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Philologus

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Ioanni Blasio Conte septuagenario


Carlo Martino Lucarini PER LA STORIA DEL TESTO DI PLAUTO NELL ANTICHITA (E ANCORA SUI DUE SISENNA)

La storia del testo di Plauto nellantichit stata scritta recentemente da Marcus Deufert 1. Il quadro che lo studioso tedesco ha tracciato per lo pi convincente. Il Deufert si altres potuto avvalere dei contributi di insigni latinisti, i quali gi avevano intuito alcune linee fondamentali; penso soprattutto al Ritschl2, al Leo3, al Lindsay4, al Pasquali 5, e, pi recentemente, al Questa6 e allo Zwierlein7. Riassumiamo brevemente i risultati del Deufert. I poeti latini arcaici di teatro non erano proprietari dei drammi da loro stessi scritti. Prima della rappresentazione, li vendevano a uno Schauspieldirektor, il quale ne diveniva unico proprietario. Alla morte di Plauto dunque (184 a. C.), tutti i testi plautini erano nelle mani di alcuni direttori di teatro. Per alcuni lustri, questi testi rimasero propriet esclusiva di tali direttori, senza che nessuno li leggesse n li rappresentasse (sicch lo stesso Terenzio non fu mai un lettore di Plauto8). Dopo la morte di Cecilio Stazio e Terenzio (159 a. C.), inizi una fase nuova, quella delle Wiederauffhrungen: data la penuria di nuovi poeti comici, che incontrassero i gusti del pubblico, venivano riproposte le commedie plautine (cf. il prologo della Casina). A questa fase vanno probabilmente ricondotte le numerose interpolazioni presenti nel nostro testo; sull esistenza di tali interpolazioni non sono leciti dubbi, mentre la loro origine e la loro estensione non sono chiare. Deufert accetta la tesi di Zwierlein, secondo cui si tratta di interpolazioni non molto estese e tutte riconducibili alla stessa mano. Pare invece vada esclusa la tesi di Ritschl, secondo cui in questa fase il testo plautino avrebbe subito una modernizzazione linguistica; tale tesi, che ebbe molta fortuna in passato, ora abbandonata per ragioni che anche a me (come al Deufert) sembrano convincenti. Lunica traccia, che la fase delle Wiederauffhrungen pare aver dunque lasciato nella nostra
Deufert (2002). Ritschl (1845). 3 Leo (21912). 4 Lindsay (1904). 5 Pasquali (21952). 6 In svariati contributi, dei quali i pi significativi, per i problemi che ci interessano, sono raccolti in: Questa (1984). 7 Zwierlein (19901992). 8 Lo si deduce con sicurezza da Ter. Eun. 2534, cf. Deufert (2002) 27.
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tradizione, quella delle interpolazioni. Tale fase si chiuse verso il 130120 a. C 9. La nuova fase inizia coi primi lettori (dunque non spettatori, o, per lo meno, non solo spettatori) di Plauto, cio con Lucilio, Accio e i loro contemporanei, e in questa fase venne pubblicata la prima edizione di Plauto. Lesistenza di tale edizione tardorepubblicana fu dimostrata, in un memorabile contributo, dal Leo (1897, 58), i cui argomenti sono stati corroborati e precisati dal Questa (1984, 23129). Tale edizione fu condotta con criteri alessandrini, dunque con luso di segni diacritici e con divisione colometrica delle parti polimetre; ai versi sospettati di interpolazione venne apposto un segno diacritico, ma non furono omessi, bens giustapposti a quelli ritenuti autentici. In questa fase vi fu anche unaccesa discussione sullautenticit delle commedie plautine, poich, allinterno di un corpus che includeva oltre 100 commedie, molte di esse erano sospettate essere opera di altri poeti; ledizione comprendeva, comunque, lintero corpus. Questa edizione domin, in maniera incontrastata, fino agli anni 130140 d. C., quindi per oltre due secoli. Il movimento arcaista fu allorigine della nuova edizione plautina, che Deufert chiama varronische Auswahlausgabe. Varrone aveva catalogato le 21 commedie, sulla cui autenticit tutti gli studiosi consentivano (sono le stesse 21 commedie che la tradizione ci ha conservato; Varrone stesso non ne fece per unedizione); fino allet adriano-antonina non era tuttavia esistita unedizione che contenesse solo queste 21 commedie. Questa edizione adriano-antonina segn un passaggio fondamentale, sia perch determin la perdita definitiva delle commedie non Varronianae10, sia perch allorigine delledizione a noi pervenuta attraverso i manoscritti tardo-antichi e medioevali. La divisione in scene, presente nella nostra tradizione, cos come gli argumenta non acrostici e le didascalie, discendono da questa edizione. Su tale edizione si basava anche il primo commentatore plautino, di cui noi conosciamo con certezza il nome, Sisenna (che scrisse verso il 200 d. C.). E su tale edizione si basava anche larchetipo da cui discendono i due rami di tradizione tardo-antica e medioevale giunti a noi, lAmbrosiano e il Palatino. Tale archetipo era scritto su un codice, non su un rotolo, come mostra la bipartizione dei versi lunghi (lo hanno dimostrato le fondamentali ricerche del Questa). Una costante della tradizione del testo plautino dellantichit quella che Deufert sintetizza nel concetto di Stabilitt: mentre, in passato, molti studiosi (soprattutto Leo) avevano supposto che nel periodo fra let repubblicana e larcaismo del II secolo il testo plautino avesse subito un grave peggioramento, Deufert convinto che tale peggioramento non ci sia stato e che la qualit del testo della prima edizione tardorepubblicana non fosse molto diversa da quella del testo circolante in et antonina. Un grave peggioramento si ebbe, secondo Deufert (che qui si segue e approfondisce

9 Le Wiederauffhrungen certo continuarono anche successivamente (cf. Deufert, 2002, 63), ma esse non ebbero pi effetti sul testo, il quale era ormai fissato. 10 Lunico studioso di et imperiale a conoscere direttamente una commedia non Varroniana , a quanto pare, (la fonte di) Giulio Romano, che conosceva il Caecus, commedia altrimenti ignota (cf. la nota 47).

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le posizioni di Pasquali) solo in et tardo-antica, allepoca dellarchetipo della nostra tradizione. Questo, in estrema sintesi, il quadro dipinto dal Deufert. Molto di quello che il Deufert sostiene , secondo me, condivisibile e tutto ben argomentato e documentato, sicch una qualsiasi futura discussione della Textgeschichte plautina nellantichit dovr partire dallanalisi del Deufert. A me pare che esistano tuttavia alcuni fatti, che vanno interpretati in maniera diversa o, pi semplicemente, chiariti meglio. Inizier dalla discussione della testimonianza di Gellio (Noctes Atticae 3. 3. 114), la quale la pi importante che lantichit ci abbia lasciato sulla filologia plautina antica. Trascrivo il passo, da cui partiranno le discussioni successive (ed. Marshall): Verum esse comperior, quod quosdam bene litteratos homines dicere audivi, qui plerasque Plauti comoedias curiose atque contente lectitarit 11, non indicibus Aelii (L. Aelius Stilo, fr. 4 Funaioli) nec Sedigiti (Volcacius Sedigitus, test. 4 F.) nec Claudii (Servius Clodius, test. 7 F.) nec Aurelii (deest apud F.) nec Accii (L. Accius, test. 18 F.) nec Manilii (L. Manilius, fr. 4 F.) super his fabulis, quae dicuntur ambiguae, crediturum, sed ipsi Plauto moribusque ingenii atque linguae eius. (2) Hac enim iudicii norma Varronem quoque usum videmus. (3) Nam praeter illas unam et viginti, quae Varronianae vocantur, quas idcirco a ceteris segregavit, quoniam dubiosae non erant, set consensu omnium Plauti esse censebantur, quasdam item alias probavit adductus filo atque facetia sermonis Plauto congruentis easque iam nominibus aliorum occupatas Plauto vindicavit, sicuti istam, quam nuperrime legebamus, cui est nomen Boeotia. Nam cum in illis una et viginti non sit et esse Aquili dicatur, nihil tamen Varro dubitavit, quin Plauti foret, neque alius quisquam non infrequens Plauti lector dubitaverit, si vel hos solos ex ea fabula versus cognoverit, qui quoniam sunt, ut de illius Plauti more dicam, Plautinissimi, propterea et meminimus eos et ascripsimus. [] (6) Favorinus quoque noster, cum Nervulariam Plauti legerem, quae inter incertas habita est, et audisset ex ea comoedia versum hunc: scrattae, scrupedae, strittivillae sordidae, delectatus faceta verborum antiquitate meretricum vitia atque deformitates significantium: vel unus hercle -inquit- hic versus Plauti esse hanc fabulam satis potest fidei fecisse. (7) Nos quoque ipsi nuperrime, cum legeremus Fretum nomen id est comoediae, quam Plauti esse quidam non putant , haut quicquam dubitavimus, quin ea Plauti foret, et omnium quidem maxime genuina. [] (9) M. tamen Varro in libro De comoediis Plautinis primo Accii verba (Pragmatica fr. XV Dangel) haec ponit: Nam nec Geminei lenones nec Condalium nec Anus Plauti nec Bis compressa nec Boeotia unquam fuit neque adeo Agroecus neque Commorientes Macci Titi. (10) In eodem libro Varronis id quoque scriptum et Plautium fuisse quempiam poetam

11 Accetto lectitarit (I. F. Gronovius), per il trdito lectitarunt. Marshall non segnala nemmeno la congettura in apparato, ma io non capisco come il testo possa essere inteso senza tale emendamento.

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comoediarum. Quoniam fabulae <illae>12 Plauti inscriptae forent, acceptas esse quasi Plautinas, cum essent non a Plauto Plautinae, sed a Plautio Plautianae. (11) Feruntur autem sub Plauti nomine comoediae circiter centum atque triginta; (12) sed homo eruditissimus L. Aelius (L. Aelius Stilo, fr. 4 F.) quinque et viginti eius esse solas existimavit. (13) Neque tamen dubium est, quin istaec, quae scriptae a Plauto non videntur et nomini eius addicuntur, veterum poetarum fuerint et ab eo retractatae <et>13 expolitae sint ac propterea resipiant stilum Plautinum. (14) Sed Saturionem et Addictum et tertiam quandam, cuius nunc mihi nomen non subpetit, in pistrino eum scripsisse Varro et plerique alii memoriae tradiderunt, cum pecunia omni, quam in operis artificum scaenicorum pepererat, in mercatibus perdita, inops Romam redisset et ob quaerendum victum ad circumagendas molas, quae trusatiles apppellantur, operam pistori locasset. Nessun passo di autore antico cos prodigo di informazioni, per la Textgeschichte plautina, come questo. Se ne accorse il Ritschl, il quale fu il primo a cercare di capirlo a fondo (1845, 73245). Che gran parte di questo passo derivi da Varrone, con ogni verisimiglianza dallopera De comoediis Plautinis, cosa nota e accettata, n io credo vi siano ragioni per porla in dubbio14. Varrone ebbe dunque davanti a s i cataloghi di commedie plautine composti da sei studiosi a lui precedenti (Elio Stilone, Volcacio Sedigito, Servio Clodio, Aurelio Opillo, Accio15 e Manilio): confrontandoli, Varrone osserv che questi sei studiosi concordavano sullautenticit di 21 commedie, mentre, per quel che riguardava tutte le altre, uno almeno di loro aveva sollevato obiezioni circa lautenticit. Le 21 commedie, che gi nellantichit venivano chiamate Varronianae e che la tradizione manoscritta ci ha conservate16, non

12 Questo un supplemento di Hertz, accolto da Marshall; forse sarebbe pi elegnate <eius> ovvero <illius>. 13 Accetto, a differenza di Marshall, questa integrazione dei recentiores. 14 Cf. Deufert (2002) 104107; Kretzschmer (1860) 5354; Hertz-Hosius (1903) XXIX. Fra i sei studiosi prevarroniani citati al 1, Gellio potrebbe aver avuto conoscenza di prima mano di alcune opere di Servio Clodio, cf. Mercklin (18571860) 643644. 15 Dal 9 del capitolo di Gellio, si deduce che Accio non riteneva plautine le 7 commedie citate. Pi di questo non mi pare si possa dedurre. Non nemmeno sicuro se il passo di Accio sia in prosa o in versi (cf. Courtney, 1993, 60). Non credo si possa affermare, come fanno Leo, Pasquali (19522, 351) e Deufert (2002, 4547), che nei prologhi di Geminei lenones, Condalium, Anus si leggesse il genitivo Plauti n che in quelli di Agroecus e Commorientes si leggesse il genitivo Macci Titi. La traduzione corretta del passo credo (a differenza di Deufert) sia quella che si legge in Leo (1913) 388: denn weder Gemini lenones noch Condalium noch Anus noch Bis compress noch Boeotia sind je von Plautus gewesen, und sogar Agroecus und Commorientes nicht von Maccus Titus. Se questa traduzione corretta, rimanendo allinterno dellipotesi di Leo-Deufert, dovremmo supporre che anche Boeotia avesse la Genitivform Plauti. Eppure, essa era comunemente attribuita ad Aquilio (cf. infra). In ogni modo, questo punto non importante per la nostra discussione; ma, ripeto, non affatto sicuro che nei prologhi delle commedie citate fosse presente la Genitivform, quale la leggiamo nel frammento di Accio. Il testo scritto in modo artificioso e pu darsi che Accio volesse semplicemente dire che tali commedie non erano di Plauto. 16 Con leccezione dellultima, la Vidularia, giuntaci in frammenti. Non mancato chi ha sollevato dubbi sullidentificazione delle 21 commedie Varronianae con le 21 commedie a noi giunte: chiaro che tali dubbi non hanno nessuna ragione di sussistere, come ben vide il Ritschl (1845, 7380).

