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CASISTICA E PUNIBILIT NEI REATI DINCENDIO

di Giuseppe Paolella *

Reato spesso annoverato tra quelli contro la propriet e successivamente considerato pi in generale di natura sociale, l'incendio ha sempre ricevuto da parte dell'ordinamento giuridico un atteggiamento di grande severit che contemplava, addirittura e in alcuni casi, la pena capitale, raffigurata, in una sorta di legge del contrappasso, con il rogo. Il rigore di legislatori e giudici nei confronti di questo tipo di reato era, ed , da mettere in relazione alle caratteristiche tutte particolari del delitto per la facilit della sua esecuzione ed anche per i possibili effetti devastanti. La materia oggi disciplinata in Italia dalla legge n. 353 del 2000, che ha molto innovato rispetto alla legislazione precedente.

Arson, one of those crimes which was usually included among those against property and which later has been considered as one of social nature, has always received from the legal system an approach of great severity that in many cases has touched capital pain to be executed through the stake as a form of fitting response. The rigour of the judges and legislators towards this type of crime was, and is to be put in relation with the characteristics all peculiar of the crime in itself, for its easy execution and for its devastating effects. The matter is today disciplined in Italy by law n. 353 of 2000 that has renewed many articles of the previous norms.

* Primo Dirigente del Corpo Forestale dello Stato

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utti gli ordinamenti giuridici del passato punivano lincendio in maniera estremamente grave e, in molti casi, con la morte. Nel diritto romano, in base al principio di carattere generale che imponeva di stabilire, per quanto possibile, una sostanziale uguaglianza tra gli effetti dei singoli reati e le pene da comminare (sistema __________________

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mitigato dalla possibilit che i responsabili di alcune azioni delittuose si riscattassero mediante il pagamento di somme di denaro), i responsabili degli incendi erano condannati al rogo. Peraltro, pur non essendo stata inizialmente elaborata una vera teoria della colpa intesa come elemento psicologico diverso dal dolo era previsto che lincendio non voluto dovesse comportare soltanto il risarcimento del danno (lex Aquilia). Tale situazione rimase immutata fino agli ultimi anni del periodo repubblicano. In tale epoca e, pi incisivamente, negli anni successivi la giurisprudenza (oggi definita classica) dette rilevanza giuridica alla preterintenzionalit, alla recidiva, alla provocazione, consentendo cos la valutazione, precedentemente preclusa, dellelemento intenzionale. In tempi pi recenti prevalso il principio che la condanna non debba avere connotazione di vendetta o, peggio, di crudelt e, quindi, in molti Paesi si pervenuti allabrogazione della pena di morte. Per quanto riguarda lordinamento giuridico italiano, da ricordare che lart. 27 della Costituzione ha espressamente sancito linammissibilit della pena di cui trattasi (salvo casi particolari successivamente superati) e che leffettiva abrogazione di essa avvenuta con il D.L.L. n. 224/1944 (per quanto concerne il codice penale) e con la legge n. 589/1994 (per quanto concerne il codice penale militare di guerra). Secondo principi enunciati dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 54/1979 e n. 223/1996), nel divieto della pena di morte ravvisabile una proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della vita e, quindi, tale divieto incide anche sullesercizio delle potest relative alla cooperazione internazionale ai fini della mutua assistenza giudiziaria, in quanto leventuale concorso mediante estradizione allesecuzione di pene non ammesse in Italia sarebbe di per s lesivo della Costituzione. Altra rilevante mutazione determinata dallevolversi dei tempi quella relativa alla classificazione del reato di incendio, reato che stato spesso annoverato tra quelli contro la propriet, ma che poi stato sempre pi generalmente considerato di natura sociale. Nel codice vigente il delitto in esame compreso tra quelli contro lincolumit pubblica, espressione che, secondo la giurisprudenza e la dottrina dominante, va riferita non soltanto alla vita ed allincolumit fisica

