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MASSIMO FERRARI

La filosofia allUniversit Statale e la cultura milanese

1. Leredit di Martinetti Per essersi rifiutato di giurare fedelt al regime fascista, il 1 gennaio 1932 Piero Martinetti, professore di filosofia teoretica allUniversit Statale di Milano, veniva forzatamente collocato a riposo per motivi di salute. Ho sempre considerato scriveva Martinetti nel dicembre del 1931 al Ministro dellEducazione nazionale Balbino Giuliano che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che luomo pu avere nella vita la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, un sacrilegio. Ora col giuramento che mi richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni, a smentire con esse tutta la mia vita1. Piuttosto di compiere un simile sacrilegio Martinetti decise di tornare nella sua terra, a Castellamonte, dove visse in un solitario ritiro meditativo durato sino alla morte nel 19432. In quegli anni, in polemica con un mondo che sentiva non suo, preferiva essere definito un agricoltore anzich un filosofo, nonostante continuasse il mestiere che sempre aveva svolto e organizzasse dietro le quinte il lavoro della Rivista di filosofia, ormai gravitante pi su Torino che su
1 Lettere di Piero Martinetti, a cura di I. Raboni, Il Ponte, VII, 1951, p. 343. 2 Sugli anni del ritiro meditativo cfr. A. Vigorelli, Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori, 1998, pp. 285-384.

RIVISTA DI FILOSOFIA / vol. XCI, n. 1, aprile 2000

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Milano e aperta alla collaborazione di una nuova generazione filosofica (da Norberto Bobbio a Ludovico Geymonat)3. Il gesto di Martinetti rappresent uneccezione nellambiente accademico italiano. Tra i pochi capaci di tanta coerenza vi fu Giuseppe Antonio Borgese, che nel 1925 era passato dalla cattedra di Lingua e letteratura tedesca a quella di Estetica nella neonata Facolt di Lettere e Filosofia dellUniversit Statale (risale al 1924 la trasformazione della Regia accademia scientifico-letteraria milanese in universit). Il passaggio di Borgese allinsegnamento di estetica era stato appoggiato proprio da Martinetti, al quale Borgese si sentiva legato da affinit intellettuali assai marcate dopo i suoi giovanili trascorsi crociani e fiorentini; ma il rifiuto di giurare fedelt al fascismo aggiungeva ora un elemento di ulteriore vicinanza, anche se diverse furono le modalit con cui Martinetti e Borgese si opposero alla tracotanza del regime4. Nel caso di Martinetti vi era del resto un precedente illustre: sotto la sua presidenza si era svolto a Milano (nel marzo 1926) il burrascoso VI Congresso nazionale di filosofia, sciolto dautorit dal prefetto dopo che la presenza e gli interventi di personalit poco gradite ai cattolici e al regime (da Benedetto Croce a Francesco De Sarlo, da Giuseppe Rensi allo scomunicato Ernesto Buonaiuti) avevano suscitato le proteste di Armando Carlini, preoccupato che unassise filosofica diventasse la tribuna da cui prendere posizione contro il fascismo. Levento suscit molti clamori e Martinetti (di cui Giovanni Gentile disse con somma finezza che il presente movimento politico italiano gli aveva rotto lalto sonno nella testa) usc dallintera vicenda
3 Cfr. N. Bobbio, Piero Martinetti, in Italia civile. Ritratti e testimonianze, Manduria-Bari-Perugia, Lacaita, 1964, pp. 106-08. 4 Per queste vicende si rinvia ai documenti resi noti da E.I. Rambaldi, Eventi della Facolt di Lettere di Milano negli anni del trapasso dallAccademia allUniversit, Rivista di storia della filosofia, LII, 1997, pp. 517-62, in particolare pp. 518-24, 545-54.

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con una patina di nobilt che ne ha comprensibilmente ingigantito la figura5. Tanto in occasione del congresso milanese quanto, pi tardi, in quella del rifiuto di prestare giuramento al regime, Martinetti si era mostrato fedele al rigorismo morale e alla tonalit metafisico-religiosa (ma di una religiosit non confessionale) che costituiva il centro di gravit del suo pensiero. Molti anni prima, salendo nel novembre 1906 alla cattedra di Filosofia teoretica dellAccademia scientifico-letteraria di Milano, Martinetti aveva sottolineato come la filosofia traesse la sua autentica motivazione da un bisogno religioso, da unansia che sale dallanima nella ricerca incessante dellunione con il Tutto; e da questo punto di vista la vita spirituale, nella molteplicit delle sue forme, solo un processo graduale di espansione, di liberazione, di potenziamento dello spirito verso forme sempre pi elevate, verso lunit ultima che le trascende6. A questa prospettiva, e al presentimento imperioso della sfera religiosa che si apre alluomo al di l della vita spirituale nelle sue manifestazioni storiche7, Martinetti si sarebbe sempre mantenuto fedele. Sar questa la base della sua decisa opposizione allidealismo immanentistico di Croce e Gentile; e sar questa la base della sua interpretazione di Kant, sostenuta da una vasta conoscenza della letteratura critica e documentata dai corsi tenuti dal 1924 al 1927, raccolti in un volume al quale Martinetti lavor nel periodo conclusivo della sua vita8. Ma tra gli ultimi anni dellinsegnamento universitario e linizio del ritiro a Castellamonte, Martinetti aveva anche dato alle stampe due opere impegnative. Nello stu5 Sugli echi del congresso cfr. i materiali raccolti da B. Riva, La stampa ed il Congresso del 1926, Rivista di storia della filosofia, LI, 1996, pp. 357-80. 6 P. Martinetti, La funzione religiosa della filosofia, Rivista filosofica, IX, 1907, pp. 3-35, poi in Saggi e discorsi, Torino, Paravia, 1926, pp. 5-29. 7 Cfr. P. Martinetti, Il regno dello spirito, Rinnovamento, II, 1908, fasc. 5-6, pp. 209-28, poi in Saggi e discorsi, cit., pp. 31-49. 8 Cfr. P. Martinetti, Kant, Milano, Bocca, 1943, 3a ed., con prefazione di M. Dal Pra, Milano, Feltrinelli, 1974.

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dio sulla Libert del 1928, dove fittissimo il confronto non solo con Kant ma pure con Spinoza, la libert veniva intesa come unascensione, come un processo di graduale liberazione dal piano empirico al piano intelligibile; e pi tardi, in Ges Cristo e il Cristianesimo del 1934 (il libro ebbe vita difficile e fu subito sequestrato), la polemica con la paganizzazione e degenerazione del cristianesimo trovava il suo punto di forza nuovamente in Kant, nellidea di una riforma religiosa che elaborava filosoficamente il tema della chiesa invisibile come la vera chiesa di tutti gli spiriti9. Nonostante il suo apparente distacco dal mondo, il pensiero di Martinetti rivestiva cos un significato ben preciso negli anni in cui la dittatura mussoliniana da un lato e il Concordato dallaltro gettavano ombre fosche sulla societ italiana. Per questo, e per la vasta cultura filosofica che lo caratterizzava, Martinetti era di gran lunga la figura pi prestigiosa tra i filosofi delluniversit milanese. Dei suoi colleghi, oltre a Borgese, si pu ricordare Giuseppe Zuccante, che insegnava Storia della filosofia dal 1895 ed era ben noto soprattutto per i suoi studi su Socrate10. Zuccante mor nel 1932 (al suo posto verr chiamato Antonio Banfi) e nello stesso anno, sulla cattedra lasciata vuota da Martinetti, saliva Adelchi Baratono (che vi rester sino al 37, quando si trasferir a Genova per motivi di salute). Baratono aveva preso parte alle discussioni italiane sulletica kantiana, sul socialismo, sul rapporto tra Kant e Marx avviate da Alfredo Poggi e ancora presenti sulle ultime annate della Critica sociale prima della fine della libert di stampa11. Ma gli studi
9 Cfr. P. Martinetti, La libert, Milano, Libreria Editrice Lombarda, 1928, 2a ed., a cura di G. Zanga, Torino, Boringhieri, 1965, pp. 434-35 e Ges Cristo e il Cristianesimo, Milano, Edizioni della Rivista di filosofia, 1934, 2a ed., a cura di G. Zanga, Milano, Il Saggiatore, 1972, vol. II, pp. 111, 273. 10 Cfr. L. Malusa, La storiografia filosofica italiana nella seconda met dellOttocento, vol. I: Tra positivismo e neokantismo, Milano, Marzorati, 1977, pp. 652-59. 11 Alcune notizie in proposito si trovano in P. Di Giovanni, Kant ed Hegel in Italia. Alle origini del neoidealismo, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 153-67. Come membro della Direzione del Partito socialista italiano Barato-

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del periodo trascorso a Milano riguardavano soprattutto lestetica; e risale al 1934 il libro forse pi importante di Baratono, in cui la Critica del giudizio kantiana veniva interpretata, anche ricollegandosi allempirismo inglese, come una sorta di apologia del sensibile: interpretazione che non sar priva di influenza sullestetica fenomenologica affermatasi in seguito nellambiente milanese12. Al posto di Baratono, nel 1937 veniva chiamato un allievo di Martinetti, Giovanni Emanuele Bari, che aveva gi tenuto un corso libero nel 1930-1931 e che nel 1932 aveva supplito Martinetti. A differenza di Martinetti, Bari era un sostenitore del fascismo, al punto che dopo il 45 fu sottoposto al procedimento di epurazione; riottenuta la cattedra insegn alla Statale sino al 1956, quando si tolse la vita. Da Martinetti, e dalla sua interpretazione metafisico-religiosa di Kant, chiaramente influenzata la monografia pubblicata nel 1929, che pure si concludeva con una lunga sezione dedicata allimpossibilit di stare nei limiti del criticismo kantiano13. Ma questa impossibilit porter Bari lontano anche da Martinetti, lungo una direzione che da Leibniz conduce allidealismo immanentistico di Hegel e di Gentile, la cui potenza gli sembrer decisiva per impostare il problema dellassolutezza dellessere. Tale problema pu essere risolto nel lessico poco accattivante di Bari sulla base dellesperienza come coscienza dellessere, ancorata nellio trascendentale come pensiero (cio come pensarsi-pensare) che a sua volta coincide con lessere14.
no aveva anche partecipato al Congesso di Livorno del 1921, presentando insieme a Serrati la mozione massimalista che provoc la scissione e la conseguente fondazione del Partito comunista. 12 A. Baratono, Il mondo sensibile. Introduzione allestetica, MessinaMilano, Principato, 1934. Cfr. in proposito D. Formaggio, Filosofi dellarte del Novecento, Milano, Guerini e Associati, 1996, pp. 137-53 e P. DAngelo, Lestetica italiana del Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 150-57. 13 Cfr. G.E. Bari, Oltre la Critica, Milano, Libreria Editrice Lombarda, 1929. Sul debito con Martinetti cfr. M. Dal Pra, Giovanni Emanuele Bari, Acme, IX, 1956, pp. 1-3. 14 G.E. Bari, LIo trascendentale, Milano-Messina, Principato, 1948, p. 8. Il testamento filosofico di Bari consegnato al volume Il concetto tra-

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Tuttavia leredit di Martinetti non era consegnata solo alla voluminosa produzione di Bari. La sua influenza fu significativa soprattutto in due altre direzioni: da un lato sulla formazione di Banfi (laureatosi con Martinetti nel 1910); dallaltro su studiosi che poi non seguirono la via della filosofia, come la germanista Lavinia Mazzucchetti e gli scrittori Guido Piovene e Carlo Emilio Gadda, autore nel 1928 di un saggio filosofico rimasto inedito che segna lo spartiacque tra gli studi di filosofia con Martinetti (con il quale, nel 1925, aveva inizialmente intenzione di laurearsi su Leibniz) e la vocazione letteraria15. Molti di questi allievi conserveranno un buon ricordo delle lezioni di Martinetti, tenute alle prime ore del mattino e, via via che la situazione politica si faceva pi plumbea, immerse in unatmosfera vagamente cospiratoria (dopo il congresso del 1926 Martinetti si presentava in aula con una pistola in tasca). certamente vero che il martinettismo, inteso come atteggiamento morale, austerit e rigore, nonch come ferma avversione al fascismo stato soprattutto un fenomeno torinese, associato allultima parte della vita di Martinetti e particolarmente influente su intellettuali come Arturo Carlo Jemolo, Gioele Solari, Ludovico Geymonat, Norberto Bobbio, Erminio Juvalta, Augusto Del Noce16. Tuttavia linsegnamento universitario di Martinetti e le sue lezioni che spaziavano da Kant a Hegel, da Schopenhauer a Fichte, da Spinoza alla filosofia indiana, dalla metafisica alla filosofia della religione, hanno rappresentato un capitolo importante anche per la cultura filosofica milanese17.
scendentale, Milano, Veronelli, 1957, dove lessere definito come una indefinita molteplicit di essenti (io trascendentali) (pp. 135-40). 15 Cfr. C.E. Gadda, Meditazione milanese, a cura di G.C. Roscioni, Torino, Einaudi, 1974. 16 Cfr. N. Bobbio, Martinettismo torinese, in Piero Martinetti a cinquantanni della morte, fascicolo speciale della Rivista di filosofia, LXXXIV, 1993, pp. 329-39. 17 Lelenco completo dei corsi e delle conferenze di Martinetti riprodotto in Piero Martinetti a cinquantanni della morte, cit., pp. 365-69.

