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Domenico Chillemi Maria Chiarello

Lingua e civilt latine


percorso di civilt
Vita quotidiana
a Roma
LINGUA
COMMUNIS
2
D. CHILLEMI, M. CHIARELLO, Lingua communis 2011 SEI Societ Editrice Internazionale
La famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Il matrimonio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Il giorno delle nozze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
La scuola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Linsegnamento primario (ludus litterarius) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Linsegnamento medio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Linsegnamento superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
Le abitazioni: domus, insulae, villae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
Le domus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
LESSICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Ambienti della domus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Le insulae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Le villae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
LEGGIAMO I TESTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
Le terme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
LEGGIAMO I TESTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
Indice
VITA QUOTIDIANA A ROMA
3 vita quotidiana a roma
VITA QUOTIDIANA A ROMA
La famiglia
Presso i Romani, il concetto di famiglia non indicava linsieme di persone legate da un rapporto di stretta
parentela e anit (padre, madre, gli), ma aveva un signicato pi esteso, comprendente uomini (li-
beri e schiavi), animali e cose materiali, uniti da tradizioni religiose proprie e soggetti al potere as-
soluto di un patriarca, il pater familias, a cui veniva riconosciuto, anche quando furono istituiti
organismi superiori, il potere di vita e di morte (vitae necisque) su ogni membro della famiglia stessa. Per
lungo tempo la famiglia romana mantenne questa sua congurazione di vero e proprio microrgani-
smo politico, costituito su base gentilizia, compatto e autonomo di fronte allo stato.
Alla morte del pater familias i gli liberi potevano formare nuove famiglie, divenendo a loro volta patres
familias; tuttavia ragioni di carattere politico ed economico imponevano di riconoscere nel pi anziano
dei fratelli il nuovo pater familias, cos da mantenere compatta tutta la forza dellaggregato e indivise le
risorse patrimoniali.
Lunione di pi familiae costituiva una gens; le gentes (la tradizione ne conta trecento) possono essere
considerate federazioni di famiglie che si riconoscevano oriunde dal medesimo capostipite.
La famiglia romana era caratterizzata da un estremo rigore morale: riutava la poligamia, condannava
il celibato e ladulterio e riteneva supremo dovere e norma morale la procreazione dei gli e la continuit
della stirpe.
Il pater familias amministrava il patrimonio familiare, rappresentava la famiglia nei rapporti con la co-
munit, oriva sacrici agli spiriti degli antenati, i Penati (protettori della famiglia) e i Lari (gli antenati
che vegliavano sulla famiglia e sui suoi beni). Esercitava la sua autorit sulle varie categorie di persone
a lui soggette sotto tre forme contemplate dal diritto pubblico. Vediamole.
Pranzo di famiglia, rilievo proveniente da Cizico, nellattuale Turchia.
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La dominica potestas si esercitava sugli schiavi. Nei tempi pi antichi
il numero degli schiavi presso i Romani era piuttosto limitato, tanto
che il nome stesso con cui venivano denominati fa supporre che nelle
famiglie non ci fosse pi di uno schiavo: per esempio, Lucipor (= Luci
puer) era lo schiavo di Lucio. In seguito, con il crescere della popola-
zione e della ricchezza derivante dai territori conquistati, il numero
degli schiavi aument enormemente e di conseguenza, mutate le con-
dizioni e le abitudini della societ, si rese necessario allontanarli dalla
famiglia: alcuni a lavorare nei latifondi, altri, in qualit di operai spe-
cializzati, nelle industrie. Lo schiavo molto spesso fu considerato un
essere spregevole, ingordo, pigro, falso, da tenere sotto controllo e trat-
tare con esemplare durezza. Non godeva di nessun diritto: poteva es-
sere percosso, venduto, ucciso. Questa concezione della schiavit
mut parzialmente in et imperiale, come dimostrano, per esempio,
gli scritti di Seneca.
La patria potestas era esercitata sui gli. Fin dalla nascita il bambino (-
glio, glia o nipote) era in balia dellautorit del pater familias. Nessuna
legge dello stato lo proteggeva. Deposto per terra nellatrio ai piedi del
pater familias, il neonato era sottoposto al rito del riconoscimento: se
era sollevato e preso tra le braccia (suscipre), entrava a far parte della
famiglia e se ne festeggiava la nascita; diversamente veniva venduto o
esposto, destinato a morire di freddo e di fame, a meno che qualcuno
non lo raccogliesse per allevarlo e farne uno schiavo. Questa triste sorte toccava di solito ai gli deformi
e alle bambine, quando gi in famiglia ce nerano tante. Lo storico Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.)
cita una legge secondo cui il pater familias era in dovere di riconoscere almeno la primogenita. Nel corso
del III secolo lautorit imperiale intervenne pi volte per impedire lesposizione dei bambini, ma le di-
sposizioni legislative non ebbero grande ecacia; la stesso codice giustinianeo (VI secolo d.C.) riconobbe
il diritto di esposizione, limitandosi solo a proibire che i bambini esposti fossero ridotti alla condizione
servile. Alcuni giorni dopo la nascita (otto per le femmine, nove per i maschi), aveva luogo il rito di pu-
ricazione. Era quello il dies lustricus, il giorno in cui il bambino veniva puricato con acqua (lustratio)
e si invocavano i Fata, le divinit che presiedono al destino degli uomini. Durante la cerimonia, alla pre-
senza di parenti e amici, si assegnava anche il nome (praenomen). Nelle famiglie di antica tradizione, ai
maschi si imponevano tre nomi: il praenomen, che corrispondeva al nostro nome personale, il nomen
della gens a cui apparteneva (gens Tullia, Iulia, Claudia, Cornelia ecc.) e il cognomendella famiglia, che po-
teva far riferimento a caratteristiche siche, al mestiere, alla professione, al luogo di nascita e anche al
mondo degli animali o ai prodotti della terra. Alle femmine si dava solo il nome paterno volto al fem-
minile, nome che era quello della gens (Tullia, Claudia ecc.). Se nella famiglia vi erano pi donne, veni-
vano distinte con Maior, Minor oppure con un numero ordinale (Secunda, Tertia ecc., in seguito addolcito:
Tertilla, Quartilla, Quintilla). In quello stesso giorno del rito di puricazione si appendeva al collo dei
bambini un medaglione rotondo di cuoio o di metallo, anche doro (bulla), che conteneva all'interno una
formula contro i maleci; i maschi lo portavano no al momento di assumere la toga virile (allet di 17
anni), le ragazze no al giorno delle nozze. I gli, dunque, erano del tutto soggetti allautorit dal pater fa-
milias, il quale di sua iniziativa poteva, comunque, emancipare il glio, svincolandolo dalla sua autorit
e rendendolo sui iuris. Con il volgere dei secoli, poi, nellambito di una nuova concezione dellintero or-
dinamento giuridico, le rigorose norme primitive furono temperate e fu prevista una certa emancipazione
Statuetta di uno schiavo
che si riposa.
gli scritti di Seneca (Luc. V, 47).
