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Tony Sozzo

Leterna
cosa peggiore
Romanzo
Titolo
Leterna cosa peggiore
Autore
Tony Sozzo
ISBN:88-87557-55-1
2006
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Sara stava andando oltre. Quel regalo era abbastanza di
pi, e bisognava trovargli un significato. Lei laveva fatto,
io cercavo di guadagnare tempo. Mi guardava con uno
sguardo ingiusto per quello che di solito riuscivo ad offri-
re agli occhi. Era proprio nei guai. Ed io con lei.
Dovevo andare con mamma a farle fare una visita di
controllo. Non avevo bisogno di inventare una scusa. La
sera poi sarei stato con Renzo. Ultimamente non soppor-
tavo gli amici con cui stavo di solito. Era una questione
molto importante, anche se tutto sembrava un mio ca-
priccio. Immaginavo cosa potesse pensare quel mucchio
di persone a cui io riuscivo a legare un nome solo per non
farle vagare nel mio cervello senza un segno di riconosci-
mento, e non mi piaceva. Non sarebbero mai riusciti a ve-
nirmi incontro. Erano troppo impegnati con le loro de-
bolezze.
Sara se n andata. Quasi non me ne sono accorto.
Mamma in cucina aspettava me per incamminarsi verso la
macchina, mettersi accanto al posto del guidatore, anda-
re incontro ad unaltra fila. Si considera la casalinga la re-
gina della casa, e la cucina il suo trono. Avrei voluto che
lo fosse. Mamma che si bruciacchiava il sedere per aver di-
menticato il fornello acceso doveva essere la mia attratti-
va preferita a corte.
Quando ho chiuso la porta di casa ho notato di aver
dimenticato lorologio, ma ho lasciato perdere perch lul-
:
tima volta che lo avevo visto mi ero accorto che era gi fin
troppo tardi. Non volevo che se ne accorgesse anche mia
madre. Era una mia codardia che mavrebbe permesso di
mantenermi in vita. Lei non aspettava altro che di sor-
prendermi mentre mi crogiolavo nella mia distrazione.
Mamma non ha perso tempo a buttarmi addosso le
sue solite battutine. In teoria apprezzavo il sarcasmo del-
la mamma, ma quando si scendeva nel particolare avevo
dei grossi fastidi. Quellatteggiamento era lespressione
pi evidente della mancanza di stima nei miei confronti.
Io ormai ci ero abituato, anche se difficile abituarsi ad
una madre a cui fa male un rene e ti guarda come se ta-
vesse scambiato per un calcolo. Non era un atteggiamen-
to da donna che ti ha messo al mondo. Sempre che non
labbia fatto esattamente per divertirsi un po.
Non si era mai sforzata di controllarsi con me. Si di-
vertiva con le sue arguzie senza guardare la faccia che fa-
cevo. Lumorismo diventa pericoloso quando non si ha la
volont di allungarlo con dellaltro. Ogni capacit umana
deve avere un controllore interno che le ordini di non
prendersi tutte le libert che vuole, perch comunque ci
sono cose che si fanno e cose che non si fanno, ed inu-
tile persino obiettare qualcosa.
Mi ha chiesto se stavo cercando lavoro. Non lo aveva
ancora fatto. Mi stavo preoccupando. Per lennesima vol-
ta ero costretto a fare i miei discorsi. Facevo tanto a con-
fezionarli per non fargli prendere polvere, e poi dovevo
scartarli davanti a quegli occhi. Proprio una cosa che non
mi facilitava lesistenza. Sto scrivendo un libro, le ho ri-
sposto. Per lei scrivere era una perdita di tempo. Soprat-
tutto quando la penna ce laveva in mano uno come me.
Dal suo punto di vista poteva anche essere qualcosa di
:
peggio. Non ci sarebbe stato da meravigliarsi se mavesse
denunciato. Non avrei pi parlato alla mamma delle mie
passioni, dei sensi che stavo dando alla mia vita. Mi sarei
solo impegnato a portarla alla visita di controllo. Sarei sta-
to un vero professionista, anche perch se avessi dovuto
seguire il mio stato danimo lavrei lasciata a fare lauto-
stop su una pianta grassa. Sarei stato capace di non sen-
tirmi in colpa, nei confronti della pianta grassa.
Non mi faceva bene che la mamma si comportasse co-
s. I genitori non sanno mai quello che vogliono, mentre
si avvicinano alla morte. Forse hanno del rancore verso
chi ha avuto lintelligenza di decidersi a nascere dopo.
Mia madre non si era mai sacrificata troppo per la sua fa-
miglia. Non era stato un sacrificio per lei aver visto per
anni sulla mia faccia i colori delliride ad ogni frase che le
riusciva col punto. N aver fatto di pap il pupazzo pi
trascurato del vicinato. Lei sapeva essere sarcastica a lun-
go. Sembrava che lo facesse per dimostrarmi che si pote-
va fare, che lei a quellet ci riusciva benissimo, mentre io
non avevo speranza di poterla eguagliare. Io, che non sa-
pevo nemmeno di che cosa si stesse parlando.
Mia madre non faceva che analizzare i miei gesti per
trovarci qualcosa su cui basare la sua ironia raggrinzita.
Ero stanco di ripetermi che lo faceva per il mio bene, che
in quella maniera voleva solo svegliarmi. Anche se ti spa-
rano a bruciapelo mentre dormi riescono a svegliarti, ma
poi si rischia di non avere pi la possibilit di coesistere
per bene con il proprio sistema nervoso.
Quando siamo tornati a casa dalla visita di controllo
ero in ritardo. Renzo in teoria mi stava aspettando da
unora. Ma conoscendolo forse nemmeno aveva guardato
lorologio e vagava per casa senza aspettarsi di vedermi da-
,
vanti. Lui era fatto cos. In un certo senso era da proteg-
gere, o almeno da guidare da qualche parte. Io ero con-
vinto che dovevo fare qualcosa per lui, anche se non lo
avevo mai espresso. Ai suoi occhi ero solo un amico con
cui poteva trascorrere del tempo senza dare spiegazioni
imbarazzanti. E per il momento era la cosa migliore che
potesse pensare.
Sono entrato a casa con una certa violenza. Di questo
non si era accorto nessuno perch i miei genitori stavano
guardando qualcosa alla tv. Non capivo come riuscissero
ad avere quellattenzione ogni sera, allo stesso modo. In
televisione cera solo tutto quello che avrei voluto dimen-
ticare. Passando vicino al loro divano ho visto negli occhi
della mamma quello sguardo che lei aveva quando vede-
va vivere esistenze che non erano la sua immagine riflessa
in uno specchio. Era invadente anche con uno schermo di
struttura molto impersonale, con vecchi film che avevano
lillusione di non essere pi oggetto di occhi tanto cupi.
Sapevo che per il mio bene era preferibile arrivare nel-
la mia stanza il pi presto possibile. Appena ho raggiunto
la meta mi sono reso conto che avevo ragione. Stavo bene
l dentro, anche se fuori le serate erano abbastanza calde
da poter essere leccate senza congelarsi la lingua. Sentivo
per che non era pi quello il gusto che preferivo. Ero
cambiato. Crescendo avevo perso la voglia di mettermi in
gioco mentre il paesaggio dietro cambia di continuo. Non
cera pi bisogno che io avessi ancora tanto riguardo per
la conservazione di un rapporto decente con quello che si
muoveva intorno a me. Non ne vedevo pi il senso. Ed
ero ancora tanto giovane.
Certi pensieri mi avevano colpito. Cosa mi era succes-

so? Ho ricordato tutti gli slanci che mi avevano fatto toc-


care la vita. E questo nonostante tante cose che si erano
opposte. Perch non sentivo pi lesigenza di scherzare
con gli amici di un tempo? Perch non provavo piacere a
far parte di un gruppo che gridava e rideva? Eppure ave-
vo dellaffetto per tutte quelle persone. Non era meglio ri-
tornare come prima, invece di ripararmi in quella stanza?
Ormai ero convinto di altro. Quella del prossimo era la
vita pi semplice, quella per cui non cera bisogno di es-
sere nemmeno un uomo. Tanto valeva scegliersi la propria
razza preferita, e cercare di non rovinarle troppo la repu-
tazione. Ne ero sinistramente convinto.
Anche quella sera tutto si era svolto in modo da rin-
chiudermi in quelle che si davano laria di essere delle cer-
tezze. Non era stato piacevole per tanto tempo uscire
aspettando che qualcuno mi facesse capire che non sape-
va nulla di me. Nessuno si interessava a me. E se anche
fosse capitato avrebbero desistito dallandare fino in fon-
do inventando una scusa qualunque. Stava capitando
sempre pi di frequente. In genere le persone non amano
esplorare luoghi dove si pu battere la testa. Io chiedevo
solo che stessero un po attenti, ma non lo avevano sapu-
to mai fare. La gente aveva ben altro a cui pensare. Non
mi rimaneva che aspettare che tutto si aggiustasse da so-
lo. Dovevo essere pronto ad ogni segno di un mio ritor-
no, che in quel momento mi pareva insperato. Non avrei
fatto passi indietro solo per avere la possibilit a volte di
sdraiarmi. Tutto si stava decidendo. Adesso bisognava so-
lo fare un preventivo dei guai che avrei avuto.
Ho pensato a Veronica. Avevo cercato di non farlo, poi
gli altri pensieri mi hanno lasciato troppo spazio ed io
non ho potuto fare altro. Sarebbe mancata ancora per
,
molto: cinque giorni. Non ero abituato ad immaginarla
soltanto, la sua faccia. Per me quel tempo era un ostacolo
che avrei preferito meno ostico.
Tutto era iniziato senza che io ci capissi nulla. Non
avevo avuto il tempo di farla ridere che me ne ero inna-
morato. Anchio pensavo che fosse bello innamorarsi, pri-
ma che mi accadesse nelle maniere accettate dalla legge.
Perch dentro di me avevo avuto delle complicazioni. Lei
aveva azionato un meccanismo per me eccessivo. Non si
era accorta che stentavo a muovermi ad una velocit ap-
prezzabile davanti a momenti che prima avrei fagocitato
senza farmi il segno della croce. Avevo abbandonato cer-
te libert per farmi accarezzare da un carceriere che con
laltra mano si grattava. Lamore doveva essere qualcosa di
nobile e di raffinato. Chiss perch si era involuto in quel
modo proprio quando toccava a me.
Mamma e pap si trascinavano verso la morte, cercan-
do di non irritarsi troppo la pelle. Pap aveva qualcosa che
me lo faceva invidiare. Mamma laveva sposato pensando
che andando avanti con gli anni forse sarebbe stato diffi-
cile per lei mantenere le sue battute pronte. Sposando pa-
p si era riguardata. Avrei dovuto seguire il suo esempio,
anche se non ero daccordo su come gestisse i rapporti
con la prole. Se avessi avuto un figlio non lo avrei tratta-
to come lei trattava me. E se lo avessi fatto sarei stato ad-
dolorato di disgustare tanto la carne della mia carne. Non
doveva essere un bel pensiero detestare il frutto di tanti sa-
crifici, ed allungarne la lista con degli altri. A me pareva
che mamma lo facesse con troppa disinvoltura per non
sembrare sospetto. Era unabilit quasi dacrobata. Forse
era labitudine a farlo che laveva resa tanto brava.
Mentre pensavo a questo ho sentito bussare molto for-
o
te. Doveva essere pap. Gli ho detto di entrare quando era
gi arrivato vicino alla finestra dove mi trovavo. Aveva la-
ria di dovermi dire qualcosa, anche se io non avevo la-
spetto di uno che volesse sentirsi parlare addosso. Ma mio
padre non se ne sarebbe accorto da solo. Non aveva mai
pensato di scrutare i miei stati danimo per provare a
comportarsi in un modo che mi limitasse i danni. Non
doveva essere fra le sue competenze, e non si poneva il
problema se fosse importante o no. Nessuno sarebbe sta-
to mai capace di incolparlo decentemente per quello,
mettendolo con le spalle al muro. E forse lui non si sa-
rebbe prestato a continuare il pur minimo discorso a ri-
guardo.
Era venuto a fare il solito discorso. Ormai ero capace
di leggere tra le sue rughe. Non c stato bisogno che
mamma gli dicesse tutte le parole in ordine. Cerano dei
discorsi che pap aveva immagazzinato dentro. Bastava
programmarlo allorario che si desiderava. Avrei voluto
vedere mamma nei guai: pap non era pi sotto garanzia.
Ha cominciato il suo discorso sui miei hobby e sulle
carenze pratiche della mia vita. Avevo un padre per cui i
libri erano formati pi prolissi degli inserti dei giornali.
Ed i giornali erano solo un po meno noiosi. Pap sapeva
scrivere esclusivamente perch non aveva proprio potuto
dire di no. Era venuto al posto della mamma, troppo in-
daffarata a seguire qualcosa davanti allo schermo. Era
cambiata la vita delle persone da quando regolarmente
delle immagini potevano essere viste in posti che non gli
competevano. Non me lo immaginavo lAlfieri che segue
un telequiz.
Pap mi ha detto che mamma voleva il mio bene. Do-
vevo stare attento. Se gli avessi rivelato che non ci crede-
;
vo, che pensavo che mamma fosse unegoista avrebbe ini-
ziato a gridare, per poi andarsene e ringraziare che tutto
fosse finito. Lui doveva fare la sua parte, prima di incassa-
re nel suo divano preferito. Cerano di queste persone, in
giro. Si accontentano, non starebbero n con Dio n con
Satana in uneventuale resa dei conti. Si piazzerebbero da-
vanti allagone con la paura di essere vittima di qualche
scheggia. Poi, a fine gara, andrebbero dal vincitore per rac-
contargli le fasi salienti, e per dirgli dove gli era piaciuto
di pi. Mio padre era un esperto nel non fare delle scelte
che avrebbero potuto compromettere i suoi sbadigli.
Pap se n andato con tutta la pancia. Finch lavesse
avuta in lui nulla sarebbe cambiato. Quella carne esagera-
ta era il simbolo della sua storia, della sua condizione.
Aveva solo quella, e quel posto pagato bene. Ci sono del-
le persone che si trovano senza tanti orpelli a prendersi la
parte che basta a sopravvivere senza aver fatto duelli, co-
de, o strappi alla regola. Io ero figlio di uno di quelli. E se
avessi dovuto pagarlo? La vita era tipa da lavorarti ai fian-
chi senza venirtelo a dire mentre stai decidendo se mette-
re o no le mutande di lana. Non sarei riuscito a difender-
mi decentemente, improvvisando.
Sara mi trattava come un oggettino da spolverare. Era
carino da parte sua, imbarazzante ed inutile. Mi spolvera-
vo gi da me. Ho cominciato a parlare con lei del mio
scarso bisogno di comunicazione. Mi sono sentito ridico-
lo nel vederle gli occhi andare in orbite inusuali. Perch ci
sono le persone? Luomo non fatto per sopportare lin-
comprensione.
Sara ha cercato di commentare a modo suo le mie con-
fessioni. Non credeva che i miei minuti fossero di cemen-

to armato. Per lei uno parlava con le parole che usavo


quando la vita gli sorrideva. La vita di solito deride. E
quando ride tanto a te che fa male la testa. Come facevo
a non pensare che era unimmensa produzione di tracce
sbagliate? Il bersaglio grosso non viene nemmeno sfiorato.
Ho insistito col discorso che non avevo motivazioni
per parlare. Sara si sorpresa, come nelle previsioni. Non
avrebbe mai pensato che ci volessero dei motivi per co-
municare. Lei non lo faceva perch tante volte non ci ri-
usciva. Per uno a cui non riesce una cosa difficile pen-
sare che ad un altro venuta a nausea. Lho sorpresa. Nel-
la vita non si devono riempire le persone di traumi se le
vuoi vedere nei dintorni. I miei progetti mi avrebbero
portato a dover parlare da solo con la Natura. Ed avere
delle amicizie tanto altolocate sempre unarma a doppio
taglio.
Sara si aspettava altro da me. Non riusciva ad immagi-
nare che fossero quelli i miei reali pensieri. Forse si sor-
prendeva persino che mintrufolassi tanto in una vita che
non era la mia. Non poteva credere che io fossi capace di
non voler fare una cosa che mi riusciva tanto bene. Era
stata troppo presente alle prove che avevo dato. Poteva
darsi che lei si fosse legata a me proprio per questa possi-
bilit che avevo pi di lei. Non mi sarei sorpreso se dopo
un momento di sbandamento si fosse messa a correre per
le scale gridando che era stata ingannata e che stavano
abusando di lei. Era stata testimone oculare quando la
mia abilit mondana aveva preso il sopravvento. Solo,
non sapeva cosa ci dicevamo dietro le quinte. Era stato un
equivoco che non aveva voluto nessuno, ma che era stato
capace di fare molta strada. Le cose cambiavano ora che
era al corrente della mia scarsa soddisfazione.
,
Mi ha detto che aveva capito da tempo che non ero
contento della mia allegria in gruppo. E che avrebbe vo-
luto dirmelo, prima o poi. Qualcosa non andava. Avevo
sentito la sua voce, avevo visto i suoi occhi quando avevo
dato corpo a certe frasi, ed adesso sembrava che per lei
fosse la cosa pi naturale che non mi importasse nulla di
tutta quella gente. Sara mi nascondeva il suo vero pensie-
ro. Io non avevo fatto mai troppo per conoscerlo. Sarei
sopravvissuto. Le linee di devastazione erano altre. A lei
andava bene comunque. Quando va bene comunque non
va bene affatto. Almeno nel mondo che mi ero ritagliato.
Il prossimo sbagliava partendo da un eccesso e finendo in
un altro.
Sara mi aveva invitato a casa sua, ed io ci ero andato.
Il fatto che fosse molto ricca aveva alimentato la voglia di
vedere in che casa le era capitato di vivere. Ero curioso di
capire a cosa servissero tutte quelle stanze che non erano
la cucina, il salotto, il bagno, le due o tre camere da letto.
Non lavrei saputo, perch lingresso era adiacente ad una
grandissima stanza che stata lunico vano in cui sono ri-
uscito ad arrivare. Con quel tipo di ambiente sembrava
quasi che i ricchi volessero dimostrare che cosa erano ca-
paci di fare. Non doveva esserci un motivo in natura per
costruire una stanza che assomigliava allUniverso.
Sara ha deciso di andare a parlare in giardino. Lei lo
chiamava giardino. Io lo avrei chiamato senza problemi
foresta pluviale allargata. Chiss se non ci vivesse l qual-
che tipo di felino che non era mai stato avvistato. Forse s,
tra quelle montagne laggi. La differenza tra quello che
guadagnava mio padre e quello che guadagnava il suo do-
veva essere abissale. Suo padre poteva permettersi dei coc-
codrilli con dei denti doro, a casa mia il mio qualche lu-
:c
certola sui muri pi dimenticati. Un altro rettile pi gros-
so cera, ma non volevo approfondire. Non dovevo com-
portarmi in un certo modo solo perch non cera pap.
Eppoi riusciva ad essere assente anche quando tutti i suoi
chili mi circondavano.
Lunica cosa buona era che sicuramente Sara si sarebbe
sentita felice di passeggiare nel suo giardino con me. Si sa-
rebbe dimenticata della bugia che era stata costretta a di-
re. Con me sarebbe stata contenta anche di camminare su
dei pezzi di ferro arrugginito. Sembrava un sentimento
eterno. Eppure tutto sarebbe potuto cambiare se si fosse
accorta che non consideravo i nostri incontri fondamen-
tali per la mia sussistenza spirituale.
Per lei doveva essere molto poetico stare l con me. Mi
sentivo in colpa che invece io lo considerassi una tassa pa-
gata ingiustamente ad uno Stato ottuso. Non era quello il
ruolo per cui ero venuto al mondo. Non sopportavo di es-
sere un esaminatore mentre Sara si giocava il suo futuro
emotivo.
Quando me ne sono andato da quella casa mi sono re-
so conto che persino chi pensava di avermi capito come
nessuno mai in realt non aveva che frainteso parole, ge-
sti, ed anche certe mie presenze. In un certo senso nessu-
no mi stava aspettando. E senza poter trovare dei colpe-
voli. Era colpevole Sara che si riempiva di allucinazioni
per usarmi come appiglio generoso? Forse le avrei dovuto
portare i miei ringraziamenti per essersi abbagliata dal
versante opposto a quello usuale per gli altri, ma se avessi
dovuto tener conto della distanza le cose non erano mi-
gliorate di molto. Dovevo apprezzare che invece di tro-
varsi al Polo a farsi granite salate con gli altri era una per-
cussionista pallida in Congo? Mi sembrava la stessa usci-
::
ta di foto, anche se lei telefonava con apprensione mentre
gli altri sbagliavano persino a mandarmi le cartoline.
Era strano che non avessi incontrato nessuno della sua
famiglia. Da come mi aveva descritto le sensazioni della
sua infanzia poteva anche essere che fosse vissuta da sola
fin da quando era nata. Non aveva dovuto aspettare le do-
meniche pomeriggio per stare in sintonia con il malessere
delle cose. Me la immaginavo mentre aveva a che fare con
rintocchi di campane che stentavano a campare, con il
muoversi delle foglie, lo stormire degli alberi. Mi dimen-
ticavo che lei era pi piccola di me e che aveva passato la-
dolescenza con i Personal Computer. Il passato non sa-
rebbe pi ritornato, mentre il presente era cugino del fu-
turo, e si erano presi una casa in due.
Ho avuto unaltra fitta allanima. Nella condizione di
reduce da Sara. un male dello spirito essere un uomo.
ridicolo. Hai ben poco da fare. O si soffre, o ci si annoia.
Quando si gioisce si deve stare attenti che non suoni lal-
larme. Se fossi nato sedile di macchina avrei avuto dei ri-
vestimenti molto migliori di quelli che mi mettevo di so-
lito addosso.
Veronica era ritornata. Ci eravamo messi daccordo
che non ci saremmo sentiti, con telefonini o con altro, e
ci eravamo riusciti. Io ce lavevo a stento, il telefonino. In
assoluto ero contrario a tutto ci che era un diminutivo.
E comunque mi sembrava di cattivo gusto portarsi a spas-
so qualcosa. Si andava in direzione della comodit e della
comunicazione spicciola. Non sopportavo che il frutto
del progresso fosse un adolescente che steso in mare tele-
fonava a qualcuno per dirgli che lacqua era fantastica.
Veronica era il mio tallone dAchille, tanto per fare dei
::
riferimenti usuali e di cultura classica. Per lei stavo per-
dendo quel senso di sicurezza che ero riuscito ad invi-
schiare tra le mie maglie. Dalla parte di quella ragazza ero
attaccabile anche da un seguace di Gandhi. Questo mi
aveva tolto sicuramente dieci minuti buoni di sonno.
Non un granch detto cos, ma se succede ogni giorno
le cose si complicano.
Veronica abitava dallaltra parte del paese. Mentre gui-
davo il pensiero mi portava a lei, alla sua pelle e a tutta la
capacit che aveva di essere lobiettivo di ogni mio gesto
fattibile. Le macchine come la mia erano tante, tutte abi-
tate da persone che non conoscevo e che non facevano
niente per farmi venire la voglia. Ognuno faceva parte di
una categoria, di ognuno avrei saputo dire quasi tutto, a
sommi capi. Come in una cassetta della frutta di odierna
specializzazione ogni esemplare ricordava molto quello
precedente, quasi che ogni smussatura fosse riuscita alla
perfezione. Non era piacevole per me vagare tra quei ba-
rattoli con letichetta con i soliti ingredienti. Osservavo
vari gesti, e tutte le volte era facile immaginare da dove
fossero stati presi. Se avessero fatto un giro di scommesse
su cose di questo genere ci sarebbero state solo vincite
basse, ed avrebbero dovuto chiudere subito. Gli uomini
del mio tempo avevano perso tutto il loro grado di miste-
ro. Non avrei avuto difficolt a capire dove sarebbero an-
dati a finire. Uno ad uno.
Anche Veronica era come loro. Avrei dovuto chiedere
allamore come mai agiva senza dare delle adeguate ga-
ranzie. Era un comportamento che non condividevo. Ac-
cennava le cose, e poi lasciava che tutto marcisse. Non
esattamente la maniera pi giusta per darci la possibilit
di maturare. Se Veronica si fosse trovata in una di quelle
:,
macchine e non lavessi conosciuta non lavrei buttata
nella stessa pentola? E perch ero io a cuocere? Il senti-
mento tante volte non bada ai dati di fatto. Fa quello che
si sente di fare, come se poi non dovessimo pagare noi
linsensatezza delle sue azioni.
Veronica era salvaguardata. Se avesse rubato non sarei
riuscito mai a darle gli anni che le spettavano. Mi sarei
impegnato, per poi guardare male lavvocato dellaccusa.
Meno male che cose del genere non si venivano a sapere
in giro. Cosa avrei risposto a quelli che tante volte erano
stati accusati da me di incoerenza? Certo, loro non aveva-
no a che fare con lamore. Ritornando a casa non pensa-
vano a qualcuno per cui sarebbero stati capaci di ingoiare
la maniglia del garage.
Avevo quasi raggiunto casa di Veronica. Mancava un
isolato, e nemmeno quello pi difficile da percorrere. Mi
sentivo cos vicino alloggetto del mio desiderio che pote-
vo anche accontentarmi. La giornata era bella, cera il so-
le, faceva caldo. Tutto questo ha la sua importanza quan-
do la vita ti ha preso e ti ha adagiato con molta cura.
Quando invece hai dei pensieri che sembrano nuvoloni ti
d fastidio che la Natura stia facendo festa con tutte quel-
le spese. NellOttocento erano degli esperti, in certe cose.
I Romantici cercavano nel mondo circostante similitudi-
ni con il loro umore. La Natura piangeva, loro piangeva-
no, il pi era fatto. Dove vivevo io non pioveva mai, quin-
di i miei occhi non avrebbero dovuto mai conoscere quel-
lumidit a goccioline che dava il via ad una serie di con-
seguenze poco gaudenti. Non era difficile se si era allegri
assomigliare alla nostra cara matrigna. Chiss come sareb-
be stato per me vivere nella prima met dellOttocento,
tra concetti accalorati come Patria, Religione. Avrei in-
:
dossato camicie bianche larghe sporche di sangue, ululan-
do alla luna in mezzo alla campagna, felice di non dover
cercare un bagno se mi scappava.
Ormai ero a pochi metri da Veronica. Lavrei abbrac-
ciata sentendone il calore del corpo e volendone ancora.
Sarebbe successo, e nessuno mavrebbe fatto pagare la dif-
ferenza. Invece tra me e quella ricongiunzione si voluta
mettere la morte. Io quel cane non lavevo visto.
Ho sentito una forte botta al paraurti. Mi sono ferma-
to distinto non riuscendo a capire bene cosa fosse succes-
so, ma sicuro che da l a poco mi sarei reso conto. Sono
uscito dalla macchina con la sensazione che lunico mio
obbligo fosse quello di avvicinarmi a Veronica. Poi lho vi-
sto. Avevo ucciso un piccolo cane. Era l, senza vita. In-
dossava dei colori gi visti e rivisti, ma non aveva pi
nientaltro. Era stato colpito alla testa perch del sangue
rigava vicino ad un orecchio. Non sapevo esattamente co-
sa fare. Da dietro qualcuno ha imprecato. A me non im-
portava. Io ero confuso. Quel corpo morto l era un di
pi. Non lavevo sognato, non lavevo immaginato. Era
qualcosa che mi avevano regalato senza che io avessi chie-
sto nulla. Non sarebbe dovuto essere cos. In quel mo-
mento amavo meno Veronica. Quando me ne sono reso
conto mi parso strano che il mio sentimento fosse lega-
to al numero degli animali che lasciavo in vita.
Ho pensato agli animali uccisi per strada. Le strade
dasfalto infestate di macchine non sono rilevate dal loro
istinto. Muoiono senza capire realmente che cosa stia suc-
cedendo. Un riccio vede del nero ruvido ad un tratto.
Lha visto altre volte, altre volte ci salito sopra. Lha per-
corso per un certo tratto, vedendo in lontananza delle lu-
ci, come lucciole che abbiano voluto fare le cose in gran-
:,
de. Poi ha sentito del vento dietro le spalle. Io non ce
lho col progresso, anche se non gli passerei la borraccia
sullultima salita.
Ho ripreso il posto in macchina. Ostacolavo il traffico.
Altri, dei pedoni, hanno spostato il corpo verso il marcia-
piede per far riprendere tutto come prima, con la diffe-
renza dellesistenza di un cadavere in pi di cui io dovevo
sapere qualcosa. Ho fatto fatica ad accendere la macchina
tentando di dimenticare e a dirigermi con entusiasmo
verso Veronica. Mi ritornava in mente il momento in cui
avevo sentito la botta, il momento in cui era morto. Ri-
petevo a me stesso che non era stata colpa mia, ma sem-
brava che questo non volesse significare nulla per me.
Avevano voluto farmi trovare in quel luogo per mettere fi-
ne a quella vita, ed io non ero stato in grado di evitarlo.
Sarebbe bastata qualche difficolt in pi nellaccendere la
macchina per evitare quellurto letale.
Veronica non mi aspettava sulla porta di casa. Eppure
ero convinto che lo avesse fatto fino a pochi istanti prima.
Stavo quasi per offendermi. Doveva essere in casa a ripo-
sare. Era una normalit sacrosanta, dopo un viaggio. Do-
vevo vederla assolutamente. Era un modo egoistico per af-
frontare la situazione, ma ero convinto che chiunque si
sarebbe comportato cos. Avevo bisogno di parlare con
lei. Ero sicuro che non avrebbe tardato a chiedermi che
cosa avessi, ed io non avrei tardato a dirglielo. Tutto si sa-
rebbe svolto molto velocemente, ed il cane non avrebbe
saputo niente.
andata a finire che mi sono incontrato con lei. Vero-
nica si accorta subito che qualcosa non andava. Eppure
sono riuscito a non cominciare con le mie lamentele sui
criteri che il destino usava per eliminare i cani randagi.
:o
Mischiavo limmagine di quel corpo affranto con quella di
Veronica. Sarebbe stato meglio se non mi fossi messo ad
inventare strani cocktail che mi davano alla testa. Gi lei
era un liquore ad alta gradazione che non sapevo reggere.
Forse era proprio in questo accumulare e confondere che
si trovava e prosperava il malessere che mi dipingeva le
guance di quel colore discutibile. Avevo sempre avuto
limpressione di essere in grado di affrontare i piccoli ed i
grandi disagi solo quando erano distinti tra di loro.
Veronica mi ha detto che il viaggio era stato faticoso.
Non si fermata a quellaspetto ed ha cominciato con tut-
ti gli altri dettagli. Non ero troppo presente. Volevo ritor-
nare dal cane per fare qualcosa. Mi sentivo male a pensa-
re a quel corpo tra asfalto, tubi di scarico e concetti sba-
gliati. Guardato da signore in pelliccia operate di ernia
per i loro chili di trucco, da bambini che si compravano
una merendina ad ogni filtro del fegato. Non ero certo di
quello che avrei fatto, ritornato in quel posto. Magari sa-
rei riuscito per la seconda volta a bloccare il traffico. Avrei
aspettato che me lo facessero notare prendendosela con
mia madre. Almeno mi sarebbe servita concretamente.
Qualcosa avrei fatto. Era lunico modo per calmarmi.
Avevo bisogno di passare del tempo con il pensiero di
quella mia vittima. Non dovevo dimenticarmi della mor-
te. Dovevo muovermi, non lasciare che qualcosa fosse
morta come si scalcia un sasso. Senza un pensiero che du-
rasse quel poco.
Renzo mi ha invitato a guardare in un terrario. Mi co-
stringeva a devastare la privacy di una mosca prigioniera.
Gli ho detto che non poteva fare una cosa del genere, che
questo dimostrava che non era molto legato a quellinset-
:;
to. Cera stato bisogno che mi trovassi con lui. Renzo do-
veva essere salvaguardato, protetto. Alla prima alzata di
voce avrebbe rinnegato tutto il suo passato, quella mosca,
dei gesti che solo l dentro non avevano nulla da temere.
Con aria soddisfatta mi ha detto che quella mosca gli do-
veva molto. In assoluto non sarebbe dovuto essere un
granch per nessuno. La mosca aveva sempre avuto un
ruolo poco prestigioso nella storia degli uomini. Renzo
credeva di avere in mano lintero Universo. In realt non
aveva neppure in mano un pugno di mosche, visto che ne
aveva solo una, e nemmeno in mano.
Per i miei amici era strano che perdessi il mio tempo
con un tipo del genere. Io non ero mai stato daccordo. Il
valore di quellamicizia doveva essere misurata con parti-
colari attrezzature. Normalmente sarebbe apparsa una
stupidit, per quanto celestiale. Tanto per dare prova di
questo ha cominciato a parlare di libert vincolata e li-
bert assoluta in riferimento alla mosca. Lo ha fatto fis-
sandomi con un certo sguardo di sfida. Era convinto che
sarebbe potuto arrivare fino in fondo. Da dove aveva pre-
so un discorso tanto lineare? Peccato che avesse la voce
sgraziata. I concetti di libert assoluta e di libert vincola-
ta doveva averli sentiti da qualche parte, e da persone con
una certa personalit. Non me lo aspettavo, da Renzo. E
si sa che limprevisto non ha molti amici in giro.
Renzo voleva giocare con i suoi paradossi. Era conten-
to di potermi tenere testa in quei termini. Avevo bisogno
di parlarci. Avevo limpressione che fosse una di quelle co-
se di cui non si poteva fare a meno. Mi irritava un po che
potesse succedere solo con lui. Avrei voluto variare, o al-
meno averne la possibilit. Renzo non lo avrebbe saputo.
Non erano le cose che riusciva a capire. Mentre parlava-
:
mo del suo futuro quella mosca si puliva la testa. Ogni es-
sere vivente ha le sue voglie. Ed incosciente di quello che
veramente sta rischiando. Avrei voluto che Renzo tenesse
pi conto delle esigenze dellinsetto. Aveva provato degli
esperimenti con il comportamento di quellanimaletto
senza conti in banca. Il mio amico aveva fatto tutto con
molto amore, ma la mosca non sarebbe mai entrata in
quel buco stretto e buio, perch avrebbe voluto dire che
met dellUmanit doveva stare attenta a certi insetti
quando vagava senza mutande. Quei cunicoli non sareb-
bero stati mai esplorati. Ero sicuro che Renzo sarebbe sta-
to capace di tentarlo pi volte, nascondendo le sue voglie
capricciose sotto vari nomi, e tutti di un certo prestigio.
Avevo sentito dire da qualche parte che si erano fatti pi
danni nel tentativo di fare del bene che il contrario. Era
poco giusto che se ne dovesse accorgere anche una mosca.
Cosa centrava lei, in fin dei conti? Le vittime che non
hanno rapporti diretti con i propri carnefici hanno una
purezza che si mantiene nel tempo. Anche la mosca vole-
va mantenersi nel tempo.
Veronica mi mancava. Eppure lavevo vista la sera pri-
ma. Non ero contento di quello che mi accadeva? Lei non
sarebbe mai riuscita ad arrivare dove arrivava la mosca.
Eppure la donna ha il suo mistero. O la nostra resisten-
za che non ha dignit.
Mentre Renzo parlava mi sentivo stanco. Alla mia et
era giusto stancarsi di tutto quello che succedeva, identi-
co, sempre identico. Una palla di piombo si avviciner
sempre al centro della Terra, se la si lascia cadere. Non ci
si pu sorprendere per nulla, e se succede solo perch
non si sa che pu essere naturale. Avevo fin troppi anni
davanti. Dare tanto spazio a pensieri che si divincolavano
:,
come se avessero tutti i diritti di questa porzione di seco-
lo non aveva mai portato ad una digestione rilassante o a
prendere sonno. Io non avevo molte certezze che potessi
presentare in giro. E far vedere le proprie credenziali era
fondamentale. Le cose su questo mondo sono fin troppo
facili da capire. Il difficile accettare una tale semplicit,
il desiderare ancora che si sia tutti adesivi su pareti di un
colore scontato.
La cucina si trovava isolata rispetto al resto della casa.
Sembrava pi in l, pi in basso, pi qualsiasi cosa. Non
era latteggiamento di Renzo che rendeva quellambiente
simile ad un piccolo miracolo di normalit. Si muoveva
quasi accaldato. Forse le mattonelle avevano delle qualit
nascoste che tendevano a calori acerrimi e ben dissimula-
ti. Mentre parlavamo il suo piccolo gatto si intrufolato
tra le mie gambe. Al mio amico non importava molto.
Forse ne aveva anche abbastanza di quel felino. Per me in-
vece la dolcezza di quel piccolo essere mi ripagava del disa-
gio di altri momenti che non erano riusciti a darmi molto.