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erano dunque le commedie che Varrone stesso aveva giudicato autentiche, bens quelle che i suoi predecessori avevano concordemente giudicato tali. Questo dato emerge con estrema chiarezza dal testo di Gellio e non vale la pena di insistervi ulteriormente. Per quel che riguarda la Grundtendenz di Varrone, io credo che abbia ragione il Deufert (2002, 106107) a parlare di una konservative Grundtendenz: questo risulta chiaro delle parole del 3 nam praeter illas unam et viginti quasdam item alias probavit, dalle quali si evince che lo studioso reatino non sollev dubbi su nessuna delle 21 Varronianae e che, anzi, ne attribu altre al comico di Sarsina. Varrone pare dunque sia stato propenso a includere nuove commedie, oltre alle 21 gi da tutti riconosciute come plautine, piuttosto che a sollevare nuovi dubbi e sospetti. Su quanto ho detto fin qui, gli studiosi concordano. Ben pi difficile capire nel dettaglio le opinioni espresse da Varrone e i criteri da lui utilizzati. Il testo di Gellio presenta, a questo proposito, una grave difficolt, della quale gli studiosi hanno gi pi volte discusso. Il 3 e il 13 sembrano infatti contraddirsi. Se nel 3 si afferma che il criterio stilistico serv a Varrone per rivendicare a Plauto commedie su cui sussistevano dubbi (adductus filo atque facetia sermonis Plauto congruentis), nel 13 si afferma che anche commedie non plautine avevano uno stile plautino (ab eo retractatae <et> expolitae sint ac propterea resipiant stilum Plautinum). Il Ritschl, convinto che sia il 3 sia il 13 risalissero in ultima analisi a Varrone, si chiedeva come fosse possibile che lo studioso reatino, da un lato ritenesse il criterio stilistico capace di chiarire quali commedie fossero di Plauto e quali no, dallaltro affermasse che tutte le commedie dubbie avessero tratti stilistici propri di Plauto. Secondo il Ritschl, il responsabile di questa contraddizione non Varrone stesso, ma Gellio, il quale avrebbe esteso le diaseua plautine di drammi precedenti (di cui si parla al 13) a tutte le fabulae dubiae, mentre Varrone aveva ipotizzato tali diaseua solo per un numero limitato di drammi17. Successivamente, in un lavoro, a quanto pare, sfuggito al Deufert, tornato sullargomento il DAnna (1956, 7276), il quale, accogliendo totalmente la contraddizione osservata dal Ritschl, ha cercato di spiegarla per in altra maniera. Nel 13, infatti, secondo lo studioso italiano, Gellio non attingerebbe da Varrone la notizia delle diaseua plautine di materiali precedenti, n da Varrone deriverebbe losservazione circa la presenza dello stile plautino in tutte le fabulae dubiae: tale notizia e tale osservazione deriverebbero infatti da Elio Stilone. Il ragionamento del DAnna si articola in tre punti: losservazione del 13 inconciliabile con quella del 3 e non pu dunque risalire a Varrone (1); daltronde essa non pu nemmeno essere una freie Erfindung di Gellio, poich il dato erudito delle diaseua non pu averlo inventato Gellio (2); poich lunico altro studioso sul quale Gellio,

17 Ritschl (1845) 112113: In Varros Buche fand Gellius [] so auch ber Plautinische Diaskeuasen lterer Komdien []; aber Gellius trug, was bedingt gesagt war und in Varros Sinne gewiss nur von einer mssigen Anzahl von Beispielen gelten sollte, unkritisch auf alle zweifelhaften fabulae Plautinae ber. [] Htte er z.B. multae statt istae gesetzt, oder quaedam so wre er gewiss der Wahrheit und auch der Meinung des Varro viel nher gekommen.

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allinterno di 3.3, mostra di sapere qualcosa Elio Stilone e poich immediatamente prima del 13, al 12, cita proprio Stilone, ecco che anche il 13, probabile che derivi da Elio Stilone (3). Io condivido il punto 2 del ragionamento del DAnna, non i punti 1 e 3. Partiamo da questultimo: vero che al 12 Gellio cita unopinione di Elio Stilone, ma altres vero che che il 13 si apre con la frase neque tamen dubium est, la quale sembra implicare una netta contrapposizione a quanto detto precedentemente. Lopinione del DAnna non ha trovato, che io sappia, seguaci e Holford-Strevens18 e Deufert sembrano non conoscerla. Successivamente tornato sul problema, sebbene assai succintamente, lo HolfordStrevens, il quale segue il Ritschl e imputa a Gellio una grave contraddizione. In particolare, osserva lo studioso britannico, illogico affermare, come fa Gellio ai 34, che lo stile di un solo verso sufficiente a testimoniare la plautinit di una commedia e poi dire che molte commedie furono retractatae et expolitae da Plauto: come non osservare che era possibile imbattersi in un verso plautino allinterno di una commedia non plautina? Il Deufert (2002, 105106), pur ammettendo che nel capitolo gelliano si mescolano notizie e osservazioni desunte da Varrone con considerazioni proprie di Gellio, ritiene che linvenzione del poeta Plautius ( 10: su questo vedi infra) e la notizia del 13 rispondano a una stessa esigenza: grazie infatti a tali Ausflchte, si poteva sostenere che commedie, nei cui prologhi si diceva che erano state composte da Plauto (e si trovava dunque la forma Plauti)19, fossero invece opera o del poeta Plauzio, ovvero opera di un poeta precedente, successivamente ritoccate e riadattate (retractatae <et> expolitae) da Plauto. Il Deufert pare dunque ritenere lintero 13 di origine varroniana, n egli cita le opinioni del Ritschl, del DAnna, dello Holford-Strevens. Tuttavia, a me pare che lipotesi del Deufert sullorigine di Plautius e delle diaseua plautine, forse di per s non errata, non risolva in alcun modo il problema sollevato dal Ritschl: se infatti Varrone supponeva che tutte le fabulae dubiae attribuite a Plauto avessero uno stile plautino, come faceva a usare il criterio stilistico (ci che appunto si deduce dal 3) per distinguere le autentiche e le spurie? Almenoch egli non le ritenesse tutte autentiche. Ma come si concilia questo con laltra cosa che ci dice Gellio, che cio Varrone credeva allesistenza di Plautius? Se infatti circolavano commedie di Plautius, nel cui prologo si leggeva la forma Plauti, ovvio che non bastava incontrare tale forma per essere sicuri che Plautus aveva fatto la diaseu di tale commedia (poich tali commedie potevano essere opera di Plautius e, quindi, nulla avere a che fare con Plautus). In altre parole, la Ausflucht di Plautius poteva neutralizzare quella delle diaseua plautine (posto che, come suppone il Deufert, lo stesso critico, Varrone, credesse sia allesistenza di Plautius sia alle diaseua plautine).

Holford-Strevens (22003) 193194. Anche in alcune (non molte) delle commedie plautine giunte a noi, nel prologo si dichiara il nome dell autore con la forma genitivale Plauti (vel similia).
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Io credo che la questione vada rianalizzata daccapo. Un dato che a me pare fondamentale e che, invece, mi pare sia fin qui sfuggito, riguarda la differenza fra le commedie di cui Gellio parla al 3 e quelle di cui parla al 13. Il Ritschl, infatti, il DAnna e lo Holford-Strevens si esprimono come se, in entrambi i paragrafi, Gellio stesse parlando delle stesse commedie, ma questo non mi pare corretto. Al 3 infatti Gellio, dopo aver parlato delle 21 Varronianae, parla di commedie iam nominibus aliorum occupatae: un numero, non particolarmente alto, di tali commedie (quasdam alias) sarebbe stato, secondo Gellio, attribuito a Plauto da Varrone. Al 13, invece, Gellio parla di commedie che scriptae a Plauto non videntur et nomini eius addicuntur e a tali commedie riferisce laneddoto delle diaseua plautine. Le diaseua sono, dunque, riferite da Gellio solo alle commedie che scriptae a Plauto non videntur et nomini Plauti addicuntur. Al 3 Gellio ha invece parlato di altre commedie, le quali erano iam nominibus aliorum occupatae. Solo dunque per quelle commedie, che erano espressamente attribuite a Plauto, ma che per altre ragioni non potevano essergli attribuite20, Gellio suppone la diaseu plautina. Se noi teniamo presente tale distinzione, forse il ragionamento di Gellio risulter pi chiaro e non contraddittorio. Gellio dice cio (ai 34) che Varrone attribu a Plauto alcune commedie (quasdam), le quali erano ritenute comunemente opera di altri poeti e che fu persuaso a tale attribuzione (che era diversa da quella corrente e diffusa) dallo stile di queste commedie, il quale stile si avvicinava a quello plautino. Lesempio che segue conferma quanto sto dicendo, poich Gellio cita il caso della Boeotia, la quale era ritenuta (cf. dicatur)21 opera del poeta Aquilio, mentre Varrone sostenne che era di Plauto. Dunque il criterio stilistico serv a Varrone per attribuire al poeta di Sarsina alcune commedie, le quali erano comunemente ritenute opere di altri poeti. Da queste commedie Gellio distingue, io credo, quelle che feruntur sub Plauti nomine ( 11). Tali commedie, che Gellio ritiene essere 130, si dividono in commedie sicuramente autentiche e commedie, che scriptae a Plauto non videntur et nomini eius addicuntur22. Solo per queste ultime, per quelle cio che circolavano sotto il nome di Plauto, ma che la critica non riconosceva come plautine, Gellio crede alla diaseu plautina. Se cos, Gellio non si contraddice, poich , mentre nel 3 afferma che il

20 Cosa vuole dire Gellio, dicendo nomini eius addicuntur? Deufert sembra ritenere che nel prologo di tali commedie si dicesse che il loro autore era Plauto (si leggesse cio la forma Plauti), ma probabile che Gellio intendesse, pi in generale, tutte le commedie che venivano attribuite al Sarsinate. Non mi pare che nomini eius addicuntur possa significare che nel prologo si faceva il nome di Plauto: il significato di alicui addici non questo, bens quello di essere credute opere di qualcuno. 21 Una conferma del fatto che, al tempo di Varrone, la Boeotia era ritenuta opera di Aquilio viene dallo stesso Varrone, D. l. L. 6. 89, se corretta lintegrazione A<qui>lii (Turnebus). A prescindere dalla correttezza dellintegrazione (che a me pare sicura), comunque certo che al tempo di Varrone la Boeotia non era comunemente attribuita a Plauto. 22 Una tale divisione fra commedie autentiche e quae scriptae a Plauto non videntur non dichiarata esplicitamente da Gellio, ma la si deduce facilmente, almenoch non si supponga che Gellio ritenesse tutte le commedie, che feruntur sub Plauti nomine, fossero retractatae et expolitae. Ma tale ipotesi nessuno vorr prenderla in considerazione.

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criterio stilistico pu servire a rivendicare a Plauto commedie che, normalmente, non gli vengono attribuite, al 13 afferma che tutte le commedie attribuite a Plauto, ma messe in dubbio dalla critica, hanno caratteristiche dello stile plautino. Gellio immaginava lo stile plautino come un qualcosa di unico e inconfondibile; un solo verso poteva bastare per far capire che Plauto ne era lautore. Se dunque si fosse trovato, allinterno di una commedia comunemente attribuita a un altro poeta, un verso di stile plautino, ecco che quella commedia andava attribuita Plauto. Allinterno poi del corpus plautino, tutte le commedie avevano caratteristiche tali da presupporre, almeno, una diaseu da parte di Plauto. Non esiste dunque, allinterno del pensiero di Gellio, una contraddizione. Un altro aspetto del pensiero di Gellio credo possa essere chiarito meglio, se teniamo presente unosservazione di Holford-Strevens: lo studioso britannico si chiede come Gellio non abbia capito che, ipotizzando le diaseua plautine e ritenendo un solo verso sufficiente a testimoniare la plautinit di una commedia, rischiava cos di attribuire a Plauto commedie che a Plauto dovevano solo la diaseu. La risposta a tale osservazione molto semplice: per Gellio una commedia, di cui Plauto fosse solo il diaseuastv, valeva come una commedia interamente plautina. Questo risulta, io credo, chiarissimo a chiunque legga con attenzione tutto il capitolo 3. 13, in particolare i 68; qui infatti Gellio cita due brevissimi frammenti di Nervolaria e Fretum23. A me pare abbastanza probabile che tali commedie appartenessero proprio a quelle che scriptae a Plauto non videntur et nomini eius addicuntur; ne fa fede il modo come Gellio le introduce (cum Nervolariam Plauti legerem, quae inter incertas habita est; cum legeremus Fretum, nomen id est comoediae, quam Plauti esse quidam non putant), dal quale si deduce che esse n potevano appartenere a quelle iam nominibus aliorum occupatae, n a quelle sicuramente autentiche; dovevano dunque appartenere alla categoria delle commedie quae scriptae a Plauto non videntur et nomini eius addicuntur, cio proprio a quella categoria che Gellio stesso riteneva nata dalle diaseua plautine. Eppure Gellio non solo dice esplicitamente che un solo verso sufficiente a testimoniare la loro Plautinitas, ma le porta come esempio di commedie plautine tout court. A me pare dunque evidente che Gellio pensasse che una commedia, nata dalla diaseu plautina, andasse considerata plautina tout court. Dunque, anche da questo punto di vista, non c nessuna contraddizione nel pensiero di Gellio. Fin qui abbiamo cercato di chiarire il pensiero di Gellio, il quale ci parso essere pi coerente di quanto non si sia generalmente opinato. Tuttavia, lavere spiegato in maniera coerente il pensiero gelliano non risolve certo tutti i problemi che il nostro capitolo pone. Come osserva Deufert (2002, 105) spesso difficile, allinterno del nostro capitolo, varronische und gellianische Bestandteile zu sondern. Che tutto il

23 Io sospetto che le citazioni di Nervolaria e Fretum non derivino da Varrone, ma da letture originali di Gellio; cos gi Froehde (1900) 531532. Tuttavia, su questo punto, non si pu essere sicuri. Sulla conoscenza diretta di Plauto da parte di Gellio esprime scetticismo Jocelyn (1988) 5772.