5 vita quotidiana a roma
dei gli maschi. La patria potestas sulle femmine rimase in vigore no al tempo di Diocleziano (284-
305 d.C.). Questo potere fu, tuttavia, gradualmente diminuito da espedienti e stratagemmi giuridici e
dalla fermezza di alcune donne, decise ad amministrare da s i propri interessi.
La manus era il diritto esercitato sulla moglie. Il termine nel linguaggio giuridico immagine con-
creta che simboleggia lautorit e il possesso delluomo sulla donna. Tuttavia il potere che il pater fa-
milias aveva su di lei non era illimitato: in caso di colpa grave, infatti, non avrebbe potuto condannarla
o venderla senza il consenso dei parenti. Ma, a parte il suo stato giuridico, allinterno della famiglia la
moglie, in ogni periodo della storia romana, appare come compagna e cooperatrice delluomo: , come
scrive Tacito, prospris dubiisque socia, cui (vir) cogitationes intmas, cui parvos liberos tradat (Ann. XII,
5) cio, compagna nella buona e nellavversa fortuna, a cui il marito pu adare sia i suoi intimi pen-
sieri sia i glioletti, si prende cura della casa e delleducazione dei gli. La letteratura ne esalta le sin-
golari virt e particolarmente la pudicitia e la des.
A Roma per indicare la donna sposata vi erano pi termini: uxor, termine del linguaggio della vita
quotidiana applicato a tutte le donne sposate, senza alcuna connotazione morale o religiosa (vedi infra,
il paragrafo sul matrimonio); mulier la donna che pu essere anche non sposata; matrona una -
gura pi complessa, la nobildonna sposata che ha avuto solo un uomo, al quale sar sempre fedele,
anche dopo la sua morte. Casta, pudca, pia, univra sono gli attributi che qualicano la matrona. Nella
societ gode di grande rispetto e per le strade le si cede il passo. Lei sola ha il privilegio di indossare la
stola, una sopravveste che dal collo scende no ai piedi e le avvolge totalmente il corpo; lei sola pu por-
tare gioielli doro, acconciarsi i capelli con bende particolari (crines e vittae) e coprire il capo con uno
scialletto a frange (rica), che scende sulle spalle.
Il matrimonio
Listituto del matrimonio presso i Romani ha subito nelle varie epoche del diritto romano una profonda
evoluzione storica, che riguarda sia la concezione stessa di matrimonio sia il complesso dei diritti e dei
doveri dei coniugi. In origine, infatti, il matrimonio (connubium) era possibile solo tra cittadini romani
appartenenti alla stessa classe. Non era ammesso il matrimonio misto fra patrizi e plebei o fra romani
e stranieri. Tale divieto, sancito dalla legge
delle XII Tavole (451 a.C.), venne meno qual-
che secolo dopo con la lex Canuleia, che, pa-
cicando i due ordini, consent il matrimonio
tra patrizi e plebei.
Agli schiavi non venne mai concesso di con-
trarre legittime nozze (iustae nuptiae), ma solo
una forma di matrimonio servile detto contu-
bernium (convivenza), per cui gli eventuali
gli che nascevano erano schiavi del pater
familias.
Il matrimonio non era nalizzato alla forma-
zione di una nuova famiglia: la novella sposa,
secondo le disposizioni del pi antico diritto
Rilievo ttile rafgurante una scena di parto, dalla tomba di Scribonia Atice
e Marco Ulpio Amerrimo, nella necropoli di Ostia.
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romano, veniva accolta nella casa del pater familias dello sposo, con la particolare funzione di procrear-
gli una discendenza legittima.
Le forme di matrimonio in vigore erano due: la conventio cum manu, in vigore dallet arcaica no a quasi
tutto il periodo repubblicano, e la conventio sine manu, la forma pi diusa a partire dal principato di
Augusto. Con la prima la donna perdeva ogni relazione di dipendenza con la famiglia dorigine e pas-
sava sotto la potestas del marito, se questi era pater familias, o del padre di lui, se lo sposo era lius fami-
lias; con la seconda la moglie continuava ad appartenere alla famiglia paterna, soggetta alla potestas del
proprio padre con diritto di eredit, e nei confronti del marito godeva di una posizione di sostanziale
parit.
La conventio cum manu, cio lassoggettamento della donna allautorit del pater familias, poteva avve-
nire secondo tre modalit: lusus, la comptio, la confarreatio.
Lusus era la forma pi antica di matrimonio e non era basato su alcun rito. Consisteva in questo:
luomo che fosse convissuto per un anno intero con una donna, con il suo consenso o di chi ne aveva
lautorit, acquistava la manus su di lei, a meno che questa non si fosse allontanata dal domicilio per
pi di tre notti consecutive (usurpatio trinoctii). In tal caso, comera previsto dalla legge delle XII Ta-
vole, veniva meno la manus e la donna veniva nuovamente incorporata nella famiglia dorigine, sotto
la potestas del pater familias.
La comptio era il matrimonio dei plebei e consisteva in una sorta di acquisto della donna da parte
del marito, in origine reale, poi simbolica. Avveniva davanti al magistrato, alla presenza di cinque te-
stimoni.
La confarreatio era il matrimonio riservato in origine ai soli patrizi. Consisteva in un solenne rito re-
ligioso ociato dagli stessi sposi, alla presenza del pontece massimo, del amen Dialis e di dieci te-
stimoni. Dopo aver sacricato a Giove Capitolino un agnello (la cui pelle, pellis lanata, veniva stesa sul
sedile su cui gli sposi sedevano in alcuni mo-
menti della cerimonia) e dopo aver compiuto le
libazioni di latte e miele, la sposa, pronunciando
una formula tradizionale, esprimeva la volont
di far parte della famiglia dello sposo. Quindi si
sottoscrivevamo le tabulae nuptiales, il contratto
di matrimonio. Seguiva poi la dexterarum iun-
ctio, il momento pi solenne della cerimonia:
una matrona, unamica di famiglia che fungeva
da madrina (pronba), prendeva le destre degli
sposi ponendole luna nellaltra, mentre il amen
Dialis recitava le preghiere di rito, invocando la
benedizione degli dei. Alla ne gli sposi si di vide-
vano una focaccia di farro (da cui il nome della
cerimonia), come simbolo della vita comune che
iniziava.