Quel gattino si accarezzava alle mie caviglie con una con-
tentezza che sentivo di condividere. Renzo era persino un
po turbato da quello che stava accadendo, perch si era ac-
corto altre volte che non ci voleva molto per farmi distrar-
re da quello che diceva. Avevo persino paura che andato-
mene facesse violenza a quel bel micio, ma se il gatto si fos-
se messo a fare quello che stava facendo a me anche al suo
padrone non gli sarebbe successo mai niente. Anzi, qual-
cuno avrebbe lasciato perdere le mosche.
La cucina di Renzo non aveva niente di speciale. Ave-
va i componenti ai posti che ognuno si sarebbe aspettato.
Non era l che avrei scoperto uno sbaglio di natura, il
punto morto del mondo, lanello che non tiene, il filo da
:c
disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una ve-
rit. Me lo ricordavo a memoria. Non sarei riuscito a ri-
solvere le preoccupazioni di Montale mentre passavo del
tempo con qualcuno a cui dovevo ancora dire tante cose.
Ma quei versi ritornavano in mente molte volte durante
la giornata.
Renzo dava spazio a discorsi seri. I suoi occhi erano
impegnati a sembrare pregni di convinzione. Ecco la dif-
ferenza tra me e lui: la sua testa era un mare di un azzur-
ro che sembrava finto, con qualche barchetta che aveva
dei fori sospetti. La mia una regata di cui non ci sarebbe
stato il vincitore. Dai discorsi che faceva mi sono convin-
to che era salvo per una mosca. Sembrava quasi un modo
di dire. Avevo un amico che avrebbe dovuto mettersi in
ginocchio davanti ad un sacco di animali. Eppure la sua
disperazione particolare spiccava in mezzo a tante sterili
sofferenze.
Non era carino pensare ad altro mentre Renzo si im-
pegnava per me. Ma a certi pensieri non si pu dire di no.
Pensavo a cosa significasse la vita che stavano portando
tanto per le lunghe. Riuscire a vivere non significava che
cercare di dimenticare qualcosa. Renzo non aveva certi
problemi. Da come diceva le cose sembrava che pensasse
di aver gi capito tutto. Doveva solo mettere qualche risa-
tina qua e l, qualche fiore, in modo che non si venisse a
dire che non avesse gusto. A me non sarebbe bastato.
Dopo gli ultimi sviluppi Renzo ha ripreso i discorsi
della tradizione, come il suo lavoro col padre. Il lavoro per
Adamo la punizione divina. Dio non lavora, crea. An-
chio avrei voluto avere solo certe possibilit e non altre.
Ero come quegli aristocratici che in passato avevano di-
sdegnato il lavoro. Loro avevano potuto permetterselo.
::
Era questo che in fondo non sopportavo. Che altri potes-
sero permetterselo, ed io no. Qualcuno avrebbe potuto
obiettare che era nella normalit. Altro gran brutto mo-
mento per il mio autocontrollo.
Renzo aveva fatto bene a ricordarsi di me. Come ri-
cordo non ero stato mai un granch, ma ero abbastanza
interessato allincontro della sua associazione ecologica.
Che comunque per me non aveva senso se non in rela-
zione a lui. Il fatto che il mio amico fosse venuto a casa
mia a piedi ed avesse voluto raggiungere il posto della ri-
unione in quel modo era un tantino forzato. Se fossimo
dovuti andare ad una riunione di unassociazione per zop-
pi diabetici Renzo mi ci avrebbe fatto mettere uneternit
per arrivarci, senza offrirmi nemmeno un gelato. Speravo
che la scelta pacchiana del mio amico non avesse una sua
continuazione naturale nelle parole che si sarebbero det-
te, o negli atteggiamenti che si sarebbero avuti.
Per tutto il tragitto il mio amico mi ha parlato in ma-
niera entusiasta di quel gruppo che aveva visto formarsi e
di cui era uno dei pi assidui. Non mi ha fatto dire nem-
meno una parola. In un certo senso andava bene cos. Mi
ha fatto sapere che erano delle persone molto impegnate
per la difesa dellambiente. Questo non voleva dire nulla.
Certo, non tutto quello che poteva sembrare. Ci sono
tante persone che amano sentirsi occupate. Mai fidarsi di
chi si sacrifica senza tante spiegazioni.
Avevo paura che tutto sarebbe andato a finire nelle ca-
tegorie proprie di Renzo. Uno che non riusciva a vivere
senza adempiere ai doveri stabiliti. Per Renzo gli interessi
materiali dovevano far parte della vita di chiunque, e do-
vevano avere uno spazio che non poteva essere a discre-
::
zione. Se qualcosa gli avesse permesso di volare lui non
avrebbe mai acconsentito durante lorario di lavoro ed
avrebbe fatto saltare tutto. Per me invece ci che era bel-
lo aveva precedenza sul resto, senza discussioni. Era com-
plicato farlo capire a chi non aveva un senso estetico for-
temente evidenziato. Forse il mio amico non si stimava
molto per le sue stranezze. Forse non le considerava nem-
meno tali. Se lo avesse fatto non ci sarebbero state. Se lo
avesse fatto avrebbe pensato che cera leventualit di ri-
manere solo, isolato mentre i suoi simili sparlavano di lui
a turno. Non vedeva le cose come le vedevo io. Non ave-
va mai saputo farlo. Certe volte si era anche impegnato,
ma invano. Allinizio mi anche dispiaciuto. Poi ho capi-
to che ci potevamo aggiustare in unaltra maniera.
Siamo arrivati vicino ad un palazzo a pi piani. Renzo
mi guardava come se il fatto che fosse alto potesse basta-
re. Siamo saliti da certe scale un po scure. Non capivo da
dove provenisse quello strano colore, ma non ho cercato
di andare pi addentro nella questione. Ero gi troppo
impegnato con quella fatica inaspettata. Il mio amico fa-
ceva vedere in maniera quasi imbarazzante quanto ci te-
nesse a quello che stava per fare. Aveva tutta lurgenza di
chi non poteva fare a meno di quellincontro. Nel corso
della mia vita avevo capito quanto fosse pericoloso legar-
si al frutto della volont di altri. Era talvolta inevitabile,
ma se luomo avesse imparato ad essere indipendente
avrebbe gustato un po meglio quello che lesistenza sape-
va offrire.
Ha aperto la porta, ma non cera nessuno. Un classico
di chi tiene molto ad un appuntamento. Ho sperato di
non dover aspettare cos tanto da annoiarmi prima anco-
ra di sentir parlare qualcuno. Forse Renzo aveva sbagliato
:,
a portarmi l. Si era fatto prendere da certi luoghi comu-
ni, come il fatto che ad un amico bisognava presentare le
cose belle che si erano trovate in giro. Per una mia conve-
nienza si sarebbe dovuto essere pi egoisti. Era proprio
nel mio stile essere vittima dei buoni propositi altrui.
Ci siamo seduti. Le sedie erano tutte allineate, e di-
sponibili. Ho cercato di guardarmi intorno per farmi col-
pire da qualche oggetto in particolare, ma non ci sono ri-
uscito. passato un quarto dora prima che arrivasse
qualcuno: una ragazza bionda con degli occhi molto
grandi. Ha guardato dalla nostra parte salutando solo
Renzo. Sono rimasto un po male per quella che era una
cosa normalissima. Il suo viso aveva qualcosa di familiare.
Il mio amico era molto teso, e non capivo se succedeva
perch voleva fare bella figura davanti a me. Se si trovava
in quelle condizioni per quello aveva trovato il modo pi
sbagliato per passare il tempo. Non ero andato a quel ri-
trovo per analizzare le conquiste sociali del mio amico.
Com cominciata cos finita. Alla fine di tutto mi
sono sentito molto alleggerito. Avevano parlato di una se-
rie di iniziative che dovevano essere intraprese, e molte di
quelle mi parevano stupidi capricci. Non ho detto nulla a
Renzo, che intanto discuteva con Alberto, il responsabile
di tutto quello che avevo ascoltato. Questo Alberto parla-
va troppo pulito. Era come se volesse dare continuamen-
te limpressione che sarebbe stato troppo bello se fosse sta-
to vero. Per il mio amico era una specie di angelo caduto
dal cielo. Da come parlava dal cielo doveva essere stato al-
lontanato. L sopra non erano tutti santi.
Dovevo aspettarmelo, da Renzo. Aveva sempre soffer-
to di retorica. Alberto ne era un malato terminale, anche
se portatore sano. Cera poco da combattere per lui. Il
:
mio amico non se ne sarebbe reso conto. Non che non ri-
uscisse a capire. Era che capiva in quel modo. Ne ero con-
vinto, anche se non potevo pretendere che gli altri si alli-
neassero a me. Le spese sarebbero state eccessive. E non
volevo che mi si rinfacciasse nulla. Avevano parlato di Na-
tura, di quello che cera da fare. Io pensavo che tutto quel-
lo che dicevano fosse giusto, ma aveva del romanticismo
troppo spropositato per farmi addormentare allora che
avrei desiderato. Mi venuto in mente che sarei potuto
stare in quel momento con Veronica invece di farmi pas-
sare davanti agli occhi delle frasi con dei difetti di produ-
zione. Veronica non era del tutto esente da certe cose, ma
aveva dei privilegi nei confronti degli altri che io avevo
tutta lintenzione di far valere. Con lei cera lamore che
mi teneva buono ed accecato. In confronto a lei qualsiasi
uomo ne valeva un altro. Lei era la morte e la vita, che
non si rincorrevano per pigrizia.
Anche Veronica non sapeva con chi aveva a che fare.
Non cera pericolo che lo sapesse da me, se fino a quel
punto non ero riuscito a farglielo capire. La comunica-
zione che cera tra noi era stata ostacolata dal forte senti-
mento che avevo nei suoi confronti. Il troppo amore co-
me la pressione alta: crea una serie di complicazioni.
Dopo io e Renzo abbiamo parlato di Alberto. Cera un
po di strada da fare, e sarebbe stato difficile non far ca-
dere il discorso proprio su di lui. Ho deluso Renzo. Sono
bastate poche battute. Renzo se n andato, lasciandomi
solo, con la scusa che doveva fermarsi da una sua zia. Ave-
va deciso per Alberto e per il suo prospetto meno incro-
stato. Senza pensarci neanche troppo. Potevo aspettarme-
lo da lui. Eppure, per quanto fosse molto prevedibile,
nulla di lui mi lasciava del tutto indifferente. Non era una
:,
cosa molto comoda. Avrei potuto fare qualcosa per porta-
re Renzo dalla mia parte. Inventare un detersivo per puli-
re mari e fiumi. Ma non avevo tempo per progetti troppo
prolungati. Cerano altre persone nella mia vita, ed altre
situazioni. Non intendevo andare dietro alla sua momen-
tanea esaltazione. Era un cancro allemozione. Aveva i
giorni contati. E contati male.
Quella sera pap era particolarmente silenzioso.
Quando parlava di solito non dispensava frasi memorabi-
li. Andava e veniva dallo stesso tracciato confondendo le
tracce. Quella sua parlantina che non arrivava da nessuna
parte dava a mamma meno possibilit di parlare. Lei non
avrebbe mai rischiato di sovrapporre la sua voce a quella
di suo marito. Pap ne era al corrente. Da lui avrei potu-
to imparare benissimo larte della sottomissione, dellac-
cettazione. Se lo faceva pap doveva essere fattibile anche
in situazioni estreme come le mie. Mi rendevo conto che
non ero abituato ad indagare i meccanismi che avevano
portato qualcuno ad essere in un certo modo. Lo capivo
dai miei secchi giudizi sui miei genitori. Questa mia igno-
ranza mi rendeva propenso al disagio, allinconsistente e
stravagante tentativo di dimenticare quello che era avve-
nuto, e tutti i motivi che avevano portato le cose ad ave-
re certi ghigni e non altri.
Stranamente la tv era spenta. Da molto non cenavo
senza che persone virtuali mettessero qualche parola nel
mio piatto. Ero cresciuto con una voce in sottofondo che
tenta disperatamente di fare la propria parte. E con degli
alleati come i miei genitori non sarebbe stato difficile in
nessuna circostanza. Mamma aveva quasi la testa nel piat-
to. Mi ha guardato spesso. Si apprestava ad un nuovo at-
:o
tacco. Ne ero pi convinto che del fatto che quello che
stavo mangiando fosse un pollo. E per una cosa e laltra
era sempre colpa o merito di mamma. Pap amava man-
giare. Se non avesse amato i bisogni primari sarebbe stato
molto difficile per lui occupare il tempo senza maledire
qualcosa. Lo guardavo. Mi faceva un buon effetto osser-
vare della gente che non complicava le cose mentre se la
passava tanto bene.
Mamma mi ha detto che voleva parlarmi. Pap si im-
pegnava a dare spessore alla sua pancia. Involontariamen-
te voleva dimostrare che non aveva raggiunto ancora li-
velli per lui adeguati. Aveva pochi discorsi in testa, e me-
no ancora ne voleva fare, ancora di meno a me, ancora di
meno davanti a sua moglie. Non si sarebbe fatto convin-
cere da nessuno che non fosse la tattica giusta. Forse ave-
va ragione. A cosa sarebbe servito chiudere un buco in un
colabrodo con cui si era esagerato con gli spifferi?
Mia madre mavrebbe detto che dovevo pensare a si-
stemarmi. Lunico discorso che le avevo sempre sentito fa-
re. Che mi aveva rivoltato tante volte dentro da non far-
mi comprendere pi di quale ordine io facessi parte.
Mamma sapeva ripeterlo mettendo qualcosa di suo senza
modificarne molto il sapore. In mia presenza realizzava
solo discorsi pratici, satirici, ironici, duri. Il futuro ma-
vrebbe spolpato, per lei. Anche per me, ma non era que-
sto limportante. Sarei stato ucciso come il martire del ve-
ro e dellarte. Sarei morto. Ma per le persone si deve mo-
rire solo per legittima difesa. Sarei voluto essere un eroe
dove gli eroi venivano cantati in cerimonie prolungate. Lo
spirito unaggiunta che riesce anche a non dare fastidio,
quando non rumoreggia. E se fa il bravo pu raggiungere
anche qualcosa di pi.
:;
Mamma si alzata e ha portato in cucina solo alcuni
piatti. Era un modo come un altro per darmi il tempo di
cambiare atteggiamento. Per lei io non avevo speranze di
fare una vita dignitosa se avessi seguito i miei modi fino
in fondo. Lei voleva che li portassi avanti fino ad un cer-
to punto, per poi silenziosamente tornare indietro e la-
sciarli perdere nel bosco. A lei non interessava nulla di lo-
ro. Io ci ero affezionato perch me ne potevo affezionare.
Cos cercavo di dare un certo ordine ai meccanismi del
mio spirito. Tutto era logico, sacro. Il sacro non faceva pi
parte di un secolo che non si era venduto del tutto solo
perch non aveva imparato bene a farlo. Ma io non ero
come lui. Non lo ero mai stato.
Mamma ritornata. Ha detto che mi voleva come ero
da piccolo. Non era colpa mia se non avevo pi creduto
alle parole che sentivo in giro. Non vedeva che avevo lo
stesso suo colore di capelli? Non le ricordava che in par-
tenza mi ero avvolto con la sua placenta senza fare lo
schizzinoso?
Avevo una mamma che vedeva la pagliuzza nel mio oc-
chio avendone una identica, e che non si fermava solo a
quello, ma riusciva a scorgere anche una scheggia di
proiettile dietro le mie costole. Avevo sempre avuto il so-
spetto che fosse poco evangelica. Non era possibile che un
libro che ancora si faceva leggere avesse qualcosa in co-
mune con una donna che tentava di infortunare il figlio
con parole e giudizi affrettati. Mi rivoleva ubbidiente e
scemo. Pronto ad essere contento per ogni idea uscita dal-
la sua cucina.
Lei aveva dei pregiudizi riguardo alle persone come
me. Mavrebbe descritto in una maniera orrenda ad un
cacciatore di mostri, accentuando i miei piccoli difetti di
:
pelle. Come se lo avesse fatto un produttore mentre par-
lava col consumatore. Qualcosa non andava per il verso
giusto.
Ero costretto a trovarmi un modo per guadagnare, al-
trimenti mamma si sarebbe messa a scrivere i testi dei
miei discorsi, e, visto la sua ironia, non ci avrebbe messo
molto a mettermi nei guai. Tutto si sarebbe sistemato, se
gli altri avessero capito limportanza della mia missione.
Era una missione trovarsi contro quello che mi circonda-
va per venerare il bello. Non c pi nulla che sia una mis-
sione. Le missioni fanno guadagnare poco. Ci sono solo
belle parole.
Ho risposto che sarei andato a cercarmi un lavoro, ma
mia madre aveva deciso di concentrarsi esclusivamente sul
sarcasmo. Era una scelta come unaltra, ma questo non
avrebbe comportato nulla di buono, soprattutto per me.
Dopo Renzo anche mamma aveva molto da ridire sullor-
dine che accuratamente cercavo di far trionfare tra le mie
cose. Pap era troppo impegnato a pulirsi dal sugo. Tutti
questi eventi tanto similari dovevano farmi capire qualco-
sa? Se s, potevano anche essere meno codardi, ed affron-
tarmi uno alla volta. Si vedeva che non erano dei veri uo-
mini.
Non ho resistito. Sono uscito come mi trovavo. La se-
rata era bella e serena, ideale per avere delle idee impe-
gnative da dimenticare. Mi dispiaceva moltissimo che in
famiglia non riuscissi a comunicare, e mi dispiaceva an-
cora di pi che non fosse per colpa mia. Mamma non mi
avrebbe mai stimato, almeno da vivo. Io non ero pi in
grado di aspettarmi tanto, eppure dentro di me cera sem-
pre la speranza che qualcosa cambiasse. Non perch laf-
fetto che provavo per loro mi costringesse a sperare in una
:,
situazione del genere. Solo, per avere ancora qualche atti-
mo leggero, come quando mi compravano il gelato per te-
nermi buono. Non esisteva nel mondo solo mamma che
avrebbe cercato di spettinarmi dentro. Dentro ero calvo.
Non era giusto che mi consumasse tutto lei.
Ho attraversato a piedi gran parte del mio paese. Era-
vamo ormai a pochi giorni dallesplosione dellestate e la
gente sembrava soltanto accennare i sorrisi per giungere
meno stanca ai giorni di baldoria. Tutti quei vestiti freschi
femminili mi ricordavano la bellezza di corpi che avevano
fin troppa importanza. Delle adolescenti sono passate in
ciclomotore con dei visi decisi e rigidi. Erano molto bel-
le, ma non era esattamente quello il modo migliore per
dare il loro contributo alla festa della Natura. A me face-
vano paura. La bellezza andava a schierarsi dalla parte
sbagliata. La bellezza era fin troppo frivola. Aveva un po-
tere straordinario su tutto, ma era portata a farsi abbin-
dolare con molta pace di chi sperava di trovarsela in grem-
bo per osservarsi beneficiario delle sue effusioni.
Non sapevo dove dirigermi. A Veronica avevo detto
che sarei andato a casa sua tra unora, mentre presentarmi
dal mio gruppo di amici non era nemmeno uno dei miei
desideri pi remoti. Cos ho deciso di sedermi ad una se-
dia di un bar ad aspettare lora in cui avrei potuto ab-
bracciarla. Quello rimaneva un pensiero fisso, certo, in-
toccabile. Non era un bene dare tutto quel potere a Vero-
nica, nelle cui mani mi sembrava eccessivo anche appog-
giare un paio di forbici. Mi risultava molto pericoloso
mettermi a fare la parte di quello che basava la sua vita su
mobilit tanto tragiche come le donne. Ma Veronica era
la cosa pi importante tra quelle che in un certo senso
erano in prestito. Questo nel momento di una perdita
,c
non mi avrebbe consolato del tutto. Col passare del tem-
po le cose sarebbero cambiate. Dentro di me qualcosa
continuava a ripetermi che prima o poi avrei dovuto re-
stituire tutto.
Mi sono seduto per riposare. A pochi metri cera un
gruppo di giovani che si dividevano tra il leccare gelati ed
il bere Coca Cola. Mi capitato di ascoltare qualche di-
scorso, tanto per avere qualcosa a cui pensare che non fos-
se la lingua a canne mozze di mamma. Chiunque avessi
ascoltato non si sarebbe mai accorto di questa mia strana
attenzione, e comunque a me sembrava che a loro impor-
tasse farsi sentire il pi lontano possibile. Ce nerano al-
cuni che con i loro modi di pronunciare le parole davano
limpressione di voler divulgare la loro novella.
Hanno cominciato come mi aspettavo. Tutti noi cosi
di carne eravamo condannati ad interessarci delle stesse
cose. Donne, denaro, contrasti nei rapporti. In un giro
completo, appena allinizio. Nascita, morte. Ma poi tan-
to importante dare il nostro contributo quando ce lo
chiedono? Perch non rimanere seduti? Ammuffire a gara
con le piante? Non serio mettersi a spintonare in una
folla che ha un campionario di facce flaccido e stentato.
Pi sentivo parlare pi mi passava la voglia. Ero pi un
misogino o pi un misantropo? Di sicuro le mie emozio-
ni non erano invidiabili quando nei dintorni cera qual-
che altro umano oltre a me.
Quei ragazzi abusavano dei discorsi. Ne facevano in
continuazione. Stupidaggini che avevano tutta la possibi-
lit di entrare in testa. I ragazzi hanno ben poco con cui
passare il tempo. Sono interscambiabili tra loro. Uno pu
dire la parte dellaltro, laltro quella dellaltro ancora, lal-
tro ancora pu anche stare zitto. Non avevo mai soppor-
,:
tato la giovinezza. Ama subito, improvvisamente, ha
unimpulsivit che non la scompone perch la forma. La
giovinezza non affidabile nemmeno quando sana.
Quando sana vera giovinezza. Quindi non ancora
nulla di decente.
Veronica ha preso la mia mano per tenersela stretta.
Lavevo riempita di dolcezza come le altre volte e alla fine
aveva ceduto. Per rovinare un po il momento mi ha chie-
sto perch non avevo la macchina. Le ho detto che non
era importante, che limportante era stare insieme. Non
mi sembrata molto convinta. In effetti potevamo stare
insieme anche seduti su un sedile ciascuno. Non volevo
che Veronica sapesse che avevo litigato con mamma. Po-
chi giorni prima mi aveva fatto notare che eventi del ge-
nere avvenivano troppo di frequente nella mia vita. Se le
avessi detto cosa era successo avrei avuto come compagni
di serata due occhi che avrebbero scrutato il mio com-
portamento per trovarci il segreto di tutto. Non era il mo-
do migliore per passare le ore quello di attendere che la
tua ragazza scopra ogni cosa.
Non mi rendeva contento il fatto che Veronica non
fosse daccordo con me riguardo ai miei litigi con mam-
ma. A lei non importava nulla che la mia fosse solo legit-
tima difesa. Per lei da prole dovevo impegnarmi a mante-
nere larmonia tra di noi. Chiunque avesse avuto un po
di percezione si sarebbe accorto che la colpa di tutto era
della genitrice e non del figlio. Veronica non sarebbe sta-
ta di questa idea nemmeno se fosse stata presente a tutto.
Non andava mai oltre i suoi principi.
Cerano delle cose che con Veronica non riuscivo a
condividere. Io gli davo una certa importanza, fuorviato
,:
dai discorsi sullamore e sulla sua capacit di far condivi-
dere tutto. Le avevo parlato del mio romanzo, qualche
volta, ma se glielo avessi domandato mi avrebbe risposto
di non ricordare. Era lunica persona che aveva certi dirit-
ti su di me. Se avesse fatto lei quello che aveva fatto Ren-
zo sarei stato a vagare per strade accessorie mugolando
stranezze. Forse non era stata unazione decente innamo-
rarsi in quel modo. Almeno avremmo potuto parlarne,
per essere sicuri di non fare le cose affrettatamente. Tenu-
to conto anche di questo ero arrivato a convincermi che
la mia era una felicit da consumare, e non da vendere.
Una felicit non da esportare, e che non avrebbe mai avu-
to i saluti di tutti.
Era arrivata lEstate. Lo avevo capito dal fatto che Ve-
ronica si trasferiva al mare. Cos sarebbe stato pi diffici-
le vederci, se non in sogno. Sarebbe una buona cosa se si
potessero registrare le frequenze, quando si sogna qualco-
sa. Negli anni passati non mi era successo di capire che si
era in estate dal fatto che una persona si trasferiva al ma-
re. Me ne ero accorto da certi profumi, da certi gesti ri-
petuti. Quellanno non ero stato costretto ad essere per-
cettivo troppo al di l del normale grazie a lei. Ringra-
ziarla perch non mi permetteva di usare certe mie doti
mi faceva un brutto effetto. Prima o poi glielo avrei rin-
facciato. Non appena mi fossi reso conto di aver ragione.
Sarebbe andata a finire che avrei capito di essere morto
dal colore del vestito di Veronica. A questo mi portava la
scelta di concentrare tutta la mia eccitazione su una sola
persona. Ero in una cella con la televisione, ma sintoniz-
zata su un canale sbagliato.
Mi ha telefonato Renzo. Credevo di dover parlare di
,,
quello che era successo. Invece dalle sue parole ho capito
che a lui non importava chiarire, che passava sopra a cer-
te cose quando si trattava di un tale che si era permesso di
sbattergli in faccia che ci che era per lui la cosa pi im-
portante nella vita non valeva la pena di essere spolverato.
Era comprensibile il suo risentimento, come era com-
prensibile che un uomo facesse della sua vita uno straccio
a buchi steso al sole. Mi ha detto che Alberto aveva affit-
tato una villetta vicino alla casa di mare di Veronica.
Qualcosa come Alberto ed il suo giro (a vuoto) avrebbe
passato lestate a pochi metri da Veronica, che era debole,
inconcludente, possibilmente prendibile. Era una notizia
da farmi scivolare la cornetta, se avessi pensato a tutte le
possibilit.
Mi ha proposto di fare la strada insieme. Io non avrei
voluto legare nemmeno lontanamente il destino di Vero-
nica con quello di Renzo. Se le macchine fossero andate
ad acqua non avrei mai accettato di mettermi in degli
sporchi affari con lui. Ma non potevo dimenticare che di-
mezzare le spese era quasi determinante. Non capivo per-
ch lui volesse una cosa del genere. Mi aveva chiamato per
facilitarsi loperazione di raggiungimento di Alberto, co-
lui che ci aveva fatto litigare. Non mi aveva chiesto nem-
meno come stavo. E non sapevo se era legittimo sorpren-
dersi tanto.
Alla fine ho deciso. Ero in combutta con Renzo. Mi
trovavo in una gran brutta situazione. Appena fosse arri-
vata la morte le avrei chiesto come mai aveva tardato e
perch non avevamo scelto un luogo pi decente per in-
contrarci. Quando si tenta di sentire fastidio un brutto
segno di cui si dovrebbe parlare a qualche Commissione
Celeste.
,
Non avevo voglia di rivedere Renzo, se aveva ancora
quei suoi atteggiamenti da invasato modesto. Per me sa-
rebbe stata unestate fastidiosa. Non sarebbe stato lapice
della mia vita vivere accanto a lui. Non mavrebbe pi da-
to retta, anche se a pensarci bene non era mai capitato co-
s tanto da dovermelo ricordare o da averne nostalgia.
Avevo sbagliato a giudicarlo. O avevo sottovalutato certe
sue mancanze. Lui aveva bisogno di quella visione lineare
della vita che stentavo a considerare verosimile. Davanti a
lui si dovevano affermare delle cose che non avessero
troppi capricci.
Alberto ed i suoi discorsi continuavano a sembrarmi
troppo puliti. Cosa potevo dire riguardo a quelle parole
volenterose e giuste, se non che erano solo quello? A Ren-
zo bastava. E ne rimaneva per seppellire sua madre e i Die-
ci Comandamenti. Pensavo che fosse diritto e dovere solo
delle donne seguire gli incantatori che riescono a fare sem-
pre le stesse canzoni. Invece mi sbagliavo. Anche per gli
uomini non era poi tanto complicato. Se volevi pensare in
maniera seria eri letteralmente fregato. Cera da fare i con-
ti con troppe altre figure. Non si poteva stare tranquilli.
Cos sarei andato al mare insieme a Renzo. Ad un Ren-
zo che non era pi il mio amico esclusivo. Succede spesso
che si stia bene con una persona solo perch una delle due
non ha trovato di meglio. Chi lo dice che Jack lo Squar-
tatore non sarebbe stato pi a suo agio a Liverpool, e i
Beatles a Londra? Non c fine al peggio, ma nemmeno al
meglio. Si pu fare realmente qualcosa di concreto nei
confronti di una cosa messa ad asciugare cos?
Dovevo controllare di essere contento, prima di parti-
re per quel piccolo viaggio con un sorriso che alla fine po-
teva risultare inadeguato. Non sarei voluto sembrare subi-
,,
to pieno. Renzo non avrebbe avuto il tempo di mettere la
quinta, se si fosse azzardato a fare dei discorsi che non
trattavano del tempo o della pressione alta. Non credevo
pi allamicizia, e se non sembrava era perch mallenava
da bigotto.
Aspettavo il nostro primo tragitto insieme per render-
mi realmente conto di quello che mi attendeva. Ero co-
stretto a capacitarmi della mia vita tenendo conto dei
comportamenti degli altri. Non era il modo migliore per
raggiungere quello che avevo sempre desiderato: uno stato
danimo non intaccabile, o modificabile solo a comando.
Renzo venuto a prendermi. Si scusato del ritardo
quando era lultima cosa di cui scusarsi. Non ci intende-
vamo pi. Io avevo altro a cui pensare. E lui doveva sa-
perlo. Mi ha detto che gli avrebbero presentato dei vege-
tariani. Era entusiasta di vedere della gente bianca in vol-
to. Di quelli che gridavano sbalorditi davanti a dellaffu-
micato, che credevano che facendo cos avrebbero rag-
giunto il massimo grado di sensibilit per poi iniziare a
disprezzare gli altri che non si rendevano conto. Pensava-
no di salvare il mondo, quando non obbedivano che ad
una loro delicatezza pacchiana.
Ho scoperto che Alberto faceva il grafico pubblicitario.
Utilizzava il bello per fare un favore al superfluo e al fuor-
viante. Cercava di far piacere qualsiasi cosa a pi gente
possibile. Come quella che destate agiva per il proprio di-
letto tra il sole e la sabbia. Tutta folla pronta ad ogni ob-
bedienza per un po di pane. Non sopportavo la pubblici-
t. Di solito era stupida. Doveva esserlo. Il mondo stesso
non faceva che pubblicizzarsi in continuazione. una
mania planetaria. La pubblicit lanima del commercio.
,o
Alberto era unanima. Del colore simpatico che fa urlare
le ragazzine col cervello nella borsetta lasciata a casa.
Ho avuto un atteggiamento non troppo benevolo ri-
guardo alla professione di Alberto. Renzo se l presa.
Non ragionava pi. Anzi, ragionava, ma con troppo san-
gue nelle arterie. Sembrava innamorato. Era gi poco ri-
marchevole quando succedeva e si aveva davanti una fi-
gliola di quelle per cui Dio ha una chance di essere cre-
duto. Forse sarebbe stato meglio non mettere pi in mez-
zo discorsi su Alberto. Alla fine conveniva anche a me
aver trovato un compagno per dividere le fatiche degli
spostamenti. Solo, non volevo pagare di persona. Odiavo
lo stress gratuito. Renzo sarebbe stato capace di darmi fa-
stidio in maniera molto insensata.
Renzo ha fatto la strada ad una velocit media. Questo
poteva farmi capire che non aveva dato alcuna importan-
za alla nostra discussione. In realt era un suo modo di fa-
re quello di compiere cose poco appariscenti dopo che
qualcosa laveva scosso. Sbagliava a fare cos anche con me
che lo conoscevo tanto bene. O forse era proprio per que-
sto che laveva fatto. Mi sembrava un bambino a cui ave-
vano rivelato che Babbo Natale non esisteva. Lo vedevo
lottare contro unidea del genere come avevo fatto io
quando cercavo di capire dalle impronte sulla cenere il nu-
mero di scarpe di quellanziano nordico. Renzo era esatta-
mente ci che luomo di solito: un codardo che non ac-
cetta di abbandonare il pezzo di barca che non lo sta fa-
cendo affogare. Io tenterei sempre di raggiungere unisola
qualunque. Non bisogna mai aspettare la morte senza cer-
care almeno di fare una finta di corpo. Lui non aveva la
forza di togliersi di dosso un cappotto che lo aveva tenu-
to al caldo per un inverno ma che era pieno di pulci.
,;
Mi sono ritrovato allangolo della stradina della casa di
Veronica. Con Renzo ci siamo dati un orario da rispetta-
re e mi ha lasciato l proseguendo per qualche metro, per
poi fermarsi vicino ad una villetta abbastanza elegante.
Da l uscito uno che doveva essere Alberto. entrato in
macchina e Renzo ripartito. Mi sono sentito un po ab-
bandonato, ma era nelle previsioni. Un mio amico non
mi capiva capendo un altro che io non credevo dovesse es-
sere capito cos tanto. Non me ne intendevo di tragedie,
per non mi pareva del tutto una situazione da far pro-
muovere la candeggina a bevanda per la prima colazione.
Certo, sentivo che la mia vita si spogliava di qualcosa.
Qualcosa che magari era una sciarpa di lana sopra una
maglietta e dei pantaloncini, ma a cui ero affezionato co-
me ad un pigiama che avevo fin da piccolo.
Non era il momento migliore per pensare a certe cose.
Avevo raggiunto per la prima volta il posto dove Veroni-
ca avrebbe passato la sua estate, e la cosa pi saggia era di-
rigermi a casa sua, visto che arrivare l mi era costato quel
disgraziato dialogo col mio amico andato. Non lavevo av-
vertita dellorario del mio arrivo. Questo complicava un
po le cose. Poteva benissimo essere uscita, o magari ripo-
sava tra il sudore e lafa.
Cera. Grazie a Dio o a chi ne fa le veci cera. Ho rac-
contato a Veronica di Alberto, di Renzo, del resto. Nel
farlo ho avuto una certa paura. Pensavo di non poter mai
essere del tutto sicuro di lei, ed era proprio una conquista
che avrei voluto fare, una volta al giorno, quasi in conti-
nuazione. Non erano le persone le certezze che mi ero fat-
to nella vita. Mi prendevano dei capogiri sorprendenti
ogni volta che permettevo ad un mio tentativo di mette-
re a fuoco qualche immagine umana. Non era la mia stra-
,
da andare in giro a raccogliere tracce di comprensione.
Potevano benissimo essere dei capricci intellettuali, come
era un capriccio considerarsi una mente privilegiata. Una
convinzione del genere mi aveva agevolato di poco le co-
se, quasi non avesse voluto togliermi il gusto di qualche
piena soddisfazione. Quello che nelle altre vite faceva
svoltare un destino nella mia gettava nello sconforto.
Veronica mi ha invitato ad entrare nel giardino, ma io
non volevo per via dei suoi genitori. Mi ero accorto che
non erano daccordo con me sullopportunit di dimo-
strare quello che provavo per la loro figlia. A me risultava
indigesto il loro sguardo geloso e allertato. Mi guardava-
no come se fossi un saccheggiatore di prole. Non era il
modo pi elegante e pi efficace di mettermi a mio agio.
Non gliene facevo una colpa. Per accadeva, e per me non
cambiava molto.
Il caldo faceva bene a fare il proprio dovere senza guar-
dare in faccia nessuno. A casa vivere era soffocante, per la
prima volta non per colpa di mia madre. Lattenzione che
davo a quello che scrivevo avrebbe dovuto offrirmi le giu-
ste possibilit per non far parte di quel fastidioso contesto
termico, ma non era esattamente cos. Mentre affrontavo
con determinazione quella temperatura arcigna lunico
pensiero era che avrei avuto davanti ancora un mondo
tutto da scoprire. E la cosa non mi sembrava molto allet-
tante. Alla fine cosa contava raggiungere del fresco se non
avrebbe saputo rispondere a nessuna delle domande che si
trovavano gi in attesa ai margini dei fogli bianchi? Erano
quesiti che nel tempo si erano modificati. Il punto inter-
rogativo era quasi scomparso per lasciare posto a dei segni
ambigui che non davano alcuna certezza. Le domande si
,,
erano evolute, avevano fatto visita ad aspetti pi sfumati.
Tutto si era mescolato con laria altezzosa di chi conten-
to di aver arricchito qualcuno.
Ad un tratto ho sentito squillare il telefono. Il telefono
era sottovalutato da decenni. Era strano che si potesse
parlare a persone tanto lontane. Il fatto di utilizzare tutte
le onde che si erano scoperte aveva rivoluzionato i pro-
cessi interni delluomo. Ormai era scontato poter comu-
nicare con una persona non presente. A me continuava a
sembrare un illecito. Che senso aveva allora trovarsi a del-
le distanze accettabili, se non se ne poteva approfittare?