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Tra coloro che si formarono a Milano negli anni 20, oltre a un martinettiano fedelissimo come Cesare Goretti e a un futuro seguace del crocianesimo come Vittorio Enzo Alfieri, un posto di rilievo spetta soprattutto a Eugenio Colorni, laureatosi sotto la guida di Martinetti nel 1930 con una tesi su Leibniz e morto nella Resistenza nel maggio 1944. Il breve percorso di Colorni indicativo di come lorientamento anti-idealistico di Martinetti, la sua lezione (anche sul piano morale) e la sua cultura lontana dai provincialismi dellItalietta fascista potessero generare esperienze intellettuali innovative. Lo testimonia bene linterpretazione che Colorni proponeva di Leibniz, in polemica con la problematica della spiritualit dellessere che Bari, ad uso esclusivo della sua filosofia, cercava di ricavare dai testi leibniziani18, e ricollegandosi invece agli studi dinizio secolo, da Bertrand Russell a Louis Couturat a Ernst Cassirer; ma lo testimonia ancor meglio il successivo interesse per Kant e per lepistemologia contemporanea (o per autori come Percy W. Bridgman e Hans Reichenbach), che porter Colorni poco prima della morte a progettare con lappoggio di Banfi una rivista di metodologia scientifica19. Tuttavia Analisi (questo il titolo che assumer la rivista) uscir solo a guerra finita, nella Milano delleuforico dopoguerra che vedr affacciarsi sulla scena nuove idee e nuovi protagonisti, ormai lontani dalleredit di Martinetti. 2. Antonio Banfi e la sua scuola Lanno successivo allabbandono da parte di Martinetti della cattedra universitaria, Banfi che gi nel 1930/1931 aveva supplito Borgese a estetica veniva chiamato alla Statale per insegnarvi Storia della filosofia
18 Cfr. la recensione del volume di O. Bari, La spiritualit dellessere e Leibniz, Padova, Cedam, 1933, apparsa con il titolo Leibniz e una sua recente interpretazione, La Cultura, XIV, 1935, pp. 9-12 e raccolta poi nel volume degli Scritti, introd. di N. Bobbio, Firenze, La Nuova Italia, 1975, pp. 155-62. 19 Cfr. E. Colorni, Scritti, cit., pp. 239-43.

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sul posto lasciato libero dalla morte di Zuccante. Laureatosi in lettere nel 1908 e in filosofia nel gennaio 1910 con Martinetti discutendo una tesi sulla filosofia di mile Boutroux, Charles Renouvier e Henri Bergson, Banfi aveva poi compiuto un breve soggiorno a Berlino, dove era entratto in contatto con Georg Simmel e aveva iniziato a studiare testi importanti che il neoidealismo di Croce e Gentile non considerava degni di particolare attenzione (dalle opere dei neokantiani di Marburgo ai libri di Husserl). Se si presta fede alla testimonianza di Banfi, gi nel 1910 egli era per uscito dalla scuola milanese con una doppia sete di ragione e di vita, che lo aveva portato a frequentare la cultura tedesca del primo Novecento e la profonda crisi di cultura che in essa trovava espressione20. Eppure dal provinciale piemontese Martinetti il pi mondano Banfi ereditava limpegno della ragione e la fiducia (come la definir con la retorica che gli era congeniale) nel suo lucido splendore, nel quadro di un deciso interesse per Kant e, pi in generale, per la filosofia tedesca contemporanea, vista come alternativa alla metafisica naturalistica del positivismo e allo spiritualismo venato di irrazionalismo che caratterizzava, ai suoi occhi, il neoidealismo crociano e gentiliano. Ma nonostante questa iniziale influenza di Martinetti, Banfi se ne distaccher sempre pi, sino a denunciare apertamente in un saggio composto nel 1943 in occasione della morte i limiti dellidealismo trascendente, troppo insensibile alla fenomenologia della vita e dello spirito, incapace di sollevarsi a unautentica sistematica del sapere e gravato da un impegno etico-religioso che andava invece ribaltato sul piano di un estremo radicale illuminismo21.
20 Cfr. A. Banfi, La mia esperienza filosofica, in La ricerca della realt, Firenze, Sansoni, 1959, vol. I, p. 1. Si vedano inoltre le osservazioni su Martinetti nellarticolo del 1947 Tre maestri, raccolto in Scritti letterari, a cura di C. Cordi, Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 246-47. 21 Cfr. A. Banfi, Piero Martinetti e il razionalismo religioso, pubblicato per la prima volta in Filosofi contemporanei, a cura di R. Cantoni, Firenze, Parenti, 1961, pp. 51-66.

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In realt lorizzonte filosofico di Banfi si era popolato di altre figure oltre a quelle di Martinetti e del Kant martinettiano. Le letture (e le traduzioni) di un filosofo della vita come Simmel, la consuetudine con lo Hegel della Fenomenologia dello spirito, e poi un fitto lavoro di documentazione su autori che tra guerra e primo dopoguerra non erano certo molto noti in Italia (Husserl e i neokantiani, in primo luogo, ma anche Max Scheler, Leonard Nelson, Arthur Liebert, o i teologi protestanti come Paul Tillich e Karl Barth) fanno di Banfi un caso abbastanza eccentrico rispetto al clima della filosofia italiana degli anni 2022. Dopo La filosofia e la vita spirituale del 1922, che gi delinea lanalisi in senso trascendentale della struttura ideale del mondo del spirito23, Banfi aveva pubblicato nel 1926 la sua opera pi importante, i Principi di una teoria della ragione. Il nodo cruciale era qui rappresentato dallautonomia della ragione quale emerge dalle varie forme del sapere (in particolare dalla conoscenza scientifica) e che trova la sua pi radicale affermazione nella sistematicit della filosofia. La ragione sosteneva Banfi la legge di un infinito compito del sapere e al tempo stesso la potenza creatrice che sistema lesperienza risolvendone le antinomie in un tessuto di relazioni. Il razionalismo trascendentale non dunque una soluzione tra altre possibili, ma la posizione filosofica in generale, in cui tutte sinverano24. Per sorreggere queste tesi, espressse in un linguaggio aspro e inconsueto, Banfi attingeva prevalentemente al coevo dibattito filosofico tedesco, del quale i Principi costituiscono una sorta di sintesi25. Ma a
22 Si vedano a questo proposito i saggi, le recensioni e gli interventi raccolti in Opere, vol. I: La filosofia e la vita spirituale e altri scritti di filosofia della religione 1910-1929, a cura di L. Eletti, Reggio Emilia, Istituto Banfi, 1986. 23 A. Banfi, La filosofia e la vita spirituale, Milano, Isis, 1922, poi in Opere, vol. I, cit., p. 7. 24 Cfr. A. Banfi, Principi di una teoria della ragione, Torino, Paravia, 1926, 3a ed. Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 197, 202, 226-27. 25 Si veda in particolare la seconda parte (intitolata Analisi e delucidazioni critiche) dei Principi di una teoria della ragione, cit., pp. 229-456.

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chi conosca direttamente quelle fonti (e in specie le fonti neokantiane) la posizione di Banfi apparir meno originale di quanto non sia sembrata ai suoi estimatori, anche se nel panorama della filosofia italiana degli anni 20 lepistemologia neokantiana dei Principi costituisce una novit che non si lascia inquadrare in nessuno degli orientamenti allora presenti in Italia26. Quando Banfi giungeva alla Statale il suo itinerario filosofico era dunque gi ben definito. La prospettiva dei Principi di una teoria della ragione sarebbe stata integrata e in parte rivista, ma quel libro doveva rimanere la sua opera pi rappresentativa nonostante il progressivo innesto di nuovi temi. Attentissimo a quanto avveniva soprattutto in Germania, come ben documentano gli studi sulla rinascita hegeliana e il neohegelismo tedesco27, Banfi dedicava ora molte delle sue energie alla delineazione di una galleria ideale di autori, ciascuno inserito nel quadro pi ampio della storia della cultura. In questo senso anche le lezioni su Nietzsche e su Spinoza fanno parte di una ricostruzione della tradizione della filosofia che si apre nel 1930 con la biografia intellettuale di Galileo Galilei (alfiere della faticosa conquista della purezza teoretica e della struttura razionale del pensiero scientifico moderno) e si chiude nel 1943 con il libro su Socrate, simbolo di una coerenza morale che non una dottrina, ma una vita, una vita la cui

Per inciso va notato che i Principi banfiani sono strutturati in maniera del tutto analoga alla Introduzione alla metafisica di Martinetti, anchessa occupata in buona parte dallesposizione di dottrine e correnti che sono alla base della discussione pi propriamente teorica. 26 Sullimpianto neocriticistico dellopera di Banfi cfr. lo studio di P. Valore, Trascendentale e idea di ragione. Studio sulla fenomenologia banfiana, Firenze, La Nuova Italia, 1999. Si veda inoltre F. Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Milano, Guerini e Associati, 1990, pp. 45-49 e il saggio di M. Dal Pra, Kantismo ed Hegelismo in Banfi, in M. Dal Pra, D. Formaggio, Paolo Rossi, Antonio Banfi (18861957), Milano, Unicopli, 1984, pp. 21-35. 27 Cfr. A. Banfi, Incontro con Hegel, a cura di P. Rossi, Urbino, Argala, 1965, pp. 65-107, 217-41.

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esperienza non ha nulla di astratto, di intellettuale, di dottrinario28. Su un altro versante, accanto alla riflessione sulla crisi della cultura e della civilt contemporanea che a pi riprese occupa Banfi nel corso degli anni 3029, la sua attivit in questo primo periodo milanese si rivolge essenzialmente nella direzione dellestetica, pur mantenendo sempre il quadro di riferimento di una filosofia della cultura intesa in termini neocriticistici come definizione dellidea o della legge che determina lesperienza culturale30. A questa impostazione si richiamano le riflessioni che Banfi viene sviluppando sulla natura e sui problemi dellestetica filosofica, in una posizione critica nei confronti dellestetica crociana e tesa a rivendicare il carattere anche eteronomo dellarte, limportanza delle tecniche artistiche e il rapporto che lesperienza estetica intrattiene con le altre sfere della cultura. Il principio estetico di cui parla Banfi agli inizi degli anni 30 assume cos il ruolo di una legge unitaria della struttura estetica dellesperienza, che deve essere messo in relazione con le altre sfere dellesperienza secondo il principio universale che ne esprime la reciproca correlazione31. A queste formulazioni astratte Banfi accompagnava per lezioni assai pi attente alla vita
28 A. Banfi, Socrate, Milano, Garzanti, 1943, 2a ed., con unintroduzione di E. Garin, Milano, Mondadori, 1984, p. 40. Cfr. inoltre Vita di Galileo Galilei, Milano, Ambrosiana, 1930, 2a ed. Milano, Feltrinelli, 1962. Per i corsi universitari a cui si accennato si vedano i volumi Spinoza e il suo tempo, a cura di L. Sichirollo, Firenze, Vallecchi, 1969 e Introduzione a Nietzsche. Lezioni 1933-1934, a cura di D. Formaggio, Milano, Isedi, 1974. 29 Su questo punto, documentato dal manoscritto pubblicato postumo su La crisi, Milano, Allinsegna del Pesce dOro, 1967, cfr. anche G.D. Neri, Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di A. Banfi, Verona, Libreria Editrice Universitaria, 1984, 2a ed. riv. Napoli, Bibliopolis, 1988. 30 Cfr. A. Banfi, Concetto, metodo, problemi di una filosofia della cultura (1937), raccolto poi in La ricerca della realt, cit., vol. II, p. 386. 31 A. Banfi, I problemi di unestetica filosofica (1932-1933), raccolto ora in Opere, vol. V: Vita dellarte. Scritti di estetica e filosofia dellarte, a cura di E. Mattioli e G. Scaramuzza, Reggio Emilia, Istituto Banfi, 1988, pp. 13-14.