Rilievo rafgurante un matrimonio romano.
7 vita quotidiana a roma
In et arcaica i matrimoni cum manu costitui-
rono la regola. Con il tempo si veric una
lenta progressiva emancipazione del matri-
monio come istituto giuridico dal rapporto di
manus. Cos, in et classica, delle tre modalit
di costituzione della manus, la prima a scom-
parire fu lusus, mentre la comptio divenne
sempre pi rara. Il matrimonio per confarrea-
tio sopravvisse in quella ristretta cerchia di
persone tra le quali erano scelti il rex sacrorum
e i amini maggiori. Scomparve poi deniti-
vamente nel periodo imperiale. Eliminata pro-
gressivamente la manus, il regime ma trimo-
niale, gi a partire dal periodo augusteo, pone
sostanzialmente marito e moglie su un piano di
parit.
Il giorno delle nozze
Le ragazze potevano contrarre matrimonio al
compimento del dodicesimo anno, i ragazzi al
compimento del quattordicesimo. La data
della cerimonia nuziale era scelta in seguito ai
presagi degli auguri. Non tutti i giorni, infatti,
erano di buon augurio per un matrimonio fe-
lice: non lo erano, per esempio, i dies parentales, consacrati ai Mani degli avi alle idi di febbraio, n i Sa-
liorum dies allinizio di luglio. Non erano neppure di buon auspicio i giorni in cui cadevano le calende,
le none e le idi. Da escludere poi era maggio, mese in cui, secondo una tradizione, sarebbe stato ucciso
Romolo. Chi si fosse sposato in quel mese rischiava di morire presto. Andavano bene tutti gli altri giorni
dellanno e particolarmente la seconda met di giugno.
Il giorno delle nozze la sposa vestiva la tunica recta, una veste bianca lunga no a piedi e tessuta con li di-
sposti verticalmente, stretta alla vita con una cintura di lana (cingulum) con un nodo speciale detto nodus
Herculeus, a cui si attribuiva signicato scaramantico. Sopra il vestito portava la palla (mantello) color zaf-
ferano. Copriva il capo con un lungo velo arancione (ammeum), sotto il quale celava il viso (in seguito a
questuso, nubre, velare, coprire, assunse il signicato di prendere marito, sposare). Per la prima volta
ornava i capelli con bende (vittae) e veniva pettinata in un modo particolare, con trecce divise in vari gruppi
e tenute insieme con uno spillone (hasta caelibaris). Una ghirlanda di ori le adornava il capo.
Momento importante era la deductio: al crepuscolo la sposa veniva accompagnata dalla casa del padre
a quella dello sposo. Il corteo si apriva con i portatori di torce e i suonatori di auto. Seguiva quindi la
sposa, portando il fuso e la conocchia, simboli del suo lavoro domestico. Un bambino con una torcia di
albaspina, pianta sacra a Cerere, la precedeva; altri due le stavano accanto. Dietro la sposa stava una folla
di parenti e amici, che, lanciando noci (nuces) come auspicio di prosperit, cantavano linno nuziale,
lepitalamio. Giunti alla casa dello sposo, questi sollevava la sposa tra le braccia e varcava la soglia, per-
ch lei non inciampasse entrando: sarebbe stato un triste presagio. La festa si concludeva con un ricco
banchetto.
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Gruppo scultoreo rafgurante
una cerimonia nuziale.
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La scuola
Nella Roma antica, n dalle origini, listruzione fu lasciata alliniziativa privata. I primi interventi dello
stato in materia distruzione scolastica si ebbero solo nel I secolo d.C. con Vespasiano, che istitu una
cattedra di retorica (corrispondente a un nostro corso universitario) adandola a insegnanti (tra i quali
lo scrittore Marco Fabio Quintiliano) con regolare stipendio annuo a carico del sco imperiale. In se-
guito, nel corso del IV secolo, con gli imperatori Giuliano lApostata (361-363) e Valentiniano I (364-
375), anche gli altri gradi di istruzione (elementare e medio) ebbero pieno riconoscimento.
Fin dalle origini della storia di Roma, erano i genitori che, sottraendo parte del loro tempo alle pubbli-
che e domestiche attivit, si occupavano dellistruzione dei gli, insegnando loro non solo a leggere e a
scrivere, ma anche a conoscere le leggi e in particolare a imparare a memoria il testo delle XII Tavole, le
prime leggi scritte di Roma. Nelle famiglie facoltose, poi, i gli venivano adati (no allet di 12 anni)
alle cure del paedagogus, uno schiavo colto, quasi sempre di origine greca, che vegliava su di loro e li as-
sisteva in tutto larco della giornata. Leducazione mirava alla formazione del civis Romanus, rispettoso
dei valori morali e religiosi della tradizione e dei doveri verso la famiglia e la patria.
Alla moda di adare listruzione dei gli a uno schiavo greco si oppose decisamente Catone il vecchio
(234-149 a.C.), che, come scrive Plutarco, si attenne scrupolosamente ai metodi educativi del tempo an-
tico: Appena il glio pales un certo risveglio nella sua intelligenza, Catone lo prese personalmente sotto
le sue cure e gli insegn a leggere, per quanto egli possedesse uno schiavo di nome Chilone, che era ben
istruito e faceva linsegnante a molti altri ragazzi. Per Catone non riteneva conveniente che suo glio
dovesse essere sgridato e castigato da uno schiavo e da questi si ricevesse tirate di orecchie quando era
lento e svogliato nellimparare; daltra parte non avrebbe voluto restare in obbligo con uno schiavo per
una cosa tanto preziosa, quale era leducazione di un glio. Quindi Catone divenne per suo glio inse-
gnante degli elementi di alfabeto, di legge, di atletica, in quanto insegn a suo glio il lancio del giavel-
lotto, luso dellarmatura, lequitazione, il pugilato, a sopportare il caldo e il freddo e a nuotare fra i vortici
e le onde del Tevere (Vita di Catone 20).
E in eetti ai tempi di Catone, quando i contatti tra cultura latina e
cultura greca divennero pi intensi, si erano diuse a Roma nu-
merose scuole gestite da insegnanti provenienti dallItalia Meri-
dionale e dalla Grecia.
