta
costante, invariante: perciò, in linea di principio, non ci sarebbero limiti alle velocità
che è possibile raggiungere, a patto di disporre dell'energia sufficiente. Purtroppo
non è così: quando si superano certe velocità occorre confrontarsi con un diverso
concetto di massa, quella relativistica, che a differenza della prima non è costante,
ma aumenta all'aumentare della velocità: i corpi, insomma, si oppongono ad essere
accelerati a velocità prossime a quelle della luce, e tanto più ci si avvicina a tale
velocità, tanto più difficile diventa accelerare ulteriormente, come se il corpo
diventasse "più massiccio". Detto aumento di massa segue una legge matematica
ben precisa, che comporta la necessità di una quantità infinita di energia per
raggiungere la velocità della luce, la quale risulta pertanto irraggiungibile e
insuperabile5.
La conseguenza evidente di tale principio è che la propulsione ad impulso
diventa terribilmente costosa alle alte velocità: occorrono immense quantità di
propellente per raggiungere velocità vicine a quella della luce (che è sempre troppo
poco, come detto, per le nostre esigenze), per tacere del fatto che il propellente fa
parte della massa da muovere, per cui, anche disponendo di un enorme serbatoio
pieno di deuterio, occorre fare i conti con la sua brava massa relativistica, e prima
ancora con quella inerziale. La propulsione ad impulso ad alte velocità, insomma, è
una sorta di serpente che si morde la coda.
La massa, inoltre, non è l'unica grandezza non più costante alle alte velocità: un
altro problema da affrontare nei viaggi spaziali a velocità relativistiche è difatti la
dilatazione del tempo.
Il tempo non scorre in modo uniforme per tutti gli osservatori, al contrario di
quanto postulato dalla fisica classica, bensì tanto più lentamente quanto più
l'osservatore che misura un dato evento si avvicina alla velocità della luce6.
Il motivo di questo fenomeno va ricercato nel fondamentale postulato posto a
base della dinamica relativistica: l'invarianza della velocità della luce. Cerchiamo di
chiarire il concetto; normalmente le velocità si sommano tra loro: se io, da una
navetta in moto a 1000 km/s, lancio una sonda avente una velocità di 5 km/s,
rispetto a me la sonda avrà detta velocità, ma un osservatore in quiete rispetto alla
navetta misurerà invece una velocità di 1000 + 5 = 1005 km/s, poiché, giustamente
(dal suo punto di vista), dovrà considerare anche la velocità che la sonda aveva
prima di essere lanciata (ossia, la velocità della navetta).
Le cose vanno invece diversamente quando in ballo vi è la velocità della luce (o
di una qualunque radiazione EM): se io accendo le luci di navigazione della navetta,
o invio un (antiquato) segnale radio, sia io, sia l'osservatore in quiete rispetto a me,
sia qualunque altro osservatore dell'universo, misureremo tutti la stessa velocità di
propagazione dell'onda: circa 300.000 km/s7. Ora, poiché la velocità è definita,
come è noto, come il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo impiegato per
percorrerlo (v = s/t), e poiché nel caso di specie tutti gli osservatori hanno misurato
la stessa distanza e la stessa velocità, ne deriva che a variare deve essere il tempo,
il quale, come detto, scorre in funzione della velocità dell'osservatore.
Il fatto che lo spazio sia curvo e "plasmabile" ha delle importanti conseguenze per
i nostri fini, perché in tale tipo di spazio le distanze non sono "assolute" e la via più
breve tra due punti non è necessariamente una retta.
Per visualizzare intuitivamente la struttura dello spazio possiamo ricorrere ad un
antico esempio: immaginarlo come un foglio di gomma molto elastico. Su tale foglio
poggiano le varie masse dell'universo, particelle, pianeti, stelle ecc. Tali masse
"deformano" il foglio di gomma, in misura dipendente dalla loro entità (masse
maggiori produrranno una "curvatura" maggiore). Abbiamo perciò scoperto che è la
gravità a modellare lo spazio, il quale risulta più curvo nelle regioni più prossime a
masse elevate.