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concreta dellarte; e furono proprio queste lezioni a fare di Banfi il filosofo corteggiato dai circoli artistici e letterari milanesi, punto di riferimento per una cultura inquieta che trover espressione nelle pagine di una rivista sempre pi orientata verso la fronda intellettuale come Corrente di vita giovanile32. Intorno a Banfi si ritrovano in questi anni cultori di poesia come Vittorio Sereni e Antonia Pozzi, studenti di filologia come Maria Corti, pittori come Raffaele De Grada, ma soprattutto studiosi di estetica come Luciano Anceschi, Dino Formaggio, Luigi Rognoni. Nel 1936 il giovane Anceschi pubblicava Autonomia ed eteronomia dellarte, mentre di poco posteriore la tesi di laurea di Formaggio che uscir per, in forma rielaborata, solo nel 1953 con leloquente titolo Fenomenologia della tecnica artistica. Sulle orme di Banfi, seppure con unattenzione sempre pi accentuata per le tecniche e le forme concrete del fare artistico, nasceva cos lestetica fenomenologica italiana, che doveva contribuire in maniera significativa al distacco dallestetica idealistica nel secondo dopoguerra33. A differenza di quanto era avvenuto con Martinetti, che intorno a s raccoglieva unesigua cerchia di uditori e non mirava a instaurare alcun rapporto tra la vita accademica e il tessuto culturale milanese, con Banfi si veniva dunque configurando una dimensione pubblica della filosofia. Alla visione trascedente di Martinetti, e al suo richiamo al regno dello spirito, si contrapponeva ora una visione mondana della filosofia, consapevolmente rivolta a incidere sulla cultura della Milano degli anni 30 e a estendere la propria influenza al di fuori delle aule universitarie. Le connessioni di Banfi con lindustria editoriale del tempo (da Bompiani a Mondadori a Garzanti) rendevano del resto possibili iniziative capaci di promuovere una pi diretta conoscenza di testi e au32 Varie notizie su questo ambiente si trovano in F. Papi, Vita e filosofia, cit., pp. 100-05. 33 Cfr. in proposito lequilibrata illustrazione di P. DAngelo, Lestetica italiana del Novecento, cit., pp. 176-93.

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tori allora poco noti, che rispecchiavano i suoi interessi e la sua immagine della filosofia. Per documentare questi orientamenti sufficiente un rapido sguardo alla collana Idee nuove delleditore Valentino Bompiani: vi figurano infatti tra la fine degli anni 30 e i primi anni 40 traduzioni e raccolte di Oswald Spengler (Anni decisivi), Max Scheler (La crisi dei valori), Simmel (Intuizione della vita), Ludwig Klages (Lanima e lo spirito), Nicolai Hartmann (Filosofia sistematica), Karl Jaspers (Filosofia dellesistenza), George Santayana (Il pensiero americano e altri saggi), a cui si aggiungono ancora i volumi antologici curati da J.H. Muirhead, Filosofi inglesi contemporanei e Filosofi americani contemporanei (con prefazione di Banfi). Daltronde nella medesima collana ma questa volta sul fronte di opere scritte direttamente da autori italiani usciranno anche lIntroduzione allesistenzialismo di Nicola Abbagnano (1942) e Idealismo e positivismo di Giulio Preti (1943): libri che appartengono a un clima filosofico in rapido mutamento, in cui la catastrofe della guerra sollecita nuove scelte e limpegno per il rinnovamento della filosofia italiana34. Lambiente culturale che faceva perno sullinsegnamento universitario di Banfi era caratterizzato del resto da una sostanziale impermeabilit allinfluenza dellidealismo, sia nella versione attualistica di Gentile (che era ben pi discusso dai neoscolastici della vicina Universit Cattolica), sia nella versione storicistica di Croce, la cui influenza anche nel campo degli studi di estetica non fu particolarmente rilevante nella Milano di quegli anni35. Ma a consolidare la funzione svolta da Banfi nella vita
34 Banfi dirigeva anche, per Garzanti, la collana I filosofi, che pubblicava profili di autori accompagnati da una scelta antologica dei testi e che si era aperta, nel 1941, con un Nietzsche di Enzo Paci, a cui avevano fatto seguito lo Schopenhauer di Martinetti e il Socrate dello stesso Banfi. 35 Sugli echi molto tenui destati dallidealismo a Milano cfr. E. Garin, Quindici anni dopo 1945/1960, in appendice a Cronache di filosofia italiana 1900/1943, 5a ed. Bari, Laterza, 1975, vol. II, p. 502. Si veda pure E.I. Rambaldi, La cultura filosofica, in Storia di Milano, vol. XVIII: Il Novecento, tomo II, Roma, Istituto dellEnciclopedia Italiana, 1996, pp. 799800.

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accademica e culturale milanese contribuiva anche la formazione di una cerchia di giovani filosofi destinati ben presto a un ruolo di primo piano, tra cui Enzo Paci, Remo Cantoni, Giulio Preti, Giovanni Maria Bertin. Per nessuno di loro, tuttavia, essere allievi significava ripetere pedissequamente il maestro, e nei loro percorsi affiorano gi nei primi anni 40 in maniera pi o meno accentuata motivi di discontinuit e di dissenso destinati a maturare sempre pi chiaramente nel dopoguerra. Cos nei primi scritti di Cantoni dedicati ad autori come Ludwig Klages, Hermann von Keyserling, Oswald Spengler affiora lattenzione per il nodo intellettualismo-antintellettualismo e si prefigura una linea di ricerca che avrebbe presto dati i suoi frutti al di l della filosofia della cultura banfiana36. Il giovane Preti, dal canto suo, affrontava autori come Bernard Bolzano e lo Husserl della logica pura, muovendosi nel solco banfiano con un vigore epistemologico che non tarder a configurarsi in termini innovativi nei confronti del maestro37. Infine Paci, che aveva maturato una complessa esperienza intellettuale prima di laurearsi con Banfi nel 1934, partiva dal Parmenide platonico per approdare nel 1939 al volume sui Principi di una filosofia dellessere, che sin dal titolo sembra deliberatamente trasferire i Principi banfiani dal piano della ragione trascendentale a quello delle aporie ontologiche38. Era, anche in questo caso, linizio di un percorso che avrebbe portato la scuola di Banfi a una progressiva diversificazione in36 Sugli esordi di Cantoni cfr. C. Montaleone, Cultura a Milano nel dopoguerra. Filosofia e engagement in Remo Cantoni, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, pp. 19-44. 37 Cfr. soprattutto il saggio del 1935 I fondamenti della logica formale pura nella Wissenshaftslehre di B. Bolzano e nelle Logische Untersuchungen di E. Husserl, raccolto poi nei Saggi filosofici, a cura di M. Dal Pra, Firenze, La Nuova Italia, 1976, vol. I, pp. 11-31. 38 Sulla formazione di Paci, sulla sua frequentazione dei testi di Croce e di Gobetti e sul debito con lo scetticismo di Adolfo Levi (con cui aveva studiato inizialmente a Pavia), cfr. A. Vigorelli, Lesistenzialismo positivo di Enzo Paci. Una biografia intellettuale (1929-1987), Milano, F. Angeli, 1987, specie pp. 96-117.

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terna, sino al suo dissolversi negli anni successivi alla fine del conflitto mondiale. 3. Tra guerra e dopoguerra Nel 1940, lanno dellentrata in guerra dellItalia, Banfi e i suoi allievi davano vita a Studi filosofici, una rivista che riusc unitaria senza essere monocorde e la cui impronta sulle cronache di filosofia di quegli anni fu rilevante39. Uscita in una prima serie sino al 1944 (quando venne sospesa dalle autorit fasciste) e poi in una seconda serie dal 1946 al 1949, la Rivista trimestrale di filosofia contemporanea fondata da Banfi vide convergere le linee del razionalismo critico con le esigenze avanzate dai suoi giovani allievi, ospitando talvolta le voci di alcuni dei nuovi protagonisti della scena filosofica italiana (da Geymonat ad Abbagnano, da Luigi Pareyson a Galvano della Volpe). Il progetto di Banfi era di offrire una tribuna di discussione dei problemi della filosofia contemporanea, che a suo avviso potevano trovare risoluzione in una sistematica del sapere aperta allesperienza e alla vita. Indirizzi diversissimi tra loro come lempirismo della scuola di Vienna o le varie forme di irrazionalismo venivano intesi da Banfi come aspetti parziali, ma in s positivi, della dissoluzione del razionalismo dogmatico: passaggi obbligati di una crisi di cultura che dalla degenerazione di un romanticismo estremo avrebbe tratto linfa per un nuovo aperto illuminismo umanistico40. Ma mentre Banfi pensava alla sintesi unitaria, i suoi allievi sembravano pi inclini a battere strade che non convergevano in una medesima intenzionalit speculativa. Preti accoglieva il neokantismo banfiano, ma lo co39 Cfr. E. Garin, Antonio Banfi e Studi filosofici, in Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 241-64. 40 A. Banfi, Situazione della filosofia contemporanea, Studi filosofici, I, 1940, pp. 5-25, poi in Filosofi contemporanei, cit., pp. 5-33.

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niugava con il neopositivismo del Circolo di Vienna nella convinzione che vi fosse un aspetto del pensiero kantiano di cui proprio il neopositivismo potrebbe costituire il pi radicale commento: la considerazione del rapporto fra esperienza e pensiero, e la precisazione del ruolo del pensiero nel complesso della verit, ossia del sapere41. Il lavoro di Preti non si esauriva solo in questa direzione (nel 42 usciva il volume sulla Fenomenologia del valore, che delineava una sorta di filosofia critica della personalit); ma certo era questo il nucleo pi forte del suo programma di ricerca, elaborato di l a poco in forma compiuta in Idealismo e positivismo del 1943. Preti presentava qui il manifesto di una concezione della conoscenza che, rifiutato ogni assoluto, si incentra sul nesso tra il piano delle categorie in senso formale-trascendentale e lesperienza, proponendo cos un incontro tra neokantismo e neoempirismo42. E gi allora Preti insisteva su un tema che sar pi tardi al centro di un libro come Praxis e empirismo, vale a dire su un modo di fare filosofia rigoroso, rivolto a trasformare la figura tradizionale del filosofo in uno scienziato che collabora con tutta lumanit a costruire il sapere degli uomini43. Su un altro fronte si muoveva invece Cantoni, assiduo nella collaborazione a Studi filosofici con interventi su Hartmann, su Fichte, su Martinetti, su Croce, ma soprattutto gi orientato verso lo studio del pensiero primitivo che rappresenter il punto di maggiore originalit di tutta la sua produzione. Discussa con Banfi nel 1938 e pubblicata da Garzanti nel 1941, la tesi di laurea di Cantoni su Il pensiero dei primitivi attingeva largamente ai lavori di Lucien Lvy-Bruhl e allinterpretazione del mito come forma di pensiero avanzata da Ernst Cassirer. Su queste basi Cantoni vedeva nel pen41 G. Preti, Il neopositivismo del Circolo di Vienna, Studi filosofici, III, 1942, p. 218. 42 G. Preti, Idealismo e positivismo, Milano, Bompiani, 1943, pp. 11-34. 43 G. Preti, Idealismo e positivismo, cit., p. 119.

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siero primitivo una caratteristica struttura dello spirito umano e tracciava una geografia dello spirito in cui questa strana regione fosse pienamente riconosciuta44. Al di fuori di una visione logocentrica si trattava di individuare le categorie del pensiero mitico (in termini simili a quanto aveva fatto Cassirer) e di studiarne la presenza in noi, nelluomo moderno che non diametralmente opposto alluomo arcaico e che, soprattutto, non affatto un uomo senza miti. Il problema di Cantoni era dunque di non risolvere il pensiero primitivo nellevoluzione della cultura, come sua forma inferiore e vitale (secondo quanto proponeva in quegli anni Ernesto De Martino muovendo dallo storicismo crociano), bens di riconoscerlo nel suo essere davanti a noi, nel suo collocarsi non gi nel tempo bens nello spazio che esso occupa nella cultura umana45. Lorientamento di Cantoni nella direzione di unantropologia filosofica non era facilmente conciliabile con la posizione di Banfi; e del resto ancor meno lo era il pensiero di Paci, il quale si mostrava particolarmente attento alla novit rappresentata dalla pubblicazione della Struttura dellesistenza di Abbagnano (1939) e al clima della stagione esistenzialistica ormai avviata anche in Italia. Discutendo su Studi filosofici lopera di Abbagnano, Paci scorgeva nellesistenzialismo positivo una risposta alle nostre esigenze pi intime, che andava al cuore del problema pi vivo della situazione filosofica contemporanea: La filosofia luomo, il pensiero la vita. anche uno dei temi fondamentali di Jaspers. Ma non insieme, il pensiero, la negazione della vita in quanto la negazione di s? Non esiste una dialettica tra la vita che si pone come razionalit e la vita che si pone
44 Cfr. R. Cantoni, Il pensiero dei primitivi, Milano, Garzanti, 1941, 2a ed. riveduta e ampliata Milano, Il Saggiatore, 1963, pp. 19 e 22. 45 R. Cantoni, Il pensiero dei primitivi, cit., p. 217. Su questo aspetto cfr. anche F. Remotti, I primitivi in noi: lantropologia di Remo Cantoni, in Remo Cantoni, filosofia a misura della vita, a cura di C. Montaleone e C. Sini, Milano, Guerini e Associati, 1993, pp. 81-90.

