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Migrazioni, sviluppo e co-sviluppo

di Alessandra Corrado

Introduzione I pi recenti studi sulle migrazioni tornano a focalizzare lattenzione sullimpatto che queste hanno sui processi di sviluppo, guardando da un lato alle dinamiche di cambiamento che interessano i paesi di provenienza e dallaltro agli effetti prodotti in quelli di arrivo. La tematica della relazione tra migrazioni e sviluppo non certamente nuova; ha attraversa infatti lo studio dei processi di mobilit umana in maniera rilevante per lo meno dalla seconda met del secolo scorso. Tuttavia, oggi, in virt dei processi di globalizzazione economica, del transnazionalismo delle migrazioni, delle comunit diasporiche strutturatesi nel corso del tempo, le divisioni Nord-Sud, Centro-Periferia sono interpretate in maniera sempre pi sfumata e la questione dello sviluppo letta in termini di global policy issue, divenendo oggetto di strategie e politiche di governance da parte delle Istituzioni sovranazionali. Intento di questo lavoro operare una sintesi delle innovazioni analitiche prodotte riguardo alla relazione tra migrazioni e sviluppo, che negli ultimi anni sembra aver trovato una sintesi in un concetto, quello di cosviluppo, accreditatosi negli ambienti politici e della cooperazione internazionale. La cooperazione internazionale appare oggi strumentale allinterno di un sistema di governance basato sulla selezione, sulla formalizzazione delle forme organizzative e di socialit delle migrazioni, al fine di responsabilizzare le stesse per lo sviluppo delle comunit e dei territori di origine, il controllo della mobilit, lintegrazione nelleconomia transnazionale. Tuttavia, pure importante cogliere le opportunit derivanti dai processi di autorganizzazione, partecipazione e mobilitazione dei migranti, attraverso associazioni e reti strutturate a livello nazionale e transnazionale. Migrazioni e sviluppo Il rapporto tra migrazioni e sviluppo stato oggetto di studi e di interpretazioni che, a partire dagli anni 50 e 60, hanno visto contrapporsi visioni ispirate alla teoria economia neoclassica e quelle invece di matrice storico-strutturalista. Nel modello neo-classico, il migrante un individuo che compie una scelta razionale calcolando costi e benefici relativi al rimanere nel contesto di appartenenza oppure al partire. Le sue considerazioni pesano soprattutto vantaggi/svantaggi economici in termini di condizioni salariali ed opportunit di impiego. La teoria neoclassica interpreta le migrazioni inizialmente quelle rurali verso i contesti urbani in stressa relazione con i processi di modernizzazione e di sviluppo che, nel lungo periodo, perverranno alla rimozione degli stessi fattori migratori. Questo modello interpretativo collocato entro il paradigma funzionalista dellanalisi sociale dal momento che, sulla base del pareggiamento del prezzo dei fattori ignorando lesistenza di imperfezioni di mercato o di ogni tipo di condizionamento strutturale si assume che le forze economiche tendano automaticamente ad un equilibrio. Le migrazioni sono parte di questo ingranaggio che, migliorando gli squilibri di mercato, i differenziali di reddito, lallocazione dei fattori produttivi, non pu che contribuire allo sviluppo dei paesi di partenza. Gli assunti qui sintetizzati sono alla base degli approcci push-pull, per cui fattori di spinta e di attrazione presiedono allorigine e organizzazione delle migrazioni. Tale visione, giudicata astorica, individualista ed eurocentrica, ha trovato unopposizione critica nellelaborazione dellapproccio storico-strutturalista, che affonda invece le sue radici nellanalisi neomarxista dello sviluppo ed in particolare nelle teoria della dipendenza. Questo approccio legge le migrazioni come il prodotto delle condizioni di sottosviluppo determinate dallespansione capitalistica, che nel suo progredire ha strutturato una economia mondo, con un centro (sede dei processi di accumulazione) e delle periferie (in cui avviene lestrazione di risorse). Le migrazioni