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delle persone, ma anche alle situazioni di pericolo, cio alla probabilit di danno per gli individui. Il fatto che oggetto della tutela sia essenzialmente non il patrimonio, ma lincolumit pubblica, comporta che, nel caso di incendio, si debba avere riguardo non solo allentit del danno materiale prodotto ma anche alla situazione di pericolo determinata. Il particolare rigore sempre dimostrato dai legislatori nei confronti del reato di incendio trova giustificazione nella considerazione che tale delitto ha caratteristiche del tutto peculiari, in quanto pu essere di facile esecuzione e, daltra parte, avere effetti devastanti. Attualmente la materia disciplinata dagli articoli 423 e seguenti del codice penale. In base al citato articolo chiunque cagiona un incendio punito con la reclusione da tre a sette anni. Il 2 comma della stessa norma stabilisce poi che la disposizione si applica anche nel caso di incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per lincolumit pubblica. La Cassazione ha pi volte affermato che lipotesi concettuale di incendio da riferire ad un fuoco di vaste proporzioni, avente tendenza ad espandersi, difficilmente contrastabile con una efficace opera di spegnimento e comportante, quindi, pericolo per lincolumit pubblica. stato anche affermato che la situazione di pericolo pu essere determinata non solo dal diffondersi delle fiamme ma anche dalle conseguenze dirette del fuoco (fumo, calore, mancanza di ossigeno, ecc.). Il 2 comma della norma in esame volto a contemperare il diritto del proprietario di disporre liberamente dei propri beni con lesigenza di tutelare la pubblica incolumit. In relazione allart. 423 da notare che la corrispondente norma del codice del 1889 (art. 300) ravvisava lincendio nel fatto di appiccare il fuoco a materiali facilmente infiammabili (edifici, costruzioni, prodotti della terra non ancora staccati, depositi di materiali infiammabili). Le particolari caratteristiche delle cose consentivano di dare una specifica connotazione ad unazione criminosa che, se commessa su cose di lieve entit, veniva ricondotta, ai sensi del successivo art. 310, alla meno grave ipotesi del danneggiamento. Nella nuova normativa (art. 423 codice vigente) stato fatto diretto riferimento allincendio, cio allevento causato con uno specifico com-

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portamento delittuoso e non stato dato alcun rilievo al valore del bene dato alle fiamme. Conseguentemente non stata riprodotta la disposizione di cui al precitato art. 310. Lazione criminosa pu essere compiuta da chiunque e su qualunque cosa. Ovviamente, per, possono costituire circostanze aggravanti sia particolari qualifiche del reo (art. 61 c.p. - pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che agisca con abuso di potere o in violazione di doveri inerenti ad un pubblico servizio), sia la particolare destinazione del bene (art. 425 - edifici pubblici, navi, sedi ferroviarie, ecc.). Lart. 40 c.p. testualmente recita: Nessuno pu essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se levento dannoso o pericoloso, da cui dipende lesistenza del reato, non conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha lobbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. In base alla norma surriportata il reato deve essere correlabile ad una deliberata volont dellagente di produrre leffetto antigiuridico o, anche, ad un qualsiasi elemento che come ad esempio limprudenza sia atto a configurare lipotesi della colpa. In concreto, tra la condotta e levento deve sussistere un rapporto di causalit materiale indipendentemente dal fatto che il reato si configuri come delitto o come contravvenzione o che, come gi accennato, sia doloso o colposo. Di particolare rilievo appare anche la considerazione che levento pu consistere sia in un danno materiale sia in una situazione di pericolo. Secondo quanto si evince dai lavori preparatori, il rapporto di causalit deve essere caratterizzato da adeguatezza, elemento da considerare sussistente quando le comuni conoscenze inducono a ritenere che un determinato comportamento sia idoneo a produrre un certo effetto. Il rapporto di causalit materiale, per, non da solo sufficiente a far configurare una responsabilit punibile, in quanto allelemento materiale deve unirsi quello psicologico, elemento questultimo certamente mancante in particolari casi, come ad esempio nella fattispecie prevista dallart. 46 (fatto commesso perch costretti da altri mediante violenza fisica alla quale sia impossibile resistere o sottrarsi). Particolare attenzione merita il capoverso secondo il quale non impedire un evento che si ha il dovere di impedire equivale a cagionar-