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come esistenza anche se pensiero e vita sono la stessa cosa?46. Queste domande scalzavano lottimismo razionalistico di Banfi, insistevano sulla dialettica tra la vita come esistenza personale e la ragione intesa non solo come forma trascendentale, bens come apertura allorizzonte della temporalit umana. Dietro Abbagnano comparivano cos Jaspers e Heidegger; e anche per questo la partecipazione di Paci alla discussione sullesistenzialismo costituisce un documento dellautonomia ormai acquisita (ma forse sempre posseduta) nei confronti del trascendentalismo di Banfi. Per parte sua Banfi riconosceva allesistenzialismo una funzione precisa nellambito della filosofia contemporanea, ma ne denunciava (accanto allassenza di buon gusto) il carattere dogmatico e parziale, lesasperazione negativa e intimistica, lincapacit di registrare la ricchezza della vita che scorre ben al di l dello schema astratto e unilaterale elaborato dalle filosofie dellesistenza47. Questa posizione critica si precisava ancor meglio nel corso di una discussione con Abbagnano, svoltasi a Torino nel 1941 sul tema quanto mai scottante dellAttualit di Kant. Si tratt di una sorta di versione nostrana del celebre dibattito di Davos tra Cassirer e Heidegger del 1929; e mentre Banfi, citando Cassirer e Lon Brunschvicg, difendeva unimmagine del trascendentalismo kantiano giocata sul ruolo della vita della priori nella costituzione delle leggi dei vari campi della cultura, Abbagnano quasi ripetendo lobiezione che Heidegger aveva rivolto a Cassirer sosteneva invece una prospettiva che spingesse in profondit (anzich in avanti, nella progressione delle forme culturali) la domanda di Kant sulla fondazione del sapere, per mostrare come la ricerca della fondazione assoluta di
46 La recensione, apparsa su Studi filosofici, I, 1940, pp. 431-34, venne ripubblicata da Paci nel volume Pensiero esistenza valore, MessinaMilano, Principato, 1940, pp. 188-95. 47 A. Banfi, La filosofia dellesistenza, Studi filosofici, II, 1941, pp. 170-92, poi in Filosofi contemporanei, cit., pp. 301-30.

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tutto il nostro essere determini la natura di tal fondazione48. Ma tra Milano e Torino il dialogo filosofico avviato sullonda della fortuna dellesistenzialismo sarebbe ripreso pi intenso a guerra finita, seppure su un terreno di discussione diverso. Il nuovo illuminismo patrocinato da Abbagnano (sotto la bandiera di Dewey) nel vivo della trasfigurazione dellesistenzialismo positivo e il nuovo razionalismo invocato da Geymonat nel tentativo di costruire una casa comune in cui scienziati e filosofi potessero coabitare dovevano incontrare nellambiente milanese gli interlocutori pi validi, tanto che il Centro di studi metodologici torinese animato da Abbagnano e Geymonat trov il suo pendant nel Centro di metodologia e analisi del linguaggio di Milano, che a sua volta era affiancato dalla rivista Analisi. Progettata gi da Colorni, incoraggiata da Banfi, diretta dal 1945 al 1947 (anno in cui chiuse) dallo scienziato Giuseppe Fachini, da Preti e dallastronomo Livio Gratton, la rivista privilegiava le tecniche e i metodi di cui si avvale il ricercatore e contava sulla collaborazione dello stesso Geymonat nonch, pi tardi, di una figura come Silvio Ceccato49. Ad Analisi e al suo progetto di una stretta collaborazione tra filosofi e scienziati si aggiungeranno poi altre due riviste (Sigma e Methodos), anchesse guidate dal progetto di unindagine metodologica capace di porre rimedio allanarchia concettuale della nostra epoca e di promuovere limpiego di precisi criteri logici e linguistici: Senza questo lavoro affermava Preti con il suo consueto piglio polemico la filosofia rischia di tramutarsi in rapsodia letteraria50.
48 I testi degli interventi di Banfi e Abbagnano sono riprodotti in A. Banfi, Esegesi e letture kantiane, vol. II: Studi critici su Kant e il kantismo, a cura di L. Rossi, Urbino, Argala, 1969, pp. 7-30. 49 Si veda il programma della rivista (datato Milano, ottobre 1944 maggio 1945) in Analisi, I, 1945, n. 1, pagina non numerata. 50 G. Preti, Metodologia e filosofia, Methodos, I, 1949, pp. 187-93. Per un inquadramento di queste vicende cfr. F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano (1945-1954), Milano, Cisalpino-Goliardica, 1983, pp. 33-43

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In realt, subito dopo la liberazione il clima della cultura a Milano era rapidamente mutato. Iniziava la stagione dellimpegno politico dellintellettuale e della battaglia per rinnovare la cultura italiana uscita dallestenuante ventennio fascista; ma iniziava anche lera delle controversie ideologiche, delle ragioni di politica culturale sposate (o sovrapposte) al lavoro filosofico. In prima fila in questa mutata situazione vi fu Banfi. Reduce dallimpegno nella Resistenza, attivissimo nel Fronte della cultura, nel Partito comunista (per due legislature, nel 1948 e nel 1953, sar eletto senatore), nellorganizzazione del lavoro della Casa della cultura (fondata nel 1946 e polo di attrazione dellintelligentsia di sinistra), nellimmediato dopoguerra Banfi non solo lillustre professore dellUniversit Statale, ma il filosofo e luomo politico che individua nel marxismo e nella coscienza progressiva dellumanit il nuovo orizzonte del razionalismo critico, non a caso definito non pi razionalismo trascendentale quanto piuttosto razionalismo dialettico costruttivo51. Lorientamento politico-ideologico di Banfi di fronte alla cui disponibilit nei confronti dellassoluto un allievo come Paci rimarr fortemente disorientato52 si manifesta chiaramente nelle ultime annate di Studi filosofici e trova espressione nel volume Luomo copernicano del 1950 (che raccoglie i saggi degli anni precedenti). Qui il marxismo come sapere pragmatico diventava il criterio valutativo della cultura contemporanea e il quadro entro il quale collocare i compiti di un razionalismo critico ravvivato dallapporto del materialismo storico. Cadeva cos su Croce e Gentile, sullo yankee Dewey e sul neopositivismo, su Heidegger e su
e M. Dal Pra, Il razionalismo critico, nel volume collettivo La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 44-54. 51 Il sistematico mutamento terminologico (con relativo intervento sui testi pubblicati in precedenza) segnalato da P. Valore, Trascendentale e idea di ragione, cit., p. 1. 52 Si vedano in proposito gli appunti di Paci (stesi a seguito di un colloquio con Banfi nel novembre 1945) resi noti da G.D. Neri, Crisi e costruzione della storia, cit., p. 165.

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Jaspers (e persino sul piccolo borghese Martinetti) un giudizio di estrema durezza, non diversamente da quanto avveniva a proposito di Jean-Paul Sartre e di Gabriel Marcel, schiuma soggettiva di un insipido culturalismo53. Dallaltra parte la fiducia nella potenza liberatrice delluomo copernicano, che costruisce il suo mondo e indirizza la ragione e la tecnica sulla base dellumanesimo radicale rappresentato dal marxismo54, assumeva il volto di un programma di politica culturale non facilmente armonizzabile con lapertura intellettuale di chi in giovent si era formato leggendo Simmel e Husserl. Limpegno di alcuni degli allievi di Banfi si realizzava invece in evidente e crescente dissenso dallortodossia del maestro nella collaborazione al Politecnico, la rivista di Elio Vittorini che incarn per un breve periodo gli astratti furori delle speranze post-belliche. Esemplari, in questo senso, sono alcuni interventi di Preti, secondo Franco Fortini luomo dalle idee pi chiare e pi ricche, dal polso capace di condurre avanti limpresa55. I violenti attacchi allo spiritualismo, la difesa di uninterpretazione strettamente epistemologica della crisi della scienza contemporanea, lauspicio di una nuova cultura orientata sulladerenza ai fatti e sulla tecnica, la denuncia dellaria da Sacro Romano Impero di cui intrisa la societ italiana, e non da ultimo il richiamo al pragmatismo di Dewey e alla sua convergenza con il pensiero di Marx (fratelli gemelli, dir a un certo punto): sono tutti elementi che configurano un progetto di rinnovamento radicale, nella direzione della nuova cultura che Vittorini confidava di veder sorgere dalle ceneri dellItalia post-bellica56. Per parte sua, sul
A. Banfi, Luomo copernicano, Milano, Mondadori, 1950, p. 220. A. Banfi, Luomo copernicano, cit., p. 395. F. Fortini, Dieci inverni 1947-1957. Contributi ad un discorso socialista, Milano, Feltrinelli, 1957, p. 56. 56 Cfr. G. Preti, La crisi della scienza, Il Politecnico, 4, 20 e 5, 27 ottobre 1945; Gli spiritualisti, Il Politecnico, 7, 10 novembre 1945; Scuola umanistica o scuola tecnica?, Il Politecnico, 11, 8 dicembre 1945; Il pragmatismo, che cos, Il Politecnico, 33-34, settembre-dicembre 1946, pp. 58-60.
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Politecnico Cantoni parlava del materialismo storico, di Dostoevskij e di Russell, ma soprattutto illustrava la dittatura dellidealismo di Croce e Gentile, che aveva imperiosamente dominato le coscienze e le istituzioni culturali e che ora passava, seppur lentamente, agli atti della storia. Una rottura irreversibile era dunque avvenuta e Cantoni si incaricava di esprimere un atteggiamento diffuso, che cont molto nella cultura filosofica italiana degli anni seguenti alimentando lillusione di unagonia ormai gi conclusa57. In quegli anni, del resto, Cantoni condivideva con Banfi la militanza nel Partito comunista; ma il percorso insieme si sarebbe arrestato al fatidico 1948, con linizio della guerra fredda e della contrapposizione ideologica sempre pi accanita. Non per nulla la fine della seconda serie di Studi filosofici coincide con la frattura tra Cantoni e la direzione culturale del Partito comunista, che lo accus di troppa compiacenza nei confronti di una filosofia borghese come lesistenzialismo e di ingiustificate critiche al modesto libro del marxista francese Jean Kanapa, che quella filosofia aveva voluto mettere alla gogna58. Come intellettuale ho limpressione che mi si cammini continuamente sui piedi e questo ininterrotto stato di irritazione [...] non lo posso sopportare, scriveva Cantoni a Banfi il 4 settembre 1949: a quella data era ormai consumata la frattura non solo con il Partito, da cui Cantoni usc, ma con lo stesso Banfi, che certo non comprese le ragioni dellantico allievo59. Daltronde

57 Cfr. R. Cantoni, La dittatura dellidealismo, Il Politecnico, 37, ottobre 1947, pp. 3-6 e 38, novembre 1947, pp. 10-13. Su questo articolo si vedano le osservazioni di E. Garin, Agonia e morte dellidealismo italiano, nel volume La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, cit., pp. 6-7. 58 Su questo episodio, sul clima in cui matur e sulle conseguenze che ne derivarono cfr. C. Montaleone, Cultura a Milano nel dopoguerra. Filosofia e engagement in Remo Cantoni, cit., pp. 118-25 e N. Ajello, Intellettuali e PCI 1944-1958, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 289-93. 59 La lettera di Cantoni riprodotta integralmente in C. Montaleone, Cultura a Milano nel dopoguerra. Filosofia e engagement in Remo Cantoni, cit., pp. 163-68.

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come poteva coesistere luomo copernicano di Banfi con la crisi delluomo che Cantoni, nel 1948, aveva messo a fuoco studiando lopera di Dostoevskij o di Kafka? e quale grado di compatibilit sussisteva tra il marxismo italiano allinizio della guerra fredda e il tema della irriducibilit della persona alla ragione che Cantoni ritrovava nella coscienza inquieta e pre-esistenzialistica di Sren Kierkegaard?60 In realt, sul finire degli anni 40 gli allievi di Banfi si mostravano sempre pi insofferenti delle chiusure ideologiche; e il risultato fu non solo la frantumazione della scuola, ma anche la crescente solitudine di Banfi61. Da questo punto di vista la fine di Studi filosofici nel 1949 rappresenta un momento di svolta, non a caso seguito dallavvio dei nuovi periodici di filosofia fondati rispettivamente da Cantoni e da Paci. Nel 1950 Cantoni dava vita a Il pensiero critico, allinsegna di un nuovo umanismo capace di comprendere luomo contemporaneo in unet di crisi; lanno successivo Paci, chiamato allUniversit di Pavia, fondava aut aut, la rivista che accompagner la tormentata trasformazione dellesistenzialismo positivo in un relazionismo ancora indebitato con la categoria della possibilit e diffidente delle sicurezze metafisiche. Al filosofo rivelatore dellassoluto dichiarava Paci si sostituisce la pi modesta ma pi concreta figura del filosofo che vive da uomo tra gli uomini e cerca con essi di superare gli ostacoli, di persistere nella via della civilt, di affrontare e vincere i pericoli del comune destino62. Era un programma di lavoro gi in pieno svolgimento e che chiudeva definitivamente il tormentato rapporto con Banfi.
60 R. Cantoni, La coscienza inquieta. Sren Kierkegaard, Milano, Mondadori, 1948, 2a ed. Milano, Il Saggiatore, 1976, p. 27. 61 Su questultimo aspetto cfr. F. Papi, Vita e filosofia, cit., p. 169. Si veda pure A. Santucci, Sul pensiero di A. Banfi, Rivista critica di storia della filosofia, XVII, 1962, pp. 208-09. 62 Cfr. aut aut, 1, gennaio 1951, pp. 3-5. Per lorientamento di Cantoni cfr. il suo articolo Umanismo vecchio e nuovo, Il pensiero critico, I, 1950, pp. 1-19.