Ormai ci eravamo tanto compromessi che non ci sarebbe
stato pi un modo per scoprire se il mondo era veramen-
te beneficiario di un miracolo. Gli era andata bene alla
tecnologia, con quellinquinare le prove.
Era Veronica. Cos tanto per gradire ho cominciato
con qualche mio strano discorso. Era importante, in quel
momento. Volevo essere libero di parlare con lei senza
preoccuparmi di non complicare le cose.
A volte non capisco. Sembra quasi che tu parli esclusi-
vamente per farlo, mi ha buttato l su due piedi. Veroni-
ca aveva il senso della parola come mezzo puro e sempli-
ce. Non che non avesse ragione, ma nel mio mondo io ero
contento di puri suoni. La parola fa compagnia, ti fa per-
dere del tempo, e ti convince che non c proprio nien-
taltro da fare. Avrei dovuto regalarle unastronave per far-
mi visita. La mia ragazza era convinta che sprecassi le pa-
role. Me lo aveva ripetuto pi di una volta. Non aveva le
idee chiare su quello che volevo fare di ogni frase pro-
nunciata. Ma se a lei non interessava questo che cosa vo-
leva da me? Avrei potuto chiederglielo proprio perch sa-
rebbero state parole che avrebbero avuto un senso. Era un
c
suo modo di amarmi, che io non avrei usato nemmeno se
mi avessero pagato a cottimo. Io andavo avanti nella spe-
ranza che tutto si spiegasse da solo.
Avevo la forte impressione che certe cose si dovessero
pagare, prima o poi. Quando uno sprovveduto cade ine-
vitabilmente in condizioni poco accomodanti. Anchio,
che avevo sempre fatto tutti i controlli previsti dal caso, e
che ne avevo commissionati degli altri un po pi perso-
nalizzati. Gli strappi alla regola mi hanno sempre creato
dei problemi.
Ho conosciuto il nuovo gruppo di amici di cui fa par-
te Renzo. Hanno gli ombrelloni vicino al mio. Cos il tuo
amico mi ha invitato a prendere parte ai loro discorsi: al-
tre frasi, ancora peggiori delle altre. Lo sapevo che cose
del genere potevano capitarmi. Veronica era da difendere.
Le esperienze sono fatte per chi pu parlarne senza arros-
sire. Veronica non era pronta a buttarsi nelle sfumature. Il
mondo me la stava prendendo prima che io facessi qual-
cosa di concreto.
Veronica pensava che ci che dicevano degli stupidi vi-
ziati fosse interessante. E questo poteva anche starci. For-
se ero di parte, e vedevo le cose con troppa durezza. La
mia ragazza andava a stupirsi di tutti quanti, mentre io mi
limitavo ad avere rapporti solo con Renzo, che faceva va-
lere ancora una vecchia amicizia. Cerano allorizzonte dei
guai seri, che non mi avrebbero permesso di mettere la te-
sta sul cuscino senza andare da qualche parte col pensie-
ro. Tutta colpa degli umani, che pensavano che non ci vo-
lesse molto per ogni cosa. Colpa dellintelligenza che non
si esponeva mai, anche quando usavano il suo nome.
Avrebbe dovuto essere pi decisa nel salvaguardare la sua
immagine. E se fossero arrivati ad un tratto gli extraterre-
:
stri, che figura ci avrebbe fatto? Non esistevano controlli
adeguati, n una concorrenza che potesse spingerla a non
alzarsi sempre a mezzogiorno con un vacuo bisogno di
dormire ancora.
Ero stanco. Un giorno avrei messo i piedi nellacqua
calda ed avrei guardato questo mio tempo come uno stu-
pido tentativo di mettere in bocca una coda di cavallo ad
un pidocchio. Ero stufo di sentire parlare di crune di aghi
e di cammelli. Volevo rivoluzionare il mondo per quello
che potevo. E non sarebbero sicuramente accorsi per di-
fendere qualche vecchio modo di dire.
Renzo sarebbe passato al solito orario. Era puntuale
quando prendeva la macchina, ed ero certo che sarebbe
stato puntuale anche nel rivelarmi la bella notizia. Aveva-
no una nuova adepta, mentre io iniziavo ad avere paura
che la mia ragazza non si sarebbe fermata ad essere inte-
ressata solo a qualche bel discorso. Prevedevo che si sa-
rebbe buttata tra quelle belle faccine con un abbandono
che io non avrei mai conosciuto. La situazione poteva
persino complicarsi ulteriormente, ma non dovevo pen-
sarci proprio in un periodo come quello estivo in cui le
cose cercavano di fermarsi sempre un po prima, anche se
non ci riuscivano mai del tutto. Avrei atteso gli sviluppi.
Per poi magari accorgermi che avrei dovuto fare qualcosa
di rilevante prima, invece di fare il saggio che ha tutto sot-
to controllo e a cui intanto gli sta uscendo unaragosta dal
buco del sedere.
Renzo era particolarmente silenzioso. Perch non mi
diceva che Veronica aveva lasciato le impronte del suo di-
dietro vicino alle loro? Perch non mi faceva sapere che
cera stato del sole, un ombrellone e delle nuove amicizie?
:
Non ne sarei stato contento, ma quello era un problema
mio. Cera dellaltro che stava cercando di nascondermi.
Avevano riso di me dopo essersi passata una canna? La
canna era di Veronica? Con quel suo comportamento
concentrato sulla guida in macchina mi sentivo pi sicu-
ro, ma avrei preferito che si fosse distratto quel poco per
farmi sapere quello che era successo. Dopotutto era da se-
coli che luomo sacrificava qualcosa alla conoscenza. Io
volevo sapere il peggio, per avere un sospiro di sollievo
nellaccorgermi che mancavano ancora dei minuti alla fi-
ne. Non sopportavo di rilassarmi quando mi stavano fru-
gando a casa bruciandomi i cassetti. Che senso aveva go-
dersi lestate quando sarebbe stato meglio prenotare delle
sedute psichiatriche?
Te lo ha detto Veronica che fa parte del nostro gruppo?
Finalmente Renzo ha parlato. Era preoccupato. Si sentiva
in colpa. Sapeva che io non ero daccordo. Sapeva che non
era del tutto giusto che dalla porta di servizio fossero entrati
nella mia vita prendendosela con la regina della casa. Ren-
zo non voleva che tutto capitasse in quella maniera. Lui
non mi voleva male. N a me n a quello che volevo fare
della mia vita. Mi rispettava, anche se mi avrebbe voluto
entusiasta insieme a lui. Erano altri che avevano avuto la
possibilit di non avere degli scrupoli nei miei confronti.
Avrei voluto solo che non fossero stati tanto invadenti
da modificare un ordine che mi serviva per vivere e per so-
pravvivere. Invece lo erano stati, con laiuto determinante
di una serie di circostanze che nessuno aveva avuto lardi-
re di considerare. Ero impotente. Le uniche cose che avrei
potuto fare erano di comprare una casa nuova a Veronica,
o di incendiare quella di Alberto. La seconda era la pi
probabile, anche se la pi incline a qualche denuncia.
,
Renzo mi ha comunicato che il giorno dopo sarebbe-
ro andati tutti insieme ad esplorare i fondali con Alberto.
Che Alberto era andato a casa di Veronica ad invitarla.
stato un altro colpo che si andava a sommare. Io non sop-
portavo nemmeno che entrasse qualche sua pausa tra una
parola e laltra nel padiglione dellorecchio di Veronica.
Come si permetteva, lui che parlava come uno spot che
non avrebbe fatto vendere nulla? Ero troppo legato a lei
per non provare fastidio per quella storia. Si prospettava
unestate in cui non mi sarei accorto del sole, e del mare
se stavo per affogare perch troppo preso dai miei pensie-
ri per mettermi a nuotare.
Alberto entrato a casa della mia ragazza. Gli avr of-
ferto qualcosa, e lui ne sar stato contento. Io non lo ero
stato mai troppo. Non ero mai riuscito a trovarmi a mio
agio. Forse sarebbe stata la differenza decisiva in suo favo-
re. E magari Veronica non aspettava altro.
andata a finire che Renzo ha forato. Anche nel mo-
mento dellemergenza sembrava che non vedesse lora di
arrivare a destinazione. Me ne accorgevo da come pren-
deva in mano gli attrezzi per cambiare la ruota. Mentre
lui la sostituiva io cercavo di ascoltare i suoni che prove-
nivano dagli alberi che erano accanto alla strada. Anche
allora facevano ombra, in teoria. Erano molte le cose che
facevano senza che nessuno se ne accorgesse.
Renzo ci stava mettendo fin troppo. Avevo limpres-
sione che le cose non andassero nella maniera migliore.
Ho avuto la tentazione di offrirgli il mio aiuto, anche se
ero sicuro che non ci saremmo sbrigati prima grazie al
mio intervento. Forse era meglio aspettare con calma al
proprio posto. A me sembrava che lo stesse facendo anche
Renzo. Dovevo approfittare di quellattimo di calma, e

dovevo accettare un po di pace raggiunta sotto degli al-


beri. Quella pausa in mezzo alla Natura avrebbe potuto
farmi bene, di per s. Mi sarebbe convenuto perdere tut-
to il mio tempo tra quelle sensazioni vociferanti. Solo,
non mi rendevo conto di quanto sarebbe durato leffetto
sul mio cervello, che non era pi molto abituato alle cor-
tesie raggianti di quelle cose verdi e delicate.
Dovevo vedere Veronica, e non sicuramente per par-
larle damore. Come avrei iniziato? Cosa potevo preten-
dere da lei e cosa no? Non ero fortunato negli eventi spic-
cioli. La gente si organizzava bene e senza di me. La gen-
te mangiava, parlava, si riposava con puntiglio per poi fa-
re quello che io non avrei mai voluto. Non aveva rispetto,
ma era qualcosa che si andava a confondere con tutto il
resto. La mia era molto gelosia, impotenza. Il mio sbaglio
aspettare dagli umani qualcosa. Ero un povero illuso idio-
ta. Finch non lavessi accettato le cose non sarebbero
cambiate. Anche se non riuscivo a capire come potessi to-
gliermi anche quellillusione.
Che piacere ci trovava Renzo a stare a contatto con
quel tipo? A me sembrava tanto strano che maledicesse
una ruota che non ce la faceva pi perch gli avrebbe fat-
to fare dieci minuti di ritardo con Alberto. Qualcuno
avrebbe potuto dire che la mia non era amicizia, se non
mi sforzavo di comprendere il momento di un amico.
Questo qualcuno doveva far parte del gruppo di Alberto.
Mi sentivo quasi circondato. Mi pareva che nel mondo si
capissero un po tutti. Forse avrei dovuto intraprendere
uniniziativa pi decisa per modificare un po le cose. Ma
non ero sicuro della reazione che avrebbero potuto avere.
Le mie paure stavano facendo pi del necessario.
,
Siamo arrivati. Veronica ed Alberto parlavano anima-
tamente. Renzo ha parcheggiato vicino a quel tipo che mi
faceva venire il prurito al sedere. Il mio amico, ne ero si-
curo, aspettava che io dicessi qualcosa. Mi stavo tenendo
tutto dentro, cercando di controllare che quel brutto mo-
mento non modificasse di molto il comportamento dei
miei organi interni. Anche se Veronica nel vedermi si fos-
se allontanata da Alberto non avrebbe eliminato quel ve-
lo grigio che si apprestava a posarsi sulle cose di quella se-
ra. Non successo, comunque. Ha continuato a parlare
con lui nonostante mavesse visto. Ad una persona non
innamorata unimmagine del genere non avrebbe fatto
disastri, sconquassi. Ma una persona non innamorata non
si sarebbe trovata a passare del tempo dove non avrebbe
mai dovuto. Lamore mi faceva quello che nemmeno mia
madre avrebbe saputo infliggermi. Ed tutto dire.
Appena ho avuto Veronica a disposizione mi ha detto
che non aveva fatto nulla di male. Ha anticipato anche il
mio muso lungo. Era logico che non stava evirando lul-
tima farfalla maschio della Patagonia, ma non era quello
il punto. Domani sto partecipando ad unimmersione in-
sieme al gruppo, mi ha detto a bruciapelo, come per ave-
re ragione. Cos mi sono ritrovato a non preoccuparmi
pi di quello che era successo per iniziare a farlo con quel-
lo che doveva ancora accadere.
Ci sarebbero state tante cose da dire, ma Veronica non
avrebbe capito mai certe sfumature. Sarebbe servito un
miracolo per non farla buttare nel pozzo di Alberto. Poi
ne sarebbe servito un altro per farla guardare intorno, un
altro ancora per farle mettere un piede sul mio. Ancora,
ancora un altro per volere di pi. Ero impotente davanti
al disastro totale. E dovevo essere anche spettinato. Alber-
o
to aveva girato uno spot pubblicitario in faccia alla mia
ragazza. Francamente non sapevo come prenderla. Quan-
do le parlavo io della bellezza della Natura, della consape-
volezza che bisognava avere nel sentirsi parte di un di-
scorso astrale non aveva tutta quella buona volont di
ascoltare e di entrare nella questione. Io non mettevo in
mezzo magie o streghe incantate ed incartate. Anche que-
sta era una prova che non mi sapevo comportare, con le
donne. Pensavo che certe cose non contassero. Che non
dovevo preoccuparmi troppo. Invece avevo capito che
non bisognava mai lasciar perdere i dettagli. E che cadere
a terra dopo aver girato invano per aria non fa passare pia-
cevolmente tutto quel tempo che si sarebbe potuto im-
maginare.
Eravamo in quattro nella macchina di Renzo. Cera
nello stereo una musica rilassante, che Alberto amava
molto. Lui ne spiegava ogni nota con molta partecipazio-
ne. Tutta quella didascalia era premiata dallattenzione di
Renzo e di Veronica, che ascoltavano molto interessati.
Anche io avevo cercato di seguirlo, ma la sua voce che
spiegava quella musica da bagno con le bollicine colorate
la superava in intensit, divenendo per me il migliore dei
sonniferi sonori. Mi sono cos sorpreso ad avere sonno in
una situazione del genere. Ero stato costretto a seguirli
perch volevo capire bene in che stato si trovassero, o for-
se perch inconsciamente non volevo lasciare Veronica so-
la in mano a chi riusciva ad avere tanto potere su di lei.
Lasciavo fare a me stesso perch sapevo che ci sarebbe sta-
ta una fine molto prossima. Era uno strascico di quello
che consideravo gi concluso, e che Veronica stava per
considerare concluso prima di me. Non ero convinto af-
;
fatto che quei miei gesti avessero una qualsiasi utilit, ma
non mi preoccupavo di buttare il mio tempo. Mi sarebbe
rimasto solo qualche brutto ricordo per fare conto pari.
Ho interrotto Alberto che parlava della musica corren-
te. Aveva la faccia di uno che non sapeva pi che pesci
prendere. Ed avevo appena iniziato. Quella domanda mi
girava in testa da un bel po, e dovevo ammettere che ave-
vo il desiderio di farla al di l dei miei motivi personali.
Veronica ha cominciato a guardarmi in modo strano. Era
facile per me scommettere su quello che aveva in testa e
vincere. Forse aspettava solo la risposta di Alberto. An-
chio. Meno male. Era da molto che non avevamo un de-
siderio in comune. Di Renzo non mi occupavo. Non era
importante capire quello che stava pensando. Chiss se
non fosse uno sbaglio rigirarmi in quellangolino di mon-
do. Magari stavo sprecando il momento pi fertile per
me, e non me naccorgevo. Let doveva essere quella ade-
guata. Ma ogni et era quella adeguata, se si era adeguati.
Tutta la vita di ogni specie tende al benessere. un forte
limite che io non ero riuscito a spostare.
La stavo buttando sulla provocazione. Mi stavo facen-
do vincere dagli istinti pi bassi. Volevo smontare quella
grande coreografia che Alberto aveva pagato quattro sol-
di. La mia era una ribellione che mi avrebbe portato alla
rovina. Ci mancava poco. Dovevo immaginarlo che non
era cos che sarei ritornato in groppa al mio cavallo. Fin-
ch fosse stata quella la giuria non cera nulla da fare. Ve-
ronica ha preso le difese di Alberto. Ho provato un dolo-
re di cui mi sono vergognato. Non sapevo quale cielo de-
siderare, a chi rivolgermi. Eppure volevo rimanere in
quella macchina nonostante ci fosse in giro qualche posto
dove non capitavano di quelle cose. Era come se aspettas-

si qualcosa di sorprendente che risolvesse la faccenda a


mio favore. Poi mi sarebbe rimasta una donna pronta a
perdersi di nuovo. Stavo lottando per prolungare lagonia.
Magari non ero nemmeno bravo a farlo.
C stato del silenzio, a parte la musica che continua-
va ad andare avanti come se non si fosse detto nulla. Al-
berto non avrebbe mai fatto niente per modificare la co-
lonna sonora del nostro trasferimento. Da quei piccoli ge-
sti capivo che mi trovavo di fronte ad un avversario che
non avrebbe accettato facilmente la sconfitta, nemmeno
se avesse visto bruciacchiare i suoi delicati pantaloncini da
mare. E Renzo e Veronica non avrebbero testimoniato a
mio favore. Dovevo trovarmi un altro modo per mante-
nere alto il morale. Mi stavo abituando a dover girare con
gli occhi per trovare un po di refrigerio alle mie pupille
paonazze. Ero ormai continuamente impegnato in questo
esercizio. Non immaginavo che impressione potessi dare
agli altri, che non potevano certo rendersi conto di questi
miei vissuti interiori. Era una situazione inquietante, tan-
to che preferivo non sentirla troppo mia. Me ne sarei ver-
gognato davanti a chiunque. Io, uomo di lettere, mi im-
pelagavo in spiagge bucate dal cemento, senza una spe-
ranza decente che servisse a qualcosa.
Veronica mi ha parlato nellorecchio. Mi ha detto che
dovevo essere riconoscente ad Alberto. Perch mi aveva
fatto sedere accanto alla mia ragazza? Eravamo gi a que-
sto punto. Lei non capiva che stavo soffrendo perch io
avevo pensato che non lavrei mai persa, ed invece mi ri-
trovavo ad impegnarmi nel dimostrarle che non bastava
allungare le vocali delle parole per avere ragione. Avevo la
convinzione che i miei sforzi sarebbero stati inutili. E nel
farli li facevo morire lentamente. Intanto Renzo si rivol-
,
geva ad Alberto in un modo che non avrei augurato al
mio peggior nemico. Forse lo faceva gi con me, e non ero
stato obiettivo. Non ero l per dare tutta la colpa agli al-
tri. Se fosse capitato sarei stato molto pi contento. Lui in
passato si era nascosto con me, o non aveva avuto motivo
per usare certe espressioni. Il mio amico era capacissimo
di usare quelle parole a lui estranee solo per vedersi a mez-
zo metro quel mezzo sozzo sorriso. Era veramente unesa-
gerazione. Mi erano capitati degli eccessi con braccia e
gambe. Mi vivevano accanto impunemente. Ero desolato,
per il fatto di avergli rivolto pensieri concilianti, un tanto
alla volta, in passato. Mi sentivo pronto a confessare a
qualcuno addetto tutto quello che in passato ero riuscito
a dare della mia vita.
Ci siamo fermati. Davanti a me mi sono trovato quat-
tro macchine piene di voraci guardoni del mare. Cerano
anche delle ragazze molto prosperose. Ero sicuro che
quando si fossero immerse sarebbero stati i fondali ad am-
mirare qualcosa. Vedevo formarsi dei gruppetti con mol-
ta naturalezza. Nel mio cero io, del sole antipatico ed i
peli delle mie braccia. Alberto si spostato verso gli sco-
gli, e con lui sono andati anche Renzo e Veronica. Vero-
nica si sarebbe accorta della mia solitudine? Preferivo non
metterla alla prova perch ero sicuro che avrei avuto una
brutta sorpresa. Io ero innamorato di lei, e soffrivo. Sen-
tivo che era ingiusto, cos soffrivo anche da un altro pun-
to di vista. Vedevo il mare e pensavo che non si meritava
quelle creature che si spacciavano per degli anfibi perfe-
zionati. Aveva accumulato tanti secoli per cercare di me-
ritarsi un rispetto che stentava a venire. Lui almeno era
dignitoso. Non aveva mancanze letali che lo portassero a
cercare atomi di zucchero in un vassoio di salatini. Sape-
,c
va quello che lo attendeva, anzi meglio, non lo sapeva af-
fatto. Riusciva ad essere devastante senza volerlo. Se non
ci fossero stati il cielo e tutte le sue stravaganze avrebbe
continuato ad adagiarsi pesante su scogli, sabbia, altro.
Alberto ha cominciato a parlare. Era estate, cerano
delle ragazze che si depilavano in continuazione le gambe.
Mi sentivo fuori posto, come lo tutto. Sarebbe stato pi
giusto che il mare si fosse trovato dove il gruppo stava
ascoltando il suo maestro, e viceversa. Non riuscivo a
cambiare idea. Dal mio punto di vista avevo gi perso Ve-
ronica. Facevo tutto per onor di firma. Se lo avesse sapu-
to la mia ragazza avrei fatto qualcosa per togliermi certi
pensieri, ma per non pi di un quarto dora. Proprio per
questo non avrei dovuto prendermela con Alberto.
Non avevo nessuna voglia di badare alle macchine. Mi
sarei seduto da qualche parte ad aspettare che tutto ter-
minasse. La cosa peggiore non sarebbe finita con quei tuf-
fi. La cosa peggiore era dover andare avanti cercando il
modo di non arrabbiarsi troppo. Non si poteva che vive-
re sulla difensiva, aspettare che il tempo scadesse, che non
si venisse a creare nulla che ci potesse prendere in giro
senza un motivo valido.
Mi sono andato a sedere vicino al punto da cui Alber-
to e Veronica avevano spiccato il loro tuffo unificatore.
Non li ho persi di vista un istante, ma se anche fosse suc-
cesso nulla di veramente importante sarebbe cambiato. I
loro tubi per respirare andavano insieme nelle direzioni
che Alberto decideva per tutti e due. Io nel soffrire il cal-
do tendevo a sperare che qualcosa l sotto succedesse a mio
favore, ma cosa potevo chiedere a dei pesci che nemmeno
conoscevo? Che si mettessero a gridare il mio nome? L
sotto il re di Veronica era Alberto. Fuori le cose cambia-
,:
vano solo per una diminuzione di umidit. Dovevo mo-
dificare i miei programmi. Dentro di me sapevo che Ve-
ronica non poteva fare pi parte di me. Non avrei dovuto
illudermi. I giovani si illudono, sgambettano, fanno figu-
re letali per qualsiasi altra categoria. Non io che giovane
non mi era mai capitato di essere. Eppure ero convinto
che non sarei stato capace di ragionare per bene. Avrei
provato a risistemare tutto sapendo che non era legittimo,
che era uno sbaglio anche volere che una ragazza con ge-
nitori in carne ed ossa potesse veramente stare ad amarmi
senza andarsi a cercare qualcosa di pi confacente.
Ero geloso, e non potevo fare nulla. Come spiegare a
Veronica che la misura pi giusta di tutto era la mia umil-
t? A lei stava affascinando lenfasi di parole che supera-
vano quella per cui esistevano. Ero innamorato di lei, e
forse la colpa era mia, perch avrei dovuto fare delle in-
dagini un po pi accurate prima di seminare in giro i
miei organi pi romantici e pi bisognosi di protezione.
Avevo letto da qualche parte che soffrire per cose del
genere era vivere. Forse non sapevano cosa volesse dire
beccarsi in testa un sole cane mentre la propria ragazza
pendeva da delle labbra che stringevano un tubo di pla-
stica. Intanto ero riuscito a perdere di vista Renzo. Quan-
do cera Veronica per me avrebbe avuto anche il tempo di
affogare in tre modi diversi e divergenti senza che io mi
mettessi ad urlare. Stavo perdendo degli affetti, e volevo
essere presente a tutti i costi, forse solo per fare il discor-
so di chiusura quando tutto si sarebbe deciso. In molti al
mio posto avrebbero preferito sapere tutto a cose finite,
tenendo i propri rossori per s.
Il sole bruciava. Avevo le labbra arse. Mi stavo facendo
del male con la stufa pi calda del Sistema Solare. Tutto
,:
combaciava, ed ero sicuro che se non ci fosse riuscito
avrebbe ritentato. Non potevo neanche sedermi pi co-
modamente, o bere, o agire in maniera diversa. Non po-
tevo lamentarmi o ribellarmi fino ad andarmene. E sfor-
zandomi da una parte non ci sarei riuscito da unaltra.
Continuavo a combattere guerre perse in partenza. Ero
un guerriero a cui appiccicavano dietro le spalle delle
scritte derisorie senza farsene accorgere.
Alberto e Veronica si sono fermati a lungo vicino ad
uno scoglio sporgente. Alberto sicuramente aveva fatto
qualche gesto con la mano, come quando a me piacevano
i tortellini alla panna di mamma e volevo farglielo capire.
Non sapevo esattamente cosa stesse pensando la mia ra-
gazza, ma tutto poteva farmi immaginare che io non fos-
si in cima ai suoi pensieri. E forse nemmeno a valle avevo
lasciato traccia. Probabilmente per lei era da parecchio
che non faceva delle cose migliori. Cio, da quando stava
con me. Io non le avrei mai fatto pensare che guardare la
Natura nelle sue parti intime potesse bastare. Era un di-
scorso limitato, interrotto. E comunque non meritevole
di togliermela davanti senza che io le dicessi almeno co-
me stava bene con quel nuovo fondotinta.
Cera un sole delinquenziale. Sembrava che lo avesse-
ro fatto apposta cos per mettermi in difficolt. Solo lo
scoglio con la sua inaspettata comodit si comportava be-
ne. Loro intanto si inoltravano nel mare. Ci sarebbe vo-
luto ancora un po per dare fine a tutto. Sarebbe stato ca-
rino se nel suo nido selvaggio Alberto avesse trovato una
vecchia scarpa sfondata. Nei fumetti si pescavano spesso.
Ma quello era capace di immergersi e di prendere per Ve-
ronica un paio di stivaletti nuovi del suo numero. Io cer-
te cose non gliele avevo nemmeno mai comprate. Sareb-
,,
be stata la prova che anche Nettuno era a favore di nozze
in cui io al massimo ero tra gli invitati.
A casa Veronica mi ha fatto capire che i fatti stavano
accadendo senza preoccuparsi di darmi delle soddisfazio-
ni. Era andata peggio del previsto. Ho trovato la mia ra-
gazza stupefatta dellesperienza. Lo era di Alberto. Non ri-
tenevo giusto che a certi damerini andasse sempre bene.
Quel tipo era riuscito a far andare tutto alla perfezione:
limmersione e luscita dallacqua. Nulla aveva inceppato
niente. Lunico che si poteva lamentare ero io.
Gli altri non erano al corrente di quello che si stava ap-
prestando. Non potevano riuscirci. Altrimenti non mi
avrebbero costretto a prendere un paio di decisioni che
avrebbero rivoluzionato il mio modo di vivere le abitudi-
ni. Aveva bruciato le tappe, quel tipo. Bisognava ricono-
scerlo. Io la conoscevo da pi tempo, ma era evidente che
quel vantaggio non aveva contribuito a farmi avere in ma-
no il possesso del suo amore. Veronica era attratta molto
da Alberto quando parlava, proprio nellatto in cui a me
disgustava di pi. Gli dovevo dare la giusta importanza,
anche se non ne avevo voglia. Tutta colpa del sentimento
che provavo per lei. Ne stava dando di fastidio quel buffo
filo teso che mi legava a quella ragazza che non vedeva lo-
ra di sentire tutte le frasi che Alberto riusciva a pulire con
la sua bocca linda.
La vita era questo. Non ci sarebbero state le storie se
tutto fosse fluito, se si fosse ottenuto quello che si voleva.
Solo, stavo decidendo di lasciare tutto agli altri. Quello
che accadeva non era di buongusto, e non volevo farne
parte. Continuavo perch non avevo ancora preso le mi-
sure, ma non mancava molto. Bisognava scegliere tra sof-
,
frire illudendosi, non soffrire illudendosi, avere la dignit
di non accettare.
Me ne sono andato. Avrei potuto sbattere la porta, ma
avevo le mani sudate e non ho voluto rischiare una brut-
ta figura. Ci mancava anche che dimostrassi a casa sua
quanto fossi imbranato con i pezzi di legno. Sapevo dove
Renzo sarebbe passato con la macchina. Poi mi sono ri-
cordato che quella sera ero io ad avere il volante. Ero co-
stretto a vedere quelli del gruppo in quel cortile illumina-
to in cui si discuteva e si scherzava. Dovevo. La mia mac-
china non sarebbe riuscita ad andarmi a prendere Renzo
senza che io la accompagnassi. Era un altro brutto mo-
mento di quel giorno disgraziato. Avevo voglia di ritorna-
re nella mia stanza, ad ascoltare quanto impalpabile po-
tesse essere il tempo quando ne avevo bisogno esattamen-
te in quel modo. Avevo la necessit di uscire dal mondo.
Fuori dalla porta della mia stanza tutto era contaminato
dalluso degli umani, da coloro che con me dividevano
quello che io non volevo pi.
Mi rimaneva un vano grido.
Renzo mi arrivato a casa come se fosse successo qual-
cosa dirreparabile. Io stavo scrivendo il mio romanzo, in
particolare una scena abbastanza importante, ma il mio
amico non ha permesso al protagonista di rispondere ad
unoffesa che aveva ricevuto. Si seduto sul mio letto,
stanco ed affaticato.
Renzo mi ha detto che Alberto aveva invitato a pranzo
lui, Veronica e me. Non mi caduta la penna perch la-
vevo poggiata prima. Cosa significava? Alberto voleva
avermi vicino per gustarsi le mie reazioni a quello che or-
mai era inevitabile? Fraintendeva, o faceva dellaltro che
,,
era molto meno innocente. Dovevo quindi partecipare ad
una grande farsa che avrebbe avuto degli attori scadenti e
poco stimolati? Non avevo nulla da guadagnare ad anda-
re a masticare insieme a chi si stava ingoiando la mia ra-
gazza. Se avessi avuto un avvocato si sarebbe opposto. E
se non lo avesse fatto lo avrei cambiato.
Alberto aveva in mente Veronica come un bel contor-
no al suo intorno. Laveva trovata accanto a me, ma lei mi
amava grazie ad una forzatura. Ormai la forzatura me la
potevo scordare. Poteva prendersela. Non sarei stato io a
fare la voce grossa, n nessun altro avrebbe potuto sosti-
tuirmi. Forse avevo voluto troppo. Ero io quello non in
regola. Veronica poteva benissimo essere stupida quanto
Alberto. Poteva esserlo anche di pi. Era una libert che
stava usando fino in fondo. Non avrei osato accennare al-
le belle sensazioni che si provavano ad essere qualcosaltro.
Avrebbe potuto accusarmi di poco rispetto. Lo avrebbe
fatto: una donna non si faceva sfuggire certe occasioni.
Avevo avuto in mano qualcosa che non doveva esserci.
Avevo accarezzato e baciato abusivamente. Dovevo co-
minciare ad accettare la mia onest e la sua pesantezza.
Non ero tanto idiota da non rendermi conto che tutto si
stava aggiustando finalmente secondo una sua logica.
Al pranzo ci sarei andato, per vedere come andava a fi-
nire. Avevo il segreto desiderio di farla finita in mezzo ad
uninsalata di riso. Non mi facevo illusioni, n potevo per-
mettermi di pensarla in un modo pi piacevole. Di sicu-
ro avrei continuato ad aggrapparmi alla polemica, veden-
domi inevitabilmente circondato. Di sicuro non sarebbe
stata Veronica a buttarmi fuori dal banchetto. In linea di
massima potevo avere la mia tranquillit in maniera ac-
cessibile, senza inventarmi troppo.
,o
Quando Renzo se n andato ho pensato alla mia vita,
a quello che mi era rimasto da fare. Ad un tratto com-
parsa mia madre. Ha cominciato a cantilenare quanto fos-
se ben indirizzato Alberto. Come se i suoi modi cerano gi
prima che lui nascesse, e non aveva fatto altro che pren-
derli come li aveva trovati. Renzo aveva dovuto dire tutto
a mia madre prima di scomparire per strada. E doveva es-
sere stato esauriente, visto come ne parlava. Era come se
conoscesse Alberto meglio di quanto conoscesse suo figlio.
Gli uomini non si sarebbero mai liberati dalle solite
corsie, dalle solite parabole. Potevano al massimo essere
degli spettacoli gi visti. Al massimo potevano fare la Sto-
ria per farsi poi dimenticare bene o ricordare male. Mam-
ma era una donna. Era nata per fare quello che faceva.
Non cerano state sorprese. Non cerano mai. Forse costa-
vano di pi. Non avevamo cieli, se non dipinti prima,
pieni di uccelli fin troppo grossi e stanchi. Una rivoluzio-
ne reale non era mai durata fino allora di pranzo.
Con mamma ho fatto la parte di chi se la prende. Non
sarebbe cambiato molto se ne fossi stato capace o no. Le
forze stavano per mancarmi giorno dopo giorno. Pareva
che dentro di me non si volesse pi mandare al macero
qualcosa che sembrava ancora molto prezioso. Eppure
non riuscivo a specificarlo ad uno straccio di persona. Era
come se valessi solo per uso personale. Le mie qualit non
erano esportabili. Avevano bisogno del buio del mio spi-
rito per non bruciarsi.
Mamma credeva che esistesse qualcosa che bisognava
fare sempre, un insieme di gesti gi brevettati che trasfor-
mavano una larva in una vita umana. Per lei cera spazio
solo per doveri che erano stati tatuati da lungo tempo.
Non volevo demolire la morale. Avrei creato disordine
,;
quando non sarebbe servito a nulla. Era meglio fare la
parte del colpevole. Non cera bisogno di dare troppe
spiegazioni in giro. Mamma mi aveva creato. Voleva che
andassi per il mondo come era consentito. Voleva che an-
dassi in giro a vedere le cose per dirlo agli altri. Voleva che
gli altri mi volessero. Erano tutti aiuti, pacche sulla spalla
dellesistenza. Forse stava per bloccarsi, e non lo faceva
pi perch vedeva tutte queste benevolenze. Mamma non
poteva obbligarmi ad intonare canti. Ma per oppormi do-
vevo fare tanto sforzo. Avrei sudato senza riuscire a veder-
ci un nesso. Non mi piaceva, come idea.
Mamma avrebbe potuto avere una sua intelligenza a
fiori profumati invece di accontentarsi di un deodorante
da water. Non mi era consentito con lei essere come avrei
voluto. Sarebbe stata capace di chiamare gente, e di con-
vincerla a ridere in maniera grossolana. Tutto questo non
era molto carino da parte sua, ma ormai non ci facevo pi
caso come una volta. Poteva essere uno sbaglio, di quelli
che si portavano a far vedere a tutte le persone care. Non
avevo tutto quel tempo per perderlo contemporaneamen-
te con Veronica, Renzo, mamma, altri. Era come se do-
vessi fare una scelta, sceglierne uno o al massimo due. Poi
quando fossi stato pronto lasciare che il tempo mi rima-
nesse tutto in mano e mi diventasse particolarmente in-
gombrante.
Tutte quelle persone erano semplici persone. Roba che
un terremoto avrebbe potuto riportare allordine in una
volta. E a me pareva che lo fossero senza neanche uno
scatto di nervi. In loro notavo la tranquillit di chi non si
era mai posto il problema di agire seguendo un altro ca-
talogo. Se lo avessi fatto io i miei ricordi sarebbero stati
pi cristallini. Ed io ci tenevo tanto, ai ricordi.
,
Mamma se n andata chiudendo la porta dietro di s.
Mi aveva lasciato leco delle sue ultime parole. A me non
rimaneva che aspettare che Renzo passasse per portarmi
verso Alberto. Continuavo ad amare Veronica allo stesso
modo. Era particolarmente pericoloso essere legati ad una
persona, persino quando la si fosse ipnotizzata con una se-
rie di deficienze scritte in un manuale. Lesistenza mi ave-
va condotto ad essere costretto alla sofferenza, prima di
dimenticare tutto. Cercavo per di strapparmi via. Ero
stato gi travolto. Mi trovavo tra le macerie mentre senti-
vo ancora cadere oggetti e pezzi di muro. Avrei dovuto to-
gliermi da dove mi trovavo, spolverarmi, non dimenticar-
mi il caldo che avevo provato l sotto. Erano le ultime mie
grida. Poi avrei iniziato a pregare solo per ammazzare il
tempo.