sono interpretate come escrescenza naturale delle distruzioni e dislocazioni intrinseche al processo dellaccumulazione capitalistica: la penetrazione capitalistica nelle periferie e la sussunzione delle forme di riproduzioni preesistenti sono alla base dei processi di proletarizzazione. Le migrazioni sono lette come la modalit attraverso la quale mobilitare forza lavoro a basso costo da immettere nel sistema della valorizzazione e, allo stesso tempo, riprodurre le condizioni di scambio ineguale e dunque di sottosviluppo, con cui le periferie sono incorporate nelleconomia mondo. Questo processo di drenaggio delle risorse evidentemente lopposto del pareggiamento o del riequilibrio ipotizzato dalla teoria neoclassica: invece di circolare nella direzione opposta a quella del capitale, come predetto dalla teoria neo-classica, lidea in questo caso che il lavoro segua la direzione del capitale. Lapproccio strutturalista stato a sua volta criticato per il carattere

deterministico e rigido, soprattutto nellinterpretare i migranti come vittime o pedine mosse dalle forze di mercato, completamente assoggettate al capitale, in grado di farne ci che vuole. Aspetto, questo, che ha fatto anche parlare di un funzionalismo implicito alla teoria strutturalista delle migrazioni. Pertanto, se lapproccio di matrice neo-classica legge il rapporto migrazioni-sviluppo nei termini di circolo virtuoso, di contro lapproccio di matrice neo-marxista lo legge nei termini di circolo vizioso1 . Nel corso degli anni, molti studi sono stati prodotti, tutti per lo pi riconducili ai due paradigmi principali (quello funzionalista e quello strutturalista), ai quali sono stati apportati elementi correttivi nel tentativo di renderli pi aderenti alla realt e soprattutto di adeguarli ai cambiamenti intervenuti in seguito alla crisi economica scoppiata negli anni 70 e alla ristrutturazione capitalistica intervenuta a livello globale realizzata attraverso la delocalizzazione produttiva, lorganizzazione di zone di libero scambio, limplementazione di politiche neoliberiste ed il coinvolgimento di nuove aree geografiche e popolazioni nei processi di valorizzazione economica. Gli approcci della causazione cumulativa, delle reti, dei sistemi migratori, insieme con quelle definite come teorie della transizione (transitional teories)2 in virt del tentativo di collegare la mobilit ai processi di sviluppo e di integrazione economica hanno cercato e in parte sono riusciti ad apportare significativi aggiustamenti alle analisi formulate sulla base dei due paradigmi dominanti3, sostanzialmente collegando le dinamiche dei processi migratori con i contesti di origine e di destinazione, con i cambiamenti del sistema capitalistico, con lo sviluppo progressivo di relazioni e interconnessioni di vario tipo a livello globale. Gli studi sulla new economics of labour migration (NELM), sulle condizioni di vita e sul transnazionalismo sono invece collocati allinterno di un pi ampio cambio paradigmatico relativo allanalisi sociale: dai due paradigmi dominanti, quello strutturalista e quello funzionalista, ad approcci pi ibridi e plurali, tendenti ad armonizzare i rapporti fra attori sociali e struttura. Questo cambiamento paradigmatico visto allorigine del sostanziale ottimismo relativo al potenziale di sviluppo delle migrazioni, e ci in virt: dellabilit di individui, famiglie e comunit di fronteggiare i condizionamenti strutturali; del carattere transnazionale assunto dalle migrazioni contemporanee considerandone la capacit di connessioni e le appartenenze molteplici, cos come il coinvolgimento in contesti diversi e plurali attraverso una mobilit sempre pi circolare ed un impiego sempre pi flessibile. Tuttavia, questo cambiamento a livello analitico, riflette in parte la svolta occorsa a livello delle politiche di sviluppo in unottica neoliberista. De Haas ricostruisce la successione storica degli orientamenti rispetto al rapporto tra migrazione e sviluppo distinguendo, a partire dal secondo dopoguerra, quattro diversi periodi: il primo fino