In queste scuole conuivano i gli delle famiglie meno ricche, che
non potevano permettersi in casa maestri greci assai costosi.
Prese quindi forma un ordinamento
scolastico articolato in tre fasi: insegna-
mento primario o elementare, in se-
gnamento medio, insegnamento su -
periore.
Scena di scuola, bassorilievo
da un sarcofago di Ostia.
9 vita quotidiana a roma
Linsegnamento primario (ludus litterarius)
Per frequentare il primo ciclo scolastico, i ragazzi si
alzavano molto presto, perch le lezioni comincia-
vano quasi allalba. Si recavano a scuola portando
con s il materiale per scrivere in una cassettina di
forma cilindrica (capsa) con un coperchio. Qui li at-
tendeva il ludi magister (maestro elementare), una
gura modesta e malpagata dalle famiglie dei ra-
gazzi. Durante le lezioni questi sedeva su una sedia
con spalliera (cathedra), i ragazzi su sgabelli pi o
meno comodi (subsellia). Il ludi magister aveva il
compito di insegnare a leggere, a scrivere e a contare,
con laiuto di piccoli sassolini (calculi). Per le opera-
zioni matematiche pi complesse veniva utilizzato
labaco (abacus), una specie di pallottoliere in cui ve-
nivano segnati i numeri in colonne verticali, da de-
stra a sinistra, con le unit, le decine, le centinaia. Per
scrivere i ragazzi tenevano sulle ginocchia delle ta-
volette spalmate di cera (tabellae), che si incidevano
con uno stilo (stilus), uno strumento dosso o di metallo (ferro, bronzo) con unestremit a punta e laltra
larga e piatta per cancellare. Oltre alle tavolette, gli alunni (specialmente quelli che frequentavano scuole
di grado superiore) utilizzavano carta di papiro (charta) o pergamene, su cui scrivevano con una can-
nuccia appuntita (calmus) o con una penna doca (pinna) intinta nellinchiostro (atramentum), contenuto
nel calamaio (atramentarium).
Le lezioni si svolgevano spesso in locali fatiscenti presi in atto o allaperto, sotto i portici. Tra i rumori
provenienti dalla strada e la confusione dei ragazzi, il ludi magister n dalle prime ore del mattino, per
farsi sentire, era costretto a gridare, svegliando con i suoi urli tutto il vicinato. Da questo derivano le im-
precazioni del poeta Marziale (40-104), che aveva la sfortuna di abitare vicino a una scuola: Maledetto
maestro! I galli non hanno ancora rotto il silenzio e tu gi tuoni con i tuoi terribili urli. Ma vuoi lasciarmi
dormire? (Epigr. IX, 68). I maestri mantenevano la disciplina e stimolavano allo studio a colpi di bac-
chetta (virga) sulle mani e frustate sulla schiena nuda
1
.
Le lezioni si interrompevano a mezzogiorno per il pranzo (prandium) e riprendevano nel pomeriggio.
In totale erano sei le ore di lezione che i ragazzi giornalmente dedicavano alla scuola.
A questo primo ciclo distruzione partecipavano maschi e femmine, dai sette ai dodici anni. Lanno sco-
lastico iniziava nel mese di marzo e durava no al marzo successivo. Vi erano naturalmente anche le va-
canze: ogni nove giorni in occasione del mercato (nundnae), nelle festivit previste dal calendario e nel
periodo estivo.
Linsegnamento medio
Terminato il ciclo elementare (il solo che le femmine potevano frequentare), i ragazzi accedevano al-
listruzione media, sotto la guida del grammaticus, che per circa un triennio impartiva loro lezioni di lin-
gua e letteratura latina e greca. I programmi scolastici prevedevano in particolare lo studio degli autori
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Scolaro interrogato dal maestro,
rilievo, particolare di un sarcofago.
1. Il poeta Orazio, vissuto al tempo di Augusto, ricorda il suo maestro Orbilio e lo denisce plagosus, cio manesco.
10 vita quotidiana a roma
greci e latini pi importanti, come Omero, Nevio, Ennio, Virgilio, Orazio, Cicerone, Livio. Gli studenti
erano addestrati al commento critico dei brani da leggere e a gustarne la bellezza dello stile. Oltre a ci
si impartivano nozioni di storia, geograa, mitologia, astronomia e sica, discipline necessarie per la
comprensione dei testi studiati e indispensabili per la formazione intellettuale degli allievi.
Linsegnamento superiore
Dopo i 15-16 anni, i ragazzi delle famiglie benestanti che intendevano intraprendere lattivit politica si
iscrivevano a un corso superiore di studi, tenuto dal rhetor. Fine principale dellinsegnamento retorico era
la formazione del futuro oratore. La capacit di parlare in pubblico, non solo per farsi intendere ma anche
per convincere, era ritenuta dai Romani il livello culturale pi alto a cui potesse aspirare un individuo. A
tale scopo, oltre allo studio del diritto e della losoa, i giovani approfondivano le opere degli autori clas-
sici, con particolare attenzione a quelle dei prosatori, per scoprire e acquisire gli strumenti dellarte del dire.
Il rhetor proponeva inoltre delle esercitazioni graduate scritte e orali. Le prime consistevano in narra-
zioni su svariati argomenti, in genere su personaggi della storia romana o greca, di cui veniva lodato o bia-
simato loperato; le seconde consistevano in esibizioni (anche davanti ai familiari) con cui i giovani davano
prova delle abilit dialettiche acquisite. Le esercitazioni orali si dividevano in suasoriae e controversiae. Le
suasoriae avevano carattere deliberativo e consistevano in monologhi immaginari di personaggi mito-
logici o della storia passata o recente su una decisione da prendere. Il giovane doveva mettersi nei panni
del personaggio ed esporre le ragioni adatte a giusticare la decisione presa e i motivi per cui sarebbe
stato un grave errore una scelta diversa. Le controversiae avevano carattere giudiziale e consistevano in
un dibattito tra due studenti, ognuno dei quali sosteneva la tesi opposta.
Alla ne di questo terzo ciclo, i giovani che intendevano seguire corsi di perfezionamento si recavano
ad Atene o a Rodi o ad Alessandria, presso scuole di retorica assai famose.
Linsegnamento della matematica e della medicina era lasciato quasi sempre alliniziativa di specialisti.