La gravità è perciò lo "scalpello" che modella lo spazio. A questo punto è chiaro
perché si parla di curvatura: essa è precisamente ciò che indica tale termine, una
"deformazione" (warp) dello spazio indotta da un campo gravitazionale.
Ma cosa succede, esattamente, curvando lo spazio?
Qualunque massa, come visto, è in grado di curvare lo spazio: poiché non può
esistere spazio senza massa, ne deriva che lo spazio è sempre e necessariamente
curvo, benché la curvatura sia maggiore in prossimità delle masse e minore (in
ragione del quadrato della distanza12) man mano che ci si allontana da esse.
Qualunque massa o onda in movimento nello spazio deve seguirne
necessariamente la geometria, così come un turboascensore non può muoversi al di
fuori degli appositi condotti di trasferimento. Quando una massa o un'onda entrano
in una regione dello spazio caratterizzata da una particolare curvatura, devono
necessariamente percorrerne la struttura.
In tal modo è stata giustificata, in passato, l'attrazione gravitazionale: poiché lo
spazio si incurva sempre di più in prossimità di una massa, un corpo entrato in tale
regione deve dirigersi verso la massa deformante, percorrendo il "baratro"
gravitazionale da essa creato (a meno che non sia in possesso di una velocità
sufficiente per "uscirne").
Appare quindi evidente che, poiché lo spazio non ha una struttura fissa e
immodificabile, è possibile "plasmarlo" in modo da adeguarlo alle nostre esigenze.
Se vogliamo, ad esempio, percorrere una grande distanza in tempi brevi, possiamo
comprimere lo spazio tra il punto di partenza e quello di arrivo (senza spostare
questi ultimi, per i motivi che si vedranno). In questo modo non sono più necessarie
velocità elevate, e comunque irraggiungibili: è come se prendessimo una
scorciatoia… nello spazio stesso, una sorta di galleria che ci consente di evitare la
scalata della montagna.
Detto così, ovviamente, è troppo semplice, e troppo bello per essere vero.
Vediamo quali sono i terribili problemi da affrontare, e come sono stati risolti.
Esistono però in natura curvature dello spazio ben maggiori di quelle prodotte
dalle stelle: si tratta delle singolarità (oggi definite con l'aggettivo quantiche, per
significare che, a differenza che in passato, si è ormai in grado di determinare gli
effetti quantistici della gravità), ossia di regioni dello spazio-tempo caratterizzate da
un intenso campo gravitazionale, imprimente una configurazione "a cuspide", una
sorta di baratro non interpretabile con le teorie relativistiche pre-unificazione. In altre
parole, la curvatura in una singolarità è talmente accentuata che le lunghezze sono
ridotte ad un valore prossimo allo zero, mentre il tempo scorre ad un ritmo
pressoché infinito13. Singolarità che si trovano, solitamente, al centro di buchi neri
(stelle di grande massa collassate, dotate di un campo gravitazionale talmente
intenso da non consentire neppure l'emissione di luce).
Sembrerebbe quindi che, se devo recarmi da A a B e nel tragitto trovo un buco
nero, potrei usare lo stesso per accorciare il viaggio, dal momento che nella
singolarità lo spazio è compresso sin quasi ad un valore nullo.
Sconsiglio vivamente gli aspiranti navigatori spaziali dal compiere una simile
impresa: ci sono forme di suicidio meno complicate, e non implicanti la distruzione di
una costosa nave spaziale. Innanzitutto perché lo stesso campo gravitazionale che
ci fa il favore di comprimere lo spazio farebbe a pezzi noi e l'astronave ben prima di
raggiungere la singolarità. In secondo luogo perché, qualora resistessimo alla
gravità usando il campo di integrità strutturale, gli ammortizzatori inerziali e gli scudi
deflettori (sinché dura l'energia...), la dilatazione temporale implicherebbe un tempo
(per un osservatore esterno al luogo del nostro suicidio) lunghissimo per
raggiungere la singolarità, e così la breve durata del viaggio andrebbe a farsi
friggere. Dulcis in fundo, una volta raggiunta la singolarità difficilmente potremmo
venirne fuori, non potendo con i motori a impulso né raggiungere, né superare la
velocità della luce. Come se non bastasse, non andremmo comunque a finire da
nessuna parte, perché la singolarità resta dov'è e non si muove certo nella direzione
che ci aggrada (e se volessimo spostarla noi dovremmo fare i conti, per dirne una,
con la sua formidabile inerzia). Insomma, usare un buco nero per viaggiare nello
spazio è un po' come volere entrare in una stanza passando per il buco della
serratura: scomodo, doloroso, inutile!