al 1973, dominato dalle teorie della modernizzazione e neoclassica, caratterizzato da un sostanziale ottimismo rispetto alla relazione migrazione-sviluppo; il secondo, dal 1973 al 1990, contrassegnato invece dalla diffusione delle teorie strutturaliste e neomarxiste, e da un sostanziale pessimismo; il terzo, dal 1990 al 2001, che vede ancora un pessimismo persistente e la rielaborazione delle politiche di immigrazione; il quarto, dal 2001 in poi, caratterizzato da un nuovo ottimismo, in seguito al boom di studi condotti nel solco di nuovi approcci (come quello della NELM) e di un cambio di paradigma4. La nuova ondata di interesse5 rispetto al rapporto tra migrazioni e sviluppo, soprattutto da parte delle organizzazioni sovranazionali e internazionali, deriva in primo luogo dallapprezzamento dei trasferimenti di risorse di tipo finanziario, ma anche sociale e cognitivo, veicolato attraverso le migrazioni. Si cos nutrita una crescente aspirazione anche da parte di governi nazionali e agenzie di sviluppo ad andare oltre le rimesse6 e a supportare limpegno transnazionale di individui e collettivit migranti per lo sviluppo dei paesi di origine, a mobilitare i migranti per la cooperazione allo sviluppo. Il nesso migrazioni-sviluppo
1 S. Castles, Development and Migration Migration and Development: What comes first?, International Migration Institute, Oxford University 2008. 2 H. de Haas, Migration and Development: a Theoretical Perspective, Working Paper 9, International Migration Institute, Oxford 2008. 3 D.Massey, S. Arango, J. Hugo, G. Kouaouci, A. Pellegrino and J. E.Taylor, Worlds in Motion, Understanding International Migration at the End of the Millenium, Clarendon Press, Oxford 1998. G. Sivini, Migrazioni. Processi di resistenza e di innovazione sociale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000. S. Castles, M. J. Miller, Lera delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo contemporaneo, Odoya, Bologna 2004. 4 H. de Haas, op. cit., 5 K. Newland, Beyond remittances: The role of Diaspora in poverty reduction in the countries of origin, Migration Policy Institute, Washington 2004. 6 K. Newland and E. Patrick, Beyond Remittances: The Role of Diaspora in Poverty Reduction in their Countries of Origin, Migration Policy Institute Washington 2004.

Un nuovo consenso intorno al nesso migrazioni-sviluppo si progressivamente affermato7. Vi hanno contribuito: il carattere transnazionale delle pratiche migranti, la crescita esponenziale delle rimesse, la mobilitazione e limpegno delle diaspore spesso organizzate in forme associative. Questi fattori hanno prodotto una svolta transnazionale anche nelle analisi8, facendo ritenere che i migranti e le loro organizzazioni possano essere importanti partners nellimplementazione di iniziative di sviluppo e di cooperazione. Laccezione originaria della prospettiva transnazionale da conto del processo mediante il quale i migranti costruiscono campi sociali che legano insieme il paese dorigine e quello di insediamento9, ponendo al centro i legami, gli spostamenti e le attivit che connettono i migranti con i luoghi dorigine e con altri terminali dei movimenti di persone e famiglie. Il transnazionalismo porta cos alla luce le innovazioni prodotte dai migranti attraverso il loro coinvolgimento simultaneo in pi contesti. La portata dellapproccio pu essere apprezzata valutando non tanto la dimensione spaziale e levidenza data alle connessioni prodotte dalle migrazioni, quanto la produzione autonoma di attivit e processi che riescono a trasformare le condizioni strutturali, ovvero ad erodere le strategie di potere e di controllo delle differenze proprie degli stati nazione10. Tuttavia, nellinterpretazione progressivamente elaborata nellambito della NELM, lintersezione tra transazionalismo e sviluppo ricavata soprattutto nellinvestimento e nel commercio veicolati dai migranti, quali fattori critici per la crescita e la modernizzazione. derivano Viene coniata la definizione di una integrazione transnazionale, dando evidenza della