Registrazione ISSN 1126-4780 Numero 3 - Anno IV- Novembre 2002 Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Numero 3 - Anno IV - Novembre 2002
AUTORE TI TOLO EDITORE ANNO RECENSORE Contini, Mariagrazia Per una pedagogia delle emozioni La Nuova Italia 2001 Marco Enrico Giacomelli Dal Bo, Federico Societ e discorso. L'etica della comunicazione in Karl Otto Apel e Jacques Derrida Mimesis 2002 Marco Enrico Giacomelli Dennett, Daniel C. La mente e le menti Rizzoli 2000 Salvatore Stefanelli Dretske, Fred Naturalizing the Mind MIT 1995 Lucia Guarini Fano, Vincenzo - Tassani, Isabella L'orologio di Einstein Clueb 2002 Eddy Carli Fodor, Jerry La mente non funziona cos Laterza 2001 Alfonso Ottobre Fumaroli, Marc L'et dell'eloquenza. Retorica e "res literaria" dal Rinascimento alle soglie dell'epoca classica Adelphi 2002 Giovanni Damele Legrenzi, Paolo Prima lezione di scienze cognitive Laterza 2002 Yuri Gori Mecacci, Andrea Hlderlin e i greci Pendragon 2002 Yuri Gori http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/2002-11.htm (1 of 2) [09/11/2005 22.22.16] Numero 3 - Anno IV- Novembre 2002 Melchiorre, Virgilio Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica Vita e pensiero 2002 Francesco Armezzani Morin, Edgar Il metodo 5. L'identit umana Raffaello Cortina 2002 Francesco Giacomantonio Subacchi, Martina Bergson, Heidegger, Sartre. Il problema della negazione e del nulla Atheneum 2002 Stefano Monetti Van Drimmelen, Rob Economia globale e fede Claudiana 2002 Paolo Calabr Viano, Augusto Etica pubblica Laterza 2002 Enzo Rossi Torna alla home page Recensioni
Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/2002-11.htm (2 of 2) [09/11/2005 22.22.16] Contini, Mariagrazia, Per una pedagogia delle emozioni Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Contini, Mariagrazia, Per una pedagogia delle emozioni. Scandicci (Firenze), La Nuova Italia (coll. Educatori antichi e moderni, 490), 2001 (2), pp. XII-201, Euro 18,59, ISBN 88-221-1061-7. Recensione di Marco Enrico Giacomelli - 10/06/2002 scienze dell'educazione (cognitivismo), psicologia (psicologia dei processi cognitivi) Indice - L'autore Mariagrazia Contini sviluppa un'indagine nell'"opacit dell'altro" (p. 1) che si spinge sin nei remoti domin dell'area non verbale e che intende coniugare - secondo l'invito di Musil - anima ed esattezza. Un breve excursus storico ci introduce alla questione. In primis la teoria di James e Lange: data la necessaria interposizione di manifestazioni corporee tra uno stato mentale ed un altro, si pu paradossalmente dire che "ci sentiamo tristi perch piangiamo" (W. James, cit. a p. 13). Cosa se ne ricava? L'inevitabile circolarit del feedback tra fenomeni mentali e fisici. Cannon contester questa proposta, ipotizzando l'esistenza di speciali centri cerebrali dedicati all'emozione e situati nei talami encefalei. Sul finire degli anni '30, Papez individua invece non tanto una sede, bens un circuito emozionale noto come sistema limbico. Quest'ultimo articola movimento/pensiero/sentire in un complesso trasmettitore di sensazioni: "Si stabilisce un circuito che permette al pensiero di influire sulle reazioni emotive e viceversa" (p. 17). Giungiamo cos all'ipotesi di Mac Lean, cio una sorta di trinit cerebrale che consta di rispettive e peculiari caratteristiche neurofisiologiche e competenze psichiche: il cervello rettiliano o paleoencefalo; il cervello paleomammifero o sistema limbico; il cervello neomammifero o neocorteccia. Proprio come nel dogma evangelico, l'unit trina comporta una sorta di autosufficienza dei suoi componenti: il primo supervisiona le forme comportamentali stabilite geneticamente e segue perci un "programma di rigidit che non accetta il cambiamento" (p. 19); il secondo, permettendo lo sviluppo della percezione interna ed esterna, ha permesso l'elaborazione di emozioni adattive; il terzo, solo in tempi relativamente recenti collegato al precedente, contraddistinto da straordinarie capacit innovative ed garante di capacit "immaginativo-simbolico-desiderante" (p. 33) e di conseguenti attitudini progettuali. Tuttavia il paragone si arresta qui: la trinit cerebrale, infatti, non esente da conflittualit. Koestler pu addirittura ipotizzare una "schizofisiologia incorporata nella nostra specie" (cit. a p. 42). Potr apparire paradossale, ma l'esempio delle armi lampante: l'uomo in grado di costruirne ma privo delle inibizioni che dovrebbero evitare l'eccidio dei propri simili; e anche i tab etico-sociali hanno spesso solo la funzione di rafforzare un ristretto senso di appartenenza. Dato l'oggetto del libro, l'A. si concentra sul http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/contini.htm (1 of 4) [09/11/2005 22.22.17] Contini, Mariagrazia, Per una pedagogia delle emozioni sistema limbico: questo subisce una importante re-interpretazione ad opera di Henri Laborit, divenendo luogo d'una memoria - in "curiosa prossimit" (p. 27) con Proust - e di un apprendimento affettivo che scalza il determinismo genetista di Maclean. La tesi laboritiana, condivisa anche da studiosi di psicologia dello sviluppo come L.A. Sroufe, espressa con lampante chiarezza nella risposta negativa a questo interrogativo retorico: "Un neonato pu provare emozioni?" (cit. a p. 27). In questa maniera non si evitano per i conflitti: i bisogni fondamentali espressi dal paleoencefalo possono collidere con quelli acquisiti tramite l'attivit del sistema limbico, dando vita alla "vasta e complessa patologia cortico-viscerale o psicosomatica" (p. 28). Veniamo infine all'imprinting (o Ragung) sperimentato da Konrad Lorenz. Ora, le tracce sinaptiche si attivano grazie agli stimoli esterni post- natali; ma se ci contesta l'ipotesi "pangenetica", occorre anche sottolineare come le sinapsi neurali si inseriscano in un contesto di particolare plasticit che neutralizza anche le ipotesi deterministiche di stampo "comportamentale". In questo senso potremmo parlare di un imprinting in senso stretto che dura dalla sesta settimana al sesto mese di vita (Lorenz) e di un imprinting in senso ampio che si protrae sino alla morte (Levi Montalcini). E nella stessa direzione di senso si avvia l'analisi proposta da V.F. Guidano sugli emotional schemata che registrano "configurazioni chiave (patterns) in grado di suscitare emozioni" (p. 132): insomma, una sorta di "memoria procedurale" largamente incosciente e peculiare della sfera affettiva, suscettibile per di continui "aggiustamenti" pi o meno importanti. Il quadro si configura dunque come una "simultaneit di interazione" (p. 41) tra comportamento, attivazione di aree cerebrali ed emozioni. Alla suddivisione funzionale del cervello proposta originariamente da Mac Lean si affianca quella anatomica: il cervello notoriamente formato da due emisferi collegati dal cosiddetto "corpo calloso". Ma Sperry dimostr che le due parti non sono gemelle dal punto di vista "organizzazionale": oltre al noto funzionamento "incrociato", si verifica una sorta di dominanza dell'emisfero sinistro che s'instaura durante l'embriogenesi. Tuttavia, nelle prime settimane di vita gli emisferi sono ancora simili e "dotati di notevole equipotenzialit" (p. 49): se dunque non si d una lateralizzazione geneticamente determinata, l'imprinting ad assegnare le funzioni proprie ad ognuno dei due emisferi. E le caratteristiche (pi evidenziate) sono la razionalit "calcolante" dell'emisfero sinistro e la comunicativit psico-affettiva di quello destro. Sottolinea giustamente Morin: "La verit encefalo-epistemologica sta nell'ambidestria cerebrale. Solo quest'ultima pu produrre il pensiero complesso che permette di concepirla" (cit. a p. 54) - una "unitas multiplex" (p. 195) tanto ricca quanto (o meglio, proprio perch) conflittuale. In quest'ottica risulta interessante la teoria cognitivista delle emozioni che ha in Magda B. Arnold una delle sue principali sostenitrici - e qui risiede pure uno dei nodi del testo esaminato: "Vi una stretta relazione tra il modo in cui un soggetto percepisce, valuta, interpreta le propriet del contesto in cui inserito, da un lato, e le emozioni che prova, dall'altro: queste ultime si configurano come risposte molto complesse, dipendenti dai processi cognitivi che forniscono parametri di giudizio e di sistemi di valutazione" (p. 57, c.n.). E tali valutazioni si danno per lo pi "senza la mediazione di operazioni cognitive consce" (R. Trentin, cit. a p. 58, n. 3). Dunque, l'intreccio tra percezione, valutazione ed emozione disegna un quadro che rende le elaborazioni cognitive "determinanti" e "costituenti" le emozioni (N.H. Frijda, cit. a p. 59). Ma Mariagrazia Contini sottolinea con forza e ripetutamente un punto: le elaborazioni cognitive "sono esse stesse intrinsecamente emozionali poich sono valutazioni tese a verificare il significato degli eventi in rapporto al "benessere" [...] del soggetto" (p. 59); insomma, la progettualit esistenziale riceve solide basi solo se si realizza "un gioco continuo di reciprocit fra il cognitivo e l'emozionale" (p. 62). Pi d'ogni glossa vale la frase di Leventhal: "Emotion itself is a form of cognition" (cit. a p. 174). http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/contini.htm (2 of 4) [09/11/2005 22.22.17] Contini, Mariagrazia, Per una pedagogia delle emozioni In questo senso, e specie per l'educatore, il rischio di "analfabetismo emozionale" (p. X) quanto mai lesivo; al contrario, secondo la proposta terapeutica di A. Ellis, l'A. auspica una corretta "competenza" emotiva che imprima nuove direzioni ai monologhi interiori nei quali spesso sfociano i nostri vissuti emozionali - dando talvolta vita a pi o meno piacevoli "profezie autodeterminantesi" (R. Rosenthal, cit. a p. 84), ad un'immancabile "rigidit cognitiva" (p. 136) e finanche all'inibizione dell'azione descritta da Laborit. Particolarmente chiari e interessanti sono gli spunti a carattere metodologico ed epistemologico offerti dal testo della Contini: vengono sottolineate le "specificit dell'intervento pedagogico ["teso all'operativit e finalizzato al cambiamento" (p. 175)] e l'opportunit della sua realizzazione: accanto e in collaborazione con interventi di tipo psico-sociologico" (p. 113). E qui si chiarisce un altro nodo fondamentale: la teoria della "progettazione esistenziale" alla quale l'A., insieme a Giovanni Maria Bertin, ha dedicato un testo assai importante per la filosofia dell'educazione (Costruire l'esistenza: il riscatto della ragione educativa, Armando, Roma 1983). Il corredo dei concetti si pu far risalire ad un Heidegger "urbanizzato" (penso, ad es., ai frequenti richiami alla circolarit virtuosa) e arricchito dalle prospettive cognitiviste illustrate sopra: ne scaturisce una proposta apparentemente non rivoluzionaria, ma forse proprio per questo assai interessante e scevra da quel precettismo che ancora assilla tanti testi relativi alla formazione. Gli esempi riportati da Mariagrazia Contini sono poi un bagaglio tutt'altro che accessorio al fine della comprensione profonda del testo e sono il frutto di una decennale esperienza "sul campo". D'altronde, gli obiettivi posti sono nient'affatto consolator: "Una proposta pedagogica che [...] allude chiaramente a tempi lunghi, a ristrutturazioni dell'intero contesto comunicativo-relazionale (famiglia o classe scolastica), a cambiamenti che implicano [...] impegno progettuale-costruttivo" (p. 142). Disporre lo sguardo sull'apertura del tempo: questa, ci pare, la prospettiva secondo la quale ci fa volgere con acume e savoir-faire Mariagrazia Contini. E per far ci occorre comprendere attivamente il carattere proteiforme della ragione e la possibilit di un percorso di "demonicit esistenziale" (p. 185) opposto al solipsismo dilagante. Indice Prefazione I: Cervello, emozioni, educazione II: Emozioni e conoscenza III: Emozioni in famiglia: reti, trappole e labirinti IV: Per una pedagogia delle emozioni L'autore Mariagrazia Contini insegna Pedagogia generale alla Facolt di Scienze della Formazione dell'Universit di Bologna. Tra le sue recenti pubblicazioni: La comunicazione intersoggettiva fra solitudini e globalizzazione (La Nuova Italia, Scandicci [FI] 2002), la curatela de Il gruppo educativo: http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/contini.htm (3 of 4) [09/11/2005 22.22.17] Contini, Mariagrazia, Per una pedagogia delle emozioni luogo di scontri e di apprendimenti (Carocci, Roma 2000) e, insieme a Franco Cambi, Investire in creativit: la formazione professionale nel presente e nel futuro (Carocci, Roma 1999).
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/contini.htm (4 of 4) [09/11/2005 22.22.17] Dal Bo Federico Societ e discorso Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Dal Bo, Federico, Societ e discorso. L'etica della comunicazione in Karl Otto Apel e J acques Derrida, con un inedito di J acques Derrida: I limiti del consenso. Milano, Mimesis (coll. Eterotopie), 2002, pp. 218, Euro 13,00, ISBN 88-8483-057-5. Recensione di Marco Enrico Giacomelli - 20/07/2002 Etica, Filosofia politica, Filosofia teoretica (ermeneutica), Psicologia (psicoanalisi), Storia della filosofia (contemporanea) Indice - L'autore - Links Sin dall'esordio questo testo assai stimolante: Federico Dal Bo riprende dallo Zohar i "quattro gradi di lettura del testo sacro" (p. 35) - vale a dire il senso letterale (peshat), allusivo (remez), allegorico (darash) e mistico (sod) - e in tale inedita maniera analizza alcune prese di posizione in merito al linguaggio da parte di Debord, Gilbert Hottois e Apel. Ed qui che entriamo nel vivo del libro - nel peculiare progetto di filosofia trasformata dell'autore tedesco, il quale auspica "la fuoriuscita dall'orizzonte teoretico e scientista del marxismo ortodosso [...] e, al contrario, il mantenimento della filosofia quale paradigma linguistico critico per l'edificazione della societ e la soluzione delle tensioni tra le classi" (p. 55). Tale progetto si nutre di molteplici influenze ed eredit: l'ermeneutica gadameriana, in primo luogo, alla quale tuttavia Apel imputa di non essere in grado di "sostenere la produttivit del sapere storico e quindi la capacit dell'uomo di modificare l'esistente secondo una sottile dialettica tra i valori e la realt" (p. 65). In altre parole, la questione della tensione emancipativa a rendere perlomeno insufficiente l'ermeneutica: Apel si rivolge dunque ad altre fonti. In primis al pragmatismo "esistenziale" peirciano, "variante progressista della filosofia dell'essere heideggeriana" e sede dei "primi importanti principi per lo sviluppo di una compiuta etica nell'et della tecnica" (p. 70). Le conseguenze di quest'approccio sono di fondamentale importanza: viene superata la visione strumentale del linguaggio (quale si poteva rintracciare ancora in Debord, per esempio, ma in un certo senso nello stesso Peirce e sicuramente nel neopositivismo) e soprattutto ne deriva una visione dell'essere come mit-Sein, "che permette il superamento della diade idealismo-materialismo in vista della proposizione di un'etica della comunicazione" (p. 72, c.n.). In primo piano si erge, dunque, la "dimensione pragmatica, cio intersoggettiva, del commercio simbolico" (p. 80). La coniugazione di ermeneutica e pragmatismo "descrive la realt sociale [...] nel suo stato di quiete". E la dinamica? Di quest'aspetto se ne incarica una particolare dialettica (intesa come "dialogo continuato", p. 92) di derivazione hegelo-marxiana, il cui luogo la comunit della http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dalbo.htm (1 of 4) [09/11/2005 22.22.18] Dal Bo Federico Societ e discorso comunicazione. Tale comunit triplice - non a caso, visto l'ascendenza dialettica -: la comunit reale "coincide con i confini del nostro orizzonte storico" (p. 86), il quale quasi tranzendental; la comunit trascendentale "il termine necessario di garanzia e possibilit di ogni nostro discorso situato storicamente" (p. 89); la "contaminazione [linguistica] tra l'empirico e il trascendentale d vita ad un costante confronto dialettico tra le due comunit, il cui fine costituito da una comunit ideale della comunicazione" (p. 90). Ma uno dei tratti maggiormente interessanti della proposta apeliana - almeno a parere di chi scrive - il confronto con la psicoanalisi. Federico Dal Bo vi dedica un sapiente capitolo, ampliando l'orizzonte apeliano in direzione del lacanismo, dell'antipsichiatria di Castel e delle riflessioni di Matte Blanco. In breve, Apel elegge la pratica psicanalitica a paradigma del confronto comunicativo empirico: l'asimmetria iniziale dell'analisi cede infatti gradualmente e alternativamente il passo ad un "dialogo pi equilibrato" (p. 96) tra paziente ed analista. In questo senso, la psicoanalisi a sua volta un modello per la critica dell'ideologia - ma ci non avviene senza difficolt. impossibile in questa sede ricostruire le sottili decostruzioni di Dal Bo, perci accenneremo soltanto alla vena principale: la questione si gioca principalmente su quel circolo perturbante che non stabilisce saldamente la trascendentalit del principio etico. L'A. si riferisce per esempio al Seminario lacaniano dedicato a Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse: "L'analisi che Lacan conduce sull'uomo [...] rivela [...] che la stessa "discontinuit" dell'inconscio porta all'abbandono della visione classica della verit come rectitudo - contestando implicitamente la possibilit di 'dirigere' (risolvendole) le pulsioni inconsce verso l'edificazione di una societ migliore" (p. 129). In altre parole, "la dislocazione dell'Io dal centro dell'analisi comporta l'arresto del movimento dialettico ascendente verso dei significati progressivamente superiori e il rilancio continuo dei significanti tra l'Io e l'Es" (p. 132). Cosa significa tutto ci? Che l'"etica controfattuale", anticipata dalla comunit ideale nella comunit reale (si noti l'eco gadameriana), teleologicamente e pregiudizialmente diretta. Perci, ed solo una della conseguenze, "le dinamiche interne alla comunit assomigliano piuttosto ai movimenti magmatici del sottosuolo che non ne pregiudicano comunque la compattezza" (p. 166). La interessante proposta teorica dell'A. allora quella di una "contaminazione" dell'etica della comunicazione con alcuni motivi del pensiero derridiano. E un motivo di stimolante confronto-incontro potrebbe essere la questione messianica e/o escatologica (alla quale purtroppo viene dedicato uno spazio ridotto): si pensi, da un lato, alle riflessioni contenute in Spettri di Marx (1993) di Derrida e, dall'altro, alle riflessioni sull'escatologia trascendentale "vuota" delineata nel contemporaneo Diskurs und Verantwortung di Apel. Ma ancor pi feconda la questione che lega diffrance e Differenz: se "la filosofia apeliana non in grado di rinunciare alla soppressione della differenza" (p. 209), la tematica della diversit-differenza-dissidenza in Derrida pu attutire il teoreticismo del tedesco in direzione di una pi proficua esaltazione di altri aspetti dell'etica della comunicazione - "lo studio della psicoanalisi, l'offerta di un controllo politico attraverso la critica dell'ideologia," ecc. (ib.). Insomma, ci pare assai gravida di conseguenze la prospettiva di Federico Dal Bo e condividiamo in pieno il fatto che sia "necessario dislocare il pensiero apeliano e porlo di fronte alla decostruzione" (p. 211): questo volume ne un importante prologo, al quale speriamo faccia presto seguito un ulteriore sviluppo. Indice http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dalbo.htm (2 of 4) [09/11/2005 22.22.18] Dal Bo Federico Societ e discorso La disputa franco-tedesca di Michael Wetzel I limiti del consenso di Jacques Derrida Prefazione di Giovanni Invitto Tavola delle abbreviazioni Capitolo I: Per una filosofia del linguaggio 1."In quattro sono entrati nel giardino": alle soglie di una filosofia del linguaggio 2."Ben Zoma sbirci e ne fu leso": lo Spettacolo come orizzonte del mondo 3."Acher pot i germogli": la chiusura nel linguaggio 4."Rabbi 'Aqiva usc indenne": l'ermeneuta, o l'uomo integro Capitolo II: Il sistema etico di Karl-Otto Apel 1.L'ermeneutica: il linguaggio come espressione vitale 2.Il pragmatismo: il linguaggio come legame sociale 3.La dialettica marxiana: il linguaggio messo in pratica 4.Le tre forme della comunit Capitolo III: Psicoanalisi e linguaggio 1.Etica del discorso e psicoanalisi 2.La tecnica psicoanalitica come espressione della personalit 3.Il medico e la filosofia 4.La teoria freudiana dell'aggressivit e il silenzio del linguaggio 5.La psicoanalisi come antifenomenologia 6.Lacan: il sistema senza oggetto 7.L'antipsichiatria e i natali borghesi della psicoanalisi 8.L'inconscio come simmetria: Matte Blanco 9.Cura e salvezza dell'anima Capitolo IV: Sistema e decostruzione 1.La polemica con il postmoderno e la difesa dell'etica della comunicazione 2.La decostruzione come pratica politica 3.Il doppio senso della filosofia trasformata: l'emancipazione e l'asimmetria del dialogo umano 4.Il rilancio della filosofia pratica e il colloquio tra l'etica della comunicazione e la decostruzione L'autore Federico Dal Bo dottorando in Scienza della traduzione presso l'Universit di Bologna. Ha pubblicato numerosi articoli e tradotto testi dal tedesco, dall'inglese e dall'ebraico. In particolare, in corso di pubblicazione il testo di R. Gasch, La filosofia allo specchio, con la sua curatela per i tipi di Gallio, editore di Ferrara Links HP dell'autore presso l'A.I.S.G. - Universit di Pisa Karl Otto Apel, Discorso in occasione del Premio Galileo Galilei Jacques Derrida - a cura di Peter Krapp, University of Minnesota http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dalbo.htm (3 of 4) [09/11/2005 22.22.18] Dal Bo Federico Societ e discorso Torna al sommario del numero di novembre
