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Leterna
cosa peggiore
Romanzo
Titolo
Leterna cosa peggiore
Autore
Tony Sozzo
ISBN:88-87557-55-1
2006
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73043 Copertino (Lecce) Tel/fax: 0832.931743
Sara stava andando oltre. Quel regalo era abbastanza di
pi, e bisognava trovargli un significato. Lei laveva fatto,
io cercavo di guadagnare tempo. Mi guardava con uno
sguardo ingiusto per quello che di solito riuscivo ad offri-
re agli occhi. Era proprio nei guai. Ed io con lei.
Dovevo andare con mamma a farle fare una visita di
controllo. Non avevo bisogno di inventare una scusa. La
sera poi sarei stato con Renzo. Ultimamente non soppor-
tavo gli amici con cui stavo di solito. Era una questione
molto importante, anche se tutto sembrava un mio ca-
priccio. Immaginavo cosa potesse pensare quel mucchio
di persone a cui io riuscivo a legare un nome solo per non
farle vagare nel mio cervello senza un segno di riconosci-
mento, e non mi piaceva. Non sarebbero mai riusciti a ve-
nirmi incontro. Erano troppo impegnati con le loro de-
bolezze.
Sara se n andata. Quasi non me ne sono accorto.
Mamma in cucina aspettava me per incamminarsi verso la
macchina, mettersi accanto al posto del guidatore, anda-
re incontro ad unaltra fila. Si considera la casalinga la re-
gina della casa, e la cucina il suo trono. Avrei voluto che
lo fosse. Mamma che si bruciacchiava il sedere per aver di-
menticato il fornello acceso doveva essere la mia attratti-
va preferita a corte.
Quando ho chiuso la porta di casa ho notato di aver
dimenticato lorologio, ma ho lasciato perdere perch lul-
:
tima volta che lo avevo visto mi ero accorto che era gi fin
troppo tardi. Non volevo che se ne accorgesse anche mia
madre. Era una mia codardia che mavrebbe permesso di
mantenermi in vita. Lei non aspettava altro che di sor-
prendermi mentre mi crogiolavo nella mia distrazione.
Mamma non ha perso tempo a buttarmi addosso le
sue solite battutine. In teoria apprezzavo il sarcasmo del-
la mamma, ma quando si scendeva nel particolare avevo
dei grossi fastidi. Quellatteggiamento era lespressione
pi evidente della mancanza di stima nei miei confronti.
Io ormai ci ero abituato, anche se difficile abituarsi ad
una madre a cui fa male un rene e ti guarda come se ta-
vesse scambiato per un calcolo. Non era un atteggiamen-
to da donna che ti ha messo al mondo. Sempre che non
labbia fatto esattamente per divertirsi un po.
Non si era mai sforzata di controllarsi con me. Si di-
vertiva con le sue arguzie senza guardare la faccia che fa-
cevo. Lumorismo diventa pericoloso quando non si ha la
volont di allungarlo con dellaltro. Ogni capacit umana
deve avere un controllore interno che le ordini di non
prendersi tutte le libert che vuole, perch comunque ci
sono cose che si fanno e cose che non si fanno, ed inu-
tile persino obiettare qualcosa.
Mi ha chiesto se stavo cercando lavoro. Non lo aveva
ancora fatto. Mi stavo preoccupando. Per lennesima vol-
ta ero costretto a fare i miei discorsi. Facevo tanto a con-
fezionarli per non fargli prendere polvere, e poi dovevo
scartarli davanti a quegli occhi. Proprio una cosa che non
mi facilitava lesistenza. Sto scrivendo un libro, le ho ri-
sposto. Per lei scrivere era una perdita di tempo. Soprat-
tutto quando la penna ce laveva in mano uno come me.
Dal suo punto di vista poteva anche essere qualcosa di
:
peggio. Non ci sarebbe stato da meravigliarsi se mavesse
denunciato. Non avrei pi parlato alla mamma delle mie
passioni, dei sensi che stavo dando alla mia vita. Mi sarei
solo impegnato a portarla alla visita di controllo. Sarei sta-
to un vero professionista, anche perch se avessi dovuto
seguire il mio stato danimo lavrei lasciata a fare lauto-
stop su una pianta grassa. Sarei stato capace di non sen-
tirmi in colpa, nei confronti della pianta grassa.
Non mi faceva bene che la mamma si comportasse co-
s. I genitori non sanno mai quello che vogliono, mentre
si avvicinano alla morte. Forse hanno del rancore verso
chi ha avuto lintelligenza di decidersi a nascere dopo.
Mia madre non si era mai sacrificata troppo per la sua fa-
miglia. Non era stato un sacrificio per lei aver visto per
anni sulla mia faccia i colori delliride ad ogni frase che le
riusciva col punto. N aver fatto di pap il pupazzo pi
trascurato del vicinato. Lei sapeva essere sarcastica a lun-
go. Sembrava che lo facesse per dimostrarmi che si pote-
va fare, che lei a quellet ci riusciva benissimo, mentre io
non avevo speranza di poterla eguagliare. Io, che non sa-
pevo nemmeno di che cosa si stesse parlando.