funzionalit del lavoro migrante, della mobilit allinterno delleconomia globale, di cui il migrante diviene collante, proprio in virt della capacit di partecipazione, di consumo e di investimento11. Allinterno di questo framework, le rimesse sono appunto interpretate come una manifestazione di una pi ampia integrazione economica a livello globale. Gli studi prodotti hanno poi evidenziato la maggiore efficacia delle rimesse ai fini della redistribuzione del reddito, della riduzione della povert e della crescita economica soprattutto a confronto con i mastodontici e burocratici programmi di aiuti allo sviluppo. In breve, le rimesse dei migranti sono valutate sempre pi come una forma ideale di finanza ed innovazione per lo sviluppo dal basso. Secondo Kapur12, le migrazioni e le rimesse sono attualmente percepite dalle diverse organizzazioni, internazionali, governative e non governative come il nuovo mantra dello sviluppo, con uneuforia tale da giustificarsi come reazione ai fallimenti dei precedenti strumenti come fu gi per i flussi di capitali privati a met degli anni 90. Lo stesso evidenzia come tale enfasi sulle rimesse si iscriva in un approccio comunitario, da terza via, rispecchiando il principio del self-help: i migranti si configurano cos come nuovi donors di una forma privata di aiuto estero. Tuttavia, questo ottimismo risulta fortemente ideologico, considerandone la coerenza con il pensiero neoliberista dominante, e chiede piuttosto di interrogarsi sugli effetti destabilizzanti che anche le rimesse possono avere a livello globale. Il modello win-win al quale si ispira lapproccio delle Istituzioni Internazionali e sempre pi anche quello dellUnione Europea13 tralasciando le cause originarie, postula che le migrazioni producano benefici, sia per i paesi di partenza, sia per quelli di arrivo. Il legame tra migrazioni e sviluppo si baserebbe sullattivazione del circolo virtuoso delle 3R: reclutamento, rimesse e ritorni. La prospettiva della migrazione circolare dovrebbe ispirare le politiche degli stati e ad essa dovrebbe essere costretta l'esperienza dei migranti, ovvero la mobilit dovrebbe essere regolata in rapporto ai vincoli ed alle potenzialit di movimento del capitale produttivo e in funzione della crescita economica. Secondo Vitale14 ,
N.Nyberg-Srensen, N. Van Hear and P. Engberg-Pedersen, The Migration-development Nexus: Evidence and Policy Options, in International Migration, vol. 40 (5), 2002pp.49-78. 8 P. Levitt and N. Nyberg-Srensen, The transnational turn in migration studies, in Global Migration Perspectives, n. 4, 2004. 9 N.Glick Schiller, L. Basch e C. Blanc-Szanton , Towards a transnationalization of migration: race, class, ethnicity and nationalism reconsidered, in The annals of the New York Academy of Sciences, vol. 645, 1992, pp.1-24. 1 10 S. Castles, The myth of the controllability of difference: labour migration, transnational communities and state strategies in the Asia-Pacific region, in B.S.A. Yeoh, K. Willis (a cura di), Perspectives on Transnationalism in the Asia-Pacific, Routledge, London 2004. 11 M. Orozco, R.Fedewa, M. Bump and K. Sienkiewicz, Diasporas, Development and Transnational integration: Ghanaians in the US, UK and Germany, Institute for the Study of International Migration and Inter-American Dialogue, Washington 2005. M. Orozco and R. Rouse, Migrant Hometown Associations and Opportunities for Development: A Global Perspective, Migration Policy Institute, MIS, 2007. 12 D. Kapur, Remittances: the new development mantra?, in Maimbo S.M., Ratha D. (ed.), Remittances: development impact and future prospects, World Bank, IRDB, Washington 2005, pp. 331-360. 13 CEC (Commission of the European Communities), Communication from the Commission: Policy Plan on Legal Migration. COM(2005)669 final, Commission of the European Communities, Brussels 2005. 14 A. Vitale, Verso un ordine imperiale delle migrazioni, in G. Sivini (a cura di), Le migrazioni tra ordine imperiale e soggettivit, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 11-38.