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dalbo.htm (4 of 4) [09/11/2005 22.22.18] Dennett, Daniel, La mente e le menti Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Dennett, Daniel C., La mente e le menti. Milano, Rizzoli, 2000, pp. 199, Euro 7,23, ISBN 88-17-86551-6 Recensione di Salvatore Stefanelli - 25/03/2002 filosofia della mente Indice - L'autore - Links In La mente e le menti, il filosofo e cognitivista Daniel C. Dennett ci spiega, da un'avvincente prospettiva evoluzionistica, l'emergere della mente umana. Seguendo lo sviluppo della coscienza a partire dalle origini pi remote, quando gli animali iniziarono ad acquisire la capacit di reagire ed interagire con l'ambiente circostante, Dennett ci descrive le tappe fondamentali che di fatto portarono al sorgere dell'auto-consapevolezza negli umani. Seguendo questo percorso, egli affronta questioni essenziali quali: cos' la mente? Perch le nostre menti sono differenti da quelle degli animali? Gli animali provano sentimenti? Un robot potr mai raggiungere uno stato cosciente? Questo testo, allo stesso tempo di notevole contenuto e di facile accesso per il non addetto ai lavori, opera di uno dei maggiori esperti in materia e rappresenta un passaggio essenziale nella discussione filosofica iniziata sin da quando Descartes pronunci il fatidico: Je pense, donc je suis ed inaugur il semplicistico modello di Teatro Cartesiano della umana coscienza. Il libro essenzialmente tratta il tema dell'intenzionalit e pi precisamente di vari livelli di intenzionalit e dei corrispondenti diversi tipi di menti. Chi ha provato gi il piacere intellettuale di leggere il precedente testo L'idea pericolosa di Darwin, trover qui sviluppata, per una platea pi vasta, quell'idea darwiniana secondo la quale il progetto evoluzionistico pu essere visto come un procedimento algoritmico, per cui alla base della costruzione dei complessi sistemi biologici vi un processo ottuso, meccanico e relativamente semplice. Quindi, per Dennett, tutto ci che a noi oggi appare come un procedimento sofisticato non altro che una sommatoria di molti banali passaggi e questa spiegazione pu in qualche modo valere anche per l'intelligenza della mente umana. Il nocciolo di La mente e le menti l'intentional stance: "L'atteggiamento intenzionale la strategia per interpretare il comportamento di un'entit (non importa se persona, animale o artefatto) trattandola come se fosse un agente razionale che orienta la propria scelta di azione prendendo in considerazione le proprie credenze e i propri desideri" (p. 38). Questo l'atteggiamento che noi umani adottiamo, per esempio, l'uno verso l'altro: presumiamo che noi e gli altri siamo agenti razionali le cui azioni sono determinate dai nostri desideri e dalle nostre credenze. L'atteggiamento intenzionale pu essere applicato ai sistemi intenzionali che comprendono non solo gli http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dennett.htm (1 of 6) [09/11/2005 22.22.19] Dennett, Daniel, La mente e le menti esseri viventi ma anche artefatti quali i termostati e i computer. L'atteggiamento intenzionale si basa sul presupposto che un sistema intenzionale ha degli obiettivi da raggiungere: esso usa le sue credenze per conseguire i suoi obiettivi ed abbastanza attento da usare quelle giuste nel modo appropriato. Dennett afferma che adottare l'atteggiamento intenzionale con riferimento ad una pi ampia classe di fenomeni, quindi non solo quelli umani, pu esserci di aiuto nel far luce, da un lato, sull'evoluzione a partire dall'annebbiata coscienza dei nostri antenati fino alla mente attuale e, dall'altro lato, nel differenziare la nostra mente da quella degli "animali non umani". ovvio che negli artefatti l'intenzionalit "derivata", cio una intenzionalit "prestata" ad essi dai loro creatori. Un termostato misura la temperatura sol perch un ingegnere lo ha progettato a tal fine. Tuttavia, e non proprio il caso di scandalizzarsi, noi ci troviamo nella stessa situazione: noi siamo degli artefatti di Madre Natura ed essa ci ha prestato l'intenzionalit. Infatti, secondo la visione darwiniana, il processo evolutivo ha creato le nostre menti perch potessimo sopravvivere nell'ambiente circostante, il che vuol dire che le nostre menti si riferiscono all'ambiente. "Quale vantaggio potrebbe mai fornirci l'intenzionalit intrinseca (qualunque cosa essa sia) che non ci possa essere ugualmente essere trasmesso in quanto artefatti progettati dall'evoluzione?" (p. 67). Non forse ora di abbandonare l'illusione di essere dotati di una intenzionalit originale "dal punto di vista metafisico" e imboccare una strada pi promettente di spiegazioni prendendo atto che "tutta l'intenzionalit di cui godiamo deriva da quella pi elementare di miliardi di sistemi intenzionali primitivi" (p. 68). Secondo Dennett l'evoluzione del cervello partita da lenti sistemi di comunicazione interni di esseri "sensibili" ma non "senzienti" allorch questi esseri si equipaggiarono con un sistema di comunicazione molto pi rapido, cio impulsi elettrochimici viaggianti lungo un nuovo medium costituito dalle fibre nervose. Queste innovazioni strutturali consentirono reazioni pi rapide agli stimoli esterni e al tempo stesso favorirono l'instaurarsi di un controllo centralizzato. L'esito di una tale strutturazione stato quello di far s che "l'evoluzione [abbia] immagazzina[to] informazioni in ogni parte di ogni organismo" (p. 91). Naturalmente queste informazioni riguardano l'ambiente. La pelle di un camaleonte, le ali di un uccello contengono (embody) informazioni relativamente al mezzo in cui essi vivono. Queste informazioni non necessitano di essere replicate a livello cerebrale. L'organo interessato gi "sa" come comportarsi nell'ambiente. La saggezza non solo nel cervello, essa inclusa nel resto del corpo. E qui tornano alla mente le parole, sempre precorritrici, di Nietzsche in Cos parl Zarathustra:"Vi pi ragione nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza". Tuttavia, questa "saggezza distribuita" tra milioni di microagenti - "le antiche menti del corpo" (p. 93) - non fu ritenuta sufficiente nel progetto evoluzionistico: un cervello pu sopperire alla rozzezza, alla lentezza, alla limitazione degli organi. Un cervello pu analizzare l'ambiente su pi vasta scala, pu controllare i movimenti in modo pi rapido e pu predire il comportamento a pi lungo termine. "Per un impegno pi sofisticato nel mondo, necessaria una mente pi veloce e lungimirante, che possa produrre non solo pi futuro, ma anche un futuro migliore" (ib.). Si deve allo psicologo George Miller l'ulteriore classificazione degli animali come informivori. Questa fame epistemica viene soddisfatta mediante un sistema distribuito costituito da milioni di microagenti che pescano incessantemente informazioni dall'ambiente circostante. Ciascuno di questi microagenti sono da considerare come sistemi intenzionali minimali a loro volta organizzati in un sistema intenzionale superiore dotato di un "crescente potere di produrre futuro" (p.98). Questa idea di Dennett, sia dal punto di vista evoluzionistico sia da quello concettuale, pu essere vista diacronicamente prendere forma lungo una serie di stadi dell'intenzionalit, ciascuno dei quali si concretizza in un differente tipo di mente. Al primo stadio troviamo le creature darwiniane: queste furono scelte http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dennett.htm (2 of 6) [09/11/2005 22.22.19] Dennett, Daniel, La mente e le menti semplicemente sulla base di tentativi e di errori corretti sul campo relativamente alla loro capacit di sopravvivenza. Ad un secondo stadio troviamo il sottoinsieme delle creature skinneriane (cos dette dallo psicologo behaviorista B. F. Skinner): queste sono capaci anche di azioni autonome e quindi vedono aumentate le loro possibilit di sopravvivenza tramite la scelta dell'azione migliore (il "condizionamento operante" prese il posto del processo genetico prova-e-correggi delle creature darwiniane). Tuttavia nel condizionamento skinneriano vi il rischio di pagare a caro prezzo il primo errore in cui si incorre, pertanto alle creature skinneriane sono succedute le creature popperiane che possono eseguire un azione in una sorta di ambiente interno, cio di simularla prima di metterla in atto in ambiente aperto e quindi, come ebbe a dire in modo elegante il filosofo Popper, questo miglioramento "consente alle nostre ipotesi di morire al nostro posto", in pratica l'informazione relativa all'ambiente prende il posto del condizionamento. Alle creature popperiane capaci di operare una preselezione a livello interno seguono quelle "i cui ambienti interni ricavano informazioni dalle porzioni dell'ambiente esterno frutto di un progetto" (p. 114). Queste sono le creature gregoriane (cos dette dallo psicologo R. Gregory), esse sono capaci di padroneggiare strumenti e di sfruttare il nesso intercorrente fra l'uso di uno strumento ben progettato (alto contenuto di informazione o Intelligenza Potenziale, come la chiama Gregory) e l'intelligenza dell'utente (intelligenza potenziale conferita o Intelligenza Cinetica, come definita da Gregory). ovvio che fra gli strumenti pi importanti che l'essere umano si trovato a padroneggiare vi quello della mente: le parole. Il passo successivo e decisivo nel progresso della mente degli animali nell'essere capaci, oltre che di un atteggiamento intenzionale verso gli altri in genere, anche, e meglio, di un atteggiamento intenzionale verso un atteggiamento intenzionale; per dirla tutta: arrivare a scoprire e manipolare i pensieri altrui. Un sistema intenzionale di prim'ordine solo in grado di avere un atteggiamento intenzionale (credenze e desideri) su altre cose. Un sistema intenzionale di secondo ordine anche in grado di avere un atteggiamento intenzionale (credenze e desideri) riguardo ad atteggiamenti intenzionali (credenze e desideri) propri e altrui. Un sistema intenzionale di ordine ancor pi alto arriverebbe a virtuosismi del tipo "io voglio che tu creda che io so che tu desideri qualcosa". Questo non ancora un "pensare" consapevole dato che abbiamo esempi, sia fra gli umani sia fra gli animali non umani, di apparente intenzionalit di ordine superiore. Gli animali in vari contesti, in specie quelli pericolosi, assumono comportamenti strani tendenti ad ingannare l'altro che si trova in posizione predominante, ci possibile ed per noi spiegabile solo ritenendoli capaci di una "lettura della mente", di una interpretazione dell'atteggiamento intenzionale dell'altro animale. Partendo dall'etologia, Dennett giunge alla conclusione che il pensare nacque da quella che potrebbe definirsi una confabulazione interiore (un auto-commento) che a sua volta deriv da comunicazioni con gli altri della stessa specie e dalla esigenza biologica di mantenere dei segreti al fine di assicurarsi vantaggi vitali nell'ambiente in cui si vive. Se la mente nata avendo come referente principale l'ambiente e se l'ambiente ha una grande variet di elementi sia benefici che letali mescolati insieme ad una enorme quantit di indizi indiretti ma da non sottovalutare, quanto capiente dovrebbe essere il cervello di una creatura gregoriana per ottimizzare il controllo delle proprie ipotesi e la presa di decisioni? Il cervello degli uomini appena pi grande di chi filogeneticamente ci precede di poco e quindi, secondo Dennett, "il motivo della nostra maggiore intelligenza risiede principalmente nella nostra abitudine di scaricare (off load) nell'ambiente la maggior parte dei nostri compiti cognitivi" (p. 151). Noi http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dennett.htm (3 of 6) [09/11/2005 22.22.19] Dennett, Daniel, La mente e le menti costruiamo nel mondo circostante una serie di "congegni periferici" cui deleghiamo quei compiti in modo da sveltire, potenziare e proteggere tutti quei processi di elaborazione costituenti il nostro pensiero. In tal modo le limitazioni strutturali del cervello non ci sono pi d'impaccio, dal momento che abbiamo a disposizione un'area potenzialmente infinita per i procedimenti cognitivi. La maggior parte delle specie contano su punti di riferimento per orientarsi e trovare fonti di cibo. Alcune specie hanno sviluppato l'abilit di "crearsi" propri punti di riferimento e quindi immagazzinare cibo da usare in seguito. In altre parole, esse si cavano d'impaccio "etichettando" l'ambiente in cui vivono. Gli individui di tali specie modificano l'ambiente e quindi l'ambiente modificato modifica il loro comportamento. Si crea un circolo "virtuoso", essi programmano l'ambiente per programmare se stessi. Le specie che immagazzinano ed usano segni nell'ambiente sono avvantaggiate dal punto di vista evoluzionistico proprio per la capacit di "scaricare" nell'ambiente parte dei compiti cognitivi quale, per esempio, la memorizzazione. un po' come "prendere nota" di qualcosa o farsi un nodo al fazzoletto che ci ricordi pi tardi quanto dobbiamo fare. Il cervello diventa cos un congegno semiotico che contiene puntatori e indici rivolti al mondo esterno. Grazie a tali artefatti la nostra mente pu espandersi nell'ambiente. Il passaggio fondamentale della storia della mente quello dell'invenzione del linguaggio. Il parlare iniziato come un commento interno, o "una cronaca privata solo per met compresa", a partire da quelle "etichette" apposte sul mondo esterno direttamente o da altri. Col perfezionamento nel creare e attribuire le etichette alle circostanze sperimentate "siamo diventati soggetti in grado di comprendere gli oggetti che abbiamo creato. Possiamo chiamare questi nodi, questi artefatti nella nostra memoria - pallide ombre di parole udite e articolate - concetti. (...) I primi concetti che si possono manipolare, sono concetti "vocali", e solo i concetti manipolabili possono diventare oggetto della nostra analisi" (p. 168). Ad un'osservazione superficiale pare che noi compiamo senza pensare la stragrande maggioranza delle nostre attivit per quanto intelligenti. Tuttavia, queste attivit inconsapevoli sono diventate tali solo dopo essere passate attraverso un modo di pensare del tutto precipuo dell'uomo. Possiamo definire un contenuto mentale 'cosciente' solo perch ha attraversato o stato elaborato in un'area speciale del cervello? La tesi di Dennett, in risposta a questa domanda, che un contenuto mentale diviene cosciente perch risulta vincitore rispetto ad altri contenuti mentali nella competizione per aggiudicarsi il controllo dell'ambiente e proprio per questo perdura pi a lungo nella mente. Ma le altre menti in che cosa essenzialmente differiscono dalla mente umana? Dato per scontato che, per esempio come si notato in ricerche anche sofisticate, uno scimpanz possa risolvere dei semplici problemi facendo uso degli oggetti a lui familiari in un laboratorio in cui stato allevato, la suddetta domanda va riformulata in "pu uno scimpanz richiamare alla mente gli elementi di una soluzione quando essi non sono presenti e quindi non forniscono alla memoria dell'animale un aiuto visivo?" (p. 175). Ci che rende differente il nostro pensare da quello delle altre specie il fatto che noi siamo in grado di considerare, di osservare il nostro pensare con un flusso di coscienza riflessiva. Gli animali non umani possono anche essere capaci di formulare dei concetti, tuttavia non sono in grado di considerare i loro concetti. Noi abbiamo un linguaggio che ci consente di "pensare" ai nostri concetti. Per Dennett il linguaggio pi che comunicazione: esso un mezzo per svolgere le rappresentazioni nella nostra mente ed estrarre da esse delle unit manipolabili e ri-utilizzabili. Senza linguaggio, un animale pu avere esattamente la stessa rappresentazione, per non ha accesso a nessuna sua unit. Quindi, se non capace di parlare, non pu pensare. Indice http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dennett.htm (4 of 6) [09/11/2005 22.22.19] Dennett, Daniel, La mente e le menti Prefazione 1. Quali tipi di mente esistono? 2. Intenzionalit: l'approccio dei sistemi intenzionali 3. Il corpo e le sue menti 4. L'intenzionalit messa a fuoco 5. La creazione del pensiero 6. La nostra mente e le altre menti Altre letture Bibliografia L'autore Daniel Clement Dennett (Boston, 1942) Professore di filosofia e Direttore del Center for Cognitive Studies della Tufts University, Medford, USA. Si laureato in filosofia ad Harvard nel 1963. Ha completato gli studi ad Oxford conseguendo nel 1965 il dottorato sotto la guida di Gilbert Ryle. La sua prima opera stata Contenuto e coscienza (1969) cui hanno fatto seguito Brainstorms (1978), L'atteggiamento intenzionale (1987), Coscienza. Che cosa (1991), L'idea pericolosa di Darwin (1995). da ricordare anche L'occhio della mente (1981), volume collettaneo curato in collaborazione con Douglas Hofstadter. autore di pi di cento saggi sui vari aspetti della mente pubblicati in riviste scientifiche quali, per esempio, Artificial Intelligence, Behavioral Brain Sciences, Journal of Aesthetics and Art Criticism. Links Dipartimento di Arts, Sciences & Engineering - Tufts University Torna al sommario del numero di novembre
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http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dennett.htm (5 of 6) [09/11/2005 22.22.19] Dennett, Daniel, La mente e le menti Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dennett.htm (6 of 6) [09/11/2005 22.22.19] Dretske Federico, Societ e discorso Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Dretske, Fred, Naturalizing the Mind. Cambridge, The MIT Press, 1995, pp. 208. Recensione di Lucia Guarini 21-3-2002 filosofia della mente Indice - L'autore - Links E' dalla fine degli anni 60 che il filosofo americano Fred Dretske insegue l'ambizioso progetto di elaborare una teoria naturalistica della mente, progetto che si colloca nell'ambito del dibattito epistemologico contemporaneo riguardante la possibilit di definire la conoscenza e l'intenzionalit sulla base di concetti e principi compatibili con quelli delle scienze della natura. Dopo molti sforzi (alcuni importanti libri e numerosi articoli), il testo del 1995, Naturalizing the Mind, mirabile per sintesi e comprensibilit, costituisce un punto d'arrivo e sicuramente il frutto pi maturo dell'intero percorso filosofico dell'autore (si consideri che dopo il 1995 le uniche pubblicazioni dell'autore sono state alcuni articoli ed una raccolta di saggi). Qui la descrizione della natura del contenuto mentale che Dretske ci propone una nuova teoria naturalistica della mente che prende il nome di Tesi Rappresentazionale (TR). Qui l'autore difende un naturalismo di tipo teleologico, nel senso che esso prende le mosse dalla considerazione che uno stato mentale acquisisce una certa funzione rappresentazionale (ad esempio, rappresentare la presenza di un predatore) per il fatto che, sulla base dell'informazione di cui portatore naturale, viene selezionato - mediante l'evoluzione e l'apprendimento - in modo da poter controllare il comportamento del soggetto. Dunque non pi un naturalismo filosofico convalidato unicamente dai principi probabilistici della teoria semantica dell'informazione (cfr. Dretske, Knowledge and the Flow of Information, MIT Press, Cambridge, 1981), bens un naturalismo teleo- rappresentazionale in cui la nozione di contenuto mentale definita in termini evoluzionistici e biologici. L'obiettivo principale del libro non per la natura del contenuto mentale in generale, ma nello specifico il tema della percezione sensoriale, forse il tema che pi sta a cuore a Dretske. "La Tesi Rappresentazionale abbastanza plausibile nei riguardi degli atteggiamenti proposizionali - credenze, pensieri, giudizi, e cos via. (...) La tesi meno convincente - a detta di alcuni completamente inaccettabile - per ci che concerne gli stati sensoriali, gli aspetti fenomenici o qualitativi della nostra vita mentale. (...) Su questo punto focalizzer la mia attenzione perch fare progressi qui molto difficile. Allora, se qui si faranno progressi, saranno anche i pi significativi" (p.xiv). Partendo dal presupposto che estremamente problematico individuare modalit esplicative della dimensione qualitativa e privata delle nostre esperienze sensoriali, vedremo che l'approccio teleo- http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dretske.htm (1 of 6) [09/11/2005 22.22.20] Dretske Federico, Societ e discorso rappresentazionale di Dretske al tema del contenuto non-concettuale (l'idea di un contenuto non concettuale dell'esperienza sensoriale il presupposto basilare dell'approccio epistemologico dell'autore, gi a partire dalla prima opera del 1969, Seeing and Knowing, in cui Dretske distingue il vedere "epistemico" che corrisponde alla visione dei fatti e richiede l'utilizzo di attivit cognitive, dal vedere "non epistemico" che corrisponde al vedere un oggetto, indipendentemente dai concetti che possiamo articolare riguardo ad esso) costituir un tentativo di fornire una teoria naturalistica della percezione che sia in grado di rendere conto della prospettiva soggettiva e privata dell'esperienza e di spiegarne il carattere qualitativo in termini fisicalistici ed obiettivi. Ma veniamo all'architettura generale dell'opera. Il primo capitolo introduttivo ed dedicato alla natura della rappresentazione. Qui l'analisi di Dretske prende le mosse dall'assunzione che un sistema S rappresenta una propriet F se e solo se S ha la funzione di indicare (qui, il termine "indicare" sinonimo di "fornire informazione riguardo a") l'essere F di un certo dominio di oggetti. "Il modo in cui esso svolge la propria funzione (quando la svolge) occupando stati differenti s1, s2, ...sn corrispondenti a determinati valori f1, f2,... fn, di F" (p.2). Ecco un tipo di analogia ( quella che ricorre spesso nei lavori di Dretske) che ci pu aiutare a chiarire la situazione. Consideriamo uno strumento di misura, il tachimetro delle automobili. Questo strumento (S) rappresenta la velocit (F) del veicolo in cui esso installato perch ha la funzione di indicarla (o fornirne informazione). Gli stati che occuperebbe il tachimetro nel compiere il suo "lavoro" sarebbero costituiti dalle posizioni differenti del puntatore; e questi, a loro volta, corrisponderebbero ai vari valori della velocit. In breve, affinch un sistema possa essere definito rappresentazionale, non sufficiente (e neanche necessario) che esso fornisca informazioni riguardo ad uno stato di cose nel mondo: la sua funzione, il suo lavoro, il suo scopo devono essere quelli di fornire informazione. Tutti i fatti mentali sono per Dretske fatti rappresentazionali, ma non tutte le rappresentazioni, puntualizza l'autore, sono mentali. La differenza pi importante