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lo. Secondo la dottrina dominante, in questo caso, la causalit materiale sostituita da una causalit giuridica, in quanto, in presenza di un determinato presupposto di fatto, la legge stabilisce una equivalenza tra inerzia e causalit materiale. Per espressa statuizione legislativa, lobbligo di impedire levento deve essere giuridico, deve cio derivare o da leggi o da altri atti normativi o da contratti o anche, secondo la dottrina dominante, da consuetudini. Il successivo art. 41 detta specifiche norme in materia di concorso di cause, stabilendo, in particolare, che le cause sopravvenute possono escludere il rapporto di causalit se da sole sufficienti a determinare levento. Ad integrazione delle suesposte considerazioni, da ricordare che, in base al principio enunciato dallart. 27, 1 comma della Costituzione, la responsabilit penale personale. In relazione a quanto accennato circa la pericolosit come elemento caratterizzante dei reati contro lincolumit pubblica e, quindi, anche dellincendio, da rilevare che il pericolo pu essere presunto (astratto) o effettivo (concreto), a seconda che sia direttamente collegato alla consumazione del reato o che risulti indicato dal legislatore come possibile conseguenza di unazione che, di per s, potrebbe non essere giuridicamente rilevante, ma che, proprio per leffetto prodotto, assume il carattere di reato. In concreto, nel caso di incendio di cosa altrui (1 comma dellart. 423), il pericolo sempre presunto in quanto il reato idoneo ad avere incidenze negative sulla incolumit pubblica. Conseguentemente, del tutto superflua ogni indagine volta ad accertare la sussistenza di un effettivo pericolo. In proposito, da ricordare che la Corte Costituzionale, con due sentenze, emesse rispettivamente nel 1974 (n. 286) e nel 1977 (n. 523) ha dichiarato non fondata la questione di legittimit costituzionale degli art. 423, 1 comma, e 449, 1 comma nelle parti concernenti la mancata subordinazione della punibilit al verificarsi dellevento. Nel caso invece di incendio di cosa propria (art. 423, 2 comma) ricorre la diversa ipotesi del pericolo concreto. Infatti, lespressione

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se dal fatto deriva, usata dal legislatore, chiaramente riferibile ad una eventualit idonea a dare rilevanza giuridica ad un particolare comportamento. Ovviamente, la situazione di pericolo deve essere accertata, non con riguardo a sensazioni soggettive, ma tenendo conto della sua oggettiva potenzialit. Premesso che esula dalla presente trattazione ogni considerazione relativa alle perplessit ed ai dibattiti relativi alla distinzione tra reati materiali e reati formali, si rileva che per il delitto di incendio reato certamente appartenente alla prima categoria in quanto volto a conseguire un evento materiale configurabile lipotesi del tentativo di cui allart. 56 c.p. Detto articolo sancisce che chiunque compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato se lazione non si compie o levento non si verifica. Per il colpevole di delitto tentato sono previste condanne commisurate allentit delle pene stabilite per i singoli reati. In base alla stessa norma, il colpevole, che volontariamente desista dallazione, soggiace soltanto alle pene previste per gli atti compiuti se configurabili come reati e se, invece, volontariamente impedisce levento, soggiace alla pena stabilita per il delitto che ha formato oggetto del tentativo, diminuito da un terzo alla met. Sotto il profilo storico, da ricordare che nel diritto romano la figura giuridica del tentativo risulta elaborata, per la prima volta, dalla giurisprudenza classica. Prima che si giungesse alla stesura della norma vigente, il problema del tentativo aveva dato luogo a perplessit e dibattiti, generati, in particolare, dal fatto che nel codice del 1889 era stata operata una distinzione tra delitto mancato e delitto tentato, cio tra due specifiche figure giuridiche, correlate, rispettivamente, al compimento (nellambito di un unico disegno criminoso) di atti preparatori e di atti esecutivi. La distinzione era di particolare rilievo perch la fase di preparazione era esclusa dalliter criminis. Daltra parte, per, in assenza di criteri oggettivi, tale fase risultava difficilmente delimitabile. Nasceva cos lesigenza di sopprimere una distinzione che dava