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questo lassunto principale di un modello di regolazione che ha come finalit il controllo della riproduzione del proletariato mondiale e la trasformazione delle migrazioni in forza valorizzatrice del capitale. Sulla base della prospettiva delle 3R possono dunque meglio comprendersi i regimi delle politiche migratorie-di sviluppo, implementati attraverso le politiche nazionali o gli accordi transnazionali. I discorsi sugli skills e sul braindrain giustificano, da un lato, la chiusura allimmigrazione dequalificata (almeno regolare), lincentivazione a quella selezionata e temporanea e, dallaltro, la previsione del ritorno nei paesi di origine. Per le rimesse, invece, si incoraggia linvestimento produttivo o la canalizzazione produttiva da ci anche il sostegno alla bancarizzazione delle stesse. Lapertura alle migrazioni perci interpretata come rispondente ad una nuova divisione internazionale del lavoro funzionale allistanza imperiale di crescita globale. Nel contempo, paradossalmente, le politiche migratorie nazionali continuano a produrre condizioni di irregolarit e contribuiscono ad una clandestinizzazione a livello sociale. Il risultato quindi uno scenario complesso in cui, se da una parte si incentiva la valorizzazione economica di una mobilit selezionata e qualificata, dallaltra si producono condizioni di invisibilizzazione sociale e di discriminazione delle migrazioni. Il co-sviluppo Allinterno di questo modello, il concetto di co-sviluppo stato progressivamente assunto a sottolineare il ruolo delle migrazioni per lo sviluppo, tanto dei paesi di origine che per quelli di destinazione. Utilizzato per decifrare le forme di cooperazione e di organizzazione collettiva spontaneamente prodotte dalle migrazioni per sovvenire ai propri bisogni15il concetto di co-sviluppo stato progressivamente appropriato dalla retorica politico-istituzionale, per indicare forme di cooperazione diverse, che si iscrivono nel disegno di un sistema di governance articolato attraverso politiche, programmi e dispositivi specifici. La natura e gli obiettivi di questi strumenti di co-sviluppo differiscono in funzione del livello di messa in opera. A livello degli Stati, il co-sviluppo si iscrive per lo pi nella strategia globale di controllo dei flussi; a livello delle collettivit locali, invece, esso pu mirare: a) allinserimento delle popolazioni migranti nel territorio di accoglienza; b) allinternazionalizzazione o integrazione economica dei territori coinvolti. Guardando alle esperienze europee, se la Gran Bretagna tenta di integrare le migrazioni nella sua politica di cooperazione allo sviluppo, sono la Spagna, lItalia e dapprima la Francia ad avere esplicitamente adottato il co-sviluppo in una prospettiva di gestione dei flussi migratori, ma a sperimentare anche forme di cooperazione decentrata nei territori locali. Il concetto di co-sviluppo fu introdotto in Francia nel corso degli anni 70, nei circoli terzomondisti del partito socialista. Dal 1977 al 1986, lobiettivo di queste politiche stato quello di ridurre la popolazione immigrata stimolandone il ritorno attraverso programmi di aiuto al ritorno al reinserimento. I principali strumenti utilizzati consistevano in bonus concessi ai migranti per promuovere nuove condizioni di esistenza oppure nellofferta di formazione professionale prima del ritorno. Tuttavia, pochi migranti hanno partecipato a questi programmi e per la maggior parte si trattato di portoghesi e spagnoli rientrati nei rispettivi paesi in seguito ai processi di democratizzazione e di rilancio economico. Progressivamente, le politiche esplicite di ritorno sono state abbandonate e dal 1986 i discorsi politici si sono focalizzati sullaiuto allo sviluppo come strumento utile per ridurre la pressione migratoria nei paesi di origine.Sebbene il ritorno non si configura pi come il principale strumento di intervento, la prospettiva sottostante resta quella di ridurre le migrazioni strumentalizzando laiuto. Un ruolo nuovo viene cos attribuito alle associazioni della diaspora orientate ai problemi dello sviluppo le OSIM (Organisations de Solidarit Internationale Issues des Migrations) la cui cooperazione nelle politiche di sviluppo viene giudicata necessaria al fine di governare i flussi migratori. Nel 1995, viene lanciato il Programme Dveloppement Local Migration (PDLM), come prima misura concreta nella prospettiva odierna delle politiche di co-sviluppo. Il Programma che si ispira in particolare al significativo contributo della migrazione senegalese e maliana allo sviluppo agricolo nella valle del fiume Senegal si propone di facilitare progetti di sviluppo locale e di offrire aiuto, individuando e raccordando partners progettuali come le OSIM, municipalit gemellate e Ong di sviluppo. Un secondo asse del
C.Daum, Les associations de Maliens en France. Migration, dveloppement et citoyennet, Karthala, Paris 1998. C. Daum, Immigrs acteurs de dveloppement: une mdiation sur deux espaces, in Homme et Migration, n. 1206, 1997, pp. 31-42. C. Daum, Ici et l-bas, immigration et dveloppement. Les associations des immigrs ouest-africains en France, Migration Socit, vol. 6, n.32, 1994, pp. 99-110. C. Quiminal, Le rle des immigrs dans les projets de dveloppement et les formes de coopration possibles dans la valle du fleuve Sngal, in OCDE (1994), Migrations et Dveloppement. Un Nouveau Partenariat Pour la Coopration, Paris 1994, pp. 329-335. C. Quiminal, Gens dici, gens dailleurs. Migrations sonink et transformations villageoises, Bourgois, Paris 1992. G. Sivini, op. cit.