Renzo venuto a prendermi allorario che avevo im-
maginato. Questa sua prevedibilit era dovuta ad una sca-
ramanzia tutta personale. Lui probabilmente era riuscito
ad arrivare sano e salvo da Alberto certe altre volte par-
tendo a quellorario. Ed allora perch cambiare? Se fossi
stato al suo posto anchio non mi sarei fatto scappare una
logicit tanto decisa. Ma io non sarei mai stato al suo po-
sto: mi sarebbe venuto di andare al bagno.
Durante il nostro spostamento nessuno ha parlato. A
me non andava quello che stavo facendo, ma dovevo far-
lo. Renzo se ne rendeva conto, almeno quanto se ne sa-
rebbe reso conto chiunque. Era una gran cosa che arri-
vasse a tanto, e senza nessun aiuto esterno. Alla fin fine
era un mio amico. Nel mio ordine di cose lui non avreb-
be potuto nemmeno farsi vedere in giro senza un regola-
re permesso, ma nella vita di tutti i giorni quella sua nor-
,,
malit sarebbe potuta essergli utile in varie circostanze.
Come uomo di ogni giorno Renzo aveva grosse possibili-
t di non far ridere troppo.
A casa di Alberto sono stato decisamente gentile. Alli-
nizio di certo. Non volevo iniziare da subito la guerriglia.
Tutto sarebbe potuto esplodere prima che si fosse man-
giato qualcosa. Non sarei riuscito a sopportare il sole a di-
giuno, fuori, mentre sentivo risa che potevano provenire
dalla bocca di Veronica. Volevo quei momenti di pace per
riprendere le forze. Anche se non sapevo esattamente di
quali forze stessi parlando.
Io e Renzo avevamo preso Veronica da casa di una sua
cugina. In macchina non aveva detto una parola. Era tut-
to fuori dagli scenari che mi giravano in testa solo qual-
che giorno prima. A casa di Alberto la mia ragazza aveva
ripreso a parlare. Sarei voluto scappare a nascondermi in
qualche scatola di scarpe non occupata. Ma Veronica ave-
va varie mie ore abbandonate sul suo grembo.
Al pranzo partecipava anche la sorella di Alberto, Lui-
sa, una ragazzina di nove anni. Allinizio non avevo bada-
to alla sua presenza, perch dovevo farmi una ragione del
fatto che la mia ragazza fosse tanto disinvolta a dare le
proprie grazie a ragazzi che non fossero esattamente me.
Poi ho iniziato a scrutare la piccola. Non vedevo presente
altra gente pi interessante di lei. Era lunica persona che
non mi provocava sentimenti di dispiacere. Lei era una
bambina. In realt ancora non viveva il nostro mondo.
Era altro. La cosa che si avvicinava di pi allinnocenza.
Non avrei mai creduto che potessi apprestarmi a man-
giare in una situazione tanto complicata. Non pensavo
che qualcosa succedesse cos presto, con quella facilit,
con quella inevitabilit. Di solito in ci che ho conqui-
oc
stato nella vita ho sempre avuto le mie difficolt. Mi
aspettavo che lo stesso trattamento avessero anche gli al-
tri. Invece si vedeva da lontano che Alberto aveva sempre
avuto molte facilitazioni. Cerano persone che nascevano
per scivolare lisce. Veronica si imbeveva di quella facilit.
Ne avrebbe puzzato a lungo. Lei aveva il mio amore. Ero
presente solo per recuperarlo quando lo avrebbe buttato
dal finestrino. Era fin troppo presa. Dovevo decidermi a
chiudermi nel primo bozzolo dindifferenza che mi capi-
tava tra le mani. Dovevo diventare un oggetto, una pietra
che butta qualche parola alla lucertola. La difesa non era
il migliore attacco, ma ero da pochi anni in vita, e di pi
non riuscivo a fare.
Alberto ha accennato a certe scoperte scientifiche illu-
minanti. Ha anticipato che ne avrebbe parlato pi diffu-
samente. Gli astanti avevano degli occhi ossequiosi. Mai
che si distraessero. A Renzo faceva tutto impressione. E a
me faceva impressione che a lui facesse tutto impressione.
Quegli spauracchi mi stavano facendo passare del tempo
tra impulsi a scappare in continuazione. Renzo, se avesse
potuto, si sarebbe leccato Alberto come un sorbetto.
Sempre che non gli facesse schifo la saliva residua di Ve-
ronica. Trattavano come un dessert uno che io avrei fatto
affogare nel Martini come unoliva marcia. Lunica cosa
giusta era che ognuno di noi aveva una sedia per s. E non
era poco in un mondo dove quello che a me pareva scon-
tato non aveva molta fortuna.
La piccola voleva giocare con la palla, ed io mi sono
proposto di farle compagnia. Era proprio quello che vole-
vo: non dover essere presente ai loro discorsi, nello stesso
tempo non essere stato buttato fuori, nello stesso tempo
divertirmi un po come un bambino. Quella bambina
o:
non lavevo rubata a nessuno, perch il fratello si era ri-
fiutato di giocare con lei. Preferendola buttavo in faccia a
quei volti di sbalordimenti balordi un messaggio chiaro su
quello che pensavo del loro modo di sorseggiare la vita.
Sapevo di dover soffrire pensando alla mia ragazza che di-
ventava altro e di qualcun altro, ma non era detto che un
gioco non mi allontanasse dagli ultimi pensieri in manie-
ra tonificante.
Avrei voluto che tutto si fermasse, che Dio ne avesse
abbastanza di quello che aveva visto, ma non cera molto
da fare. Forse quello che serviva lo stavo facendo.
Veronica mi ha dato dellinfantile. Veronica non ha
mai capito quello che era rimasto a noi uomini. Ricorda-
vo che lei aveva riso in passato a certi miei atteggiamenti.
Quelle parole non mi facevano pi capire perch lo aveva
fatto. Non cera nulla di infantile nel giocare prima di far-
la finita. E se non avessi giocato sarebbe stato lo stesso.
Per loro invece non sarebbe stata la stessa cosa se non
avessero discusso in un certo modo. Io ero libero. Io ero
dellet di Luisa. Loro erano della loro vanit.
Non ci sarebbe stato futuro per me con Veronica. Da
quella storia uscivano morte e affamate le mie false cre-
denze. Con quei volti il tempo si era scrollato di dosso le
giostre che avevano costruito abusivamente su di lui. Si
stagliava senza chiedere troppi permessi. Sarebbe arrivato
il momento della mia totale solitudine, dei giorni che si
sarebbero purificati senza un motivo chiaro. Quando le
voci si sarebbero complicate nelle loro case al caldo del ca-
mino, mentre io pedinavo gli stormi duccelli.
Alberto continuava a parlare secondo il suo tenore. E
Veronica era daccordo. Anche lei pensava che il mondo
era fatto per correre in nostro aiuto. Credeva nelluomo
o:
che abbranca labbrancabile, respira profondamente il re-
spirabile profondamente, gode il godibile. Doveva ragio-
nare seriamente, ed invece si faceva scuotere solo da quel-
lo per cui era bello svegliarsi la mattina. Veronica stava fa-
cendo la propria parte. Non mi ingannava, era ingenua,
faceva le cose per il proprio bene. Non era un reato per-
seguibile penalmente. Ero io che non ero stato tanto me-
ticoloso da riuscire a non desiderare, e soprattutto a non
desiderare quello che non dovevo.
Tutto era andato lontano dalla mia residenza preferita.
Lasciavo la battaglia da signore, anche se forse ero lunico
a pensarla cos. Ho cercato di mangiare le ultime cose, an-
che perch era probabile che da Alberto non sarei stato
invitato al suo matrimonio con Veronica. Forse avevo an-
cora la possibilit di partecipare alla cerimonia diventan-
do un amico della piccola Luisa.
Veronica aveva scelto un bel posto per dirmi certe co-
se. Ne ero contento, perch era langolo pi bello del suo
giardino. Sua madre mi aveva salutato con un bellissimo
sorriso, ed io mi ero sentito in colpa perch il mio sorriso
non era come il suo. Sapevo cosa mavrebbe detto. Era
pleonastico usare quel cerimoniale. Nessuno si sarebbe
aspettato delle sorprese che non ci sarebbero state. Ho
sentito dire che la vita imprevedibile. Non capisco que-
ste persone dove hanno vissuto negli anni. O forse per lo-
ro imprevedibile anche trovare per terra una formica
con una gamba in meno.
Lei mi ha fatto sedere. Volevo dirle che non cera biso-
gno di farmi mettere comodo, che io non avrei aspettato
con lei. Mi sono seduto lo stesso, perch mi sembrava ma-
leducato non accettare quello che ai suoi occhi doveva ri-
o,
sultare una grande cortesia. Non ce lavevo con Veronica.
La vita per me era un grande teatro e lei aveva quella par-
te. Io avrei fatto in maniera diversa al posto suo? S, ma
non per nulla eravamo degli attori diversi, pagati in ma-
niera diversa, con un bagaglio diverso.
Avevo definitivamente finito di sperare in un compen-
so. Vivevo solo per non darmi dispiacere, o perch senti-
vo ancora del buono nel sedermi e nel guardare fisso da-
vanti. Sentivo che potevo durare, se fossi stato un porti-
cato sotto una pioggia torrenziale. Da uomo non era cos
semplice. Bisognava dare conto a voce di come ci si stes-
se amministrando.
Veronica ha cominciato a parlare di interessi ormai di-
versi. Li chiamava interessi. E non poteva fare altro. Era
chiusa nella sua gabbia di comprensione. Non poteva che
essere se stessa, cio frivola e veloce. Non era colpa sua.
Nulla ha colpa. Tutto fa quello che capita. Stava capitan-
do anche che io ragionassi sul fatto che capitasse. Avrei
preferito che non succedesse. Era il modo pi facile di al-
lontanarmi dallessenziale. E non ero in condizioni di
complicarmi le cose.
Amava Alberto. Era piena dei suoi concetti da semina-
rista atipico, e voleva la sua libert per regalarla a chi sa-
rebbe riuscito secondo lei a darle dei modi migliori, pi
consci, pi presentabili, pi convenienti. Alberto tra lal-
tro aveva molti pi soldi di me. Poteva anche non signifi-
care nulla. Noi, comunque, teniamoci pronti. La mia ra-
gazza mi stava scaricando, come fossi una borsa che non
riesce a contenere tutti i suoi fondotinta pi le chiavi di
casa e che non pu ormai renderla tranquilla di certe pre-
stazioni. La mia ragazza non aveva mai apprezzato la mia
arte, eppure ero riuscito ad amarla. In lei ci mettevo la-
o
nima, e a volte me la dimenticavo l.
Volevo fermare quello stratagemma. Era persino ar-
monico nella sua inesorabilit. Volevo prendere un po di
respiro. Non si cade mai, se si alla stessa altezza di quel-
lo su cui si deve cadere. Veronica mi ha lasciato. Non ce-
ra da chiedere in giro. Mi sono sentito morire. Aveva tor-
to a credere di stare per diventare una mente eletta da in-
vidiare. Forse avrei preferito averla ancora ed avere torto,
magari preso dalla convinzione che Alberto fosse tanto
nel giusto da mettermi di nascosto a leggere le sue cose, se
ce ne fossero state. Io la amavo, se amare tormentarsi per
non averla pi.
Mi ha chiesto se volevo andare con lei ad un dibattito
che ci sarebbe stato. Potevo persino crederle quando dice-
va che le faceva piacere. Quella sera non avrei avuto la for-
za di ostacolare il lineare sviluppo dei loro ragionamenti.
Non sapevo nemmeno se ci sarei riuscito mai pi. E se mi
importava. Ci ero rimasto molto male, anche se me lo
aspettavo. Forse in cuor mio pensavo che Veronica esage-
rasse in certe sue manifestazioni, che tutto si sarebbe tra-
sformato in un falso allarme. Invece il falso allarme era ri-
tenere che lei aspettasse pi del consentito a fare chiarez-
za dentro di s. La vita non mi sorrideva. Era possibile che
avesse sputato nel mio piatto quando ero girato. Avrei
passato pi di un mezzogiorno a non capire perch lo
stesso piatto risultasse da una cucchiaiata allaltra tanto
diverso nel gusto.
Mentre avevo questi pensieri ho sentito qualcuno av-
vicinarsi correndo. Era Luisa, la sorella di Alberto. Lave-
va mandata il fratello per avvertire Veronica che si stava
cominciando. Il fatto che lei fosse depositaria di qualcosa
di quel santone plastificato mi ha dato una sensazione
o,
sgradevole. Veronica ha cercato di dirle poche e chiare pa-
role pensando di farmi un favore. Io invece volevo conti-
nuare ad ammirare quellinnocenza ancora per qualche
minuto. Era un bisogno improvviso, ed era un bene per
me pensare ad una cosa che aveva cos poche radici nel
mio passato dopo che una sua parte aveva deciso di ab-
bandonarmi per un presente che non era il mio.
Sarebbe stata una passeggiata di cento metri. Luisa
camminava come se volesse staccarsi da quello che noi
formavamo. La vedevo pronta a compiere quel compito
con il trasporto e la felicit che propria dei bambini. Ve-
ronica invece doveva pensare a quello che avrebbe ascol-
tato, o alla mia disinvoltura nellessere ancora presente a
quelle atmosfere che me lavevano rapita. Forse in un uo-
mo non cercava altro che quel tipo di atteggiamento che
avevo tenuto quando mi aveva lasciato al mio destino.
Non sapevo fino a che punto sarei riuscito a control-
larmi. Dopotutto li avrei avuti tutti davanti, padroni e
servi. Avrei potuto fare qualcosa. Per rimanere nei loro
annali come quel pazzo specifico di quel momento speci-
fico. Ma correvo il rischio di ferire la bambina. Non do-
veva essere una conquista essere una bambina. Lo era sta-
ta anche Veronica. Poi inevitabilmente era cresciuta.
Quando si trattava di farmi un piacere non riusciva mai
ad andare contro natura. Il pi delle volte non era riusci-
ta nemmeno a fare la cosa pi naturale di questo mondo.
Luisa non parlava. Si sorprendeva e basta. Mi faceva bene
pensare che costruissero ancora i bambini in quel modo.
Il dibattito cominciato. Luisa era seduta come una di
loro, ed ascoltava. Speravo che le parole non la stravolges-
sero. Non sbadigliava, perch i bambini sbadigliano solo
se non dormono da qualche era geologica. Sono gli unici
oo
che potrebbero andare a fare qualcosaltro senza sentirsi
colpevoli per tutta la vita.
Tutti quei discorsi erano troppo pesanti per non farmi
distrarre. Cos ho cominciato a fare smorfie alla piccola.
Luisa ha cercato di rispondere ai miei gesti. Si trovava do-
ve non poteva essere vista dal fratello, ma lo avrebbe fatto
anche se fosse stata sulla punta del suo naso. Non avevo
niente di meglio che scherzare con una bambina. Ero sta-
to costretto a trovare uno spettacolo alternativo. Mi senti-
vo capace di convincere un riccio a giocare a freccette con
noi. Sempre che non fosse stufo di continuare ad utilizza-
re le stesse forme. Meglio sarebbe stato se ce ne fossimo
andati tutti e tre a farci un bagno, con o senza luna. Lim-
maginazione mi permetteva di vivere. Iniziavo qualcosa
che non esisteva, lo continuavo, lo portavo a termine. Nel
frattempo era passata un po della vita, senza difficolt
sparse ovunque. Cos non mi accorgevo di niente, come
con una puntura prodigiosa che non si fa sentire.
Si cominciato con i complimenti tra di loro. Non la-
vrebbero smessa pi. Facevo bene a divincolarmi nel si-
lenzio. Il silenzio era la cosa pi decorosa, in quei casi. La-
sciare che si mettessero daccordo e che facessero il massi-
mo, altrimenti non si sarebbe potuto ridere del loro im-
pegno. Anchio ero parte di quello spettacolo indecoroso.
Il silenzio solo un modo per avere una pena piccola, se
qualcuno avesse deciso di fare una retata. Anche Renzo fa-
ceva la parte delleccitato. Nel suo attaccamento damici-
zia cera una sfumatura omosessuale. Non glielo sarei an-
dato a dire. Alberto e Veronica mavrebbero accusato di
voler rovinare larmonia dei loro incontri. Mi dispiaceva
che si stesse mettendo in mezzo la Natura e i suoi piccoli
segreti. Avevo sempre pensato che non si dovesse essere
o;
tanto invadenti nei confronti delle signore. Ma la vita era
fatta per imparare come la gente doveva fare ancora mol-
ta strada.
Luisa se n andata. Anche lei si era stancata di me.
Non volevo essere triste per scoprire poi che era solo an-
data in bagno. Ero pronto ad ascoltare il resto della di-
scussione. Sentivo che appena fossi uscito fuori da quello
avrei cominciato a soffrire per labbandono di Veronica.
Sarebbe stato difficile convincermi che non poteva anda-
re altrimenti. Mi aspettava un tempo in cui sarei andato
alla ricerca delle zone dombra del mondo per non farmi
vedere troppo nel nuovo formato. Per me era una grossa
minaccia alla mia immagine avere le labbra attardate ri-
spetto alla vitalit cosmica. Eppure mi ero convinto che
non bisognava mai disperare, sempre che non lavesse det-
to il dottore con una faccia molto dimessa. Il futuro per
certi aspetti era ancora incerto. Di sicuro non avrei sapu-
to per qualche tempo chi portare al cinema.
Era strano esserci trovati l, al mercato, sotto il sole
della mattina che fa tanto per essere convincente ed as-
sordante. Sara non mi vedeva da tempo. Non ricordavo
nemmeno lultima volta che avevo parlato con lei. Poteva
anche darsi che nellultimo incontro non lavessimo fatto
e che ci fossimo solo guardati, ma non ne ero convinto.
Lei sfruttava ogni occasione per rivolgermi la parola, la
sua parola ammantata dimmagini da poesia scartata,
mentre io quasi tutte per fare il contrario.
Le chiacchiere sono state fin dallinizio concilianti. Ri-
uscivo a trovarmi daccordo con Sara sotto il sole. Il sole
non se ne sarebbe andato. Lo conoscevo nei suoi limiti:
non era mai riuscito a scomparire senza laiuto delle nu-
o
vole. Sarebbe rimasto insieme a noi fino ai saluti. Non
parlavo veramente, con lei. Non era mia intenzione co-
municare. In sua compagnia non avevo riguardi nel crea-
re piccole complicazioni. Lei non mi aveva chiesto il per-
messo. Stavo avendo dei capricci, in piena estate, mentre
cera gente che ancora dormiva. Ma in modo che nessuno
potesse rimanere vittima di qualche mia eccentricit.
Sara mi ha sempre sentito creare frasi fatte di parole
mai compromesse con il tempo. Era successo solo perch
lei mi buttava davanti agli occhi certe atmosfere senza
chiedere se me ne importasse, mentre io non ne avevo mai
una voglia eccessiva. Ma cosa potevo fare se lei minonda-
va di quella voce soffusa? Era stata una mia debolezza che
non mi ero mai rinfacciato. Avevo permesso che lei si
convincesse di avere a che fare con uno che non esisteva.
Almeno non con la mia faccia.
Sara non ha fatto centro. Le sue parole non mi hanno
convinto affatto. Eppure sarebbe bastato poco. Avevo una
gran voglia di dirglielo in faccia, per concludere tutto. Le
avrei spezzato il cuore. Non avrei detto nulla, anche per-
ch non mi sembrava il posto giusto per intraprendere
delle rivelazioni sorprendenti. La gente ci passava accanto
spostandomi di quel poco che non faceva testo. Veniva a
comprare cercando di evitare tutto il sole possibile. Lei
parlava ancora, per guadagnare tempo. Meglio assecon-
darla: poteva succedere qualcosa di peggio.
Io non ero quello che credeva. Sara, se le personalit
fossero animali, avrebbe pensato che io fossi unaquila,
quando in realt ero un corvo che si esponeva troppo. Mi
dava fastidio che non coincidessi con il come mi vedeva-
no. Sembrava che si usassero tutte le accortezze possibili
per non darmi soddisfazione. Eppure non chiedevo tanto.
o,
Ma non ero io a decidere quello che era tanto e quello che
era poco.
Mi ha detto che ha conosciuto due poeti. Poi ha par-
lato di atmosfere poetiche in comune tra loro e me. Avrei
voluto chiederle cosa centrassi io con le atmosfere. Non
ne avevo mai create. Magari tentavo di distruggerne qual-
cuna. Lei ha pensato che io costruissi quando stavo rom-
pendo. Era arrivata a leggere il mio contrario. Mi dispia-
ceva.
Mi ha invitato ad andare dai suoi nuovi amici. Ero si-
curo che i due poeti mavrebbero salutato accontentando-
si del fatto che io fossi un tipo interessato allo scrivere, in
qualsiasi modo. Le parole di Sara non lasciavano dubbi.
Sarei stato circondato, se ci fossi andato. Ci sono tante co-
se che non difficile pronosticare. I caratteri umani sono
invariati da secoli. C poco da scoprire. Poco per cui sor-
prendersi veramente. Due pi due fa quattro, ed in ma-
niera pulita. Dopo i quattordici anni difficile trovare
qualcosa che sia nuovo.
Dovevo andarci. Ero costretto a farmi vedere in quella
casa, a farmi piacere per forza qualcosa, possibilmente la
meno peggio. Non era pi nemmeno una questione di
bont. Se buono ero non lo ero perch pensavo di andare
comunque da quei due nonostante la prospettiva di tro-
varmi davanti delle persone che avevano sciolto la loro
lingua per coniare parole soavi e tenere. Non ho avuto il
coraggio di farmi da parte. Mi sarebbe sembrato eccessi-
vo. Le ho detto di s. Mi ha guardato contenta e se n an-
data, forse pensando che anchio lo facessi immediata-
mente. Non stato proprio cos. Sono stato un po a ve-
dere se mi succedeva ancora qualcosa. Sotto il sole il mio
avvenire aveva un aspetto che non mi piaceva. Avrei do-
;c
vuto fingere in meglio nei modi con delle persone, quan-
do di solito preferivo farlo in peggio. Per quel giorno po-
teva bastare. Il resto lo avrei affrontato dopo aver fatto la
doccia, la sera. Dovevo pensarla cos, altrimenti avrei avu-
to lo stimolo a fermarmi sotto il sole fino a prosciugare
anche le lacrime. Mi veniva spesso di consumare tutto
quello che avevo per non darmi la possibilit di fare altro
avventatamente. Forse se luomo avesse delle energie ap-
pena sufficienti farebbe quello che deve essere fatto, esclu-
sivamente quello, senza essere prolisso o fuorviante.
Verso le sei Sara sarebbe passata da casa per portarmi
dagli artisti di cui mi aveva parlato. Ero sicuro che sareb-
be stata fin troppo puntuale. Dopo mangiato ho scritto
un po, ma mi sono subito accorto che non era il mo-
mento migliore per dare spazio alla mia creativit. Cos
ho cercato di riposare nella penombra. Non mi erano ri-
masti pensieri che potessero farmi rallegrare, ma solo pic-
cole preoccupazioni da spuntare, a parte la sofferenza per
Veronica che consideravo ormai giusta e naturale. Mi ero
proibito di pensare a lei e al suo nuovo scopo nella vita,
eppure non ci riuscivo. La mia pace era legata alla riusci-
ta del tentativo di non confondere il mio umore con gli
accadimenti del mondo. Avevo due battaglie da combat-
tere. Lessenziale era quella in cui io dovevo riuscire a non
combattere nellaltra. Lunica vera vittoria sarebbe stata
quella. Perch era tanto difficile anche il pi piccolo pro-
gresso nellannullare il desiderio?
Ho pensato a Luisa come chi ha combattuto in un
paese straniero ricorda un fiore scoperto in mezzo ad am-
massi inutilizzabili. Non mi avrebbe fatto lo stesso effetto
se non si fosse trovata in quella bolgia di educandi. Ep-
;:
pure non potevo credere che fosse fortunata per questo. Io
avevo lasciato lei tra lamore a merletti nei confronti del-
la natura e leco degli abbandoni che avevo subito ad un
ritmo incessante. Era troppo innocente per rovinarsi. Era
solo una bambina. Ma sarebbe successo inevitabilmente.
Se non ci fosse riuscito suo fratello lavrebbe fatto qualco-
saltro. Non dovevo illudermi, da quel punto di vista. Ero
ormai convinto che non ci fosse scampo per le cose belle,
quando cera di mezzo il tempo. Il tempo fatto cos: d
la possibilit alle cose pi comuni di attrezzarsi per fare il
proprio dovere.
In macchina con Sara mi sembrava tutto fuori posto.
Lei che guidava quando per me doveva solo fare quello
per cui lavevo conosciuta e la conoscevo. Non ero con-
tento nel vederla tenere il volante tanto forte che la mac-
china non andava mai a sfiorare le macchine parcheggia-
te. Stavo per fare la conoscenza di un ambiente che avevo
solo immaginato. Nella mia vita non avevo avuto molte
esperienze sociologiche. Avevo preferito leggere, e rima-
nere immobile per essere colpito dai pensieri.
Sara non aveva mai letto nulla di me. Possibile che fos-
se un particolare come un altro, ma non riuscivo solo ad
aspettare che si aprisse lo sportello. Non ero contento di
vivere quelle esperienze senza che ci fosse un controllo.
Sara mi conosceva da poco, e aveva saputo venerarmi sen-
za avere in mano seri elementi. Aveva dovuto fare cos an-
che con quei due. Non avevano valore le sue parole, al-
meno non quelle che riguardavano il suo amore per me.
Come nemmeno quelle dellamore iniziale di Veronica.
Aveva molto pi valore il suo abbandono. Aveva molto
pi valore il prossimo abbandono di Sara.
Gli amici di Sara erano molto ricchi, come Alberto.
;:
Anche lui aveva delle mattonelle che si sentivano in dove-
re di non fare solo il compitino. Questo non aveva influi-
to su Veronica. Lei era bella, quindi era ricca, perch ric-
co vuol dire avere molti vantaggi su chi non lo . Veroni-
ca aveva molti vantaggi su chi era brutto. Era pi facile
che un cammello passasse dalla cruna di un ago che Ve-
ronica da casa mia.
Ci siamo fermati davanti ad un cancello. Non era un
orario che ci permettesse di passare molto tempo in mac-
china sotto il sole senza preferire qualcosaltro. Sara ha
suonato ed il cancello non ci ha messo tanto a rispondere
per le rime. Questa efficienza mi ha fatto pensare a quan-
ta ne mancasse a me. Mi venuto quasi di fargli una
smorfia, ma ho lasciato perdere perch era un modello
nuovo, e nella mia testa ci che non aveva esperienza non
aveva colpa. Mi ero comportato cos anche con Luisa.
I due ci stavano aspettando in una veranda che ricor-
dava molto quella di Sara. Erano seduti su delle sedie che
davano una forte impressione di comodit. Volevo fare
subito la loro conoscenza. Quando ci hanno visti si sono
alzati di scatto. Questo gli ha tolto molto della loro rega-
lit, ma potevano ancora migliorare la loro immagine ai
miei occhi. E lo avrebbero fatto. Si vedeva che vivevano
per fare effetto agli estranei, anche se per il momento non
gli stava riuscendo. Se lo avessero saputo mavrebbero fat-
to aprire il cancello con le unghie. E di certo non ci sarei
riuscito.
Non ho mai dato troppa importanza allarredamento,
e non avrei cominciato a farlo a casa loro. Eppure il mio
occhio si dirigeva verso gli ornamenti di quellincontro.
Forse perch erano facce come altre, ambienti chiusi che
avrebbero lasciato allaria quel puzzo particolare. Sara
;,
sembrava estasiata. Lei usava il cuore anche per lavare i
piatti. Forse era giusto cos, per una come lei. Anchio cer-
cavo di capire un altro essere umano, ma mi sarebbero
serviti dei giorni di riposo per recuperare.
Ha squillato un telefonino. Era quello del fratello
maggiore. Quel fatto dopo aver risposto gli ha dato il di-
ritto di cominciare a parlare della tecnologia. Andava paz-
zo per le lampade di Aladino, per le macchine che pren-
dono i sensi e li utilizzano per esperimenti discutibili. Il
progresso ha il suo fascino. Quella gente non se ne perde-
va una puntata. Erano sicuri che la vita fosse bella, che era
meraviglioso quello come era meraviglioso quellaltro, che
non mancava molto ad una sublimit universale che ci
portasse a sbucciare le cipolle piangendo di felicit.
Ero gi abbastanza stufo di certi discorsi. Ero pi por-
tato a parlare male delle cose, e cos avveniva anche quan-
do i discorsi li ascoltavo. Ho cercato di non dare limpres-
sione a Sara che il suo piano stava fallendo. In passato non
mi era mai riuscito troppo bene. Non avevo quel genere di
talento. Sara ed il fratello minore non aprivano bocca nel-
la discussione. Ero sicuro che non sarebbero riusciti a far
avanzare il discorso da qualche altra parte. Avevo avuto la
sana intuizione che fossero daccordo con lui, con quelle
continue immersioni che si volevano fare nei fondali spa-
ventosamente profondi dei nuovi mezzi di comunicazio-
ne, tra polpi a forma di telefonino ed alghe con il colorito
di Internet. Tra velocit comunicativa, nuovi arrivi e nuo-
vi innesti, risate finite subito per far posto a delle altre. E
altri aggeggi naturali e non che si dividevano la torta.
Volevo piangere. L. Fare posto davanti a me, e poi
piangere. Mi pesava che lumanit si mettesse ad essere un
adolescente con i brufoli dappertutto. Mi lasciassero da
;
solo. Avrei avuto bisogno di un pretesto per prendere a
schiaffi qualche simbolo a forma di pupazzo. Senza Vero-
nica soffrivo, quasi come quando lavevo in prestito. Lin-
telligenza era una maledizione. E non volevo accorgermi
in futuro di non essere stato tanto intelligente. Mi sareb-
be dispiaciuto pensare di essermi preso tanto fastidio inu-
tilmente, ed abusivamente. Sarebbe stato il colpo che ma-
vrebbe fatto querelare il Padreterno. Volevo andarmene
senza scenate. Cos nessuno si sarebbe accorto di quello
che mi stava succedendo. Non volevo dare spettacolo ed
avere la certezza di non essere capito. Non in territorio
straniero. Non ero pronto a dare spiegazioni. Volevo an-
dare a scrivere qualcosa, solo, a casa, a pensare, a farmi
passare il momento di emergenza.
Non volevo vedere nessuno. Mi ero stancato di parla-
re, di dare forma a qualcosa che sarebbe stata dimentica-
ta e mai compresa. Il mio tempo faceva esistere solo le
idee che servivano a qualcosa. Me ne volevo andare, mo-
rire, perch ero stanco di stancarmi, di rivoltare le cose sa-
pendo dove sarei andato a finire. Non avrei trovato mai
chi avrebbe saputo farmi compagnia, senza sudare troppo.
Me ne volevo andare, senza essere capito. Facevo un chia-
ro spreco di salute, ma non ero capace di fermare lo scem-
pio. Non ero adibito a farlo. Si vedeva chiaramente che
non mi avevano concesso tutto quello che mi serviva.
Nella macchina Sara non ha detto nulla. Ed io non
avevo nessuna intenzione di modificare le cose. Non sa-
peva bene che cosa avessi provato durante tutto lincon-
tro, ma unidea se lera certamente fatta, altrimenti non
avrebbe potuto distinguere il volante dal cruscotto. Nella
macchina mi era rimasta ancora leco del discorso di quel
tipo. Erano gli ultimi isterici sospiri. Probabile che Sara
;,
non mi avrebbe mai pi invitato dai suoi amici. Non mi
meritavo tanto. Dal suo punto di vista lei mi aveva dato
una grande possibilit che io avevo sorseggiato e sputato.
Ne ero sicuro. Sarebbe stata contenta se ne avessi sputata
un po in macchina per potersela portare a casa, ma non
avevo fatto nemmeno quello. Continuava a stimarmi, ep-
pure iniziava a non capirmi totalmente. Aveva imboccato
lautostrada della mia comprensione. E cerano ancora
tanti caselli esosi e sconvenienti.
Alberto stava parlando del colore dellacqua mentre ci
trovavamo accoccolati in mare con immersi le caviglie, il
sedere e parte dellombelico. Luisa non era scesa in spiag-
gia. Aveva deciso di vedere la televisione sudando. Cos
stavo nella loro stessa acqua a provare un po quellestate.
Le alternative che avevo non erano mai entrate in gioco.
Continuavo a non voler stare con gli amici che avevo ab-
bandonato definitivamente, e quello era lunico modo per
andare al mare senza farmi vedere da solo che parlavo con
qualche granchio. Quelle anime alla fragola erano lunica
cosa che mi era rimasta dalle parti del litorale. Era quello
il motivo per cui rimanevo nei dintorni. Almeno, lo spe-
ravo. Volevo ardentemente lasciare fuori Veronica da
quella storia.
Non avevo detto una parola da quando ero arrivato
perch Veronica era imbarazzata a riparlarmi dopo che ci
eravamo lasciati, e Renzo forse non aveva il permesso di
Alberto. Dovevo essere un po ridicolo a rimanere l a
guardare la mia donna in mano altrui. Ma non mi senti-
vo capace di altri gesti. Avevo bisogno di riposarmi nella
sconfitta. Bagnato da unacqua che accoglieva tutti.
Alberto ha cominciato con i suoi dettami. Non ho mai
;o
avuto tanto bisogno di qualcuno che buttasse un pallone
in faccia ad un bagnante come in quel momento. Gli altri
erano daccordo, Veronica meglio non parlarne. Mentre
Alberto discorreva lei non aveva fatto altro che far andare
su e gi la testa come se non volesse che quello per tutta
lestate. Avevo da ridire, ma sarei stato mandato a casa.
Dovevo stare zitto mentre trattavano la Natura come un
giardino dove potevano piantare quello che volevano. Era-
no sfumature che Veronica mavrebbe ributtato in faccia.
E non solo lei. Dovevo soffrire fino a dimenticare che era
stata mia. O almeno fino a che non avessi accettato che era
stata solo un prestito, e che non avevo saputo nemmeno
approfittarne. Noi uomini riuscivamo a non capire le cose
pi semplici, quando ci conveniva. Tra laltro avevo lin-
quietante sensazione che fossimo solo allinizio.
A certe accuse di Alberto alla Societ uno dei presenti,
un tipo col pizzetto, ha fatto la faccia arrabbiata. Era solo
un modo per fare parte del gruppo. Ero sicuro che Alber-
to si sarebbe interessato a quella reazione, magari portan-
dola ad esempio. Non si sta mai a pensare troppo quando
si pu portare ad esempio qualcosa. Come se si fosse rico-
noscenti nei confronti del mondo quando conferma cos
prontamente i discorsi che si fanno. Alberto era il classico
tipo capace di premiare a lungo tutto quello che gli dava
ragione. A me pareva un modo di fare da vigliacchi.
Luomo aveva paura della sua esistenza. Il pianeta sta-
va iniziando ad averne piene le scatole. E glielavrebbe fat-
to notare. Si preferiva la comodit alla vita, ai polmoni
messi nella giusta disinvoltura. Nel mondo ognuno era li-
bero di fare quello che voleva, anche con la vita degli al-
tri. Se non c il sopruso non ci si diverte. Luomo non ri-
usciva ad essere pi forte dei suoi interessi.
;;
Me ne sono tornato allombrellone, a pagamento. Si
pagava il posto perch qualcuno aveva affittato parte del-
la spiaggia, laveva resa propria, aveva messo degli om-
brelloni dello stesso colore, delle sdraio con lo stesso co-
lore. In quel modo nessuno sentiva il diritto di allinearci
qualcosa che potesse rovinare quellunit di tinta. Il grup-
po aveva tre ombrelloni, ed uno era di Alberto. Io non mi
sarei potuto permettere un posto l, lui s. Io non mi sarei
potuto pi permettere un posto nel cuore di Veronica, lui
stava iniziando e non avrebbe pi finito. E tutto senza
una giuria apprezzabile.
Dopo qualche minuto in cui mi sono toccato spesso la
fronte ho visto Luisa arrivare. Mi sono sentito sollevato.
Mi stavo convincendo che mi sarei annoiato a cercare di
leggere nelle facce vicine qualcosa di interessante. La pic-
cola si avvicinata a me. Riusciva a farmi dimenticare che
aveva lo stesso sangue di qualcuno che mi procurava sen-
sazioni tanto diverse. In lei non vedevo niente di Alberto.
Altrimenti lavrei schiacciato.