Ma a noi serve proprio una curvatura del tipo di quelle generate dalle singolarità!
Torniamo al punto di partenza: come curvare lo spazio? Con la gravità. Cos'è che
genera la gravità, o se si preferisce i gravitoni, le particelle portatrici della forza
gravitazionale? La massa. Per avere il campo gravitazionale di una stella devo per
forza disporre della massa di una stella? No! E' qui che risiede l'inizio della soluzione
dei nostri problemi.
In natura, il campo gravitazionale ha simmetria sferica: si estende uniformemente
in tutte le direzioni, con intensità decrescente (in proporzione quadratica) rispetto alla
distanza dalla sorgente.
Per i nostri fini, questo è un enorme spreco! In natura è bene che le cose vadano
così, perché l'universo come lo conosciamo non potrebbe certamente esistere (e noi
con lui) se la gravità operasse in una sola direzione. Ma a noi non interessa curvare
un enorme volume di spazio, bensì agire solo nella zona che intendiamo
attraversare.
La radiazione elettromagnetica si comporta, per certi aspetti, come il campo
gravitazionale: anch'essa ha simmetria sferica, anch'essa ha intensità decrescente
con il quadrato della distanza. Ma le specie evolute hanno, da molto prima del saper
viaggiare nello spazio, appreso come "piegare" la radiazione EM alle proprie
necessità, ottenendo onde propagantesi in una direzione prefissata, o luce
monocromatica (laser, maser ecc.).
La stessa cosa si è riusciti a fare con la gravità, mediante la polarizzazione
gravitazionale. La teoria del Campo Unificato, con cui le forze della natura
(Gravitazionale, Elettrodebole, Forte, Repulsiva) vengono descritte come diverse
manifestazioni di un unico ente14, ha consentito la manipolazione delle onde
gravitazionali con modalità analoghe a quelle conosciute sin dall'antichità con le
onde EM. In particolare, è stato possibile porre onde gravitazionali in concordanza di
fase15 ed ottenere delle emissioni coerenti, in modo da creare treni d'onda a
propagazione lineare.
E' noto da tempo che particolari leghe metalliche contenenti elementi transuranici
di elevatissimo peso atomico (cortenide di verterio, thoronium arkenide) possono
emettere gravitoni in condizioni particolari (la cortenide di verterio se esposta a
plasma ad alta energia, il thoronium arkenide se posto in rotazione a velocità
elevate, in un ambiente di gas chrylon e applicando un'opportuna differenza di
potenziale). La prima lega viene utilizzata per le bobine delle gondole a curvatura
delle navi spaziali, la seconda per la realizzazione dei generatori di gravità artificiali.
La caratteristica fondamentale di queste leghe è il consentire la trasformazione,
con rendimento piuttosto elevato (intorno al 70%) della forza elettromagnetica in
forza gravitazionale. Conversione resa vantaggiosa dal fatto che la forza
elettromagnetica ha intensità ben superiore a quella gravitazionale (il debolissimo
campo magnetico della maggior parte dei pianeti di classe M è sufficiente a spostare
l'ago di una bussola, vincendo l'attrazione gravitazionale).
Con procedimenti particolari (vedi la sezione settima) è possibile fare in modo
che l'emissione di gravitoni avvenga unicamente lungo una direzione prefissata, e
con frequenze predeterminate16. Le onde gravitazionali così emesse sono poste in
concordanza di fase, in modo che l'energia della successiva si sommi a quella della
precedente, e si concentri in un ristretto volume di spazio.
E' così possibile realizzare un campo gravitazionale di elevata intensità e limitata
estensione, senza dovere disporre della massa necessaria per ottenerne uno di
analoga intensità in modo "naturale". Il consumo di energia necessario è certamente
elevato, ma di gran lunga inferiore a quanto teorizzato in epoca pre-curvatura.