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programma prevede supporto tecnico e finanziario per progetti individuali di ritorno. Questi programmi hanno promosso il ritorno di migranti senegalesi e maliani, fornendo assistenza per il reinserimento, nella forma di crediti per linvestimento economico o di programmi di formazione16. La novit dei PDLM deriva dallaver sostituito, come finalit delle politiche migratorie e di sviluppo, il rientro dei migranti nei paesi di origine ovvero linversione dei flussi migratori con larresto delle migrazioni stesse attraverso lo sviluppo. Queste politiche si basano infatti sul presupposto per cui lo sviluppo delle zone di partenza pu fornire unalternativa allemigrazione e perci contribuire alla diminuzione dei flussi17. Le debolezze di questo programma derivano non solo delle limitate risorse messe a disposizione, quanto soprattutto dallignorare il fatto che lo sviluppo e le trasformazioni socio-economiche prodotte tendono ad essere associate ad un aumento delle migrazioni stesse, almeno del breve-medio periodo18. nel 1997 che, nellambito della missione interministeriale Migrations et codveloppement, il rapporto prodotto da Samir Nair da al termine co-sviluppo laccezione corrente. Lo studioso chiarisce che il cosviluppo non ha per obiettivo il ritorno dei migranti e che non vi da aspettarsi il governo dei flussi attraverso lo sviluppo dei paesi di origine. Laspetto principale posto in evidenza invece il ruolo del migrante come attore consapevole di sviluppo. Il rapporto contiene i fermenti di una politica multiforme di aiuto, finalizzata soprattutto a rafforzare lintegrazione in Francia pur favorendo la solidariet attiva con i paesi di origine, a creare le condizioni sociali per aiutare i potenziali migranti a rimanere19. I fallimenti della politica nazionale di co-sviluppo sono per denunciati dallo stesso Nair, constatando soprattutto i limiti alla libert di circolazione. In tempi pi recenti, Bayart20 va oltre, definendo la nozione di co-sviluppo nei termini di una finzione, in quanto: tiene a distanza i migranti assegnandogli uno spazio, quello dello sviluppo del loro villaggio, e interdicendogli altri spazi, quelli della cittadinanza nella loro societ di accoglienza e dellaccumulazione nelleconomia globale; indigenizza lAfrica; funge da ingranaggio dellamministrazione indiretta del limes maghrebino e saheliano dellEuropa, verso il quale la stessa esternalizza la sua politica anti-immigrazione con un briciolo di carit interessata; asservisce laiuto al ministero degli Interni. In pratica, per Bayart, si tratta di una compensazione ruffiana che si concede ad un domestico divenuto importuno perch si allontani senza chiasso. A partire dallentrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel 1999, anche il dibattito politico europeo volto a conciliare le politiche migratorie con le politiche di sviluppo ha conosciuto una profonda evoluzione. In occasione del Consiglio Europeo straordinario di Tampere il concetto di co-sviluppo viene introdotto a livello europeo, menzionato nellambito delle cinque linee del new comprehensive approach che caratterizza la nuova politica migratoria europea nellottica della costruzione di uno spazio comune di libert, giustizia e sicurezza. Su queste basi costruita la Fortezza Europa e orientata la nuova politica di cooperazione allo sviluppo. Il pacchetto partenariato comprende difatti un doppio fine: una gestione concertata dei flussi, con facilitazioni per le migrazioni economiche e forme di cooperazione allo sviluppo. I paesi partners sono cos investiti del controllo delle migrazioni illegali come paesi di transito o di partenza attraverso la firma di accordi di rimpatrio. La maggior parte dei finanziamenti per i programmi relativi alle migrazioni riguarda tuttavia essenzialmente la gestione dei flussi. Nonostante levoluzione della posizione delle Istituzioni europee, ridefinita nellottica di un approccio globale sulle migrazioni e coerentemente con dellapproccio del triple win cos come proposto dalle Nazioni Unite, le questioni legate alla sicurezza delle frontiere occupano un posto preponderante nelle relazioni che lUE intende strutturare con i paesi di provenienza delle migrazioni. In questo quadro, il dialogo politico permette di includere le condizionalit sotto forma di pacchetti globali win-win o di partenariati donor-donor, che in realt mascherano veri e propri atteggiamenti ricattatori, strumentalizzando di fatto il sostegno allo sviluppo e gli accordi commerciali21, ma soprattutto sempre pi offuscando le questioni relative al riconoscimento dei diritti, ovvero il trattamento riservato a migranti, rifugiati politici e richiedenti asilo catturati, imprigionati o deportati.