Mi ha chiesto cosa stavo facendo. I bambini non im-
maginano che si possa vivere anche senza fare nulla. Con
lei avrei potuto dire qualsiasi stupidata. Lei lavrebbe te-
nuta in considerazione. Avrebbe fatto di tutto per pren-
dermi sul serio. La giornata era calda. La spiaggia sem-
brava portata ad accettare uomini vogliosi di un riposo ri-
lassante in cui la deficienza era lunica a non assopirsi. Era
come se fosse nata esclusivamente come sostegno a pance
allargate pi del consueto da apocalittici banchetti. Come
se avesse vinto un concorso in cui i criteri di valutazione
erano quelli pi semplici da trovare. In spiaggia il non fa-
re niente riesce cos bene che uno si dispiace a non aver-
cela tutto lanno. Poveri cervelli dati in mano ad inesper-
;
ti. Avrei saputo io come non utilizzarli al meglio.
Ho continuato a parlare con la bambina. Mi dava del-
le risposte di una comicit involontaria straordinaria.
Lingenuit ha molto da spartire con lumorismo. Che
lumorismo sia solo ingenuit applicata? Erano risposte
che non avrei trovato in quellimmensit di adulti che cer-
cavano di esserlo impeccabilmente. Come se provassero
ad essere impeccabilmente una cisti. Non sarebbe scatta-
to nessun tipo di applauso, mai, se si fosse pensato ai dan-
ni che avrebbe potuto causare un tale comportamento.
Ero contento di certe risposte. I bambini sono come i lat-
ticini che vanno a male quando passa molto tempo.
I bambini non si interessano mai ad avere ragione. In
un certo senso guardano al sodo. A Luisa non interessava
che fosse lei o io il colpevole di tutto quel caldo o del fat-
to che non potesse andare a farsi il bagno senza bagnarsi i
capelli.
Mentre passavo il tempo a gestire una bambina com-
parsa sua madre. Nemmeno sono riuscito ad accorgerme-
ne. Non aveva fatto rumore. Avevo capito subito che Lui-
sa era sua figlia. Le ha detto di andare con lei, ma la pic-
cola non era daccordo. Avrei preferito che fosse venuta a
chiamare Alberto, ma il suo viso era di quelli che non po-
tevano che appartenere ad una persona che avrebbe sem-
pre chiamato a casa Luisa piuttosto che Alberto. Era una
signora bella, come dovevo riconoscere fosse bella Luisa,
come dovevo riconoscere fosse bello Alberto. Non avevo
dato troppa importanza al fattore estetico nellabbandono
subito, ma anche quellipotesi poteva avere il suo senso.
Veronica non lavrebbe riconosciuto nemmeno sotto tor-
tura. Alberto era molto pi bello di me. In una donna co-
se del genere frullano, e quando hanno conquistato una
;,
certa confidenza entrano in casa, iniziano a parlare dei
propri gusti culinari per poi aspettarsi che vengano segui-
ti. Veronica poteva benissimo amare la bellezza fisica, non
avendo i giusti documenti per entrare nei posti dove
proiettavano altro. Aveva ancora molte cose da riferirmi
con i suoi comportamenti. Erano bastate quelle che si sa-
pevano per farmene andare con la coda tra le gambe.
Labbigliamento di quella signora rivelava delle possi-
bilit economiche non indifferenti. I vestiti che costano
di pi lo fanno pesare ad ogni piega. La donna si muove-
va con passo misurato, come se potesse fare da un mo-
mento allaltro uno sbaglio qualunque dimpostazione
che la portasse a ricadere in un passato poco dignitoso.
Dava limpressione di chi ha tutti i suoi buoni motivi per
non storcere troppo la colonna vertebrale. Ha preso Lui-
sa con una mano, ma la piccola non sembrava del tutto
daccordo sul programma futuro che i grandi avevano de-
ciso per lei. Nemmeno io sarei riuscito ad esserlo, anche
se la mia situazione era molto pi miserevole della sua.
La donna mi ha guardato negli occhi. Voleva la picco-
la figlia a casa, senza un apparente motivo, n Luisa sem-
brava intenzionata a chiederglielo. Probabilmente era abi-
tuata a quelli che dovevano essere dei puri capricci. Gli
occhi della donna avevano del chiaro che non riuscivo a
definire bene. Cos, mentre lei cercava di leggermi dentro,
io non riuscivo a distinguere il colore della sua copertina.
Era una bella donna. Questo riusciva ad appagarmi. Le
apparenze sono sempre molto comode e leggere. Molte
volte c solo da alleggerire quello che pesante. Nella mia
vita avrei dovuto togliere il leggero e togliere il pesante. E
contemplare incessantemente la bellezza di una donna.
Farlo un puro momento. Non puro per quello che si
c
vorrebbe fare con la bellezza di una donna.
Luisa le ha detto che ero un amico di Alberto. Solo
una bambina avrebbe potuto dire una cosa del genere. La
signora ha cominciato a guardarmi in modo diverso. Su-
bito dopo si andata a sedere su una sdraio. Io mi sono
sentito in imbarazzo. Non sapevo se impegnarmi a dire
qualcosa. Non mi ha lasciato il tempo di gustare il disagio
perch ha cominciato a parlare di se stessa, di come era
stato difficile crescere da sola dei figli. Le era morto il ma-
rito. Mi sono sorpreso che si aprisse in quel modo con
uno sconosciuto come me. Luisa intanto giocava a qual-
che metro.
Cos ad Alberto era morto il padre. Se quelluomo ave-
va le mie stesse idee era morto di crepacuore per colpa del
figlio. Alberto non aveva pi il padre, e nemmeno Luisa,
mentre la madre mi pareva una persona misurata. La ca-
rogna doveva essere solo lui. Una carogna retorica. Non la
peggiore, ma a me non importava. La madre mi sembra-
va una persona molto triste, che non aveva pi il tempo
per trovarsi un altro posto.
La signora ha confessato che le ispiravo fiducia. Avevo
fatto ben poco per conquistarla. Mi pareva quasi sospetto
che uno come me avesse tanta fortuna. Lei aveva cercato
di aprirsi quasi subito. Ai miei occhi lo avrebbe fatto an-
che se si fosse trovata di fronte ad un pirata senza una ma-
no. Chiss quante volte si era comportata in quel modo.
Io dovevo essere solo lultimo capitolo di una saga tutta
personale.
La signora si seduta accanto a me con un impeto che
nascondeva una stanchezza quasi primordiale. Era stanca
di qualcosa, e lo era proprio perch non era niente di de-
finito. Le donne sono un po pi stanche degli uomini.
:
Tutto il mondo con pi di un mese di vita stanco. Ave-
va fiducia in me. Me lo ha ripetuto ancora una volta. Era
una di quelle che usano listinto anche per pulire la bian-
cheria. Non era un gran merito. Da parte sua era molto
rischioso. Ma aveva poca cura di mantenersi al sicuro.
Aveva fatto Alberto e Luisa: aveva fatto uno sbaglio su
due. Non dovevo sorprendermi se passava il tempo ad
osare senza rendersi conto delle conseguenze.
Luisa andata dal gruppo di Alberto, che non sem-
brava intenzionato a togliersi dal mollo. La mamma si
stesa sulla sdraio ed ha chiuso gli occhi. Forse era esausta
per tutti quei complimenti improvvisati. Non ero stato io
a costringerla, eppure avevo dei sensi di colpa per quello
che si stava preparando. Perch sicuramente qualcosa si
stava preparando. Cominciavo anchio a sentire le cose,
come se mi avessero contagiato. Allimprovviso ha guar-
dato verso il mare, in direzione dei suoi figli. La sua fac-
cia non faceva che essere bella. Quelle poche rughe che
aveva si facevano vedere solo dopo che mi ero stupito.
Soffriva la pesantezza della vita. Me lo ha detto senza
darmi il tempo di capire il motivo di tanta fretta. Mi af-
fascinava. Lei bella e misteriosa. Bella a lungo. Era come
se stessi cominciando ad avere delle mire sulla mamma di
Alberto. Lidea mi ha divertito e terrorizzato. Non riusci-
vo ad uscire da quel gruppo semantico. Quella signora
sentiva un fascino per la vita che si incagliava sugli scogli.
Veronica invece non faceva altro che veleggiare lontano,
spinta dai venti pi stupidi. Alberto era del libeccio mar-
toriato dalle stronzate dei gabbiani. Mi trovavo a far par-
te di una trama romanzesca che non avevo voglia di se-
guire per tutti i colpi di scena che mi sarei preso in faccia.
Non ero abituato a trovarmi alle prese con una serie di
:
cambiamenti che riguardavano molto da vicino la mia
pressione sanguigna. Tra laltro non ci tenevo affatto. Ero
innamorato delle abitudini che mi rilassavano.
Sul suo costume aveva dei colori che avevo visto spes-
so. Il suo viso aveva gli occhi del numero giusto, e cose del
genere. Non cera nulla che mi differenziasse da qualsiasi
altro essere su quella landa sabbiosa. Ero un tipo di carne
con una lingua ed un cervello che parlava ad una tipa di
carne con una lingua ed un cervello che parlava ad un ti-
po di carne con una lingua ed un cervello. Era un male
che non mi facessi forza con la mia unicit, ma davanti al-
levidenza non cera molto da fare. La mamma di Alberto
ha continuato a darmi delle buone sensazioni. Ma le buo-
ne sensazioni di solito quando la neve si sta sciogliendo al
sole si sono sciolte da una buona mezzoretta. E questo
avviene sicuramente pi di frequente quando sono le
donne ad essere coinvolte. Per notavo in lei un dolore
che non le avrebbe permesso di allontanarsi troppo dalla
decenza.
Il mondo era noioso. Ripeteva le stesse evoluzioni.
Sempre le stesse. La mia dimensione non aveva molte va-
rianti significative. E sicuramente non ero io quello che ci
poteva fare qualcosa. Dovevo cercare di resistere con quel-
lo che cera. Sbagliavo a fare lo schizzinoso solo perch
avevo ragione.
Avevo cercato fino in fondo di capire se non fosse un
errore. Era da un po che non mi chiedevo se una mia
azione fosse giusta o no. Forse non ci ero pi abituato,
forse non era esattamente quello che riuscivo a fare me-
glio. La mamma di Luisa si chiamava Nadia. Me lha det-
to prima di salire in barca, come una specie di dimostra-
,
zione di confidenza. Credo che si sentisse in imbarazzo a
prendermi tanto frettolosamente sulla sua imbarcazione.
Chiss se Veronica si sarebbe chiesta perch quella matti-
na non mi ero fatto trovare. Non ci contavo, ma non ave-
vo mai avuto dei problemi a farmi delle domande quan-
do proprio non ce nera bisogno. Veronica non si chiede-
va mai certe cose. Aspettava che succedessero per mettere
alla prova la sua indifferenza. Tra un po mi sarei arreso al-
la mia mancanza di intuito. Era in programma, e non vo-
levo aspettare oltre.
Stavo su una barca, con una signora che ancora non
conoscevo bene. Sarebbero state cose che avrei ricordato,
un giorno. Era cos importante avere dei ricordi per cui
non fare brutta figura? La signora Nadia era molto esper-
ta nel navigare. Si capiva da come parlava. Io non sapevo
nulla di barche di lusso, ma non era mai stato troppo dif-
ficile per me intuire lesperienza di una persona in un
campo particolare. Mi aiutavo avendo come criterio di
inettitudine me stesso. Non ero mai stato bravo in niente
che potesse trovarsi nella sfera del pratico. Non mi ero im-
pegnato, come certi uomini sparsi nelle foreste che non
avevano avuto bisogno di limare la loro intelligenza e che
si stavano estinguendo. La barca era l, insieme a me, a
lei, a Luisa. In quel momento non chiedevo di pi dalla
vita. Eppure non ero del tutto tranquillo. Mi sentivo in
pericolo perch avevo notato che con i clandestini non si
andava troppo per il sottile. Io lo ero. Era difficile toglier-
mi certe sensazioni.
Abbiamo cominciato a parlare. E non c voluto mol-
to per capire che sapeva tutto quello che mi era successo.
Sapeva che avevo Veronica, e che ad un tratto apparsa
nelle braccia di suo figlio. Forse si era sorpresa anche lei di

avere una prole cos brava nel fare trucchi magici. Deve
aver pensato a come mi sono sentito. Come glielo aveva
detto Alberto? Sorridendo, piangendo? A braccia conser-
te? In fondo non erano atrocit. Non mi davano nemme-
no tanto fastidio. Capivo che un fatto portasse con s an-
che la sua diffusione.
Luisa andava e veniva dal ponte della barca. Era mol-
to grande, come molto ricca doveva essere quella famiglia.
Da qualche tempo riuscivo a fare conoscenza con il lusso.
Non mi sentivo particolari sensi di colpa nei confronti
della mia povert, perch queste nuove cognizioni riusci-
vano ad essere pi un ostacolo che altro. Non avrei godu-
to della crociera fino a quando non fossi ritornato ai miei
pensieri comuni. E ai miei comuni mezzi di trasporto.
Mentre guardavo la signora ho pensato che nella mia vita
in definitiva non avevo mai sopportato il genere femmi-
nile. Ma non ne ero immune. Fino a quel momento ero
riuscito a rovinarmi la vita con dei sentimenti per le don-
ne che mi avevano portato a riempire la mia strada di
trappole. Ero riuscito ad essere coinvolto in un frullatore
con lo strano eccesso di volermi mantenere solido.
Cera una barca di lusso sotto i miei piedi, una signo-
ra che mi rimaneva in testa nelle versioni di vittima ed al-
tre varianti simili, di stoffa rimasta ad un sarto con strani
sogni mondani. Non era la mia consueta scenografia.
Non ero abituato ad ambienti che non potessero far par-
te di un film sui bassifondi.
Abbiamo mangiato. Aveva portato tutto lei. Luisa era
contenta ed abituata al cibo. La ammiravo nella sua di-
sinvoltura mangereccia. A me pareva sorprendente anche
che sapesse parlare. Io mero scordato che ero riuscito a fa-
re di meglio, alla sua et. Mentre mangiavamo non ho os-
,
servato troppo i gesti della signora, n mi sono domanda-
to per quale motivo non cercassi le vere cause di certe mie
decisioni tanto perentorie. Forzatamente mi ero trovato
ad ingoiare degli alimenti estranei, e non ero collaudato
ad improvvisare metabolismi in posti in cui non avrei sa-
puto inciampare a memoria. Mi sarei fatto trovare l dal-
la morte, se si fosse permessa di farsi un giro in quel mo-
mento di pace da ferie comuni.
Dopo mangiato Luisa se n andata al sole. I bambini
pur di giocare riescono a fare delle cose che sono contro-
producenti. Per un adulto qualsiasi piacere verrebbe pro-
sciugato dal solleone, soprattutto dopo un pasto regolare.
La signora Nadia non era affatto contenta della scelta del-
la figlia, ma non si infuriata pi di tanto. Quello dove-
va essere un comportamento molto usuale per la bambi-
na. Sicuramente era gi tornata sana e salva da avventure
del genere.
Destate c il sole. Avrei dovuto approfittarne. Quel-
linverno non ci sarebbe stato. Quellinverno ci avrei pen-
sato. Ormai ero preparato a rimpiangere le mie debolezze
e i miei atti di forza. E da quello che avevo capito succe-
deva fisiologicamente. Un vivo non poteva evitare di pa-
gare certe tasse.
Fuori cera vento. Il vento dellaria con del desiderio.
Lacqua del mare obbediva alla brezza, senza che le pesasse.
La signora si seduta accanto a me su una specie di
poltroncina incassata nella barca. Da un po non parlava-
mo, ed io non capivo proprio a cosa addebitarlo. Il tem-
po passato in silenzio si era prolungato proprio perch mi
ero sforzato di comprendere quella strana inversione di
tendenza. Infatti oltre a non ammettere la pronuncia di
parole nel suo presente la signora Nadia si era anche mes-
o
sa a guardare nel vuoto che, per uno strano scherzo, si tro-
vava dalla parte opposta alla mia. Questo fatto mi ha in-
fastidito, e non poco. Potevo anche accontentarmi di es-
sere stato invitato facendo la parte di quello che non si
aspettava altro, ma oramai ero stato abituato troppo bene
per non pretendere di essere al centro dellattenzione. In
pi i momenti in cui non venivo distratto da nulla ulti-
mamente li passavo nello strano sentimento ancestrale per
Veronica, che mi chiudeva lo stomaco. Mi trovavo a non
volere altro che qualche frase della signora, anche se le ul-
time sue uscite non mi avevano spinto ad offrirle degli ap-
plausi in suo onore. Ma era quello che mi aspettavo, e
non sarei riuscito a desiderare altro.
Mi sono avvicinato a lei. Non aveva addosso solo il co-
stume, eppure il suo seno riusciva a volermi del bene an-
che in quella contingenza. Mi sentivo attratto per vari
motivi, e laspetto fisico non era lultima ruota del carro:
era il carro. S, la mamma di Luisa mi piaceva, come mi
piaceva la signora Nadia e perfino la mamma di Alberto.
Era stato difficile confessarlo a me stesso, ma nel mo-
mento in cui lo avevo fatto ero stato travolto dallo strano
piacere di sentirmi pronto a recuperare il tempo perduto.
Ero anche sicuro che non avrei mai avuto la spudoratezza
di insidiare una donna molto pi grande di me con figli.
E con che figli.
Alla fine mi sono deciso a non essere petulante. Sareb-
be stato un punto di non ritorno. Stavo per lasciare quel-
la signora con le sue depressioni di classe per imbattermi
in giochi da bimbi sotto un sole che non aveva punti de-
boli. Era la seconda volta che il comportamento di un
componente di quella famiglia mi portava a sfogarmi tra
le innocenti follie di Luisa. Mi sentivo in colpa per il fat-
;
to che la usassi come un farmaco generico. E se si fosse
messa anche lei a comportarsi in quel modo? Non avrei
avuto il coraggio di andarmi a rifugiare nelle sue bambo-
le. Chiunque si sarebbe accorto facilmente che non ero
stato fatto con la maestria di un maestro artigiano.
Luisa guardava il mare in lontananza. Non pensavo di
trovarla in un atteggiamento da adulto proprio nel mo-
mento in cui stavo fuggendo da quello. Ero convinto che
avvicinandomi mi sarei reso tranquillamente conto che le
cose erano molto diverse da come apparivano. Dovevo fare
dei metri sotto quellestenuante sole per combattere la di-
sillusione. La sorpresa per quella mancanza di stimoli mi
aveva reso meno resistente ad un caldo che invece di arriva-
re con educazione tendeva a bruciarmi senza intermediari.
Veronica mi ha irritato. Sembrava gelosa perch non le
avevo ancora fatto capire dove ero stato. Si comportava
come se mi volesse ancora bene. Ed era proprio questo
che mi faceva arrabbiare. Io non volevo il suo bene. Non
ero il suo gatto a cui avrebbe voluto dar da mangiare tut-
ti i giorni. Di Renzo non mi preoccupavo nemmeno pi.
Lui aveva fatto la stessa cosa con me. Non volevo il loro
bene. Non volevo i loro discorsi. Era come avere un padre
ed una madre che mi avevano abbandonato sulla strada
per mare e che dopo anni mi avevano fermato per strada
dicendomi che ci erano rimasti male quando non li avevo
salutati.
Per me non cos semplice, mi ha detto. Per me era si-
curamente pi difficile, o lo era stato. Non mi sarebbe ba-
stato il bacio della buonanotte nel caso mi fossi trovato
sulla soglia della notte, del sonno, con lei che si prendeva
cura a tutti gli effetti di qualcun altro.

Veronica si messa a piangere. Non capivo cosa signi-


ficassero tutte quelle lacrime. Le donne dovevano avere
delle riserve dacqua come i cammelli, se a cuor leggero
buttavano via quantit di liquidi tanto elevate. A me non
veniva di consolarla, anche perch non capivo esattamen-
te cosa fosse successo, n avevo voglia di fare altre indagi-
ni. Per me era un altro fatto strano con cui non andavo
daccordo. Nientaltro, come lo era soffrire ancora in un
certo modo. Lei continuava a piangere, con calma e con-
tinuit, senza strappi, che forse reputava stupidi. Aspetta-
va che io cominciassi a parlare. Ma io non volevo espor-
mi per poi scoprire che era tutto frutto della sua capacit
di avere capricci nei momenti meno opportuni.
Si calmata e mi ha guardato. Veronica insisteva a
prendersi le mie attenzioni pi evidenti, prima di inabis-
sarsi dove io non avrei avuto il coraggio di farmi vedere. Le
donne non sanno mai cosa gli serve per vivere, cos cerca-
no di prendere quello che nelle loro possibilit, tanto per
essere sicure. Veronica si accingeva a comprare tutto a po-
co prezzo. Le donne non hanno il senso della giustizia. Per
loro una cosa si fa, poi ne riparliamo con calma.
Ad un tratto mi ha detto: provo ancora qualcosa per
te. Non sono stato pronto a replicare. Con lei avrei avuto
dei problemi in un dialogo prevedibile, figuriamoci dopo
una frase del genere. Quelle erano proprio le parole giu-
ste. Il modo pi semplice di tenere nei pressi un uomo e
farlo andare e venire senzacqua per giorni. Dovevo cerca-
re di non cascarci.
Provava ancora qualcosa per me. E me lo aveva detto.
Voleva un sedativo? Veronica fuggita verso la sua stanza.
Per seguirla sarei dovuto entrare in cucina, dove sua ma-
dre stava sicuramente cucinando. Se lei fuggiva da me,
,
mantenendo salve le proporzioni, io cosa avrei dovuto fa-
re? Costruirmi un razzo ad un posto per osservare la Ter-
ra da lontano? Mentre ci pensavo lei toccava maniglie ed
entrava in interni familiari. Io rimanevo al buio non sa-
pendo se fossi un mostro o uno che doveva scontare una
parte della pena quando riteneva di non avere pi debiti
con la legge.
Sudavo. Reagivo in qualche modo, forse alla cosa pi
impropria. Ho tenuto testa al suo capriccio. questa la
tragedia della donna: non dividere mai legoismo dallo
schianto, la dignit dal bisogno. Mi sono chiesto se fosse
stata abbandonata da Alberto. Se, mentre parlava col de-
tergente al posto della saliva, lui tendesse a guardare in di-
rezione della costellazione di Orione. Veronica non avreb-
be accettato di essere sconfitta da qualcosa con un nome
del genere. Ed io continuavo a mantenere un certo lega-
me con lei. Era uno sbaglio che avrei pagato in vecchiaia.
Anche la mente ha le sue artrosi, e quella era tutta umidi-
t non filtrata.
Cosa fare? Non potevo rimanere a lungo fermo ad
aspettare che ci capissi qualcosa. Non era il momento
adatto per spargere spunti per nuove voci. Non cera nes-
suno in giro. Poteva essere anche una cosa abbastanza
buona, non fondamentale, ma di cose fondamentali allo
stesso tempo ne sentivo la mancanza e ne avevo piene le
scatole. Mi era rimasta limpressione che lei non avesse
dato prova di maturit, e che io mi fossi comportato mol-
to bene. Che se ci fosse stata unaltra occasione per ripe-
tere gesti e parole non me la sarei lasciata scappare. Vero-
nica era una bambina viziata. Io un bambino che aveva il
vantaggio di non avere adolescenze da superare. Potevo
fare quello che volevo di me e del mio tempo, senza do-
,c
ver dare conto a lei. Questo era chiaro prima del mio an-
dare in barca, durante e dopo. Poteva anche bastarmi. Per
me era sempre stato dolce avere delle direttive personali.
Ero sbalordito. Invece di entrare in macchina ho volu-
to fare un giro per quelle stradine che si popolavano de-
state mentre dinverno si mantenevano in forza per una
nuova stagione. Invidiavo quei posti che sapevano quan-
do dare il massimo. Mi serviva del buio per pensare, per
considerare gli ultimi eventi della mia vita. Era quasi un
dovere morale a cui non potevo sfuggire. Dovevo dare il
giusto posto a certe parole, anche se avevo limpressione
che fosse tempo sprecato. Ma quale non lo era?
Che estate sarebbe stata la mia? Il caldo che spingeva
le persone a farsi vedere pi spesso mi costringeva a fare
qualcosa che gli assomigliava molto. Era chiaro che non
potevo che girare intorno ad un certo tipo di persone, per
il momento. Non ero ancora cos libero da scegliere di ri-
durmi a fissare delle pareti bianche che guardavo da una
vita. Non avevo bisogno che tutto fosse perfetto. Forse
avrei dovuto passare dei soldi, sostenere in qualche modo
le difficolt che trovavo sul mio andare in luna storta.
Senza di loro non sarebbe stata la stessa cosa. Ed io cono-
scevo bene solo quella direzione. Non faceva parte di me
mettermi a sperimentare nuove strade per sfuggire a qual-
cosa o per lasciare in giro tracce contraddittorie. Ero quel-
lo che mi era successo? Ero soprattutto quello che pensa-
vo di fare, quello che mi sarei messo addosso.
Cerano olivi accanto a me, e non faggi. Gli olivi po-
tevo anche sopportarli. Erano i pini che non capivo per-
ch esistessero. I pini sporcavano a lungo sotto di loro, co-
me se continuare la loro presenza oltre il tronco fosse un
dovere a cui non potevano sfuggire. Non mi sarei per-
,:
messo di parlare con degli alberi, anche perch avrei do-
vuto fare delle distinzioni tra specie vegetali. Aveva fatto
bene Veronica ad andarsene. Fosse stato per me non lo
avrei fatto succedere troppo facilmente. Lo sentivo come
un divertimento che poteva darmi tanto quellosservarla
mentre cercava probabilmente di nascondere dei pensieri
tra il proibito e il bambinesco.
Sarei andato dallaltra parte della strada. Dovevo per-
dere tempo. Ne avevo in eccesso. Sarei andato verso il ma-
re, mentre Veronica aveva davanti la mia faccia e quella di
Alberto che danzavano come scheletri. Veronica non si
rendeva conto. Per lei andava benissimo una cosa, andava
benissimo unaltra. Il mare e la montagna, se la montagna
aveva un lago con delle pietroline ai bordi che potessero
sostituire la sabbia. E la sabbia che aveva deciso di prefe-
rire era quella che non si appiccicava sulla pelle per rovi-
nare leffetto bagnato.
Non riuscivo pi a tenere il conto dei pensieri. Da
molto non vedevo Sara. Doveva essere diventata una co-
stante nel corredo di quei due fratelli che riuscivano a gio-
care a nascondino e a videogiochi con lo stesso entusia-
smo. Erano di quelli che prendono le cose come arrivano,
anzi gli vanno incontro, pian piano, anzi si spalmano
qualcosa dinnaturale sulla loro pelle non consumata.
Larte pu essere di tutti. Larte viene presa in braccio
perch reputata non in grado. Poi viene circondata da fio-
ri finti con dei colori improbabili. La utilizzano. La spo-
gliano, la montano, con le giuste precauzioni. La fanno
sentire una puttana che non vedr un soldo. E comunque
sia non riescono ad ingravidarla.
Cerano ville al mare ovunque. Servivano soldi per fa-
re una villa al mare. Avevano molte stanze. Io non avevo
,:
i soldi nemmeno per sporcare uno di quei bagni. Luomo
nato senza, poi forse ha pensato di fare un po di ordi-
ne, altrimenti non si sarebbe capito precisamente quale
persona potesse di pi rispetto ad unaltra. Alberto aveva
dei soldi che nei suoi discorsi non comparivano mai per
fargli fare brutta figura. Sarebbe riuscito a farli testimo-
niare a suo favore. Sarebbe stato capace di farlo. In certe
cose aveva una certa abilit.
Cerano contesti in cui io non avevo migliorie: nel pas-
seggiare, nel camminare di sera dove le luci non arrivano
perch ad un certo orario nessuno ne ha bisogno. Tra non
molto avrei dovuto camminare sulla sabbia, solo, insieme
ai resti delle villeggiature degli altri.
Il mare mi era vicino. Unimmensa mole dacqua che
aveva pensato bene di non essere potabile. Da lui luomo
prima aveva preso il pesce, poi le scatolette di tonno, i ri-
sotti alla pescatora. Con la diffusione delle piscine non ci
sarebbe stato nemmeno bisogno di andare a farsi il bagno
in quella cosa tanto sporca. Allora Alberto non ne avreb-
be pi parlato. Non avrebbe pensato allaria che era co-
stretto ancora a respirare. E come lui quasi tutto il mon-
do civile. Forse ero troppo duro con lui. Forse aveva qual-
cosa di buono. Ma il rapimento di Veronica non mi aiu-
tava ad essere obiettivo.
In un certo senso mi dispiaceva essere sempre in con-
flitto. Sarebbe potuto essere diversamente? Cosa avrebbe-
ro dovuto fare gli altri per cambiare le cose? Veronica, Sa-
ra, Alberto, le altre persone che avrei incontrato avrebbe-
ro significato sempre la stessa cosa? Di quel passo mi sa-
rei stancato di trovarmi sempre nella stessa situazione.
Luisa avrebbe fatto la bambina ancora per poco, gli altri
non avrebbero avuto la possibilit di non fare loro stessi.
,,
Cosa mi rimaneva, quale altra occasione avevo per ribadi-
re il concetto? Non sarei stato io a facilitare le cose. Do-
potutto avevo cercato di comportarmi come avevo letto
in molti libri che si erano trattenuti per i secoli. E lo ave-
vo fatto con una certa innocenza.
Non sapevo precisamente a cosa attribuire il senti-
mento di Veronica. Forse dovevo esserne persino felice.
Mi conoscevo: non sarei riuscito ad essere contento di un
altro capriccio che lei non si vergognava di non nascon-
dere. E se non fosse cos? Se Veronica si fosse pentita? Era
un bene per me avere ancora delle possibilit con lei?
Sarei arrivato vicino al mare. La sua voce aveva sempre
lo stesso tono. Il mare era un mondo saturo di leggi fisi-
che e catene alimentari, di creature con storie che non sa-
rebbero state conosciute. Era la vita che aveva provato a
fare dellaltro piuttosto che aspettarsi molto dal sole.
Quello che mi capitava avveniva ai suoi bordi, senza che
lui avesse un ruolo importante. Le mie storie non aveva-
no rispetto per chi era l da prima che io nascessi. Le mie
piroette si bagnavano dentro unacqua che non sapeva
nulla di quanto fosse leggendario.
Avrei dovuto avere pi rispetto per quella sostanza af-
fascinante che lambiva le coste, che senza di lei non lo sa-
rebbero state. Il mare dava anima a tutti i gesti che le crea-
ture viventi dovevano compiere. Senza di lui non sarebbe
stata la stessa cosa.
Era una storia tra uomini che apparentemente sarebbe
finita come una storia tra uomini. Non era necessario pren-
dere appunti. Il mare non centrava. Lui fa sempre la cosa
che deve fare. Questo vuol dire essere degno. A me manca-
va la sua esperienza, e quella sua orgogliosa indifferenza da-
vanti a tutte le sporcizie che gli buttavano addosso.
,
Non volevo che uccidere quel mio volere immaturo.
Dovevo convincermi ancora di tutto, quando ero pronto a
stancarmi di tutto. Si trattava di me. Io che stavo in salute,
e mi aspettavo di stare tranquillo, eccitato, appagato ed in
procinto di desiderare. Desiderare, amare, desiderare di
amare, non saperlo fare. Non facevo molto di pi di qual-
siasi altro bipede. Sarei potuto essere pi elegante, ma mi sa-
rei comunque avvicinato alla morte. Dovevo morire come
uomo. Rinascere in qualche altra forma che non mi facesse
scadere ancora. Essere vento tramontato, accigliato. Fonte
di dolcezza e damarezza di cui io non avrei saputo nulla.
Ormai parlavano allo stesso modo. Anzi, a volte Vero-
nica sembrava pi Alberto di Alberto. Il tipo che mi sta-
va accanto rimasto sorpreso dalle ultime parole. Forse
pensava che Veronica avesse solo un paio di gambe. Sba-
gliava. Avrebbe pensato che avesse anche un cervello. Sba-
glio pi grosso. Avevo visto la sua faccia sopra mille colli.
Quasi tutti quelli che avevo incontrato avevano un po di
quellespressione. Si crede alla bellezza come ad una ripu-
litura non improvvisa. Io ero riuscito ad amare lesclama-
zione in Veronica? I sentimenti hanno sempre le loro im-
maturit. Bisogna cambiargli i pannolini.
Era sera, ma pensare che fosse importante sarebbe sta-
to un errore, visto che capitava ogni giorno. Ti stanchi di
andare alla ricerca di cose sorprendenti. C poco a cui
pensare. Le emozioni hanno poca concorrenza, soprattut-
to a bassa quota. Intorno ad Alberto cera un vasto senso
di compiacenza. Mi chiedevo perch le idee non si rivalu-
tassero mai, accontentandosi di sgranchirsi solo un po le
gambe. Perch pensarci? Meglio guardare le nuvole. Loro
non hanno idee. Si astengono.
,,
Il tipo accanto aveva uno strano colore biondo in te-
sta. Aveva del biondo come se lo avesse fatto per entrare
in una categoria. Come se avesse pensato cos di fare il
massimo per se stesso. Visto le parole che gli facevano ef-
fetto ci poteva stare che portasse la sua vita a cavallo di
certe convinzioni.
Non volevo intervenire in discorsi che mi facevano an-
noiare, e se non mi annoiavano era solo perch cerano di
mezzo delle persone a cui avevo tenuto o a cui tenevo.
Avendo avuto a che fare con Veronica, che dovessi rite-
nermi un po colpevole delle parole che in lei non trova-
vano ostacoli e che si integravano perfettamente con le
sue proteine e lapparato immunitario? Luisa stava davan-
ti alla televisione. Ero contento per lei. Sarei dovuto an-
dare alla ricerca di cose positive che potessero ritornarmi
utili. Avrei setacciato ogni angolo che avevo a disposizio-
ne e che non era riuscito a nascondersi da me. Luisa era
ritornata ad essere quello che era prima che incontrassi
sua madre, quando non conoscevo chi le aveva dato la vi-
ta e la bambina mi serviva. Occupavo il mio tempo but-
tandolo nel mondo di Alberto. Non ero orgoglioso di
questo, ma non me ne vergognavo. Dopotutto succedeva
per motivi che non dipendevano dalla mia volont.
Lottavo contro la parte di me meno orgogliosa, contro
quella che si sarebbe messa a baciare Veronica in piena
Piazza di Spagna. Lei sarebbe stata capace di andarci per
tutto quello che si sentiva dire in giro. Cercavo di boicot-
tarla, di buttarla allangolo dove non avrebbe avuto molta
aria per respirare. Le avrei fatto rimettere i suoi peccati.
Come era saltato in mente ad Alberto di farmi entrare
nei loro discorsi? Mi sono trovato ad essere costretto a di-
re la mia sulla loro performance. Sapeva come la pensavo.
,o
Aveva avuto tutti i mezzi per farlo. Eppure dovevo ri-
spondere qualcosa. Aveva scoperto che ero stato in barca
con sua madre? Lo sapevo che se mi fossi trovato in mez-
zo ad una storia di gelosia sarebbe stata contorta e pateti-
ca. Qui era geloso il figlio, inutilmente, visto tutti i moti-
vi che avrei potuto elencare. Era anche un tantino meno
pericoloso, ma comunque era qualcosa che succedeva, e le
cose che succedono hanno sempre dei pericoli di fondo.
Dovevo rispondere. Far sentire qualcosa che avrebbe rovi-
nato tutti quei bei vestitini.
Ho fatto bene. Gli ho spiegato che facevano delle cose
semplici, e che non cera nulla da gridare. Ho fatto me-
glio del previsto. Nel parlare non mi sono nemmeno fer-
mato per vedere a che punto fossi arrivato nelle loro teste.
Alberto ha guardato verso i suoi amici. Sarebbe stato sor-
prendente se lavesse fatto perch le mie parole si erano
intromesse nel suo processo di autocelebrazione. Invece
era probabile che ci fossero altri motivi. Sarebbe stato
troppo facile vederlo barcollare utilizzando solo delle pa-
role. Per quello ci sarebbe voluto qualche buon pugno.
Mi sono ritrovato vicino al cancello. Dietro cerano le
luci. L solo delle cicale che componevano le loro solite
ballate tradizionali. Quelle mie ultime parole non aveva-
no fatto un effetto positivo. Si erano come offesi. Hanno
pensato che io avessi fatto lo spiritoso quando non dove-
vo proprio. Che ne sapevano loro di quando dovevo fare
lo spiritoso? Loro decidevano quello che li doveva circon-
dare. Era in gioco il loro benessere. Non si erano accalca-
ti tutti nello stesso posto per sentire parlare uno come me.
Andava anche bene cos, alla fine. Ero un uomo, solo que-
sto. Ero condannato a cambiare parere sulla vita solo per-
ch poteva farmi male la pancia. E, peggio ancora, anche
,;
quelli erano il mio prossimo. Non potevo non tener con-
to del mio prossimo senza essere un eremita.
