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Principi guida per la comunicazione aziendale relazionale

di Anna Maria Carbone


Introduzione
Da qualche anno in qua si parla sempre più spesso di comunicazione.
Il web 2.0 ha accelerato ancor di più lʼuso di questo termine.
Ahimé, non sempre a proposito.

Il fatto che non ci sia unʼunica interpretazione del significato,


e soprattutto delle implicazioni, del termine genera
sempre più spesso fraintendimenti, anche gravi.

Per questo ho deciso, con il prezioso aiuto di Stefano Principato,


di mettere a disposizione di chiunque voglia dedicare qualche minuto
alla riflessione su questo termine, i paletti concettuali
che guidano da ventʼanni la mia attività professionale.

Spero quindi che questo breve ebook servirà a illuminare le aree oscure
del significato del termine “comunicazione”, indicando allo stesso tempo
le implicazioni strategiche ed operative per realizzarla e gestirla
nel miglior modo possibile.

Buona lettura e buon lavoro!

Anna Maria Carbone

Photo copertina: per gentile concessione di Franck Peters.


La comunicazione
La parola comunicazione viene comunemente usata secondo diverse accezioni di significato
che derivano dalle diverse teorie che sono state formulate nel tempo.
Il problema è che ognuna di queste ne affronta solo alcuni aspetti.

La prima questione, quindi, è quella di trovare il significato che li comprenda tutti.

La definizione che meglio delle altre descrive il significato del termine “comunicazione” è quella
che la definisce un
processo di scambio di informazioni
e di influenzamento reciproco che avviene in un determinato contesto tra
due o più individui.

In base a questa definizione il concetto stesso di comunicazione comporta, quindi,


un'interazione tra soggetti diversi.

Questo vuol dire che ogni processo comunicativo avviene in due direzioni tanto che
non si può parlare di comunicazione là dove il flusso di segni e di informazioni sia unidirezionale.

La comunicazione, quindi è un processo e, come tutti i processi,


contiene delle fasi progressive.

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Quando due o più esseri umani entrano in contatto tra loro può succedere che cooperino,
cioè "costruiscano insieme" una realtà e una verità condivisa
oppure che uno si limiti a trasferire agli altri una serie informazioni, senza che questi ultimi
abbiano la possibilità di replicare, come ad esempio accade con la televisione, e dire che proprio
la TV è definita “mezzo di comunicazione di massa”.

Per procedere nellʼopera di sgombrare il campo vediamo quindi quali sono gli elementi
indispensabili affinché possiamo parlare di comunicazione.

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Gli elementi della comunicazione
Per poter definire una circostanza come “atto comunicativo” serve
che ci siano:

Gli individui
cioè almeno due persone in grado e in condizione di interagire tra loro
in modo diretto o mediato.

Le informazioni
ovvero la materia che intercorre tra gli individui.
Per informazione possiamo intendere qualsiasi contenuto,
non necessariamente espresso in forma verbale.

Il contesto
cioè lʼambiente in cui avviene la comunicazione.
Di sicuro la influenza e la indirizza, a volte la favorisce altre la ostacola.

Lo scambio
La parola stessa “scambio” contiene il concetto di bidirezionalità:
le informazioni, nella comunicazione, viaggiano da uno allʼaltro degli individui
coinvolti creando una serie di scambi che strutturano la relazione.
Lo scambio è anche causa ed effetto del reciproco influenzamento,
nel senso che ciascuno dei due individui potrà modificarsi, o modificare
il proprio comportamento, a seguito degli scambi con lʼinterlocutore.
Questʼultimo elemento ci porta dritti verso una domanda:
perché la gente comunica?
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Perché si comunica
Consapevolmente o no, comunichiamo sempre per raggiungere
un obiettivo.
Eʼ ovvio che la natura e la qualità degli obiettivi è soggettiva e mutevole al punto da poter
cambiare nel corso dello scambio. Se, ad esempio, allʼinizio dello scambio avevo in mente
di convincere lʼaltro a fare qualcosa, può darsi che nel corso di esso io mi renda conto che è più
importante avere prima altre informazioni e, per questo, cambio direzione e perseguo il mio
nuovo obiettivo.
Aver chiaro qual è lʼobiettivo ha una funzione precisa che è quella di darci
è il parametro sul quale misuriamo se il nostro scambio comunicativo
ha avuto successo.
Se ho raggiunto lʼobiettivo la comunicazione ha funzionato.
Se no… sappiamo fin troppo bene che non abbiamo ottenuto quello che volevamo.