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4. Gli anni Cinquanta Conclusasi la stagione euforica dellimmediato dopoguerra, anche il clima intellettuale allinterno delluniversit si modific sensibilmente, mentre mutavano contestualmente i canali della comunicazione filosofica (dalle riviste ai convegni agli strumenti editoriali). Una delle direzioni verso le quali si orient il lavoro filosofico al di fuori della lotta delle ideologie fu limpegno storiografico, che pur non estraneo alla scuola di Banfi trov per la sua istituzionalizzazione soprattutto grazie allopera di Mario Dal Pra, attivo sulla scena filosofica milanese sin dallimmediato dopoguerra e dal 1949 incaricato di Storia della filosofia antica alla Statale, dove nel 51 avr la cattedra di Storia della filosofia medievale per passare nel 56 su quella di Storia della filosofia. Dal Pra non era di formazione milanese. Laureatosi a Padova con Erminio Troilo, aveva vissuto il travaglio della cultura cattolica tra la fine degli anni 30 e i primi anni 40, esordendo con Il realismo e il trascendente (1937) a cui erano seguite le pagine di Valori cristiani e cultura immanentistica (1944), ma dedicandosi anche a una fitta attivit storiografica e di edizione di testi (Scoto Eriugena, Abelardo, Condillac, Sebastiano Maturi, Aristotele, Kant). Fuggito da Vicenza a Milano aveva partecipato alla lotta di Liberazione, divenendo tra laltro capo-redattore dei Nuovi Quaderni di Giustizia e Libert; terminata la guerra era rimasto a Milano, intraprendendo per alcuni anni la carriera di insegnante liceale e subito segnalandosi, nel 1946, per la fondazione della Rivista di storia della filosofia, dal 1950 ribattezzata Rivista critica di storia della filosofia (ma il titolo originario ricomparir allinizio della nuova serie, nel 1984)63. Sul terreno di una storia della filosofia con63 Per la biografia intellettuale di Dal Pra cfr. soprattutto il libro-intervista M. Dal Pra F. Minazzi, Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia italiana, Milano, Rusconi, 1992. Tra i numerosi scritti che anche in tempi recenti ne hanno ripercorso lopera sono inoltre da vedersi E. Garin, Per

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dotta con scrupolosa aderenza ai testi (non a caso nella redazione Dal Pra chiam, insieme a Buonaiuti che mor dopo breve tempo, un filologo come Mario Untersteiner) si giocava infatti una battaglia importante per il superamento della cultura idealistica; e per questo Dal Pra non aveva esitazioni nel denunciare tanto il peso eccessivo delle posizioni teoriche sui fatti storici, quanto il pericolo di impoverire o acriticamente esaltare il passato senza curarsi del rispetto delle diverse posizioni. Bisognava liberare allora la ricerca storiografica da ogni condizionamento speculativo, per recuperare le dottrine nella trama della situazione di cultura da cui erano sorte, nel loro rapporto con le scienze e nella loro dimensione teorica non distorta dallurgenza di problemi a esse estranee64. Il lavoro condotto dalla rivista sin dai primi anni di vita e la produzione storiografica di Dal Pra stesso, che tra il 1949 e il 1951 diede alle stampe opere importanti dedicate a Hume e allo scetticismo greco, ai filosofi medievali e alla storiografia filosofica antica, contribuirono in maniera rilevante al rinnovamento della storia della filosofia come disciplina autonoma65. La centralit della questione storiografica, agli inizi degli anni 50, trovava del resto il suo riconoscimento accademico con lingresso di Dal Pra alla Statale, dove il terreno gi dissodato da Banfi e in parte dalla sua scuola aveva creato condizioni propizie per fare di Milano, accanto ad altre sedi universitarie come Torino (dove operava il gruppo legato ad Abbagnano) e Firenze (dove insegnava EugeMario Dal Pra, in La storia della filosofia come sapere storico. Studi offerti a Mario Dal Pra, Milano, Angeli, 1984, pp. I-X e Mario Dal Pra, Rivista di storia della filosofia, XLVIII, 1993, pp. 231-37, nonch A. Santucci, Mario Dal Pra filosofo e storico della filosofia, Rivista di filosofia, LXXXV, 1994, pp. 67-97, raccolto nel volume Empirismo, pragmatismo, filosofia italiana, Bologna, Clueb, 1995, pp. 215-42. 64 M. Dal Pra, Premessa, Rivista di storia della filosofia, I, 1946, pp. 1-3. 65 Cfr. in proposito gli studi raccolti in Mario Dal Pra e i cinquantanni della Rivista di storia della filosofia, a cura di M.A. Del Torre, Milano, F. Angeli, 1998.

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nio Garin), uno degli avamposti del rinnovamento postidealistico. Lo documenta bene un volume del 1951 intitolato Problemi di storiografia filosofica, in cui erano raccolti contributi di Banfi, Preti, Dal Pra e del giovane Paolo Rossi e che affrontava nodi delicati come il rapporto tra continuit e discontinuit nella storia della filosofia (ci che a Preti pareva dipendere dalla rottura che interviene o meno negli apparati categoriali) oppure il nesso tra verit e storia. E qui Dal Pra ammoniva a non annullare il passato nelleterno presente della verit o nel limbo altrettanto intemporale dellerrore: solo evitando questa duplice tentazione si poteva individuare il significato del tempo duna filosofia, restituendola al tessuto di azioni e reazioni di pensiero e di vita che laveva generata66. Erano temi cruciali, destinati a impegnare la parte pi viva della cultura filosofica italiana. La rivista di Dal Pra ebbe una funzione di primo piano in questa discussione, tanto da ospitare tra il 56 e il 57 gli interventi allincontro di Firenze (Abbagnano, Dal Pra, Garin, Paci, Preti, Bobbio, Rodolfo Mondolfo, Andrea Vasa) e sempre nel 56 lilluminante saggio sulla storiografia filosofica in Italia di Paolo Rossi (che aveva lavorato con Banfi alla Statale)67. Daltra parte la Rivista critica di storia della filosofia contribuiva a promuovere nuovi paradigmi di indagine storiografica, sollecitando lapertura nei confronti di autori e correnti rimasti ai margini del panorama italiano. Tra il 1951 e il 1955, ad esempio, uscirono tre fascicoli monografici rispettivamente dedicati a John Dewey, a Bertrand Russell e a Rudolf
66 M. Dal Pra, Logica teorica e logica pratica nella storiografia filosofica, in Problemi di storiografia filosofica, Milano, Bocca, 1951, pp. 33-64. Il saggio di Preti, Continuit e discontinuit nella storia della filosofia, che compare alle pp. 65-84, ristampato anche nei Saggi filosofici, cit., vol. II, pp. 217-43. 67 Paolo Rossi, Sulla storiografia filosofica italiana, Rivista critica di storia della filosofia, XI, 1956, pp. 68-99, raccolto poi in versione ampliata nel volume Storia e filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi, 1975, pp. 17-69.

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Carnap, con la collaborazione tra gli altri di Banfi e di Geymonat, di Preti e di Abbagnano (oltre che dello stesso Dal Pra). Sulle pagine della rivista si intrecciavano cos gli autori e le idee che contemporaneamente, in prevalenza tra Milano e Torino, erano al centro del progetto di rinnovamento coltivato dal neoilluminismo e dalla trasfigurazione dellesistenzialismo in una filosofia di orientamento metodologico, attenta alle tecniche della ragione e ai campi dellesperienza delimitati dalle varie scienze (della natura e del mondo umano). I programmi enunciati da Abbagnano e Geymonat e le discussioni condotte con inusuale stile collettivo negli incontri periodici a Milano, a Torino e a Firenze tra il 1953 e la fine degli anni 50 venivano puntualmente riferiti e commentati dalla rivista di Dal Pra (o in alternativa dalla torinese Rivista di filosofia), creando cos un asse filosofico che passando anche per Pavia univa una parte delluniversit torinese e una parte di quella milanese nel tentativo di una terza via, alternativa ai due blocchi del marxismo e della filosofia cattolica68. Dal Pra, per parte sua, aveva assunto inizialmente una posizione critica nei confronti delle proposte neoilluministiche. Ne condivideva il progetto culturale e lethos critico, ma si chiedeva se affermando il carattere sempre problematico della ragione (come faceva Abbagnano) o rivendicando il criterio metodologico delloperativit come perno di una filosofia neorazionalistica (come faceva Geymonat) non si corresse il rischio di postulare un minimo metafisico, una garanzia ultima circa il senso dellessere. Per Dal Pra non si poteva proiettare sul reale lombra di un presupposto non soggetto alla critica e al dubbio, che costituivano invece gli unici strumenti capaci di assicurare alluomo liniziativa libera, la prassi superatrice nei confronti di ci che
68 Documenti e testi relativi ai dibattiti del neoilluminismo sono stati ripubblicati nel volume Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953-1962), a cura di M. Pasini e D. Rolando, Milano, Il Saggiatore, 1990.

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dato69. Insieme a Vasa (che insegn filosofia morale e filosofia della religione alla Statale dal 1953 al 1958) Dal Pra diede a questa posizione radicalmente critica il nome non molto seducente di trascendentalismo della prassi, formula che designava una sorta di epoch nei confronti di ogni assunto teoreticista e riabilitava liniziativa creatrice della prassi con tonalit attivistiche (Vasa era stato vicino allattualismo gentiliano), al di l della pretesa di catturare la realt in strutture razionali dotate di stabilit permanente70. Ma il trascendentalismo della prassi non ebbe vita lunghissima. Nella seconda met degli anni 50 Dal Pra si avvicin progressivamente alle posizioni di Preti, il quale a sua volta era stato linterlocutore teoricamente pi agguerrito di Abbagnano e Geymonat in nome (sono parole di Dal Pra) di una tenue eredit kantiana e di un razionalismo consapevole del fatto che in vista di un empirismo critico si pu solo fare ricorso a una ragione minuscola71. Questo avvicinamento a Preti rappresent un aspetto centrale nellitinerario di Dal Pra, tanto pi che linquieta ricerca teorica di Preti non escludeva il lavoro storico (su Newton, su Leibniz, sul pensiero scientifico e la logica medievale) e la storiografia di Dal Pra a sua volta incrociava ripetutamente gli autori di Preti, da Hume a Marx e a Dewey. In tal modo la ricerca storiografica trovava un punto di orientamento teorico nellempirismo critico difeso da Preti e che Dal Pra condivideva nei suoi assunti di fondo72.
69 M. Dal Pra, Critica, metafisica, immanentismo, Rivista di filosofia, XLIII, 1952, pp. 243-60. 70 Cfr. M. Dal Pra, Sul concetto di criticit, Rivista critica di storia della filosofia, VIII, 1953, pp. 1-13. Di Vasa si veda il volume Il problema della ragione, Milano, Bocca, 1951, nonch la raccolta Logica, religione, filosofia. Saggi filosofici (1953-1980), Milano, Angeli, 1983, con unintroduzione di Dal Pra. Sul trascedentalismo della prassi cfr. M. Dal Pra F. Minazzi, Ragione e storia, cit., pp. 167-84, e F. Cambi, Razionalismo e prasssi a Milano (1945-1954), cit., pp. 129-61. 71 M. Dal Pra, Il razionalismo critico, cit., p. 66. 72 Per il debito di Dal Pra con Preti e la valutazione della sua opera cfr. i saggi raccolti in M. Dal Pra, Studi sullempirismo critico di Giulio

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Prima della chiamata a Firenze nel 1954, tra linsegnamento liceale e lincarico allUniversit di Pavia, Preti continuava per parte sua a dissodare il terreno sul quale si radicheranno le pagine pi famose di Praxis e empirismo. Certamente nellopera di Preti non sempre facile valutare il dosaggio delle componenti (empiristiche, fenomenologiche, convenzionalistiche, kantiane), tanto pi che la riflessione sul problema della conoscenza impostata in modo differente da quello classicamente neoempiristico73. Ma queste tensioni sono pure legate alle diverse fasi della sua attivit e, almeno per quanto riguarda lultimo periodo tra Pavia e Milano, il punto di vista di Preti risente ancora delleredit del Banfi neokantiano, anche se le forme pure della ragione diventano strutture sintattiche, si collocano su un piano convenzionale e si caricano di una valenza linguistica a Banfi del tutto sconosciuta. Sulla base delle letture dei neopositivisti viennesi, di Dewey, di Charles Morris, di Carnap, Preti impostava il problema del significato, della verificazione empirica, del rapporto tra linguaggio comune e linguaggio scientifico, consapevole di quanto sia centrale come scriveva in uno dei suoi lavori maggiori di questo periodo, uscito nella collana di Pubblicazioni della Rivista critica di storia della filosofia risalire a principii di costruzione concettuale in grado di prendere in rete i fatti, per ricomporli in strutture formali che abbiano il valore di elementi del sapere74. Tuttavia proprio questo risalire ai principii lelemento kantiano o neokantiano che Preti, tramite Banfi e con la mediazione di Cassirer, continua a condividere; ed in questa prospettiva che, tanto nei confronti di
Preti, Napoli, Bibliopolis, 1988. Si veda anche G. Paganini, Dallempirismo classico allempirismo critico. Le ricerche di Mario Dal Pra fra storia e teoria, Cenobio, XLVII, 1998, pp. 365-85. 73 Cfr. P. Parrini, Preti teorico della conoscenza, in Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, a cura di F. Minazzi, Milano, F. Angeli, 1990, pp. 58-90. 74 G. Preti, Linguaggio comune e linguaggi scientifici, Milano, Bocca, 1953, pp. 28-29, poi in Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 159.