Mia madre non faceva che analizzare i miei gesti per
trovarci qualcosa su cui basare la sua ironia raggrinzita.
Ero stanco di ripetermi che lo faceva per il mio bene, che
in quella maniera voleva solo svegliarmi. Anche se ti spa-
rano a bruciapelo mentre dormi riescono a svegliarti, ma
poi si rischia di non avere pi la possibilit di coesistere
per bene con il proprio sistema nervoso.
Quando siamo tornati a casa dalla visita di controllo
ero in ritardo. Renzo in teoria mi stava aspettando da
unora. Ma conoscendolo forse nemmeno aveva guardato
lorologio e vagava per casa senza aspettarsi di vedermi da-
,
vanti. Lui era fatto cos. In un certo senso era da proteg-
gere, o almeno da guidare da qualche parte. Io ero con-
vinto che dovevo fare qualcosa per lui, anche se non lo
avevo mai espresso. Ai suoi occhi ero solo un amico con
cui poteva trascorrere del tempo senza dare spiegazioni
imbarazzanti. E per il momento era la cosa migliore che
potesse pensare.
Sono entrato a casa con una certa violenza. Di questo
non si era accorto nessuno perch i miei genitori stavano
guardando qualcosa alla tv. Non capivo come riuscissero
ad avere quellattenzione ogni sera, allo stesso modo. In
televisione cera solo tutto quello che avrei voluto dimen-
ticare. Passando vicino al loro divano ho visto negli occhi
della mamma quello sguardo che lei aveva quando vede-
va vivere esistenze che non erano la sua immagine riflessa
in uno specchio. Era invadente anche con uno schermo di
struttura molto impersonale, con vecchi film che avevano
lillusione di non essere pi oggetto di occhi tanto cupi.
Sapevo che per il mio bene era preferibile arrivare nel-
la mia stanza il pi presto possibile. Appena ho raggiunto
la meta mi sono reso conto che avevo ragione. Stavo bene
l dentro, anche se fuori le serate erano abbastanza calde
da poter essere leccate senza congelarsi la lingua. Sentivo
per che non era pi quello il gusto che preferivo. Ero
cambiato. Crescendo avevo perso la voglia di mettermi in
gioco mentre il paesaggio dietro cambia di continuo. Non
cera pi bisogno che io avessi ancora tanto riguardo per
la conservazione di un rapporto decente con quello che si
muoveva intorno a me. Non ne vedevo pi il senso. Ed
ero ancora tanto giovane.
Certi pensieri mi avevano colpito. Cosa mi era succes-
avere una prole cos brava nel fare trucchi magici. Deve
aver pensato a come mi sono sentito. Come glielo aveva
detto Alberto? Sorridendo, piangendo? A braccia conser-
te? In fondo non erano atrocit. Non mi davano nemme-
no tanto fastidio. Capivo che un fatto portasse con s an-
che la sua diffusione.
Luisa andava e veniva dal ponte della barca. Era mol-
to grande, come molto ricca doveva essere quella famiglia.
Da qualche tempo riuscivo a fare conoscenza con il lusso.
Non mi sentivo particolari sensi di colpa nei confronti
della mia povert, perch queste nuove cognizioni riusci-
vano ad essere pi un ostacolo che altro. Non avrei godu-
to della crociera fino a quando non fossi ritornato ai miei
pensieri comuni. E ai miei comuni mezzi di trasporto.
Mentre guardavo la signora ho pensato che nella mia vita
in definitiva non avevo mai sopportato il genere femmi-
nile. Ma non ne ero immune. Fino a quel momento ero
riuscito a rovinarmi la vita con dei sentimenti per le don-
ne che mi avevano portato a riempire la mia strada di
trappole. Ero riuscito ad essere coinvolto in un frullatore
con lo strano eccesso di volermi mantenere solido.
Cera una barca di lusso sotto i miei piedi, una signo-
ra che mi rimaneva in testa nelle versioni di vittima ed al-
tre varianti simili, di stoffa rimasta ad un sarto con strani
sogni mondani. Non era la mia consueta scenografia.
Non ero abituato ad ambienti che non potessero far par-
te di un film sui bassifondi.
Abbiamo mangiato. Aveva portato tutto lei. Luisa era
contenta ed abituata al cibo. La ammiravo nella sua di-
sinvoltura mangereccia. A me pareva sorprendente anche
che sapesse parlare. Io mero scordato che ero riuscito a fa-
re di meglio, alla sua et. Mentre mangiavamo non ho os-
,
servato troppo i gesti della signora, n mi sono domanda-
to per quale motivo non cercassi le vere cause di certe mie
decisioni tanto perentorie. Forzatamente mi ero trovato
ad ingoiare degli alimenti estranei, e non ero collaudato
ad improvvisare metabolismi in posti in cui non avrei sa-
puto inciampare a memoria. Mi sarei fatto trovare l dal-
la morte, se si fosse permessa di farsi un giro in quel mo-
mento di pace da ferie comuni.
Dopo mangiato Luisa se n andata al sole. I bambini
pur di giocare riescono a fare delle cose che sono contro-
producenti. Per un adulto qualsiasi piacere verrebbe pro-
sciugato dal solleone, soprattutto dopo un pasto regolare.