Possiamo comunicare per:


1. compiere o conseguire qualcosa
2. fare in modo che qualcuno si comporti in un certo modo
3. scoprire o spiegare qualcosa
4. esprimere i propri sentimenti
5. stare in compagnia
6. alleviare l'ansia
7. dimostrare interesse per una data situazione
8. perchè la situazione lo richiede
o per qualsiasi altra ragione. 6
Il processo di comunicazione
Il processo di comunicazione, per il solo fatto di essere un processo,
è composto da una serie di fasi successive.
Il fatto che sia un processo vuole anche dire che è dinamico, quindi evolve
e si forma attraverso lʼinterazione, più o meno efficace, di alcuni elementi:

Emittente:
è colui che avvia la comunicazione emettendo un segnale.

Messaggio:
è il contenuto della comunicazione, il segnale che viene inviato.
Il messaggio è costituito da un codice: parola parlata o scritta, immagine.

Mezzo:
è lo strumento attraverso cui lʼemittente invia il segnale.

Contesto:
l'ambiente significativo all'interno del quale si colloca l'atto comunicativo.

Ricevente:
è il destinatario del messaggio, colui a cui è destinato.

Tutti questi elementi si influenzano reciprocamente e concorrono,


combinati insieme, a determinare la qualità della comunicazione.

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Il concetto di feedback è fondamentale nei processi comunicativi

Feedback:
è il segnale di ritorno che il ricevente manda allʼemittente
dopo aver ricevuto il messaggio.

La qualità del feedback costituisce la misura della "buona


comunicazione":

- se è coerente con il messaggio inviato la comunicazione ha funzionato;

- se, al contrario, il feedback non è coerente con il messaggio inviato vuol dire
che durante il processo cʼè stata una distorsione.

Queste considerazioni, che sperimentiamo di continuo, ci aiutano


ad identificare alcuni aspetti che possono creare problemi
in qualsiasi processo comunicativo.

1. Il mezzo attraverso cui si comunica influenza molto il processo.

Se utilizzo il codice Morse, cercherò di limitare il messaggio allo stretto


necessario, se utilizzo una lettera userò un tono tendenzialmente più
formale rispetto ad una telefonata.

Il mezzo influenza la comunicazione ed è quindi indispensabile saper


scegliere gli strumenti più adatti ad ogni circostanza.

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2. Non è detto che i singoli messaggi, verbali e non verbali, emessi
in un dato momento (vedi oltre), siano sempre coerenti tra loro.

A parole posso dire qualcosa e contemporaneamente, e spesso in modo


inconsapevole, dirne unʼaltra con i gesti (ad esempio dire al mio rivale
in amore "lieto di conoscerti" con un'espressione del volto assai contrariata).

3. Non è detto che l'interpretazione del contesto all'interno del quale


avviene lo scambio comunicativo sia sempre identica o coerente.

Nell'aula di una scuola, il docente potrà pensare di avere uno stile


partecipativo e "democratico", mentre lo studente potrà sentirsi parte
di una relazione asimmetrica e autoritaria.

4. La comunicazione è efficace soltanto se emittente


e ricevente danno lo stesso significato al messaggio.

Troppo spesso diamo per scontato che le nostre parole o i nostri gesti
vengano intepretati dallʼaltro nello stesso modo in cui lo facciamo noi.

Nella realtà questo non accade quasi mai: ciascuno di noi attribuisce
a parole e gesti significati che, nel migliore dei casi, sono simili,
ma mai identici.

A proposito di questʼultima considerazione sullʼattribuzione del significato


alle parole, vale la pena a questo punto fare un paio di riflessioni proprio sulle
parole e sul modo che ciascuno di noi adotta per collegarle ad un significato.

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Il significato delle parole

“Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite:
proprio per questo, diceva un filosofo,
gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie.

Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori.

Eʼ un maleducato, se parla in privato e da privato.

Eʼ qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante,


un dipendente pubblico, un eletto dal popolo.

Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire.”


Tullio De Mauro

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Il segno parola
Ferdinand de Saussure (1857-1913), linguista svizzero, è considerato il fondatore
della linguistica moderna, in particolare di quella conosciuta con il nome di strutturalismo.

Ha elaborato il concetto di “segno linguistico”, che ha definito come ciò che risulta
dalla combinazione del significante (la parte del segno che si percepisce coi sensi)
e del significato (il concetto che viene richiamato).