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Dewey quanto nei confronti delloperazionismo di Geymonat, egli difende la funzione che compie in una disciplina scientifica quella struttura formale, cio sintattica, che, quando c, la trasforma in scienza rigorosa75. Per entrare nellepistemologia vera e propria, dunque, bisognava ancora una volta compiere il duplice passo su cui Preti aveva gi insistito in Idealismo e positivismo: saldare il rivoluzionario principio di verificazione formulato dal neopositivismo con la fondamentale scoperta kantiana della dimensione trascendentale76. In maniera eterodossa e in parte polemica era questo un modo di conservare leredit di Banfi (ovviamente del Banfi dei Principi di una teoria della ragione). Ma era anche una maniera di prendere le distanze da altre posizioni uscite dalla scuola banfiana, come nel caso di Paci e del suo relazionismo. Con la filosofia milanese Paci continuava a confrontarsi, ma egli fu fondamentalmente un interlocutore esterno (e non di rado polemico) del neoilluminismo. A Geymonat e ad Abbagnano (con il quale condivideva la trasfigurazione dellesistenzialismo) Paci rimproverava di dissolvere nella molteplicit delle tecniche razionali lunit della ragione, e non per nulla scorgeva gi allora anticipando un tema che sar poi ripetuto infinite volte nella successiva fase fenomenologica il pericolo di disumanizzazione della ragione annidato nellantimetafisica del neopositivismo o nella nevrosi della filosofia linguistica77. In realt la componente esistenzialistica, filtrata dalle discussioni con lo storicismo crociano e dalla rilettura di Vico, arricchita da un singolare interesse per larte, la letteratura, la
75 G. Preti, Dewey e la filosofia della scienza, Rivista critica di storia della filosofia, VI, 1951, pp. 268-303, poi in Saggi filosofici, cit., vol. I, pp. 79-103 (qui p. 96). 76 G. Preti, Due orientamenti nellepistemologia, Rivista critica di storia della filosofia, V, 1950, pp. 200-17, poi in Saggi filosofici, cit., vol. I, pp. 53-77 (qui p. 65). 77 E. Paci, Hegel e il problema della storia della filosofia, nel volume Verit e storia. Un dibattito sul metodo della storia della filosofia, Asti, Arethusa, 1956, p. 156.

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musica, rimaneva al centro del pensiero di Paci nei primi anni 5078. Il relazionismo sostenuto nei saggi raccolti in Tempo e relazione (1954) era il tentativo di riformulare i problemi del periodo esistenzialistico in un nuovo linguaggio, che attingeva a Dewey e Alfred North Whitehead (un autore molto frequentato da Paci) e lasciava nellombra Sartre o Heidegger79. Ma il nodo era ancora quello della temporalit, del processo irreversibile che coinvolge tutto ci che esiste e rende possibile la nuova vita contro lastratta identit. La filosofia dellidentit affermava Paci una filosofia dellessere; la filosofia dellirreversibilit una filosofia dellesistenza80. In questa rinnovata versione della filosofia dellesistenza, che ancora una volta muoveva dal primato della possibilit sulla necessit, limportante era assicurare la comunicazione, la relazione tra comparti altrimenti chiusi o tra soggetti altrimenti destinati alla vita di monadi isolate. In quanto atteggiamento di carattere generale cos annunciava il programma di Paci il relazionismo cerca di reagire ad una concezione della vita non organica e tende ad una nuova enciclopedia del sapere81. Era una filosofia particolarmente indiscreta82, che i neoilluministi guardavano con qualche sospetto; ma era anche una prospettiva non definitiva, capace di continue trasformazioni e ogni volta in cerca di diversi equilibri (come noter Dal Pra)83. Quando ritorner alla Sta78 Per questa fase dellopera di Paci cfr. soprattutto i saggi raccolti nei volumi Il nulla e il problema delluomo, Torino, Taylor, 1950; Esistenzialismo e storicismo, Milano, Mondadori, 1950 e Relazioni e significati, vol. I: Kierkegaard e Thomas Mann, Milano, Lampugnani, 1965. Si veda inoltre Ingens sylva. Saggio sulla filosofia di G.B. Vico, Milano, Mondadori, 1949. 79 Su questo punto cfr. la recensione di Tempo e relazione scritta da C.A. Viano per la Rivista di filosofia, XLV, 1954, pp. 321-27. 80 E. Paci, Tempo e relazione, Torino, Taylor, 1954, 2a ed. Milano, Il Saggiatore, 1965, p. 14. 81 Cfr. il saggio Prospettive relazionistiche, raccolto poi nel volume Dallesistenzialismo al relazionismo, Messina-Firenze, DAnna, 1957, pp. 9-42 (qui p. 11). 82 E. Paci, Tempo e relazione, cit., p. 37. 83 M. Dal Pra, Introduzione a A. Civita, Bibliografia degli scritti di Enzo Paci, Firenze, La Nuova Italia, 1983, p. XX.

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tale, nella seconda met degli anni 50, Paci sar alla ricerca appunto di un nuovo equilibrio, ma questa volta nel segno di Husserl e del superamento del relazionismo in nome del mondo della vita. 5. Fenomenologia, marxismo, scienze umane Nel 1957, alla morte di Bari, Paci venne chiamato alla cattedra di Filosofia teoretica, mentre a Pavia il suo posto veniva occupato da Cantoni (che in precedenza era stato a Cagliari e a Roma). Nello stesso anno moriva Banfi e Geymonat arrivava alla Statale (anche lui proveniendo da Pavia) per salire sulla prima cattedra di filosofia della scienza istituita in Italia. Questi avvicendamenti, mentre confermano i rapporti di buon vicinato tra Milano e Pavia, documentano anche linizio di una fase nuova, in cui il profilo della filosofia alluniversit Statale assume caratteri diversi, in sintonia del resto con i mutamenti che si delineano allorizzonte della cultura filosofica italiana nel suo complesso84. Tra la fine degli anni 50 e i primissimi anni 60 soprattutto la pubblicazione di tre libri a segnare questa parziale cesura: le due monografie di Paci su Husserl e la fenomenologia (Tempo e verit nella fenomenologia di Husserl del 1961 e Funzione delle scienze e significato delluomo del 1963) e il volume di Geymonat su Filosofia e filosofia della scienza (1960), che segnano da un lato la rinascita della fenomenologia nella filosofia italiana e dallaltro lesaurimento dellesperienza neoilluministica, di cui Geymonat era stato uno dei protagonisti. Tuttavia ci che accomuna le nuove strade imboccate da Paci e Geymonat al di l di una divergenza profonda non solo
84 Per questultimo aspetto mi permetto di rinviare al mio saggio La filosofia italiana dal secondo dopoguerra al dibattito attuale, in Storia della filosofia, diretta da M. Dal Pra, vol. XI: La filosofia della seconda met del Novecento, a cura di G. Paganini, Padova, Piccin Nuova Libraria, 1998, tomo I, particolarmente pp. 67-84.

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sulla fenomenologia husserliana, ma anche sul rapporto tra la filosofia e le scienze in generale il recupero del marxismo come interlocutore privilegiato della filosofia contemporanea: nel caso di Paci si tratta per di una rivalutazione del marxismo occidentale (da Gyrgy Lukcs a Ernst Bloch, passando per Sartre e Maurice Merleau-Ponty), mentre nel caso di Geymonat di una ripresa del materialismo dialettico e della linea che dallo Engels della Dialettica della natura giunge al Lenin di Materialismo e empiriocriticismo e dei Quaderni filosofici. Le aperture di Paci a Husserl, in particolare allo Husserl pi tardo della Crisi delle scienze europee e del mondo della vita, si erano fatte sempre pi insistenti gi alla fine del periodo pavese, quando il relazionismo era stato messo in discussione sulla scorta di suggestioni che provenivano da Merleau-Ponty e dalla considerazione delle ambiguit del vissuto nella sua irreversibile dimensione temporale85. Le tappe di questo percorso sono registrate nel Diario fenomenologico, che si snoda dal marzo 1956 al giugno 1961 e ben documenta il ritorno a Husserl incentrato sulluomo concreto, sul soggetto individuale posto in relazione con gli altri soggetti nella ricerca intenzionale della verit, partendo dalla dimensione precategoriale in cui si radica lorizzonte del sapere. Il mio tentativo annotava Paci il 10 settembre 1958 quello di influenzare la filosofia e la cultura italiane con la fenomenologia. La mia una fenomenologia relazionistica che vorrebbe tener conto di tutta la storia del pensiero fenomenologico e superare lesistenzialismo86. Per conseguire questo ambizioso obiettivo Paci concepiva lesercizio fenomenologico come una continua lotta contro la naturalizzazione e loggettivazione, per sottrarre lo spirito alla feticizzazione e alla morte87. In primo
Cfr. E. Paci, Dallesistenzialismo al relazionismo, cit., p. 27. E. Paci, Diario fenomenologico, Milano, Il Saggiatore, 1961, 2a ed. Milano, Bompiani, 1973, p. 77. 87 E. Paci, Tempo e verit nella fenomenologia di Husserl, Bari, Laterza, 1961, 2a ed. Milano, Bompiani, 1990, p. 26.
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piano Paci collocava i temi della monade-soggetto e della sfera precategoriale che avevano impegnato lultimo Husserl, insistendo sulla genesi delle operazioni che presiedono alla costituzione delle scienze e sulla tensione teleologica che orienta la ricerca fenomenologica di una scienza rigorosa. La fenomenologia husserliana essenzialmente scienza del mondo della vita, che non pone le categorie al posto della realt vissuta, quanto piuttosto le riporta alla realt vissuta dalla quale ogni scienza dipende88. Poste queste premesse, Paci riprendeva i motivi della temporalit, della storia, della relazione che spezza ogni necessitarismo e assegnava alla fenomenologia la funzione di riscattare lesistenza umana dalla visione feticistica delle cose. Alla crisi delle scienze europee diagnosticata da Husserl veniva cos prospettata una soluzione rivoluzionaria, che partendo dal radicale umanesimo insito nella fenomenologia incontrava il marxismo in quanto critica di una societ disumana e irrazionale, fondata sul dominio della tecnica e sulla riduzione delluomo a cosa. Queste conseguenze erano al centro dellaltro libro di Paci, in cui il paradosso (sono sue parole) dellincontro tra Husserl e Marx veniva ampiamente illustrato ricorrendo al Marx degli konomisch-philosophische Manuskripte, al Sartre della Critique de la raison dialectique, a Merleau-Ponty, al Lukcs di Geschichte und Klassenbewutsein. La scoperta che le scienze sono in crisi in quantro asservite al capitalismo cos scriveva Paci la scoperta del marxismo allinterno della fenomenologia. La lotta contro il categoriale, e il ritorno al soggetto per la fondazione delle scienze e della stessa filosofia, lotta contro il capitalismo, mentre lanalisi disoccultante ritorno alle cose stesse [...] per costruire una libera societ socialista89.