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luogo a continue discussioni ed incertezze e di ricercare un criterio che consentisse di delineare il tentativo in maniera chiara ed univoca. Dopo lunghe elaborazioni dottrinali si cos giunti a stabilire che, perch si possa ipotizzare lesistenza di un reato tentato, bisogna soltanto accertare lidoneit e univocit delle azioni compiute, prescindendo dal graduarle e ancorarle a fasi di difficile delimitazione. In linea generale, si ritiene che il delitto tentato sia una figura giuridica autonoma e non unattenuante del reato consumato. Del tutto diversa da quella precedentemente esaminata la fattispecie prevista dallart. 424 c.p. A tale norma sono state apportate sostanziali innovazioni dalla legge n. 353/2000, la quale ha anche inserito nel codice lart. 423 bis (articolo cui saranno fatti specifici riferimenti in seguito). La citata legge n. 353 ha riprodotto o modificato alcune delle disposizioni di cui al decreto legge n. 220/2000 convertito in legge n. 275/2000 e, in alcune parti, stato poi, a sua volta, modificato dal decreto legge n. 343/2001 convertito in legge n. 401/2001. Nella sua attuale stesura, lart. 424 dispone che chiunque, al di fuori dellipotesi prevista dallart. 423 bis, al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui punito, se dal fatto sorge il pericolo di incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni. La stessa norma prevede un inasprimento della pena e stabilisce che si applichino le pene previste dallart. 423 bis qualora al fuoco appiccato a boschi, selve e foreste o a vivai forestali destinati al rimboschimento segua lincendio. La locuzione al solo scopo di consente di differenziare la fattispecie in esame da quella prevista dallart. 423. Le due ipotesi sono, infatti, riconducibili a due diversi moventi, cio alla volont di provocare un incendio, nel caso di cui alla norma per ultimo citata, ed a quella di causare un danno nel caso di cui allarticolo successivo. Secondo una tesi generalmente accolta, lazione di appiccare il fuoco (azione che pu essere esercitata su cosa propria o altrui) da considerare compiuta quando il bene su cui svolta comincia effettivamente a bruciare. Altra notazione di rilievo che, per la prima volta, nellambito della

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disposizione in esame, si provveduto a dare una particolare connotazione ed uno specifico valore giuridico alla circostanza che il fuoco venga appiccato a boschi, selve, foreste o vivai forestali. Ovviamente, nel caso di danneggiamenti causati con modalit diverse da quelle previste dallart. 424 o comunque senza che il fuoco cominci a manifestarsi, ricorre la diversa ipotesi di cui allart. 635 c.p. (danneggiamento). Per comodit di esposizione, alla trattazione delle circostanze aggravanti di cui allart. 425, si antepone quella dellincendio colposo. In base allart. 449, al di fuori delle ipotesi previste nel secondo comma dellart. 423 bis, chiunque cagiona per colpa un incendio punito con la reclusione da uno a cinque anni. In relazione alla norma precitata, da ricordare che, secondo una recente sentenza della Cassazione (sez. IV 4/7/2003 n. 1238), per la sussistenza del reato rilevante non la mera accensione del fuoco, ma lazione o lomissione che ha consentito al fuoco di divampare in incendio. Nella fattispecie, il sorvegliante di una discarica di rifiuti stato ritenuto colpevole di incendio per non aver adottato tutte le misure atte a prevenire il pericolo. interessante notare che anche nella fattispecie prevista dallart. 449 si provveduto a diversificare, rispetto a tutte le possibili ipotesi di attivit colpose, quelle riconducibili al pi volte citato art. 423 bis c.p. Lart. 425 c.p. prevede un inasprimento delle pene previste dagli articoli 423 e 424 qualora il fatto venga commesso su edifici pubblici, monumenti, cimiteri, edifici abitati, impianti industriali, cave, miniere, acquedotti, natanti, aeromobili. La legge n. 353/2000, oltre ad apportare le innovazioni gi accennate, ha abolito il riferimento che nel citato art. 425 prima veniva fatto allipotesi di incendi a boschi, selve e foreste, perch tale ipotesi delittuosa, gi semplice aggravante del generico delitto di incendio, ha ora assunto la configurazione di reato autonomo. Detta legge, infatti, ha, come gi accennato, inserito nel codice penale, lart. 423 bis, il quale testualmente recita: chiunque cagioni un incendio su boschi, selve e foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, punito con la reclusione da 4 a 10 anni.