Le abitazioni:
domus, insulae, villae
Le domus
Gli antichi Romani facoltosi amavano abitare in
case spaziose, ricche di opere darte, con mosaici,
areschi, contornate da aiuole e alberi: erano le
domus. Queste case erano quasi sempre a un solo
piano, senza balconi, senza nestre (se non rare,
piccole e poste in alto), chiuse dentro un muro pe-
rimetrale e quasi isolate dal resto del mondo.
Ma comerano fatte allinterno le domus? Certo
non erano tutte uguali. Possiamo, tuttavia, farci
unidea prendendo a modello quelle documentate
dagli scavi di Pompei e di Ercolano.
Latrio della casa del Menandro a Pompei;
osserva il compluvium e limpluvium sottostante.
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Un alto portone di legno a due
battenti (ostium) si aacciava sulla
strada. Al centro di ogni battente
cera un martello (malleus), con
cui si batteva per farsi aprire
1
.
Allinterno ci si trovava in un cor-
ridoio (vestiblum), a volte abbel-
lito da statue e colonnati, con il
pavimento spesso ricoperto da un
mosaico. In un lato del corridoio si
apriva una stanzetta (cella ostiarii),
quella del portinaio, uno schiavo
addetto a controllare lingresso.
Il breve corridoio conduceva in
un ambiente ampio e pieno di
luce, latrio (atrium
2
), sala a forma
rettangolare con pareti spesso ric-
che di areschi dai colori vivaci,
raguranti gure mitologiche e
paesaggi. Il tetto, spiovente, al centro aveva unapertura quadrangolare (compluvium), da cui ent ravano
fasci di luce, ma anche lacqua piovana, che cadeva nella sottostante vasca a livello del pavimento, an-
chessa quadrangolare (impluvium) e abbellita spesso tuttintorno da statue. Da qui lacqua scorreva in una
cisterna sotterranea. Un piccolo pozzo di marmo consentiva di attingerla per gli usi domestici.
Nelle pareti laterali si aprivano alcune porte che immettevano nei vari ambienti: le camere da letto (cu-
bicla), piccole, con poca luce, illuminate da lucerne; la sala da pranzo (triclinium), con al centro un ta-
volo basso (mensa) e intorno i divani (lecti triclinares), senza spalliera ma con appoggi alle estremit, che
servivano a sostenere il gomito dei banchettanti semisdraiati; lucio (tablinum), dove il pater familias
riceveva i suoi clienti, trattava gli aari, teneva i registri dellamministrazione (talulae accepti et expensi),
i contratti di nozze (tabulae nuptiales), i testamenti (tabulae supremae) e le agende per gli appuntamenti.
Ai lati dellatrio si aprivano due stanze laterali di servizio (alae).
In un angolo dellatrium si trovava il lararium, dove si trovavano le statue dei Lari, dei Penati (gli dei
protettori della casa e della famiglia) e dei Mani (gli spiriti degli antenati), usato per le funzioni religiose.
Latrio nei tempi antichi era il centro della vita familiare: qui si svolgevano le principali attivit dome-
stiche e artigianali, qui si esponevano le immagini degli antenati, qui il pater familias celebrava i sacri riti
e invocava dagli dei prosperit e benessere per tutta la famiglia.
In seguito, a partire dalla ne del II secolo a.C., dopo la conquista della Grecia (quando crebbe la ric-
chezza dello stato romano e si diuse a Roma e in Italia larte greca, grazie ai contatti sempre pi frequenti
fra Romani e Greci), le domus divennero sempre pi grandi e sontuose, arricchendosi di un nuovo am-
biente, decisamente ampio e ricco, il peristilio (peristylium), che divent il nuovo centro della vita fa-
miliare.
11 vita quotidiana a roma
1. In alternativa al malleus vi potevano essere, alla destra, un campanello (tintinnabulum) legato a una cordicella o, nelle domus
pi sfarzose, due teste leonine di bronzo con in bocca un anello, con cui si picchiava su una supercie anchessa di bronzo
2. Latrium(da ater, atra, atrum, nero, oscuro) era detto cos perch in tempi remoti, quando la casa era costituita da un solo vano
(latrium, appunto), con unapertura nel sotto per fare entrare la luce, le pareti erano annerite dalla fuliggine e dal fumo del
camino che usciva da quellapertura.
In seguito, a partire dalla ne del II secolo a.C., dopo la conquista della Grecia (quando crebbe la ricchezza
dello stato romano e si diuse a Roma e in Italia larte greca, grazie ai contatti sempre pi frequenti fra Ro-
mani e Greci), le domus divennero sempre pi grandi e sontuose, arricchendosi di un nuovo ambiente, de-
cisamente ampio e ricco, il peristilio (peristylium), che divent il nuovo centro della vita familiare.
Scorcio del peristilio della domus detta della Venere
in conchiglia a Pompei.
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Al peristilio si accedeva dallatrio attraverso il corridoio (andron) che costeggiava il tablinum. Si trattava
di un grande giardino (hortus), cinto tuttintorno da un porticato (porticus) a colonne, su cui si aac-
ciavano le camere da letto (cubicula) della famiglia.
Nel peristilio si aprivano la sala da pranzo (triclinium) e altri ambienti come la cucina (culina), la di-
spensa (cella penaria), la cantina (cella vinaria) e ripostigli vari (criptae), le stanze della servit (cellae
servorum).
Durante i mesi invernali, le numerose stanze erano riscaldate con lipocausto (hypocaustum), un sistema
per il quale si immetteva aria calda proveniente da forni sotterranei in unintercapedine posta sotto il pa-
vimento e nelle pareti.
Il giardino era ricco di una grande variet di piante e di ori, armonicamente disposti in diverse aiuole, di
piccole piscine, di statue e di fontane.
Tra i nuovi ambienti introdotti con luso del peristilio, ricordiamo il bagno (balneumo balineum), do-
tato di tutti i conforti delle terme (vedi infra): lo spogliatoio (apodytarium), la piscina dellacqua calda (ca-
lidarium), la piscina dellacqua tiepida (tepidarium) la piscina dellacqua fredda (frigidarium). In fondo
al porticato, inne, si trovava lesedra (exedra), una sorta di ampio salotto con molti sedili, destinato a
luogo di ritrovo e di conversazione.
12 vita quotidiana a roma
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peristylium
con porticus
tablinum
vestibulum
cella
ostiarii
cubiculum
triclinium
atrium
impluvium
andron
cubicula
Ricostruzione di una domus romana,
con i diversi ambienti.