E. Paci, Tempo e verit nella fenomenologia di Husserl, cit., p. 144. E. Paci, Funzione delle scienze e significato delluomo, Milano, Il Saggiatore, 1963, 2a ed. 1975, p. 463.

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Quello proposto da Paci era un abbraccio fatale, comment subito Bobbio, preoccupato del valore salvifico che si tornava ad attribuire alla filosofia90. Poco prima Preti, sconcertato dalla fortuna italiana dellultimo Husserl, aveva usato parole ancora pi pesanti, tacciando come tentativo reazionario il voler riabilitare la greve metafisica idealistica annidata nella Lebenswelt91. Paci tuttavia non era toccato da queste obiezioni, anche se era ben consapevole del fatto che insieme alleredit di Husserl era in gioco anche quella di Banfi e della sua lettura della fenomenologia. Ma il suo progetto si estendeva e si complicava, diveniva labbozzo di unenciclopedia fenomenologica e coinvolgeva una cerchia di giovani allievi che portavano nuovi materiali per ledificazione del marxismo fenomenologico. Husserl, intanto, veniva tradotto e studiato con intensit prima sconosciuta, grazie anche alle iniziative editoriali di Paci e al canale privilegiato costituito dalla collana La cultura (creata nel 1958) e dalla Biblioteca di filosofia e metodo scientifico della casa editrice Il Saggiatore. Tra il 1960 e il 1968 (quando uscirono le Ricerche logiche) Husserl tradotto in italiano fu certamente grazie a Paci e alla sua ripresa della fenomenologia uno dei passaggi decisivi per la formazione filosofica di una generazione, a Milano e non solo a Milano. Allincirca in quegli stessi anni Geymonat era invece il protagonista di unaltra operazione filosofico-culturale. Appena approdato a Milano Geymonat aveva avviato una collana di filosofia della scienza presso Feltrinelli (ma i primi volumi a uscire furono i manuali di logica di Quine e di Ettore Casari); intanto, nel 57, aveva pubblicato una monografia su Galilei (un Galilei diverso da quello banfiano) e limpegno nel campo della storia
90 Ci riferiamo alla recensione di Funzione delle scienze e significato delluomo, pubblicata da N. Bobbio sulla Rivista di filosofia, LV, 1964, pp. 318-22. 91 Si tratta di una recensione (apparsa nel 1961 su Paese sera) della traduzione italiana della Crisi delle scienze europee, raccolta poi nei Saggi filosofici, cit., vol. I, p. 453.

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della scienza sarebbe proseguito con altre iniziative editoriali (come la collana dei Classici della scienza, inaugurata nel 1964 presso la Utet). Infine, nel 1960, era uscito Filosofia e filosofia della scienza, dove Geymonat si richiamava alla gloriosa tradizione italiana aperta da Federigo Enriques per legittimare linquadramento della filosofia della scienza in una prospettiva radicalmente storicistica92. Ora lapertura al mutamento storico delle teorie scientifiche imponeva una correzione (almeno per limmagine che se ne aveva allora) del neopositivismo viennese, di cui Geymonat era stato il conoscitore pi accreditato in Italia sin dagli anni 30; ma nel volume del 1960 si profilava al tempo stesso unaltra novit rilevante. Emergeva infatti unopzione filosofica, qualificata esplicitamente come realistica e materialistica, purch intesa precisava Geymonat nel senso di un materialismo non metafisico93; e alla base di questo orientamento vi era la speranza di poter aprire un dibattito serio [...] sui rapporti tra marxismo, neopositivismo e pratica scientifica nel momento in cui, dopo i fatti di Ungheria e la crisi dellintelligenza di sinistra, si aprivano nuovi spazi per un marxismo diverso da quello gramsciano sempre criticato da Geymonat94. Agli inizi degli anni 60 Geymonat, non diversamente da Paci, individuava dunque nella sintesi con il marxismo loccasione per imprimere una svolta alla cultura italiana. Ma mentre Paci guardava a quella che Ernst Bloch chiamer la corrente calda del marxismo (Bloch, per inciso, fu uno degli autori rivalutati da Paci e da alcuni dei suoi allievi), Geymonat pensava a rilanciare il materialismo dialettico engelsiano-leniniano allinsegna
92 L. Geymonat, Filosofia e filosofia della scienza, Milano, Feltrinelli, 1960, 5a ed. 1970, p. 9. 93 L. Geymonat, Filosofia e filosofia della scienza, cit., p. 158. 94 Cfr. L. Geymonat, Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e politica, a cura di G. Giorello e M. Mondadori, Milano, Il Saggiatore, 1979, p. 104. Ma si veda pure larticolo del 1956 Troppo idealismo, raccolto in Contro il moderatismo. Interventi dal 45 al 78, a cura di M. Quaranta, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 93-97.

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del realismo, del carattere processuale e dialettico della conoscenza scientifica e della sua natura di riflesso della realt. Quando questo progetto muoveva i primi passi, la discussione sulla dialettica era del resto allordine del giorno. Il dibattito su Rinascita che vide la partecipazione di tutti i maggiori filosofi marxisti italiani del 1962 (vi prese parte anche Paci) e di quella querelle pure testimonianza il libro di Dal Pra su La dialettica in Marx (1965). Ma Geymonat impostava un lavoro pi ambizioso, che culminer nellimponente Storia del pensiero filosofico e scientifico pubblicata tra il 1970 e il 1972 (con la collaborazione di vari allievi) e poi nel volume su Scienza e realismo, canto del cigno della concezione materialistico-dialettica della conoscenza scientifica come insieme di successivi approfondimenti della realt esterna e indipendente95. In realt lincidenza sul marxismo, sulla filosofia della scienza e pi in generale sulla cultura italiana che Geymonat aveva sperato di poter esercitare fu assai inferiore alle attese, n bastava che alcuni studiosi formatisi alla sua scuola (Enrico Bellone, Silvano Tagliagambe, Giulio Giorello) pubblicassero insieme al maestro un volume dedicato allattualit del materialismo dialettico96. La centralit che il marxismo veniva ad assumere nella comunit filosofica milanese non esaurisce per il panorama dei tardi anni 60 e dei primi anni 70. In realt, anche per merito di Paci e della rinascita fenomenologica, si delineava al tempo stesso una crescente attenzione per le scienze umane, della cui integrazione nellenciclopedia fenomenologica Paci era convinto assertore. Lantropologia strutturale di Claude Lvi-Strauss e, pi in generale, lo strutturalismo (in primo luogo lo strutturalismo linguistico) fecero infatti il loro ingresso in Italia in buona parte grazie alla mediazione di Paci e la collana Biblioteca di scienze delluomo del SaggiaL. Geymonat, Scienza e realismo, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 74. Cfr. E. Bellone L. Geymonat G. Giorello S. Tagliagambe, Attualit del materialismo dialettico, Roma, Editori Riuniti, 1974.
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tore rappresent il canale attraverso il quale affluirono nella cultura italiana molte delle opere di Lvi-Strauss (Il pensiero selvaggio usc nel 1964, Tristi tropici e Antropologia strutturale nel 1966). Loperazione condotta da Paci scontava per il limite di voler fornire tramite lultimo Husserl una fondazione filosofica dello strutturalismo di Lvi-Strauss, gravando in tal modo lantropologia strutturale di una sorta di coscienza critica97. Era una prospettiva che andava tutta nella direzione di Paci, ma assai meno in quella della versione originaria dello strutturalismo che si voleva integrare filosoficamente; e non un caso che tra alcuni allievi di Paci si manifestasse invece molta pi cautela sulluso di filtri fenomenologici e sul ricorso a opzioni filosofiche pi generali, che rischiavano di rendere marginali o di oscurare i problemi pi fecondi dellantropologia strutturale98. Pur con tutti i limiti di un massiccio fenomeno di importazione tipico della cultura filosofica post-bellica, liniziativa di Paci lasci un segno. Tuttavia non era solo il suo progetto fenomenologico ad alimentare linteresse per le scienze umane: nel 1963, presso Il Saggiatore, Cantoni ripubblicava (con integrazioni e modifiche) il libro sul pensiero dei primitivi, al quale aggiungeva il sottotitolo Preludio a unantropologia. Un simile preludio assumeva per un significato diverso rispetto allepoca in cui Cantoni aveva esordito in questo campo di studi: non solo, infatti, era ormai caduto in prescrizione lostracismo che la filosofia idealistica aveva pronunciato contro le scienze umane, ma era cresciuto a dismisura linteresse delluomo occidentale per le esperienze culturali lontane dal suo mondo e dal suo orgoglio etnocentrico. In questo mutamento di paradig97 Cfr. F. Remotti, Filosofia italiana e strutturalismo: un contatto fuggevole, in Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a cura di Pietro Rossi e C.A. Viano, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 307. Per alcuni degli interventi di Paci sullantropologia strutturale cfr. Idee per unenciclopedia fenomenologica, Milano, Bompiani, 1973, pp. 319-78. 98 Cfr. A. Bonomi, Implicazioni filosofiche dellantropologia di Claude Lvi-Strauss, aut aut, n. 96-97, 1966-1967, pp. 47-73.

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ma Cantoni scorgeva anche la fine di un borioso umanismo anti-scientifico e di un insipiente divorzio tra un umanismo antiquato e una concezione invecchiata che perpetua il duplice equivoco di una scienza priva di autentici valori umanistici e culturali e di una cultura che possa stare in vita senza vero nutrimento scientifico99. In tal modo questa enunciazione programmatica voleva essere anche un preludio al necessario riconoscimento dellantropologia culturale come disciplina accademica, ci che in effetti inizi a verificarsi negli anni successivi e che fu reso possibile grazie alliniziativa di Cantoni, allorch da Pavia egli fece ritorno nellateneo milanese per insegnarvi sino alla morte nel 1978100. 6. Continuit e discontinuit di una tradizione La chiamata di Cantoni alla cattedra di Filosofia morale nel 1967 cadeva alla vigilia della contestazione studentesca che di l a poco avrebbe coinvolto anche la comunit accademica della Statale. Di quegli eventi proprio Cantoni fu un osservatore estremamente critico, sia sotto il profilo della denuncia dellubriacatura ideologica che forniva abbondante materiale per unantropologia quotidiana101, sia dal punto di vista strettamente filosofico, come attestato da un articolo del 1969 dedicato a Herbert Marcuse. Qui la critica delledonismo marcusiano si saldava alla denuncia della patetica apologia dellindividuo, che alimentava il Grande Rifiuto della societ industriale in nome di un anti-conformismo destinato a rovesciarsi in un nuovo e pi insidioso conformismo. Del resto non sfuggiva a Cantoni come molti
cit., p. 11. lantropologia di Remo Cantoni, cit., p. 81. Sul diritto di cittadinanza dellantropologia culturale nellambiente accademico italiano cfr. Pietro Rossi, Filosofia e scienze sociali, in La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 (Atti del Convegno di Anacapri, giugno 1981), Napoli, Guida, 1982, pp. 122-23. 101 Cfr. R. Cantoni, Antropologia quotidiana, Milano, Rizzoli, 1975.
99 R. Cantoni, Il pensiero dei primitivi, 100 Cfr. F. Remotti, I primitivi in noi:

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dei temi che percorrevano le pagine di Marcuse avessero radici lontane, da Schiller allirrazionalismo tedesco degli anni 20 del Novecento: di qui il monito a non cadere in illusioni gi consumate e, al tempo stesso, linvito a compiere lunica rivoluzione continua ancora possibile: quella di una intelligenza critica che non smobilita102. Non per nulla Cantoni dedicava una delle sue ultime fatiche al pensiero di Hartmann, un filosofo che certo non poteva essere considerato attuale. Ma il volumetto su Hartmann obbediva a un disegno di schieramento controcorrente: era un elogio del pensiero problematico, che non nasconde le aporie del reale ed capace di rafforzare il ruolo della filosofia in un mondo che la vuol ridurre in una posizione subalterna o ancillare103. Lethos della filosofia, cos come laveva intesa Hartmann, richiedeva che si riconoscesse lesistenza di alcuni grandi problemi, per affrontare i quali non si pu rinunciare a un minimum metafisico, n tanto meno ci si pu piegare alla strumentalizzazione politica o ideologica. Nei termini di un moralismo conservatore, Cantoni insisteva cos sul valore del dubbio critico continuo e sullinvito a non dimenticare che le vere rivoluzioni sono anche recuperi di valori perduti104. Su un versante distante, ma tuttaltro che in contrapposizione con lethos sottolineato da Cantoni, un modo di far filosofia lontano da ideologismi e utopie rigeneratrici veniva difeso da Uberto Scarpelli, professore di Filosofia del diritto ed esponente di spicco della scuola analitica nord-occidentale di cui egli stesso avrebbe tracciato un esauriente bilancio critico105. Allievo a Tori102 R. Cantoni, Lantropologia immaginaria di Marcuse, Rivista di filosofia, LX, 1969, pp. 243-88, poi raccolto con il titolo Lutopia come piacere nel volume Il senso del tragico e il piacere, prefazione di N. Abbagnano, Milano, Editoriale Nuova, 1978, pp. 145-206 103 R. Cantoni, Che cosa ha veramente detto Hartmann, Roma, Ubaldini, 1972, p. 6. 104 R. Cantoni, Che cosa ha veramente detto Hartmann, cit., pp. 14, 19, 21. 105 Cfr. U. Scarpelli, Filosofia e diritto, in La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980, cit., pp. 173-99.