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materiale erudito presente nel capitolo derivi da Varrone , come gi accennavo, cosa generalmente ammessa e che anche a me sembra abbastanza probabile: i capitoli gelliani derivano in generale da una sola fonte24 e, anche nel nostro caso, non ci son ragioni serie per dubitarne (solo i 68 sono, forse, unaggiunta originale di Gellio). Alcuni aspetti del pensiero e dellattivit varroniana su Plauto emergono dal nostro capitolo con assoluta chiarezza: che cio Varrone selezion le 21 commedie Varronianae e che oltre a queste ne attribu altre a Plauto, per ragioni stilistiche, fra cui la Boeotia. Questi dati li ricaviamo dai 15. I 68 potrebbero non derivare, come dicevamo, da Varrone; certo, una dimostrazione in un senso o nellaltro, a me pare impossibile. Dei 914, invece, indubitabile lorigine varroniana. Il pi problematico senza dubbio il 13, del quale gi abbiamo discusso; e se, forse, siamo riusciti a dimostrare che esso non in contraddizione con quanto Gellio dice nei precedenti, resta ancora il problema di cosa Varrone pensasse riguardo alle diaseua. Che la notizia delle diaseua fosse presente nellopera di Varrone, e che di l Gellio la abbia presa non lecito dubitare25: ma cosa pensava Varrone al riguardo? Il Deufert, come abbiam veduto, crede che Varrone supponesse una diaseu plautina per tutte le commedie dem Plautus zwar von der Kritik abgesprochene, aber doch durch seinen Namen verbrgte. Il Deufert parla qui delle commedie nel cui prologo si leggeva la forma Plauti; Varrone, secondo lui, riteneva che tutte le commedie nel cui prologo si leggeva tale forma fossero o opera di Plauto o, almeno, fossero state retractatae et expolitae da Plauto. Io non credo questa intepretazione possibile, per due ragioni. Innanzitutto (come gi osservavo alla nota 20), lespressione nomini Plauti addicuntur non credo possa significare che tali commedie presentavano la Genitivform nel prologo; questa espressione indica tutte le commedie del corpus plautino contro la cui autenticit esistevano obiezioni forti, non solo quelle nel cui prologo si leggeva Plauti (le quali saranno state, a giudicare anche dalle 20 a noi susperstiti, una netta minoranza!). Inoltre, al 10 Gellio ci informa che Varrone credeva allesistenza di un poeta comico di nome Plautius e pensava che esistessero alcune sue commedie che recavano linscriptio Plauti 26. Chi credeva allesistenza del poeta comico Plautius non poteva, mi pare, credere che ogni commedia che recasse la Genitivform Plauti fosse opera di Maccio Plauto o, almeno, della sua diaseu; infatti evidente che dovevano esistere commedie di Plautius (nel cui prologo si poteva leggere Plauti), le quali nulla avevano a che fare con Plautus. Io credo che Varrone ritenesse, come Gellio, che tutte le commedie quae nomini Plauti addicuntur fossero o opera di Plauto o fossero state retractatae et expolitae da Plauto (queste ultime erano quelle quae scriptae a Plauto non videntur). Credo dunque che il 13 derivi direttamente da Varrone e che il pensiero di Gellio e quello di

Cf. Aistermann (1910) 115; Ruske (1883). Lo ribadisce, giustamente, con argomenti anche stilistici, il Deufert (2002, 106, nota 288). 26 Dal testo di Gellio si deduce che Varrone era sicuro dellesistenza di tale poeta (scriptum .. fuisse quempiam) e delle sue commedie, non certo che egli si riferiva a unopinione altrui.
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Varrone coincidano (cio che Gellio riporti fedelmente il pensiero del Reatino). Non ci sono ragioni per pensare il contrario; che Gellio avesse il coraggio di fare unaffermazione cos importante e che riguardava tutto il corpus plautino, come quella che leggiamo al 13, senza avere il sostegno di Varrone, non mi pare probabile. Inoltre i 1012 derivano senza dubbio da Varrone e cos il il 14: perch il 13 dovrebbe contenere unaffermazione di Gellio, diversa dal pensiero di Varrone? Lunica ragione, per ipotizzare che Gellio avesse sovrapposto il proprio pensiero a quello di Varrone (oscurando quello di questultimo), era la contraddizione fra il 3 e il 13; ma noi abbiamo dimostrato che tale contraddizione non esiste. Non c nessuna ragione di supporre che Varrone non abbia pensato che tutte le commedie quae scriptae a Plauto non videntur et nomini eius addicuntur fossero state retractatae et expolitae da Plauto stesso. In conclusione, credo che Gellio abbia riprodotto fedelmente il pensiero di Varrone, senza aggiungere nulla; il Reatino aveva usato il criterio stilistico per rivendicare a Plauto alcune commedie che erano comunemente attribuite ad altri poeti, mentre, per le commedie comprese nel corpus era convinto che esse fossero o di Plauto o da lui rectractatae et expolitae. opinione generalmente accolta, che Varrone abbia fatto un index di commedie plautine da lui ritenute autentiche; questa opinione risale al Ritschl ed stata ribadita recentemente dal Deufert (2002, 104 nota 276) e dallAragosti27. Il Ritschl cita a questo proposito un passo di Servio28, in cui leggiamo: Plautum alii dicunt scripsisse fabulas XXI, alii XL, alii C. Ora, mentre il numero 21 evidentemente quello delle Varronianae, pi difficile stabilire a cosa facciano riferimento i numeri 40 e 100. Questultimo si ritiene generalmente vada riferito allintero corpus plautino, cos come il numero 130 presso Gellio. Per il numero 40, si pensato che esso corrisponda alle commedie che Varrone credeva autentiche. La proposta, che, come dicevo, ha avuto notevole fortuna, del Ritschl (1845, 126154), il quale, non solo ha ipotizzato che il numero 40 si riferisse alle commedie plautine ritenute autentiche da Varrone, ma ha anche cercato di determinarne i titoli (traendoli, ovviamente, dalla tradizione indiretta plautina). Questi sarebbero, oltre ai 21 delle Varronianae, i seguenti: Saturio, Addictus, Boeotia, Nervolaria, Fretum, Trigemini, Astraba, Parasitus piger, Parasitus medicus, Commorientes, Condalium, Gemini lenones, Faeneratrix, Frivolaria, Sitellitergus, Fugitivi, Cacistio, Hortulus, Artemo. Donde ha ricavato il Ritschl questi titoli, dal momento che nessuna fonte ci dice, se non per pochissimi di essi, che Varrone li riteneva titoli di commedie autentiche di Plauto? I primi tre titoli (Saturio, Addictus, Boeotia) sono dedotti da Gellio 3. 3. 4 e 3. 3.14 e su di essi non si pu dubitare, dal momento che Gellio afferma esplicitamente, che tali commedie erano ritenute auten-

27 Aragosti (2009) 43. Anche Stockert (2005) 498 nota 1, la accetta. strano come Lehmann (2002) 5152, attribuisca questa ricostruzione al DAnna! Tutto il lavoro della Lehmann non mostra interesse per la filologia. 28 Praef. in Aen., ll. 8889 (ed. Harvardiana).

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tiche da Varrone29. Su Nervolaria e Fretum manca invece una prova sicura; Ritschl convinto che i 68 del capitolo gelliano derivino da Varrone e che Gellio attribuisca a Favorino e a se stesso giudizi che aveva letto in Varrone. Questo indimostrabile. Trigemini dedotto da Gellio 6. 9. 7; in questo passo Gellio sta parlando dei perfetti raddoppiati e introduce una citazione da Trigemini, commedia che egli ritiene plautina. Nulla lascia intendere n che Gellio tragga questa citazione da Varrone30 n, tanto meno, che Varrone ritenesse autentica questa commedia. Astraba citata da Varrone stesso in De lingua Latina 7. 66 in mezzo ad altre commedie plautine e dunque linserimento nella lista pu apparire legittimo, ma non mi pare altrettanto legittimo dedurre da Gellio 11. 7. 5 che Varrone aveva giudicato Astraba plautina31. Anche altre commedie presenti nella lista del Ritschl sono citate da Varrone, nel D. l. L., fra altre commedie plautine (esse sono, oltre ad Astraba: Boeotia 32, Nervolaria, Parasitus piger, Condalium, Faeneratrix, Frivolaria, Sitellitergus, Fugitivi, Cacistio), mentre altre, citate ugualmente da Varrone fra altre commedie plautine (Colax, Cornicula, Pago), non sono state incluse dal Ritschl 33. Qualcuno potr meravigliarsi di un tale comportamento del filologo tedesco. La ragione che il Ritschl (1845, 79) era convinto che una citazione nel De lingua Latina non fosse sufficiente a dimostrare che Varrone riteneva la commedia effettivamente plautina; dati gli interessi puramente linguistici del De lingua Latina, a Varrone interessava in tali libri solo dimostrare luso di questa o quella parola, mentre non era per lui di alcun interesse stabilire chi fosse il reale autore del brano citato. In questo io credo che il Ritschl avesse pienamente ragione. Si pensi al caso di Boeotia: Gellio (3. 3. 4) ci assicura che Varrone (evidentemente nel De comoediis Plautinis) non aveva dubbi sulla plautinit di Boeotia, quantunque altri studiosi la attribuissero ad Aquilio; eppure in D. l. L. essa viene citata come di Aquilio e nulla si dice della possibile paternit plautina! Unulteriore conferma allidea del Ritschl credo la possano dare anche gli studi sulle fonti di Varrone condotti in anni
29 Si osservi tuttavia che Gellio ( 14), accanto a Saturio e Addictus, parla anche di una terza commedia, cuius nunc mihi nomen non subpetit, che Varrone riteneva con certezza autentica. Evidentemente il Ritschl la ritiene identica a una di quelle che egli inserisce nella lista. Ma la cosa assai dubbia. 30 Hosius (1903, XXXV) ritiene che il passo derivi da Probo (cf. anche Kretzschmer, 1860, 8485; Aistermann, 1910, XXXIII). 31 Non condivido dunque quanto Ritschl dice a proposito di Gellio 11. 7. 5. Un tale, narra Gellio, voleva esibire conoscenza di termini obsoleti e rari e us quindi, cum apud praefectum urbi verba faceret, il rarissimo termine apluda (legerat autem ille apludam veteres rusticos frumenti furfurem dixisse idque a Plauto in comoedia, si ea Plauti est, quae Astraba inscripta est, positum esse). Ritschl (1845, 131) convinto che, se Varrone non avesse creduto allautenticit di Astraba, Gellio non avrebbe mai scritto si ea Plauti est. Eppure anche qui, mi pare, il Ritschl procede in modo arbitrario: nulla lega Gellio 11. 7 a Varrone, n esistono ragioni per ipotizzare che, scrivendo 11. 7, Gellio si sia ricordato di giudizi che espressi da Varrone sullautenticit di questa o quella commedia attribuita a Plauto. Inoltre, data la tendenza inclusiva di Gellio, se anche Varrone avesse rigettato lautenticit di Astraba, egli poteva esprimersi in modo pi dubitativo e dire si ea Plauti est. 32 Della quale tuttavia Varrone dice (d. l. L. 6. 89): Boeotia ostendit, quam comoediam A<qui>lii esse dicunt, cf. la nota 21. 33 Gli elenchi delle commedie plautine (autentiche e dubbie) citate da Varrone sono sia negli indici delledizione del De lingua Latina di Goetz-Schoell sia in Deufert (2002) 139.