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Se lincendio di cui al primo comma cagionato per colpa, la pena della reclusione da uno a cinque anni. Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dallincendio deriva pericolo per edifici o danno su aree protette. Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della met se dallincendio deriva un danno grave, esteso e persistente allambiente. Altra rilevante innovazione apportata dalla legge n. 353/2000 quella di aver dato una chiara definizione del reato in esame, specificando che per incendio boschivo si intende un fuoco con suscettivit ad espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, comprese eventuali strutture o infrastrutture antropizzate poste allinterno delle predette aree, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree. interessante notare che nel codice del 1889 era previsto, come aggravante, soltanto lincendio delle foreste; che nel nuovo codice del 1930 la previsione stata estesa ai boschi ed alle selve perch ritenute (vedi lavori preparatori e, in particolare, relazione del Guardasigilli) meritevoli della maggiore attenzione nellinteresse della Nazione, e che infine, con la legge n. 353, oltre a configurare lo specifico reato di incendio boschivo, si provveduto ad una ulteriore estensione delle zone assoggettate a particolare tutela. I suindicati progressivi ampliamenti e linasprimento delle pene sono indicativi del crescente interesse del legislatore per il patrimonio boschivo e della conseguente volont di assicurare una sempre maggiore protezione di tale bene. Una completa disamina dellintera legge n. 353 richiederebbe tempi e spazi non conciliabili con le finalit del presente scritto. Ci premesso non sembra, per, che possa omettersi di fare specifici riferimenti ad alcune enunciazioni e disposizioni di carattere generale e ad alcune norme che pi direttamente interessano il settore operativo. innanzitutto da ricordare che le disposizioni contenute nella legge n. 353 sono, per espressa statuizione legislativa (art. 1), finalizzate alla conservazione e alla difesa dagli incendi del patrimonio boschivo quale bene insostituibile per la qualit della vita e costituiscono principi fondamentali dellordinamento ai sensi dellart. 117 della Costituzione.

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La surrichiamata enunciazione appare correlabile agli articoli 9 e 32 della Costituzione relativi, rispettivamente, alla tutela del paesaggio e della salute degli individui. La normativa in esame, inoltre, inquadrabile in un ampio disegno politico volto a dare, sul piano legislativo, concreta attuazione al suindicato precetto costituzionale. In proposito sono da ricordare i molti interventi nel settore della tutela ambientale (vedi ad esempio la legge n. 394/1991; la legge n. 308/2004) e in quello della protezione paesaggistica (vedi ad esempio il D. lgs. n. 42/2004). Dopo aver fatto specifici riferimenti alle finalit che intende perseguire, la legge n. 353 stabilisce i principi generali cui gli Enti interessati debbono attenersi per svolgere in maniera coordinata le loro attivit di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi. Inoltre la surrichiamata normativa detta disposizioni in materia di attivit formative e informative e, per contrastare in maniera concreta gli incendi, dispone tutta una lunga serie di prescrizioni e divieti. Di particolare rilievo la norma (art. 10) in base alla quale le zone boscate e i pascoli, i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco, non possono avere salvo eccezioni espressamente previste una destinazione diversa da quella preesistente allincendio per almeno quindici anni. Con tale norma si inteso neutralizzare la possibilit di incendi provocati per il conseguimento di particolari interessi, quali, ad esempio, la speculazione edilizia e lampliamento di zone coltivate. I principi suesposti hanno trovato pratica e puntuale conferma nella sentenza della Corte di Cassazione - sez. III C.C. n. 23201 del 27/5/2003. In detta pronuncia stato, infatti, rilevato che per incendio boschivo, ai sensi dellart. 2 della legge n. 353/2000, si intende un fuoco con suscettivit a espandersi su aree boscate, cespugliate o arborate, oppure su terreni coltivati o incolti e pascoli limitrofi a dette aree. Conseguentemente, la realizzazione su dette superfici di edifici, strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attivit produttive configura il delitto di cui allart. 10, commi 1 e 4, della citata legge n. 353. Varie disposizioni della legge in esame prevedono che il C.F.S. partecipi alle attivit di ricognizione, sorveglianza, avvistamento e spegni-