Le insulae
La maggior parte degli abitanti di Roma viveva ammassata in grossi caseggiati aventi dai tre ai cinque
piani, sviluppatisi nella parte bassa della citt. Queste costruzioni erano dette insulae, termine che ri-
chiama i nostri isolati. Le insulae erano gli edici pi alti della citt, veri e propri grattacieli, alcuni in
legno, altri in muratura. Per dare unidea di luminosit, molto spesso le pareti esterne erano ricoperte di
intonaco bianco.
Augusto aveva stabilito che la loro altezza non potesse superare i 21 metri e qualche secolo dopo Adriano
(117-138), intervenendo con una nuova legge, impose un limite massimo di 18 metri; tuttavia questi li-
miti non vennero quasi mai rispettati.
13 vita quotidiana a roma
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cubicula
ala
ala
andron
tablinum
peristylium
atrium
cubicula
vestibulum
ostium
lararium
porticus triclinium
triclinium
cubiculum
cellae servorum cella ostiarii
culina
exedra
impluvium
Ambienti della domus
alae, -arum: due stanze laterali allestremit del-
latrio
andron, -onis: corridoio che conduceva nel pe-
ristilio
atrium, -ii: atrio
cellae, -arum: camere laterali utilizzate come
magazzini
compluvium, -ii: compluvio
cubiculum, -i: camera da letto
culina, -ae: cucina
exedra, -ae: esedra, sala di conversazione
impluvium, -ii: impluvio
lararium, -ii: larario, altare domestico
latrina, -ae: in origine ambiente dove ci si la-
vava, in seguito luogo dei servizi igienici.
peristylium, -ii: peristilio, cortile interno cinto
da portici a colonne
tablinum, -i: tablino (ucio del pater familias)
tectum, -i: tetto
triclinium, -ii: triclinio (sala da pranzo e anche
letto da mensa collocato ai lati di un tavolo
centrale)
vestiblum, -i: vestibolo
L E S S I CO
14 vita quotidiana a roma
tabernae
cavaedium
cenaculum
Il pianterreno era talvolta destinato ad abitazione di un ricco locatario e costituiva una vera e propria
domus, con tutti i vantaggi di una casa signorile (rete idrica e fognaria, riscaldamento ecc.); pi spesso
era occupato da botteghe (tabernae) fornite di una scala interna che portava a un soppalco, adibito a de-
posito delle merci e ad abitazione dei bottegai (tabernarii).
Scale interne consentivano laccesso agli appartamenti dei piani superiori (cenacula), costituiti da vani
piccoli, privi di servizi igienici e di rete idrica (servizi per i quali si ricorreva ai bagni pubblici e alle
terme). Le nestre erano piccole, senza vetri, con pelli, tele o sportelli di legno per impedire allaria
fredda di entrare, che lasciavano ltrare poca luce.
Intorno al primo piano spesso correva un balcone che univa gli appartamenti e che era considerato un
vero privilegio. Allinterno dellinsula si apriva un cortile, il cavedio (cavaedium).
In queste abitazioni aollatissime (ogni insula ospitava in media duecento persone) e maleodoranti,
soggette al pericolo di crolli e incendi, viveva la gente povera, pagando un canone datto anche quat-
tro volte superiore a quello delle altre citt.
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Ricostruzione di uninsula romana.
Le villae
Conosciamo due tipi diversi di ville romane: la villa rustica e la villa urbana, la cui struttura non sem-
pre risponde a canoni di costruzione costanti, quanto piuttosto a esigenze particolari di uso e ai gusti dei
proprietari.
La villa rustica era un edicio di campagna, dove saltuariamente si recava il proprietario per control-
lare il lavoro degli schiavi e il raccolto. La direzione era adata al vilicus, che aveva il compito di prov-
vedere alle varie necessit degli schiavi e alle attivit agricole. Gli ambienti sorgevano intorno a un cortile,
in cui vi era una vasca (piscina) usata come abbeveratoio per gli animali; unaltra vasca si trovava al-
lesterno ed era utilizzata per operazioni collegate alla coltivazione dei campi.
Il vilicus abitava in una stanza accanto allingresso. In un ambiente sotterraneo vi era lergastulum, luogo
dove erano relegati e incatenati gli schiavi indisciplinati, che si erano resi colpevoli di qualche grave man-
canza. Un locale ampio e spazioso era destinato alla cucina per consumare i pasti e per le riunioni; in-
torno, per sfruttarne il calore, erano disposte le stalle dei buoi (bubilia) e dei cavalli (equilia), il pollaio
(gallinarium); quindi le stanze dei bovari e dei pastori, la stanza per il bagno e quella degli schiavi e dei
loro sorveglianti (monitores). Altri locali poi erano destinati a usi agricoli, come la cantina (cella vina-
ria) con il torchio (torculum) per la spremitura delluva, i magazzini per il grano e altri cereali (horreum)
e per la conservazione delle giare con lolio (cella olearia), il frantoio (traptum) per macinare le olive, il
mulino (mola). Labitazione del padrone era al piano superiore. Talvolta, per evitare incendi e altri pe-
ricoli, le derrate alimentari erano conservate in un edicio a parte, che costituiva la villa fructuaria.
15 vita quotidiana a roma
Modello che riproduce uninsula romana.
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La villa urbana
1
si svilupp a partire dal I secolo a.C., quando, con la crescita demograca dovuta al-
lintensicarsi delle conquiste e con lestendersi e il consolidarsi della ricchezza, linquinamento acustico
delle strade e laumento del numero dei veicoli aveva creato non pochi disagi. Cesare, nel 45 a.C., aveva
tentato di risolvere il problema consentendo la circolazione solo ai veicoli di interesse pubblico, ma a
Roma erano molti i privilegiati che si potevano permettere di circolare con i mezzi propri, nonostante
la legge. Marziale (40-104) in un suo epigramma (XII, 57) diceva: A Roma non esiste posto in cui un po-
veretto possa meditare o riposare. Al mattino non ti lasciano vivere i maestri di scuola, la notte i fornai,
durante tutto il giorno il martellare dei fabbri. Le villae urbanae rispondevano, dunque, a un bisogno di
evasione dalla vita caotica e convulsa della citt. Vivere un periodo di riposo e di tranquillit in localit
di soggiorno salubri, che consentissero di ritemprare non solo il corpo ma anche lo spirito, oltre che un
lusso, era ormai una necessit. Sorsero allora numerose le villae urbanae, situate in luoghi particolar-
mente suggestivi e gradevoli, come sulla cima di una collina o lungo le coste, dove era possibile abbrac-
ciare con lo sguardo la campagna circostante o la distesa del mare.