In base a questa definizione, tuttʼora alla base della linguistica moderna, qualsiasi segno
esiste solo grazie alla relazione tra significante e significato, cioè la forma (significante),
fonica o grafica, e il determinato concetto (significato) che viene richiamato.

Significante e significato, quindi, esistono solo l'uno in rapporto all'altro.

La questione si fa complicata se consideriamo che ciascuno di noi stabilisce


questo rapporto in modo arbitrario.

La logica conseguenza di questo modo di considerare le parole dovrebbe portarci a stabilire


che di fatto non è possibile comunicare. Per fortuna non è così.

Per ovviare a questa molteplicità arbitraria di significati ogni popolo ha creato, in modo più
o meno articolato, un sistema per poter favorire lʼinterazione tra gli individui: la lingua.

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Il codice lingua
Ogni lingua crea i propri segni convenzionali e i propri modi di mettere
insieme le parole tra loro.
Questo significa che il significato può variare in base a fattori sociali
o soggettivi.

Le lingue sono codici arbitrari.


Con "codice" si intende un procedimento usato per associare
un'espressione (ad esempio una mano che si agita) con un contenuto
(un saluto).

Caratteristiche della lingua

La maggior parte delle lingue moderne usa un sistema di scrittura alfabetico:


ogni segno ha il proprio suono.

In questo modo, conoscendo le regole della grammatica, possiamo capire


il significato di ciò che leggiamo.

Tuttavia questo modo di procedere risolve solo in parte il problema


dellʼattribuzione di senso: al massimo si può ottenere che, adottando
lo stesso codice, si arrivi ad attribuzioni di senso simili.
Di rado accade che siano identiche.

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Lingua e linguaggio
Lingua e linguaggio vengono spesso confusi. Il termine linguaggio indica un sistema
di simboli auditivi o visivi attraverso cui gli uomini comunicano fra di loro.

La lingua definisce la realizzazione della comunicazione attraverso sistemi di segni


che uniscono significante e significato.

Il termine "linguaggio" viene applicato anche alle forme di comunicazione create artificialmente,
così come ad ambiti specialistici in cui le parole assumono particolari significati, noti a coloro
che sono parte di quellʼambito (gergo).

Come scegliamo le parole


Ciascuno di noi è diverso.
Più che descrizioni scambiamo con gli altri interpretazioni del mondo.

Le parole che scegliamo per nominare le cose dipendono da come noi le percepiamo e le usiamo
per denotare (indicare) e connotare (definire in termini qualitativi).

La nostra percezione e la conseguente descrizione che facciamo del mondo deriva dalla nostra
mappa cognitiva, cioè dallʼinsieme delle esperienze che abbiamo vissuto e accumulato e che
ci portano, anche inconsapevolmente, a dare a ciò che ci circonda un determinato significato
e un determinato valore.

Questo spiega come mai, ad esempio, allo stesso fatto vengano dati significati diversi o come
mai, di fronte allo stesso fatto, persone diverse ne forniscano descrizioni diverse.
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Il modo soggettivo con cui percepiamo le cose, e le raccontiamo, è stato
definito da Umberto Eco Cooperazione interpretativa.

Ciascuno di noi, quando riceve un messaggio, lo decodifica in modo


soggettivo e lo ritrasmette in modo altrettanto soggettivo.
Accade quindi che in ogni passaggio una parte del significato iniziale viene
eliminato per essere sostituito con quello che soggettivamente ci appare
come uguale o addirittura più efficace.

Tutti da bambini abbiamo giocato al “telefono senza fili”: la frase passa


di orecchio in orecchio, con il risultato che ciò che arriva di solito è piuttosto
diverso da ciò che è partito.

La differenza tra ciò che è partito e ciò che arriva aumenta in proporzione
al numero di passaggi che il messaggio ha fatto: tanti più sono
i passaggi più distorsioni avvengono.

Questo processo di cooperazione interpretativa il più delle volte


è inconsapevole. Chiunque di noi è in perfetta buona fede.

Ciò nonostante è uno degli elementi che maggiormente disturba la corretta


comunicazione e più facilmente contribuisce a distorcerne il senso.

Eʼ un grave errore pensare che comunichiamo solo con le parole e solo


quando ce ne rendiamo conto.
In realtà tutto di noi comunica continuamente, a diversi livelli e con diverse
modalità, e contribuisce a determinare il messaggio che il nostro interlocutore
percepisce e riceve.