Aspettavo Renzo per farmi portare a casa. Lui non in-
terveniva mai, e questo non gli pesava. Cosa serviva per
farmi trascorrere bene quel poco tempo che mi rimaneva?
Una volpe. Quella che per rincorrerla mi ha portato dove
non mi ero mai trovato a mettere i piedi, per met ab-
brustoliti dal sole di stagione.
In macchina Renzo non ha detto nulla. Magari Alber-
to gli aveva consigliato di non toccarmi pi, e di non au-
mentare la nostra confidenza. Renzo guidava bene in si-
lenzio. Non sapeva che avevo seguito una volpe, che del-
la terra dei pressi della villa di Alberto adesso era nella sua
macchina. Lo avrebbe saputo, se avesse controllato le mie
scarpe. Avevo sudato mentre lui non lo aveva fatto per far
parte di un discorso che non gli si appiccicava bene ad-
dosso. C sempre qualcosa di meglio da fare, anche
quando non c proprio alcun dubbio.
Ho osservato Renzo guidare. Un tempo siamo stati
amici. Poi lui ha trovato le porte del Paradiso, e stava pro-
vando a farsi fare una copia delle chiavi. Luomo che cer-
ca la felicit il pi delle volte pare un bambino che aspet-
ta le caramelle da un sale minerale. Ed ancora pi goffo
quando pensa di averla trovata. Quando capita fa di tut-
to per mantenere le cose come sono. Inizia a parlare qua-
si a bassa voce, dorme sulla punta della poltrona.
Ho seguito una volpe. Quel pensiero non mi abban-
donava. La volpe avrebbe potuto raddoppiare la sua velo-
cit. Era andata a galoppare in un campo che doveva aver
avuto una vegetazione molto pi gloriosa dellodierna
manciata di erba secca mangiucchiata. Il suo corpo ha
continuato ad affascinarmi, come era successo con Vero-
,
nica, che tutto era tranne una volpe. Avevo corso un po,
ma non sarei riuscito mai a guadagnare qualche metro.
Mentre cercavo un tentativo vano non ho avuto il tempo
di rendermi conto di come stavo passando il tempo. Me
ne sarei ricordato.
Nella macchina non ho parlato della volpe con Renzo.
Non ho parlato di nulla. strano come possano succede-
re delle cose tanto diverse a pochi metri. Ero contento che
ci potesse essere una possibilit del genere. Cos non era
pregiudicata la vita di certi animali valevoli. Siamo arriva-
ti a casa un po tardi. Renzo non mi ha detto nulla men-
tre scendevo dalla sua vettura. Anchio ho preferito non
aprire bocca, perch quello che ne sarebbe uscito non era
un augurio di passare la notte in maniera decente. Quan-
do la sua macchina ha girato langolo ho sentito dentro di
me la certezza che di Renzo ormai dovevo parlare al pas-
sato, che non facevamo pi parte della stessa manciata di
persone. Non mi sarebbe importato pi molto. Avevo
perso certe sensibilit che mi potevano rendere vittima di
colpi immeritati. Non avevo in concreto nulla in contra-
rio riguardo a Renzo e alla sua definitiva dipartita.
Mamma era alzata. Sarebbe stato meglio altrimenti.
Aveva la possibilit di parlare. Erano da invidiare i mobi-
li della casa, soprattutto quelli spolverati. Poi non lha fat-
to. Probabilmente perch sapeva che tanto non le sarei
sfuggito. Mi sono steso sul mio letto con un carico di
aspettative fin troppo elevato. Non era il riposo quello di
cui avevo bisogno. Anzi, mavrebbe fatto male tentare di
rilassarmi senza sentirne lesigenza. Non bastava sicura-
mente la corsetta di qualche metro dietro la volpe per to-
gliermi di dosso tutte le forze che avevo in dotazione. Fi-
sicamente non ero stanco. Era daltro che non sopporta-
,,
vo pi la pressione, ma non era il caso di perdermi in det-
tagli quando ormai mi trovavo nella mia stanza, con tut-
ti i miei genitori al posto giusto. Ho spento la luce sicuro
che mi sarei messo a pensare al clan di Alberto e alle sue
ottusit. Mi sorprendeva che in generale la gente fosse co-
s stupida da mettersi nelle mani di una sola persona. Ma
pareva che solo io vedessi quello che gli altri scambiavano
per altro. Non avevo la possibilit di chiamare un esperto
o di far votare i telespettatori da casa. Ero succube di al-
lucinazioni collettive.
Sarebbe stato conveniente se mi fossi sbagliato e se lo
avessi capito definitivamente. Sarei stato convinto di do-
ver migliorare di molto. Cos Veronica si sarebbe elevata
davanti ai miei occhi nel giusto tempo e nella giusta
quantit. Ma non era il caso. Pi ci pensavo e pi ero si-
curo che non avevo alcuna speranza. Mi rimaneva me
stesso. La mia percezione delle cose, i miei umori, le mie
paure che non si trovavano mai daccordo tra loro. Se
avessi pensato di pi a mangiare, a respirare invece di vo-
lere dei chiarimenti non mi sarei trovato tanto raggomi-
tolato. Dovevo preoccuparmi di come il resto dellumani-
t riuscisse a reputare ogni spostamento? In un meccani-
smo del genere ci andavo di mezzo sempre io. Avrei anche
potuto alimentare qualcosa di diverso, ma non volevo
cambiamenti sconvolgenti. Non potevo rimettere in di-
scussione le mie catene di montaggio, i miei macchinari
arrugginiti e fedeli. Sarebbe stato troppo faticoso, ed io
invece volevo una soluzione semplice e ben ponderata.
Quel giorno in spiaggia Veronica prendeva il sole tri-
stemente. Riusciva a farlo in modo triste. Alberto era in
acqua, a discutere. Nella sua vita non cambiava mai un
:cc
granch. Anche il suo modo di stare in acqua assomiglia-
va molto a quello del giorno prima, e a quello del giorno
ancora prima. Non avrei cercato di dimostrare la sua in-
consistenza partendo dal fatto che non conosceva modifi-
che di un certo livello. Nemmeno io ero un mutante.
Non era questo il punto, da quello che avevo capito.
Veronica non si muoveva. Io continuavo a guardare
dalle sue parti. Non cera un altro luogo che potesse dar-
mi pi motivazioni. Lo facevo perch era inoffensivo. Pas-
savo solo il tempo. Anche un mio respiro serviva a poco.
Anche nel riprendermi Veronica, di cosa sarei dovuto es-
sere contento cos tanto da risultare un macchinario feli-
ce della produzione? Veronica non aveva il potere di ri-
condurmi nel selciato in cui non mi aveva ancora fatto
sentire un randagio preso a calci da tutti. Da quello che
vedevo le sarebbe costato troppo. Non lo faceva per catti-
veria.
Il sole era forte. Stavo sotto lombrellone di Renzo, che
in certe situazioni pratiche continuava a fare lamico. Ac-
canto, una famiglia di un numero precisato di elementi,
un numero che chiunque avrebbe saputo indovinare. Nei
dintorni avevamo una salute almeno decente. Nessuno si
sentiva male nel raggio di decine di metri. Mi bastato
per mantenermi tranquillo e per accettare quel momento
di passaggio. Ero sempre stato bravo ad accontentarmi
quando era intelligente farlo.
Le cose sono un po peggiorate. Veronica ha pensato
bene di venire a parlare di Alberto. Di uno che ne faceva
quello che voleva.
Ci che succede in vita raramente ha un grado di di-
gnit decente. Non era decente che io spazzolassi ancora
con il mio sedere quella spiaggia. Cosa si poteva risolvere
:c:
tra me e lei? Avrei dovuto accontentarmi di prenderla,
portarla con me senza chiederle dei suoi sentimenti. Vi-
vere di lei senza che se lo meritasse. Lei era diventata ca-
pace di prendere il sole da triste essenza, e disperata, per
uno che faceva il profeta a bagnomaria.
Aspettavo solo che tutto mi sembrasse normale. La
mia rovina era stata quella di essere nato dalla carne, con
laggiunta di un pianto che sarebbe stato pi decoroso
non avere. Avevo molto da spartire con il resto delluma-
nit. Sono cose che non si dimenticano. Almeno, non co-
me altre meno rincarate. Fin da piccolo mi ero compro-
messo. Non potevo pi recuperare, anche se mi avrebbe
fatto molto bene ritornare ad essere libero dalle mie rea-
zioni.
Veronica era venuta a sedersi sotto la mia ombra, ma
non metaforicamente. A me non era mai piaciuta la
spiaggia schietta, eppure mi mettevo a buttare mattinate
intere con la speranza di fare la cosa giusta. Con Veroni-
ca che era ritornata al suo posto il tempo aveva perso del
senso, anche se per un mio bene personale cercavo di non
esagerare in certe sottrazioni. Era solo venuta a farmi sa-
pere che per Alberto lei non aveva pi tutta quellimpor-
tanza. Cos aveva capito da certe parole. Alberto si era
stancato di portare sempre quella maglietta? Era proprio
il primogenito dei nostri dolci giorni squallidi.
La donna che era mia non era di Alberto perch cos
aveva deciso lui. Non riuscivo a non sentirmi sulla pelle la
certezza che non potevo aspettarmi molto da spiriti che
banchettavano seduti su poltrone mentre io mi impegna-
vo ad aggiustarmi bene le cosce per non stancarmi.
Il gesto di Veronica era stato risolutore. Aveva resistito
ben poco a me. Sicuramente era ancora accalorata dalla
:c:
nostra relazione, ed andava in fiamme fastidiose. Ed io mi
trovavo ancora da quelle parti, a vedere marcire anche i
suoi sogni. Stavo prendendo tutto troppo seriamente.
Mavrebbe fatto bene cambiare catalogo, ma erano in gio-
co cose troppo importanti per spostarmi veramente da l.
Eppoi, se eravamo nati non si era in dovere di fare la no-
stra parte anche nella consapevolezza che non saremmo
arrivati a nulla? A questa domanda sarei riuscito a rispon-
dere in maniera diversa senza il tormento per non essermi
schierato chiaramente.
Per complicare il mio giorno di solleone comparsa
Sara. Non cera stato nessun segno che mavesse avvisato
di tanto. Lei non sapeva nulla di quel posto, di come i
granchi non venissero a deporre le uova. Era venuta in co-
stume da bagno. Non era stata trasportata improvvisa-
mente da qualche marchingegno fantascientifico, ma ave-
va fatto in modo di trovarsi pronta. Perch essere cos sor-
preso? Era una cosa normale andare a salutare un amico,
che in precedenza era stato pi di un amico. E comunque
si era risolto sempre in un abbellire o denigrare lo stesso
sostantivo. Cera ben altro di cui stupirsi. Lincoerenza
non pi un fenomeno inesplicabile. Anzi, si riesce per-
sino a farne unarte, o una virt, o magari un modo per
non essere abitudinari.
Con Sara ci eravamo lasciati non bene. Cos almeno
mi era sembrato, ma il fatto che si trovasse ancora sulle
mie tracce mi faceva sospettare che la mia percezione non
era stata esatta. Sara doveva essere ancora molto legata a
me. Non capivo nemmeno questo. Forse se su un giorna-
le fosse uscita la sua classifica del momento non sarei sta-
to pi a capo di tutto, ma mi sarei trovato ancora molto
in alto, dove tutti avrebbero potuto leggere con comodit
:c,
il mio nome. Non mi rendevo conto se mi facesse piace-
re o no. Sapevo solo che era uno dei miei venti pensieri
giornalieri.
Veronica ha osservato Sara con uno sguardo che avrei
preferito non vedere. Si alzata. Per me poteva anche
mettersi ad ingoiare sabbia. Mi dava fastidio questa sua
gelosia gratuita. Pareva che gli altri non avessero il dovere
di essere accettabili. Rincorrevano con foga eccessiva ogni
luce improvvisa che potesse risultare conveniente. Come
se dovessero essere sempre scusati. Il mio sbaglio era stato
quello di non essermi preso un posto in tribuna, trovan-
domi in mezzo alla loro polvere. Ma forse ero troppo se-
vero con me stesso. Non avevo avuto mai veramente la li-
bert di liberarmi di tutto.
Sara mi si seduta accanto, sul mio stesso asciugama-
no. Era solo una ragazza che stava cercando di fare la co-
sa giusta, nientaltro. Se era altro sarebbe stata lei a darmi
tutto il tempo necessario per capirlo. Sara voleva passare
del tempo con me, anche a costo di toglierne ai poeti. Po-
teva anche non essere cos. Magari erano irraggiungibili,
magari quel tempo doveva essere comunque buttato. Po-
tevo essere il primo cassonetto temporale nei dintorni, an-
che se lei non era il tipo da avere questo tipo di lucidit.
Aveva fatto della strada per rivolgersi a me, per vedere
quali erano le azioni che si perdeva, per sentire le parole
che in passato lavevano resa succube, prima che cono-
scesse altro. In fin dei conti accanto a me si erano seduti
i suoi bisogni per tanto tempo.
Sara aveva ancora da offrirmi la sua parte di umanit.
Con sincerit. Aveva i suoi sistemi. Non sarei riuscito mai
a toglierla dalla sua gabbia, ma non per questo dovevo re-
spingerla. Lei faceva parte del grande numero. Nel gran-
:c
de numero un grido lo si sente, anche se si deve andare a
vedere se stato lanciato per un mal di denti o per una
pena damore.
Veronica ricomparsa. Mi ha chiesto se poteva rima-
nere, ma non lo ha chiesto a Sara. Non la conosceva nean-
che. Si andata a sedere accanto a lei, forse per tenerla pi
sotto controllo. Era il modo pi carino di illudermi che
contassi ancora qualcosa. Sara ha chiesto cosa facevamo di
solito in spiaggia. Dovevo risponderle. Non potevo man-
darla via senza che ne sapesse qualcosa. Aveva dei colori
sul costume che stavo vedendo in giro da parecchio tem-
po. Lei non si vergognava di girare con della tinta con-
sueta. Ne avrei tenuto conto nella risposta, ma non se ne
sarebbe accorto nessuno.
Ero solito far pesare le cose alle persone. Come il fatto
che Sara si fosse decisa a vestirsi come qualsiasi ragazza
della sua et. Lo sentivo come un fatto personale. Pi che
egocentrico ero masochista.
Ho tardato ad elencare le azioni preferite da noi spiag-
gisti. Cos le ha risposto Veronica. Io non lavrei fatto con
tutto quel senso di dignit. Anzi, sentendola parlare vole-
vo interromperla perch a me pareva che esagerasse, e di
molto. Ma era nel suo stile. E comunque nel sentirla par-
lare di Alberto e del suo gruppo io ci avrei trovato delle-
sagerazione anche se avesse cercato di sminuirli. Veronica
ha cominciato a spiegare quello che faceva il gruppo e non
quello che facevo io. Da un certo punto di vista poteva an-
che essere un favore: non cera nulla di interessante per Sa-
ra in quello in cui ero impegnato tutto il giorno. Fissare
lacqua che ondeggia non doveva essere una rivelazione.
Le cose si aggiustavano in maniera poco decorosa per
me. Avrebbero parlato tra ragazze. Quando una ragazza
:c,
riesce sempre a stimolarsi bene nel trovare una sua simile
e discorsi di una sua simile. Sara si interessava a cose pi
consistenti, ma non avrebbe disdegnato qualche sana
chiacchiera da femmina.
Si riesce spesso a parlare di futilit anche nel campo ar-
tistico, come se larte si mangiasse a colazione. Esiste mol-
ta gente che riesce a farlo pensando, prima di andare a
dormire, di aver dato molto alla cultura. Anche nellarte
si sporcati. Da artisti devoti allattimo che cercano di
creare il bello anche nello spalmare della marmellata. Sia-
mo veramente penosi pi quando tentiamo di essere in-
telligenti che quando ci abbandoniamo allignoranza.
Non riuscirei a pensare ad una creatura pi goffa delluo-
mo. Nel senso che sarei costretto a distogliere il pensiero
per non sentirmi male.
Sara parlava a Veronica di certe sue leziosit. Non era
il modo migliore per colpirmi piacevolmente. Ma dovevo
capire il contesto. Veronica era un contesto. Probabil-
mente Sara mi amava ancora, se vogliamo essere avvol-
genti a tutti i costi, e Veronica era la persona che ostaco-
lava certe mie realizzazioni. Sara con meticolosit cercava
di analizzare le sue giornate estive, di afferrarne i partico-
lari e di servirle in piatti ricamati ad una ragazza che era
stata respinta da qualcuno che lei considerava al di sopra
delle parti. Cos quelle due diventavano lesempio di co-
me il destino di ognuno sia nello scegliersi la tabella dove
rimanere invischiato.
Le donne mi portavano a fare delle cose ridicole che da
solo non sarei riuscito a compiere. Da solo io non avrei
passato una mattina a guardare il costume da bagno della
mia ex imbevuto di acqua e sale mentre la sua lingua
emetteva delle ordinanze da far sorridere. Le donne erano
:co
di pi di noi maschi. Nel parlare con qualcuno avevo
buone possibilit che fosse una donna. Loro erano at-
traenti gi con il solo esistere. Non cera bisogno che si
esponessero. Bastava durare al tempo.
Le due ragazze parlavano in continuazione. Non ave-
vano fardelli o elastici che ne rallentassero le giunture. O
sapevano fingere o avevo sopravvalutato le loro fonti di
dolore e fastidio. Veronica non si interessava pi al suo so-
gno di sproloquiare con quel Cicerone in umido? Sara
aveva dimenticato i suoi sentimenti controversi, il resto
del suo passato? Io ero solo, per una serie di motivi, e non
riuscivo a convincermi troppo facilmente che non si po-
teva avere altro che quello. Non riuscivo ancora tranquil-
lamente ad accettarlo. Mi rivoltavano nel pantano che
avevano creato senza essersi mai viste prima a casa di una
delle due per provare per interi pomeriggi.
Veronica ha chiesto a Sara dei suoi amici. Quei due
fratelli di cui uno prendeva in faccia il vento delle inno-
vazioni e laltro gli raccoglieva i denti che trovava a terra.
Chiss quanti altri tipi del genere circolavano vicino alle
arcate mascellari di quei due fratelli, che tutto mi erano
sembrati tranne Caino ed Abele. Nella musica rock cera-
no stati esempi di fratelli, due di solito, che aprivano un
gruppo e non sapevano pi richiuderlo.
Hanno approfondito il discorso sui due fratelli. Si con-
tinuava a parlare di persone che non avrebbero dovuto gi-
rarmi tanto attorno. Cos anche la parola mi si ritorceva
contro. Non era giusto che Veronica avesse a che fare con
quei due. Mi pareva eccessivo confondere gli errori di
quelle due ragazze. Era ormai ora di ritornare al punto di
partenza e di regolare tutto seguendo una logica meno
immediata ma pi importante. Dovevo decidermi a fini-
:c;
re lestate tra i vani della mia casa. Cera da pensare al mio
futuro lavorativo. Gli unici lussi che avevo conosciuto mi
erano scaduti in mano.
Veronica ha invitato Sara a fare una passeggiata. Aveva
bisogno di compagnia che non fosse la mia. Forse non ne
era nemmeno consapevole. Cos mi toglieva unaltra pre-
senza femminile dopo la sua. Non pensava mai al male
che le sue azioni potevano farmi. Si sottovalutava. Luni-
ca volta che Veronica era umile mi trovavo a patirlo pro-
prio io. Con Sara presente non avevo un gran vantaggio.
Senza Sara sarei riuscito a sprecare qualche altro pensiero.
Se ne stavano andando. Non mi hanno nemmeno
chiesto se volessi andare con loro. Non potevo guardare
da nessuna parte, ormai. In acqua stavano decidendo il
futuro planetario, sul bagnasciuga due ragazze che mi ave-
vano accettato a gettoni cercavano di legarsi. Dovevo es-
sere contento che nessuno mi stesse chiedendo niente. Po-
tevo guardare gli altri impegnarsi ad essere qualcosa. LE-
state permetteva a chi voleva fermarsi di farlo senza darlo
troppo a vedere. Se ne stavano andando.
A Sara doveva mancare unamica. Era stato troppo fa-
cile per Veronica prendere il malloppo e dileguarsi. Non
dovevo illudermi oltre. Stavo perdendo il mio tempo, e a
conti fatti era un bene. Non era un bene il modo, ma ave-
vo parecchio tempo per perfezionarmi.
Se ne sono andate. Sarebbero tornate, ma quando a me
non sarebbe pi servito. Era la cosa pi importante: che
non mi servissero. Negli ultimi tempi riuscivo a parlare
solo con me stesso. Poteva essere un modo come un altro
per avere comunque sempre ragione. Quelli che si trova-
vano in acqua non me ne avrebbero mai data, nemmeno
un po di quella avanzata.
:c
Non me ne andava bene una, di persona. Esageravo o
il resto del mondo aveva molto su cui lavorare. Mi senti-
vo depresso. E non era troppo in tinta con tutto quel so-
le. Era giunta lora di finirla come uomo. Come donna
non valeva nemmeno la pena di cominciare.
Era ora di finirla come uomo. Uomo che desidera, a
volte ardentemente, che vuole il proprio benessere e va a
rovistare dove trover altre mani con le stesse ferite. Al
massimo dovevo essere una creatura che cercava il modo
per esserlo sempre meno. Avevo bisogno di svanire, di esi-
stere solo nel passato. Volevo tranquillizzarmi, non aven-
do n passato n presente.
Cosa ci facevo sotto il sole con Alberto e Veronica? Era
stata lei a chiedermelo. Aveva preteso molto. Io dovevo es-
sere presente mentre un tale che avrei ubriacato con le sole
congiunzioni si accaniva in modo spasmodico contro di lei.
Il bello della storia era che non potevo intervenire, proprio
perch lei non sarebbe stata daccordo con le mie parole,
non capendole neppure. Ero orgoglioso di essere uomo, ma
pi che altro di essere capace di resistere ad esserlo.
Mi chiedeva molto, ma lo stavo facendo. Ormai se-
condo le previsioni sarebbero dovuti essere gli sgoccioli.
Non potevo rovinare tutto per qualche ultimo sforzo, an-
che se era uno strano modo di passare un momento in
mezzo ad un pomeriggio estivo passeggiare sotto un sole
delicato ma presente accanto ad una ex che cercava di re-
cuperare con chi me laveva resa ex. Non capivo se non
avevo nulla che poteva assomigliare ad un orgoglio o se
ero tanto coraggioso da risultare inverosimile. Nessuno di
quelli che conoscevo sarebbe stato capace di fare una co-
sa del genere.
:c,
Veronica parlava con Alberto. Questo non era un be-
ne per lei. Gli occhi di quel tale non si muovevano mol-
to, mentre i miei non sapevano pi dove andare a pog-
giarsi. Questo non era giusto, se si teneva conto del fatto
che in definitiva l io non avevo nulla da guadagnare.
Sono stato costretto a sentire frasi intelligenti usate in
modo stupido. Capitavano due delle cose meno giuste:
che Alberto avesse dei giudizi positivi sulla propria perso-
na, e che si mettesse a rifiutare la gente come se lui si tro-
vasse sulla Terra solo per una gita scolastica. Questo mi fa-
ceva pensare agli strani criteri che si seguivano nel dispen-
sare potere. Nemmeno con le ricchezze si faceva tanto ma-
le. Le ha detto che non c stato mai nulla di importante
tra di loro. stato troppo duro per non farmi provare di-
spiacere per Veronica. A livello personale non mi interes-
sava pi il risultato dellincontro. Era un buon segno.
Unaltra di queste osservazioni e li avrei lasciati per andare
a vedere a che stavano le formiche con i loro rifornimenti.
Alberto parlava di tutto senza guardarmi minimamen-
te. Eppure almeno un cenno doveva sprecarlo. Stava par-
lando di giorni in cui avevo avuto del dolore sparso den-
tro. Anche buona parte del mio tempo mi aveva comple-
tamente escluso dai suoi giochi. Veronica lo ha attaccato.
Non me lo aspettavo tanto presto. Certo, avrebbe fatto
meglio a non piangere mentre tentava di colpire, ma for-
se era arduo chiederlo ad una come lei. Gi era molto che
fosse tanto isterica invece di svenire in mezzo a tutto quel-
laridume. Ero fortunato a non doverla prendere da terra.
Sarei stato costretto ad essere aiutato da Alberto. Lui era
il tipo peggiore che potessi trovare. Non riusciva ad avere
un tatto diverso. Ad uscirne con una dolcezza terribile ma
rispettosa. A guardarsi intorno spaesato. Era convinto del-
::c
le sue idee a loro modo scontate e se ne andava pieno co-
me una botte che ha fatto diventare il suo vino aceto. Al-
berto era conscio di dovere qualcosa allintelligenza? Di
dovere molto? Per questo ce lavevo tanto con il Rinasci-
mento: aveva fatto credere alluomo di essere chiss chi.
Non era il mio posto. Avevo bisogno di non farmi co-
involgere. Qualcuno avrebbe potuto scattare una foto e
poi spiegare la situazione agli astanti. Quei due non ci
avrebbero messo molto a concludere. Non pi di tante al-
tre cose che avevo aspettato. Volevo ritornare alla mia vi-
ta che prendeva laccortezza di non avvicinarsi troppo al-
la burrasca. Veronica parlava in un modo che avrebbe fat-
to chiaramente capire che si trattava di una donna anche
se avesse avuto cinque chili di baffi in faccia. Tra non mol-
to avrei trovato la salvezza. Non era il caso di preoccupar-
si. Cose del genere sarebbero state ricordi lontani. Avrei
avuto bisogno di qualcuno che mi aiutasse a riportarli in
superficie.
Veronica ha deciso, insieme a lui. Possiamo dire anche
insieme a me. Ero fuori posto fino alle ossa. Eppure quel-
la mia inadeguatezza non aveva ostacolato lo svolgersi na-
turale del destino. Dovevo dispiacermi di quella mia scel-
ta. Non avevo fatto parte della storia di quellincontro.
Alberto non si era trattenuto, e Veronica non era stata pi
forte. Non avevo fatto un servigio alla mia immagine da-
vanti ai miei occhi. Era stata una bambinata ennesima,
ma calcolata. Non cera nulla di cui preoccuparsi. Ne ero
uscito vivo, anche se iniziavo a preoccuparmi proprio per
quello. Sarebbe stato difficile per me volere ancora qual-
cosa da Veronica.
Era successo tutto il pomeriggio. La sera a casa non
cera nessuno. Mamma e pap per vari motivi non cera-
:::
no. Sarebbero ritornati dopo le ore intorno alla mezza-
notte. Ero solo a pensare. In compagnia non si pensa ma-
le. Pensa laltro, ecco tutto. Mi arrovellavo nel silenzio. Mi
tormentavo in un silenzio giusto. Veronica voleva ancora
trascinare le sue ultime speranze nella polvere alzata da un
figuro a cui io non avrei portato un fiore davanti alla la-
pide. Almeno fino a quando i fiori avessero avuto quel
prezzo. Veronica si era umiliata senza accorgersene. Aveva
ragionato come il bianco delluovo, come un abbecedario
a cui mancano delle pagine, le pi importanti. Era stata la
mia donna. Poi era diventata la calamita a cui non riusci-
vo a dire che non ero un metallo.
Avrei saputo resistere a scene che potevano tenermi in
pugno il pancreas, la bile? Non cera ancora una losca fi-
gura pronta a mantenersi in equilibrio tra i miei giudizi
affrettati e ponderati. Era sfortuna. Poteva essere credibi-
le che non esistesse nessuno che sapesse accontentarsi di
non farmi gravare la diversit al di sopra della mia suffi-
ciente voglia di essere risarcito? Luisa era una bambina
che si sarebbe presto allineata con la baraonda stupida
dellUmanit. I bambini nascevano per questo. Ero io a
chiederle un favore volendola chiusa per sempre nella sua
infanzia.
Mi conoscevo: stavo per decidere per Sara o per quegli
amici che sapevano buttare la vita e che mi conoscevano
da anni. Non sarei pi ritornato indietro. L lasciavo Lui-
sa, la signora Nadia, Veronica, Renzo. L lasciavo Alberto
a credere che Dio esistesse solo per fare persone come lui.
Nemmeno il demonio sapeva pensare orrori simili.
Ho dovuto decidere per qualche altra forma esterna in
cui parcheggiarmi, visto che stavo passando di stato. Mi
sembrato strano laverlo stabilito di colpo. Cio, quella
:::
decisione era stata preparata da unorda di pensieri che
avanzavano da tanto tempo, ma si era chiarita solo in
qualche istante.
I pressi di Alberto non mi avrebbero pi catalogato tra
i propri errori di sintassi. Ci sarei andato ancora pochi
giorni, per osservare i posti dove avevo passato il momen-
to della mia svolta. Avevo la strana convinzione che mi
sfuggisse qualcosa, che non avessi tutti gli elementi in ma-
no per liberarmi completamente. Comunque, se non ci
fossi riuscito subito avrei abbandonato tutto.
Avevo paura che quellesperienza avesse potuto rovina-
re limmagine che avevo del mare. Sarebbe stato un prez-
zo troppo alto per la mia imprudenza. Quella s che sa-
rebbe stata la goccia del vaso che non faceva altro che tra-
vasare. Non ero sicuro del mio futuro. Dovevo decidere
ancora se ricoverarmi da Sara. Cero io prima di quei pen-
satori dei suoi amici, in ordine di tempo, anche se il loro
modo di utilizzare larte era di molto pi accessibile. Ma
Sara non poteva certo dimenticare tutto il tempo che ave-
va perso ad aspettarmi alla finestra.
Avrei passato un po di tempo con Sara. Non mi ero
mai trovato ad averne tanto da offrirgliele. Era una nuova
realt che lei sarebbe stata contenta di accogliere. In realt
allinizio cero solo io per lei. Ero capace di accontentarmi
di un breve periodo di assestamento. Poi sarebbe potuta ri-
tornare libera di far andare in malora le sue possibilit ce-
rebrali. Non pretendevo che rimanesse con me fino alla
menopausa. Sara mi serviva. Non lavrei usata. Avrei solo
cercato grazie a lei di non farmi troppo male nel cadere.
Lavrebbe capito anche senza che glielo dicessi.
Quando mamma e pap sono tornati mi hanno trova-
to addormentato sul divano. Mamma ha gridato qualcosa.
::,
Nello svegliarmi ho rischiato di cadere a terra. Mamma si
sarebbe divertita molto, pap se ne sarebbe accorto a sten-
to. Non successo, eppure non ne sono stato contento
come sarebbe dovuto essere, forse perch mi disturbava co-
munque essere stato colto impreparato. In un certo senso
lei non aveva fatto tutto quello che era in suo potere per
nuocermi. Le avevo concesso la possibilit di essere cle-
mente e lo era stata. Per me era abbastanza negativo che
mamma si prendesse la libert di non approfittare di ogni
occasione per offendermi fino alle estreme conseguenze.
Mi sono diretto verso la mia stanza. Mamma avr si-
curamente pensato che non sapevo che fare le stesse cose
negli stessi momenti della giornata. Quando mi sono tro-
vato nel mio ambiente mi sono reso conto che il mondo
ostile arrivava fino alla cucina, o fino al bagno se mamma
avesse avuto dei segnali dalle sue zone intime. Anche pa-
p faceva male, a non essermi n ostile n favorevole. Ce-
ra una notte da affrontare e da riempire, ma da assonnati
era semplice occuparne una buona parte.
Sara ritornata. Ha voluto ancora parlare con me
mentre mi dirigevo insieme agli altri in spiaggia. La vita
al mare aveva la sua monotonia, come la somiglianza tra i
vari granelli di sabbia, le gocce del mare, i gesti per nuo-
tare dei componenti del gruppo. Non credevo ritornasse
tanto presto. Le doveva essere piaciuto il giro con Veroni-
ca. Le stava piacendo pi avere a che fare con unamica di
un quarto dora che sentire comporre i due fratelli. Non
avrebbe trovato quello che aveva lasciato. Veronica aveva
parlato con Alberto, e cero stato anchio.
Eravamo una quindicina. Continuavo a non cambiare
rotta. E non aspettavo nessun arrivo. Si poteva fare qual-
::
cosa di pi nella vita, anche se la differenza non avrebbe
fatto sfavillanti miracoli. Perch ero solo un individuo?
Non potevo essere un intero popolo che non vuole per-
dere il proprio passato, e non vuole nemmeno farlo vede-
re? Sarei stato sterminato, invece di essere semplicemente
ucciso. Sarei stato corpi di bimbi che avevano conosciuto
solo qualche raggio, donne violentate.
Faceva molto caldo. Grazie a lui riuscivo a trovare un
vantaggio nella mia permanenza vicino al mare. Veronica
si trovava sul fianco destro di Alberto. Aveva dellamore
costante che non voleva arrendersi al fatto che forse si era
dimenticato come si fa a non esserlo. Per lei Alberto era
ancora tutto. Per me era uno per cui poter ridere con gli
amici, quando ne avessi trovati una manciata che la pen-
sasse come me. Continuava a fare caldo. Con gli occhi me
ne andavo in giro a capire se era colpa di qualcosa in par-
ticolare. Non mi rendevo conto se Sara avesse aumentato
la temperatura, o se il mio fosse solo un modo per fare
prima a mandare al diavolo unaltra persona. Avevo il so-
spetto che dentro di me mavrebbe fatto piacere prender-
mela con chi nei dintorni era ancora il pi innocente.
Mi ha chiesto perch Veronica era sempre attaccata a
quello l. Sara non voleva vedere Veronica tanto presa da
qualcuno. Ancora unaltra prova che si era fatta tanta stra-
da per amicizia. Aveva bisogno di unamica. Laveva tro-
vata, almeno nelle apparenze dei primi momenti. Sara
aveva sempre bisogno di compagnia. Aveva dimenticato
la poesia, forse perch con lei le riuscivano pi difficolto-
se le passeggiate sulla riva. Erano delle donne, e non sa-
rebbero state altro per il resto della loro vita. Le donne
non sono fatte solo per fare lamore: sono fatte anche per
rimanere quello che sono.
::,
Sara era gelosa di Alberto. Potevamo aprire un club.
Ed io come presidente avrei cercato per tutto il tempo di
invitare Veronica con mille scuse. Dopotutto ci eravamo
scomodati per lei, e non poteva permettersi di rifiutare.
La mia amica si rendeva conto che quando c di mezzo
un ragazzo una donna di solito non riesce a dare allami-
cizia quello che allamicizia serve. Ed in effetti Veronica
non avrebbe saputo da dove incominciare per dare le-
sempio di come qualcuno potesse opporsi ad una verit
del genere. A Sara non dava fastidio come poteva dare a
me, ma la conosceva solo da poco, e lei mi aveva dimo-
strato in passato che sapeva peggiorare.
Sara mi ha detto che sarebbe stato meglio se fosse ri-
tornata un altro giorno. Per Veronica sarebbe tornata un
altro giorno. Per me non era capace di rimanere dove sta-
va. Le persone si stavano avvicinando tra loro, escluden-
domi. Forse avevano fiutato il nemico. Quelli che non
erano riusciti in passato a farlo non avevano avuto la pos-
sibilit di certi confronti. Per loro cera una grande verit:
meglio un essere umano che qualsiasi altra cosa. Per me
meglio qualsiasi altra cosa che un essere umano.
Sara sarebbe ritornata per Veronica. Proprio mentre
iniziavo a soffrire meno per quello che Veronica aveva de-
ciso. Potevo far imballare il mio cuore. I fatti sarebbero
stati daccordo con questo mio ritiro. Cos non avevo
nemmeno la grana di convincerli uno ad uno. Sarebbe
stato stressante, ed intimamente inutile. Le cose erano
cambiate da un pezzo, ma non le avevo fatte cambiare io.
Avevo il sospetto che tutto si sarebbe svolto cos, che ce-
ra una trama da rispettare, che la logica avrebbe saputo fa-
re il suo mestiere. Potevo avere il lusso di prevedere il fu-
turo. Anche a Sara sarebbe piaciuto Alberto. Tutto stava
::o
nel vedere se ci sarebbe stata unoccasione determinante.
Era sempre un girare di occasioni determinanti. Cera
sempre di mezzo la fortuna.
Chi si aspetta unoccasione lavr. A volte arriva nasco-
sta dietro una maschera davanti a cui si molto perples-
si, e a nessuno viene in mente di alzarla.
Veronica ha chiamato Sara. Lha portata nei pressi di
Alberto con un sorriso che mi pareva eccessivo. Ma nulla
ormai doveva apparirmi estremo da quando certe moven-
ze che non avrebbero dovuto considerarsi legittime si in-
stallavano con tutti i loro macchinari e la loro faccia tosta.