tra i sistemi convenzionali e i sistemi naturali (p.8). I sistemi convenzionali (gli strumenti ed il linguaggio) derivano il proprio potere rappresentazionale dalla nostra esistenza, nonch dai nostri scopi e dalle nostre intenzioni. Siamo noi che li progettiamo e li costruiamo assegnando ad essi un "lavoro"; per cui possiamo cambiare le loro funzioni semplicemente cambiando collettivamente il modo in cui li utilizziamo o pensiamo ad essi. I sistemi naturali sono invece tutti quelli che non derivano la propria funzione di indicazione dagli scopi e dalle intenzioni degli esseri coscienti ma la acquisiscono naturalmente: da una parte abbiamo i sensi i quali acquisiscono la propria funzione biologica filogeneticamente, vale a dire mediante processi storici come l'evoluzione e la selezione naturale; dall'altra gli stati concettuali in generale, la cui funzione di indicazione viene acquisita ontogeneticamente, durante la storia del singolo individuo e mediante l'apprendimento. Il ricorso alla teleologia deve aggirare innanzitutto il problema dell'errore, una delle preoccupazioni maggiori di Dretske. In effetti, se veniamo alle originarie tesi dell'81, la considerazione secondo cui informazione falsa non informazione precluderebbe l'occorrenza di rappresentazioni errate e le soluzioni proposte per affrontare questa difficolt hanno ottenuto l'unico risultato di rivelarsi circolari, improbabili da un punto di vista empirico ed incompatibili con le pretese naturalistiche dell'autore. A partire dall'articolo dell'86, Misrepresentation (in Belief, a cura di R. Bodgan, Oxford University Press), in cui per la prima volta Dretske chiama in causa le funzioni, tutti gli sforzi sembrano diretti a far fronte a questo problema. Ma torniamo a Naturalizing the Mind. Nel contesto della TR, parlare di teleologia comodo perch l'ostacolo dell'errore abilmente aggirato nel momento in cui il potere di sbagliare diventa l'elemento portante della nozione stessa di rappresentazione. Infatti in questo caso non vale pi http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dretske.htm (2 of 6) [09/11/2005 22.22.20] Dretske Federico, Societ e discorso il detto dretskiano "informazione falsa non informazione", ma "rappresentazione falsa non smette di essere rappresentazione". Secondo l'approccio teleologico dell'autore, un sistema continua ad essere rappresentazionale se qualche volta e sotto certe condizioni fallisce nell'esplicare la propria funzione e dice P anche quando P falso. Il tema dell'introspezione e quello della coscienza costituiscono rispettivamente l'oggetto d'indagine del secondo e del quarto capitolo. "Chiamer conoscenza introspettiva la conoscenza diretta della propria mente. L'introspezione il processo mediante il quale noi perveniamo a tale conoscenza" (p.39). Per Dretske il fatto che abbiamo accesso alle nostre menti una banalit, non ovvio invece il modo in cui ci avviene. Secondo le argomentazioni della TR, che l'autore dichiara essere le stesse di Shoemaker e di Evans, l'introspezione non altro che una forma di "percezione dislocata" (displaced perception): noi conosciamo i fatti mentali interni attraverso la consapevolezza degli oggetti fisici esterni (ovviamente Dretske si riferisce qui agli oggetti esterni alla mente e non al corpo). Il punto in sostanza questo: l'introspezione non un processo mediante cui "guardiamo dentro" le nostre menti, perch i fatti mentali che cerchiamo non sono l (ma a questo proposito meglio rimandare al cap. 5 del libro in cui Dretske tratta il tema dell'esternalismo). Poich i fatti mentali sono fatti rappresentazionali, l'introspezione una rappresentazione concettuale di una rappresentazione (una rappresentazione del fatto che qualcosa ha un certo contenuto rappresentazionale), quindi una metarappresentazione (p.43). Per cui, un individuo S conosce una propria rappresentazione, ad esempio quella sensoriale di un oggetto blu, esperendo non l'esperienza del blu, ma un oggetto dislocato (displaced object), che in questo caso l'oggetto blu che l'individuo S sta vedendo. In altri termini, convergono due tipi di rappresentazione: una concettuale, vale a dire la rappresentazione del fatto che si sta vivendo un'esperienza sensoriale, ed una sensoriale (non-concettuale) il cui oggetto l'oggetto blu che si sta vedendo e non s stessi. La conoscenza introspettiva di E (l'esperienza in questione) non richiede quindi altri oggetti se non quelli rappresentati dalla rappresentazione sensoriale stessa. Questi ragionamenti porterebbero per ad una situazione paradossale, ossia che l'autorit della "prima persona" verrebbe messa a repentaglio dalla concezione che i fatti conosciuti introspettivamente sono fatti costituiti da relazioni che si creano tra ci che "nella testa" e ci che "fuori" (ad esempio le relazioni storiche). Ma questo per Dretske non un problema. Lo sarebbe (nel senso che costituirebbe un paradosso) per chi sostiene che la conoscenza dei fatti estrinseci avviene guardando dentro la propria mente. Secondo la TR, invece, l'introspezione un processo tramite il quale i fatti interni vengono conosciuti nell'atto stesso in cui si rappresentano gli oggetti esterni (p.54). La Tesi Rappresentazionale anche una teoria degli stati di coscienza. A questo proposito il cap. 4 costituisce una difesa delle teorie orizzontali ( il termine utilizzato da Dretske per definire la sua TR) degli stati di coscienza e, al tempo stesso, un attacco alle teorie verticali (Higher-order Theories), quelle, per intenderci, di Rosenthal, Armstrong, Lycan, Carruthers, ecc. Secondo il modello teleologico/orizzontale di Dretske, avere stati di coscienza diverso dal divenire consci dei propri stati. Gli stati mentali consci sono stati che ci rendono coscienti, non stati che ci rendono coscienti mediante il divenire consci di essi. In altri termini, esperire un oggetto, occupare cio un certo tipo di stato mentale non concettuale non necessita affatto l'essere coscienti della propria esperienza fenomenica, dei propri qualia. Non si diventa coscienti dei propri qualia, del fatto che, ad esempio, la propria esperienza un'esperienza di un oggetto che cos e cos, mediante un processo diretto di introspezione interna, un processo attraverso il quale si diventerebbe coscienti delle qualit dell'esperienza nel modo in cui si diventa coscienti delle qualit dell'oggetto esterno. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dretske.htm (3 of 6) [09/11/2005 22.22.20] Dretske Federico, Societ e discorso La consapevolezza, o coscienza, dei propri qualia un processo che richiede, invece, l'uso di concetti. Per divenire coscienti dell'oggetto rosso che di fronte ai nostri occhi, basterebbe aprirli, non necessario possedere il concetto ROSSO; in questa concezione, anche un animale o una creatura sprovvista di capacit cognitive ha stati di coscienza. Solo per divenire coscienti del proprio quale, cio del fatto che si sta occupando uno stato mentale di un certo tipo, devono intervenire attivit prettamente concettuali e cognitive. Ma l'obiettivo pi interessante e, per certi versi, sicuramente il pi "coraggioso" del libro di fornire una teoria naturalistica dei qualia (il classico "effetto che fa", ad esempio, sentire un profumo, avvertire un dolore, vedere un colore, ecc.) alla quale dedicato il terzo capitolo. Dretske intende rispondere alla sfida lanciata da alcuni filosofi come Jackson e Nagel, secondo i quali il carattere qualitativo delle nostre esperienze sensoriali sui generis, e non potrebbe essere spiegato in termini fisicalistici, per quanto sofisticato possa divenire il nostro sapere psicologico o neurofisiologico. In questa concezione sembrerebbe che la soggettivit rappresenti una dimensione del mentale inaccessibile ad uno studio naturalistico ed oggettivo e che, di conseguenza, esistano delle esperienze la cui conoscenza sia riservata solo a coloro i quali hanno il privilegio di viverle. Secondo Dretske, nell'ambito di una teoria teleologica della mente, una naturalizzazione non riduttiva dei qualia , se non praticamente, almeno concettualmente possibile. "Se la vita soggettiva di un altro essere, l'effetto che fa essere quella creatura sembra inaccessibile perch noi non capiamo di cosa stiamo parlando quando ci riferiamo agli stati soggettivi" (p.64). La strategia di Dretske che, identificando i qualia con il modo in cui gli oggetti appaiono o sembrano fenomenicamente ad un soggetto S nella modalit sensoriale M, e pi precisamente secondo gli argomenti della TR, con quelle propriet con cui un oggetto viene rappresentato filogeneticamente, i problemi riguardanti i qualia di un'altra persona (o di un animale) diventano problemi riguardanti i suoi stati rappresentazionali, vale a dire problemi riguardanti quelle propriet che questi stati hanno la funzione di indicare. Dunque individuare modalit esplicative della dimensione qualitativa e privata delle nostre esperienze sensoriali vorrebbe dire fornire una descrizione in termini fisicalistici delle funzioni indicatrici dei vari sistemi rappresentazionali. Dretske, seguendo questa linea teorica, propone una descrizione della rappresentazione sensoriale che 1) tiene conto del carattere soggettivo e privato degli aspetti qualitativi delle nostre esperienze; 2) evita il problema classico dello "spettro invertito" (questo problema costituisce un controesempio, una difficolt teorica per i comportamentisti ed i funzionalisti) , secondo il quale noi possiamo essere identici nei nostri comportamenti discriminatori e, al tempo stesso, diversi nelle nostre sensazioni - certo la mossa di Dretske non risolve questo problema ma lo evita in quanto, nell'ambito di un approccio teleologico, viene affidato all'evoluzione il compito di garantire l'identit delle esperienze fenomeniche; 3) fornisce un'analisi dell'esperienza sensoriale in cui gli aspetti qualitativi dell'esperienza fenomenica vengono spiegati obiettivamente. Dretske definisce la sua TR una teoria esternalista della mente e al cap. V (l'ultimo capitolo del libro) attribuito il compito di dimostrarlo. "La Tesi Rappresentazionale una teoria esternalista della mente. Essa identifica i fatti mentali con i fatti rappresentazionali, e sebbene le rappresentazioni siano nella testa, i fatti che determinano le rappresentazioni - e, quindi, i fatti che rendono le rappresentazioni mentali - sono esterni alla testa" (p. 124). In sostanza, ci che Dretske vuole dirci che il contenuto dei nostri stati mentali viene determinato da ci che essi rappresentano, dalle loro funzioni, dunque, non da fattori intrinseci ma dalle relazioni che si creano tra gli eventi interni e gli stati di cose esterni. In questa concezione, poich le funzioni vengono definite biologicamente dalla storia degli stati e dei sistemi in cui si trovano, A e B potrebbero essere molecolarmente indistinguibili ma, se gli stati cerebrali di A e di B sono il risultato di sviluppi storici e http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dretske.htm (4 of 6) [09/11/2005 22.22.20] Dretske Federico, Societ e discorso biologici diversi, allora A potrebbe costituire un sistema rappresentazionale, B no; A potrebbe avere pensieri ed esperienze, B no; A potrebbe divenire cosciente del mondo che lo circonda, B no. Ci che una persona sente o pensa viene determinato esternamente, ed il fatto che una persona senta o pensi non un fatto dipendente da fattori intrinseci ma un fatto prigioniero di eventi storici ed ambientali. Questo il cammino di Dretske per naturalizzare la mente. L'esternalismo non si accetta per di buon grado se ad essere in gioco non sono solo i pensieri e le credenze ma anche i qualia. "Anche chi si trova d'accordo con la posizione di Putnam (...) che "i significati non sono nella testa" e ritiene convincenti gli esempi di Tyler Burge (...) per dimostrare il carattere sociale dei pensieri - vale a dire chi accetta l'idea che i pensieri hanno un contenuto determinato da fattori esterni - nutre poche speranze nel sostenere le stesse cose a proposito delle sensazioni" (p.125). Ci che la TR pretende ambiziosamente di dimostrare l'esternalismo dei qualia, dei contenuti non concettuali delle nostre esperienze fenomeniche, assumendo come valido "l'esternalismo concettuale" che l'autore ha gi, comunque, difeso in Knowledge and the Flow of Information. A questo punto, esperimenti mentali come quello della Terra Gemella di Putnam, in relazione al contenuto non concettuale dell'esperienza fenomenica, costituiscono la base esplicativa delle tesi di Dretske. Il tocco finale del libro il tema "davidsoniano" della sopravvenienza (in questo caso il problema della irriducibilit del contenuto delle esperienze sensoriali alla costituzione fisica del percipiente) e, ovviamente, Dretske non tralascia di trattare il problema annesso della causazione mentale (come possibile che certe propriet estrinseche e relazionali, come quelle degli stati mentali, possano essere causa di ci che provocano?). Nell'ambito delle argomentazioni della TR, poich le funzioni vengono definite biologicamente, i fatti mentali non sopravvengono su quelli neurofisiologici e ci non implica l'epifenomenismo degli stati mentali/rappresentazionali. Il punto sta in cosa noi intendiamo esattamente quando parliamo di comportamento (cfr. Dretske, Explaining Behavior, The MIT Press, 1988). Se identifichiamo il comportamento non con i singoli movimenti e cambiamenti del corpo ma con una serie di processi causali che hanno come risultato certi movimenti e cambiamenti del corpo, allora, sostiene Dretske, il mentale non deve sopravvenire sul fisico per essere causalmente rilevante. Secondo la Tesi Rappresentazionale, il contenuto dei nostri pensieri e le qualit delle nostre esperienze non sopravvengono sulla costituzione fisica del sistema ma su tutti quegli eventi e processi storici che hanno portato il sistema a comportarsi nel modo in cui effettivamente si comporta. Indice Series Foreword vii Acknowledgments ix Prologue xii Cap.I The Representational Character of Sense Experience 1 Cap.II Introspection 39 Cap.III Qualia 65 Cap.IV Consciousness 97 http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dretske.htm (5 of 6) [09/11/2005 22.22.20] Dretske Federico, Societ e discorso Cap.V Externalism and Supervenience 123 Notes 169 References 189 Index 205 L'autore Fred Dretske professore emerito di Filosofia all'Universit di Stanford. Ha pubblicato numerosi lavori nell'ambito della filosofia della mente, tra cui Seeing and Knowing (1969), Knowledge and the Flow of Information (1981), Explaining Behavior: Reasons in a World of Causes (1988), Perception, Knowledge, and Belief. Selected Essays (2000). Links Home page di Fred Dretske
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/dretske.htm (6 of 6) [09/11/2005 22.22.20] Fano, Vincenzo- Tassani, Isabella, L'orologio di Einstein Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Fano, Vincenzo - Tassani, Isabella (ed.), L'orologio di Einstein. La riflessione filosofica sul tempo della fisica. Bologna, Clueb 2002, pp. 311 21,00 Euro, ISBN 88-491-1835-X Recensione di Eddy Carli filosofia della scienza (filosofia della fisica), filosofia teoretica (tempo) Indice - L'autore La questione del tempo costituisce uno dei problemi pi intricati e insieme pi decisivi del pensiero occidentale: non esiste altra dimensione che sia immediatamente evidente alla nostra esperienza e nulla che sia pi problematico nella sua esistenza come nella sua natura. In filosofia, lo scarto tra esistenza e realt ha spesso collocato il tempo dal lato del non-essere piuttosto che da quello dell'essere: Spinoza negava radicalmente l'esistenza reale del tempo. Agostino nelle Confessioni, nell'interrogarsi su "Che cos' il tempo?", rispondeva: "se non me lo chiedono, io lo so; ma se me lo chiedono io lo ignoro". Ma la dimensione ontologica del tempo stata radicalmente messa in discussione dalla fisica contemporanea, e la filosofia, sin dagli inizi del Novecento, non ha pi potuto sottrarsi ad un confronto diretto con il tempo della fisica. La relativit ristretta si dimostrata sin dal suo apparire una teoria di importanza fondamentale per la nozione di tempo ed ha segnato radicalmente la riflessione sull'impatto filosofico della fisica in relazione alla temporalit. La relativit ristretta ha messo in discussione l'idea che esista un unico tempo che scorra indipendentemente dall'osservatore, favorendo la tesi metafisica secondo cui il passare del tempo sarebbe una sorta di illusione soggettiva, ma, soprattutto, chiamando in causa il soggetto stesso che formula la questione del tempo, le sue abitudini di pensiero, il suo linguaggio, l'organizzazione stessa del mondo. La meccanica statistica ha fatto intravedere la possibilit di ricondurre l'enigmatica nozione di 'direzione del tempo' al concetto di entropia; la relativit generale ha reso possibile concepire dei veri e propri viaggi nel tempo. Temi, tutti questi, che hanno aperto una nuova riflessione critica sul tempo, che ha portato ad un confronto diretto tra fisica e filosofia. Contributi come quelli di Reichenbach o Bergson, che hanno messo in luce l'importanza della teoria della relativit ristretta per la nozione di tempo, sono ormai considerati dei classici, e cos i lavori di Adolf Grnbaum, Lawrence Sklar, John Earman e Michael Friedman. Il bel volume curato da Vincenzo Fano e Isabella Tassani, propone una raccolta di contributi classici fondamentali della riflessione contemporanea sulla nozione del tempo, che comprendono, oltre a saggi degli autori sopra citati, articoli di Mc Taggart, Capek, Carnap, Feynman, Rindler, e Salmon. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fano.htm (1 of 3) [09/11/2005 22.22.20] Fano, Vincenzo- Tassani, Isabella, L'orologio di Einstein Il libro fornisce uno strumento prezioso per orientarsi in un dibattito complesso ed estremamente articolato: i diversi argomenti sono preceduti da utilissime introduzioni dei curatori, che consentono al lettore di affrontare i diversi temi con chiarezza. L'intento quello di fornire un reading sul tema del tempo che, attraverso un'attenta scelta antologica, raggiunge in pieno l'obiettivo di condurre il lettore a comprendere e conoscere i temi essenziali che riguardano l'attuale dibattito sul tempo nella fisica e nella filosofia. I limiti della teoria fisica vengono evidenziati da Bergson, il quale sostiene che per comprendere la natura del tempo la fisica non sufficiente, e pone in evidenza i problemi epistemologici legati alla misurazione del tempo: quale rapporto sussiste, per esempio, tra il tempo misurato e il tempo della nostra percezione soggettiva? Noi tendiamo a suddividere il tempo in istanti o intervalli successivi e sommiamo o sottraiamo tali intervalli come se fossero delle parti dello spazio. Ma di fatto, il tempo come durata interiore non ha questo carattere lineare ma una molteplicit qualitativa di stati che si compenetrano e si sovrappongono: il tempo spazializzato della fisica, per Bergson, ha ben poco a che vedere con il tempo originario della durata interiore. "Sia che lo concepiamo in noi o fuori di noi - scrive Bergson -, il tempo che dura non misurabile". L'analisi del tempo nella relativit ristretta, conduce ad affrontare nodi problematici complessi, come il problema della convenzionalit della simultaneit - secondo cui non possibile stabilire se due eventi distanti sono simultanei -, delle relazioni temporali di precedenza e successione e delle dilatazioni temporali. Richard Feynman, proponendo una metafisica radicalmente diversa da quella di Bergson, sostiene che il tempo del pensiero si pu dilatare esattamente come quello fisico. Egli giunge a tale convinzione presupponendo implicitamente che la mente sia completamente determinata dal mondo fisico. Assunzione che tocca problemi epistemologici e metafisici, che riguardano non soltanto la nozione di tempo ma anche il problema della natura della mente e del pensiero dell'uomo. Nell'ampia rassegna che il volume presenta, troviamo cos la messa a tema dei nuclei fondamentali che segnano il dibattito sul tempo, ed insieme un'apertura a questioni scientifiche e filosofiche, che coinvolgono la mente e la soggettivit e che non sembrano disgiungibili dal tema stesso della temporalit. . Indice Prefazione I. IL DIVENIRE E' SOGGETTIVO O OGGETTIVO? p. 13 J.Mc Taggart, Prima e dopo, passato e futuro, p. 17; A. Grnbaum, Esiste un "flusso" del tempo o "divenire" temporale?, p. 31; M. Capek, Il mito del passaggio "congelato": lo status del divenire nel mondo, p. 47 II. LA MISURAZIONE DEL TEMPO p. 71 R. Carnap, Una definizione operativa, p. 75; H. Bergson, La durata reale e il tempo misurabile, p. 85; H. Reichenbach, L'uniformit del tempo, p. 95 III. LA SIMULTANEITA' p. 103 W. Rindler, La relativit della simultaneit, p. 113; W.C. Salmon, Orologi e simultaneit nella relativit speciale, p. 117; M. Friedman, Contro la convenzionalit della simultaneit, p. 137 IV. LE DILATAZIONI TEMPORALI E IL PARADOSSO DEI GEMELLI p. 155 R. Feynman, La realt delle dilatazioni temporali, p. 165; H. Bergson, Le dilatazioni temporali sono fittizie, p. 179; W. Rindler, Immagine del mondo e mappa del mondo, p. 189; W.C. Salmon, Quale gemello ha l'orologio Times?, p. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fano.htm (2 of 3) [09/11/2005 22.22.20] Fano, Vincenzo- Tassani, Isabella, L'orologio di Einstein 191 V. LA DIREZIONE DEL TEMPO p. 201 H. Reichenbach, Un'interpretazione statistica, p. 211; J. Earman, Un tentativo di impartire una direzione al "problema della direzione del tempo", p. 243; L. Sklar, Su e gi, sinistra e destra, passato e futuro, p. 255 Appendice - I viaggi nel tempo, p. 279 Bibliografia p. 301 L'autore Vincenzo Fano insegna Filosofia della scienza all'Universit di Urbino. E' autore di La filosofia dell'evidenza (Clueb) e di Matematica ed esperienza nella fisica moderna (Il Ponte Vecchio). I suoi studi si sono concentrati soprattutto sulla filosofia della psicologia e della fisica. Isabella Tassani ha conseguito il dottorato in Filosofia presso l'Universit di Bari. Si dedicata ad approfondire la storia epistemologica della meccanica quantistica. Attualmente svolge attivit di ricerca post-dottorato presso l'Universit di Urbino.