A questo punto è evidente che, facendo in modo che il campo gravitazionale (di
intensità analoga a quello esistente nelle singolarità) si formi nella direzione di
avanzamento della nostra nave, esso provvederà innanzitutto a comprimere la
regione di spazio che ci accingiamo ad attraversare, e in secondo luogo si sposterà
con la nave stessa, comprimendo regioni di spazio poste in successione, senza
soluzione di continuità.
Tale risultato, però, rappresenta solo il primo passo, fondamentale ma
insufficiente. Il nostro bravo campo gravitazionale portatile e regolabile ha sempre i
difetti dei suoi colleghi naturali: la sgradevole tendenza a fare a pezzi noi e la nostra
povera nave, incurante del fatto che siamo i suoi genitori, e l'effetto relativistico di
dilatazione temporale (della contrazione delle lunghezze non è il caso di curarsi
troppo, con le altre grane che abbiamo), che prolunga la nostra agonia con la
dilatazione temporale, anche se non quanto una singolarità, perché una volta
distrutto il generatore, il campo gravitazionale morirà dopo di noi. Magra
consolazione.
Ma cos'altro serve, allora, per realizzare un campo di curvatura utile ai nostri
scopi?
Per poter sfuggire al pozzo gravitazionale creato davanti alla nostra nave per
comprimere lo spazio davanti a noi, è necessario creare un "antipozzo" dietro, in
modo che la compressione venga bilanciata dall'espansione (che dovrà avere pari
intensità e "segno" opposto) e la nave venga sospinta su tale "onda" di spazio-tempo
modificato, passata la quale lo spazio tornerà alla sua struttura normale.
Comprimendo lo spazio nella direzione anteriore riduciamo la distanza dal punto di
arrivo, ossia ci "avviciniamo" (benché, lo si ripete, la posizione del punto di arrivo
non muta, poiché operiamo solo sullo spazio intermedio); espandendo lo spazio
nella direzione opposta, invece, ci "allontaniamo" dal punto di partenza, sfuggendo al
baratro gravitazionale creato davanti a noi (senza necessità di alcuna
accelerazione).
La regione compresa tra il fronte di compressione e quello di espansione è detta,
con espressione pittoresca, bolla di curvatura, e mantiene le condizioni di un
qualunque sistema di riferimento in moto alla stessa velocità. In altre parole, le
masse ivi presenti non subiscono né gli effetti relativistici sopra descritti (aumento di
massa, dilatazione del tempo ecc.), né effetti inerziali, poiché la velocità posseduta
precedentemente all'ingresso in curvatura NON MUTA.
Così come la compressione locale dello spazio viene realizzata mediante
emissioni di treni di onde gravitazionali coerenti, l'espansione nella regione opposta
viene ottenuta tramite emissioni coerenti di warpers, particelle bosoniche portatrici
della Forza Repulsiva.
La Forza Repulsiva, come detto nella nota 14, è una delle forze fondamentali
della natura (l'ultima, solitamente, ad essere scoperta), e manifesta la sua azione in
presenza di elevate concentrazioni di massa (o di energia). Tale forza è inferiore,
come ordine di grandezza, all'attrazione gravitazionale, e difatti in condizioni normali
non è in grado di contrastarne significativamente gli effetti. Quando però i campi
gravitazionali sono di tale intensità da renderne non trascurabili gli effetti quantistici
(come avviene nelle singolarità, e nei campi di curvatura), essa è in grado di opporsi
al collasso infinito della materia (il volume delle singolarità, difatti, è piccolo, ma non
nullo). Ciò fornisce una giustificazione del noto paradosso della meccanica
relativistica pre-unificazione, la quale non era in grado di chiarire come la curvatura
dello spazio-tempo assumesse nelle singolarità un valore infinito, senza che la
massa collassante, per effetto dell'accelerazione gravitazionale sempre crescente,
raggiungesse o superasse la velocità della luce. La forza repulsiva, insomma, pone
un limite "di sicurezza" alla comprimibilità della massa.