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no di Bobbio e Gioele Solari, influenzato dallesistenzialismo di Abbagnano e dalla sua trasfigurazione, Scarpelli aveva trovato a Milano un interlocutore di primo piano in Renato Treves, titolare dal 1949 della cattedra di Filosofia del diritto e poi di Sociologia del diritto. Treves aveva studiato e tradotto per primo in Italia lopera di Hans Kelsen, un autore che influenzer anche Scarpelli nelle sue ricerche sul linguaggio giuridico e normativo; tuttavia Scarpelli si riferiva soprattutto ai maestri anglosassoni dellanalisi filosofica e in particolare allopera di Richard M. Hare, che consentiva di uscire dalle secche dellemotivismo etico sostenuto dal primo neopositivismo. Al tempo stesso, per, Scarpelli non perdeva di vista un programma di politica culturale, che egli (come altri esponenti della sua generazione) si prefiggeva di realizzare importando e utilizzando filosofie rimaste del tutto ai margini in Italia. Gi nel 1962, del resto, Scarpelli aveva sostenuto che la filosofia analitica [...] ha trovato un terreno favorevole soprattutto nel nord, e gli analisti sono nella filosofia un po come i radicali nella politica, un gruppo poco numeroso, ma vivo ed alacre fra lidealismo e i suoi derivati e le filosofie cattoliche da un lato e il marxismo dallaltro106. Era un programma di lavoro della cui validit londata ideologica del 68 avrebbe reso Scarpelli sempre pi convinto. Ma le posizioni di Scarpelli o di Cantoni non riscuotevano grande consenso. Gli autori destinati a occupare massicciamente il campo erano ben diversi da Hartmann o dagli analitici anglossasoni: Marx, Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, Bloch e Lukcs, Gramsci (ma in polemica con il Gramsci ufficiale), Louis Althusser e Sartre godevano di larga fortuna. Questa fase della filosofia a Milano tra le mura dellUniversit Statale documentata dalla rivista di Paci aut aut o da alcune collane filosofiche (presso la Feltrinelli, ad esempio); e
106 U. Scarpelli, Filosofia analitica, norme e valori, Milano, Edizioni di Comunit, 1962, p. 11. Una parte cospicua della produzione di Scarpelli raccolta nel volume Letica senza verit, Bologna, Il Mulino, 1982.

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non sarebbe difficile illustrarla ulteriormente dando un rapido sguardo ai programmi dei corsi, alle tesi di laurea, agli incontri di studi. Naturalmente sarebbe unilaterale appiattire gli anni 70 su unimmagine tutta ideologica della cultura filosofica milanese o ridurre entro listituzione accademica un fenomeno che ebbe dimensioni ben pi ampie; ma se si rimane in termini di clima intellettuale e di atmosfere culturali, allora vero che anche allUniversit Statale di Milano stata vissuta, e con unintensit pi accentuata che altrove, la stagione che va dallillusione rivoluzionaria alla sua estinzione alle soglie degli anni 80107. A partire dalla met degli anni 70, per, si delineano anche i primi sintomi di una inversione di tendenza, non diversamente da quanto accadeva nella cultura italiana nel suo complesso con il lento, ma inesorabile venir meno della ubiquit del marxismo. Tutto questo coincide con luscita di scena di alcuni dei protagonisti del dibattito filosofico e culturale di quegli anni, come nel caso di Paci (che muore nel 1976) o di Geymonat (che lascer linsegnamento nel 1978), favorendo pertanto il ricambio accademico e, soprattutto, innescando consistenti processi di revisione di uneredit non facile da amministrare. Nel 1979 Giorello, successore di Geymonat sulla cattedra di filosofia della scienza, presentava la traduzione italiana del libro di Paul K. Feyerabend, Against Method riconoscendo che ormai erano trascorsi due secoli (tempo soggettivo) dalle sue precedenti posizioni, e ironizzava sui sacerdoti della ragione neoempirista, popperiana, marxista ecc. che avevano osteggiato lanarchismo metodologico del tutto va bene108. Nello stesso anno Salvatore Veca parlava invece, in termini affettuosi ma critici, del romanzo filosofico di Paci, sottolinean107 Cfr. G. Bedeschi, Il marxismo, in La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, cit., pp. 232-48. 108 Cfr. G. Giorello, Prefazione a P.K. Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, trad. it. di L. Sosio, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 6 e n.

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do i rapporti sterili tra fenomenologia e marxismo e affermando, pur con tutto il rispetto dovuto, che quanto Paci [aveva] sostenuto [era] falso ma ben trovato109. Del resto con la scomparsa di Paci il progetto di unenciclopedia fenomenologica incentrata sullincontro tra lultimo Husserl e un Marx umanistico doveva conoscere un rapido declino. Dalla crisi di quel matrimonio sono maturati (come spesso avviene nelle separazioni) due partners non particolarmente litigiosi, ma che fanno ciascuno vita propria e hanno ormai poco da dirsi. Alla fine degli anni 70 il Marx critico del feticismo della societ borghese in termini conciliabili con il mondo della vita husserliano veniva gi radicalmente corretto da parte di chi aveva iniziato la propria milizia filosofica con Paci in tuttaltra direzione, per mostrare piuttosto quali fossero i nuclei centrali e gli assunti epistemologici del programma scientifico marxiano110. Su un altro versante, invece, da Husserl si risaliva al pragmatismo di Charles S. Peirce, iniziando unavventura che allinsegna del carattere infinito dellinterpretazione e della semiosi si sarebbe poi inserita nella koin ermeneutica degli anni 80, nellet in cui le ideologie parevano avviate al tramonto insieme al sogno di una cosa che Paci aveva lungamente nutrito111. Non per questo, comunque, la fenomenologia uscita di scena: ma da parte di alcuni allievi di Paci (come Giovanni Piana) stata coltivata in maniera pi professionale, al di fuori di furori ideologici e al di l di connubi problematici, nella direzione di una teoria dellesperienza che lascia in ombra lultimo Husserl per ritornare allispirazione originaria del suo lavoro filosofico.
109 S. Veca, Introduzione a E. Paci, Il filosofo e la citt. PlatoneWhitehead-Husserl-Marx, a cura di S. Veca, Milano, Il Saggiatore, 1979, pp. 11 e 17. 110 Cfr. S. Veca, Saggio sul programma scientifico di Marx, Milano, Il Saggiatore, 1977. 111 Cfr. C. Sini, Il pragmatismo americano, Bari, Laterza, 1972, pp. 15, 169-73 (e successivamente il volume Semiotica e filosofia. Segno e linguaggio in Peirce, Nietzsche, Heidegger, Foucault, Bologna, Il Mulino, 1978).

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Nel frattempo, alcuni programmi di ricerca presenti nella comunit filosofica a Milano avevano prodotto effetti forse meno vistosi, ma tuttaltro che effimeri. Sin dai primi anni 70 linsegnamento di logica patrocinato da Geymonat e tenuto da Corrado Mangione, autore peraltro dei capitoli sulla logica ottocentesca e novecentesca per la Storia del pensiero filosofico e scientifico, ha consentito di consolidare una tradizione di studi non molto diffusa in altre sedi universitarie (pur con le dovute eccezioni)112. Analogamente la filosofia del linguaggio, presente sulla scena accademica dalla met degli anni 70 con Andrea Bonomi, ha inaugurato approcci analitici non viziati dal bizantinismo e dalla pedanteria che talvolta hanno afflitto lanalisi filosofica, consentendo di condurre il lavoro su basi meno artigianali di quelle che avevano caratterizzato la prima fase postbellica della filosofia del linguaggio italiana113. Questi elementi di innovazione e in parte di discontinuit si sono saldati ad altri aspetti della tradizione filosofica milanese. Lestetica, che ha radici lontane in Banfi e nella sua scuola, ha ricevuto ulteriori impulsi dallinsegnamento di Formaggio, tornato alla Statale nel 1979 dopo un lungo periodo trascorso a Padova114. Assai pi consolidata, e meno esposta ai clamori ideologici o ai cicli alterni delle mode, rimasta inoltre la tradizione disciplinare della storiografia filosofica, che allUniversit Statale stata coltivata, insegnata e trasmessa con una sostanziale continuit grazie soprattutto allopera di Dal Pra e dei suoi allievi. Alla sua istituzionalizzazione ha contribuito anche la creazione del Centro di studi del pensiero filosofico del Cinquecento e del Seicento in re112 Cfr. ora C. Mangione, Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni, Milano, Garzanti, 1993 (in collaborazione con Silvio Bozzi). 113 Cfr. A. Bonomi, Le vie del riferimento, Milano, Bompiani, 1975. Ma indicativa di questo nuovo orientamento anche lantologia La struttura logica del linguaggio, a cura di A. Bonomi, Milano, Bompiani, 1973. 114 Sullopera di Formaggio cfr. Dino Formaggio e lestetica. Scritti offerti di autori vari con uno studio di Dino Formaggio, Milano, Unicopli, 1985.

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lazione ai problemi della scienza, fondato e diretto da Dal Pra per molti anni e successivamente affidato ad Arrigo Pacchi, che sino alla morte prematura nel 1989 ha insegnato Storia della filosofia e ha poi tenuto la cattedra che era stata di Dal Pra115. Con tutto questo, per, non sarebbe esatto parlare per il periodo pi recente di una tradizione filosofica specificamente milanese. Il discorso, forse, dovrebbe essere pi trasversale, e connettere tra loro discipline filosofiche o stili di lavoro che accomunano sedi universitarie diverse senza essere appannaggio esclusivo di un ateneo e nemmeno di una scuola, inserendosi in comunit pi ampie e ramificate, che hanno legami con centri di ricerca, con riviste o con case editrici ormai non pi univocamente identificabili con una citt o con un clima intellettuale particolare. Ciononostante rimangono differenze innegabili rispetto ad altre sedi universitarie (magari nella stessa Milano), e singoli studiosi sono in grado di accreditarsi come matres penser anche in quanto si fanno portavoce di un indirizzo (se non di una scuola) coltivato a Milano, che si ritiene possa essere assunto come emblematico di una certa tradizione o al contrario di un modo di far filosofia che si vorrebbe inaugurare. In ogni caso le carte si sono innegabilmente rimescolate rispetto ai decenni precedenti e lepoca di Martinetti e di Banfi sembra ancora pi lontana di quanto non suggerisca la distanza temporale; anzi, da questo punto di vista il caso dellUniversit Statale di Milano pu costituire un buon esempio di come la filosofia italiana del secondo dopoguerra interagendo con i mutamenti della societ civile e via via correggendo limmagine stessa del lavoro del filosofo abbia progressivamente ridisegnato non solo il proprio profilo, ma anche la propria carta geografica.

115 Per lultima produzione di Pacchi cfr. soprattutto il volume postumo Scritti hobbesiani (1978-1990), a cura di A. Lupoli, Milano, Angeli, 1998.

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Summary. The paper deals with the development of philosophy research and scholarship at the State University of Milan since 1930. At the beginning of the essay the author places Piero Martinettis religious and transcendent idealism, which had also the significance of a moral opposition to fascism. To the school of Martinetti belongs among others Antonio Banfi, who was the most influential philosopher in Milan between the two World Wars. Banfis critical rationalism originated a new trend in aesthetics, philosophy of culture and history of philosophy, and was widely spread thanks to the journal Studi filosofici (1940-1949). Banfis thought was critically received and discussed by thinkers such as Remo Cantoni, Giulio Preti and Enzo Paci, who nevertheless increasingly took distance from their master. Existentialism, logical empiricism and philosophical anthropology became the items preferred by Banfis most important pupils, so that after 1945 the school of Milan came to an end. During the fifties a different philosophical climate arose, characterized by both new standards in the field of history of philosophy (Mario Dal Pra), and the debate promoted by the so-called neoilluminismo about human knowledge, reason, and the necessity of renewing the Italian philosophical tradition. But it was particularly in the sixties that the philosophy in Milan changed quite radically its face, with the return to Husserl advocated by Paci, the reappraisal of dialectical materialism fostered by Ludovico Geymonat, and the diffusion of structuralism, western Marxism and human sciences. According to the author, however, the philosophical legacy of that period comes out as being no more significant in the last two decades, which are rather characterized by the exhaustion of a specifically milanese way of philosophizing.

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