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fano.htm (3 of 3) [09/11/2005 22.22.20] Fodor, Jerry, La mente non funziona cos Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Fodor, Jerry A., La mente non funziona cos. Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 145, Euro 12,39, ISBN 88-420-6421-1. Recensione di Alfonso Ottobre - 25/06/2002 filosofia della mente, psicologia (psicologia dei processi cognitivi) Indice - L'autore - Links Questo libro di Jerry Fodor trae origine da un ciclo di lezioni svoltosi presso l'Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele di Milano nel giugno del 1998. La data va tenuta presente: nello stesso anno, infatti, sono apparsi Concepts. Where Cognitive Science Went Wrong (tradotto in italiano e pubblicato l'anno successivo da McGraw-Hill) e la raccolta di scritti brevi In Critical Condition, due testi nei quali il filosofo americano aveva gi preso le distanze da un certo tipo di psicologia cognitiva. Ci spiega la ragione per cui, ben prima di poter essere lette su questo libro, le "nuove" opinioni di Fodor fossero gi ampiamente "chiacchierate". Dunque proprio vero che l'A., tra i pi convinti assertori della Teoria Rappresentazionale della Mente, l'alfiere della psicologia computazionale e della modularit della mente, ha improvvisamente cambiato idea? Se la domanda viene posta in questi termini, la risposta deve essere negativa: in realt Fodor ritiene ancora che la TCM sia la migliore tra le teorie della cognizione di cui disponiamo, "l'unica che meriti lo sforzo di una seria discussione" (p.3), e che i limiti che la contraddistinguono sono quelli che l'A. stesso non ha mai dimenticato di indicare. Tuttavia qualcosa cambiato; e se la domanda viene posta diversamente, se cio ci si chiede: vero che Fodor si quasi arreso all'idea che la TCM non potr dirci niente riguardo alle caratteristiche pi peculiari e interessanti della cognizione umana? Allora la risposta s - sembrerebbe proprio di s. La mente non funziona cos porta un sottotitolo significativo: la portata e i limiti della psicologia computazionale. significativo nel senso che dev'essere considerato come una chiave di lettura dell'intero volume, perch - aldil dei molti argomenti affrontati e della consueta verve polemica, a tratti canzonatoria, con cui l'A. attacca una vasta regione del mondo filosofico e psicologico - il fine ultimo del ciclo di lezioni milanesi di Fodor esattamente quello indicato nel sottotitolo: cercare di stabilire, allo stato attuale della ricerca, la portata, i limiti e, di conseguenza, le prospettive future della psicologia computazionale. Ma perch Fodor avverte l'urgenza di una simile operazione? In fondo, come egli stesso ammette, scrivendo libri che celebravano le meraviglie della TCM ha "generalmente ritenuto doveroso aggiungere un paragrafo in cui chiarivo la mia convinzione che tale teoria non potesse essere altro che un http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fodor.htm (1 of 5) [09/11/2005 22.22.22] Fodor, Jerry, La mente non funziona cos frammento di una psicologia cognitiva completa e soddisfacente" (p. 3). Per quale ragione Fodor passato da un paragrafo aggiuntivo a un intero libro? La novit degli ultimi anni data dall'affermarsi di una teoria cognitivista (la cosiddetta Nuova Sintesi) che, prendendo spunto dalla TCM e combinandola con un innatismo psicologico globale ed una teoria evolutiva di stampo neodarwiniano, pretende oggi di offrirci un quadro sistematico e quasi esaustivo della mente cognitiva. How the Mind works di Steven Pinker ed Evolution in Mind di Henry Plotkin sono i due libri che, secondo Fodor, meglio rappresentano tale orientamento. Ebbene: la NS, col suo "esuberante ottimismo" (p.5), decisamente fuori strada: "L'innatismo computazionale senza ombra di dubbio la migliore teoria della mente cognitiva che sia mai stata concepita finora (...) ed senz'altro possibile che vi siano aspetti della cognizione su cui l'innatismo computazionale coglie abbastanza nel segno. Ci malgrado, assai plausibile sospettare che questa teoria sia, in larga misura, falsa" (p. 5). Fodor stesso, dunque, a chiarire i motivi che debbono indurci oggi a sottolineare soprattutto i limiti della psicologia computazionale: non si tratta pi di illustrare i vantaggi di una teoria promettente che, rifacendosi alle idee di Turing (che l'A., in una nota, definisce una variante delle teorie rappresentazionali della mente "per secoli ben note alla tradizione dell'empirismo britannico e altrove", p.6), arrivi a spiegare con successo alcuni aspetti del pensiero, come la produttivit e la sistematicit degli stati mentali, per poi aggiungere alcune brevi considerazioni sulla difficolt di applicazione di simili idee alla mente cognitiva intesa nella sua globalit. Oggi ci troviamo di fronte al tentativo di ridurre il Pensiero a Computazione; la qual cosa pu forse non essere sbagliata come programma di ricerca, ma sicuramente errata se si d come un risultato definitivo, basato per lo pi su fondamenti incerti, controversi quando non addirittura incoerenti: "Nel corso degli ultimi quarant'anni abbiamo posto alla Natura domande sui processi cognitivi, e questa ci ha risposto indicandoci la portata e i limiti della teoria computazionale della mente cognitiva" (p. 7). Ed questo che Fodor intende ricordare agli ottimisti: cosa la Natura ci ha detto in proposito. Uno dei risultati pi significativi della TCM, scaturito proprio dalla volont di connettere la cognizione umana con le idee di Turing, stata l'introduzione di una dicotomia fondamentale tra processi mentali locali e processi mentali globali. Si cos arrivati a determinare alcune propriet condivise attendibilmente dai processi mentali locali. Fodor ne cita tre fondamentali: "I processi mentali locali sembrano conciliarsi assai bene con la teoria di Turing secondo cui il pensiero computazione; pare che essi siano prevalentemente modulari; e sembra che gran parte della loro architettura (...) sia specificata in modo innato" (pp. 8-9). Il problema che, al contrario, le nostra scoperte riguardo la cognizione globale ci hanno resi consapevoli del fatto che quest'ultima si differenzia dalla cognizione di tipo locale proprio sotto tutti e tre questi aspetti; e che, di conseguenza, il modello computazionale non ci di alcun aiuto per comprenderla: "Poich tra i processi mentali afflitti dalla globalit figurano alcuni dei processi mentali che pi caratterizzano la cognizione umana, a conti fatti sono poco incline a celebrare quanto abbiamo finora appreso sul funzionamento della mente (...) Attualmente siamo ad anni luce di distanza da una scienza cognitiva soddisfacente" (p. 9). Nel primo capitolo (Tipi di innatismo), Fodor si preoccupa di distinguere la fusione operata dalla NS tra innatismo, psicologia computazionale e neodarwinismo dall'innatismo di Chomsky. Pur non essendo incompatibili, infatti, le due teorie hanno per una portata differente; come spiega Fodor, "la teoria di Chomsky (...) risponde in primo luogo a questioni concernenti le fonti e gli usi della conoscenza, proseguendo in tal modo la tradizione dell'epistemologia razionalista. L'innatismo computazionale, invece, interessato soprattutto alla natura dei processi mentali (come, ad esempio, il pensiero) e dunque si innesta nella tradizione della psicologia razionalista" (p. 10). http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fodor.htm (2 of 5) [09/11/2005 22.22.22] Fodor, Jerry, La mente non funziona cos Ci che caratterizza la psicologia della NS la convinzione che i processi cognitivi siano computazionali, siano cio operazioni formali compiute su rappresentazioni sintatticamente strutturate. Gli stati mentali hanno una forma logica e il loro ruolo causale si fonda, inter alia, su di essa. La forma logica di un pensiero pu essere ricostruita dalla sintassi di una rappresentazione mentale che la esprime, o meglio, la forma logica di un pensiero sopravviene alla forma sintattica della rappresentazione mentale corrispondente: ci spiega come le forme logiche degli stati mentali "possano essere fattori che ne determinano i poteri causali" (p. 29). In sostanza, pur partendo dalle idee di Chomsky sull'innatismo, la psicologia cognitiva della NS adotta l'idea di Turing secondo cui i processi mentali sono computazioni, assumendo che i pensieri abbiano una struttura sintattica. I problemi nascono proprio da ci che Fodor definisce i limiti della teoria sintattica del Mentale. La Sintassi di una rappresentazione mentale infatti una delle sue propriet essenziali: vale a dire che, se modifichiamo la sintassi di una rappresentazione mentale, non abbiamo pi la stessa rappresentazione mentale e quindi lo stesso ruolo causale. Se assumiamo che i processi mentali, essendo computazioni, siano "sensibili unicamente alla sintassi delle rappresentazioni mentali", e che tali propriet sintattiche siano essenziali, dobbiamo concludere che i processi mentali siano "insensibili alle propriet contestuali delle rappresentazioni mentali. E qui cominciano i guai, perch di fatto questa conclusione non sembra vera" (p. 33). Esistono cio "certe determinanti del ruolo di un pensiero nei processi mentali" che non "sembrano conformarsi a questo paradigma; in particolare, le propriet di un pensiero che sono sensibili a quali sistemi di credenze lo contengono non sembrano conformarvisi"(pp. 37-38). L'A. mostra come sia possibile rendere la teoria sintattica meno debole di fronte a tali problemi, e come in fondo si potrebbe "convivere con le tensioni esistenti tra l'idea del carattere sintattico dei processi mentali e l'idea della loro globalit se in larga misura la nostra scienza cognitiva funzionasse" (p. 49). Il fatto che gran parte di essa funziona male. L'esempio dell'IA - che non stata capace di simulare "la pi ordinaria competenza cognitiva del senso comune" - , come dice Fodor, "scandalosamente noto" (p.49). La maggior parte dei "parametri delle inferenze adduttive quotidiane sono sensibili al contesto (...) dunque se gran parte della cognizione ordinaria ha un carattere abduttivo, e se esistono tensioni intrinseche tra l'abduzione e la computazione, perch ci si dovrebbe aspettare che i nostri robot funzionino?" (p. 50). Nel terzo capitolo, Fodor esamina brevemente alcune strategie tentate dagli innatisti computazionali per superare i problemi sollevati dal carattere globale della cognizione. Tra di esse, scartata con decisione l'ipotesi connessionista che sembrerebbe non essere nemmeno in grado formulare quelle stesse domande fondamentali alle quali i modelli classici non sanno offrire risposte, Fodor ci esorta a prendere in considerazione la seguente opzione: "(...) Per il momento, si concentrano gli sforzi di ricerca nelle aree dei processi cognitivi dove gli effetti di globalit sono minimi; in effetti tanto minimi da poter essere ignorati a patto che siano compatibili con un grado ragionevole di comprensione scientifica" (p. 67). Il consiglio non disinteressato: l'opzione considerata serve ad introdurci direttamente nel cuore dell'edificio costruito dalla NS, ovvero la tesi sul carattere modulare della cognizione. Il quarto capitolo (Secondo voi, quanti sono i Moduli?) pu essere considerato quello decisivo. Dopo aver lavorato ai fianchi la teoria della NS, spingendola in un angolo, Fodor pronto ad assestare il colpo finale; la NS ha la possibilit di ricorrere ad un unico, estremo aiuto: una concezione della cognizione chiamata modularit massiva, "la tesi secondo cui la cognizione per la maggior parte o totalmente modulare" (p. 69). L'A. ammette, fingendosi sull'orlo della sconfitta: se la tesi della modularit massiva fosse vera, la NS avrebbe la possibilit, se non di ribaltare la situazione, almeno di difendersi http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fodor.htm (3 of 5) [09/11/2005 22.22.22] Fodor, Jerry, La mente non funziona cos usque ad mortem. Il motivo abbastanza facile da intuire: le computazioni eseguite da meccanismi modulari sono sensibili soltanto al contesto locale e quindi non sono minacciate dalle considerazioni sulla cognizione globale e sull'influenza dei sistemi di credenze fatte in precedenza. Peccato per che l'idea che l'architettura cognitiva sia massivamente modulare , con ogni probabilit, falsa: "Presa alla lettera, essa rasenta l'incoerenza; presa in senso lato, risulta priva di plausibilit empirica" (p. 69-70). Dopo un breve (ma interessantissimo) excursus sulle nozioni di modularit e di incapsulamento informazionale, Fodor prende in esame i cosiddetti argomenti a priori in favore della teoria della modularit massiva. Questi si fondano sulla convinzione che considerazioni di tipo adattivo molto generali, "a priori e a scatola chiusa, militino a favore di architetture massivamente modulari e contro architetture generali indipendenti da domini, o contro architetture "miste" che ammettono meccanismi computazionali di entrambi i tipi" (p. 81). In maniera a mio avviso molto convincente, l'A. ridimensiona le pretese dei sostenitori della modularit massiva: il fatto che ogni architettura cognitiva "deve essere il risultato di una scelta fra virt che non possono essere massimizzate contemporaneamente: velocit contro accuratezza, spazio di memoria contro spazio di computazione, "profondit" della computazione contro "estensione" della computazione, e cos via" (ibidem). "Avere le mani - continua Fodor - senza dubbio un'ottima cosa; ma ben difficile supporre che le mani sarebbero di grande utilit se fossero tutto ci che abbiamo (...) Allo stesso modo sembra perfettamente possibile che anche il tipo di architettura mentale che ottimizza l'adattivit del comportamento istituisca una divisione del lavoro psicologico: forse un sistema cognitivo specializzato per la fissazione delle credenze vere interagisce con un sistema conativo specializzato per comprendere come ottenere ci che si vuole dal mondo di cui le credenze sono vere (...) Non molto utile sapere come fatto il mondo se non si in grado di agire in base a ci che si sa (...) e non molto utile sapere come agire in base alla propria credenza che il mondo fatto in un certo modo, se il mondo non fatto in quel modo. Perci, non esiste alcun vantaggio selettivo manifesto, in s e per s, n nella ragion pura n nella ragion pratica" (p. 82). Con questi e altri argomenti, Fodor ci fa giungere alla conclusione che scoprire l'architettura della cognizione molto pi probabilmente un problema empirico che una questione di argomenti a priori. Nell'ultimo capitolo, Fodor ovviamente tira le somme, e lo fa passando attraverso una rapida confutazione dell'ultima tesi della NS, secondo cui l'architettura cognitiva il risultato di un adattamento evolutivo, mostrando soprattutto come quest'ultima tesi sia legata intrinsecamente a quella della modularit massiva. Tra le conclusioni che l'A. elenca ordinatamente, fissando quanto detto nel corso del libro, mi sembra doveroso citare la seguente, perch ritengo spieghi bene in che senso il pensiero di questo grande studioso del nostro tempo sia oggi orientato diversamente, senza aver dovuto rinnegare le sue idee precedenti: "La teoria computazionale probabilmente vera al massimo soltanto delle parti modulari della mente. Ed senz'altro possibile che una scienza cognitiva che fornisca qualche intuizione sulla parte della mente che non modulare debba essere radicalmente differente dal tipo di teoria sintattica che ispir le intuizioni di Turing" (p. 126). Indice Introduzione Nevica ancora I. Tipi di Innatismo. 1.L'innatismo di Chomsky; 2. La Nuova Sintesi. II. La sintassi e i suoi malcontenti. 1. Dove comincia a nevicare; 2. Semplicit; 3. Sintassi "esterna" e http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fodor.htm (4 of 5) [09/11/2005 22.22.22] Fodor, Jerry, La mente non funziona cos "interna"; 4. Conservatorismo; 5. Dove si mette in evidenza che, con tutta probabilit, la prova del budino consiste nel mangiarlo. III. Due modi in cui probabilmente non possibile spiegare l'abduzione. 1. Soluzioni euristiche al problema dell'abduzione; 2. Abduzione e connessionismo. IV. Secondo voi, quanti sono i moduli? 1. Stadio 1: che cos' un modulo. 2. Stadio 2: la modularit massiva; 3. Stadio 3. Un argomento a priori contro la modularit massiva: il problema dell'input. V. Darwin tra i moduli. 1. Introduzione; 2. Primo cattivo argomento in favore dell'idea che la psicologia evoluzionistica inevitabile a priori: la coerenza; 3. Secondo cattivo argomento che cerca di spiegare perch la psicologia evoluzionistica inevitabile a priori: la teleologia; 4. Terzo cattivo argomento sul perch una psicologia evoluzionistica inevitabile: la complessit. Appendice. Perch siamo cos bravi a scoprire gli imbroglioni. L'autore Jerry A. Fodor, professore di Filosofia alla Rutgers University (New Brunswick, NJ), tra le maggiori autorit nel campo delle scienze cognitive e della filosofia della mente. In italiano sono stati tradotti: La mente modulare (Bologna 1988), Psicosemantica. Il problema del significato nella filosofia della mente (Bologna 1990), Concetti. Dove sbaglia la scienza cognitiva (Milano 1999); Mente e Linguaggio (a cura di F. Ferretti, Bari 2001). Links Il sito "ufficiale" di Fodor: contiene informazioni sul filosofo, ma soprattutto un elenco completo dei suoi scritti, alcuni dei quali sono disponibili "on-line". Torna al sommario del numero di novembre
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fodor.htm (5 of 5) [09/11/2005 22.22.22] Fumaroli, Marc, L'et dell'eloquenza Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Fumaroli, Marc, L'et dell'eloquenza. Retorica e "res literaria" dal Rinascimento alle soglie dell'epoca classica. Tr. it. di E. Bas, M. Botto e G. Cillario, Milano, Adelphi, (coll. Il ramo d'oro), Milano, 2002, pp. 843, Euro 60,00, ISBN 89-459-1708-8 (Ed. or.: L'ge de l'loquence. Rthorique et "res literaria" de la Renaissance au seuil de l'poque classique, Genve, Droz, 1980) Recensione di Giovanni Damele - 12/09/2002 linguistica Indice - L'autore - Links Che gli studi retorici abbiano vissuto, negli ultimi venti-trent'anni, un'autentica resurrezione ormai opinione comune. Anche nel nostro paese diventato meno insolito trovare sui banchi delle librerie testi che sulla copertina si fregiano del termine "retorica", il cui utilizzo stato a lungo limitato alla sola accezione negativa del suo significato. Del resto, sono passati ormai centoventidue anni dal discorso all'Acadmie Franaise in cui Renan definiva la retorica "il solo errore" dei greci - gi stigmatizzato, d'altronde, da altri autorevoli antichi greci -: in questo lasso di tempo si potuto ben notare come questo "errore" non fosse privo di una qualche utilit. Sono cos fioriti nuovi studi sulla retorica, con particolare dedizione a quella aristotelica, e perfino nuove retoriche e teorie dell'argomentazione, chiamate a tamponare le falle lasciate aperte dalla logica formale sullo scafo delle teorie del ragionamento. Con minor rullare di tamburi, si sono anche avanzate nuove ricostruzioni storiche, focalizzate soprattutto - com' inevitabile - sulla retorica classica, ma che non hanno tralasciato altri periodi fondamentali per la storia di questa disciplina. Su tutti meritano di essere citati gli studi di Cesare Vasoli sulla retorica umanistica italiana. Meno frequentata, almeno nella nostra lingua, forse l'epoca barocca, epoca retorica par excellence nell'immaginario comune. A colmare parzialmente questa lacuna venuta recentemente la traduzione (priva purtroppo della nutrita bibliografia), per i tipi di Adelphi, del monumentale studio che Marc Fumaroli ha dedicato alla retorica francese nel periodo, tanto delicato e fondamentale per la storia e la letteratura transalpine, a cavallo dei secoli XVI e XVII. Si tratta di un opera dalla mole impressionante, se si considera quanto limitati siano invece il lasso temporale e l'ambito geografico presi in considerazione, ma di lettura alquanto scorrevole. Un'opera nata da s - per gemmazione, si potrebbe dire -, a partire dall'iniziale progetto di un'introduzione a un lavoro su Corneille e la tragedia classica francese, sul quale si sono via via stratificati, per otto anni, i diversi capitoli che hanno infine formato questo monumento della storia della letteratura e delle idee, dalla trama fittamente intessuta di nomi, citazioni, titoli di opere e date. In effetti, il periodo preso in esame dall'A. cruciale per la storia della retorica transalpina. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fumaroli.htm (1 of 4) [09/11/2005 22.22.23] Fumaroli, Marc, L'et dell'eloquenza Dalla met del XVI secolo, infatti, anche la severa eloquenza gallicana veniva chiamata a fare i conti con il rinnovamento compiuto dagli umanisti italiani, il quale avevano liberato la retorica dalla precettistica e dalla manualistica medievali per ricondurla alle origini, da essi intese soprattutto come l'opera di Cicerone. Insomma, l'umanesimo italiano rappresent l'inizio di una nuova stagione per l'antica ars bene dicendi, una nuova stagione per l'eloquenza politica e giudiziale e per quella religiosa, chiamata poi soprattutto a servire e diffondere la riforma tridentina. E non a caso, Fumaroli dedica l'intera seconda parte del suo libro alle dispute intorno alla retorica gesuitica, sviluppatesi in Francia nel XVII secolo tra gesuiti e gallicani. Se infatti la reale posta in gioco di queste dispute altro non era che la fiera volont d'indipendenza della Chiesa francese, esse rappresentarono per anche il terreno di scontro tra diversi stili retorici, e l'affermazione della "sofistica sacra" dei predicatori della Compagnia di Ges - cio del tentativo, che ebbe nel predicatore gesuita di corte Louis Richeome uno dei suoi pi convinti fautori, di applicare le regole della sofistica classica alla diffusione e alla difesa dell'ortodossia tridentina. La parte tuttavia pi interessante dell'opera , a mio avviso, quella dedicata alla retorica del Parlamento. Qui tra l'altro si delinea ancor meglio lo scontro-incontro fra la retorica ciceroniana degli umanisti italiani e la tradizione retorica dei magistrati francesi (lo stylus Parlamenti, secondo l'espressione di Guillaume du Breuil) assurta in questo periodo a modello privilegiato di eloquenza orale nel Regno di Francia. del 1621, infatti, l'affermazione di tienne Binet secondo cui "oggi l'Eloquenza non compare che nei Parlamenti o dai pulpiti dove la impiegano i predicatori" (cit. a p. 502). In effetti, gi nel XVI secolo Francesco Patrizi, riprendendo un argomento sostenuto da Quintiliano, notava come nelle societ monarchiche l'eloquenza politica non trovasse spazi di sviluppo. Tuttavia, in Francia l'eloquenza orale non era privilegio esclusivo del clero: il Senato dei Romani trovava il proprio equivalente nell'istituzione anzitutto giudiziaria, ma anche politica dei Parlamenti, o almeno nella rappresentazione che i Parlamenti stessi davano di s. L'eloquenza parlamentare si caratterizzava cos come il principale elemento distintivo per un'lite aristocratica amministrativa, che aveva il suo apice nel Parquet del Parlamento di Parigi e che rivendicava la centralit del proprio ruolo non soltanto nei confronti della borghesia, ma anche nei confronti del Re, aspirando a riconquistare le prerogative dell'antica Curia regis o degli Stati generali. Era proprio sul terreno dell'eloquenza che questa partita (non potendo svolgersi in realt su altri campi) veniva giocata, e la superiorit linguistica del Palazzo di San Luigi, sede del Parlamento, veniva rintracciata nel suo ruolo di mediazione tra il linguaggio grezzo del popolo e quello astratto e arido dei dotti, da una parte, e l'eloquenza leziosa e italianizzante della corte, dall'altra. Ora, si pu pensare che per un'istituzione dal carattere eminentemente giuridico, la retorica ciceroniana costituisse il modello imprescindibile. Per le particolari caratteristiche dell'istituzione francese dei Parlamenti e della storia giuridica francese, questo era invece ben lungi dall'essere un fatto ovvio e incontestato. La reintroduzione del diritto romano in Francia nel XII secolo, sotto l'influenza del diritto ecclesiastico, fece s ricomparire la figura dell'avvocato, ma nella versione, appunto, del codice giustinianeo, assai differente da quella della Roma di Cicerone. Lo spazio di manovra di un avvocato nella Francia medievale era insomma decisamente pi ristretto, ed egli era chiamato, tra l'altro, "a difendere solo cause giuste", delle quali era ritenuto personalmente responsabile. Era, insomma, "pi il collaboratore del giudice, che il difensore del suo cliente" (pp. 508-9). Per quanto queste prescrizioni fossero andate nel corso dei secoli attenuando la loro originaria severit, esse contribuirono senz'altro a formare lo "Stile Parlamento" come uno stile "severo, nemico del lusso e del superfluo, assillato da ideali - in ultima analisi religiosi - di responsabilit e verit" (p. 510). In queste condizioni, lo stesso Cicerone, anzich apparire come un baluardo http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fumaroli.htm (2 of 4) [09/11/2005 22.22.23] Fumaroli, Marc, L'et dell'eloquenza dell'atticismo contro la sofistica e il fiorito e ridondante stile retorico asiano, viene visto con sospetto, e la sua introduzione nel Parlamento avviene faticosamente e in maniera controversa. Uno dei motivi principali di tanto sospetto , si noti bene, la considerazione del fatto che i giudici del Parlamento dovessero argomentare non di fronte al popolo, come Cicerone, ma di fronte a nobili consessi di dotti, i quali, per usare le parole di Jacques Faye d'Espeisses, trattano "di scienze concrete", e non di "opinioni" (cit. a p. 547). Vale la pena, poi, di notare come le discussioni, tanto accuratamente riportate da Fumaroli, sulla definizione della retorica istituzionale del Parlamento, andassero di pari passo con la perdita di ogni prerogativa di governo da parte del Parlamento stesso, a vantaggio della corona. Soprattutto sotto il regno di Enrico IV il Parlamento, strettamente controllato dal Consiglio del Re, andr infatti sempre pi riducendo le proprie funzioni, limitandosi ad un ruolo strettamente giudiziario e dimostrativo, espletati nelle cosiddette Remonstrances d'ouverture, durante le quali, due volte all'anno, l'Avvocato generale o il Procuratore generale facevano "l'apologia della Parola di Giustizia" (p. 554) stigmatizzandone le deviazioni. Si trattava quindi di una istituzione tutta interna al mondo giuridico, che si era andata trasformando, nei secoli XVI e XVII, nell'occasione per veri e propri tornei di eloquenza, vetrine dello "Stile Parlamento", improntato a un atticismo nella versione di Pietro Ramo, nel quale la probatio prevale sull'ornatus: uno stile il cui modello, pi che Cicerone, Catone il Censore. In questo panorama, il dramma politico della guerra di religione tra i calvinisti e la Ligue costitu forse l'ultima occasione per i Parlamenti per affermare uno spazio per l'esercizio dell'eloquenza civica. E la figura eminente in questa vicenda sar Guillaume du Vair, il quale eserciter sui banchi gigliati del Parquet di Parigi proprio nel momento in cui l'indebolimento del potere monarchico aprir una breve stagione allo sviluppo di un'eloquenza deliberativa. Infatti, proprio du Vair sar determinante, con la sua Suasion sul l'arrt pour la Loi Salique (1593), per l'ascesa al trono di Enrico di Navarra. Parallelamente, du Vair traccer il modello di una eloquenza istituzionale in lingua francese, sostituendo finalmente una retorica d'impronta senecana con una modellata sui classici di Demostene e Cicerone, magistrati e oratori. Dopo questa breve stagione, l'affermarsi dell'assolutismo monarchico confermer l'antica convinzione di Quintiliano e in seguito di Patrizi, secondo la quale l'eloquenza civica (ed in ultima analisi la retorica) non pu prosperare in un regime monocratico, e gli avvocati e i magistrati, con il ridursi degli spazi di partecipazione alla vita politica, si trasformeranno lentamente in semplici uomini di lettere. Del resto, proprio du Vair - pur riaffermando la sua fedelt alla monarchia assoluta francese, la quale "ci ha in verit liberati dalle miserie [...] che sono proprie degli Stati popolari" - non poteva non notare, alla fine del Cinquecento, come la stessa monarchia assoluta avesse anche privato i francesi "del ruolo che potevano esercitare gli spiriti insigni nella trattazione degli affari" (cit. a p. 590). Indice 1.PRIMA PARTE - Roma e la disputa del ciceronianismo (1.1 Il "cielo delle idee" retorico; 1.2 Splendore e declino della prima Rinascita ciceroniana; 1.3 Il Concilio di Trento e la riforma dell'eloquenza sacra; 1.4 La seconda Rinascita "ciceroniana") 2.SECONDA PARTE - Dal molteplice all'uno: gli "stili gesuitici" (2.1 Gesuiti e gallicani: una rivalit oratoria; 2.2 I gesuiti francesi e la sofistica sacra (1601-1624); 2.3 Apogeo e crepuscolo della sofistica sacra; 2.4 Gli avversari gesuiti della "corruzione dell'eloquenza") http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fumaroli.htm (3 of 4) [09/11/2005 22.22.23] Fumaroli, Marc, L'et dell'eloquenza 3.TERZA PARTE - "Lo stile di Parlamento" (3.1 Eloquenza parlamentare e Repubblica delle Lettere nel XVI secolo; 3.2 La magistratura oratoria del Palazzo (1560-1627); 3.3. La prima mediazione classica (1627-1642)) 4.Conclusione generale L'autore Nato a Marsiglia nel 1932, professore al Collge de France (dal 1986) e membro dell'Acadmie Franaise (dal 1995), Marc Fumaroli critico e storico della letteratura, dell'arte e della civilt europea. membro dell'Accademia dei Lincei e Grande ufficiale dell'ordine della Repubblica Italiana. Fra i suoi saggi, segnaliamo, in traduzione italiana: Eroi e oratori, Retorica e drammaturgia nel Seicento (Il Mulino, 1990), Lo Stato culturale (Adelphi, 1993), La scuola del silenzio (Adelphi, 1995), Il Salotto, l'Accademia, la Lingua (Adelphi, 2001) Links Fleurs de rhtorique (l'histoire de la rhtorique de l'Antiquit la rhtorique electronique) Pagina personale di Fumaroli al College de France: Pagina personale (e biografia) di Fumaroli all'Acadmie Franaise Torna al sommario del numero di novembre
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/fumaroli.htm (4 of 4) [09/11/2005 22.22.23] Legrenzi, Paolo, Prima lezione di scienze cognitive Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Legrenzi Paolo, Prima lezione di scienze cognitive. Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 164, Euro 9,00, ISBN 88-420-6574-9 Recensione di Yuri Gori - 23/06/2002 filosofia della mente, psicologia (psicologia dei processi cognitivi) Indice - L'autore - Links Le scienze cognitive sono un gruppo di discipline che hanno come scopo lo studio delle capacit cognitive delle menti naturali o artificiali, della possibilit di trasmettere questo sapere agli altri e di averne consapevolezza. La scienza cognitiva invece una specifica materia, tra le scienze cognitive, che spiega i modi in cui menti naturali o artificiali filtrano e colgono informazioni percettive, le rielaborano e riescono a intraprendere delle decisioni in base alle circostanze esperite, tanto da "reagire" al mondo esterno anche elaborando degli artefatti. Le scienze cognitive sono la sintesi dei risultati apportati dall'antropologia, la logica, la filosofia, la psicologia, la linguistica, e le neuroscienze, nel loro studio delle facolt mentali. Esse nascono circa trent'anni fa grazie al confluire dei risultati di pi discipline e hanno un carattere interdisciplinare e trasversale. Fu Chomsky che in campo linguistico aument la comprensione dei rapporti tra coscienza e razionalit modificando la nozione freudiana del rapporto tra conscio e inconscio. Quest'ultimo non ha solo una natura emozionale, ma anche cognitiva, poich il risultato delle esperienze cognitive, e la presa di coscienza di esse, sono il risultato di processi automatici e inconsapevoli, cosicch la razionalit umana non possiede gli assunti della razionalit che governa i prodotti scientifici umani - in realt entit distaccate dalla mente - bens un funzionamento creatosi in base ad un'evoluzione che ha cercato di ovviare ai limiti intellettivi. Prima dell'avvento delle scienze cognitive, l'uomo era considerato la derivazione naturale dell'ambiente formato da sovrastrutture culturale e sociali, con tutte le categorie logiche che esse imporrebbero. Attualmente hanno invece acquisito importanza i canali cognitivi mentali, considerati naturali e validi universalmente e vincolanti. Queste tesi sono distanti dal pensiero di Foucault, per il quale sono le pratiche umane (economia, tecnologia, politica e sociologia) a influenzare la visione umana del mondo, in tal modo modificabile in base all'evoluzione di queste. Fu con la conferenza tenutasi a La Jolla nel 1978 che nacquero le scienze cognitive e il superamento della posizione di Foucault. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/legrenzi.htm (1 of 7) [09/11/2005 22.22.24] Legrenzi, Paolo, Prima lezione di scienze cognitive Per Legrenzi, in questi ultimi anni possibile assistere ad una svolta epocale, per cui l'essere umano acquisterebbe una dignit maggiore che nel passato, quando venivano negate le sue doti innate, a causa de prevalere delle utopie sociali del "comportamentismo" americano e della psicologia sovietica di Pavlov. risorto lo stupore per la natura umana, per la sua indeterminatezza, per la sua vera natura, descritta efficacemente dal Cartesio delle "Meditazioni sulla prima filosofia", nelle quali il filosofo francese nega addirittura che possano esserci degli indizi che provino alla coscienza la condizione del sogno o della veglia, evidenziando cos tutto il mistero della cognizione dell'essere e della coscienza, che non pu essere predeterminata. L'uomo non viene studiato inserito in un contesto storico, ma in un contesto naturale. Le facolt che possiede sono state difatti strutturate geneticamente grazie al suo percorso evolutivo. Viene comunque abbandonata la visione del positivismo per dimostrare come l'uomo non sia altro che uno dei possibili esiti della storia naturale. Per capire la prassi epistemica dell'uomo bisogna basarsi sul metodo chiamato reverse engineering, il principio fondamentale da cui partono le scienze cognitive, al fine di elaborare il progetto sul quale si basa il funzionamento della mente per poi poterla simulare. La difficolt sta nel fatto che, in generale, ogni risultato di un processo evolutivo ed ogni artefatto pu avere avuto origine in molti modi. Legrenzi chiama questo genere di difficolt problemi mal definiti, e le scienze cognitive hanno lo scopo di ovviarli. Un esempio per spiegare gli ostacoli a cui si va incontro affrontando un reverse engineering pu essere questo (cfr. pp. 20 sgg.): dato il numero 4, e sapendo che esso il risultato di una somma, quali addendi sono stati utilizzati? La soluzione al quesito non una. Cos anche l'uomo il risultato di un percorso molto pi complesso e sono poche le informazioni necessarie cos da simulare i suoi aspetti peculiari. Le scienze cognitive si avvalgono della sperimentazione e della simulazione. Sperimentando infatti ci si accorge di come il funzionamento della mente per il calcolo dell'addizione non segua effettivamente la legge della matematica. In teoria, l'ordine degli addendi non modifica il risultato, ma se dovessimo calcolare la somma di un numero piccolo come 7, e di uno grande come 1947, ci troveremmo pi agevolmente sommando il primo al secondo: 1947+7 (cfr. p. 22). Questo un esempio di come funzioni la mente, ma quanto deve essere grande o piccolo un numero perch lo si consideri tale? Tentando di ricostruire un reverse engineering le scienze cognitive cercano di escludere i modelli falsi pi che scoprirne di veri e sicuri. Un metodo che si rivela anche per la comprensione delle opere d'arte e delle lingue morte. I modelli cognitivi differiscono dai modelli fisici o matematici. Nel caso dell'arte, ad esempio, il modello fisico non corrisponde alla scelta percettiva che intraprende il nostro sistema visivo. Il che dimostra come le nostre rappresentazioni non siano della copie del mondo esterno, bens una interpretazione, una elaborazione determinante le gerarchie degli oggetti e degli eventi, che prescinde dalla nostra volont, coscienza e conoscenza acquisita. La nostra cognizione della realt dunque incentrata sul funzionamento di moduli presenti in precise basi neurofisiologiche, che sottostanno ad una universale grammatica percettiva, presente allo stesso modo nel primate, nel bambino e nell'adulto. Non sono dunque influenti categorie quali la cultura o l'educazione, che agiscono http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/legrenzi.htm (2 of 7) [09/11/2005 22.22.24] Legrenzi, Paolo, Prima lezione di scienze cognitive invece su di un piano pi propriamente emozionale. I moduli cognitivi sono componenti che agiscono sempre allo stesso modo e sono avulsi da un contesto culturale e sociale, anzi probabilmente anche in contrasto con esso, ma ad ogni modo subordinati ad esso. Fu il premio Nobel per l'economia Herbert Simon, uno dei pionieri delle scienze cognitive, a dimostrare l'importanza della decomposizione in moduli dei sistemi cognitivi, e di come questi siano organizzati assieme, ma separati in base ad una divisione del lavoro. Questi moduli per hanno un limite di decomposizione, alcuni elementi cognitivi se non agiscono in relazione ad altri perdono la loro efficacia. La difficolt nell'affrontare un reverse engineering sta nel dover necessariamente tentare un salto cognitivo, dal momento che per le scienze cognitive c' coincidenza tra mezzo e oggetto dello studio. Grazie alla decomposizione, Simon elabor la differenza tra razionalit olimpica e razionalit vincolata. La prima non appartiene all'uomo, ma egli pu riuscire a comprenderla in maniera sperimentale con la sua razionalit vincolata, cio con le sue facolt cognitive limitate, che lo obbligano a rappresentarsi modelli semplificati della realt. Ci significa che l'uomo non pu elaborare mentalmente una visione olistica del mondo ma solo frammenti della stessa. L'analisi della mente, le facolt cognitive ad essa collegate, e la progettazione di una sua simulazione fanno capo alla nozione di modello, che riassumerebbe le parti essenziali di una realt pi complessa, permettendo la costruzione di un prototipo. Il prototipo il mezzo con cui le scienze cognitive possono sviluppare tutte le possibili sperimentazioni, al fine di trovare un modello del funzionamento della mente che rispecchi la realt. Modello e prototipo dunque sono collegati e si modificano a vicenda in base ai risultati delle sperimentazioni. Legrenzi comunque fa notare che ci sono asimmetrie tra modello e prototipo, anche se c' tra i due isomorfismo. Un modello di fatti ha la caratteristica di permettere l'interpretazione della realt, e di evocare in maniera biunivoca un prototipo. L'atto dell'interpretare si accompagna alla ri-categorizzazione, come succede del resto nelle creazioni artistiche contemporanee tra le quali ci sono esempi di prototipi che rinviano a modelli diversi da quelli di partenza. L'uomo ha ereditato il sistema cognitivo dei primi homo sapiens, risultato di un'evoluzione durata migliaia di anni. Esso quindi un adattamento ad un contesto ambientale naturale privo delle modifiche apportate dagli artefatti umani da cui siamo attualmente circondati. La nostra struttura cognitiva la medesima ma stata riempita da altri significati. Legrenzi considera primario l'imperativo dello "stai attento a...", che stato ereditato da un sistema di vita passato, valido anche attualmente, basato sulla necessit di accorgersi in tempo dei pericoli di cui un ambiente primitivo poteva essere ricco. Questo imperativo inconsapevole e automatico, e agisce come filtro della nostra attenzione visiva, selezionando ci che per lo scopo della sopravvivenza pi o meno importante. Nella visione c' infatti una focalizzazione pre-attentiva (cfr. p. 75) su certi aspetti della realt a discapito di altri, che pu essere altres modificata dopo una corretta analisi. I filtri visivi connaturati sono stati ampiamente sfruttati dagli artisti di tutti i tempi. Nel libro ad esempio viene fatto notare come le strutture pre-attentive possano esserci come nella Creazione di Adamo di Michelangelo, o non esserci affatto come in Rumore tra l'erba di Jackson Pollock. Un dilemma, che le scienze cognitive hanno ereditato dalla filosofia, quello del riconoscimento. In che modo possibile acquisire un concetto a partire dall'esperienza se esso non in http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/legrenzi.htm (3 of 7) [09/11/2005 22.22.24] Legrenzi, Paolo, Prima lezione di scienze cognitive qualche modo gi presente, anche platonicamente, nella mente? Un concetto difatti si trova nella realt disperso in vari oggetti e sotto diversi aspetti pi o meno riconoscibili. L'empirismo risolse la questione introducendo la generalizzazione come la capacit di trovare qualcosa in comune in vari esemplari esperiti, cos da ipotizzare la natura irriducibile del concetto. Legrenzi, non condividendo questa teoria, anche senza risolvere il problema della questione della genesi del concetto, ma solo quello della cognizione, afferma come esso possa anche essere un composto di parti invarianti, al di l di ogni attribuzione accidentale, cos da essere riconosciuto. Il riconoscimento opera grazie alle conoscenze acquisite e deriva da una interpretazione di ci che viene percepito, anche quando l'oggetto offre informazioni degradate. La visione della realt comunque pi importante della sua interpretazione, quest'ultima svolge un ruolo solo dopo che l'immagine si sia organizzata gi al livello pre-attentivo. La simulazione della visione molto complessa da progettare. I due studiosi di scienze cognitive Hulbert e Poggio arrivarono, grazie ai loro studi pionieristici, alla conclusione che la visione un sistema intelligente talmente importante e complesso da utilizzare il 50% della corteccia cerebrale. Essa pi complessa da simulare di un'intelligenza artificiale che possa battere un campione in una partita a scacchi. Il meccanismo della visione composto da diversi fattori, sui quali possibile scoprire qualcosa studiando i danni cerebrali che comportano una visione diversa da quella della norma. Le facolt cognitive, come la visione, sono composte da moduli distinti che creano l'illusione di una percezione immediata e semplice. Il sistema cognitivo della visione si pu riscontrare anche nella segmentazione del discorso in unit linguistiche. Un esperimento ideato e condotto nel 1965 da Genett, Bauer e Fodor ha dimostrato come la stessa semplice "grammatica" regoli il funzionamento della percezione acustica e di quella visiva. Un ruolo determinante infatti lo ricopre la compresenza e la dialettica che deriva tra due entit: una figura e il suo sfondo, che permette il discernimento della realt in oggetti. In generale vari processi mentali agiscono in questo modo come del resto la decisone. Un soggetto elabora decisioni diverse se gli viene chiesto di scegliere tra due alternative, o se gli viene chiesto di optare per una cosa o meno. Nel primo caso operer un confronto tra due alternative, nel secondo non considerer immediatamente la possibilit di scegliere delle alternative, perch queste rimarranno su uno sfondo raggiungibile solo successivamente dalla sua considerazione. Nella cognizione umana agiscono dunque dei filtri che hanno il compito di evitare un sovraccarico di informazioni. Un filtro importante quello della MBT (memoria a breve termine). La memorizzazione di un'informazione infatti direttamente nella MLT (memoria a lungo termine). La MBT solo grazie alla ripetizione dei dati ricevuti permette il passaggio alla MLT. I due tipi di memoria agiscono in parti distinte della corteccia cerebrale. Le ricerche neuropsicologiche di Milner nel 1966 hanno dimostrato come un paziente da lui studiato, avendo subito una perdita irreversibile della MLT, riuscisse normalmente a ricordare serie di cifre come numeri telefonici ecc. I limiti delle nostre menti e dei i filtri a questi collegati sono stati resi meno efficaci dalle cosiddette protesi cognitive tra cui Internet, i vari media, e i computer. L'avvento del computer ha reso possibile gli interrogativi a cui le scienze cognitive cercano di rispondere, e cio se sia possibile la simulazione dell'intelligenza. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/legrenzi.htm (4 of 7) [09/11/2005 22.22.24] Legrenzi, Paolo, Prima lezione di scienze cognitive Un altro filtro rappresentato dall'elaborazione successiva alla memorizzazione dei dati appresi, chiamata sin dai logici medioevali modus ponens. Data la seguente informazione: se c' un asso allora c' un re (cfr. pp. 114-115), pi facile inferire che la presenza di un asso comporta anche la presenza di un re, mentre non viene presa in considerazione l'inferenza simmetrica (modus tollens), che considera in base all'assenza di un re l'assenza di un asso, anche perch l'attenzione si concentra necessariamente su ci che vero tralasciando invece un'informazione quale: falso che se c' un re, ci sia un asso. Tutto ci causato dal filtro chiamato principio di verit, che vincola la mente verso la considerazione di ci che risulta vero piuttosto di ci che falso, un principio simile all'articolazione figura-sfondo: ci che vero in primo piano rispetto a ci che falso. Il principio di verit serve a limitare le informazioni di cui la MBT si deve far carico. 1) Se nella mano c' un asso, allora c' un 2 2) Se nella mano c' un re, allora c' un 2 (cfr. p. 116) 3) una delle due affermazioni falsa Consideriamo che sia falsa la seconda. Per risolvere la questione basta non considerare le due frasi come postulati ma come conseguenze, infatti se l'affermazione "se c' un re, allora c' un 2" falsa, allora nella mano di carte non ci sar sicuramente un 2, come viene da pensare, ma solo nel caso che ci sia un asso, e nulla toglie invece che ci sia solo un re. Cos l'inconscio cognitivo si manifesta grazie alle sue rappresentazioni incomplete. Il principio di verit inoltre fondamentale soprattutto per quanto riguarda le decisioni di qualunque natura esse siano. Nel capitolo VIII, Legrenzi spiega in che modo le scienze cognitive possano venire utilizzate per lo studio sociologico e politologico grazie alla "teoria dei giochi" ideata negli anni Quaranta del secolo scorso da Morgenstern e da von Neumann. Con il "dilemma del prigioniero" possibile studiare il limite della razionalit umana, che di fronte a rappresentazioni incomplete della realt subisce dei vincoli per quanto riguarda la libert di scelta. Questo tipo di gioco possiede una struttura generale tale da essere applicata ai rapporti tra gli stati, cos da poter prevedere gli sviluppi futuri degli accordi internazionali in bilico tra defezione e cooperazione, che si non esauriscono con poche mosse, ma si proiettano sempre a lungo termine. Cooperazione e defezione infatti portano vantaggi e svantaggi per entrambi i personaggi (individuali e sovraindividuali) posti di fronte a scelte che permettono un guadagno pi o meno consistente a decisione fatta. Con questi problemi, il cui studio ancora da portare avanti, si conclude il saggio di Legrenzi, concentrato sulla divulgazione delle questioni aperte circa il funzionamento dell'intelligenza e la possibilit di simularla. Merito delle scienze cognitive comunque quello di aver riconosciuto almeno i meccanismi della cognizione e della elaborazione al livello intellettivo, cos da fornire un campo di indagine appropriato. Le questioni ancora da risolvere sono ancora molte, tuttavia sono stati individuati quei processi che, ricostruiti con la progettazione alla rovescia, possono spiegare il funzionamento della mente, considerando anche tutte le difficolt che questo sistema comporta. La sfida delle scienze cognitive infatti quella di ripercorrere a ritroso le migliaia d'anni di evoluzione, che possano spiegare le strutture percettive dell'uomo e la sua capacit intellettive, e il perch queste caratteristiche siano tali e non altre e diverse. Indice http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/legrenzi.htm (5 of 7) [09/11/2005 22.22.24] Legrenzi, Paolo, Prima lezione di scienze cognitive Premessa I La nascita delle scienze cognitive II Progettazione alla rovescia III Decomposizione e soluzione dei problemi IV Modelli visivi V Muoversi nel mondo VI Dalla visione alla memoria VII Linguaggio e pensiero VIII Scienze cognitive e societ Conclusioni Riferimenti e approfondimenti bibliografici L'autore Paolo Legrenzi (Venezia, 1942) insegna Psicologia cognitiva presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Recentemente ha pubblicato Come funziona la mente (2001) e Psicologia cognitiva applicata (2001). Links Home page di riviste: Cognition Cognitive Psychology Consciousness and Cognition Sistemi intelligenti Torna al sommario del numero di novembre http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/legrenzi.htm (6 of 7) [09/11/2005 22.22.24] Legrenzi, Paolo, Prima lezione di scienze cognitive
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/legrenzi.htm (7 of 7) [09/11/2005 22.22.24] Mecacci, Andrea, Holderlin e i greci Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Mecacci, Andrea, Hlderlin e i greci. Bologna, Pendragon, 2002, pp. 194, Euro 14,00, ISBN 88-8342-126-4. Recensione di Yuri Gori - 12/10/2002 estetica (critica letteraria) Indice - L'autore Il rapporto di Hlderlin col mondo greco prefigura il rapporto della modernit col suo passato. Durante la Goethezeit, la Grecia costituiva il tema centrale atto a far sorgere l'autocoscienza del popolo tedesco. La modernit veniva considerata in una prospettiva di continuit rispetto a un passato mitico e ideale, ma era anche percepita come qualcosa di radicalmente diverso da esso, in una dialettica che doveva definire la sua identit. La posizione di Winckelmann, per esempio, indirizza verso l'imitazione dell'arte greca, che ha come conseguenza la mimesis dell'archetipo umano, dell'idealit, delle dinamiche profonde dell'esistenza. Per Schiller la Grecia una Urheimat - luogo di incontro tra etica ed estetica -, mentre nella modernit viene a mancare la Natrlichkeit antica a tutto vantaggio della Knstlichkeit moderna. Con ber das Studium der Griechischen di Schelgel, invece, viene a delinearsi un concetto critico di grecit, prodromo del Romanticismo. Schlegel contrappone il bello particolare e relativo del moderno (caos) al bello assoluto della Grecia (kosmos). In ogni caso, le varie posizioni ritengono sia necessario un ripensamento della grecit, anche secondo diverse modalit, al fine di rendere possibile il pensare moderno. Anche Hlderlin - dopo la dissertazione, profondamente debitrice della teorie di Winckelmann, discussa allo Stift di Tubinga nel 1790 per il titolo di magister -, in Der Gesichtspunct aus dem wir das Alterum anzusehen haben e poi nell'Iperione comincia a considerare di primaria importanza la dialettica affinit/opposizione che si instaura tra antico e moderno. Nell'Iperione, il platonismo entra in crisi rispetto alla modernit, mentre il pensiero di Eraclito il solo in grado di spiegare e descrivere la realt fondata sull'armonia/opposizione tra logos e poiesis. Da ci deriva la tematica della differenza nella pluralit, inserita nella categoria dell'armonicamente-opposto, la quale conduce Hlderlin a intraprendere l'indagine sulla frattura e sulla continuit tra la speculazione teoretica e la prassi poetica dell'individuo immerso nell'infinito molteplice. Per Hlderlin, la poesia un modo di conciliare lo spirito e la materia costituenti il mondo, e la soggettivit e il linguaggio costituenti l'uomo: il poeta si pone nel divenire universale cos da comprenderlo e negarlo. La poesia concilia l'uomo greco con la sua storia, conferendogli identit. L'Iliade, ad esempio, l'effetto dell'incontro tra divino, eroicit, identit nazionale e individualit. Di fronte a questo passato archetipico, l'uomo moderno si trova in una posizione di smarrimento, e il modo per uscirne consiste nella http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/mecacci.htm (1 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Mecacci, Andrea, Holderlin e i greci definizione di poiesis, essendo questa l'impulso formativo, comune ad ogni tempo, il quale pu di volta in volta avere diversi fini particolari. La poiesis ci che accomuna l'uomo e la storia, il divenire presente assunto come ponte tra traditio e inventio. Lo sfondo ontologico, derivante dalla filosofia platonica e ancora presente nell'Iperione, si ridimensiona in seguito alla riscoperta della grecit arcaica veicolata da Eraclito. L'"esistenzialismo" di Iperione si fonda sulla consapevolezza del divenire costante della pluralit universale, avvertita a livello soggettivo e manifesta anche nell'alternanza degli stati d'animo. Anche il soggetto, dunque, un divenire. L'n kai pn costituisce la struttura irriducibile della realt: nella molteplicit il soggetto avverte la sua perdita esistenziale, ma anche l'impulso entusiastico ed estetico che lo riconduce all'essere. nell'enthousasis che sorge la coscienza, e dove l'uomo si smarrisce nel mondo, e il mondo nell'uomo. Questo processo veicolato dall'atto estetico che conduce alla bellezza, un atto che secondo Hlderlin compiuto dalla ragione "per comprendere la totalit delle idee" (p. 37), cos da avere esperienza del sovraceleste (tn hyperournion: cfr. p. 38). Cos Hlderlin interpreta l'anamnesi, in cui la memoria funge da impulso per il divenire futuro. Il soggetto si pone in una modalit di incontro-scontro con il passato, il suo stesso divenire caratterizzato dal perenne plemos eracliteo. Quest'ultimo rappresenta la categoria che permette alla mente umana di concepire il contrasto, altrimenti inconciliabile, tra molteplicit e unit: la frammentariet dell'universale nel particolare viene a riassumersi, concordandosi, nel tema del contrasto, che per Hlderlin va associato alla bellezza. Harmona e plemos eraclitei sono le categorie mitiche riconducibili all'Afrodite e all'Ares omerici. Religione e poiesis sono teofanie che costituiscono l'arch indagata dai Presocratici, e le divinit olimpiche rappresentano il loro punto di incontro: oggettivazione dell'intuizione intellettuale. n kai Pn, cio en diapheron auto: l'uno scisso in s stesso. La bellezza, per il greco, la dialettica del molteplice nel mondo olimpico e nella polis. Lo spirito ritrova s stesso solo nell'alterit della molteplicit delle forme infinite, in quattro momenti costituiti da spirito, materia, soggettivit e linguaggio. Lo spirito si fa materia in quanto diviene metafora, trovando cos la sua condizione mimetica. Per Hlderlin, la poesia la capacit di descrivere questo processo grazie alla figuralit, cos come avviene nel logos di Eraclito: mediante la poesia possibile trasferire la possibilit, che costituisce lo spirito, nella realt costituita dalla materia. Di fronte all'oggettivit della materia, l'io poetico si trova in una opposizione- armonica, definita da Hlderlin "sensazione trascendentale" (cit. a p. 61). Tale dialettica in fieri e costituisce quel divenire ritmico del quale la poesia mimesis. L'io accoglie in s questa scissione esistenziale ed "centripeto nel suo essere riflettente e centrifugo nell'essere ci su cui si riflette" (pp. 68-69). Sulla scorta di Eraclito, Hlderlin concilia essere e divenire. La poesia descrizione del divenire dell'essere, delle molteplici possibilit ontologiche che divengono realt evenemenziali. Le visioni eraclitea e idealistica dell'essere appaiono del tutto simili, ma dobbiamo interrogarci su quale rapporto esse intrattengano. La domanda la seguente: la teoria di Eraclito fonte e origine di quella hderliniana, o piuttosto un'auctoritas grazie alla quale possibile trovare conferma di idee originali? Il soggetto poetico, nell'incontro tra reale e ideale, sperimenta la pluralit delle possibilit, cosicch la sua visione non permane particolare e frammentata bens olistica. Il poeta descrive il passaggio dall'aorgico all'organico, dallo spirito alla materia: egli dunque testimone della fenomenologia dello spirito, colui che descrive la materialit del particolare. Come abbiamo detto, la metafora a rendere oggettivo il passaggio dall'ideale al reale, ed essa trova la http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/mecacci.htm (2 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Mecacci, Andrea, Holderlin e i greci sua migliore forma espressiva nella rappresentazione tragica in quanto luogo in cui confluiscono frammenti di reale, varie posizioni nei confronti del mondo, pi d'una mente. Nell'Odissea possibile rinvenire un esempio dell'idea hlderliniana secondo la quale la natura dell'essere consiste nel divenire. Ulisse l'eroe multiforme (polytropos) che appare amante di Calipso, antagonista di Polifemo, esploratore, narratore, vendicatore e marito. Egli subisce persino metamorfosi per celare la sua identit. "Ci ripetiamo allora che nessun uomo nella sua vita esteriore pu essere ogni cosa nello stesso tempo, che per avere un'esistenza e una coscienza nel mondo necessario determinarsi per qualche cosa, e che sono poi l'inclinazione e le circostanze ci che in definitiva determinano l'uno verso una certa singolarit, l'altro verso un'altra" (H. cit. a p. 103). E ancora: "Poniti con libera scelta in opposizione armonica con una sfera esterna, cos come sei per natura in armonica opposizione con te stesso, ma lo sei in modo inconoscibile finch resti in te stesso"(cit. a p. 104). Entra cos in gioco il tema della scelta tra le varie possibilit ipotetiche - scelta compiuta dall'aristotelico intelletto desiderante o desiderio ragionante (cit a p. 104; cfr. Etica Nicomachea, VI, 2). Il pensiero hlderliniano si compir con la traduzioni delle tragedie di Sofocle, e con la riflessione teorica su di esse e sul genere tragico in generale. Gi nel Grund zum Empedokles Hlderlin aveva affrontato l'indagine sulle dinamiche profonde del divenire storico, sino a mettere in parallelo aorgico e organico con physis e tchne. L'aorgico rappresenta il caos primordiale del possibile, l'oscurit dell'abisso cosmogonico; l'organico, invece, il regno della logica umana, della struttura poetica del reale, ed contrapposto al primo. Questi due fattori della tragedia si mediano nella cesura che denota a sua volta le varie manifestazioni dell'essere, scisse e contrastanti ma al contempo interagenti. Traducendo Sofocle, Hlderlin evidenzia ancora questa particolarit del contrasto ponendo a confronto/scontro la lingua tedesca con il greco antico. Le traduzioni di Hlderlin non sono fedeli: in questo modo, il poeta tenta di sviscerare il testo greco per giungere alle profondit dei suoi significati, percorrendo le fughe prospettiche che questo gli presentava. Hlderlin abbandona l'idea della classicit per indagare un mondo pre-classico, asiatico, dionisiaco. Dioniso l'incarnazione del tragico, la figura del mondo ctonio, che muore e rinasce nel perenne divenire dell'essere. La teofania diviene l'emblema dell'incarnazione dello spirito nella materia e, allo stesso tempo, della scissione. Dioniso la "divinit che apre arcaicamente il mondo antico e che, tuttavia, ne annuncia la fine, prefigurando nei suoi stessi simboli l'avvento del cristianesimo" (p. 144). Anche il personaggio tragico si immola e vive la doppia condizione che oscilla tra l'essere e il non essere, e che trova un equilibrio nell'istante della mimesis. Ogni personaggio un paradosso, un ossimoro che rende evidente le contraddizioni universali, metonimia e metafora di una pi generale frammentazione. Per Hlderlin, le tragedie sono concerti di molteplici dxai platoniche tra loro inconciliabili. Con la morte dell'eroe tragico, invece, si afferma l'aorgico e la dispersione nel nulla immateriale. La tragedia intesa aristotelicamente da Hlderlin come diletto intellettuale: in essa vengono imitati il divenire, le regole della vita mutevole sia fisica che psichica. Ogni scena, ogni azione e ogni atto sono in successione costante. Con il sacrificio rituale dell'eroe avviene la cesura hlderliniana, l'entrata del possibile nel reale. La cesura l'interruzione del ritmo evenemenziale, il baratro che si apre sul nulla indefinito delle possibilit infinite. In questo caso non agisce la metafora, ma la metbasis e la metabol: il rovesciamento che compie il destino di Edipo, che gli permette di riconoscere, di passare dal non sapere al sapere (anagnrisis). La peripteia una modalit cognitiva dell'uomo che solo cos pu http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/mecacci.htm (3 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Mecacci, Andrea, Holderlin e i greci giungere alla conoscenza: "[...] Nella condizione tra essere e non essere il possibile diviene ovunque reale e il reale ideale: questo nella libera imitazione artistica un sogno terribile e insieme divino" (cit. a p. 153). questa la visione della Grecia che Hlderlin veicoler alle successive generazioni di filosofi e scrittori tedeschi. Una Grecia arcaica, orientale, frantumata nelle singole e titaniche posizioni politiche ed esistenziali di ogni uomo - dove la logica, la filosofia, la poesia e le arti appaiono argini per controllare un oscuro e anarchico sfondo esistenziale. Indice Introduzione Capitolo primo. Metamorphosis. Tra classicit e modernit. 1.1 Hellas: topografia di un'idea; 1.2 Griechenland: "approssimazione infinita" Capitolo secondo. Diaphora. Pensare le parole. 2.1 Lo spirito poetico; 2.2 La materia poetica; 2.3 La soggettivit poetica Capitolo terzo. Kairos. Dire i pensieri. 3.1 Il linguaggio poetico; 3.2 Pindaro: parole come specchi Capitolo quarto. Metaphrasis. Il terzo linguaggio. 4.1 Il tragico (a. Empedocle; b. Le note a Sofocle: Aristotele, l'assenza presente); 4.2 La tragedia (a. Dentro l'io: Edipo; b. Oltre il mito: Antigone) L'autore Andrea Mecacci ricercatore in Filosofia presso l'Universit di Genova. Curatore dell'edizione italiana di E. Cassirer, Hlderlin e l'idealismo tedesco (Donzelli, 2000), e dell'antologia poetica di E. Meister, Il respiro delle pietre (Donzelli, 2000). Autore di saggi su Hlderlin e la poesia tedesca, ha contribuito al volume a cura di P. Montani, Antigone e la filosofia (Donzelli, 2001).