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successivi: si arrivati infatti a determinare che in alcuni casi egli ha dedotto intere sequenze di citazione plautine o pseudo-plautine da opere di filologi a lui precedenti 34; evidente che egli citava dunque le opere che altri avevano citato e dunque non applicava la sua Echtheitskritik. Inoltre Gellio ci garantisce che Varrone riteneva autentici Saturio e Addictus; eppure queste commedie non son mai citate in D. l. L.! Daltra parte, se le commedie non Varronianae citate in D. l. L. fossero un numero particolarmente alto, si potrebbe supporre che, nella grande quantit, qualcosa sia stato omesso per caso; ma le commedie non Varronianae citate in D. l. L. sono solo 13. Tutto lascia dunque supporre che lEchtheitskritik varroniana non abbia lasciato tracce nel D. L. L35. Si capisce dunque perch il Ritschl cercasse sempre altri indizi, al di fuori del D. l. L., i quali facessero supporre che Varrone aveva ritenuto autentica una commedia; eppure egli ha proceduto con eccessivo eclettismo, talvolta avvalendosi della testimonianza di D. l. L., talvolta non tenendola in nessuna considerazione. Torniamo alla sua lista; egli include Parasitus piger, quasi esclusivamente sulla base di D. l. L. 7. 77; daltra parte, essendo stato inserito nel titolo laggettivo piger, ipotizza Ritschl, per differenziare questa commedia da unaltra che portava nel titolo il sostantivo Parasitus, ecco che anche Parasitus medicus viene incluso nella lista. Commorientes, Condalium, Gemini lenones vengono accolti da Ritschl, poich egli convinto che Varrone citasse Accio, il quale riteneva queste commedie non plautine (cf. Gellio, 3. 3. 9), con fini polemici (ma questo indimostrabile). Ma perch Ritschl, delle 7 commedie citate da Accio, pensa che Varrone ne ritenesse autentiche solo 3? Dei Commorientes Varrone, secondo Ritschl, non poteva dubitare, poich Terenzio (Ad. 7) li riteneva autentici, mentre per Condalium garantisce la citazione in D. l. L. 7. 77; per Gemini lenones garantisce addirittura la combinazione di due testimonianze di Verrio Flacco e Prisciano! Le altre commedie citate da Accio non vengono invece inserite nella lista dal Ritschl, poich per esse mancherebbero indizi che Varrone le riteneva autentiche. A questo punto dellindagine, il Ritschl (1845, 147148) riconosce che determinare i titoli delle 7 commedie, che ancora mancano per arrivare al numero di 40, davvero arduo. Lo studioso tedesco ricorre qui a Verrio Flacco, il quale, egli convinto, ha usato Varrone e ne ha seguito lautorit (cosa indimostrabile). Con tale criterio vengono incluse Faeneratrix, Frivolaria e Sitellitergus, citate sia da Varrone che da Verrio. Le restanti 4 commedie (Fugitivi, Cacistio, Hortulus, Artemo) necessarie per raggiungere quota 40 vengono di nuovo prese da D. l. L.

Quasi sicuramente Varrone ha tratto citazioni da unopera di Servio Clodio, ove era citato Aurelio Opillo, come ipotizz l Usener (1868) 681682 e come conferma il Deufert (2002, 111115). 35 Il Leo (21912, 58, nota 1) pare invece credere che una citazione in D. l. L. garantisca che Varrone ritenesse una commedia plautina e anche il Deufert pare della stessa opinione (2002, 139). Tuttavia, essi non portano nessun argomento a favore della loro tesi e quanto abbiamo detto mi pare sia sufficiente a dimostrare il contrario. Nel caso del Deufert, accettare una tale opinione significa anche cadere in contraddizione, poich egli accetta anche il catalogo delle commedie varroniane fatto dal Ritschl, il quale partito dallidea (opposta) per cui una citazione in D. l. L. nulla dice sul pensiero di Varrone circa lautenticit.
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Chiunque abbia seguito questo mio riassunto delle argomentazioni del Ritschl, non credo che possa trovarle convincenti. Da un lato si vuole determinare un numero preciso (40), dallaltro, per arrivarvi, si usano arbitri di ogni genere. Io non solo non credo allelenco del Ritschl, ma non credo affatto che Varrone abbia davvero fatto un index delle commedie plautine da lui ritenute autentiche. Tutto il capitolo di Gellio (3. 3), che, lo abbiamo detto pi volte, la nostra fonte principale per la storia del testo di Plauto nellantichit, non solo nulla dice di tale index, ma contiene indizi che possono essere interpretati in senso contrario allesistenza di tale index. davvero sorprendente, se tale index fosse esistito, che Gellio non lo dica esplicitamente. LEchtheitskritik varroniana al centro dellinteresse di Gellio per tutto il capitolo e Gellio testimonia esplicitamente lesistenza di indices di commedie plautine autentiche da parte di altri studiosi, diversi da Varrone; di uno addirittura di tali indices, quello di Elio Stilone, ci dice il numero di commedie che conteneva. Daltra parte Gellio mostra assoluto scetticismo e avversione per tali indices e dice che una persona davvero istruita non prester loro alcuna fiducia (non indicibus ... crediturum). Subito dopo egli cita Varrone e, mentre verso i filologi autori di indices aveva espresso scetticismo e sfuducia, verso il Reatino esprime subito simpatia. Io credo che, se Varrone avesse composto un index, Gellio avrebbe evitato di contrapporlo agli autori di indices 36. Esiste anche un altro, forse ancora pi forte indizio. Gellio ci testimonia che il nome di Varronianae veniva dato alle commedie che Varrone aveva osservato essere ritenute autentiche dagli altri filologi; possibile che, se davvero fosse esistito un index varroniano, il nome di Varronianae non andasse alle commedie selezionate da Varrone stesso? Anche qui, io credo che Gellio sia fedele testimone del pensiero di Varrone: il Reatino era avverso alla tradizione degli indices e non ne ha fatto uno suo proprio; tale avversione seguita da Gellio. Lesegesi del passo di Gellio e lanalisi del catalogo varroniano ipotizzato dal Ritschl mi pare inducano a pensare che Varrone ha fatto un solo index di commedie plautine, quello delle 21 credute autentiche dai filologi a lui precedenti. Un index di commedie da lui stesso ritenute autentiche, Varrone non lo ha mai fatto. Egli credeva sia alle diaseua plautine sia allesistenza di un comico di nome Plautius sia allesistenza di commedie plautine, che circolavano sotto il nome di altri poeti: il materiale doveva apparirgli troppo problematico e confuso per consentire la compilazione di un index. Un altra ragione, che pu aver spinto Varrone a non comporre un index, la ipotizzaremo tra poco. Non credo dunque che sia esistito un index varroniano e non credo quindi che la testimonianza di Servio possa riferirvisi. A cosa si riferir dunque il numero 40, di cui parla Servio? Prima di tutto, si riferir a un index o a una edizione? Una risposta univoca a tale domanda il solo testo serviano non pu darla, poich dalle parole di Servio

36 In questo senso cf. gi Nadio (2002) 375384, il quale osserva giustamente che La mthode de Varron [] rompt avec une mode, celles des catalogues. Dove sarebbe dunque la rottura, se Varrone stesso avesse fatto un index?

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si dedurrebbe che egli si riferisca piuttosto a un indice (alii dicunt alii alii), ma nel caso del numero di 21 egli si riferisce, secondo ogni verisimiglianza, alledizione plautina che circolava al suo tempo, mentre col numero di 100 egli sembra riferirsi al numero complessivo di fabulae che circolavano, nellantichit (non pi al tempo di Servio, cf. infra) sotto il nome di Plauto (quelle che Gellio dice invece 130). Io non credo sia possibile determinare con certezza quale Sammlung avesse in mente Servio scrivendo 40; tuttavia unipotesi, forse pi verisimile di quella di Ritschl, si pu fare. Generalmente si ritiene che la famosa edizione plautina tardo-repubblicana, fatta verso la fine del II secolo a. C. con criteri alessandrini, contenesse tutto il corpus plautino, quindi 100 o pi commedie37. In realt, di questa antichissima edizione certa, dopo le brillanti dimostrazioni di Leo e Questa, lesistenza, mentre ne del tutto sconosciuto lUmfang. Nessun autore antico dice nulla in proposito. Fra gli autori antichi a noi pervenuti, gli unici che la hanno usata in abbondanza sono Varrone e Verrio Flacco38. Ora, se noi consideriamo le commedie citate da Varrone e da Verrio Flacco, osserviamo subito alcune coincidenze. Fra le 21 Varronianae, sia Varrone sia Festo non citano Captivi; dubbia la situazione di Vidularia, non citata da Varrone, ma forse citata da Verrio39; le restanti Varronianae sono presenti (e abbondantemente) sia in Varrone che in Verrio. Delle non Varronianae Varrone cita, come gi ho detto, 13 titoli, mentre Festo ne cita 15. Vediamo i due elenchi (che traggo da Deufert, 2002, 139; 160161). Elenco varroniano: Astraba, Boeotia, Cesistio, Colax, Condalium, Cornicula, Faeneratrix, Frivolaria, Fugitivi, Nervolaria, Pago, Parasitus piger, Sitellitergus. Elenco verriano: Agroecus, Artemo, Astraba, Carbonaria, Cornicula, Cosin[] 40, Dyscolus, Faeneratrix, Frivolaria, Gemini lenones, Hortulus, Nervolaria, Parasitus piger, Saturio, Sitellitergus. Come si vede, oltre la met dei titoli comune (Astraba, Cornicula, Faeneratrix, Frivolaria, Nervolaria, Parasitus piger, Sitellitergus). Supponiamo, come credono tutti gli studiosi sulle orme del Leo (cf. da ultimo Deufert), che fino allet di Verrio Flacco e oltre esistesse ununica edizione di Plauto, quella della fine del II secolo a. C. comprendente lintero corpus (quindi circa 130 fabulae). Nel D. l. L. ho contato oltre 60 citazioni plautine, in Verrio circa 150. A me sembra davvero strano che, attingendo da un numero cos alto di commedie, Varrone e Verrio (o le loro fonti41) abbiano, casualmente, scelto quasi sempre le stesse commedie. Supponiamo anche che la scelta delle Varronianae non fosse casuale, ma frutto della scelta

questa lipotesi che tutti accolgono, cf. Deufert (2002) 54. Sulle citazioni di Pseudolus in Verrio, cf. Jocelyn (1991) 569580. 39 Nel Festo da noi posseduto tale commedia non mai citata, ma cf. Bischoff (1932) 114117 e Aragosti (2006) 253288. In realt, anche sui Captivi qualche dubbio, nel caso di Festo, pu forse essere sollevato (cf. p. 571 L.); ma probabilmente un dubbio infondato. 40 Per questo titolo cf. Aragosti (2009) 141142. 41 ben noto che Varrone e Verrio hanno usato anche materiale di filologi a loro precedenti, anche nel caso delle citazioni plautine: per Varrone cf. la nota 34, per Verrio cf. Jocelyn (1991) 579580.
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consapevole di Varrone, scelta poi seguita da Verrio Flacco42. Se anche cos fosse (ma non lo credo), resterebbe che, delle rimanenti commedie, Varrone e Verrio ne citano (sommati insieme) appena una ventina e, anche qui, scegliendo, per met, le stesse commedie. Tutto questo non di per s impossibile, ma mi sembra davvero improbabile. ben pi semplice supporre che (le fonti di) Varrone e Verrio usassero la stessa edizione, la quale conteneva un numero di commedie ben inferiore a 130. Quante commedie conteneva questa edizione? Se facciamo la somma dei titoli di Varrone e di Verrio, otteniamo la cifra di 41 (oltre alle 20 Varronianae43, Astraba, Boeotia, Cesistio, Colax, Condalium, Cornicula, Faeneratrix, Frivolaria, Fugitivi, Nervolaria, Pago, Parasitus piger, Sitellitergus, Agroecus, Artemo, Carbonaria, Cosin[], Dyscolus, Gemini lenones, Hortulus, Saturio). Se riconsideriamo ora il passo di Servio, forse siamo in grado di intendere a quale Sammlung egli faceva riferimento col numero di 40 44: Servio faceva riferimento allantichissima edizione di et tardo-repubblicana, la quale era stata per tanto tempo ledizione comune in cui si leggeva Plauto. Questa ipotesi mi pare pi economica di quella di Ritschl, sia perch essa fa riferimento a unedizione, la cui esistenza stata dimostrata per altra via (mentre lesistenza dellindex varroniano stata dedotta proprio dal passo di Servio e non pare accordarsi con gli altri dati della tradizione) e la cui influenza sulla filologia romana tangibile, sia perch propone una soluzione abbastanza semplice del problema numerico (mentre il Ritschl, per raggiungere il numero di 40, era costretto ad arbitri dogni genere). Naturalmente, il numero di 40 non deve essere inteso in maniera assoluta: anche laltra indicazione numerica fornita da Servio (100) stata giustamente ritenuta approssimativa. Pu darsi che il numero di commedie contenute nelledizione tardo-repubblicana fosse leggermente diverso. Dicevo prima, che forse si pu fare unulteriore ipotesi sulle ragioni che hanno dissuaso Varrone dal fare un index: se Varrone sapeva (come si deduce da Gellio) che lUmfang originario del corpus plautino era di 130 fabulae, mentre la sua edizione ne conteneva 40 (e le altre non erano probabilmente facili da trovare, certo egli non le utilizz nel D. l. L.), credette forse imprudente fare un index basato su un materiale cos ristretto. Egli era convinto che tutte le commedie del corpus a lui disponibile fossero o di Plauto o da Plauto retractatae et expolitae; ma, probabilmente, un buon numero delle 130 fabulae del corpus originario, Varrone non le lesse mai. Se cos, si pu ragionevolmente supporre che la famosa edizione plautina tardorepubblicana comprendesse 40 commedie. Fino a quando continu a essere utilizzata

42 In realt, in conseguenza di quanto ho detto prima, non credo che Varrone citasse commedie da lui sottoposte alla propria Echtheitskritik, n vi alcune prova o indizio che Verrio dovesse seguire le opinioni di Varrone su questo argomento. 43 Tutte, cio, tranne i Captivi. 44 La cifra da me calcolata eccede di uno quella di Servio. Questo pu essere dovuto al caso, ovvero a imprecisione del grammatico antico. Anche la cifra di 100, si sospettato che sia unapprossimazione per 130 (Ritschl, 1845, 126; Aragosti, 2009, 7 nota 2). Inoltre, io ho dato per scontato che Vidularia fosse presente in Verrio; la cosa non tuttavia del tutto sicura e, se togliamo dal computo Vidularia, la somma d proprio 40.