Gli warpers, particelle vettori della forza repulsiva, agiscono insomma come una
sorta di gravità negativa. La loro "gestione" nel campo di curvatura è in buona parte
analoga a quella dei gravitoni: normalmente, per ottenere una significativa quantità
di warpers sarebbe necessario disporre di concentrazioni di massa elevatissime,
persino superiori a quelle richieste per i campi gravitazionali delle singolarità. Nel
campo di curvatura, tuttavia, gli warpers si formano come "sottoprodotto" della
creazione dei treni d'onda gravitazionali coerenti, e tendono a muoversi nella
direzione opposta: un'elevata concentrazione di gravitoni polarizzati, generati dal
punto P e concentrati ad una distanza D da esso, produce un'analoga
concentrazione di warpers ad una distanza –D da P, ossia dalla parte opposta. In P,
che poi sarebbe la nostra astronave, il campo gravitazionale è "normale", ossia
identico a quello locale, non generato dal campo di curvatura. Andando in avanti,
seguendo il treno d'onda di gravitoni, il campo gravitazionale aumenta d'intensità,
sino a raggiungere il valore massimo, detto CUP (Curvatura Utile Positiva) nella
regione in cui i treni d'onda entrano in concordanza di fase. Dall'altra parte,
viceversa, il campo di espansione raggiunge il valore massimo nella regione in cui gli
omologhi treni di warpers coerenti entrano a loro volta in concordanza di fase; il
campo di espansione raggiunge in tale punto il valore massimo, detto CUN
(Curvatura Utile Negativa).
A questo punto il lettore attento avrà notato immediatamente un problema: si è
detto in precedenza che la forza repulsiva opera su un ordine di grandezza inferiore
rispetto a quella gravitazionale. Per la precisione, o meglio per fornire
un'approssimazione accettabile in questa sede, il rapporto tra le due forze è pari a
circa 1/1000: se occorre un'energia E per produrre un campo gravitazionale di una
data intensità, occorrerà circa 1000 volte quell'energia per produrre un campo di
espansione (o repulsione che dir si voglia) di intensità analoga, ossia in grado di
produrre un'espansione bilanciante esattamente la compressione. A ciò si pone
rimedio con due sistemi: in primo luogo alterando la simmetria del campo, e
precisamente facendo in modo che il CUN abbia una distanza dalla sorgente pari a
circa 1/10 di quella del CUP. In secondo luogo, mediante un treno d'onda
supplementare di warpers, che posto in opportuna concordanza di fase con quello
principale fa assumere al CUN il valore necessario per bilanciare la compressione
generata dal CUP.
Peraltro, non è necessario che CUP e CUN abbiano valori (in modulo) identici, esiste
un margine di tolleranza che non influisce significativamente sull'effetto "propulsivo",
margine che però si riduce al crescere della tensione del campo di curvatura, e
tende a 0 all'approssimarsi del limite teorico (secondo la scala attualmente vigente)
di curvatura 10.
Quando però il margine di tolleranza non viene rispettato, e supera il valore soglia
oltre il quale la contrazione dello spazio non è più bilanciata dall'espansione, si
verifica il noto "effetto cavitazione"17.
Per comprendere appieno l'effetto cavitazione, occorre precisare che, all'interno del
campo di curvatura, per ragioni che formano tuttora oggetto di studio, la costante
gravitazionale assume un valore inferiore al normale. La massa inerziale della nave,
di conseguenza, è molto inferiore a quella posseduta in condizioni normali. La nave,
tuttavia, conserva per inerzia la velocità posseduta al momento dell'ingresso in
curvatura. Poiché tale velocità è di solito pari ad una frazione significativa di quella
della luce (in ragione dell'uso della propulsione ad impulso nelle fasi di
allontanamento e avvicinamento ai pianeti), quando la nave entra in cavitazione la
spinta inizialmente posseduta fa accelerare la nave a velocità prossime a quella
della luce18, come se fosse diventata improvvisamente "più leggera".
Un'ulteriore accelerazione viene impressa alla nave dal CUP, che, non più
bilanciato correttamente dal CUN, esercita una forte attrazione gravitazionale,
applicando sulla nave una forza che, in base alla seconda legge della Dinamica, ne
incrementa la velocità.
La nave si trova pertanto esposta a subire i noti effetti relativistici delle alte
velocità (dilatazione del tempo, contrazione delle lunghezze).