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http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/mecacci.htm (4 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Mecacci, Andrea, Holderlin e i greci Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/mecacci.htm (5 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Melchiorre, Virgilio, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Melchiorre, Virgilio, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica. Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 337, euro 24,80, ISBN 8834307399. Recensione di Francesco Armezzani 1/8/2002 filosofia teoretica (ontologia), (ermeneutica), filosofia della religione Indice - L'autore L'ultimo scritto di Virgilio Melchiorre, denso e ricco di articolate e complesse ricostruzioni teoretiche, raccoglie una serie di saggi scritti per interventi dislocati nello spazio temporale, che va dalla pubblicazione della sua opera recente pi importante La via analogica (1996) fino ad oggi. In conclusione, un' Appendice corposa e ricca di stimolanti riflessioni in forma di 'obiezioni e risposte', in cui cinque filosofi di diversa provenienza e formazione intervengono sempre sulla Via analogica; ad uno di questi, Francesco Moiso, scomparso mentre il libro era in fase di stampa, Melchiorre dedica un tributo di affetto e stima, in conclusione della breve Prefazione. I diversi saggi possono essere letti autonomamente, come testi a s stanti, ma non difficile trovare in essi un elemento comune di riflessione e tematizzazione: l'analogia, la metafora e il simbolo come elementi fondanti dell'interrogazione filosofica. Nella prima parte del testo viene posto l'accento sul risultato aperto dal cogito cartesiano e dal percorso trascendentale (Kant - Husserl) che da l si dipana: se infatti "il pensiero non che pensiero dell'essere, l'essere ha nel pensiero la intrascendibile condizione di possibilit per il suo manifestarsi" (p. 16). La negazione di una qualsiasi metafisica possibile futura di kantiana memoria viene quindi affrontata dal versante noetico per verificare se la insopprimibile tensione dell'uomo a trascendere la propria sfera sia un riflesso condizionato della nostra mente o se, invece, sia una necessit immanente alla nostra stessa vita di coscienza. Nella percezione esterna o, meglio, nella ricostruzione che ne fa la fenomenologia, Melchiorre individua la via d'uscita dal dilemma: infatti la percezione si svolge per adombramenti (le Abschattungen husserliane) per cui di volta un oggetto mostra solo una parte di s celando le altre. L'oggetto della percezione trascende il dato immanente che pure lo costituisce; solo l'intenzione che mira alla cosa in s, d unit alle rappresentazioni parziali dell'oggetto. Questa intelaiatura husserliana descritta al livello delle sintesi passive rappresenta per Melchiorre, in nuce, la struttura stessa del problema ontologico: se infatti dal punto di vista gnoseologico non possiamo che pervenire ad una conoscenza problematica della cosa costituita sui dati immanenti di coscienza, da un punto di vista logico-ontologico secondo Melchiorre l'incondizionato, il trascendente, si emancipa dai suoi costituenti e per cos dire li "fonda", li rende possibili. In questo senso Melchiorre afferma che il condizionato partecipa dell'incondizionato, http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/melchiorre.htm (1 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Melchiorre, Virgilio, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica anche se resta irrisolto il come di questa partecipazione o, in altri modi, il dire questo essere che non si d mai nel suo perenne adombrarsi. Leggendo Aristotele Melchiorre affianca al discorso apofantico il discorso metaforico: la connessione dei termini nel giudizio rimanda alle loro rappresentazioni, come insegna Husserl nelle ricerche antepredicative. Il giudizio esprime solo una diversa qualit espositiva, a fronte di un'identit materiale condivisa con la rappresentazione. L'essere insieme di soggetto e predicato nel giudizio non d luogo ad un'identit, ma ad una medesimezza, termine che Melchiorre riprende da Heidegger. L'essere del soggetto e del predicato diventano uno in maniera non assoluta, consaputa (come contenuti di coscienza), bens in maniera metaforica, secondo un dire (leghein), che per Melchiorre rivela la sua struttura pi originaria nel senso di Eraclito, quando afferma "non a me, ma dando ascolto al logos saggio convenire che tutto uno" (p. 69). Se la metafora, con cui attribuiamo ad un nome un significato diverso e trasgressivo rispetto al suo uso normale, ancora, come in effetti , un dire, allora forse essa non "corrisponde in definitiva ad una trasgressivit propria dell'essere ed insieme ad una parentela che, al di l delle differenze, entro alle differenze, attraversa la profondit stessa del reale?" (p. 75). Dalla metafora all'analogia, non in senso orizzontale, ontico o, per dirla con Maestro Eckhart vespertino, bens verticale, mattutino. La metafora nel primo caso una traslazione del nome, nel secondo una 'trasgressione'. L'analogia dunque non va pi intesa, come anche in Kant, come una proporzione tra qualit pensate a partire dall'ente. Melchiorre, di contro, recupera la dimensione analogica ascensiva 'verso l'uno' e, in questo percorso, il dire del leghein greco di Eraclito viene espresso intatto solo nella parola poetica o nel racconto biblico. L'ultimo saggio della prima parte prende di nuovo le mosse da Husserl e dal tema del mondo come orizzonte che fa da sfondo ad ogni nostra possibile esperienza, ogni nostro possibile Erlebnis. Mondo quindi non come ente che raccoglie e racchiude in s tutti gli enti, ma come sfondo d'essere di ogni ente. Questo per Melchiorre uno sfondo essenzialmente metafisico. L'essere del mondo annunciato in ogni esperienza, ma non mai nessuna esperienza. Analizzando la natura di questo legame tra ente e mondo, Melchiorre cita il Gorgia platonico: "[...]il pi bello dei legami quello che di se stesso e delle cose legate fa una sola cosa in grado supremo. E questo per sua natura nel modo pi bello compie la proporzione (analoghia)" (Gorg. 507e - 508a) (p.96). Il problema di ogni metafisica consiste proprio nell'essenza di ci verso cui l'analogia rimanda: siamo in presenza di una presenza 'virtuale' come dice Kant, che, ancora una volta appartiene pi propriamente al dire poetico. Resta, ovviamente, come dato problematico l'indeterminatezza del dire, la mancata risposta al ti sti socratico. Melchiorre chiama in aiuto la dialettica e l'ermeneutica per uscire dall'impasse di un dire cos poco definitorio. Gi nell'antichit, la scoperta dell'irrazionale v2 aveva di fatto mostrato come il linguaggio matematico non fosse in grado di risolvere il problema dell'incommensurabile se non attraverso un numero diverso da tutti gli altri, per l'appunto irrazionale. Il passaggio decisivo dall'irrazionale all'analogico, dall'aloghos all'analoghos. Nell'analogia c' una duplice relazione dialettica con l'intelligere, che Melchiorre individua nella dialettica platonica dell'identico e del diverso. "Queste due ricchezze possono in realt vincere i propri limiti solo rinviando l'una all'altra, con un esercizio dialettico che a tempi alterni batte una volta pi dalla parte del Diverso e altra volta pi dalla parte dell'Identico, ma sempre coniugando dai due lati il diverso con l'identico e l'identico con il diverso. Siamo al piano pi alto della coscienza analogica" (p. 126). Il saggio centrale e in qualche modo "decisivo" del libro probabilmente il primo dell'ultima parte (Tra http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/melchiorre.htm (2 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Melchiorre, Virgilio, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica fede cristiana e filosofia: una circolarit ermeneutica). In questo caso Melchiorre affronta il tema per cui la giustificazione della necessit della metafisica non si basa esclusivamente sulla necessit intrinseca alla ragione umana di porsi kantianamente una domanda sul senso, ma come la domanda sul senso guidi e strutturi di s l'intero percorso filosofico quanto quello religioso del cristianesimo. Partendo da un'affermazione di Ricoeur, per cui la storia ha una funzione essenzialmente ricompositiva, Melchiorre continua a citare il filosofo francese: "[...] la comprensione, anche la comprensione di un singolo atto nella vita quotidiana, non mai una intuizione diretta ma sempre una ricostruzione". La religione cristiana con il suo essere in maniera essenziale incentrata sull'evento storico, non fa altro che investire in maniera esplicita il tema gi kierkegaardiano del rapporto tra infinito e finito, temporalit e eterno. Come afferma Barth infatti, la visione corrente per cui Dio e la finitudine sarebbero concetti opposti va abbandonata: Dio sceglie di essere nell'evento, nel tempo e nel finito. Melchiorre ritiene che questo regressus barthiano dica qualcosa di fondamentale anche alla filosofia: il finito prende forma e viene all'essere dall'infinito, e questo infinito non va inteso come nulla, bens come essere. In questo senso l'evento segna un venire all'essere dall'essere. In questo modo si modifica radicalmente anche la concezione del niente. Se Heidegger vede l'esserci legato alla sua negativit originaria, Melchiorre gli contrappone il testo biblico di Qohelet, in cui si vede come il niente appartenga alla nostra esistenza, e in questo modo, partecipando di essa, sia in relazione con l'essere da cui quella proviene. Questa curvatura ebraica del pensiero non verrebbe accettata da Heidegger, ammette Melchiorre. "Qohelet sa che il niente o la vanit dell'esistente non ha alle sue spalle il nulla assoluto, sa - per esprimerci nei suoi termini - che quanto appare sotto il cielo dono che viene da Dio e che dunque dev'esserci un senso dell'insieme, ma ci non toglie che l'abisso in cui naufraga il pensiero dell'inizio e della fine si traduca in una irrisolta trascendenza del senso e quindi nell'angoscia del proprio niente" (p. 199). Cos nell'accettazione della vita e nella totale remissione in Dio misericordioso, l'universo mostra la sua armonia. Ancora una volta il gi citato testo di Eraclito viene utilizzato da Melchiorre per il ritorno all'unit originaria del logos; dalle contraddizioni e opposizioni delle apparenze e delle singole intuizioni si perviene all'unit originaria del divino. Alcune breve annotazioni finali sullo scambio di opinioni in Appendice tra Sini e Melchiorre e su due diversi modi di intendere la metafisica nel dibattito filosofico contemporaneo. Sini riconosce la legittimit di un campo metafisico di problemi o di domande, anzi ritiene che lasciarli inanalizzati, come fa la scienza moderna, finisca con il nuocere a tutti, in primis alla scienza stessa. Ma se legittima e necessaria la domanda metafisica, posta anche per fini dal senso metaforico del dire, non si capisce perch necessaria dovrebbe essere la risposta ontologica a questa domanda. Sini infatti preferisce parlare piuttosto che di relazione tra eventi o cose, di pratiche o processi. Pur accettando la metafisica come "[...] esercizio metafisico, consapevole dell'evento della sua pratica e bisognoso quindi di abitarla sempre di nuovo riscrivendone i limiti costitutivi", Sini la riconosce per solo come impegno 'etico' e non come un "[...] teorizzare assoluto sull'essere e il non-essere" (p. 290). Melchiorre risponde negando che per lui l'analogia finisca col porre una relazione di esistenza (sarebbe un ricadere ancora nell'errore smascherato da Heidegger, di riduzione dell'essere a ente). Ciononostante ribadisce come la relazione analogica possa essere una relazione tra cose, nel tentativo non di stabilire una certezza definitiva o chiusura trascendente, ma una possibilit etica e filosofica insieme. La necessit trascendentale della metafora, rivela una necessaria sporgenza ontologica, che non pu essere lasciata da parte: questo la ragione dell'impegno etico di Melchiorre. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/melchiorre.htm (3 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Melchiorre, Virgilio, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica Indice Indice Prefazione Parte prima: Modi del pensare - I. Metafisica del pensiero, metafisica dell'essere; II. Luoghi del senso: la verit fra vocazione e speranza; III. Metaforicit della copula; IV. La duplice via della metafora tra quotidianit e trascendenza; V. Io e mondo: un'analisi trascendentale. Parte seconda: Analogia, dialettica, ermeneutica - I. Dialettica e analogia; II. Ermeneutica del finito; III. Ermeneutica della temporalit. Parte terza: Filosofia e religione - I. Tra fede cristiana e filosofia: una circolarit ermeneutica; II. Struttura trascendentale della soggettivit: una ricognizione ermeneutica a partire dal "Qohelet; III. Il cristianesimo in Kierkegaard; IV. Il trascendentale religioso e la poetica dell'eterno nel pensiero di A.Caracciolo. Appendice: Un dibattito su "La via analogica" - Claudio Ciancio, Francesco Moiso, Ugo Perrone, Carlo Sini, Mario Ruggenini in dialogo con l'Autore; Riferimenti; Indice dei nomi L'autore Virgilio Melchiorre nato a Chieti nel 1931. Ha insegnato filosofia morale presso l'Universit di Firenze e presso la Cattolica di Milano, ove attualmente insegna Filosofia teoretica. Il suo ambito di ricerca in filosofia teoretica cerca di coniugare il metodo della fenomenologia trascendentale con i grandi temi della metafisica classica. Tra i suoi recenti scritti: Analogia e analisi trascendentale: Linee per una http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/melchiorre.htm (4 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Melchiorre, Virgilio, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica nuova lettura di Kant, Milano, 1991; La via analogica, Milano, 1996; Al di l dell'ultimo, Milano, 1998; Ethica, Genova, 2000.
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/melchiorre.htm (5 of 5) [09/11/2005 22.22.25] Morin, Edgar, Il metodo 5. L'identita' umana Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Morin, Edgar, Il metodo 5. L'identit umana. Milano, Raffaello Cortina Editore, 2002, pp. 291, Euro 24,00 ISBN 88-7078-761-3 Recensione di Francesco Giacomantonio 11/08/2002 sociologia Indice - L'autore - Links In questo volume, quinta parte dell'opera sul Metodo, Morin sviluppa un'analisi dell'uomo, cercando, come sempre nello stile dell'autore, di collegare e articolare le forme di sapere che dell'uomo si occupano. Per questo la struttura del testo, in cui si condensano tutti i temi delle opere precedenti di Morin, appare fortemente ispirata alla circolarit e alla dialettica dei riferimenti. Evidenzieremo in corsivo i concetti cruciali introdotti in questo studio. La prima parte del libro, La trinit umana, considera la relazione individuo-specie-societ, introducendone i tratti distintivi. L'uomo si distingue da altre specie in primo luogo per i suoi caratteri di cerebralizzazione e giovanilizzazione: la prima amplifica le dimensioni del cervello umano, sviluppando l'attitudine ad acquisire; la seconda, attraverso il prolungamento della fasi di infanzia e adolescenza rispetto ad altri esseri viventi, permette l'apprendimento della cultura e il mantenimento nell'adulto di caratteri giovanili. Inoltre, l'uomo possiede il linguaggio che determina l'emergere della mente umana: Morin individua nell'uomo il sistema di relazioni articolato in cervello- linguaggio-cultura-mente. L'emergenza pi importante della mente umana costituita dalla coscienza, che si configura come prodotto/produttrice dell'attivit della mente su se stessa. Attraverso la mente si manifestano poi l'eros, che il risultato della relazione della mente con il sesso, la razionalit tecnica, il mito e il rito. L'insieme di tutte queste produzioni della mente, che varia da societ a societ, definita da Morin noosfera che influenza continuamente l'auto-organizzazione dell'individuo e della societ. La trinit individuo-specie- societ risente di questa articolazione della mente umana ed anch'essa articolata: l'uomo appare unit multipla, l'umanit si caratterizza nella relazione circolare tra unit e diversit. Nella seconda parte del testo, L'identit individuale, Morin comincia a entrare nel vivo della sua analisi. Si considera innanzitutto la dimensione del soggetto, anch'essa come ogni aspetto esaminato dal pensiero di Morin, visto nella sua connotazione dialogica. Il soggetto visto in un'ottica che supera sia la visione egocentrica (tipica di Cartesio) sia quella che definisce il soggetto in primis nella relazione con l'altro (Levinas); inoltre, si sottolinea come il soggetto possa assoggettare se stesso attraverso un'idea, un mito, ecc., e come il soggetto abbia la capacit di oggettivare, ossia di riconoscere se stesso come altro da s. Dell'identit umana si esamina anche il carattere polimorfo. Esso dato dalla dualit maschile- http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/morin.htm (1 of 4) [09/11/2005 22.22.26] Morin, Edgar, Il metodo 5. L'identita' umana femminile, dalla molteplicit delle et che ciascuno vive, dall'attitudine all'auto-oggettivazione, tramite cui ciascuno dialoga mentalmente con se stesso, dalla pluralit di personalit che nell'individuo possono emergere, dalla molteplicit di ruoli che ciascuno gioca nei sistemi sociali, dalle caverne interne di pulsioni e desideri latenti. All'interno di questo discorso, successivamente, l'autore chiarisce la distinzione tra mente, anima e coscienza. La mente umana si rivela nell'esercizio del pensiero sia razionale che mitico: queste due forme di pensiero, infatti, sono intimamente connesse. L'anima, invece, un complesso che emerge dalle basi psichiche della sensibilit. La coscienza, infine, si determina nel ramo delle attivit cognitive e pratiche da una parte e da quello della coscienza di s dall'altra. Coerentemente con la sua visione dialogica, Morin scorge anche l'ambiguit dell'homo sapiens e faber: al suo interno vi , infatti, anche la dimensione della follia e dell'aggressivit, ossia dell'homo demens. Queste due dimensioni convivono costantemente e sono mediate tra loro dall'affettivit, dal gioco, dall'arte e dall'estetica, dalla poesia. Quindi, per Morin, l'uomo Homo complexus poich racchiude in s tutte queste parti. la cooperazione sapiens-demens che rende possibile il compromesso tra la mente e la realt. Di qui deriva, allora, la visione poetica che l'autore imprime alla vita e all'esistenza, ossia una visione che coglie l'insieme relazionale di tutte queste finalit dell'individuo. Nella seconda parte del testo si passa a considerare il concetto di identit in riferimento ai suoi aspetti pi macrosociologici. In primo luogo viene esaminata l'identit sociale. Dopo aver ribadito il carattere interrelazionale del rapporto individuo-societ, Morin sottolinea in particolare il ruolo della famiglia. Successivamente egli considera la dimensione dello stato: esso pratica l'asservimento e assoggettamento dell'individuo. Nello stato, infatti, vi una dimensione sia di dominazione sia di civilizzazione, poich, attraverso la sua legge, esso disciplina l'uso della violenza e crea la pace. In particolare, viene discusso il carattere di megamacchine che gli Stati hanno assunto nell'et contemporanea. Si sottolinea cos il loro aspetto simultaneamente centrico, acentrico, policentrico, gerarchico, poliarchico, anarchico e si evidenzia come il livello di complessit di una societ influenzi l'autonomia e il senso civico dell'individuo. Nel solco di tale discorso, si ricorda la presenza di un elemento di disordine in qualunque societ che necessario per il suo sviluppo e la sua libert. Le societ umane, considerate nei loro aspetti e apparati creatori di specialit, ordine, democrazia, repressione, autonomia, controllo, ecc., appaiono cos a Morin come societ di terzo tipo (distinte dagli esseri unicellulari che sono di primo tipo e da societ animali che sono di secondo tipo), poich dotate di un patrimonio generatore, la cultura, e di un'attitudine autoreferente, quasi celebrale, che appunto lo stato individuato in senso hobbesiano. Dell'identit si rimarca anche la dimensione storica; al suo interno, negli eventi, fondamentale il ruolo dei grandi uomini, ovvero di quei soggetti devianti, che, attraverso la loro devianza, portano innovazioni e trasformazioni nella societ. Pi in generale la devianza nei fenomeni storici e sociali alla base del divenire: cos, sempre all'interno di un modello dialogico, anche la storia non ha una evoluzione lineare, ma "un insieme di ordine, disordine e organizzazione"(p.198). Il divenire storico si manifesta tramite particolari elementi agenti che vengono individuati nella tecnica, nel mito o nelle ideologie, nell'idea del progresso. La riflessione sulla dimensione storica dell'identit conduce Morin ad analizzare la sua struttura attuale nel capitolo dedicato all'identit planetaria. Qui si parla di due mondializzazioni: la prima quella determinata dagli elementi tecnici e economici che si fonda sul profitto e la cui origine individuata all'inizio dell'et moderna. La seconda quella in cui si delinea l'appartenenza a una patria terrestre e che prepara una cittadinanza planetaria, la cui origine si individua nel diciannovesimo secolo e che ruota attorno a un nuovo umanesimo. L'avvenire della nostra societ si gioca sulla base della dialettica tra queste due mondializzazioni. Cos nell'ultimo capitolo sulle grandi identit contemporanee si cerca di prefigurare l'identit futura. Vengono sviluppate ipotesi sul ruolo delle meta-macchine che http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/morin.htm (2 of 4) [09/11/2005 22.22.26] Morin, Edgar, Il metodo 5. L'identita' umana potrebbero prendere il posto degli individui, delle possibilit per gli stati di controllare le menti attraverso la tecnica, dei processi di demortalit che prolungano continuamente l'esistenza, della meta-umanit, che si va delineando sulla base di tutto questo. una umanit paradossalmente estremamente potente e debole. Potente nella manipolazione, debole nella comprensione. E Morin, in questo testo, al di l dell'analisi, comunque piuttosto generica, dell'identit umana nella sua pi ampia prospettiva, dalle basi biologiche all'evoluzione storica e alle prospettive future, non fa che ribadire incessantemente, come sempre nel suo stile, come la conoscenza razionale dell'essere umano implica il riconoscimento di ci che eccede l'homo sapiens e quanto sia importante la dimensione esistenziale dell'uomo che la scienza non deve trascurare. Siamo in definitiva sempre racchiusi in una struttura duale tra realt e irrealt, tra veglia e sonnambulismo; siamo sempre giocatori, giocattoli, giocati nel gioco della vita: "ogni individuo una marionetta manipolata da ci che prima, da ci che interno e da ci che esterno e nello stesso tempo un essere che si auto afferma nella propria qualit di soggetto"(p. 271). Arricchito da un glossario finale ad opera dell'autore per chiarire la terminologia estremamente sistematica utilizzata, L'identit umana si configura come testo che tratta di questioni sociologiche attraverso un'ottica filosofica, ovvero attraverso un'ottica che induce il lettore a fuggire la visione semplicistica delle cose per abbracciare invece un approccio basato sul pensiero complesso, lo stesso approccio che ha segnato la vita dell'autore. Indice Prologo Note sulla bibliografia Parte prima: La trinit umana- 1. Dal radicamento cosmico all'emergenza umana-2. L'umanit dell'umanit-3. La trinit umana- 4. L'uno molteplice Parte seconda: l'identit individuale - Introduzione- 1. Il vivo del soggetto-2. L'identit polimorfa-3. Mente e coscienza-4. Il complesso di Adamo. Sapiens-demens- 5. Al di l della ragione e della follia- 6. La realt sopportabile- Conclusione- Parte terza: le grandi identit 1. L'identit sociale.(1) Il nucleo storico-2.L'identit sociale(2) Il Leviatano- 3. L'identit storica- 4. L'identit planetaria- 5. L'identit futura- Parte quarta: il complesso umano 1. Risvegliati e sonnambuli- 2. Ritorno all'originale- Indice delle definizioni. L'autore Edgar Morin, nato a Parigi nel 1921, una delle figure pi prestigiose della cultura contemporanea. Pensatore poliedrico, ha fatto del tema della complessit il cardine dei suoi studi, in una lunga ricerca che lo ha portato a toccare con originalit e rigore i problemi del mondo scientifico, dell'antropologia e della sociologia. Le questioni centrali dei suoi studi riguardano l'idea di un mondo policentrico, il destino dell'Europa, la rinascita di un nuovo umanesimo, la necessit di una riforma del pensiero attraverso http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/morin.htm (3 of 4) [09/11/2005 22.22.26] Morin, Edgar, Il metodo 5. L'identita' umana un'etica della fraternizzazione, il bisogno di una nuova scienza polidisciplinare, la riforma dell'organizzazione dei saperi. Attualmente Presidente dell'Associazione per il Pensiero Complesso con sede a Parigi e Presidente dell'Agenzia europea per la Cultura (UNESCO). Links Pagina su Morin Torna al sommario del numero di novembre Torna alla home page Recensioni
Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/morin.htm (4 of 4) [09/11/2005 22.22.26] Subacchi, Martina, Bergson, Heidegger, Sartre. Il problema della negazione e del nulla Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Subacchi, Martina, Bergson, Heidegger, Sartre. Il problema della negazione e del nulla. Firenze, Atheneum, collezione Oxenford, 2002, Euro 14,20, ISBN 88-7255-196-X, pp.185 Recensione di Stefano Monetti - 25/06/2002 filosofia teoretica, (nichilismo, ontologia, metafisica), storia della filosofia (contemporanea) Indice - L'autore Il libro di Martina Subacchi si propone di affrontare l'argomento del nulla cos come si presenta in tre dei maggiori filosofi del '900: Bergson, Heidegger e Sartre. La peculiarit della questione filosofica del nulla e della negazione, cos come stata posta nel '900, nella sua natura "non-entificabile", ovvero si intende come qualcosa che sfugge ad una determinazione aprioristica e dogmatica, ma che necessita di una trattazione ad hoc, pena il ripresentarsi per mancata elaborazione come accadeva nel passato. Dunque, i tre filosofi (tranne Sartre, che la considera una pseudo-idea) fanno del nulla un tema peculiare, che va affrontato nella sua specificit. L'autrice predispone un'analisi costituita di una triplice ottica, secondo la quale il nulla definito come: 1) condizione di possibilit (quel che incrina l'identit, elemento di interrogazione e di negativit costitutiva, come nell'avvenire dell'intersoggettivit fenomenologica o della scrittura: i bianchi per Derrida); 2) assenza di fondamento (impossibilit della fondazione o assurdit dell'esistere: il nichilismo di Nietzsche e Heidegger, la contingenza sartriana), 3) funzione autenticante (fecondo spazio di critica e di ripensamento del dogmatico, problematizzazione del sottinteso e non pensato, precondizione all'autenticit in Heidegger e Sartre). Secondo Bergson, il nulla un concetto pratico, che si usa nel quotidiano, ma non deve essere sostantificato, poich il nulla e il vuoto non esistono. Si tratta di una pseudo-idea, dell'inganno che ci deriva dall'abitudine pratica della nostra intelligenza, mentre la realt al di l di questi vizi del pensiero. Se cerco di percepire il nulla o fallisco o m'illudo, poich quel che sento ancora qualcosa, non vi mai la totale assenza di percezione, appunto perch non potremmo percepirla. "La fonte di questi fraintendimenti, scrive l'autrice esponendo Bergson, la convinzione che la negazione costituisca un atto intellettuale perfettamente simmetrico all'affermazione, perch anch'esso autosufficiente e in grado di dare origine a idee oggettive" (p.26). Ma l'affermazione si riferisce ad una percezione reale, dunque si riferisce ad un'esperienza effettiva, realizzata, mentre la negazione non che un giudizio su un altro giudizio, raddoppiamento erroneo che trascina lontano dalla realt. Merleau-ponty intuisce che Bergson ha gi esperito il problema del nulla escludendolo dalla sua teoria, e dunque potremmo dire che dal nulla, come fondamento impossibile, respinto, negato, che nasce l'ontologia della dure relle, e cos il nulla vi ricompare ad ogni istante. In Heidegger la domanda sul nulla mette in causa colui che la pone: http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/subacchi.htm (1 of 3) [09/11/2005 22.22.27] Subacchi, Martina, Bergson, Heidegger, Sartre. Il problema della negazione e del nulla l'uomo, l'esserci. Questione che paralizza tutte le altre domande e fornisce l'accesso al senso dell'esistere e al problema dell'essere. Quella sul nulla , per Heidegger, una domanda fondamentale, nel senso che "questiona" il fondarsi stesso del domandare. Il nulla impone un linguaggio proprio, che esca dal carattere entificante, oggettivante del dire quotidiano; non bisogna dire "il nulla ", ma "il nulla nullifica", mettendone in evidenza la natura funzionale e autoreferenziale. Per Sartre il nulla coestensivo all'interrogare: qualsiasi domanda presuppone il non-sapere di colui che chiede o l'esclusione di una fatticit determinata (se la risposta A, allora non-B). Il nulla ha una sua realt e non prodotto del pensiero, addirittura fonda le possibilit del pensare: l'evento di una distruzione comprensibile solo a partire dalla precomprensione del nulla. La tonalit affettiva che Heidegger indica quale rivelatrice del nulla l'angoscia, ovvero il "non sentirsi a casa propria", quello "spaesamento" che coglie la vita umana nella sua insensatezza. L'angoscia un sentimento privilegiato, il senso di sgomento che non riferibile ad un preciso oggetto, e quindi spinge l'esserci oltre gli enti mondani, alla ricerca di quel che li rende possibili, verso quell'apertura originaria del mondo che l'essere. L'angoscia scopre la "gettatezza" dell'esserci, mette in questione il "si dice" del pensare conforme, quelle certezze sociali che ciascuno si lascia imporre, e apre la via ad un progetto di autenticazione dell'esistenza. L'autrice vede delle analogie tra l'angoscia di Heidegger e la nausea di Sartre, attraverso la nozione sartriana di contingenza, che significa appunto la gratuit dell'uomo, la profonda mancanza di senso della vita alla quale solo l'uomo pu porre rimedio, il debito originario dell'esistere che avviene come una comparsa improvvisa nel gi-dato. L'angoscia e la nausea sono modi estremi del sentire che pochi uomini hanno il coraggio e la forza di esperire. La maggioranza, gli indaffarati (Heidegger) e i benpensanti (Sartre) preferisce adagiarsi nell'oblio frenetico del lavoro, accontentandosi di attenersi agli imperativi sociali, ammiccando con un fare distratto e incosciente, lasciando irrisolte la questioni che il nulla fa sentire. Indice Introduzione. Parte prima. Cap.1: Il nulla come pseudo-idea in Bergson. Parte seconda. Cap.1: L'accesso al nulla per via extraintellettiva in Heidegger e in Sartre. Cap. 2: L'esperienza del nulla e l'autenticit in Heidegger e in Sartre. Cap.3: Il nulla come condizione di possibilit in Heidegger e in Sartre. Cap.4: Il rapportarsi del nulla all'essere in Heidegger e in Sartre. Parte terza. Cap.1: Il nulla come precondizione di significativit in Sartre. Cap.2: Il nulla nella nozione sartriana di contingenza. Cap. 3: Sartre: i diversi modi di operare del nulla nell'atteggiamento di malafede. Cap.4: Il fungere del nulla nella relazione di alterit sartriana. Parte quarta. Cap.1: La presenza del nulla nel secondo Heidegger. Conclusione. Bibliografia http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/subacchi.htm (2 of 3) [09/11/2005 22.22.27] Subacchi, Martina, Bergson, Heidegger, Sartre. Il problema della negazione e del nulla L'autore Marina Subacchi nata e vive a Piacenza. Laureata in filosofia all'Universit degli Studi di Milano e diplomata in Scienze Religiose presso l'Istituto Sant'Ilario di Poitiers di Parma, fa parte dei recensori dello SWIF.