Vediamo le modalità della comunicazione ed i fattori da tenere dʼocchio.


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Le modalità della comunicazione
Comunicazione verbale
Semantica: è la scelta qualitativa delle parole (facili, difficili, ricercate, gergali)

Sintassi: riguarda il modo di costruire le frasi (periodi complessi o semplici, frasi corte o lunghe)

Lingua orale: tono del discorso, livello di colloquialità o di formalità

Lingua scritta: complessità dei periodi, impaginazione, linguaggio, tono.

Comunicazione non verbale


Cinesica: ha a che vedere con i movimenti del corpo nello spazio

Prossemica: gestualità, mimica del viso

Estetica: abbigliamento, trucco

Calligrafia: è lʼequivalente del linguaggio del corpo trasposto nella comunicazione scritta. Una
buona calligrafia favorisce la comprensione, una brutta calligrafia mette il lettore in difficoltà.

Comunicazione para-verbale
Volume e tono di voce: sono importantissime per aggiungere significato a quanto stiamo dicendo

Ritmo, pause, silenzio: imprimono una direzione interpretativa.

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Modelli di comunicazione
interpersonale
Paul Watzlawick (1921-2007) è stato uno psicologo austriaco, primo
esponente della statunitense Scuola di Palo Alto.
Lui e i suoi colleghi hanno introdotto un concetto di fondamentale importanza
nello studio della comunicazione umana:

ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede


due dimensioni distinte:
. il contenuto, ciò che le parole dicono,
. la relazione, ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a livello
verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre
tra loro.

Da ciò deriva che ogni aspetto del nostro comportamento,


che ne siamo consapevoli o no, trasmette un messaggio,
o una serie di messaggi, a chi ci osserva.

Perfino in una situazione anonima come in un vagone della metropolitana noi emettiamo
per i nostri vicini continuamente segnali non verbali (che significano pressappoco "anche
se sono a pochi centimetri da te, non ti minaccio e non intendo immischiarmi nella tua sfera
intima"), e i nostri compagni di viaggio accolgono il messaggio, lo confermano e lo rinforzano
("bene; lo stesso vale per me nei tuoi confronti").
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Da qui lʼelaborazione di quelli che oggi sono conosciuti come
gli assiomi della comunicazione:

- Il comportamento non ha il suo opposto.

- Ogni persona ha sempre un comportamento.

- Ogni comportamento trasmette un messaggio,


quindi comunica.

- Anche il silenzio o l'immobilità comunicano


qualcosa.

"NON SI PUO' NON COMUNICARE"

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Le barriere che ostacolano la comunicazione
Abbiamo già parlato delle numerose interferenze, o barriere, che possono
rendere difficile, o addirittura ostacolare, il processo di comunicazione.
Eʼ importante sorvegliarli, tenerli dʼocchio, valutarne lʼimpatto: molte volte
questo solo fatto aiuta a non scatenare conflitti inutili e a gestire al meglio
il processo.

Limitatezza della capacità del ricevente:


il ricevente può trovarsi in condizioni limitate o ha strumenti cognitivi limitati.
Il limite può anche derivare dal mezzo usato (computer).

Distrazione (disturbo):
il contesto in cui avviene la comunicazione o il mezzo scelto sono disturbati.

Incompatibilità di schemi:
ci possono essere fraintendimenti o resistenze dovute a differenze di schemi
culturali.

Intervento di meccanismi inconsci:


la comunicazione può essere rifiutata poiché il contenuto è ritenuto
inaccettabile sul piano morale o etico.

Differenze di attribuzione di senso:


si parlano lingue diverse o si danno significati diversi alle parole.

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Fattori che condizionano la comunicazione

Situazione ambientale (luogo e tempo):


il contesto in cui avvengono gli scambi può essere più o meno adatto
o favorevole ad essi. In ogni caso li influenza.

Contenuto dellʼinformazione:
può succedere che i contenuti siano ritenuti inaccettabili o dolorosi,
per cui istintivamente si attivano meccanismi di difesa.

Condizioni psicologiche:
può accadere che uno o entrambi i soggetti coinvolti nella comunicazione
si trovino in stati dʼanimo eccezionali che influenzano sia la loro percezione
del messaggio sia le modalità di reazione ad esso.

Fattori sociali:
molti scambi comunicativi sono determinati da convenzioni sociali condivise.

