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18/2/2014

Lecito ed illecito in chiave sportiva

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Lecito ed illecito in chiave sportiva Articolo 04.07.2005 (Giuseppe Buffone)


L'area del rischio consentito coincide con quella delineata dal rispetto delle cd. regole del gioco, che individuano, secondo una preventiva valutazione fatta dalla normazione secondaria (cio dal regolamento sportivo), il limite della ragionevole componente di rischio di cui ciascun praticante deve avere piena consapevolezza sin dal momento in cui decide di praticare, in forma agonistica, un determinato sport.

Lecito ed illecito in chiave sportiva (Commento a Corte di Cassazione, sezione V penale, 23 maggio 2005, n. 19473) di Giuseppe Buffone La recente pronuncia della Corte di Cassazione, sezione V penale, 23 maggio 2005, n. 19473, risulta interessante poich fornisce un quadro giuridico dettagliato dellillecito sportivo, comportamento tipizzato da giurisprudenza e dottrina. La Suprema Corte, peraltro, consolida il proprio indirizzo giurisprudenziale in tema di responsabilit penale conseguente a lesioni personali arrecate in occasioni di competizioni sportive. Allarea concettuale dellIllecito Sportivo, devono ricondursi tutti quei comportamenti non penalmente perseguibili poich, pur sostanziando infrazioni delle regole che governano lo svolgimento di una certa disciplina agonistica, anche qualora risultino pregiudizievoli per l'integrit fisica di un giocatore avversario, non superano la soglia del c.d. rischio consentito. L'area del rischio consentito coincide con quella delineata dal rispetto delle cd. regole del gioco, che individuano, secondo una preventiva valutazione fatta dalla normazione secondaria (cio dal regolamento sportivo), il limite della ragionevole componente di rischio di cui ciascun praticante deve avere piena consapevolezza sin dal momento in cui decide di praticare, in forma agonistica, un determinato sport. Ne discende che il rispetto delle regole segna il discrimine tra lecito ed illecito in chiave sportiva. Ci nonostante, non la violazione di quelle norme a escludere in re ipsa la configurabilit dellillecito sportivo: non viene travalicata l'area del rischio consentito, ove la stessa violazione non sia volontaria e rappresenti, piuttosto, lo sviluppo fisiologico di un'azione che, nella concitazione o trance agonistica (ansia del risultato), pu portare alla non voluta elusione delle regole anzidette, (cfr. sentenza cit.). Si propriamente parlato di ansia di prestazione e ansia da risultato, (Cass. pen. 1951/2000). Lillecito sportivo, quindi, permane anche qualora le regole del gioco siano violate dal giocatore, purch tale violazione sia scusabile in quanto carente dellelemento soggettivo del dolo e posta in essere in occasione
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dello sport stesso e ad esso compatibile secondo criteri logico funzionali. Il criterio discriminatorio tra illecito penale ed illecito sportivo , infatti, costituito dalla sussistenza o meno del rapporto di funzionalit tra l'azione che ha causato le lesioni e lo scopo proprio dell'attivit sportiva, (cfr. Pret. Trento, 11/05/1996 in Riv. Dir. Sport, 1997, 277). Lelemento soggettivo che trasferisce il comportamento posto in essere dallarea dellillecito sportivo a quella del reato di lesioni , quindi, la volont di arrecare pregiudizio all'integrit fisica dell'avversario. Quanto alla natura giuridica dellistituto esso , per ius receptum, da ricondurre alle cd. cause di giustificazioni atipiche, da rinvenire al di fuori delle ipotesi del codice di diritto penale. Sia la dottrina che la giurisprudenza, infatti, hanno da tempo individuato nell'esercizio della c.d. violenza sportiva una scriminante dei fatti lesivi che tale violenza possa cagionare da qualificarsi come causa di giustificazione c.d. non codificata, (cfr. ex multis, Cassazione, Sez. IV, 12 novembre 1999, n. 2765, rv. 217643; id., Sez. V, 2 giugno 2000, n. 8910, rv. 216716). In tema di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva, infatti, si ritenuto che, qualora i comportamenti violenti non oltrepassino la soglia di rischio consentito nella specifica attivit ginnica, essi appartengono alla categoria degli illeciti sportivi penalmente non rilevanti, poich sprovvisti di antigiuridicit per mancanza di danno sociale, (Cass. pen., sez. V, 02/06/2000, n.8910 in Cass. Pen., 2001, 3056). La ricostruzione giuridica prende le mosse da diversi argomenti. Innanzitutto, rileva la funzione altamente educativa dello sport, come cultura fisica ma anche come educazione del giovane praticante al rispetto delle norme ed all'acquisizione della regola di vita secondo cui il conseguimento di determinati obiettivi: si detto che, in tale prospettiva, lo sport diventa anche formidabile palestra di vita. La valenza positiva dello