M. Raunet, Motivating migrants for social and economic development in Mali and Senegal, in OECD (Ed.), The Development Dimension. Migration, Remittances and Development, OECD Publishing 2005, pp. 315-346. 17 C. Daum 1998, op. cit. 18 T. Lacroix, Migration, Dveloppement, Codveloppement: quels acteurs pour quels discours?, Rapport de synthse europen. Informer sur les migrations et le dveloppement , Institut Panos, Paris 2009. 19 S. Nair, Rapport de bilan et dorientation sur la politique de codveloppement lie aux flux migratoires. Mission Interministrielle Migratoins et codveloppement, Paris 1997, p.3. 20 J.F. Bayart, En finir avec le codveloppemnt, in Alternatives Economiques, 257, 2007. 21 F. Duvell, La globalizzazione del controllo delle migrazioni. Il braccio di ferro fra restrizionisti e autonomisti, in S. Mezzadra (a cura di), I confini della libert. Per un'analisi politica delle migrazioni contemporanee, DeriveApprodi, Roma 2004, pp. 34-35.
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Co-sviluppo e cooperazione decentrata Il concetto di co-sviluppo stato adottato per descrivere le finalit delle forme di cooperazione decentrata e di partenariati territoriali articolati nella prospettiva della governance multilivello. Il co-sviluppo in questi termini interpretato come: un approccio strutturale e olistico che opera sui crescenti e diversi legami tra territori. In questo modo si relativizza e si supera il concetto di confine e la divisione tra politica interna ed esterna. Dallo sviluppo locale si passa allo sviluppo trans-locale e glocale. Ed questa visione che ha nutrito il concetto di partenariati territoriali avanzato dalla cooperazione decentrata negli ultimi anni22.Richiamandosi esplicitamente al concetto di co-sviluppo, la cooperazione decentrata intende ricercare risposte appropriate a bisogni economici e sociali avvertiti a livello locale, ai processi di cambiamento prodotti dalle migrazioni e dalla convivenza tra comunit diverse, alle esigenze di internazionalizzazione territoriale23. Tuttavia, bisogna chiarire che a concorrere alla crescita di queste forme diverse di cooperazione allo sviluppo sono anche: il processo di decentramento amministrativo e finanziario che interessa i paesi del Sud come quelli del Nord del mondo24, e con esso il processo di deresponsabilizzazione degli stati centrali rispetto alla soddisfazione dei bisogni di base delle popolazioni, a seguito delladozione delle politiche neoliberiste di aggiustamento strutturale imposte dalle istituzioni internazionali.. In Francia, Spagna, Italia, il co-sviluppo legato ad iniziative di cooperazione decentrata promosse da enti locali. Il principio base di questi dispositivi quello di cofinanziare dei progetti di organizzazioni di migranti a beneficio delle regioni di origine25. La specificit di questi programmi sarebbe anche quella di promuovere delle dinamiche di integrazione dei migranti nella societ di accoglienza, di cui i progetti di sviluppo sono il motore26. Conclusioni La panoramica delle prospettive e delle iniziative di cosviluppo, elaborate nel campo del politico a diversi livelli sovranazionale, nazionale e territoriale e qui prese sinteticamente in rassegna, rivelano diverse finalit: a) la gestione delle migrazioni ed il controllo delle frontiere; b) lintegrazione economica e finanziaria; c) linternazionalizzazione territoriale; d) la cooptazione delle organizzazioni di migranti e la captazione del molteplice potenziale produttivo che gli stessi esprimono, per le finalit anzidette. Le forme di cooperazione e i dispositivi derivati da questa architettura si traducono dunque in un sistema di governance che collega co-sviluppo, transnazionalismo