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Tutto ciò che fin qui abbiamo detto a proposito della comunicazione
tra individui può essere applicato anche quando nel processo comunicativo
sono coinvolti un soggetto collettivo (lʼimpresa) e soggetti individuali
(i pubblici di riferimento).

Le regole sono esattamente le stesse.


In fondo anche le aziende sono fatte di persone.
Già. Facile a dirsi. Ma a farsi?

La comunicazione dʼimpresa
Quando i concetti fin qui esposti si applicano alla comunicazione di impresa occorre fare una serie
di considerazioni preliminari.

Innanzitutto nella comunicazione dʼimpresa lʼemittente è, appunto, lʼimpresa, che ha lʼobiettivo


primario di fare in modo che nella mente dei suoi interlocutori si formi una certa idea.

Questa certa idea, obiettivo della comunicazione dʼimpresa, è stata definita “immagine”.

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Il concetto di immagine
Scorrendo i dizionari della lingua italiana, si nota che al termine immagine vengono attribuiti
diversi significati.

Di essi alcuni hanno direttamente a che vedere con gli obiettivi delle attività di comunicazione
aziendale:

1. forma esteriore di un corpo percepita con i sensi, specialmente con la vista.

2. rappresentazione mentale di cose o persone prodotta dalla fantasia o suscitata dal ricordo.

3. impressione, idea che un personaggio o unʼazienda fornisce di sé al pubblico in base


allʼaspetto o al modo con cui si presenta.

4. espressione concreta di qualcosa di astratto: simbolo.

5. raffigurazione grafica, fotografica plastica di qualcosa o qualcuno.

6. percezione rappresentazione mentale di qualcosa in sua assenza.

Tutti questi significati contengono sfumature che ci sono utili a definire in che modo viene intesa
la comunicazione quando a farla sono le imprese.

Tuttavia lʼimmagine che si vuole creare non può prescindere da un elemento fondante:
lʼidentità dellʼimpresa che comunica.
Quindi è necessario ragionare anche sul significato del termine identità.

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Il concetto di identità
1. uguaglianza assoluta, corrispondenza perfetta.

2. lʼinsieme dei caratteri peculiari che contraddistinguono un individuo, un gruppo di individui e simili.

3. il complesso delle generalità, lʼinsieme delle caratteristiche fisiche e dei dati anagrafici
che consentono il riconoscimento di una persona.

Lʼidentità, quindi, è la sostanza costituente della comunicazione aziendale,


come per un individuo lo sono i suoi dati anagrafici e la sua fisionomia.

Elementi che costituiscono lʼidentità

CHI - Chi siamo: identità aziendale, identità personale, organigramma.

COSA - Cosa facciamo: prodotti, servizi.

DOVE - Dove siamo: localizzazione sede/sedi, distribuzione, mercati.

QUANDO - La nostra storia: evoluzione dellʼattività, storia manageriale.

PERCHEʼ - La nostra mission: perché siamo nati, perché esistiamo.


La mission (missione o scopo) di un'impresa di qualsiasi organizzazione
è il suo scopo ultimo, la giustificazione della sua esistenza, e al tempo stesso
ciò che la contraddistingue da tutte le altre.
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COME - La vision
Il termine visione (vision) è utilizzato nella gestione strategica per indicare
la proiezione di uno scenario futuro che rispecchia gli ideali, i valori
e le aspirazioni di chi fissa gli obiettivi e incentiva allʼazione.

Sebbene venga di solito usato con riferimento ad imprese, il termine può


essere utilizzato anche con riferimento ad associazioni, organizzazioni
in genere e singoli individui.

Il "manifesto" della visione dovrebbe essere tale da spronare i membri


dellʼorganizzazione e renderli orgogliosi di farne parte.
Un manifesto efficace dovrebbe:
- essere chiaro e descrivere in modo vivido unʼimmagine;
- riguardare il futuro;
- essere facilmente ricordabile
(sebbene la lunghezza sia variabile è preferibile contenerla il più possibile per facilitarne
lʼapprendimento);
- contenere espressioni che facciano presa;
- riferirsi ad aspirazioni realistiche o comunque verosimili.

Manca ancora qualcosa, però.

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Come si è detto non è possibile non comunicare e che ogni comportamento
trasmette un messaggio.

Entrano quindi in gioco gli elementi dinamici che costituiscono lʼimmagine


aziendale: le azioni o i comportamenti.