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questa edizione? Leo e Deufert, sebbene siano daccordo a negare che sia stato Varrone a fare una nuova edizione di Plauto45, hanno dato una risposta diversa a questa domanda. Per Leo fu ledizione di Valerio Probo di Berito46, che sostitu ledizione repubblicana (quindi verso la fine del I sec. d. C.), mentre il Deufert (2002, 200216), il quale non disposto a concedere a Probo un ruolo cos importante, suppone che la nuova edizione, comprendente solo le Varronianae, sia nata in et adriano-antonina. Anche per questa fase della tradizione plautina i dati sono estremamente scarsi e poco pu essere affermato con certezza47. I dati da cui partire sono i seguenti. Per tutta lepoca successiva a Verrio Flacco, fino allepoca antonina, nessuno scrittore mostra interesse per Plauto. Questo fa s che la tradizione indiretta, spesso unico strumento per sapere qualcosa circa la Textgeschichte nellantichit, sia pressoch muta. Il quadro cambia in et antonina, allorch Gellio e Frontone citano pi volte Plauto e mostrano di averlo letto e apprezzato. Ci che pi ha colpito gli studiosi, che Gellio e Frontone (soprattutto questultimo) mostrano di conoscere di prima mano quasi esclusivamente le Varronianae. Questo dato indubbiamente vero, e ha ragione Deufert a spiegarlo con lesistenza di una nuova edizione di Plauto, la quale comprendeva solo le 21 Varronianae; le ragione culturali di tale nuova edizione sono, evidentemente, da ricollegare al rinnovato interesse per la letteratura arcaica che caratterizza il II secolo d. C. Tutto questo pressoch sicuro; ma il ruolo di Valerio Probo resta poco chiaro. infatti ben noto che egli fu uno dei promotori del movimento arcaista a Roma ed altres ben noto che egli fu editore di molti testi latini. Sembrerebbe dunque naturale collegare i due fatti e ipotizzare che Probo, grammatico ed editore, iniziando il movimento arcaista a Roma, abbia voluto dare il proprio contributo anche preparando una nuova edizione di Plauto. Il Leo ebbe sempre una grande simpatia per Probo, e lautorevolezza di questo studioso ha contribuito ad aumentare la fama e il

45 Si soliti escludere che Varrone abbia fatto unedizione di Plauto in base a D. l. L. 9. 106, ove Varrone scrive, quod Plauti aut librarii mendum est: difficile che si esprimesse cos chi aveva fatto unedizione di Plauto (cf. Leo 21912, 36). 46 Su di lui cf. soprattutto Aistermann (1910). 47 Una trattazione a parte meriterebbe la conoscenza delle commedie non Varronianae presso i grammatici di et imperiale. Il pi ricco di citazione , ovviamente, Nonio Marcello, il quale pare usasse tre fonti, di cui due comprendenti solo Varronianae; la terza fonte pare fosse il famoso Gloss I (cf. Lindsay, 1901). Da questultimo egli trae 11 titoli di non Varronianae. Rispetto ai titoli citati da Varrone e Verrio, 7 sono comuni, 4 no (Acharistio, Parasitus medicus, Plocinus, Schematicus). Diomede (I, 383. 15 K.; ib. 401. 5 K.) cita solo Cornicula e Faeneratrix (entrambe presenti nellelenco varroniano-festiano), mentre Prisciano cita 2 commedie comuni allelenco varroniano-festiano (Carbonaria e Gemini Lenones) e 3 non comuni (Commorientes, Lipargus, Parasitus Medicus). Tutto questo materiale arriv a questi grammatici per via indiretta, non certo grazie alla loro lettura di non Varronianae (fra laltro il numero di citazioni sempre ridottissimo). Un caso a s (unico) il Caecus vel Praedones: si tratta di una commedia citata solo da Giulio Romano-Carisio e citata addiruttura 10 volte: evidente che Giulio Romano, ovvero la sua fonte, ha avuto a disposizione unedizione di questa commedia, la quale ignota a tutto il resto della tradizione (cf. Deufert, 2002, 240241; Aragosti, 2009, 6062). In generale, anche nei grammatici imperiali, si osserva una prevalenza delle commedie presenti in Varrone e Verrio.

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prestigio del filologo di Berito, soprattutto nella prima met del secolo XX. Successivamente, gli studiosi si sono mostrati pi prudenti nellattribuire a Probo un ruolo decisivo nella Textberlieferung degli scrittori latini. Mentre in passato sono state attribuite a Probo edizioni di Plauto, Terenzio, Sallustio, Lucrezio, Virgilio, Orazio e sinanco Persio48, negli ultimi decenni non c nessuna di queste edizioni che non sia stata messa in dubbio. Io ho cercato recentemente di dimostrare che Probo fece unedizione di Virglio e che essa allorigine della nostra tradizione manoscritta; ho anche cercato di dimostrare che il filologo di Berito esercit su Virgilio una influente Echtheitskritik, alla quale forse si deve la scomparsa del Culex dal corpus delle opere normalmente attribuite a Virgilio49. Io credo dunque che lattivit filologica di Probo sia stata importante e di vaste dimensioni. Eppure, nel caso di Plauto, credo anchio che si debba escludere che Probo ne abbia fatto unedizione50. Anche il Deufert (2002, 183192) giunto a questa conclusione, ma, per intendere gli argomenti del Deufert, che io in parte condivido, in parte no, bisogna avere presente la ricostruzione del Leo, la quale ha influenzato molto gli studi, soprattutto, come dicevo, nella prima met del XX secolo. Le nostre fonti sullattivit filologica di Valerio Probo sono essenzialmente due, la biografia che a questo grammaticus dedica Svetonio nel De grammaticis et rhetoribus (24) e lAnecdoton Parisinum51. La ricostruzione del Leo si basava essenzialmente sul testo di Svetonio, di cui trascrivo lessenziale (ed. Brugnoli): M. Valerius Probus Berytius [] legerat in provincia quosdam veteres libellos apud grammatistam, durante adhuc ibi antiquorum memoria necdum omnino abolita sicut Romae. hos cum diligentius repetere atque alios deinceps cognoscere cuperet, quamvis omnes contemni magisque obprobio legentibus quam gloriae et fructui esse animadverteret, nihilo minus in proposito mansit multaque exemplaria contracta emendare ac distinguere et adnotare curavit, soli huic nec ulli praetera grammaticae parti deditus []. Nimis pauca et exigua de quibusdam minutis quaestionibus edidit. Reliquit autem non mediocrem silvam observationum sermonis antiqui. Non sono purtroppo note con certezza le date della vita di Probo. Tutto comunqe lascia supporre che egli sia vissuto fra la prma met del I sec. d. C. e la fine di quel secolo o lini-

Cf. Hanslik (1955) 195212. Contro lattribuzione a Probo della Vita Persi, cf., da ultimo, Lucarini (2011) 225 (essa opera di Svetonio, cf. Schmidt 1997, 3637). Emblematico , a questo proposito, come Pasquali, che nel 1934, pubblicando la prima edizione di Storia della tradizione e critica del testo, aveva concesso ampio spazio allinfluenza di Probo, successivamente, nel 1947, si mostrasse molto pi scettico sullargomento (cf. la Premessa di Pieraccioni alledizione di Storia della tradizione e critica del testo pubblicata a Firenze nel 1988, I nota 1). 49 Cf. Lucarini (2006) 293305. 50 In realt, come ha osservato giustamente Reeve (1983, 412 nota 7), a proposito delledizione probiana di Terenzio (ma le parole che trascrivo valgono anche per Plauto): Whether his work counts as an edition is purely a matter of terms; the real questions are how and in what form it became public, and how much it affected later copies. 51 Questo testo, trasmessoci dal Parisinus Latinus 7530, scritto tra il 779 e il 797 (cf. Bibliografia, 2004, 182183), fu pubblicato per la prima volta da Th. Bergk; lo si legge in Keil GL 7, 533536 e alle pp. 5456 della raccolta di Funaioli.
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zio del seguente. Combinando questi dati, il Leo suppose, anche in considerazione del disinteresse verso la letteratura arcaica che caratterizz il I sec. d. C. e dei due incendi che devastarono Roma in quel periodo52, che, quando Probo giunse da Berito a Roma, qui non vi fossero pi esemplari di Plauto e che per questo egli cerc di raccogliere (contracta) degli esemplari su cui preparare le sue edizioni. In realt, tale interpretazione contiene una forzatura, poich la frase durante adhuc ibi antiquorum memoria necdum omnino abolita sicut Romae non significa che a Berito vi fossero esemplari degli arcaici, mentre a Roma non ce ne erano pi, bens che a Berito si continuava a insegnare, nelle scuole dei grammatici, la letteratura arcaica, mentre a Roma non la si insegnava pi53. Tutto il capitolo svetoniano (e in generale il De grammaticis et rhetoribus) concentrato sullaspetto didattico dellattivit dei vari grammatici e rhetores e le considerazioni di Svetonio (cf. quamvis omnes contemni magisque obprobio legentibus quam gloriae et fructui esse animadverteret) vanno tutte lette in questa chiave; a Svetonio non interessava quali autori fossero reperibili nelle biblioteche, ma solo quali autori dovessero leggere i giovani alle scuole dei grammatici, perch un giorno potessero divenire buoni rhetores54. Come osserva il Deufert (2002, 185): Doch darf man den gewiss bertreibenden, um seines abflligen Tones willen gewhlten Ausdruck memoria abolita nicht als eine generelle Aussage ber den Erhaltungszustand der archaischen Literatur in Rom und den Provinzen werten, sondern muss ihn auf den Vordersatz legerat in provincia quosdam veteres libellos apud grammatistam beziehen, den er begrndet: Sueton muss seinem Leser die erstaunliche Tatsache erklren, dass Probus als Grundschler in den vierziger Jahren in seiner Heimat anhand der alten Autoren Lesen und Schreiben lernte. Questo senza dubbio vero. Tuttavia, se questo sufficiente a escludere la tesi del Leo, secondo la quale Probo non avrebbe pi trovato a Roma esemplari di Plauto, non invece sufficiente a escludere che Probo abbia curato unedizione di Plauto; poteva benissimo curarla, anche se manoscritti di Plauto si trovavano comunemente nelle biblioteche di Roma! Non dimostra dunque nulla laffermazione del Deufert (2002, 189): Die Notwendigkeit, fr einen der frhlateinischen Autoren eine Gesamtausgabe anzufertigen, bestand nicht, da sie in den Bibliotheken, denen Probus sein Material verdankte, vorhanden waren. Laltro argomento addotto dal Deufert contro ledizione probiana mi convince ancora meno. Lo studioso tedesco crede infatti dass sich die Schler Abschriften der von Probus erstellten Textausgaben besorgten, ist denkbar, auf eine systematisch betriebene Publikation haben wir hingegen nicht den geringsten Hinweis. Questa affermazione, che riguarda lattivit di Probo nel suo complesso, non

Quello del tempo di Nerone e quello del tempo di Tito (cf. Leo, 21912 28 nota 3). Questa lesegesi oggi generalmente accolta ed essa senzaltro giusta (cf. Deufert, 2002, 185; Kaster, 1995, ad loc.). 54 Cf. Lucarini (2006) 293295; lesegesi che qui propongo del passo svetoniano era gi chiara allAistermann, ed era gi implicita in alcune affermazioni del Vahlen (1907, 4647). Kaster e altri studiosi recenti hanno invece frainteso il significato generale del capitolo svetoniano.
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credo sia vera. Altrove (2006, 293305) ho cercato di dimostrare che la nostra tradizione virgiliana risale in ultima analisi a Probo e dunque eine systematisch betriebene Publikation da parte di Probo, o dei suoi scolari, io credo sia esistita. Nella stessa sede ho anche cercato di dimostrare che lAnecdoton Parisinum non opera di Svetonio55. Questo punto di capitale importanza, poich, come gi accennavo, lAnecdoton laltra fonte antica, accanto a Svetonio, che pi ci insegna su Probo. Chi nega che lautore dellAnecdoton sia Svetonio, si basa su un argomento, che io credo essere fondamentale nella nostra discussione. Infatti, mentre dal passo svetoniano si deduce che lattivit ecdotica di Probo riguard i veteres, lAnecdoton Parisinum dice che lattivit ecdotica di Probo riguard Lucrezio, Virgilio, Orazio e pare escludere che essa abbia riguardato i veteres 56. Dunque il quadro dellattivit di Probo offerto dallAnecdoton diverge su questo punto da quello di Svetonio ed in errore il Deufert a dire: die Angaben des Anecdoton und der Vita (scil.: Svetoni), die vermutlich beide auf Sueton zurckgehen, ergnzen sich somit, ohne dass ein Widerspruch bestehen bleibt. No, la contraddizione c. Io ho cercato di dimostrare (2006, 301302) che lAnecdoton stato scritto da una persona a Probo vicina, la quale ne conosceva bene (meglio di Svetonio!) lattivit filologia e la apprezzava molto. Se questo vero, naturale attendersi che lAnecdoton offra notizie pi veritiere che Svetonio. LAnecdoton ci insegna che Probo fece edizioni di Lucrezio, Virgilio, Orazio. La tradizione di Virgilio pare confermare che Probo ha fatto unimportante edizione di questo scrittore; per Orazio e Lucrezio, purtroppo, non sono possibili verifiche, data la scarsit della tradizione indiretta. Ma Plauto? Ne ha fatto Probo unedizione? Leo lo ha supposto e gli argomenti addotti da Deufert per dimostrare che tale edizione non esistita non sono parsi convincenti. Eppure io credo che, anche in questo caso, la testimonianza dellAnecdoton sia fededegna e che quindi Probo non abbia fatto unedizione di Plauto57. Purtroppo, mentre nel caso di Virgilio c una copiosa tradizione indiretta, la quale dimostra che, proprio nel periodo in cui Probo insegn a Roma, il testo di Virgilio fu sottoposto a una profonda (e benefica) revisione, nel caso di Plauto non abbiamo tale tradizione indiretta. Dopo Verrio Flacco, nessun autore cita ampi

55 Non sono del resto il primo a sostenere questa tesi, cf. Brugnoli (1955) 1416; DAnna (1989) 155161. Ritiene invece che lAnecdoton sia un frammento svetoniano Schmidt (1997) 3940 (con la letteratura precedente). Schmidt (1997, 1620) discute anche il fondamentale problema di cosa fosse lopera svetoniana intitolata Pratum. 56 Anecd. Par., 534, 46: His solis adnotationibus Ennii Lucilii et historicorum usi sunt varrus hennius haelius aequae et postremo Probus, qui illas [in : del. Deufert] Virgilio et Horatio et Lucretio apposuit, ut Homero Aristarchus. Chi ha scritto queste parole, non credeva che Probo avesse dedicato la propria attivit ecdotica agli arcaici (cf. la nota successiva). Si dubitato di historicorum: L. Mller propose scaenicorum, congettura brillante e che confermerebbe ulteriormente le ricostruzioni del Leo sulledizione plautina di et tardorepubblicana. Tuttavia, io credo che il testo del Parisinus vada difeso, anche perch da Frontone (15, ll. 1117 van den Hout) mi pare si deduca che la filologia repubblicana si esercit anche su testi in prosa. 57 LAnecdoton non dice esplicitamente che Probo non ha fatto unedizione di Plauto; lo lascia per supporre, dal momento che contrappone lattivit dei filologi di et repubblicana (che riguard gli arcaici) a quella di Probo (che riguard i poeti del I sec. a. C. e di et augustea).