Le villae erano dotate di ogni conforto: le camere da letto (cubilia) per la famiglia e per gli ospiti, le sale
da pranzo (triclinia) per lestate e per linverno e per i grandi ricevimenti, la biblioteca, la rete idrica e
fognaria, il bagno (con annessi il tepidarium, il calidarium, il frigidarium, sul modello delle terme, vedi
infra), il porticato (peristylium) per passeggiare. Si aacciavano su un grande giardino, in cui si alter-
navano boschetti di piante di diverse specie (mirti, bossi, lauri, platani, pini), aiuole, statue e fontane.
16 vita quotidiana a roma
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1. Suburbanae erano dette quelle villae non lontane dalla citt, concepite per essere utilizzate nei giorni in cui si era liberi dagli
impegni.
LEGGIAMO I TESTI
1 I compiti del vilicus di una villa rustica
Catone il Censore nel suo De agri cultura descrive landamento e lorganizzazione di una villa rustica; descrive
anche i compiti del fattore, di cui riportiamo qui una parte.
Haec erunt vilici ocia. Disciplina bona utatur. Feriae serventur. Alieno manum abstineat, sua servet di-
ligenter. Litibus familia supersedeat; siquis quid deliquerit, pro noxa bono modo vindicet. Familiae male
ne sit, ne algeat, ne esuriat; opere bene exerceat, facilius malo et alieno prohibebit. Vilicus si nolet male fa-
cere, non faciet. Si passus erit, dominus inpune ne sinat esse.
Pro benecio gratiam referat, ut aliis recte facere libeat. Vilicus ne sit ambulator, sobrius siet semper, ad
cenam nequo eat. Familiam exerceat, consideret, quae dominus imperaverit ant. Ne plus censeat sapere se
quam dominum. Amicos domini, eos habeat sibi amicos. Cui iussus siet, auscultet. Rem divinam nisi Con-
pitalibus in conpito aut in foco ne faciat. Iniussu domini credat nemini: quod dominus crediderit, exigat. Satui
semen, cibaria, far, vinum, oleum mutuum dederit nemini. Duas aut tres familias habeat, unde utenda
roget et quibus det, praeterea nemini. Rationem cum domino crebro putet. Operarium, mercennarium, po-
litorem diutius eundem ne habeat die. Nequid emisse velit insciente domino, neu quid dominum celavisse
velit. Parasitum nequem habeat. Haruspicem, augurem, hariolum, Chaldaeum nequem consuluisse velit. Se-
getem ne defrudet: nam id infelix est. Opus rusticum omne curet uti sciat facere, et id faciat saepe, dum ne
lassus at; si fecerit, scibit in mente familiae quid sit, et illi animo aequiore facient. Si hoc faciet, minus libe-
bit ambulare et valebit rectius et dormibit libentius. Primus cubitu surgat, postremus cubitum eat. Prius vil-
lam videat clausa uti siet, et uti suo quisque loco cubet et uti iumenta pabulum habeant.
Catone, De agri cultura 5
CHE COSA RIPASSARE
a. congiuntivo esortativo
b. ablativo assoluto
c. proposizioni finali
Le terme
Le terme non sono uninvenzione dei Romani. Furono i Greci, amanti degli esercizi ginnici e delle attivit
sportive, a innalzare a Olimpia e nella colonia greca di Sibari, gi del V secolo a.C., le prime strutture ar-
chitettoniche utilizzate per il bagno caldo e di sudore e per il massaggio. I Romani in seguito, assumen-
done la funzione e traducendola in modo razionale, fecero della struttura termale il complesso
ar chitettonico pi grandioso dellantichit, destinato a essere uno dei centri pi importanti della vita sociale.
I Romani conoscevano certamente luso del bagno caldo; anzi, come scrive lo storico Pompeo Trogo
(I secolo a.C.), furono proprio i Romani a insegnare agli altri popoli a lavarsi con acqua calda. Agli inizi
della loro storia, luso del bagno caldo non era certamente unabitudine quotidiana. Seneca ci informa
che i Romani, nei primi tempi, erano soliti lavarsi tutti i giorni le braccia e le gambe per la necessaria pu-
lizia dopo il lavoro, ma solo ogni nove giorni, in occasione del mercato, facevano un bagno completo
(Epist. 86). La consuetudine del bagno caldo quotidiano cominci a diondersi in Italia e a Roma solo
verso la ne del III secolo a.C., in seguito ai contatti culturali con lOriente. Le famiglie nobili e facoltose
destinarono a bagno una stanza adiacente alla cucina e imprenditori privati costruirono modesti im-
pianti pubblici per soddisfare le esigenze di quanti non potevano permettersi in casa un tale servizio.
I primi stabilimenti termali pubblici nacquero prima dove era possibile sfruttare le sorgenti naturali di
acque calde o dotate di particolari virt curative. Con il tempo si diusero anche dentro le citt, grazie
allo sviluppo di tecniche di riscaldamento delle acque, come nelle terme di Pompei (II secolo a.C.), in cui
per la prima volta troviamo un sistema di riscaldamento mediante forni alimentati a legna.
A Roma il primo grande impianto termale pubblico chiamato per la prima volta thermae fu quello del-
lammiraglio Marco Vipsanio Agrippa, eminente uomo politico e amico dinfanzia di Augusto. Inserito
nel piano di rinnovamento urbanistico voluto dal principe, ledicio venne realizzato tra il 25 e il 19 a.C.
nel campo Marzio, presso il Pantheon, aperto a tutti e con ingresso gratuito: munico dono di Agrippa al
popolo romano.
17 vita quotidiana a roma
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Resti delle terme di Caracalla: gli imperatori spesso curavano la costruzione di terme.
tuttavia nella Roma imperiale che vennero realizzati con arte e magnicenza i complessi termali di
maggiori dimensioni, circondati da un recinto con esedra, luogo di riposo e di conversazione, rivestiti
con marmi preziosi, contornati da splendidi giardini con portici sostenuti da colonne di granito e adorni
di statue, con pavimenti in mosaico, con palestre, piscine e fontane: segno della liberale potenza degli im-
peratori.