Azioni e comportamenti sono ciò di cui gli interlocutori delle imprese fanno direttamente
lʼesperienza, e che possono confermare o meno lʼimmagine e lʼidentità comunicata.

Come per gli individui “lʼabito non fa il monaco” così per le imprese
“lʼimmagine non fa lʼidentità”.

Da qualche anno, quindi, nella comunicazione dʼimpresa è stato introdotto un altro fattore,
molto più difficile da perseguire, tuttavia attualmente fondante: la reputazione.

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Il concetto di reputazione
1. stima, considerazione in cui si è tenuti da altri.

2. buona fama, rispettabilità.

3. favore, approvazione che si concede a qualcuno.

La reputazione è la valutazione globale dellʼorganizzazione presente negli interlocutori.

Eʼ “a valle” del contatto, diretto o indiretto, che ognuno ha con lʼorganizzazione.


Eʼ condizionata e condiziona tutti i messaggi che provengono dallʼorganizzazione o su di essa.

Immagine e identità si possono costruire “a tavolino”.

La reputazione si costruisce con lʼascolto, le azioni e la coerenza.

Immagine e identità sono informazione.

La reputazione è reciproco riconoscimento, fiducia, consenso.

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Perseguire una buona reputazione è lʼultimo passaggio dellʼevoluzione del modo di intendere
la comunicazione dʼimpresa.

Vediamo come ci siamo arrivati.

Il modello minimale: lʼimmagine come apparenza

Eʼ il più tradizionale e ancora il più diffusamente praticato.


In questo modello la questione dellʼimmagine si riassume nella qualità della comunicazione
pubblicitaria al cliente.

La costruzione di una buona immagine viene affidata soprattutto allʼattività di advertising.


Sono quindi fattori cruciali:
- la creatività del linguaggio della comunicazione pubblicitaria,
- la presentazione in termini di design, grafica, immagine coordinata ecc.

Il modello funzionale: lʼimmagine come sottosistema


delle strategie di marketing

Eʼ unʼevoluzione del precedente. Lʼimmagine non è più quella di un prodotto, ma viene costruiita
intorno alla marca, o “brand”.
Lʼimmagine di marca è quindi lʼinsieme organizzato e coerente di specifiche valenze associate
ad una offerta aziendale da parte di segmenti di clientela che lo ritengono distintivo per scegliere
tra soluzioni alternative.
Ragionare in questi termini significa pensare che la buona immagine serve indirettamente
ad incrementare le vendite dei prodotti, e viene misurata, appunto, attraverso gli andamenti
commerciali.

Il limite decisivo di entrambi questi modelli è quello di tenere distinti e separati lʼattore (lʼimpresa)
e le azioni che compie. Lʼunico legame tra lʼuno e lʼaltro è rappresentato dai prodotti che in realtà
non sono che una parte dei comportamenti aziendali, e spesso neanche i più rilevanti.
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Il modello dellʼidentità complessiva: “Lʼazienda come individuo” (Bernstein)
La concezione di unʼazienda come un individuo comporta che la strategia di comunicazione
coinvolga il complesso delle funzioni dellʼorganizzazione e impegni la direzione strategica.

Se lʼazienda è un individuo, allora deve pensare e agire come


tale, e non come unʼentità astratta e impersonale.
Lʼimmagine smette di essere una semplice funzione per diventare attività integrata che incontra
due aspetti fondamentali qualificanti della strategia aziendale:

Qualità: in tutte le fasi di elaborazione del prodotto/servizio, dalla progettazione al marketing


e alla comunicazione.

Identità: immagine come riflesso esterno dellʼidentità globale percepibile in tutto ciò
che lʼazienda fa e nella cultura che ne orienta le azioni.

Bernstein, il primo a formulare questo modello nel 1985, ha anticipato di ventʼanni quella che oggi
è diventata unʼevidenza.
Lʼavvento di Internet e la sua massiccia diffusione hanno ulteriormente velocizzato un processo
che ormai è inarrestabile: la modifica della qualità delle relazioni tra le aziende i loro referenti,
a cominciare dai clienti.

Le potenzialità di Internet hanno messo in luce in modo spietato le contraddizioni tra il “dire”
e il “fare” delle imprese, segnalandole e rendendole pubbliche in tempi brevissimi.
Questa nuova presa di coscienza da parte dei consumatori e le loro rivendicazioni di dialogo
autentico hanno preso forma per la prima volta in un documento, il Manifesto di Cluetrain,
che è stato pubblicato negli USA nel 2001 e da allora ha fatto il giro del mondo innescando
un cambiamento a cui nessuno può più sottrarsi.
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La rivoluzione di Cluetrain
Questi concetti sono stati formalizzati e diffusi a livello mondiale nel 2001 dal documento
Cluetrain Manifesto, che ha sollevato la questione della distanza tra aziende e mercato
segnalando la necessità, per le aziende, di occuparsi della propria reputazione piuttosto
che della loro immagine.