Ho provato a guardarli da lontano. Il sole cos faceva me-
no fatica a colpirmi a morte. Se fossi morto non sarei mor-
to come Alberto. Io mi sarei buttato come mi trovavo,
mentre lui avrebbe fatto di tutto per allinearsi le spalle, le
ginocchia, il colletto della sua camicia comprata da poco.
Nessuna parte di quel mondo era mia, e nessuna par-
te di quel tempo. Non valeva la pena di mettersi a cerca-
re. Era inutile. Da vivo non avevo pi nulla da fare, se
non dare lesempio di come non andare fieri di ogni scioc-
chezza che si faceva o si aveva. Da morto ancora di meno.
Ad essere composti in quelle circostanze ci riuscivano tut-
ti. Volevo solo che qualcosa mi finisse davanti agli occhi.
Che vedessi come ci fosse un termine anche per quello
che mi era estraneo.
Alberto si portava via anche Sara, unamica. Io non le
avevo mai rivolto dei complimenti appena conosciuta, ed
al massimo avrei potuto farlo una sola volta. Lui sembra-
va uno di quei tipi che avrebbero saputo farlo dopo mesi
di conoscenza. Io non sarei mai riuscito ad essere tanto
poco rispettoso della quantit di tempo che le cose si vo-
levano prendere.
::;
Sara aveva tutte le possibilit per essere accolta nel ca-
risma di Alberto. Era caduta in continuazione tra le pre-
stazioni di quei due fratelli abbruttiti dalle loro pretese.
Non poteva che essere incline allo stesso modo a ributtar-
si tra la pulizia concettuale di quel santone in jeans di
marca. Solo di una cosa ero contento: i due fratelli avreb-
bero avuto la scomparsa di lei allimprovviso. Stavano ini-
ziando a togliersi il pane di bocca tra di loro, quei tipi. Io
non avrei mangiato, questo era certo, ma era persino giu-
sto. Certi banchetti non erano aperti a tutti. Anzi, se mi
avessero visto prendere uno stuzzichino mavrebbero fatto
sicuramente una scenata. Non avevo uno stile che li aiu-
tasse nei momenti al limite della loro sopportazione.
Non mi faceva bene continuare a vedere certi finali.
Avrei dovuto cambiare spettacoli quotidiani, altrimenti
non sarei mai stato capace di dimenticare. Ci sarebbe sta-
ta unoccasione in cui avrei colpito i loro equilibri. Erano
tipi che se la prendevano per un nonnulla. Sarebbe stato
un lavoro facile facile anche per uno goffo come me.
Nel mondo a me circostante le cose succedevano solo
per farmi dispiacere? E se fossi io a prendermela per ogni
cosa? Se non fossi capace di accettare delle leggi che esi-
stevano da molto prima che io nascessi? Anche se era un
mio sbaglio lo volevo coltivare come il prezzemolo che
mamma da piccolo mi indicava senza sapere perch.
Quei tre si sono allontanati ancora un altro po. Due
sederi su tre erano carucci. Forse uno dei due era quello
di Alberto. Le donne hanno molto pi corpo che anima.
E se qualcuno dichiara che la loro anima come la nostra
riesco ad essere daccordo, e a dire che il corpo smisura-
tamente pi bello. Quello di Veronica, per fare un esem-
pio, quello che ho abbracciato e che ho tenuto per me
::
tante volte. Ce lo aveva Alberto. Lesistenza non aveva al-
cun rispetto. Non era nemmeno riuscita a chiudere un
occhio quando mi occorreva. Aveva fatto linflessibile so-
lo nel mio caso. Alberto avrebbe continuato i compli-
menti alla nuova. Alla vecchia non cera bisogno. Mi ri-
trovavo isolato nellarco di chilometri. Era doveroso attri-
buirlo al mio atteggiamento, al mio silenzio statuario,
mentre gli altri al massimo avevano degli schizzi ad ac-
querello sul viso. Io non avevo bisogno di altre parole, so-
prattutto appartenenti a gente che portava un tipo come
Alberto in santuari ideali per fargli celebrare riti impre-
sentabili. Pagavo cara pi che la mia la libert degli altri.
Era una cosa che non stava n in cielo n in terra.
Alberto cominciava a stendere le sue parole nelle for-
mule vincenti a cui si era affezionato. In pi era anche
bello. Come le sue parole. Tutto si trovava al posto giusto.
Solo io continuavo a sperare che lirreparabile bluffasse.
Avevo imparato a mie spese che nel mondo non era im-
portante di cosa qualcuno si interessasse, ma come. Io
non ero capace di colpire nessuno con i miei modi rispet-
tosi, discreti e pronti ad ammettere i propri limiti. Molta
gente era abusiva. Molta gente esisteva solo per scegliersi
lhabitat. E se era un ghiro non avrebbe smesso di dormi-
re solo perch si trovava in Vietnam ai tempi in cui gli
Americani si rovinavano linconscio.
Per mia fortuna cera Luisa che giocava con una ma-
schera da sub. Aveva guardato meno volte del solito dalla
mia parte, ma pi di chiunque altro. La maschera che ave-
va in mano esauriva la sua attenzione. Faceva la bambina
giusto quando doveva farlo. Per il momento era viva e sa-
na. Era giusto che tentasse di collezionare momenti di cui
dimenticarsi dopo la Cresima. Io non avevo pi let. Ed
::,
in pi mi ero dimenticato solo della Cresima.
Non cera la minima attenzione per me. Poteva anco-
ra essere una normalit. Non mi ero stancato di quel fa-
stidio? Non ancora di quegli abominevoli che adagiavano
bellezze per poi scannarle senza rendersene conto? Non di
Alberto, di Sara, di Veronica, di Renzo, di manufatti or-
ganici? Avevo ancora la voglia di trovarmi a lottare contro
quello che da me non voleva neanche un graffio.
La piccola mi ha concesso la sua maschera. Mi trovavo
in unaltra scenografia, con dei pesci che lo sapevano fare.
Erano dei piccoli cefali. I cefali erano la base da cui parti-
re per costruire tutti gli altri pesci. Bastava aggiungere,
manipolare. Luisa era stata gentile ad offrirmi loccasione
di sentire che cera ancora qualcosa da osservare tutto il
giorno. Poteva darsi che gli altri mi guardassero, soprat-
tutto il mio sedere. Forse Alberto si sarebbe fermato. E
Sara avrebbe compreso quanto erano cambiate le cose da
quando faceva strada a piedi per raggiungermi.
Avevo solo il sedere fuori dallacqua. Non cera biso-
gno di mettermi in certe posizioni per riscuotere gli ap-
plausi dovuti alla mia comicit poco edificante. Avevo so-
lo il sedere da offrire a quei papponi di ampolle violetto
chiaro. Era una parentesi della vita che non aveva davan-
ti a s molto per svolgersi, e che io avevo paura di vedere
chiudersi drasticamente in giudizi che mi avrebbero con-
fuso. Laria era leggera ed impalpabile. Fuori dallacqua il
mio corpo pareva troppo staccato dal resto per non darmi
limpressione che fosse sbagliato bivaccare sempre nello
stesso elemento. Forse lunica soluzione ragionevole era
quella di cambiare le sostanze che mi tenevano in vita. Ma
non potevo farlo senza il permesso di una moltitudine.
Mi sono alzato. Sgocciolavo, pi del previsto. Le gocce
::c
andavano a ricongiungersi a quello che erano state istanti
prima. La maschera, non impostata del tutto, si era spo-
stata dalla sua linea ideale facendomi apparire ancora pi
ridicolo. Ed ero rivolto verso quellorda di labbra asciutte.
Qualcuno mi guardava, come se non avessi dovuto trovar-
mi l a qualche metro da loro, che si arrovellavano nella lo-
ro santit ai primi assalti, con quelle poche cose in mio
possesso. Mi volevano far sentire uno straccione in una fe-
sta principesca. Nessuno di loro poteva capacitarsi che un
cefalo fosse il pesce spogliato di tutto. Nessuno avrebbe
sprecato un neurone disadattato per approfittare di uni-
dea tanto infruttuosa. Tra i loro principi doveva esserci
scritto in rosso che non si doveva perdere tempo.
Sara nellavvicinarsi si fermata a met strada, guar-
dando lontano verso quellorizzonte che non aveva colpa
delle presenze che si inquietavano e si calmavano sul ba-
gnasciuga chiaro e regolare. Fissava lontano, e per un trat-
to mi sono illuso che si stesse annoiando per colpa di
quellinsieme di cervelli a strisce tutte di un colore. Perch
aveva lo sguardo verso ci che non cera? Molti potevano
essere i motivi. Tutto era possibile, prima di rivoltarci nel-
la tomba. Sentivo freddo, per colpa dellacqua che mi aiu-
tava solo ad essere pi scivoloso. Era una cosa da tenere in
gran conto.
Speravo che Sara volesse aiutarmi. Poi ho sperato di
non sperare cos, come un pivello. Dovevo farlo il meno
possibile. Se succedeva per pensieri del genere non lavrei
finita pi. Veronica si avvicinata a Sara. Alberto doveva
aver parlato male della lontananza, o ne aveva parlato be-
ne, o ne aveva solo parlato. Si sono abbracciate. Erano
tutti gesti da donna, da retoriche fatte di carne ed emo-
zioni. Veronica ha avuto uno sguardo per me, ma poteva
:::
darsi fosse uscito male e non sapeva dove buttarlo. Ero
nella possibilit di uscire dallacqua, guardare in direzione
del cenacolo, gridare che Veronica aveva trovato il cestino
per gli sguardi storpi, ed aspettare che qualcuno si alzasse
dalla sabbia, guardasse verso di me, gridasse che Veronica
aveva trovato il cestino per gli sguardi storpi, ed aspettas-
se che guardassi ancora in direzione del cenacolo, gridas-
si che ero contento e che Alberto doveva iniziare a pensa-
re al da farsi. Ma non volevo recuperare pi nulla. Mi ri-
tiravo cercando solo di non essere influenzato troppo da-
gli ultimi eventi.
Sara aveva finito di pensare a cose remote. Ha parlot-
tato con Veronica, che le ha sorriso. Non poteva certa-
mente chiamarsi un sorriso conquistato dopo mille fati-
che. Ma a Sara come a Veronica non importava se qual-
cosa fosse una conquista, un regalo, o un furto. Era un se-
gno del destino, e solo se ci avessero pensato. Si sono ba-
ciate. Io non assaggiavo un bacio di Veronica da quando
mi accontentavo del fatto che lei non avesse ancora trova-
to chi le concedeva la possibilit di essere se stessa fino in
fondo. Non mi rimaneva che casa mia. Ancora casa mia,
infestata dai pirati, dai caimani, ma che sapeva ritagliare
il giusto posto per le mie considerazioni meno plausibili.
Su quella spiaggia solo qualche frase di Luisa aveva sapu-
to non farmi pensare alla diversit tra me e gli altri. Nes-
suno si meritava di andare al mare per rendersi conto di
questo. Vivere non valeva la pena, se per tutti quelli come
me la parabola della vita ed i suoi inconvenienti erano
identici a quelli di chi non era come me. Mi sembrava
tutto troppo ripetitivo per avere un vero valore. Se una
cosa esiste tante volte perch farla esistere ancora, ed an-
cora, ed ancora?
:::
Tutta quella gente cercava di prendere quello che po-
teva senza capire che si era segni sul bagnasciuga mentre
arriva unonda. Con chi prendersela se non cera stato
nessuno che laveva costretta? Londa cera sempre stata,
prima di noi. E noi eravamo stati lasciati l da un piede
sudato di un gran tipo che si alzava presto la mattina per
correre sulla spiaggia.
Sara se n andata. Ha dato un bacio a Veronica perch
le donne non si amano pi degli uomini, ma lo fanno ve-
dere. Ha dato un bacio ad Alberto, pagando cos le parole
che aveva sentito, come aveva fatto con me tante volte, per
cose tanto diverse, almeno per me. Anzi, solo per me. Poi
ha fatto un cenno verso dove io lottavo con lumidit.
Cerano cose che vedevo solo io. Forse ero stato fortu-
nato ad essere stato lasciato in libert, tenuto conto che
era difficile che perdonassero una versione dei fatti diver-
sa. Ero maturato dindifferenza. Me ne sarei nutrito a lun-
go. Non avevo altra scelta. Ancora non era capitato nulla
nella mia vita che mi permettesse di fare a meno delle co-
se che trovavo per strada.
Non mi volevano nemmeno come nemico.
Era strano che mamma mi parlasse proprio di quello.
Di quello che bisognava dire alle donne, e, in senso pi
ampio, alle persone. Non mi aveva dato nemmeno il tem-
po di alzarmi. Me la sono trovata davanti come fosse un
emissario della morte che ha dalla nascita un gallo dentro
lorecchio. Era strano che mamma mi tormentasse a quel-
lora. Prima di quella mattina aveva sempre avuto un cer-
to rispetto per gli orari. Con quel cambiamento probabil-
mente sarebbero state notti di tremori.
Mamma ha saputo che mi sono lasciato. Era sempre ri-
::,
uscita a sapere tutto di me, da quando andavo allasilo.
Ha sempre controllato ogni mio passo, e a volte non ce-
ra nemmeno bisogno che mi muovessi. Non ne volevo
parlare. Allesterno sbraitavano ancora molto. Tutti si nu-
trivano per dare forma a dei gesti, a delle parole. Non sa-
rei stato io a bloccare tutto. Non cera molto da discutere
con della gente che in fondo aveva fatto del suo meglio
per trovare la formula migliore e si era ritrovata in quelle
condizioni.
Non me ne fregava nulla che lo fosse venuto a sapere
anche lei. Era una di quelle cose che sembrano fatte ap-
posta per far parte della conoscenza di mia madre. Volevo
smuovere tutto quello che non accettavo. Ed una cosa del
genere era il preoccuparmi di lei e dei discorsi che avreb-
be scelto per me. Ormai avevo ben poca tolleranza. Quel-
la poca che mi era rimasta lavrei utilizzata per dare uno
sguardo al giornale.
Dopo lestate avrei dovuto lottare per un posto di la-
voro. Avrei dovuto simulare della grinta che non cono-
scevo di persona. Sembrava una resa, la mia. Era un gua-
dagnare tempo, un ragionare su come mi dovevo com-
portare, su cosa mi rimaneva ancora da fare. Dopo lesta-
te voleva dire fra un paio di settimane, che sarebbero po-
tute anche diventare tre. E lo sarebbero diventate. Io non
volevo sapere nulla del lavoro, proprio per come era orga-
nizzato, per tutto quello che comportava. Io non volevo
risultare lultimo della lista che si accingeva a far parte di
un circuito. Io volevo rimanere fuori dal resto quanto pi
fosse stato possibile. Ma non me lavrebbero consentito
senza interrarmi. Solo i ricchi potevano permettersi di es-
sere eccentrici. Quelli come me dovevano rigare dritto.
pi economico.
::
Mamma ha dato sfogo alle sue teorie sul mio abbando-
no. Era molto arbitraria. Laveva deciso lei quello che io
ero, senza fare troppe ricerche in proposito. Era la vita che
era basata su giudizi intuitivi e ridetti solo perch si erano
sentiti canticchiare in giro. Mi dispiaceva che si fosse, in li-
nea di massima, tanto superficiali. Io non potevo fare pi
nulla, se non scrollarmi di dosso degli aggettivi generici.
Tutto si rotto quando ha cominciato ad offendermi.
Sono uscito dalla stanza, e poi da casa. Non stata una
reazione comprensibile in ogni sua parte, ma non sarei
mai riuscito a non fare cos. Me ne sono andato per non
continuare un discorso che per vari aspetti non mi conve-
niva, e forse perch era veramente la cosa pi intelligente
a mia disposizione. Quello che faceva mamma con me
quando usava la lingua era solo uno sporco gioco di cat-
tivo gusto. Non mi ritenevo pronto a farne parte in un
ruolo di tale importanza. Per strada sarebbe stata tutta
unaltra cosa. Lasfalto mi ricordava nel colore qualche
dente piombato di mia madre, ma era una cosa di poco
conto.
Ero della carne che cercava un posto dove non sentire
n troppo freddo n troppo caldo. E forse nemmeno per
sempre. Si sarebbe dovuto vivere cos, pensavo, con la
convinzione di non poter arrivare da nessuna parte. Inve-
ce cera chi si lamentava, e chi andava in giro a far vedere
che stava godendo per quello che aveva raggiunto.
Dove sarei andato? Il mio paese non aveva un lago, o
dei ponti da fiume per chi avesse voluto essere medita-
bondo con un certo stile. Non sarebbe stata la stessa cosa
se mi fossi messo a guardare in direzione di un bidone
della spazzatura svuotato da poco. Il mondo mi voltava le
spalle, ed io non avevo parole per convincerlo del contra-
::,
rio. Non cera nessuno che volesse leccare le mie ferite.
Anche Sara aveva finalmente espresso tutte le sue poten-
zialit. Aveva preferito trovare quel suo mondo diverso e
meraviglioso di cui tanto mi parlava lontano dal mio vol-
to sporco di usura. Facevo bene a pensarlo. Quantomeno
mi era rimasto questo di sicuro, che quando mi adopera-
vo a fare delle previsioni, in particolare delle gran brutte
previsioni sulla mia vita, non sbagliavo un colpo. Avevo
una continuit che avrei potuto usare per guadagnare dei
soldi.
Era disagevole essere contenti di quello che era riusci-
to ad arrivare in questo secolo. Tra laltro ci si stava di-
menticando di Topolino. Tutto andava avanti. Si rime-
scolava. Nulla era qualcosa se prima non aveva fatto i
compiti.
Non volevo pi far parte di nulla.
Ho camminato a lungo. Dovevo pensare a tante cose.
Mi stava cominciando a pesare la mia situazione familia-
re, ma bisognava solo capire se fino al punto di costrin-
germi a non ritornare pi a casa. Il fatto in se stesso non
comportava delle complicazioni legali, vista la mia vetusta
et. Cera da capire se sarei riuscito a sopravvivere tra
quelle stanze infestate da mia madre. Probabilmente s,
ma sarebbe dovuto pur arrivare il momento di vivere in
maniera pi decente. Non era costruttivo dormire dove
cera gente che riteneva lo scendiletto messo ingiustamen-
te sotto i tuoi piedi.
Sarei ritornato a casa. Dovevo sommare ancora una
certa quantit di pensieri prima di essere pronto ad af-
frontare il niente senza cadere sulle ginocchia alla sua pri-
ma finta di corpo. Le mattine destate del mio paese ave-
vano un modo strano di attrarre lattenzione. Solo poche
::o
macchine, pochi pedoni, qualche cane randagio, di quel-
li che avrebbero scartato anche in un lebbrosario. Erano
gli elementi che avevano avuto in dote di avvicinarsi con
discrezione a chi non aveva voluto cospargersi i piedi di
sabbia sotto un ombrellone in procinto di arrugginirsi.
Lestate offriva molto, ma non poteva farlo ovunque. Sce-
glieva dei luoghi dopo che erano stati scelti degli uomini.
Era in un certo modo, come linverno era in un altro.
Ugualmente detraibili senza che gli dei si mettessero ad
ululare.
Alcuni bar erano aperti, come anche qualche super-
mercato. Sono entrato in uno abbastanza grande. La cas-
siera si voltata verso di me. Lo ha fatto con fin troppo
zelo, trascurando il suo lavoro e tutto il resto. Mi sono
vergognato un po di aver causato una reazione tanto
scomposta. Se il proprietario avesse tenuto conto delle
misure avrebbe licenziato quella cassiera, che, guardando-
mi meglio, si sarebbe accorta che poteva risparmiarsi in
futuro di agire con troppa precipitazione. O mamma ave-
va gi messo una taglia sulla mia testa?
Cera laria condizionata. O qualcosa che le assomi-
gliava molto. Non mi rendeva soddisfatto che si barasse
con le condizioni climatiche senza chiedermi un parere.
Quellaria snaturata mi colpiva il respiro, obbligandomi
alla consapevolezza di non essere un uomo come se ne fa-
cevano un tempo. Lassortimento dei prodotti mi ha fat-
to un certo effetto. Preferivo i supermercati agli altri ne-
gozi, a parte quelli di dischi e di libri. In un supermerca-
to trovavo soprattutto da mangiare, il che era un sollievo.
Dolcetti, salatini. Andavo pazzo per i salatini. Hanno un
loro equilibrio a cui volevo dare subito fine. Sicuramente
esistevano degli alimenti pi gustosi, ma dei salatini
::;
avrebbero avuto sempre un posto importante nella mia
vita. Chi laveva inventati? O esistevano gi da millenni,
come antipasto dei brontosauri?
Non era una cosa di cui essere fieri provare piacere
quando si compiva un gesto che serviva per fare andare
avanti il giocattolo. Mangiare dei salatini era un momen-
to che non mi creava rancore. Il rancore la misura di
quanto si sia legati a quello che ci porter a fondo. Ma
non mimportava di andare a fondo. E non volevo spre-
care il mio pensiero, anche se era una creazione nata
quando non ne vedevo il bisogno. Andavo e venivo da
quelle corsie colme di prezzi abbastanza limitati. L den-
tro era pieno di persone di vario tipo che apparivano e
scomparivano senza lasciare un recapito. Ed io per strada
non mi ero accorto che erano rimasti in tanti in paese.
Che esistessero dei tunnel sotterranei che collegavano i
supermercati alle cucine del mio luogo natio?
Cera tutto per stare bene con le papille gustative. Pro-
prio riguardo a quellaspetto non potevo dire nulla al no-
stro tempo, partendo dal tonno fino ad arrivare ai chiodi
di garofano, anche se si era dato troppo spazio agli stessi,
facendoli diventare dei protagonisti involontari. Lo era
ogni modo di rendere piacevole listante. E di solito si an-
dava a cercare dove le cose costavano meno fatica. Si fa-
cevano le cose pi stupide, e pi semplici. Non cera mol-
to da aggiungere. Tutto sarebbe stato cos ancora per mil-
lenni. Molti come me si sarebbero passati il testimone per
fare la parte di quelli che non riuscivano a leggere le pa-
role pi evidenziate.
Alberto stava diventando monotono. Di nuovo la stes-
sa immersione nello stesso posto. Ha parlato di realizza-
::
zione di unulteriore esperienza mistica. A me sembrato
solo che avesse carenza didee. Cos ha pensato bene di
non abbandonare la strada che lo aveva condotto ad esse-
re soddisfatto di se stesso. Cosa era cambiato dalla prima
volta? Io non ero molto pi abbronzato. Non avevo usa-
to il sole per quel fine. Ci sarebbe stata Sara, forse a que-
sto punto anche i suoi amici artistelli, anche se non dove-
va essere esattamente la cosa pi semplice che potesse rea-
lizzarsi. Li conoscevo, quei tipi. Erano della stessa razza di
Alberto. Non riuscivano a trovarsi in pi di uno a traina-
re le masse. Amavano la pace della loro supremazia indi-
scussa. Anche io volevo essere come loro? Diciamo che
ero troppo intelligente perch succedesse a me, e perch
lo volessi veramente. La massa non dovrebbe mai essere
spostata da dov. voluminosa e gelatinosa. A conti fat-
ti potrebbe accontentarsi di abbaiare, se lo sapesse fare.
Non mai troppo tardi per prenderne le distanze.
Nella macchina di Renzo eravamo in cinque. Cera Sa-
ra in pi, rispetto allaltra volta. Renzo guidava ancora.
Non faceva altro che prendere la sua macchina. E per Al-
berto e le sue stupidaggini trascurava il lavoro del padre.
In un certo senso stava diventando un po come me. Nel
senso che il lavoro stava assumendo anche per lui parven-
ze di fastidio, anche quello di suo padre per cui a volte
aveva litigato con me. Era stato in ferie, lo era ancora,
mancava una settimana al rientro, ma non lo avevo pi
sentito parlare di doveri davanti a cui dover fare inginoc-
chiare la mia superbia.
La musica era rimasta quella di una volta. Di questo
ero un tantino infastidito. Veronica era ancora innamora-
ta come una liceale per la quale quel professore tanto alto
avrebbe dovuto avere un cavallo bianco invece della cat-
::,
tedra. Sara era molto discreta, ma quando si d spazio ad
una passione anche una come lei poteva risultare fastidio-
samente esagerata. E quellarmonia che aveva creato con
Alberto e rotti la consideravo una vera passione. Tutto si
stava svolgendo verso scenari che a me non sarebbero an-
dati gi nemmeno dopo anni. In realt speravo che la mia
permanenza al mare potesse dare spazio ad un miracolo.
Spesso nei film avevo notato come limprevisto riuscisse a
far cambiare colore ad immensi territori.
Veronica chiacchierava con Sara. Diversamente dalla
prima volta la musica di Alberto faceva meno proseliti, al-
meno in apparenza. Quando le cose si modificavano quel
tanto quel tanto sapeva giocarsi le sue carte, nel mio indi-
ce di gradimento. La situazione stagnava, dove io non
avrei voluto. Tutto se ne andava da me volontariamente.
Ero sicuro di non tenere nascosta qualche parte del mio
passato che avrebbe potuto infiammarsi successivamente.
Alberto mi ha domandato dellestate trascorsa con lo-
ro. Che cosa aveva in mente? Sapeva benissimo che avevo
passato tutto il tempo a far combaciare il pi possibile le
mie labbra, e ad abituare i miei denti a non contare trop-
po su certi spiragli. Mi toccava rispondere in qualche mo-
do, e non potevo non prendermi qualche soddisfazione.
Veronica si arrabbiata con me. Sono stato molto du-
ro. Questo momento mi ricordava quello dellaltra volta,
con in pi Sara. Non era mia intenzione innervosire pro-
prio lei. Forse non avevo alcuna intenzione. Avevo rispo-
sto senza farmi troppo del male. Cos sono andato alla
rottura definitiva. Era successo, perch stavo in una mac-
china ripiena di facile ed innocente stupidit. Ed avevo
sorvolato su molti dettagli a sfavore dei componenti della
macchina. Alberto non lo avrebbe mai fatto. Lui non ri-
:,c
usciva a fare uno sconto ogni tanto. Sarebbe stato capace
di far pagare le buste di plastica, se avesse avuto un su-
permercato tutto suo.
Sbagliavo a mettermi contro tutti, ma doveva andare
cos. Non avrei pi potuto trattenermi tra quei volti per
me tanto familiari. Sara, la ragazza che capiva ben poco di
quello che dicevo e fraintendeva ben molto. Renzo, la-
mico che pensavo mi sarebbe rimasto con tutti i suoi in-
terrogativi a cui era preferibile non accostare mai delle ri-
sposte, qualunque fossero state. Veronica, la ragazza che
non aveva nemmeno capito quel poco di quello che dice-
vo e che quindi non aveva bisogno di fraintendere.
Ha parlato Renzo. Ha mostrato un certo vigore pro-
prio quando non doveva. Sempre che il mio punto di vi-
sta avesse ragione a fare tanto sul serio. Veronica non si sa-
rebbe permessa di parlare cos. Poteva farlo solo chi in li-
nea di massima mi aveva dimostrato di meno in un pas-
sato che non era questo presente.
Renzo ha trovato la sua salvezza. Mi stava buttando a
mare perch sarei potuto essere un pericolo. Non ne vole-
va. Per lui era giusto che si regolasse a favore di chi gli da-
va da campare meglio. Non ho guardato le ragazze. Mi
stavano sicuramente osservando. Rischiavano di rimanere
deluse dalle mie parole, anche perch non le avevo anco-
ra scelte. Me la prendevo comoda. Volevo che uscissero
una dopo laltra, che esagerassi. Anche perch Alberto era
in agguato ad aspettare la mia prima pausa commestibile.
Dopo le mie parole Renzo entrato in scena con una
parte a sorpresa. Ha cominciato a gridare contro di me
con una foga che chiunque gli avrebbe invidiato. Era in-
controllabile. stato anche costretto a fermare la macchi-
na. Renzo ormai era fuori di s. Non avrebbe ascoltato
:,:
neanche il suo capo, che era ancora il pi calmo. Alberto
era convinto di trionfare sempre su di me, e nel qual caso
non ci fosse riuscito avrebbe avuto il consenso inequivo-
cabile di tutti. Lui era vincitore comunque. Io non ero
che in trappola, peggio di un topo, perch almeno il topo
ce laveva su misura. Io sarei dovuto essere altrove. In un
appartamento nel nulla, lontano da quelle ingiustizie
estetiche. Avrei voluto non parlare pi, e riuscire a non
sentirlo come una privazione innaturale.
Anche le ragazze erano rimaste sorprese davanti a tan-
ta irruenza. Fuori la giornata non combaciava con la tem-
pesta che vorticava tra volante e cruscotto. Renzo era in
un punto di non ritorno. E nessuno doveva averlo imma-
ginato, allandata. Non parlavo. Nessuno in macchina
sembrava dispiaciuto che la situazione stesse per divarica-
re le gambe. Almeno Renzo era rosso in viso. Erano altre
le emozioni che dominavano.
Mi sono ritrovato sotto il sole. Avrei camminato. Ce-
ra soluzione per quellemergenza. Avrei sudato. Forse era
il rito dinvestitura che stavo aspettando. Era la vita che
aveva deciso per me. Si era sbrigata. Faceva caldo, su quel-
lasfalto. Mi vergognavo di tenere in considerazione solo
dei personali problemi di temperatura. Renzo mi aveva
fatto scendere. Non cera asfalto dentro le macchine.
Ho camminato un bel po. Forse ormai molti si erano
gi immersi. Anche Sara. Doveva aver fatto comprare le-
quipaggiamento a suo padre, e di un certo prezzo. Aveva
soldi a sufficienza per appropriarsi di un pacchetto abba-
stanza vasto di profondit marine, se fossero state in ven-
dita.
Alberto si era comportato da signore. Sembrava come
se non gli importasse del mio destino. Come se per lui
:,:
fosse stato lo stesso se non fosse accaduto nulla. Per lui era
semplice. Anchio ne sarei stato capace. Anchio mi ero
comportato da signore. Ma per quelli che si trovavano in
macchina potevo comportarmi anche da prelato integer-
rimo. Dopo quello che avevo fatto non mi rimaneva che
concluderla l.
Era successo che Renzo aveva deciso il modo in cui do-
vevo uscire di scena. Si era preso lui lincarico. Forse ave-
va fatto bene. Non che io ne avessi una gran voglia. Non
avevo voglia pi di nulla. Era questa la differenza tra me
e loro. Se avessero avuto meno desideri sarebbero stati pi
intelligenti.
Mi trovavo in piena estate a sentire caldo per colpa del-
lasfalto. Non era in previsione che mi dovesse succedere.
Se avessi scavalcato certe sterpaglie avrei raggiunto delle
spiaggette poco trafficate. A sinistra cerano i posti da do-
ve ero partito, a destra quelli verso cui si erano diretti quei
personaggi che avevano pi a che fare con il mio passato
che con me.
Mi trovavo alle prese con della natura che non era sta-
ta modificata. Non era servito a nessuno farlo. Era lo scar-
to. Si poteva essere se stessi solo quando si era lo scarto, la
rimanenza. Si poteva essere buttati a terra, scordati. Sec-
cati sotto il sole. Il sole non sarebbe mai stato preso. Luo-
mo si faceva del male cercando di farsi del bene. Poi si ar-
rabbiava se glielo si faceva notare.
Era stato fin troppo facile per loro. Si erano trovati
daccordo, chi con pi foga, chi con meno. Veronica si era
staccata da me definitivamente. Non aveva trovato troppi
ostacoli dentro di s. Non eravamo fatti per sperare le
stesse cose. Avrei dovuto aspettarmelo. Tutto stava andan-
do come la logica mi aveva suggerito, e nonostante tutto
:,,
continuavo a sentirmi deluso e sconvolto. Era infantile ed
umano. Dovevo solo pensare alla mia sopravvivenza. Tro-
varmi sotto il sole non faceva bene alla mia testa facil-
mente surriscaldabile. Avrei voluto sedermi e pensare. Ep-
pure non potevo. Mavrebbe fatto male tutto quel sole
schietto, diretto, e pieno di rabbia. Non cerano alberi, so-
lo piante basse che se la passavano peggio di me. Di quel-
le piante che non avrebbero mai affascinato certe associa-
zioni ecologiche. Piante basse di un colore malaticcio ed
alterato. In mezzo a loro mi sentivo a casa. Anchio ero di
aspetto umile, e non avrei mai conosciuto una vetrina.
Cera un sole forte. Mi rimanevano ancora dei senti-
menti. Io avrei voluto il giusto. Mi ero illuso. Negli even-
ti non centra nulla n la giustizia degli uomini n quella
di Dio. Gli uomini facevano quello che potevano. Non
erano portati ad essere giusti. Per questo i giusti erano co-
s pochi. Luomo in genere pigro, coinvolto. Luomo
essenzialmente coinvolto.
Non era stato un affare continuare ad insistere sapen-
do che era inutile. Sarebbe stata una lezione per qualche
altra occasione. Dovevo cercare di vederci del buono pri-
ma che fosse troppo tardi. Forse mi sarei sentito male, nel
toccare con i piedi quella sabbia che era stata trascurata, e
che aveva lo stesso colore di quella tanto ambita. Ero sta-
to abbandonato anche fisicamente. Non cerano avanzi
per me, o spiragli per rientrare in gioco. Non avrei pi po-
tuto essere improbabile stagliandomi ancora fra di loro.
Dovevo accontentarmi di mettere i piedi sul bagnasciuga,
pi sul bagna che sullasciuga. La mia priorit era rigua-
dagnare la strada del ritorno. Era la dimostrazione che
quando ci sono urgenze di sopravvivenza certi altri pen-
sieri non hanno prevaricazioni. Se fossi stato costretto ad
:,
andare a piedi per chilometri non sarei riuscito ad ucci-
dermi per Veronica. Uccidermi per una donna molto
sciocco. Nella vita ci sono un sacco di motivi pi validi.
Non mi sarei ucciso per lei. Avevo finito con le vergo-
gne terrestri. Non volevo iniziare la mia carriera celeste
con un passo falso del genere. Ero ancora rivolto a salva-
re certi effetti, anche se da un po non ci credevo come
una volta. Come a certe stelle che ancora si vedevano, ma
che probabilmente non cerano pi. La loro immagine
viaggiava ancora, per millenni. Ma io mi sarei sbrigato
prima?
Renzo non avrebbe dovuto farlo. Era capitato con
troppa semplicit. Non aveva tentato nemmeno di non
farlo accadere. Mi sarei accontentato di un tentativo qua-
lunque. Mi ritrovavo a fare della strada a piedi senza es-
sermi preparato in alcun modo. Linteresse vitale era pi
forte di qualsiasi amicizia, quando cera della debolezza in
giro. Avrei voluto concludere a modo mio. Non mi sono
tirato indietro. Ho fatto in modo che loro continuassero
la vita che amavano di pi. Ero quasi pronto a togliermi
definitivamente questo costume che mi andava stretto or-
mai da tempo. Non tutti i fatti negativi sono antipatici in
ogni cellula. C sempre la possibilit di avere delle belle
sorprese.
Sara si fatta vedere. Da qualche mattina non andavo
pi da loro. Anche Sara non si trovava in quelle zone, evi-
dentemente. Lho fatta sedere sul letto. Il materasso si
abbassato. Ha avuto la stessa solita smorfia. Le cose non
percepiscono quando un fatto pi importante di un al-
tro. Mi ha detto che aveva gridato a Renzo di tornare a
prendermi. Mi ha fatto piacere, ma aspettavo che mi di-
:,,
cesse che comunque era colpa mia. Io avevo offeso idee
che stavano aiutando tanti a vivere, e bene. Avevo man-
cato di rispetto, avevo sconvolto volutamente dei criteri
che non se lo meritavano. Ero un eversivo da cui prende-
re le distanze.
Solo Sara si era degnata di farmi visita. Alberto non si
sarebbe mai mosso, Renzo non aveva mai avuto fegato e
forse gli stava gi costando quello che aveva fatto, Veroni-
ca a differenza di Sara villeggiava al mare. Avrebbe potu-
to anche telefonare, ma non cercavo di raschiare il fondo
ormai da tanto tempo.
Non ero lunico nella Storia che aveva scoperto solo
dopo che un sentimento che provavano per lui non dove-
va essere di quelli che spingeva qualcuno a buttarsi da un
elicottero nella giungla per passarti lo spazzolino da den-
ti. La sofferenza vagava soltanto dentro di me. Non aveva
la forza per spostarsi in altri posti. Ci stavamo spartendo
il mondo, io e gli uomini. E sentivo chiaramente che non
avevo cominciato io, e che non avrei finito.