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passi di Plauto fino allet antonina. Non sono dunque possibili verifiche sulla qualit del testo plautino prima di Probo e dopo Probo, come invece possibile nel caso del testo virgiliano. invece, secondo me, possibile fare osservazioni circa lUmfang delle edizioni plautine che circolavano prima e dopo Probo. opinione generalmente accolta che, fino alledizione di et antonina (Deufert) o probiana (Leo), ledizione che comunemente circolava fosse quella tardo-repubblicana. Precedentemente, ho cercato di dimostrare che tale edizione doveva in realt contenere circa 40 commedie, non 100 o 130. Tuttavia, che questa fosse ledizione comunemente in uso fra il I sec. a. C. e il I sec. d. C., a me pare lecito dubitare. Essa era usata da studiosi quali Varrone, Verrio e le loro fonti, ma i lettori comuni usavano, credo, edizioni pi ristrette e selettive. Se noi osserviamo le citazioni plautine dallet tardo-repubblicana allet di Probo, emergono alcuni dati interessanti. Iniziamo dai testi pi antichi, la Rhetorica ad C. Herennium (scritta, a quanto pare, negli anni 8683 a. C.) e il De inventione ciceroniano (scritto verso l80 a. C.). Come noto, questi due testi dipendono in gran parte da una fonte greca comune, probabilmente Ermagora di Temno; oltre per a tale fonte comune, i due scritti sembrano aver condiviso anche unaltra fonte comune, la quale conteneva un certo numero di citazioni da poeti latini. Lunica citazione plautina che i due testi presentino da Trinummus, 2326; non chiaro se essa risalga alla fonte comune, da cui entrambi i testi attingono le citazioni di poeti latini, ovvero la citazione in De inv. sia stata interpolata da qualcuno che leggeva Rhet. ad Her.58, n, ai nostri fini, la cosa importante. In tutto il corpus ciceroniano, si incontrano quattro citazioni da Plauto (Deufert 2002, 155158). La citazione da Aul. 78 (in De div. 1. 65) probabile risalga a fonte grammaticale, mentre le citazioni da Trin. 319 (in Ep. ad Brutum 8. 2), da Trin. 419 (in In Pisonem 61) e da Trin. 705 (in De oratore 2. 39) derivano senza dubbio da lettura diretta. Nel De senectute (14. 50) leggiamo: Quam gaudebat Bello suo Punico Naevius! quam Truculento Plautus, quam Psaeudolo! Come si vede, le Varronianae godevano gi di una posizione particolare. Anche per quel che riguarda le Wiederauffhrungen di questo periodo, le uniche delle quali abbiamo notizia riguardano lo Pseudolus e il Trinummus59. Dopo Cicerone, per trovare unaltra testimonianza sulla lettura di Plauto, se si esclude Verrio Flacco, bisogna arrivare fino ad Anneo Cornuto, il maestro di Persio e di Lucano60. Da un passo dellArs grammatica di Carisio (261, 1726 B.), si deduce che Anneo Cornuto leggeva, assieme al figlio Tito, il verso 499 di Pseudolus e cercava di spiegarlo con confronti da altri poeti arcaici. Cornuto , a quanto pare, lunico autore che, fra il tempo di Cicerone e quello di Probo testimonia una lettura diretta di Plauto (con leccezione di Verrio Flacco e,

questultima unipotesi del Deufert (2002, 151154). Cf. Questa Raffaelli (1990) 162174. 60 Ben noto il disinteresse per la letteratura repubblicana nella prima et imperiale; cf. Jocelyn (1988) 5760.
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forse, di Plinio il Vecchio 61). Per quel che concerne Probo, in quello che ancora oggi lo studio pi approfondito e acuto su questo filologo, lo Aistermann (1910, LXIX) elenca fra i passi degli Scriptores qui in reliquiis Probi afferuntur, 15 luoghi plautini, di cui due soltanto derivano da commedie non Varronianae e il Pasquali ne deduce assennatamente (21952, 348) che questa predominanza non pu esser capriccio della tradizione. Da questa rassegna sui lettori di Plauto, dalla Rhet. ad Her. a Probo, ho fin qui escluso Varrone e Verrio Flacco, sia perch essi citano molto materiale di seconda mano, sia perch le loro opere hanno finalit erudite e antiquarie, che gli altri scrittori citati (a parte Plinio) non hanno. Tuttavia, Varrone pu forse fornire qualche indizio anche su materiali esegetici plautini destinati a un pubblico pi vasto che quello degli eruditi. R. Schrter ha cercato di dimostrare62 che Varrone (D. l. L. 7. 81), citando Pseud. 955, si servito, per lesegesi, di un commento, nel quale venivano spiegati i movimenti scenici. In realt, Schrter ha supposto luso di un commento del genere anche per altri passi plautini citati da Varrone63, ma, come osserva Deufert (2002, 115117), lunico caso davvero persuasivo quello di Pseudolus 955. probabile che un commento di questo genere non fosse destinato agli eruditi, ma a un pubblico pi vasto. Tutti questi dati a me sembra che inducano a pensare che, ben prima della pubblicazione della varronische Auswahlausgabe di et adriano-antonina, le 21 commedie Varronianae circolassero ben pi diffusamente delle altre. Questo non significa di per s che sia stata fatta unaltra edizione, contenente le sole 21 Varronianae. Pi probabilmente, le altre commedie hanno cessato di circolare, mentre le 21 Varronianae, anche nei periodi in cui Plauto meno era letto e apprezzato (come appunto al tempo di Anneo Cornuto), continuavano a essere lette, per lo meno da qualcuno. Sui cataloghi prevarroniani citati da Gellio sappiamo, purtroppo, solo ci che ci dice Gellio; lunico di cui sappiamo con esattezza il numero di commedie che accettava come plautine quello di Elio Stilone, che ne accoglieva 25. Ovviamente, fra queste 25 erano contenute anche le 21 Varronianae. Elio Stilone fu filologo e studioso di altissima fama; la sua autorit, unita a quella del catalogo varroniano (quello delle 21, non quello delle 40, che non mai esistito!), avr contribuito a che nelle generazioni successive si leggessero solo quelle 2025 commedie, le quali uniche sono scampate al naufragio. Dun61 Non rimpiangeremo mai abbastanza la perdita dellopera De dubio sermone di Plinio il Vecchio; tuttavia, negli indici di Della Casa (1969, 341343), Plauto non compare mai e Jocelyn (1987, 6364) crede che Plinio abbia completamente ignorato Plauto. Qualche traccia di commedie non Varronianae si trova nella Naturalis historia, ma sembra derivare da fonte anteriore, non da lettura diretta (cf. Jocelyn 1987). sconcertante quanto dice lo stesso Plinio in Naturalis historia 18. 107: evidente che chi ha scritto queste cose non aveva idea cosa fosse l Aulularia, sia perch qui artopta non ha il significato di pistor, sia perch, trattandosi di una palliata, ovvio che il poeta faceva riferimento a cosa avvenute ad Atene, non a Roma (cf. Deufert 2002, 97100). Siamo davanti, evidentemente, a eruditi che leggevano solo la glossa artopta e ragionavano e scrivevano basandosi solo su quella, senza leggere il testo. In questo caso, si pu dire che chi ha fatto queste osservazioni non solo non conosceva il contesto di Aul. 400, ma non conosceva la Palliata in generale. 62 Schrter (1959) 845846. 63 Sulla stessa linea anche Aragosti (2009) 2126.

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que un lettore colto dellet tardo repubblicana e imperiale, il quale non avesse forti interessi antiquari e grammaticali e non fosse disposto a faticare per reperire testi rari (intendo quindi anche scrittori quali Orazio), aveva probabilmente una conoscenza del teatro plautino quale la abbiamo noi. Le non Varronianae, gi al tempo di Cicerone, erano probabilmente una rarit. Torniamo ora alla domanda da cui siamo partiti: quale influenza ha esercitato Probo sulla tradizione plautina? Prima di Probo, Plauto (come tutti i veteres) veniva letto poco e le uniche commedie che venivano lette erano le 21 Varronianae. Dopo Probo, Plauto veniva letto molto e le uniche commedie che venivano lette erano ancora le 21 Varronianae (come dimostrano i casi di Frontone e Gellio). Credeva Probo che le uniche commedie autentiche fossero le 21 Varronianae? Probabilmente no. Probo cita infatti (fr. 56 Aistermann = Gellius 4. 7) come plautino un termine, che nel nostro corpus non attestato; certo, in questo caso non possiamo esprimerci con certezza, dal momento che il termine avrebbe potuto essere adoperato nella Vidularia, della quale noi abbiamo solo pochi frammenti. Daltra parte, Gellio e Favorino, come abbiamo veduto, erano convinti che esistessero molte commedie plautine non comprese fra le 21 Varronianae. Inoltre, Gellio e Favorino ritenevano Probo una somma autorit nel campo della grammatica e della conoscenza della letteratura latina arcaica (cf. Gellius, 3. 1. 6; 15. 30. 5), sicch par difficile che essi si allontanassero completamente da lui su una questione cos importante. Tutti questi dati, nel loro insieme, mi pare dimostrino poco probabile che Probo abbia curato unedizione delle 21 Varronianae. Daltra parte, ledizione che ha trionfato proprio quella delle 21 Varronianae. Inoltre, io ho cercato di dimostrare (2006, 304305) che, nel caso di Virgilio, Probo esercit anche uninfluente Echtheitskritik; possibile che, se davvero egli ha curato unedizione di Plauto, abbia seguito pedissequamente una lista compilata da Varrone, peraltro non di commedie che Varrone stesso riteneva plautine, ma che altri avevano credute tali? Tutto questo mi pare induca a pensare che Probo non ha curato nessuna edizione plautina; o, a voler formulare la risposta nei termini, storicamente pi corretti, che ha proposto il Reeve (cf. la nota 50), che tale edizione, se anche esistita, non si diffusa o non ha avuto influenza sulla tradizione successiva. Quello che mi pare sia comune, per quel che concerne lattivit di Probo, ai casi di Plauto e di Virgilio, il valore dellAnecdoton Parisinum: in entrambi i casi, le notizie che lAnecdoton ci fornisce risultano veritiere. Senza dubbio, dunque, lautore dell Anecdoton aveva ottime informazioni sullattivit filologica di Probo, assai migliori di quelle di cui disponeva Svetonio. * * * * * A questo punto, credo possiamo affrontare di nuovo un problema del quale si molto discusso anche in anni recenti, ma sul quale forse c ancora qualcosa da dire, cio lidentit del commentatore di Plauto di nome Sisenna. Come noto, il grammatico Rufino di Antiochia, vissuto nei secoli IVVI d. C., nei suoi Commentaria in