Il Manifesto è fatto di 95 tesi. Di seguito alcune tra le più significative.

I mercati sono conversazioni.

I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici.

Le conversazioni tra esseri umani hanno un suono umano.


Si svolgono con voce umana.

Le persone si riconoscono come tali dal suono di questa voce.

Le persone che formano questi nuovi mercati in Rete hanno


capito che possono
ottenere più informazioni e sostegno parlando tra loro, piuttosto
che con chi vende.
Tanti saluti alla retorica aziendale per promuovere e “aggiungere valore” ai prodotti.

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Non ci sono segreti. Il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende
stesse. E diffonde a tutti la propria opinione, buona o cattiva che sia.

Le aziende devono rendersi conto che i loro mercati ridono spesso. Di loro.

Avere senso dellʼumorismo non significa mettere qualche barzelletta sul sito Web aziendale.
Significa avere valori, umiltà, schiettezza e onestà.
Le aziende che cercano di “posizionarsi strategicamente” devono prendere posizione.
Possibilmente su qualcosa che interessi davvero al loro mercato.

Per parlare con voce umana, le aziende devono condividere gli interessi della loro comunità.
Ma prima devono appartenere ad una comunità.

Le comunità umane sono basate sulla comunicazione, discorsi umani su problemi umani.
La comunità basata sulla comunicazione è il mercato.
Le aziende che non appartengono a una comunità basata sulla comunicazione sono destinate
a morire.

Questo nuovo mercato ci piace molto di più. Anzi, lo stiamo creando noi.

Siete invitati, ma è il nostro mondo. Toglietevi le scarpe allʼentrata.


Se volete trattare con noi, scendete dal cammello.

Siamo immuni alla pubblicità. Lasciatela perdere.

Se volete che parliamo con voi, diteci qualcosa.


E che sia qualcosa di interessante, tanto per cambiare.
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La generazione 2.0 del web
Dallʼavvento di Internet ad oggi è passato un tempo relativamente breve, eppure le innovazioni
e le evoluzioni in rete sono già significative ed indicano trend da cui sarà sempre più difficile
prescindere.

Lʼera del web 1.0, dei siti vetrina e della comunicazione unilaterale, sta rapidamente cedendo
il passo alla generazione 2.0, che indica tutte le applicazioni online utili a favorire un alto
livello di interazione sito-utente (blog, forum, chat, Wikipedia, Youtube, Facebook,
Myspace, Gmail, ecc.).

Nellʼepoca del web 2.0 le variabili cruciali sono la qualità dei contenuti, la tempestività,
lʼinterattività. Tutto si svolge in “tempo reale”, gli aggiornamenti si susseguono, gli scambi anche,
dando vita ad una gigantesca conversazione digitale.

Dai siti web personali ai blog


Se solo pochi anni fa per costruire un sito bisognava conoscere la programmazione HTML,
e quindi era necessario rivolgersi a qualcuno esperto, oggi con i blog chiunque è in grado
di pubblicare i suoi contenuti e di personalizzare la veste grafica.

I blog professionali, in particolare, stanno conoscendo una significativa crescita, dovuta anche al
fatto che i blog vengono indicizzati in tempi abbastanza rapidi purchè aggiornati costantemente.

Il fenomeno dei blog sta portando, inoltre, alla creazione spontanea di gruppi che si aggregano
intorno ai blogger in base agli argometi trattati ed al livello dei contenuti e che possono interagire
con il blogger stesso commentando i suoi post.

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Dai sistemi per content management ai wiki
La tecnologia Wiki (di cui Wikipedia è la più conosciuta) implementa tutti i paradigmi del content
management, cioè della gestione dei contenuti.

Oggi la tecnologia permette di supportare lʼintero ciclo di vita dellʼinformazione, contrariamente


al passato in cui ogni fase doveva essere gestita con unʼapplicazione specifica.
Lʼinformazione, quindi, è disponibile per la fruizione nell'ambiente stesso in cui è nata.