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/subacchi.htm (3 of 3) [09/11/2005 22.22.27] Van Drimmelen, Rob, Economia globale e fede Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Van Drimmelen, Rob, Economia globale e fede. Torino, Claudiana (Serie etica), 2002, pp. 222, Prezzo Euro 14,00 - ISBN 88-7016-393- 8. Recensione di Paolo Calabr - 02/08/02 filosofia politica (globalizzazione), filosofia della religione Indice "La fede cristiana non pu separare vita spirituale e vita materiale" (p. 9): ecco la tesi fondamentale del libro di Van Drimmelen, basata sulla convinzione che "il Padre Nostro parla del pane quotidiano e della remissione dei nostri debiti. [...] Sarebbe sbagliato separare questa richiesta del pane quotidiano dl significato del pane eucaristico tanto quanto interpretare la remissione dei debiti in senso solo spirituale" (ivi). Tuttavia, spiega Van Drimmelen, l'economia fa di tutto per relegare la fede in un aldil ultramondano, al fine di appropriarsi interamente dell'al di qua. Ci evidente, ad esempio, nel tentativo di ostentare una razionalit a prova di discussione (il fatto che il capitalismo abbia trionfato in quasi tutto il mondo dovrebbe costituire di per s un argomento schiacciante - il che fa tornare con la mente all'Hitler del Mein Kampf, che spiegava agli uditori delle birrerie che inutile discutere con gli avversari politici, consigliando al contempo di addestrarsi alle arti marziali) contro la pretesa dei 'valori irrazionali' della fede (scontro gi rappresentato da Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844); oppure nell'appropriazione, da parte dell'economia, del linguaggio religioso (l'Autore ne riporta vari esempi alle pp. 19-21), come a dire: "Sono cose superate, che non val la pena prendere sul serio". E in effetti la fede sembra essere l'ultimo baluardo contro l'avanzata di un'economia globale che pare trasformare in merce tutto quello che tocca. Non c' politica che tenga, n cultura, n economia alternativa. Numerosi sono al riguardo gli esempi di Van Drimmelen al capitolo sulle multinazionali; particolare rilievo ha - ad avviso di chi scrive - il riferimento al MAI (Accordo Multilaterale sugli Investimenti) perch consente di sfatare il mito dell'economia come regno della libert, cogliendo la portata del fenomeno per cui il governo di un paese pu essere 'comprato' - non lirismo - ovvero costretto ad emanare un certo tipo di legislazione in cambio di investimenti esteri in quel paese (la qual cosa si rivela spesso controproducente per il paese stesso, altro tema affrontato dal testo). Ci si trova di fronte a un'economia per la quale ogni affermazione sul valore dell'uomo sa di comunismo, i cui grafici rappresentano il PIL ma non i morti per fame ad esso connessi (il capitolo VIII del libro contiene proprio una critica degli indici economici tradizionali ed una descrizione di alcuni indici http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/drimmelen.htm (1 of 3) [09/11/2005 22.22.27] Van Drimmelen, Rob, Economia globale e fede alternativi). Quest'economia funzionante ma un po' ottusa come un motore che gira al massimo della potenza producendo un frastuono assordante: il rendimento ottimale, ma se un operaio finisce con le mani negli ingranaggi... non si riesce a sentirne le grida. La filosofia dell'ultimo secolo ha acclarato che la scienza 'non pensa', che il discorso sui 'valori' non le appartiene. Parimenti, l'immagine che Van Drimmelen d con il suo libro quella di un'economia che 'non sente', sorda ai richiami dei popoli, chiusa in se stessa, con le sue pretese ragioni, per la quale facile stigmatizzare la posizione di chi ha ancora voglia di sentire le grida della sofferenza e dell'ingiustizia: non si pu tornare al baratto, non si pu arrestare il progresso, n far valere oggi le prescrizioni bibliche sull'utilizzo dei terreni (il libro tratta anche di questo). Tuttavia, il problema non mettere in discussione la legittimit della propriet privata e della libera impresa, n dal punto di vista teorico n dal punto di vista morale, ma piuttosto criticare l'equazione (che all'economia globale pare scontata, ma non lo affatto) economia = capitalismo = liberismo = globalizzazione, la quale ha la grave pecca di non riuscire a quantificare il costo dei milioni di morti a causa di uno sfruttamento grossolano e miope delle risorse del pianeta. Secondo l'Autore, la sfida che si pone oggi al credente fare in modo che il mondo torni ad essere un posto abitato da uomini (e non da individui), un mondo nel quale possa emergere anche il profilo qualitativo delle cose, dove non sia pi uno scandalo dire che 'la vita non ha prezzo': una sfida che parte dalla proposta di alternative concrete (trattate nell'ultimo capitolo, dal titolo eloquente "Segni di speranza"). In definitiva, un libro - questo di Van Drimmelen - che sa coinvolgere e parlar chiaro senza eccedere nei toni e senza abbandonarsi a facili utopie, un libro piacevole e accessibile a tutti (anche se a volte gli esempi - del resto numerosissimi - sono esposti in maniera un po' sintetica, il che non ne rende immediata la comprensione, soprattutto a chi a digiuno dell'argomento). Da consigliare a coloro che sono convinti che un mondo di tutti, ma che non appartiene a nessuno, ancora possibile. Indice Prefazione, 7 - Introduzione, 9 - L'economia di Dio, 10 - Oikonomia, koinonia e oikoumene, 11 I. L'economia, 15 L'economia neutrale?, 17 - Gli elementi quasi-religiosi, 19 II. L'economia globale, 23 Globalizzazione, 24 - Competizione, 27 - Privatizzazione, deregolamentazione, liberalizzazione, 29 - "Triadizzazione", 32 - Disuguaglianza ed esclusione, 34 - Disoccupazione, salari e livelli di vita sempre pi bassi, 37 - Globalizzazione, mercati e democrazia, 41 - Globalizzazione e imposte, 43 - La crisi in Asia, 45 - Alcuni altri effetti, 46 - Globalizzazione della giustizia, 50 III. Commercio internazionale, 51 Gli effetti del round uruguaiano, 52 - Clausole sociali e ambientali, 56 - Alcuni altri temi, 59 IV. Le multinazionali, 63 Perch andare all'estero, 65 - Riferimenti per lo sviluppo umano, 66 - Cultura, 72 - Effetti politici ed etica aziendale, 73 - Codici di comportamento, 76 - Le chiese e le TNC, 78 V. La finanza internazionale, 81 La conferenza di Bretton Woods, 81 - La crisi del debito, 86 - Condizioni e compensazioni, 88 - Proposte per la riduzione del debito, 94 - Riesaminando il sistema finanziario internazionale, 97 - Riformare le istituzioni di Bretton Woods, 101 - Le chiese e il sistema finanziario internazionale, 104 VI. Lavoro, occupazione e disoccupazione, 111 Ricette convenzionali, 113 - Donne e lavoro, 115 - Sviluppi tecnologici, 116 - La competizione globale, 120 - Tempo libero o sotto-occupazione?, 121 - Suddividere il lavoro, 122 - Lavori socialmente utili (workfare), 124 - Lavoro e ambiente, 126 - Idee di lavoro, 127 - Lavorare per la vita, 131 VII. La terra: il terzo fattore di produzione, 135 Alcuni concetti teologici, 136 - http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/drimmelen.htm (2 of 3) [09/11/2005 22.22.27] Van Drimmelen, Rob, Economia globale e fede La crisi delle aziende agricole, 139 - Agricoltori senza terra, 141 - La riforma della terra, 143 - Dighe e terra, 146 - Popolazioni indigene e la terra, 147 - I diritti degli indigeni sulla terra, 149 - L'attivit mineraria, 153 - Terra, sviluppo e razzismo, 155 - Affari delle popolazioni indigene, 157 VIII. Il mercato e la crescita economica, 163 Il potere d'acquisto, 163 - Mercati ed etica, 165 - La crescita economica, 169 - Il prodotto nazionale lordo, 175 - Indicatori alternativi, 177 - Una sfida spirituale, 178 IX. Sabbath e giubileo, 181 La visione del giubileo, 187 X. Segni di speranza, 195 Commercio equo, 196 - Legname ecologico, 202 - LETS, 204 - La disoccupazione e alcune iniziative di auto-aiuto, 205 - Mondragon, 206 - Micro-aziende e micro-credito, 207 - Investimento responsabile, 212 - EDCS, 213
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/drimmelen.htm (3 of 3) [09/11/2005 22.22.27] Viano, Augusto, Etica pubblica Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche Viano, Carlo Augusto, Etica pubblica. Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. XX-132, Euro 9,30, ISBN 88-420-6634-6. Recensione di Enzo Rossi - 06/07/2002 etica, filosofia politica Indice - L'autore - Links Nel dibattito pubblico si fa spesso ricorso alla nozione di "etica"; istituzioni, politiche, pratiche sociali o azioni individuali vengono comunemente valutate alla luce dell'idea che vi sia qualcosa come un'etica pubblica. Il significato preciso di questa espressione, per, piuttosto controverso. L'incertezza avvolge tanto la nozione di etica, quanto la distinzione fra pubblico e privato. Carlo Augusto Viano si propone di tracciare i confini del campo dell'etica pubblica, o meglio di ricostruirli. I primi quattro capitoli del libro sviluppano un'analisi storico-genealogica del concetto di etica pubblica; l'ultima sezione del volume invece dedicata ad un'analisi di ci che resta, oggi, dell'idea di etica pubblica, del ruolo che essa ricopre nelle societ occidentali contemporanee. Si tratta quindi di un'analisi di come le cose stanno a proposito di ci che chiamiamo "etica pubblica", e del perch le cose stanno cos. Quello di Viano un libro sull'etica pubblica, non di etica pubblica: chi cercasse una teoria su come le cose dovrebbero stare in etica pubblica resterebbe senz'altro deluso. In epoca moderna l'idea che la vita pubblica abbia bisogno di un suo codice morale si fa strada quando entra in crisi la convinzione secondo cui la legislazione sufficiente a garantire il benessere della societ. da qui che prende le mosse la ricostruzione di Viano, che ora ripercorreremo brevemente. Alla fine del '700 un filosofo come Jeremy Bentham riteneva che una buona legislazione fosse sufficiente per definire la morale pubblica; doveri etici e virt, in questa prospettiva, restavano di esclusiva pertinenza della vita privata. Questa strategia teorica serviva anche per esorcizzare il rischio di fare della societ una comunit totalizzante finalizzata al perseguimento di virt. Allo stesso modo, per Hume la benevolenza attiene alla sfera privata, mentre nel pubblico occorre dare priorit alla giustizia. Anche Adam Smith pu essere collocato in questa linea di pensiero: secondo l'economista e filosofo scozzese, infatti, occorreva liberarsi delle virt tradizionali, il cui carattere mortificatorio non conduce affatto alla felicit. Perseguendo invece virt private come il risparmio e la laboriosit si produce nuova ricchezza e quindi felicit. Questa era la nuova morale, privata, che era necessario promuovere. Il meccanismo a mano invisibile del mercato avrebbe, quindi, dovuto risolvere il paradosso del carattere privato della moralit orientata al bene pubblico. Ma, gi alla fine del XVIII secolo, cominciano a sorgere i primi dubbi circa il corretto funzionamento del http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/viano.htm (1 of 4) [09/11/2005 22.22.29] Viano, Augusto, Etica pubblica meccanismo smithiano. William Godwin, ad esempio, osservava che, senza istituzioni adeguate, il libero mercato di Smith poteva produrre esiti tutt'altro che moralmente virtuosi. A conclusioni analoghe portavano anche gli studi demografici di Malthus: l'aumento della produzione e della ricchezza avrebbe determinato una crescita eccessiva della popolazione, che avrebbe fatto cadere gli strati pi bassi nella povert e quindi nel vizio. Queste tendenze naturali alla degenerazione andavano contrastate attraverso l'intervento (etico) dello Stato, che avrebbe dovuto eliminare la povert estrema attraverso provvedimenti fiscali e, al contempo, provvedere all'educazione alla moralit dei membri delle classi pi svantaggiate. L'idea di un'educazione per la popolazione, per, poneva il problema della salvaguardia della libert di scelta individuale, o, in altri termini, della "sovranit del consumatore". Anche un liberale come Mill riteneva che questo principio andasse applicato con qualche riserva: ci che serve ad elevare gli esseri umani nello spirito e nel carattere non poteva essere giudicato in base alle fluttuazioni del mercato. Occorreva quindi tenere conto delle differenze qualitative fra i diversi tipi di piacere, e coltivare tramite l'educazione i sentimenti sociali dell'umanit, i soli in grado di aumentare la coesione sociale e ridurre cos l'egoismo e le ineguaglianze. Si trattava di sviluppare nei membri di una comunit industriale il senso della loro funzione sociale, in relazione al benessere della societ nel suo insieme. in questo senso che Henry Sidgwick intendeva l'etica utilitaristica come un necessario correttivo della morale tradizionale. L'idea che fosse necessario indurre i valori dell'etica pubblica nella popolazione attraverso l'educazione spingeva numerosi pensatori a guardare con interesse al modello paternalistico tedesco, nel quale era il sapere degli esperti, pi delle scelte personali, a determinare la concezione della vita buona. A questo proposito, tuttavia, molti osservavano che se ci poteva essere una buona soluzione per l'educazione degli strati deboli, vi era il rischio di un'eccessiva riduzione della libert individuale. Il fondamento teorico di questa oscillazione fra i due poli della societ etica e della valorizzazione dell'autonomia individuale pu essere rinvenuto nell'opposizione fra la filosofia morale di Kant e quella di Hegel. Per Kant legalit e morale sono nettamente separate; la prima riguarda l'organizzazione delle societ reali, la seconda le leggi presenti nella coscienza individuale. Ed il primato spetta a quest'ultima, anche perch la moralit non pu essere costitutivamente legata all'ordine legale, ma pu soltanto fungere da principio regolativo. Hegel, al contrario, prende le distanze dal tema settecentesco della liberazione dalle norme sociali inutili tramite la moralit privata. Vi un'unica regola per la vita pubblica e privata, l'eticit delle comunit storicamente esistenti. La moralit privata una pura astrazione, e propriamente non esiste; ci vuol dire che ogni speculazione sulle ingiustizie di societ reali vuota astrazione. Cos Hegel tentava di seppellire per sempre l'etica come campo autonomo, nel senso che la legislazione di uno Stato perfetto avrebbe dovuto evitare che la moralit passasse attraverso il giudizio delle coscienze individuali. Il successo dell'impostazione hegeliana segn un periodo di eclissi dell'etica, destinato a durare fino al tramonto delle grandi ideologie del XX secolo e delle filosofie della storia di matrice hegeliana sulle quali si reggevano. a partire dagli anni '60 del Novecento che in Occidente si assiste ad un revival dell'etica. L'etica chiamata in causa per riempire gli spazi lasciati vuoti dai problemi dell'utilitarismo classico e dell'economia del benessere: "Una delle ragioni che hanno determinato la riscoperta dell'etica stato il riconoscimento che le altre tecniche sociali, dalla politica al diritto e all'economia, non sono in grado di generare scelte collettive sicuramente corrette." (p. XVIII) Nell'assolvere questa funzione l'etica pubblica contemporanea si avvale di strumenti teorici elaborati, quali la teoria dei giochi di von Neumann- Morgenstern e gli studi di Kenneth Arrow sulla scelta pubblica. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/viano.htm (2 of 4) [09/11/2005 22.22.29] Viano, Augusto, Etica pubblica Si tratta di due approcci innovativi, rispettivamente ai problemi del comportamento razionale e a quelli del rapporto fra le preferenze individuali ed i valori di sfondo di una societ. Riflettendo sui medesimi temi John Rawls elaborava nei primi anni '70 la sua teoria neocontrattualista della giustizia come equit, inaugurando una ricca stagione teorica che, seppure in forme molto diversificate al suo interno, si protrae tutt'ora. Qual dunque la forma odierna dell'etica pubblica? Viano rinuncia alla ricerca di una definizione univoca di questo concetto, e suggerisce di pensare piuttosto ad una famiglia (in senso wittgensteiniano) di tecniche fra loro diverse, da impiegare a seconda dei problemi. Questo perch l'assetto multiculturale delle societ odierne, con la sua variet di morali private, rende difficile identificare in maniera non controversa la sfera pubblica. La riflessione sulla pluralit delle morali ha poi mostrato la difficolt di trovare criteri valutativi validi indipendentemente dai contesti: "Le ambizioni dell'etica pubblica di trovare spazi nei quali collocare procedure capaci di produrre risultati univoci e di imporsi su tutti sono andate frustrate, perch emerso che le tecniche morali potenziano i propri mezzi celando le condizioni limitative delle proprie assunzioni." (p. 115) Il venir meno della pretesa di trovare criteri morali universali ha inoltre fatto s che uno dei compiti dell'etica pubblica contemporanea, il pi importante, diventasse quello di regolare e garantire la possibilit simultanea di stili etici divergenti. Questa esigenza porta necessariamente con s un indebolimento del concetto di etica pubblica: non si pensa pi, sotto questa etichetta, ad un insieme di regole e principi in grado di generare sempre la scelta corretta. L'idea piuttosto quella di uno spazio pubblico, di natura variabile a seconda delle circostanze, nel quale confrontare ragioni e tecniche morali differenti. Indice Introduzione 1. Virt privata e interesse pubblico 2. L'educazione dei produttori 3. La fabbrica del benessere 4. Dall'economia all'etica 5. Le alternative dell'etica pubblica L'autore Carlo Augusto Viano ordinario fuori ruolo di Storia della filosofia nella facolt di Lettere e Filosofia dell'Universit di Torino. Allievo di Nicola Abbagnano, ha insegnato nelle Universit di Milano, Cagliari e Pavia. Si occupato di storia della filosofia antica e moderna, ed ha recentemente curato, con Pietro Rossi, la Storia della filosofia uscita in sei volumi presso Laterza. Attualmente i suoi interessi teorici riguardano il campo della filosofia morale e della bioetica. http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/viano.htm (3 of 4) [09/11/2005 22.22.29] Viano, Augusto, Etica pubblica Links Biografia dell'autore, dall'E.M.S.F. Intervista con l'autore sul tema dell'utilitarismo, dall'E.M.S.F. Torna al sommario del numero di novembre
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Universit degli Studi di Bari - Laboratorio di Epistemologia Informatica e Dipartimento di Scienze Filosofiche http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/recensioni/crono/2002-11/viano.htm (4 of 4) [09/11/2005 22.22.29]