Poiché le navi della Flotta Stellare non sono progettate per sopportare a lungo
simili velocità, che comportano, oltretutto, gravi pericoli per l'equipaggio (come visto
nella Sezione Prima), il computer di bordo, in caso di cavitazione, interrompe
immediatamente l'iniezione del plasma nelle bobine delle gondole19, con
conseguente collasso del campo di curvatura. La nave riacquista gradatamente la
massa inerziale "normale", e la velocità diminuisce sino al valore precedente
l'ingresso in curvatura (il tempo necessario è pari, mediamente, a circa 30 secondi).
Sempre per motivi di sicurezza, i controlli di volo vengono disabilitati (una virata
imporrebbe alla nave severissimi stress strutturali), per cui eventuali oggetti che si
trovano sulla traiettoria della nave, che non possano essere deviati dai deflettori di
navigazione a causa della grande massa (ad esempio, piccoli asteroidi) devono
essere immediatamente distrutti.
v = (aw3 + lambda) c
dove v è la "velocità di curvatura", w è il fattore warp, ossia il grado di
compressione - espansione dello spazio determinato dal campo di curvatura ed
espresso in cochrane, a è una costante, lambda assume valori diversi a seconda dei
fattori warp, e viene determinato empiricamente, c è la velocità della luce in km/s.
Per w = 1 cochrane, come detto, la velocità di curvatura è pari a quella della luce,
nel senso che l'effetto propulsivo consente di spostare la nave ad una velocità che,
nello spazio normale, sarebbe pari a circa 300.000 km/s, senza effetti relativistici
apprezzabili.
Per w = 2 cochrane, la velocità warp è pari a 10 volte quella della luce; per w = 3,
v = 39c; per w = 4, v = 102c; per w = 5, v = 214c; per w = 6, v = 392c; per w = 7, v =
656c; per w = 8, v = 1024c; per w = 9, v = 1516c; per w = 9.6, v = 1909c; per w =
9.9, v = 3053c; per w = 9.99, v = 7912c; per w = 9.9999, v = 2377360c; per w = 10 la
velocità è infinita, ossia il tempo di arrivo a destinazione è nullo. Si tratta di un limite
teorico, irraggiungibile allo stato attuale delle conoscenze.
Da come sono costruiti gli esempi appare difatti chiaro che il paradosso è soltanto
apparente. L'estrazione della lotteria e l'esplosione della supernova sono difatti
avvenuti PRIMA che l'informazione fosse ricevuta dagli interessati, per cui il principio
di causalità viene pienamente rispettato.
Sappiamo però che la nave non si muove, in realtà, più veloce della luce, per cui
è senz'altro possibile la percezione del panorama esterno.
Tuttavia, quando le onde luminose provenienti dall'esterno entrano nella zona di
azione del campo di curvatura, subiscono una deviazione verso il CUP, a causa del
forte campo gravitazionale23. Di conseguenza, si ha un mutamento della posizione
apparente della stella. Poiché il CUP si sposta insieme alla nave, l'osservatore a
bordo vede mutare le posizioni apparenti delle stelle. La frequenza dei mutamenti,
superiore ai 10 per secondo, è sufficiente ad impressionare la retina della maggior
parte delle forme di vita umanoide, generando la percezione di una scia luminosa.
L'effetto cessa con la disattivazione del campo di curvatura.
B) Nucleo di curvatura.
C) Gondole.
FONTI
Bibliografia:
La fisica di Star Trek, di Laurence Krauss, edizioni Longanesi.
Dio non gioca a dadi, di Walter Cassani, edizioni Demetra.
Dal Big Bang ai buchi neri, di Stephen Hawking, BUR Rizzoli.
Scienza ed emergenze planetarie, di Antonino Zichichi, BUR Rizzoli.
Filmografia:
Star Trek I – the motion picture.
Star Trek VIII – Primo Contatto.
La cruna dell'ago (VOY).
Ancora una volta (VOY).
Echi mentali (TNG).
Il diritto di essere (TNG).
Déjà-Q (TNG).
L'Emissario (DS9).
Nelle mani dei profeti (DS9).
Internet:
HyperTrek, a cura Luigi Rosa.
Tech Trek.
Webtrek Italia.
NOTE