La signora Nadia non era affatto contenta della scelta del-
la figlia, ma non si infuriata pi di tanto. Quello dove-
va essere un comportamento molto usuale per la bambi-
na. Sicuramente era gi tornata sana e salva da avventure
del genere.
Destate c il sole. Avrei dovuto approfittarne. Quel-
linverno non ci sarebbe stato. Quellinverno ci avrei pen-
sato. Ormai ero preparato a rimpiangere le mie debolezze
e i miei atti di forza. E da quello che avevo capito succe-
deva fisiologicamente. Un vivo non poteva evitare di pa-
gare certe tasse.
Fuori cera vento. Il vento dellaria con del desiderio.
Lacqua del mare obbediva alla brezza, senza che le pesasse.
La signora si seduta accanto a me su una specie di
poltroncina incassata nella barca. Da un po non parlava-
mo, ed io non capivo proprio a cosa addebitarlo. Il tem-
po passato in silenzio si era prolungato proprio perch mi
ero sforzato di comprendere quella strana inversione di
tendenza. Infatti oltre a non ammettere la pronuncia di
parole nel suo presente la signora Nadia si era anche mes-
o
sa a guardare nel vuoto che, per uno strano scherzo, si tro-
vava dalla parte opposta alla mia. Questo fatto mi ha in-
fastidito, e non poco. Potevo anche accontentarmi di es-
sere stato invitato facendo la parte di quello che non si
aspettava altro, ma oramai ero stato abituato troppo bene
per non pretendere di essere al centro dellattenzione. In
pi i momenti in cui non venivo distratto da nulla ulti-
mamente li passavo nello strano sentimento ancestrale per
Veronica, che mi chiudeva lo stomaco. Mi trovavo a non
volere altro che qualche frase della signora, anche se le ul-
time sue uscite non mi avevano spinto ad offrirle degli ap-
plausi in suo onore. Ma era quello che mi aspettavo, e
non sarei riuscito a desiderare altro.
Mi sono avvicinato a lei. Non aveva addosso solo il co-
stume, eppure il suo seno riusciva a volermi del bene an-
che in quella contingenza. Mi sentivo attratto per vari
motivi, e laspetto fisico non era lultima ruota del carro:
era il carro. S, la mamma di Luisa mi piaceva, come mi
piaceva la signora Nadia e perfino la mamma di Alberto.
Era stato difficile confessarlo a me stesso, ma nel mo-
mento in cui lo avevo fatto ero stato travolto dallo strano
piacere di sentirmi pronto a recuperare il tempo perduto.
Ero anche sicuro che non avrei mai avuto la spudoratezza
di insidiare una donna molto pi grande di me con figli.
E con che figli.
Alla fine mi sono deciso a non essere petulante. Sareb-
be stato un punto di non ritorno. Stavo per lasciare quel-
la signora con le sue depressioni di classe per imbattermi
in giochi da bimbi sotto un sole che non aveva punti de-
boli. Era la seconda volta che il comportamento di un
componente di quella famiglia mi portava a sfogarmi tra
le innocenti follie di Luisa. Mi sentivo in colpa per il fat-
;
to che la usassi come un farmaco generico. E se si fosse
messa anche lei a comportarsi in quel modo? Non avrei
avuto il coraggio di andarmi a rifugiare nelle sue bambo-
le. Chiunque si sarebbe accorto facilmente che non ero
stato fatto con la maestria di un maestro artigiano.
Luisa guardava il mare in lontananza. Non pensavo di
trovarla in un atteggiamento da adulto proprio nel mo-
mento in cui stavo fuggendo da quello. Ero convinto che
avvicinandomi mi sarei reso tranquillamente conto che le
cose erano molto diverse da come apparivano. Dovevo fare
dei metri sotto quellestenuante sole per combattere la di-
sillusione. La sorpresa per quella mancanza di stimoli mi
aveva reso meno resistente ad un caldo che invece di arriva-
re con educazione tendeva a bruciarmi senza intermediari.
Veronica mi ha irritato. Sembrava gelosa perch non le
avevo ancora fatto capire dove ero stato. Si comportava
come se mi volesse ancora bene. Ed era proprio questo
che mi faceva arrabbiare. Io non volevo il suo bene. Non
ero il suo gatto a cui avrebbe voluto dar da mangiare tut-
ti i giorni. Di Renzo non mi preoccupavo nemmeno pi.
Lui aveva fatto la stessa cosa con me. Non volevo il loro
bene. Non volevo i loro discorsi. Era come avere un padre
ed una madre che mi avevano abbandonato sulla strada
per mare e che dopo anni mi avevano fermato per strada
dicendomi che ci erano rimasti male quando non li avevo
salutati.
Per me non cos semplice, mi ha detto. Per me era si-
curamente pi difficile, o lo era stato. Non mi sarebbe ba-
stato il bacio della buonanotte nel caso mi fossi trovato
sulla soglia della notte, del sonno, con lei che si prendeva
cura a tutti gli effetti di qualcun altro.