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metra Terentiana 64, cita 8 frammenti da un commentarius di Sisenna a Plauto. Altri 4 frammenti di tale opera son citati da Carisio, il quale dipende, in tutti e 4 i casi, da Giulio Romano65. N Rufino n Carisio dicono alcunch su questo Sisenna, n alcuna altra fonte antica ci viene in soccorso. Per molto tempo si pens che si trattasse del celebre Sisenna storico di et sillana, il quale, allattivit storiografica e di novelliere66, avrebbe affiancato quella di grammatico e di commentatore di Plauto. Theodor Bergk (1870, 328) mise in dubbio questa identificazione ed essa stata successivamente negata dal Leo (21912, 257258), dal Funaioli (128) dal Peter (21914, CCCXLIX.), dalla Carilli (1979, 38), dal Jocelyn (1987, 5862), dal Questa (1984, 6566), dal Deufert (2002, 245250), dal Blnsdorf (2002, 223). Sostennero invece lidentit di Sisenna storico e Sisenna grammatico il Ritschl (1845, 376378), il Peter (1883, CCCXXXVI), R. Klotz (1890, 562) e pi recentemente, il Perutelli (2004, 5562) e lAragosti (2009, 2636)67. I passi che gli studiosi hanno ritenuto decisivi, nellun senso o nellaltro, sono due, uno di Rufino (15, 25 DA.), laltro di Carisio (285, 2426 B.). Partiamo dal primo, che parso decisivo al Deufert e che potrebbe porre il terminus post quem per Sisenna grammatico allet adriana. Rufino, dopo aver citato un frammento del commento di Sisenna allo Pseudolus, dice: Scaurus in eadem fabula sic []. Sisenna in Rudente sic... Dunque, una citazione di uno Scaurus si trova tra due citazioni di Sisenna, le quali sono disposte secondo lordine che dovevano avere nellopera di Sisenna stesso68: da questo si voluto dedurre che la citazione di Scaurus fosse gi presente nellopera di Sisenna e che da l Rufino la abbia tratta (Carili, Jocelyn, Deufert). Poich Scaurus senza dubbio Terenzio Scauro, il grammatico det adriana69, ecco che Sisenna grammatico non pu esser vissuto prima di tale data. Io ritengo questo fatto probabile e tuttavia indimostrabile70. vero che Rufino non cita altrove Scauro, ma anche vero che i due trattati di Rufino sono brevissimi (riempiono in tutto appena una trentina di pagine delle moderne edizioni) e non lecito trarre conclusioni troppo perentorie su fonti e metodi di citazione. Ancor pi incerto mi pare il passo di Carisio (285, 2426 B.): Tractim Plautus in Amphitryone (313); ubi Sisenna pro lente inquit. Non, ut Maro Georgicon IIII tractimque susurrant inquit. Ho scritto secondo la punteggiatura del Barwick ed subito evidente che, se tale punteggiatura fosse corretta, Sisenna storico e Sisenna grammatico sarebbero due persone

Di questa operetta abbiamo unottima e recentissima edizione: DAlessandro (2004). Tutta la sezione De adverbio dellArs grammatica di Carisio (253289 B.) dipende senza dubbio da Giulio Romano, cf. nota 75. 66 Non credo vi siano dubbi sul fatto che i famosi Milesiarum libri vadano attribuiti allautore delle Historiae; cf. Aragosti (2000). 67 Nulla sul problema in Della Corte (1937). 68 Rudens seguiva evidentemente Pseudolus, come nella nostra tradizione. 69 Fu un grammatico insigne, coevo di Traiano e Adriano; cf. ora limportante edizione di Biddau (2008) XXVIIXXXII. 70 Cf. anche DAlessandro (2004) XXIII nota 26, il quale, prudentemente e correttamente, definisce lipotesi che stiamo discutendo non verificabile.
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diverse, poich il secondo citerebbe Virgilio. Tuttavia, la punteggiatura di questo passo assai problematica ed possibile che la pericope non, ut susurrant inquit sia unaggiunta di Carisio, o, come vedremo, della sua fonte. Che invece anche la citazione virgiliana sia da attribuire a Sisenna parve sicuro al Peter (nelledizione del 1914) e, dopo di lui, a molti altri (per gli studiosi che hanno accettato tale esegesi cf. Perutelli 2004, 5556). Recentissimamente, a questa esegesi si opposto il Perutelli (2004, 6162), seguito dallAragosti (2009, 28). Osserva giustamente Perutelli che il medesimo Carisio, quando ha introdotto il parere di qualche altro grammatico, pu ben aggiungere una notazione sua propria e, a dimostrazione, cita opportunamente Charis. 285, 2021 B.: Tuatim Plautus in Amphitryone (554): ubi Sisenna ut nostratim. Significat autem tuo more. Non v dubbio che significat autem tuo more non sia unosservazione di Sisenna, ma di Carisio, o della sua fonte immediata. Perutelli propone dunque di attribuire la pericope non, ut Maro susurrant a Carisio e di espungere inquit finale71. Nel complesso, credo che Perutelli (su questo punto) abbia veduto giusto, quantunque alcune cose vadano precisate. Che vi siano numerosi passi in cui (la fonte di) Carisio corregge o precisa unosservazione di un grammatico appena citato, mi pare sicuro (e sicuro parso talvolta anche al Barwick, come lascia intendere la sua punteggiatura); oltre allesempio citato dal Perutelli, si vedano72 253, 914 B.73; 257, 38 B. (caso pi incerto); 258, 1014 B.74; 272, 1316 B. (ove la fonte di Carisio aggiunge una citazione da Virgilio, come nel passo che stiamo discutendo); 277, 1217 B. (caso analogo al precedente); 280, 2426 B. Dunque, (la fonte di) Carisio aggiunge anche altrove una citazione (talvolta virgiliana) a conferma o a rettifica di quanto affermato da un grammatico appena citato. Esiste un altro passo di Carisio, il quale, mi pare, si avvicina ancora di pi al nostro (271, 1020 B.): Obiter divus Hadrianus sermonum libro I quaerit an Latinum sit: quamquam inquit apud Laberium haec vox esse dicatur, et cum Scaurus Latinum esse neget, addit quia veteres eadem soliti sint dicere, non addentes via, ut sit at e l leiyin, ut Plautus (Bacch. 49) inquit: eadem biberis, eadem dedero tibi, ubi biberis, savium. Quanquam divus Augustus reprehendens Ti. Claudium ita loquitur: scribis enim perviam ant to obiter. Sed divus Hadrianus tametsi inquit Augustus non pereruditus homo fuerit, ut id adverbium ex usu potius quam lectione protulerit. La discussione (che deriva, come si dice esplicitamente nelle righe succes-

Tale espunzione pare risalga al Ritschl, ma la questione complicata, cf. Perutelli (2004) 62 nota 17. Cito solo dalla sezione De adverbio, la quale dipende completamente da Giulio Romano e va quindi considerata come una unit (cf. nota 75). 73 Alias pro aliter Terentius in Andria (529): quid alias malim quam hodie istas fieri nuptias? ubi Fl. Caper de Latinitate: non ausim adfirmare alias pro aliter dici. nam neque pronomen est neque adverbium temporis. Sed proximum vero est ut pro aliter dictum esse fateamur. evidente che la pericope Sed proximum fateamur unaggiunta de Carisio (o, meglio, della sua fonte immediata), che corregge Flavio Capro. 74 Examussim Plautus in Amphitryone (843): examussim est optima; ubi Sisenna pro examinato inquit. Amussis autem est tabula rubricata, quae dimittitur examinandi operis gratia an rectum opus surgat.
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sive, dal Per aformn di Giulio Romano75) inizia da obiter nel significato di nello stesso tempo; limperatore Adriano era in dubbio sul fatto che tale avverbio fosse latino, mentre Terenzio Scauro lo negava ed affermava che, per esprimere tale concetto, gli antichi usavano la forma eadem. A questo punto inizia unaggiunta di Giulio Romano-Carisio, il quale cita il passo di Bacchides. Che tale citazione non derivi da Scauro, ma sia unaggiunta di Giulio Romano-Carisio sicuro: tutto il capitolo De adverbio pieno di citazioni dalle Bacchides e tutti concedono che esse siano uninserzione di Giulio Romano-Carisio. Si osservi la somiglianza col passo che stiamo discutendo: Giulio Romano-Carisio cita unosservazione di un altro grammatico, poi la conferma o la modifica con la citazione di un altro passo (non presente nel grammatico appena citato), accompagnata dalla formula ut inquit, il cui soggetto nome dell autore citato76. Non credo dunque, a differenza di Ritschl e di Perutelli, che inquit di 285, 26 B. vada espunto. Se quanto abbiamo detto giusto, lidea di Perutelli, secondo cui la citazione virgiliana di Charis. 285, 2526 B. non deriva da Sisenna, risulta confermata. A ulteriore conferma si osservi che anche altre citazioni dalle Georgiche sono di sicuro unaggiunta di Giulio Romano-Carisio (cf. 281, 1417 B.; 283, 2223 B.). Rispetto alla ricostruzione di Perutelli, due sole cose mi pare vadan modificate: inquit non va espunto; inoltre non c ragione di supporre che lautore dellinserzione virgiliana sia Carisio stesso; senza dubbio la citazione stata inserita dalla fonte di Carisio (Giulio Romano), esattamente come quella di Bacchides a 271, 1316 B. Dunque, i passi di Rufino e di Carisio, che parevano fornire sicuri termini post quos, i quali avrebbero garantito che lidentificazione di Sisenna commentatore di Plauto con Sisenna storico era impossibile, non sono utilizzabili. Tuttavia, io credo che esistano ragioni validissime, pressoch sicure, per escludere lidentificazione dei due personaggi 77.
Sul Per aformn di Giulio Romano quale fonte dellintera sezione De adverbio di Carisio, cf. Tolkiehn (1917) 788789; Schmidt (1997) 236237. 76 Si potrebbe obiettare che nel nostro passo inquit occorre due volte; ma anche in 271, 1020 B. inquit ricorre gi alla linea 11 (e poi alle linee 15 e 19). ; cf. inoltre 253, 20 B.; 257, 6 B.; 258, 12 B.; 261, 7 B.; 263, 12 B.; 268, 21 B.; 269, 16 B.; 272, 9 B. 77 Il Perutelli (2004, 5561), a favore dellidentificazione dei due Sisenna, ha citato alcune osservazioni di carattere linguistico e grammaticale, le quali vanno attribuite senza dubbio a Sisenna storico. Tali osservazioni, secondo il Perutelli, dovevano essere comprese in unopera grammaticale. Dunque Sisenna storico scrisse anche unopera grammaticale; se daltra parte scrisse unopera grammaticale, osserva Perutelli, ben probabile che abbia scritto anche un commento a Plauto. Il passo pi interessante Charis. 137, 113 B.: Pater familias et mater familias antiqui magis usurpaverunt []. Sed emendatius [] familiae dicimus. Quod ne celebraretur Sisenna effecit. Ait enim eum qui diceret pater familiae etiam pluraliter dicere debere patres familiarum et matres familiarum. Quod quoniam erat durum et longe iucundius patrum familias sonabat, etiam pater familias ut diceretur consuetudo comprobavit. Et tamen ratio Sisennae non est valida. Dunque Sisenna si era espresso contro pater familiae e aveva cercato di spiegare perch si fosse imposto luso di pater familias. Questo, almeno, si deduce da Carisio. Varrone (D. l. L. 8. 73) dice: item plures patres familias dicere non debuerunt, sed ut Sisenna scribit, patres familiarum. Da altre testimonianze (Quint. 1. 5.13; Gell. 2. 25. 9; cf. anche Barwick 1922, 261262) si deduce che Sisenna fosse un analogista di stretta osservanza e questo
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Una delle pi importanti , secondo me, il silenzio di Varrone. infatti evidente che, se Sisenna fosse stato uno studioso di Plauto, le sue opere sarebbero state composte ben prima di quelle varroniane; il De l. L. stato scritto negli anni 4745 a. C., mentre Sisenna era morto nel 67 a. C.; dunque, se opere esegetiche plautine di Sisenna fossero esistite, Varrone le avrebbe avute senza dubbio presenti. Eppure, nelle parti superstiti del D. l. L., Sisenna non mai citato78. Inoltre, verrebbe spontaneo supporre che uno studioso, che scriva un commento a Plauto nellet di maggior fervore dellEchtheitskritik plautina, prenda posizione anche sul problema dellautenticit e, nel caso di Sisenna, che redigesse un index, come quelli che Varrone-Gellio attesta per i sei studiosi prevarroniani: eppure fra i sei studiosi Sisenna non compare. Si osservi inoltre che i sei studiosi plautini prevarroniani sono tutti ben presenti nel D. l. L.79; lunica eccezione Volcacio Sedigito, ma la sua attivit erudita ben attestata da altre fonti (cf. Volcacius Sedigitus, 8284 F.80). Si potr obiettare che Varrone non ha conosciuto lopera di Sisenna o la ha considerata trascurabile; questo non mi pare probabile, anche perch Sisenna era scrittore molto famoso e lo stesso Varrone gli ha dedicato uno dei suoi Logistorici, quello Sisenna de historia (di cui, purtroppo, nulla sappiamo). Altri argomenti contro lidentificazione dei due Sisenna mi pare li offrano i frammenti del commento plautino. Al Deufert sembra molto importante, a questo propo-

punto fondamentale per giudicare le testimonianze di Varrone e Carisio. Esse infatti, mi pare, non sono in accordo. Varrone dice che Sisenna usava la forma patres familiarum, Carisio dice invece che Sisenna era a favore della forma patres familias. Chi ha ragione? Varrone, dal momento che Sisenna era un analogista ortodosso. Dunque la testimonianza di Carisio va di per s guardata con sospetto ed difficile crederle. Io credo che Sisenna abbia usato la forma patres familiarum nelle Historiae (cos crede pure il Peter) e magari anche nelle sue orazioni. Che egli, anche parlando in pubblico, usasse forme strane e che ci desse luogo a dispute linguistiche durante la discussione, attesta esplicitamente Cicerone (Brutus 260) e la cosa non doveva essere infrequente (cf., per altri casi, Porcius Cato, frr. 1012 F.; alcune osservazioni linguistiche si trovavano forse nelle orazioni di Asinio Pollione, cf. i frr. incertae sedis in F.; per Pomponio Marcello, cf. Suet. D. g. et rh. 22. 1; altri due casi in Gellius, 11. 7). Anche se qualcuno vorr pensare che il passo di Carisio riproduce un ragionamento di Sisenna, non potr pi escludere, una volta letti i passi appena citati, che Sisenna abbia potuto fare tale ragionamento in tribunale. Forse i passi, che Perutelli vorrebbe attribuire a unopera grammaticale, andrebbero aggiunti ai frammenti oratori (gli altri frammenti di Sisenna storico in Malcovati 41976, 305307). Un altro argomento per lidentificazione, gi addotto dal Ritschl, e ora ripreso dal Perutelli (2004, 6061) che Sisenna storico amava, a quanto pare, gli avverbi in -im e il Sisenna commentatore di Plauto, nei quattro frammenti citati da Carisio, discute tre volte avverbi plautini in -im. Non credo che questo significhi molto: lunica sezione in cui Carisio cita frammenti di Sisenna quella sugli avverbi ed quindi naturale che egli tratti di un genere davverbio tipico del latino arcaico. 78 Contro la proposta di Perutelli di vedere in D. l. L. 8. 73 una citazione di unopera grammaticale di Sisenna, cf. la nota precedente. Per i filologi romani prevarroniani e per il rapporto fra essi e Varrone cf. Collart (1954) 116; 303307. 79 Cf. gli indici di Goetz-Schoell s. v. Accius, Aelius, Aurelius, Claudius, Manilius, Opillus. Particolarmente significativa la presenza di Aurelio Opillo e Servio Clodio; essi non solo furono autori di indices, ma anche di esegesi di singoli passi e termini plautini; cf. Piras (1998) 163164. 80 Pare probabilissimo che lo stesso Varrone abbia citato il De poetis di Volcacio nella sua opera omonima, cf. Varro fr. 301 F.