Dopo la visita di Sara di loro non ho visto pi nessu-
no. Il mio paese in estate non rappresentava unattrattiva
che mi potesse far dimenticare gli ultimi eventi. Di po-
meriggio uscivo e vedevo le insegne ancora presenti ma
nullafacenti, con le saracinesche chiuse ed ottuse. Cam-
minavo a lungo fino a sudare fin dentro le scarpe. I cani
randagi mi facevano compagnia con quel poco che pote-
vano. Ce ne erano alcuni che vedevo poche volte, ma che
mi rimanevano impressi. A volte passavo il tempo a per-
correre le strade in cui avevo la possibilit di incontrarli.
In quei giorni mi sono accorto che il rapporto con gli al-
tri era il passatempo che riusciva a far bruciare pi ore. In
passato si riusciva a stare a lungo senza accorgersi che il
:,o
tempo aveva premura di ingrossarsi. Ero riuscito a prova-
re un certo diletto a scherzare con persone tanto estranee
al mio vero io. Mi sarei dovuto sentire profanato. E ci ri-
uscivo solo quando la volgarit si coagulava intorno agli
occhi, alle orecchie. Se solo non fossi stato tanto sensibi-
le a certe cose sarei passato inosservato anche a me stesso.
Non vedevo ormai nessuno. Nemmeno mia madre mi
faceva pi tante storie. Forse si era stancata, o era riuscita
a scovare da qualche parte un altro modo di sfogarsi. Ero
in pensiero per quella sfortunata parte dellUniverso, ma
pensavo che stesse giustamente pagando perch aveva
concesso confidenza a qualcosa con le fattezze inquietan-
ti di mamma. Io non avevo avuto colpa per il fatto di es-
sere nato da quel grembo scomposto. Mi ero trovato. An-
zi, avevo il merito di aver lottato fino in fondo.
Mi sentivo lultimo uomo sulla Terra. Doveva esserci
un motivo per cui ero rimasto io e non un altro, ma non
pensavo fosse qualcosa di positivo. Non avevo pi motivo
di mettermi a cercare uno della mia razza per domandar-
gli qualcosa. Non avevo pi tutta quella curiosit che an-
ni prima mi aveva fatto sorridere spesso. Non sarei pi
stato appagato da quello che poteva capitare su questo
mondo. Mi ripetevo addosso domande che non mi ripor-
tavano lumore giusto per alleviare la quotidianit. Nel
mentre scrivevo molte pagine. Il romanzo prendeva le sue
forme e non le lasciava pi. La stanza non aveva smorfie
nuove da presentarmi. La luce era distribuita in strane
porzioni che non mi inquietavano e non mi tranquillizza-
vano. Si arrischiava persino ad essere intelligente. Volevo
consigliarle che non aveva scelto il mondo pi adatto per
elevarsi. Intanto persone che facevano piangere e ridere si
trovavano in certe esperienze particolari che la mia vita
:,;
non conosceva. Non era semplice per me immaginare le
reazioni pi consequenziali.
Il mio romanzo cercava di far diventare opera lettera-
ria quel mio isolamento, come se volesse risarcirmi di
qualche perdita. Ne scrivevo molto al giorno, molto di
pi di quello che avevo scritto in precedenza. Mi limita-
vo a vivere con due o tre operazioni. Non capivo come
potesse essere importante un gesto quando portava solo a
bruciare il tempo che ci rimaneva. Eppure dovevo riuscir-
ci. Era in gioco la mia sopravvivenza. Se ce lavessi fatta
avrei potuto mantenere le ultime speranze che non aveva-
no ancora preso il largo.
Al mondo esistevano persone che stavano godendo
piaceri e provando sofferenze inimmaginabili. Torture o
libagioni esagerate. Amori travolgenti o malattie logoran-
ti. Persone con un nome, un cognome e tante paure che
avrebbero meritato di pi.
Il caldo mi faceva ancora pensare che dinverno non si
sentiva. Mi sono alzato alla stessa ora che mi vedeva pron-
to i giorni di mare ormai passati. Non erano sicuramente
risvegli decenti, dato che le mie disavventure sociali non
avevano assolutamente in programma di darsi il cambio
con piccoli successi anche smagriti e spunti. La convin-
zione di questo mi accompagnava fino ad orari che si pro-
lungavano, senza requie. Avevo speso gi abbastanza per
gli altri. Forse mi legavo alle persone proprio per tutto il
tempo che mi era concesso di toccarle. Ma ero arrivato al
punto in cui non ero in grado di arricchire quella colle-
zione di percezioni. Il periodo non me lo consentiva.
La scrivania mi aspettava. Non era un limite fatto di le-
gno di cattiva scelta, n un modo per difendermi da certi
:,
eccessi che mi facevano del male in continuazione. Scrive-
re era la cosa che avrei dovuto fare, e che molte strane si-
tuazioni mavevano fatto trascurare. In quello avrebbe po-
tuto anche aver ragione mamma: la mia vita pubblica era
sempre stata molto discutibile per colpa di certe mie fissa-
zioni. Ma lei non avrebbe mai sprecato larco di quattro
parole di fila per descrivere o per accusare orribilmente dei
fogli, se cera la possibilit di attaccarmi pi direttamente.
Dovevo scrivere. Non cera altro di meglio da fare, se
non fissare davanti a me per non distrarmi. Avevo una
penna da utilizzare. E lenergia che continuavo a conser-
vare per occasioni del genere. Dovevo lasciare qualcosa di
me che non potesse essere cambiato per un gusto perso-
nale di bassa lega. Avevo bisogno di quelle frasi e di quel-
le figure. Nel caldo che ancora insisteva anche quando
non mi serviva pi.
Nello scrivere il romanzo avevo lasciato in sospeso la
descrizione di un bacio. Era poco decente mettersi ad in-
dugiare su un fatto tanto intimo. Se mi fossi fatto tanti
scrupoli non avrei mai occupato il numero di pagine ade-
guato a far capire a tutti che il mio era un romanzo e non
un racconto. Forse sarei stato costretto a mettere i miei
personaggi in situazioni erotiche pi di una volta. Certe
scelte mi riportavano alla mente le volte che avevo bacia-
to Veronica. Era pericoloso ripercorrere quei momenti,
ma sarebbe potuto capitare anche senza il mio romanzo. E
comunque sentivo uneccitazione strana ad avere quei ri-
cordi, come se volessero un ultimo duello sotto ad un so-
le malato. Andavo alla ricerca di scontri che potevano an-
che risultare controproducenti. Un bacio era stato lasciato
incompiuto, come la mia vita che ad un certo punto si era
guardata intorno e si era fermata, come un mulo.
:,,
Quel giorno le temperature si erano ulteriormente al-
zate. Avevo sbagliato a non essermi lasciato la possibilit
di andare al mare proprio in quei giorni che sarebbero sta-
ti i pi caldi della stagione. Il mio famoso tempismo con-
tinuava a riempirsi di gloria. Cos ho deciso di concen-
trarmi come non mai, proprio per tentare di non pensare
al soffocamento che comportava lalta temperatura. Spe-
ravo anche di non dovermi vedere danneggiato da quella
situazione. La mia storia era ambientata dinverno, e quel-
la fornace mavrebbe potuto portare fuori strada di mol-
to. Per un istante ho pensato di riprendere a scrivere
quando laria si fosse rinfrescata, in modo che il mio per-
sonaggio narrante potesse trovarsi meglio. Ma mi sono
subito vergognato di avere una creativit che non sapeva
adattarsi senza stravolgere i presupposti narrativi. Davo
troppa importanza a fattori che non dovevano risultare
decisivi. Mi comportavo come una madre che si preoccu-
pa per ogni nonnulla per il suo piccolo. Non dovevo far
nascere niente che avrebbe avuto la preoccupazione di far-
si una posizione o di radersi la barba.
Mia madre e mio padre non si erano permessi di andare
al mare nemmeno una volta, quellanno. Pap sicuramente
perch gli sarebbero pesati tutti quei granellini di sabbia sui
piedi, mamma perch in quel modo era come se avesse vo-
luto prendere le distanze da me. Adesso che mi trovavo a
passare giornate intere a casa i pesci correvano il rischio di
trovarsi di fronte una signora di mezzet che avrebbe cer-
cato di fare qualcosa per farsi preferire i Caraibi.
Ho cercato di trovare il giusto ritmo per mettermi die-
tro una buona dose di pagine. Ma non riuscivo a farlo.
Cos mi sono soffermato su tutte le incapacit che avevo
accumulato per organizzare un processo che raccoglieva
:c
tutti i capi daccusa contro di me. Mi sentivo in colpa per
non essere capace di lavorare con una certa linearit. Non
avevo fatto lunghe chiacchierate con Balzac, ma anche la
prosa doveva avere i suoi giusti tempi. Se avessi dovuto te-
nere conto della voluminosit dei libri di quel francese,
facendo dei calcoli approssimativi, la mia pigrizia sarebbe
stata ancora pi evidente. Per avevo ancora la speranza
che lui fosse vissuto fino a duecentocinquantanni. Ma
pensandoci bene nemmeno cos le pagine al giorno sareb-
bero state poche.
Nelle mie pause creative passavo il tempo in pensieri
che avevano poco a che fare con quello che pi probabil-
mente si trovava in giro. Spesso guardavo dalla finestra e
sentivo di avere una paura ben fondata a cui non potevo
appellarmi. Non sarei riuscito a trovare nulla di meglio.
Sarebbe stato per la prossima volta, in unaltra dimensio-
ne. Ma non mi andava di conoscere altro. Ne avevo ab-
bastanza, di sistemi generali.
Avevo vissuto ben altri momenti. Mi ricordavo persi-
no di giorni senza un momento di tregua. Anchio avevo
conosciuto quella giovinezza che non faceva fiatare. Ed
estati in cui si rideva senza chiedersi se si stesse facendo
una bella figura. Poi i miei amici hanno cominciato a
sembrarmi stupidi. E dovevano esserlo.
Ero reduce da Veronica. Non sempre sarebbe stato co-
s. Avrei dovuto affrontare altri dopo e altre vigilie. Lim-
portante era mantenersi nellumilt. Non cera nulla che
un uomo potesse insegnare, perch non cera nulla da in-
segnare. Non cera da parlare dei modi di comportarsi.
Meno ci si comporta meglio . Dovevo pensare solo al
mio romanzo. Le persone un giorno se ne sarebbero an-
date tutte, e molte avevano cominciato in anticipo. Io do-
::
vevo traghettarmi fino al prossimo approdo. In futuro ci
sarebbero stati i ricambi, ma fino ad allora dovevo rovi-
nare il meno possibile limmagine che avevo delle mie
possibilit. Io ero uno capace di fare lo schizzinoso.
Avevo un obiettivo prossimo: non pensarmi sporco.
Non volevo sentirmi insudiciato. Nessuno avrebbe dovu-
to gridare che anchio ero coinvolto.
La stagione del mare era finita. Finita lestate vera e
propria che buttava vicino alle spiagge la gente. Si era
conclusa tra nuvoloni affollati il giorno preciso in cui la
comunit aveva concordato. Erano passati parecchi gior-
ni da quando i miei affetti mi avevano trattato come un
ologramma da sostituire prima che qualcuno si affezio-
nasse. Non ero ancora pronto per vagare. Non ero anco-
ra tanto disgustato. E non volevo fare qualcosa. Volevo
continuare nel mio cammino fino ad arenarmi.
Fra qualche ora tutti sarebbero ritornati dal mare. Fa-
cevo ancora in tempo a non farmi trovare. Ma non sareb-
be pi venuto nessuno a riscuotere le mie parole, che mi
avevano dato limpressione di essere troppe per chiunque.
Il mio ritmo vitale non avrebbe conosciuto cambiamenti.
Solo scadenze. Tra non molto mamma mavrebbe preso e
risputato dopo aver cercato di parlare con la bocca piena.
Dovevo trovarmi un lavoro. Sarei stato spinto a farlo co-
me quei poveri condannati che nelle navi pirata si vede-
vano i denti degli squali accanto ai peli.
Dovevo ancora vedermela con tutti. Cominciare con la
parte peggiore. Chiss se sarei riuscito a mantenermi tale
e quale. Avrei dovuto trovare un equilibrio precario in un
mondo che andava deciso verso delle rapide dacqua al-
lungata con quello con cui non si doveva.
::
Ero forte della mia indifferenza progressiva.
Ho deciso di fare un giro a piedi. Il paese doveva sem-
brarmi diverso da comera durante i giorni di vacanza dif-
fusa. Ad ogni passo mi rendevo conto che la parentesi era
finita, che il mondo ritornava a pensarla come sempre. Le
macchine erano in numero maggiore, come le ragazzine
su quei veicoli a due ruote che io non avevo mai cono-
sciuto direttamente. Mentre passava un fruttivendolo con
la sua cadenza di voce microfonata ho capito che era una
specie di canto del cigno. Nel mondo finivano pi cose di
quante ne nascessero. Doveva essere una mia grossa stu-
pidit fare loffeso per certe verit. Non ero esente da que-
sti pensieri che non avevano n riscontri n giustificazio-
ni esaurienti. Il mio passo aveva una regolarit che non mi
sarei aspettato. Pensavo ancora a molte cose del mio pas-
sato. Alla maledizione che colpiva i poeti, o chi pensava di
esserlo, allinfelicit assurda di chi non doveva aspettarsi
nulla dagli altri, eppure lo faceva.
Allesistenza non bisognava dare retta, nemmeno
quando si trovava floscia a terra, in fin di vita. Una vita
valeva laltra solo se tendevano tutte due verso la stessa
direzione. A cambiare rotta non si faceva altro che riem-
pirsi di problemi. Cera da scomparire, o da rimanere so-
lo per osservare con distrazione continua il corso dei fat-
ti, le loro complicazioni, le loro facili infiammazioni. Ce-
ra da osservare, per non vergognarsi di essere presente.
Veronica non si trovava pi con me. Era come se lo
avessi scoperto per la seconda volta. Come se tutto si fos-
se svolto cinque metri prima. Avevo legato ogni mio ato-
mo a quella fanciulla. Per uningiustizia non lavevo pi.
Perch era uningiustizia che chi fosse stupido venisse
considerato intelligente. Veronica era lontana, estranea.
:,
Ho sentito limpulso di mettermi a piangere per tutto
quello che avevo perso per sempre. Avevo una strana sen-
sazione di amaro in bocca, e il bisogno di trovare qualcu-
no che la facesse ragionare, che le parlasse di me. Qualcu-
no che riuscisse dove io avevo fallito.
Come mai avevo ancora lei in testa, io che parlavo con
le Muse, anche se non mi rispondevano? Maccorgevo che
prima di essere un poeta ero un uomo. Un uomo che sin-
gozzava di carezze. Veronica era ancora presente. Non po-
tevo lasciarla seminata per strada. Avevo pensato che lei
fosse Lei, che qualcosa bisognasse fare per non traviare in
quel modo la mia vita. Dovevo essere bravo a dimenticare.
Veronica era andata via. Ero debole damore. Lo ero
nonostante avessi cercato di illudermi fino allo stremo.
Ma sarebbe passato. Perch era passato quello che volevo
fosse eternit. Non ero ancora indifferente quanto dove-
vo. Laffetto per Veronica era pi forte di quanto pensas-
si. Forse avrei abbandonato le tracce della Felicit insieme
a lei, se avessi potuto. Mi serviva qualche altra cosa da de-
molire a colpi di pensiero. Veronica era di un altro piane-
ta, di unaltra covata. Il passato non aveva pi le mani leg-
gere. Non avrebbe pi avuto riguardi per me. Era fatico-
so non riuscire a dimenticare qualche sentimento. Per
avevo la capacit di girare pagina. Dovevo solo riprende-
re le mie forze e la fiducia che avevo nella mediocrit del-
la mia vita.
Che cosa sarebbe cambiato in me se tutto fosse proce-
duto come un tempo? Lultima volta che succedeva io sta-
vo con Veronica, anche se i problemi tra di noi ci ballava-
no sulle dita pi piccole e fragili. Allora mi importava po-
co che camminando per strada non potessi mettermi nu-
do senza subire esclamazioni di sorpresa da parte di qual-
:
cuno. Vivevo con pi disinvoltura. Cera lei che mi legit-
timava. stata un narcotico che non mi ha permesso di
capire tutto.
Un cagnolino ha cominciato a seguirmi. Aveva un co-
lore candido. Quel colore mi pareva tanto strano. Quel
cucciolo poteva essere randagio dalla nascita, quindi dalla
nascita continuava a spazzolare le strade. Era sorprenden-
te che mantenesse pulito il suo pelo, che non lo avesse at-
taccato a qualche lordura particolare. Volevo quasi fargli i
complimenti. Io non sarei stato tanto bravo.
Ha continuato a venirmi dietro. Ho guardato i suoi
occhi, e meritavano molto di pi di quelli di tanta gente
che faceva politica. Ho cercato di seminarlo. Le stradine
in un certo punto del mio paese mavrebbero permesso di
avere a disposizione un mucchio di angoli, ma non ero si-
curo che una cosa del genere potesse essere sufficiente per
far perdere le mie tracce ad un cane. Lui era convinto di
quello che stava facendo, molto determinato ad ottener-
lo, mentre io non mi sentivo tanto pronto a sacrificare
ogni mia energia per non farmi pi seguire da lui. Il suo
sguardo mi faceva tenerezza, spaventosamente. Non do-
vevo comportarmi in quel modo. Lo facevo anche per lui,
ma questo non bastava a farmi sentire meglio. Il suo
sguardo mi chiedeva qualcosa che alla fine poteva anche
non costarmi troppo. Di sicuro non potevo portarlo con
me. Le battute facili di mia madre riguardo allutilit di
prendere un altro animale in casa non avrebbero fatto be-
ne n a me n a lui. Ma se non potevo ospitarlo cosa mi
rimaneva da fare? Tolte quelle due tre cose i cani non ave-
vano bisogno di nulla.
Mi sono ricordato del cane che avevo ucciso. Era stato
seppellito dal tempo. Dovevo qualcosa ai cani. Avrei do-
:,
vuto alleggerirgli la vita che strascicavano. Anche loro era-
no nati con questa strana essenza sopra che li induceva a
cercare da mangiare, a dover dormire, a grattarsi anche
dove non riuscivano ad arrivare. Anche loro avevano i
miei stessi problemi. Solo, non avevano il dramma di pas-
sare il tempo libero a pensarci. Mi sono fermato ad acca-
rezzarlo. Sembrava non aspettasse altro. Si muoveva nel
modo solito dei cani, cercando di seguire il pi possibile
il movimento della mia mano, cercando di continuare
con la stessa energia. Prima le sue gambe avevano seguito
le mie, adesso la sua testa la mia mano. Da molto un es-
sere vivente non si comportava in quel modo con me, da
molto non riuscivo a rimanere presente ad una cosa del
genere. Continuava a guardarmi come se mi avesse pro-
mosso a suo dio, come se non potesse pi muoversi senza
il mio consenso. Era fin troppo facile. Bastava esistergli l
vicino. Per il momento ci riuscivo splendidamente. Cera
anche il pericolo che lo considerassi un traguardo. Mi
sentivo felice per lui e, sinceramente, anche per me. Avrei
voluto portarlo a casa e ricominciarci una vita insieme.
Era un dolce riposo. Non mi sentivo tanto rilassato da
quando un anno mi ero messo in maglietta e avevo capi-
to che non sentivo freddo. Sapevo benissimo che il tem-
po totale non sarebbe scaduto tutto cos, che cera ancora
da vagare e da sentirsi in pi. Ma mi bastava trovarmi in
quel battito di ciglia.
Anchio avevo voluto un certo tipo di carezze, e da una
come Veronica. Non ero un tipo che riusciva ad accon-
tentarsi, come quel cane. Nel mio passato non erano esi-
stite carezze legittime. Erano abusive. Pause stupide che
forse non si sarebbero dovute pagare.
Unapparizione inaspettata mi ha bloccato la mano
:o
quando avrei giurato che non sarei stato capace di fer-
marmi pi. Ho visto la signora Nadia avvicinarsi. Cam-
minava anche lei verso qualche parte non definita. Sem-
brava scadere nella metafora. Non me lo sarei mai aspet-
tato di vedermela davanti nel miglior momento da tanto
tempo. Si fermata a qualche metro da me, mentre ave-
vo ancora la mano intenta a carezzare la testa dellanima-
le. Mi aspettavo che salutasse, anche se con la signora Na-
dia non mi ero lasciato in un modo accettabile. Quella
volta sulla barca lei era stata del tutto una donna, io mol-
to pi di un uomo. Eppure era piacevole ricordare come
fosse riuscita a distrarmi dalla razzia di suo figlio. Lei era
presente, come al mare, che per contratto doveva sem-
brarmi mitico. Avrebbe parlato come faceva ai tempi del
solleone. Mavrebbe fatto ricordare quei momenti. Avrei
superato quella prova. Bastava che continuasse ad essere
bella. Per un istante mi venuto di fare lamore davanti al
cane. Lesistenza era stata vile a trovare un trucchetto tan-
to efficace per continuarsi nel tempo. Il sesso era un pa-
drone che ci opprimeva con le buone maniere.
Il cagnolino non si era ancora accorto che la mia at-
tenzione si era spostata, o forse si accontentava di quella
mano che gli passava sul pelo senza particolare cura. La si-
gnora era sorpresa da quella mia occupazione. A prima vi-
sta poteva sembrare che io facessi tutto il giorno carezze ai
randagi a scopo di lucro. Probabilmente si ricordava an-
cora del nostro ultimo incontro, dei miei discorsi, del-
limpressione che le avevo lasciato in barca. A quei tempi
forse lei si sarebbe aspettata pi dolcezza da parte mia. Ma
dato che in genere la dolcezza riempita dalla pochezza di
convinzione sarebbe capitato cos a lungo. Non glielavrei
detto. Lei era donna, forse senza volerlo. La sua insoddi-
:;
sfazione si fermava poco prima di una decente dignit
poetica. Non sarebbe nemmeno valsa la pena di descri-
verla per qualche parte del mio libro. Me lo avrebbe rovi-
nato incondizionatamente. Ero perduto in piccolezze da
ultimo atto di una commedia da vedere dal bagno. Mi re-
stava la mia mano intrisa di innocenza che appoggiava le
sue possibilit su un cucciolo. Su quello non cera da di-
scutere.
La signora Nadia vestiva con uneleganza fuori luogo.
Le donne che si sentono donne e che vogliono esserlo so-
no la razza peggiore. Ero in una trappola che mavrebbe
spinto a chiedere di non esagerare. Avevo paura delle tor-
ture, di qualsiasi categoria e di qualsiasi modello. Non po-
tevo fare nulla. Per la mia vita, per quella di tanti ancora
affranti che mugolavano dando fastidio al pensionato di
sotto. Avrei potuto corrompermi con lei. Non erano dei
buoni discorsi, con quel sole che aveva lespressione con-
sapevole di aver regnato e di non poterlo fare pi. Mi di-
spiaceva per lui. Era nato al di sopra di tutto. Non cera
pi molto rispetto per le istituzioni. Ci si era cambiato il
guardaroba, e solo dalle parti della biancheria intima. Do-
vevo ancora capacitarmi dei nuovi sviluppi. Non ero sta-
to programmato per farmene una ragione troppo presto.
Il sole cera da molti anni prima di me. Si trovava vera-
mente al di l, non doveva dare conto a nessuno, non do-
veva specificare, non dormiva e non si svegliava, non si
pettinava, non si tagliava le unghie. Ed era caloroso senza
far troppe effusioni.
Il cagnolino continuava a muoversi insieme alla mano.
Doveva essere proprio a digiuno di sensazioni del genere.
Ed io non volevo conoscere le brutte cose che aveva pas-
sato. Non capivo chi avesse pi bisogno di qualche carez-
:
za, lui o quella signora che passava il suo tempo a naufra-
gare senza mai soccombere. Le avevo intanto fatto una
domanda, ma non aspettavo una risposta. Non ero l per
avere delle risposte. Ero l per accarezzare un cane che ne
aveva bisogno. Il resto poteva prendersi tutto il tempo che
voleva. Non riuscivo a mettermi in gioco senza tremare
dalla paura. Parlare con quella signora avrebbe voluto di-
re ritornare ad Alberto e al suo regno.
Cera un cane che se mi fossi azzardato ad andarmene
avrebbe avuto una reazione commovente. Ho tolto la
mano, come per non compromettermi pi, ma lui ha cer-
cato di adagiare ancora la sua testa. Non ci riusciva, ep-
pure non perdeva tempo a riprovarci. Quel cagnolino era
della vita che voleva stare meglio. Voleva farlo con me. So-
no rimasto molto colpito, ma non sapevo cosa avrei po-
tuto offrirgli. Avevo solo una casa, era di mamma e pap,
ed avevo gi io dei problemi a mantenermi l sotto.
La signora mi ha proposto di tenerlo nella sua grande
villa. Era una soluzione. Non ho esitato un attimo ad es-
serne entusiasta. Ero contento per il cane. Certo, un po
mi preoccupava il pensiero di dovermi aggirare intorno a
certe persone che pensavo di non rivedere pi. Dovevo es-
sere felice, indifferente, o portato al pianto? Quel cane mi
faceva tenerezza. La signora doveva aver fatto un gesto del
genere solo per me. Non mi aveva dato limpressione di
andare matta per gli animali. Doveva essere molto con-
tenta di potermi fare un favore. Lei aveva interesse per
me. Come Sara, che aveva dato il massimo venendomi a
fare visita dopo che i suoi amici mi avevano costretto ad
allenarmi per la maratona olimpica senza che io avessi la
minima possibilit di parteciparvi.
Ai tempi del nostro primo incontro avevo avuto lim-
:,
pressione che era molto importante per la signora Nadia
parlare con qualcuno. Avevo fatto un buon lavoro. Ed ero
contento che ad averne vantaggio fosse quel cagnolino. In
quel momento mi sentivo meno in colpa per il cane che
il destino aveva voluto che uccidessi.
Quellanimale sarebbe stato felice. Facevo bene a met-
termi almeno a disposizione di chi ci credeva ancora. Agivo
per altro che non fosse la mia vita. Prestavo la mia azione.
Ho preso il cane in braccio e mi sono diretto verso la
direzione che la signora Nadia mi suggeriva. Sono andato
cos a formare un quadro che non era delizioso solo per
colpa mia. Il vestito della signora non si intonava n a me
n al mio passeggero, come anche il suo modo di proce-
dere sui marciapiedi che incontravamo. La sua cammina-
ta dava la sensazione di appartenere ad una persona non
abituata ad andare a piedi. Doveva essere nata ricca, per
quanto al giorno doggi non la maniera di deambulare
quella che fa la differenza tra i ceti. Abbiamo camminato
a lungo. Sono rimasto sorpreso che avesse fatto tutta quel-
la strada per arrivare dove mi aveva incontrato con il ca-
ne. Che qualcuno lavesse accompagnata fin l? Mi sono
sentito in colpa per questi pensieri tanto sospettosi. Mi ri-
scoprivo maligno mentre compivo la bella azione di faci-
litare la sistemazione di quel cagnolino.
Tenevo in braccio il cane. Non era tanto leggero da
non farmi soffrire un po. Poi ho visto una villa che aveva
molte possibilit di essere la dimora della signora. Senza
accorgermene eravamo arrivati in periferia, dove tra le ca-
se, perlopi ville con giardini intorno, cerano campi sen-
za costruzioni addosso. Era un bel posto per passarci qual-
siasi parte dellanno, perch si era nello stesso momento
lontani e vicini al paese, nel luogo esatto dove iniziava la
:,c
campagna. Stavo sempre molto bene quando le stavo ap-
presso. La campagna avrebbe aspettato a lungo il suo tur-
no. Ormai serviva solo per piantarci qualcosa, per divide-
re i paesi, per indicare una casa. Non si aveva pi bisogno
di lei. E chiss se non ne fosse contenta. Chiss se non lo
sperasse da secoli.
La signora Nadia mi ha fatto entrare nel soggiorno.
Era impressionante. Era grande quanto casa mia. Non ri-
uscivo a capire come ci si potesse stare senza avere delle
vertigini. Sembrava lantro di Polifemo. Ho pensato a che
cosa dovesse farne Polifemo di tutto quello spazio, sempre
che non avesse intenzione di formarsi una famiglia. Non
ne sembrava il tipo. Per niente.
I ricchi non sanno come si vive normalmente. Se la si-
gnora fosse venuta nel mio salotto si sarebbe guardata in-
torno per cercare le scope. Era questo che non sopporta-
vo della differenza sociale: i ricchi non capivano che si po-
teva vivere comunque, anche su un albero dolivo senza
rientranze. Unincomprensione del genere ci portava al-
lodio e alla diffidenza. Cerano persone che si nutrivano
in quel modo, e a me creava molta tristezza.
Avevo ancora il cane in braccio. La signora ha gridato
un nome. Da una porta apparsa una ragazza. Doveva es-
sere la domestica. Aveva in testa proprio quel biondo che
serviva per lucidare i mobili con largenteria. Le ha chie-
sto cordialmente di trovare un posto in giardino per il ca-
gnolino, e di dargli da mangiare. Poi avrebbe preparato il
caff per noi. Non sono riuscito a dire che non ne volevo,
ma ho lasciato perdere. Quella signora mi aveva liberato
la coscienza. Era un buon motivo per sacrificarmi ad ap-
parire cortese. Tra laltro la sua gentilezza con la ragazza
me laveva resa pi simpatica.
:,:
La signora Nadia mi ha fatto accomodare. In quel
grande ambiente non riuscivo a sentirmi adeguato, quasi
avessi un senso di colpa a non essere alto almeno quattro
metri. La signora Nadia si accorta che avevo problemi di
proporzioni, ma non ha cercato in nessun modo di age-
volarmi. Forse per lei non era una colpa non sembrare il
fratello maggiore di Hulk.
Il discorso andato a finire a suo figlio. Eppure ero sta-
to attento a non facilitare quel crollo. Quando ho dovuto
dire la mia non sono riuscito a controllarmi nelle espres-
sioni. Davanti alle mie opinioni pittoresche ha sorriso,
come se fosse contenta di aver trovato qualcuno che ave-
va avuto la sua stessa sensazione. Ma era solo una mia im-
pressione. Aveva qualcosa da rimproverare al figlio, ma
non era quello che gli rimproveravo io. Anche perch
quella cosa era tanto grande che una madre non avrebbe
mai avuto il cuore di pensarla. Non ero nessuno per met-
termi in mezzo ad una madre e un figlio. Ero molto stu-
pido ad avere una remota speranza che in quella donna
avrei potuto trovare unalleanza contro Alberto. Conti-
nuavo a perdere il mio tempo. E, cosa peggiore, mi inol-
travo ancora in quella vecchia storia. Davanti ai miei oc-
chi stavo facendo una figura ridicola.
La signora mi ha comunicato che Alberto si stava le-
gando a Veronica. Dopo averlo detto mi ha osservato, co-
me se si fosse dovuto sentire qualche allarme alla prima
intemperanza. Alberto e Veronica si sarebbero sposati,
non fosse altro che per il buon sesso che lei gli avrebbe as-
sicurato. Quel corpo mancava al pavoneggiarsi di Alber-
to. Lui avrebbe fatto il grafico pubblicitario impegnato,
lei la sua prima produttrice di bava da bocca. Non era
questo che avevo desiderato per lei, ma i fatti mi avevano
:,:
spesso fatto capire che era inutile che io continuassi a di-
re la mia su di loro. Non importava pi. Ognuno aveva
scelto la propria vita. Io non ne avevo scelta. Sicuramen-
te non quella degli altri. Il mio passato doveva lasciarmi
perdere, darmi del tempo per potermelo rivedere intorno.
Ci sarebbe stato un momento in cui avrei superato tutto.
Avevo una gran voglia di andarmene con il cane. Cos
sarei riuscito a spezzare il filo che mi teneva legato alla
mamma di Alberto. Intanto era arrivato il caff. Conti-
nuavo a non volerne. Tutti bevevano caff. Ormai si face-
va perch era familiare dirlo, pensarlo, perch era un mo-
do per rimanere al passo coi tempi, perch oltre ad essere
buono riusciva a fare il suo effetto. Tutto il mondo cono-
sciuto beveva il caff. Un po vagamente attribuivo a quel
suo colore scuro molti brutti vizi del mio tempo. Non vo-
levo pi farne parte. Non avevo labbigliamento adatto:
sentivo troppo freddo per rimanerci con una certa piace-
volezza. E tra non molto sarei dovuto arrivare a patti con
il lavoro.
Non potevo pi riempirmi di compagnia. Dovevo eli-
minare ogni propensione mia e degli altri. Laltro doveva
esistere da unaltra parte. Eppure non avrei abbandonato
i metri quadrati della mia stanza. Ero nato per continua-
re con i miei giorni, e per rinfacciare a qualcosa che sape-
vo essere vivo. Avevo quello che stavo scrivendo. Ce lave-
vo nascosto dentro di me. Come un figlio che era rimasto
vivo dopo un terremoto. Non cera verso di non affronta-
re il futuro. Avrei voluto non essere pi presente. Una
persona spera sempre in certe cose. Io speravo di non in-
ciampare sul palco dellesecuzione. Non potevo pi capir-
mi con chi si era fatto fare dal sarto dei vestiti per locca-
:,,
sione. Io dal sarto avevo dimenticato le mutande.
Sara, Veronica, mamma, tutti gli altri sarebbero vissu-
ti. Per il momento avevo ancora da mangiare, da bere, da
svegliarmi la mattina, da invecchiare. Non avevo bisogno
di mani che mi aiutassero. Prima lavrei accettate. Poi la
solitudine aveva fatto a botte per avermi. Avevo ancora
tanto da pensare. Ma nella mia stanza avrei anche potuto
ridere di tutto. E se avessi voluto mi sarei imbarcato per il
mio silenzio. Il mio sarebbe stato un lungo discorso. Non
ci sarebbe stato posto per nessuno. Era giusto cos. Dove-
vo fare ordine prima di arrendermi allevidenza. Avevo dei
doveri nei confronti della mia mente, e del mio volere.
Anche se mi mancavano le forze non dovevo essere som-
merso dalle circostanze. Avevo la mia scrittura, e quella
parte del mondo che si sentiva ancora attratta dalle pro-
prie origini.
Era successo quello che doveva succedere. Il resto del
mondo aveva fatto la sua parte, e niente altro. Non cera
da ribattere, altrimenti non la si sarebbe finita pi. Dove-
vo angustiarmi in una maniera che mi permettesse di non
rimanerci male. Ero nato solo per continuare ad esserlo.
Non era una mancanza, o linizio di qualcosa. Era un mo-
do come un altro per far sfogare la vita. Avevo ancora del
tempo per divincolarmi meglio tra i fantasmi a cui per-
mettevano di spaventarmi. Grazie al cielo avevo qualcosa
da finire. Il mio romanzo aveva bisogno di me. Lo capivo
quando scorrevo con le dita tutte quelle pagine gonfie di
inchiostro. Il mio romanzo si aspettava molto da me. In
quegli ultimi giorni destate avrei dovuto lavorare tanto.
Mi avevano concesso una tregua che si sarebbe volatiliz-
zata con lautunno e il suo grigio profondo. Non avevo
tempo per certi sorrisi del tempo andato. Quel genere di
:,
ghigno non ci sarebbe stato pi. Avevo sprecato tutte le
possibilit di aiutarmi con la speranza. Tutto era diventa-
to scontato. E le persone vista una viste tutte.
Ero troppo giovane. Mi spaventava. Ero un peccato a
cui avrei rimediato. Andavo nella direzione opposta a tut-
ta quella gente che compariva negli spot. Dovevo nutrire
la mia arte. Creare, appuntare tutto per dare una giusta
forma ed una giusta sostanza. Mi rendevo conto che non
cerano altre possibilit per me. Dovevo aggrapparmi an-
chio. Il mio romanzo si stava muovendo, anche da solo.
Mamma non mi amava come io facevo con i miei segni
sul foglio. Ero stato bravo a conservarmi in quellidea.
Non sapevo neanche se fosse legale.
Mi sono bloccato a scrivere. successo per qualche
giorno. Avevo paura di rielaborare partendo dalla mia te-
sta. Per creare il mio romanzo mi ero impegnato pi che
per perdere i miei affetti a pezzi. Quello che ne sarebbe
uscito avrebbe avuto una sua vita, al di l di me e dei miei
sospiri. Avrei potuto fare altre pagine del genere, ma non
avrebbero giustificato nulla. Lavevo sempre saputo. Per
ci sarebbe stata unaltra cosa, di cui qualcuno avrebbe po-
tuto avere bisogno. Cera stato un tempo in cui avevo
chiesto ad altri di darmi limmortalit. Il mio romanzo a
conti fatti era lunica cosa che potessi avere senza andare
a spasso in cerca di gente. Ci che ho scritto un po pi
di nulla. Non avevo pi niente da fare, come uomo.
E fuori ho sentito frenare le macchine e gridare la gen-
te.
:,,

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