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mento degli incendi boschivi. Tali disposizioni vanno integrate con le statuizioni della successiva legge n. 36/2004, concernente lordinamento del Corpo e, in particolare, con quelle relative ai compiti di polizia giudiziaria; di vigilanza sul rispetto delle normative nazionali e internazionali; di salvaguardia delle risorse agroambientali, forestali e paesaggistiche; di concorso nel monitoraggio e controllo del territorio; di pubblico soccorso; di attivit di studio nelle materie di competenza. In relazione a quanto precede, premesso che le rilevanti funzioni previste dalla legge n. 353 richiedono un costante controllo del territorio e, in molti casi, lintervento di particolari strutture operative, deve osservarsi che la lotta agli incendi viene condotta con modalit pi ampie e pi articolate di quelle desumibili dalle norme surricordate. Tra le varie attivit che, nella materia in esame, vengono esercitate dal Corpo, sono da ricordare le indagini conoscitive volte ad accertare il numero e le cause degli incendi, anche al fine di predisporre le misure necessarie per prevederli e contrastarli. Tali indagini, che hanno cadenza periodica, sono svolte dal Nucleo antincendi boschivi del C.F.S., dintesa con gli Uffici Territoriali ed i Servizi antincendi delle Regioni e delle Province autonome. Pur omettendo di riportare dati numerici, da notare che oggi la superficie totale del patrimonio boschivo, nonch i dati relativi alle caratteristiche delle singole zone (altitudine, capacit produttive, ecc.) risultano esattamente censiti e che tale risultato stato raggiunto in un arco di tempo relativamente breve. Al riguardo sembra utile ricordare che, secondo quanto affermato da alcuni autori (vedi ad esempio, A. Mura: Ordinamento forestale Giuffr, - Milano 1973), la prima raccolta di dati forestali risulta effettuata nel 1870; che i dati allepoca elaborati avevano un alto grado di approssimazione e che tale situazione, anche per mancanza di uomini e mezzi, rimasta immutata per lungo tempo. Per quanto in particolare concerne gli incendi, da notare che le prime rilevazioni sistematiche del loro numero e della loro gravit risalgono (sia in Italia che allestero) ad epoche relativamente recenti. Nel corso delle precitate indagini conoscitive, stato accertato che le cause naturali degli incendi (fulmini, eruzioni vulcaniche, ecc.) e quelle accidentali (scintille prodotte dalle ruote dei treni, ecc.) sono nume-

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ricamente di scarsa entit; che quelle colpose (cio dovute ad imprudenza, imperizia, negligenza, ecc.) sono pi numerose e che quelle dolose (cio riferibili a concreta volont di produrre eventi antigiuridici) hanno una consistenza quantitativa pi rilevante. I precitati reati (reati che, oltre a creare situazioni di emergenza e pericoli per lincolumit pubblica, possono avere effetti devastanti per lambiente e, in alcuni casi, anche per le zone protette) vengono in genere commessi per ricerca di profitti, vendetta, ritorsioni, protesta verso la Pubblica Amministrazione e piromania (malattia che, come viene affermato in psichiatria, consiste in un disturbo del controllo degli impulsi, spesso associato ad insicurezza, frustrazione e altri fattori caratteriali). Ad integrazione di quanto esposto circa le cause degli incendi, da rilevare che molti dei citati eventi sono dovuti a cause dubbie, cio a cause non chiaramente inquadrabili in una delle categorie suindicate e che, quindi, una parte di esse va certamente correlata ad azioni delittuose. Deve inoltre notarsi che i comportamenti umani (considerati nel loro complesso, cio senza distinguerli a seconda che siano dolosi o colposi) costituiscono la causa di gran lunga pi rilevante degli incendi. Per quanto concerne le funzioni del C.F.S., vanno anche ricordate le attivit di informazione e sensibilizzazione volte a valorizzare il patrimonio boschivo e a diffondere la conoscenza dei problemi ambientali; il ricorso a sperimentazione di sempre nuovi e pi efficienti mezzi di rilevazione e di interventi; la predisposizione e il miglioramento di mezzi e strutture per prevenire e, se del caso, reprimere i reati ambientali

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