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sito, che tutti i frammenti si riferiscano a commedie Varronianae; uno studioso vissuto al tempo di Sisenna storico, osserva Deufert, difficilmente avrebbe fatto una scelta del genere. Questa osservazione forse giusta, ma dopo quanto abbiamo detto prima, che cio le 21 Varronianae erano gi in una posizione privilegiata nel I sec. a.C., credo che questo argomento perda un po del suo peso. Maggiore forza dimostrativa mi pare abbiano le osservazioni che Sisenna fa circa la prosodia. Si legga questo frammento (Rufinus, Comm. 15. 12 DA.): In Captivis sic: Hic ornatu s litteram metri causa amisit. Rufino trascrive qui unosservazione di Sisenna a un verso dei Captivi, nel quale, secondo Sisenna, il termine ornatus perde la s finale. Ornatus ricorre nei Captivi due volte, al v. 447 e al v. 997. In nessuno dei due casi la s cade veramente. Bisogna dunque supporre un errore di Sisenna e cercare di capire in quale dei due passi pu essere avvenuto. Io credo che Leo (21912, 257258) e Deufert (2002, 247248) abbiano senza dubbio ragione a credere che il verso in questione sia 997. Infatti, il verso 447 non pone alcun problema81, mentre il v. 997 pu porre alcuni poblemi; esso suona sed eccum incedit huc ornatus haud ex suis virtutibus. Le magistrali analisi di Leo e Deufert hanno gi detto quello che era necessario dire e mi limiterei a rinviare alle loro trattazioni, se non ritenessi opportuno aggiungere un paio di particolari. I due studiosi tedeschi hanno infatti dimostrato che Sisenna ipotizz una sinalefe fra ornatus e haud, e per questo motivo ritenne che la s dovesse cadere. Questa interpretazione metrico-prosodica senzaltro errata e dimostra che Sisenna scand suis come un giambo, anzich come un pirrichio; questa errata scansione giambica deriva dal non aver capito che -is abbreviato per correptio iambica. Tutto questo gi stato chiarito dal Leo e dal Deufert. Io mi chiedo se sia possibile che un Romano della generazione di Sisenna (morto nel 67 a. C.) non fosse in grado di riconoscere una correptio iambica. Credo di no; si suole affermare che i poeti scenici romani sentirono linflusso della correptio fin verso il 90 a. C. (Questa 2007, 136): dunque pensabile che un letterato loro contemporaneo, del livello culturale di Sisenna, non fosse in grado di riconoscerla? Io non credo. Unobiezione a quanto sostenuto dal Leo e dal Deufert, e da me qui ripreso, potrebbe sollevare chi osservasse che nel verso presente unaltra correptio iambica, nel primo elemento (sed ec-)82. Per sostenere che Sisenna abbia scandito il verso come supposto dal Leo e dal Deufert, bisogna supporre che Sisenna abbia, allinterno dello stesso verso, la prima volta riconosciuto una correptio iambica, la seconda no. possibile? Io credo di s e mi pare ce ne sia una ragione anche abbastanza chiara. Gi il Bentley aveva osservato che la correptio iambica pi frequente allinizio del verso che altrove (cf. Questa 2007, 147), e questo pu essere il motivo per cui un grammatico non particolarmente esperto la ha riconosciuta solo nella sede in cui era pi abituato a trovarla.
81 Esso suona et tua et tua huc ornatus reveniam ex sententia. un verso semplicissimo, con solo una soluzione nel nono elemento. Come osserva giustamente il Leo, se Sisenna si riferisse al v. 447, la sua osservazione riguarderebbe solo un problema grafico, non metrico-prosodico; ma Rufino cita solo osservazioni, che riguardino problemi metrico-prosodici. 82 Su questo tipo di correptio cf. Aragosti (2004) 270 nota 341, con bibliografia precedente.

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Unaltra interessante osservazione di Sisenna la seguente, che Rufino (Comment. 15. 1011 DA.) riferisce derivare commento allAmphitruo: His quattuor generibus quintum accedit de genere versuum qui non sunt unius modi. Non chiaro a quale parte dellAmphitruo qui Sisenna si riferisca. Il Ritschl (1845, 382383) pensava ai vv. 153 sgg., ove cum quattuor generibus simplicibus h. e. iambico, bacchiaco, cretico, trochaico, ii versus coniuncti sunt, quos a Sisenna ut videtur non intellectos Hermannus demum, Elem. doctr. metr. p. 359. 459 partim anapaesticis partim Sotadeis numeris disposuit. Tuttavia, una tale interpretazione non ha trovato consenso83 (cf. Deufert 2002, 248249) e anchio non ne sono convinto. Osservando il testo e guardando lo schema metrico del Questa (1995, 61), si deduce i vv. 153158 sono ottonari giambici, il 159 un ottonario trocaico, mentre la sequenza 161164 di difficilissima interpretazione (Prisciano la interpretava come giambica); 165 interpratato come colon reiz. + colon reiz., 166167 come quaternari anapestici, 168172 come quaternari ionici a maiore catalettici, 173176 come quaternari bacchiaci, 177 come quaternario anapestico catalettico, 178179 come bacchiaci; da 180 inizia una lunga sequenza recitativa in ottonari giambici (fino a 219). In una situazione di questo genere, pur ammettendo che linterpretazione di Sisenna divergesse profondamente da quella del Questa qui ripresa, difficile isolare quattro tipi di versus i quali potessero sembrare a Sisenna unius modi e in quanto tali contrapporsi a un altro tipo di versus, il quale non fosse unius modi. Dopo Ritschl, a quanto ne so, nessuno ha pi cercato di individuare a quali versi dellAmphitruo Sisenna si riferisca. Una strada fruttuosa pu forse indicarcela un passo di Aftonio-Vittorino (GL VI 78, 1979, 6 K.)84, il quale peraltro citato anche da Rufino (10, 711, 2 DA.). Aftonio, parlando dei comici romani di et repubblicana, afferma: prologos itaque et primarum scaenarum actus trimetris comprehenderunt, deinde longissimos, id est tetrametros, subdiderunt, qui appellantur quadrati. Postea in consequentibus variaverunt: modo enim trimetros, modo addito quadrante vel semisse posuerunt, id est semipede adiecto vel integro pede iambo vel sesquipede. Haec per medios actus varie; rursus in exitu fabularum quadratos, quales diximus in secunda scaena, locarunt. [...] Quod vero ad clausulas, id est minuscula cola, quot genera versuum sunt, totidem eorum membra pro clausulis poni possunt et solent in canticis magis quam diverbiis, quae ex trimetro magis subsistunt, collocari, et praecipue apud Plautum, Naevium et Afranium. Nam hi maxime ex omnibus membris versuum <velut> colis ab his separatis licenter usi reperiuntur in clausulis. Se noi calcoliamo il numero di versus dato da Aftonio, senza includere nel calcolo i versus composti con le clausulae, otteniamo il numero di quattro (trimetri, quadrati, trimetri addito quadrante, trimetri addito semisse). A questi quattro tipi di versus si aggiungono i minuscula cola, ovvero clausulae, le quali, caratterisitche dei cantica, si formano da un

Gi G. Hermann era scettico, cf. Ritschl (1845) 383 nota. Non ci sono dubbi sul fatto che lautore di queste righe sia Aftonio; sul problema Aftonio-Vittorino, cf. da ultimo DAlessandro (2004) XXII nota 21.
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pezzo degli altri versi85. Se dunque Aftonio riteneva le clausulae tipiche dei cantica, esse erano caratterizzate dalla polimetria. Pare quindi che Aftonio ritenesse tipici dei deverbia quattro tipi di metri (stichici), mentre riteneva le clausulae (polimetre) caratteristiche dei cantica 86. Pu darsi che il frammento di Sisenna, che stiamo discutendo, presupponga una classificazione di questo genere. Sisenna potrebbe cio voler dire che ai quattro tipi di versi stichici (unius modi), se ne aggiunge un quinto polimetro (non unius modi). Se cos fosse, dovremmo pensare che il passo di Sisenna non si riferisca allinterpretazione di una singola scena, bens alla descrizione generale della metrica plautina. Questo a me pare probabile, se consideriamo la posizione di Amphitruo nel nostro corpus: essendo la prima commedia, le problematiche generali saranno state trattate l. Se ne pu dedurre qualcosa sulla cronologia di Sisenna? A me pare impossibile che una classificazione dei metri plautini cos approssimativa e imprecisa, quale quella di Aftonio, potesse circolare nello stesso periodo in cui si preparava la famosa edizione alessandrina, caratterizzata da ottime e raffinate conoscenza metriche. Se dunque Sisenna presupponeva la stessa classificazione di Aftonio, non pu trattarsi di Sisenna storico. Un altro passo interessante per la datazione di Sisenna mi pare sia Charis. 258. 1014 B., da noi gi citato (cf. nota 74). Credo che il termine examinato usato da Sisenna possa dirci qualcosa sulla cronologia di questo commentatore: in Th. l. L. s.v. examino 1170, 2333, vengono citate alcune occorrenze degli avverbi tratti dal participio passato di examinare (examinate, examinato): la pi antica in Tertulliano. Quando vissuto dunque Sisenna? Il terminus ante quem Giulio Romano, la cui cronologia non sicura e oscilla fra la fine del II sec. d. C. e la met del IV, sicch, anche per Sisenna, il terminus ante quem la met del IV sec. d. C. Inaccettabili ci sono invece parsi i termini post quem fin qui proposti (Virgilio e Terenzio Scauro). Deufert (2002, 255) propone la data del 200 circa d. C. Non credo sia molto lontana dal vero87.*

Sul concetto di clausula nella tradizione grammaticale riguardante Plauto, cf. Questa (1984) 131159. Pare di capire che per Aftonio gli interi cantica erano composti di clausulae. Osserva giustamente il Questa (1984, 133): Clausulae possono dirsi, ed in effetti si dicono presso Aftonio, non solo i versetti che chiudono un canticum o parte di esso, oppure per converso lo iniziano, ma, andando oltre quanto Varrone afferma nella citazione rufiniana, tutti i minuscula cola presenti in un canticum. 87 Anche lonomastica sconsiglia di scendere oltre il 200 d. C., essendo il cognome Sisenna ancora attestato nel II sec. d. C. (cf. PIR2 VII, 2, 2006, nr. 758), non pi tardi (cf. Prosopography, 19711992). Cf. anche An. p. (1980) 312. Per il riuso di nomi illustri del passato in et imperiale (in ambiente per lo pi italiano), cf. Solin (2001) 411427. * Ringrazio A. Aragosti, G. Gregori, G. Piras, M. Rosellini e H. Solin per osservazioni e suggerimenti. Questo articolo nato da un corso da me tenuto agli studenti de La Sapienza: a tutti i partecipanti la mia gratitudine.
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Universit La Sapienza, Dipart. di Scienze dellAntichit Roma Abstract


The aim of this paper is to show that the Plautine Textgeschichte as reconstructed by M. Deufert may be regarded as convincing, although some aspects need to be corrected. A new examination of Gellius 3. 3 (combined with other passages by Festus and Servius, enables us to understand that the famous Republican edition did not contain 130 plays, but 40. In addition, we attempt to demonstrate that Varro did not provide an index

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of plays that he himself regarded as authentic. The only index provided by Varro was the index containing the 21 plays considered authentic by his predecessors. A new analysis of Probus Plautine philology demonstrates that Probus did not prepare a new edition af Plautus: while it is extremely likely that he published a new influential edition of Vergil (which, by the way, caused the disappearance of the Appendix from our corpus), there is no reason to think that he devoted his editorial activity to Plautus. In the last part of the paper we discuss the famous problem of the identity of Sisenna. Although some recent scholars (particularly Perutelli and Aragosti) have tried to demonstrate that the Sisenna, who composed a Plautine commentary, was the famous historian (died 67 BC), I prefer to maintain Deuferts opinion, viz. that Sisenna the commentator of Plautus lived in the second or third century AD. A new analysis of some of Sisennas grammatical fragments is also provided. Keywords: ancient editions, Varro, Plautus, Sisenna, ancient grammarians

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