Dalla stickiness al syndacation


Se fino a poco tempo fa un sito doveva essere “appiccicoso” per tenere incollati a sé gli utenti,
oggi chi pubblica contenuti ha strumenti come RSS, Atom, tagging (tecnologie di syndacation)
per fare in modo che vengano fruiti anche attraverso canali diversi dal sito.

I feed, ad esempio, sono liste di elementi con un titolo (es. notizie di un giornale, thread di un
newsgroup), che permettono il successivo collegamento ai contenuti informativi e consentono
di essere informati ogni volta che questi vengono aggiornati.

I Social Network
Social media è un termine generico che indica tecnologie e pratiche online che gli utenti adottano
per condividere contenuti testuali, immagini, video e audio.

Sulla recente vittoria di Barak Obama nella corsa per la presidenza degli Stati Uniti è stata da più
parti indicata lʼinfluenza determinante di Internet e dei social media sia nel found raising sia nel
costruire e mantenere un reale dialogo con i cittadini.

Il Social Network (Facebook, Twitter, Myspace) è un sistema di relazioni tra individui o enti
o gruppi legati tra loro da rapporti sociali di qualsiasi genere.

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Nelle reti sociali (social network), i nodi sono individui o gruppi di persone legate da vincoli
di carattere sociale.
I legami presenti all'interno di un social network possono essere monodirezionali
o bidirezionali ma anche e soprattutto multidirezionali.

In un social network la comunità nasce da un piccolo numero di membri che invitano i loro amici
ad unirsi alle proprie reti personali.
Alcuni tra gli amici invitati aderiranno al social network in questione ed invieranno a loro volta
dei nuovi inviti ai propri amici. Il ciclo si ripeterà molte volte e su più livelli facendo crescere
la rete sociale in modo esponenziale.

Di solito i social network consentono anche di scambiare messaggi tra gli amici, pubblicare
contenuti foto o video, aprire gruppi.

Queste nuove possibilità, insieme ai social network, offerte dal Web 2.0 sono
diretta espressione delle tesi di Cluetrain.

Data la novità del fenomeno, le aziende non hanno ancora trovato la giusta misura per inserirsi
in un contesto che “pretende” lʼinterattività a costo di bypassare le “vetrine”.

Indagini recenti hanno dimostrato che il pubblico non si fida più dei messaggi pubblicitari, mentre
ritiene di gran lunga più autorevoli i forum di utilizzatori o, comunque, lʼopinione di chi si trova
“dalla stessa parte della barricata”.

Ciò che comunque emerge in modo evidente ed ineludibile è che sul web si sta passando
dallʼenfasi sul “design” allʼattenzione al “contenuto”, dalla “vetrina” alla “relazione”.

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Bibliografia minimale
David Bernstein – Company image – 1° ed. 1985 – 2° ed. 2005 – Guerini e Associati
Paul Watzlawick - Pragmatica della comunicazione umana: studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi (1971)
Roma, Astrolabio
Annamaria Testa – Le vie del senso - 2004 Carocci Editore
Eric Berne - A che gioco giochiamo? - 2000 – Bompiani
Thomas Harris – Io sono OK tu sei OK - 2001 – Rizzoli BUR
The Cluetrain Manifesto http://www.cluetrain.com/book/

Video list on line


Did You Know 4.0 - http://www.youtube.com/watch?v=6ILQrUrEWe8
Did You Know 2.0 - http://www.youtube.com/watch?v=pMcfrLYDm2U
Did You Know? - http://www.youtube.com/watch?v=cL9Wu2kWwSY
Did You Know: Shift Happens - http://www.youtube.com/watch?v=ljbI-363A2Q
Social Media Revolution - http://www.youtube.com/watch?v=sIFYPQjYhv8
Dramatic Shift in Marketing Reality - http://www.youtube.com/watch?v=ciSrNc1v17M
The Online Media - http://vimeo.com/2759273
Viral Education 2.0 - http://www.youtube.com/watch?v=nX8LTMf_c8Q
A breif History of communication - http://vimeo.com/1529323
Mankind Is No Island - http://www.youtube.com/watch?v=ZrDxe9gK8Gk
How to sell soap - http://www.youtube.com/watch?v=vj29qmLnBiE

Photo credit
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Anna Maria Carbone
Giornalista. Consulente e formatrice nelle aree della comunicazione
strategica d'impresa, comunicazione interpersonale, dinamica
delle relazioni, scrittura professionale, scrittura per i media,
business planning.

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