sport la si coglie, in chiave sociale, soprattutto con riferimento alle discipline di squadra, dove si rinviene, tra gli altri, il valore della socializzazione, che fa ricadere lo sport nella sfera di previsione dell'art. 2 della Carta Costituzionale. Per altro verso, si ritenuto che lo sport goda di unanime consenso sociale, con applicazione dello stesso per i fini pi disparati: ad es. nei trattamenti terapeutici ovvero nel recupero dei giovani dalle forme di devianza o dalle situazioni di disagio psicologico. La Corte di Cassazione, ha espressamente considerato come le competizioni sportive siano dal legislatore incoraggiate per gli effetti positivi svolti sulle condizioni fisiche della popolazione, (Cass. pen., sez. V, 21/02/2000 in Riv. Dir. Sport, 2000, f. 1-2). In realt, in passato, si discusso in dottrina ed in giurisprudenza se una tale ipotesi scriminante dovesse essere inquadrata nel paradigma del consenso dell'avente diritto ex art. 50 C.P. , sussistendo, peraltro, un indirizzo della Cassazione in tal senso, (es. Cass. Sez. V n. 9627 / 1992). La dottrina quasi subito e in seguito anche la giurisprudenza, rilevarono come fosse effettivamente difficile riportare la causa di non punibilit di un evento lesivo verificatosi nel corso di una manifestazione sportiva nell'ambito di una causa di giustificazione tipica come quella di cui all'art. 50 c.p. senza forzare il limite normativo della tutela di un bene per principio indisponibile quale appunto quello alla vita o all'integrit fisica, (sentenza 8.10.1992, n. 9627). Si osserv, inoltre, che la forzatura rischiava di creare assonanze anche evidenti, laddove si prestava il consenso in ordine a beni giuridici di cui il soggetto titolare non aveva la piena disponibilit, (art. 5 c.c. ,
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quanto allintegrit fisica). Basti pensare, infatti, che molte delle lesioni denunciate in giudizio a seguito di eventi sportivi, concernevano la perdita permanente delle funzioni di determinati organi, e, ci nonostante, il giudicante perveniva ad un giudizio di non punibilit. Lart. 50 C.P. non risult, quindi, pertinente. Per altri si fece leva sul caso fortuito: ma si osserv sin da subito che il casus non incide sullelemento soggettivo bens sul nesso causale senza che, nella fattispecie dellillecito sportivo, fossero presenti i requisiti essenziali del caso fortuito, ovvero, tra gli altri, imprevedibilit ed inevitabilit: lillecito sportivo, in ogni caso, si presentava quasi sempre corpore corporis. La ratio ispiratrice della nuova concezione dellillecito sportivo, muove dalla ammissibilit dellanalogia in bona partem nellintento di protendere sempre maggiormente verso un diritto penale del fatto, che sanziona esclusivamente le condotte offensive meritevoli di rieducazione, essendo questa la preminente funzione costituzionale della pena. In tale ottica si legge anche lesigenza di depenalizzare determinati reati verso un diritto penale amministrativo o, addirittura, verso nuove forme di tutela del tutto sperimentali, (si pensi alla responsabilit amministrativa da reato delle persone giuridiche, d.lgs 231/2001 a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). E, tuttavia, opportuno precisare che il principio di autonomia delle giurisdizioni, salvo le specifiche disposizioni di legge, comporta che il Giudice civile sar libero nel giudizio avente ad oggetto la richiesta di risarcimento danni del danneggiato dallillecito sportivo, ancor pi laddove non stato adito il giudice penale per la valutazione delle condotte penalmente rilevanti. Peraltro, determinate attivit sportive sono state ascritte allautore del danno ai sensi dellart. 2050 c.c. , ritenendo che potesse rivenirsi una attivit pericolosa senza necessit, quindi, degli oneri probatori di cui allart. 2043 c.c. Attenta giurisprudenza, ha, tuttavia, ritenuto inapplicabile alle attivit sportive, (nella fattispecie il calcio), la disciplina della responsabilit di cui all'art. 2050 c. c., dato che non pu ritenersi che tale attivit sportiva sia di per s pericolosa, (Trib. Firenze, 15/12/1989 in Arch. Civ., 1990, 923). Dubbi sono stati avanzati in ordine agli sport maggiormente aggressivi, a volte invasivi. In realt, lart. 2050 c.c. tratta della responsabilit per l'esercizio di attivit pericolose e non per la partecipazione ad attivit che possono esserlo: anche tradizionalmente la fattispecie di cui allarticolo succitato nasce per esigenze riconnesse a settori ben diversi dallo sport. Tra laltro, specialmente nei giochi di squadra, il danno arrecato corpore corporis e, quindi, dovrebbe ritenersi la pericolosit discendente dalla persona umana stessa, quale veicolo di conduzione dellattivit pericolosa. E indubbio che luomo possa manifestarsi nei suoi aspetti pi negativi e bui, ma da qui a reputarlo attivit pericolosa.

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