Accanto ai locali destinati al bagno vero e proprio, al bagno di sudore e al massaggio (in alcuni stabili-
menti vi era una sezione riservata agli uomini e unaltra alle donne, con ingressi separati) vennero creati
altri ambienti: palestre, centri sportivi, sale per le conferenze e le feste, biblioteche, librerie, botteghe,
piccoli teatri per lascolto di poesia e musica. Insomma, le terme erano una citt nella citt, un luogo di
relax e di divertimento. Cos erano le terme di Nerone (58), ammirate ed elogiate da artisti e poeti (Quid
Nerone peius? Quid thermis melius neronianis? scriveva il poeta Marziale
1
); le terme di Tito, completate
per linaugurazione del Colosseo (80); le terme di Traiano (104-109), grandiosa e superba opera pro-
gettata dallarchitetto Apollodoro di Damasco, vicinissima al Colosseo, sul colle Oppio; le terme di Ca-
racalla (211-216), che potevano ospitare 2500 persone; le terme di Diocleziano (284-305), ancora pi
grandiose, realizzate dove ora si trova la stazione Termini.
Tutti potevano accedere alle terme. Lorario di lavoro, tranne per alcune categorie, era limitato alle ore
del mattino. Poi si ritornava a casa per il prandiume, dopo un breve momento di riposo (meridiatio), ci
si prendeva un po di svago anche con una nuotata alle terme, che aprivano allora ottava (circa le 14) e
rimanevano aperte no al tramonto. Il prezzo dingresso (balneaticum) era piuttosto modesto, di solito
un quadrante (circa 30 centesimi); poi naturalmente si pagavano i servizi richiesti.
Il modo di fare il bagno dipendeva dai gusti e dalla salute di ciascuno; ma le operazioni da eseguire per ot-
timizzare il bagno erano quelle prescritte dalla dottrina medica galenica e raccomandate dai medici degli
impianti termali: sudorazione intensa provocata dagli esercizi ginnici prima di entrare in acqua e con
permanenza nei locali surriscaldati, bagno caldo, bagno freddo, massaggi con oli e unguenti profumati.
18 vita quotidiana a roma
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1. Epigrammi VII, 34.
Il tepidarium maschile
delle terme del foro
di Pompei.
Dopo alcuni esercizi ginnici in palestra, si accedeva, quindi, nei locali del bagno. La prima stanza era
lapodyterium, lo spogliatoio, con panche in muratura. Alcune nicchie nelle pareti consentivano di de-
porre gli abiti, a custodia dei quali, onde evitare furti, si lasciava in genere uno schiavo, al quale venivano
consegnati anche gli oggetti preziosi: sarebbe stato ridicolo, per esempio, farsi vedere nel bagno con gli
anelli alle dita.
Si entrava quindi nel calidarium per il bagno caldo, ambiente vasto e luminoso con bacini, tinozze e
una vasca per nuotare. Accanto, per chi preferiva il bagno di sudore, vi era il laconicum, un piccolo am-
biente circolare riscaldato con aria secca ad altissima temperatura. Si passava poi nel tepidarium, stanza
con vasche per il bagno tiepido, che aiutava la traspirazione e abituava gradatamente alla dierenza di
temperatura fra il calidarium e il frigidarium, locale piccolo e alto con tetto a cupola con apertura al
centro, dove inne si andava per il bagno freddo.
Altri ambienti erano destinati alla ginnastica e al gioco della palla (sphaeristerium), allunzione del corpo
(unctorium), ai massaggi, alla depilazione a opera dellalipilus (depilatore). Per quanti poi volessero fare
semplicemente delle nuotate e prendere il sole, vi erano grandi vasche a cielo aperto (piscinae natatoriae).
I vari ambienti erano riscaldati mediante un forno sotterraneo (hypocausis) alimentato a legna, che ser-
19 vita quotidiana a roma
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Ricostruzione delle terme Stabiane, che erano divise in due zone: area maschile e area femminile.
piscina
natatoria
peristylium
apodyterium
maschile
tepidarium
maschile
calidarium
maschile
calidarium
femminile
tepidarium
femminile
apodyterium
femminile
20 vita quotidiana a roma
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LEGGIAMO I TESTI
2 Vitruvio spiega come si costruiscono le terme
Primum eligendus locus est quam calidissimus, id est aversus ab septentrione et aquilone. Ipsa autem cal-
daria tepidariaque lumen habeant ab occidente hiberno, si autem natura loci inpedierit, utique a meridie,
quod maxime tempus lavandi a meridiano ad vesperum est constitutum. Et item est animadvertendum
uti caldaria muliebria et virilia coniuncta et in isdem regionibus sint conlocata; sic enim ecietur ut in va-
saria et hypocausis communis sit eorum utrisque. Aenea supra hypocausim tria sunt componenda, unum
caldarium, alterum tepidarium, tertium frigidarium, et ita conlocanda, uti, ex tepidario in caldarium
quantum aquae caldae exierit, inuat de frigidario in tepidarium ad eundem modum, testudinesque al-
veolorum ex communi hypocausi calefaciantur.
Vitruvio, De Architectura V, 10, 1
CHE COSA RIPASSARE
a. perifrastica passiva
b. proposizioni completive
c. consecutio temporum
viva sia per riscaldare nelle vasche lacqua necessaria per luso termale sia per irradiare aria calda, me-
diante una conduttura (hypocaustum) che passava sotto il pavimento ed era tenuta sospesa da colon-
nine dette suspensurae. Il pavimento dei bagni non era, dunque, a contatto con il suolo. Laria calda, da
questo spazio vuoto in cui circolava, saliva e si diondeva nelle intercapedini delle pareti, riscaldando
lambiente sovrastante.
Sopra lhypocausis erano collocate tre vasche di rame sovrapposte e comunicanti, una per lacqua calda,
laltra per lacqua tiepida, la terza, a una certa distanza dallhypocausis, per lacqua fredda, cos da avere
un continuo e rapido rifornimento dacqua alimentata da un acquedotto e da enormi cisterne.
Le terme, tuttavia, non erano semplicemente un luogo destinato al bagno, bens il principale centro di
aggregazione e di contatto diretto dei diversi ceti sociali. Tutti vi potevano accedere. Qui si incontravano
gli amici, si giocava, si facevano nuove conoscenze, si trattavano gli aari, si ascoltavano i pettegolezzi,
si apprendevano le notizie. Qui, dopo una nuotata, si poteva andare nei locali appositi (popinae) per bere
o mangiare. Qui gli strilloni vantavano la propria merce e i commessi delle taverne andavano in giro
vendendo bibite, salsicce, pasticcini e gustosi manicaretti, in un frastuono e un via vai continuo di gente
di ogni et e condizione

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