e circolarit delle migrazioni27, in cui anche le organizzazioni non governative e le stesse associazioni di migranti vedono attribuirsi un ruolo ancillare, ai fini del disciplinamento e del controllo. Tuttavia, queste modalit del co-sviluppo possono essere distinte dalle forme di cooperazione autonomamente prodotte e veicolate dalle migrazioni e traducibili invece nei termini di innovazione sociale. Nella maggior parte dei casi, bisogna infatti osservare che la densa rete di relazioni strutturate dalla diaspora con i paesi di origine e di destinazione o circolazione, cos come la promozione di progetti locali, il prodotto delliniziativa spontanea di individui o gruppi collettivi e non dellintervento governativo e istituzionale. I progetti istituzionali, che dovrebbero coinvolgere i migranti, sono spesso complessi e di pi difficile realizzazione, non riscuotono fiducia ma piuttosto sospetto nelluso delle risorse; non aderiscono alle logiche e ai punti di vista dei soggetti che vorrebbero coinvolgere. I migranti sembrano perci preferire le attivit informali di tipo individuale o comunitario perch snelle, efficienti e garantite28 che hanno
A. Stocchiero, I nodi dellevoluzione della cooperazione decentrata italiana, Working Papers n. 37, CeSPI, Roma 2007. V. Ianni, Un contesto internazionale e nazionale in movimento, in V. Ianni, Partenariato territoriale e cosviluppo Migrazioni per lo sviluppo come orizzonte strategico. cooperazione allo sviluppo, solidariet internazionale e promozione della cultura di pace: le attivit della regione marche negli anni 2002-2005, OICS-Regione Marche, Roma 2006. 24 V. Ianni, I processi di decentramento e la questione democratica. Porto Alegre e Kerala: radici e ali, CeSPI, Roma 2008, 25 S. Ceschi, Movimenti migratori e percorsi di cooperazione Lesperienza di co-sviluppo di Fondazioni 4Africa Senegal, Carocci, Roma 2012. S. Ceschi e A. Stocchiero (a cura di), Relazioni transnazionali e co-sviluppo. Associazioni e imprenditori senegalesi tra Italia e luoghi di origine, L'Harmattan Torino 2006. Z.Tera, A. Frey, La coopration dcentralise, une rponse la question du codveloppement ?, CUF, 2008. N.Van Hear, F. Pieke and S.Vertovec, The contribution of UK-based diasporas to development and poverty reduction. COMPAS, University of Oxford for DfID, 2004. 26 T. Lacroix, op. cit.. 27 J. Chaloff, Co-development: a myth or a workable policy approach?, in M. Jandl (ed.), Innovative Concepts for Alternative Migration Policy, Amsterdam University Press, Amsterdam 2007, pp. 59-66. 28 B. Riccio, Migrazioni transnazionali e cooperazione decentrata: ghanesi e senegalesi a confronto, in Africa e Orienti, n.3, 2005.
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comunque significative implicazioni per la trasformazione delle proprie condizioni di vita e degli stessi contesti di origine, anche se non immediatamente apprezzabili in termini economici o di sviluppo. Occorre, inoltre, problematizzare il nesso migrazioni e sviluppo per come concepito da istituzioni e politiche nazionali e sovranazionali, valutando ad esempio la precariet prodotta delle politiche per rendere le migratorie temporanee o stagionali29 come nel caso della migrazione tunisina in Francia oppure gli effetti sociali e di sovra-indebitamento economico30 rilevati nel caso della migrazione filippina, pure a fronte dei processi di sviluppo locale che la stessa stata in grado di promuovere e sostenere nei luoghi di origine. Ulteriori analisi sono dunque necessarie per comprendere il rapporto tra migrazioni e processi di sviluppo e meglio indagare le innovazioni sociali prodotte dalle migrazioni.

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