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Marco Roncadelli e Antonio Defendi

I CAMMINI DI FEYNMAN

QUADERNI DI FISICA TEORICA

Università degli Studi di Pavia


Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica
QUADERNI DI FISICA TEORICA
Collana curata da Sigfrido Boffi

Comitato Scientifico

Bruno Bertotti
Sigfrido Boffi
Italo Guarneri
Alberto Rimini
Marco Roncadelli

Volumi già pubblicati:


1. Le onde di de Broglie, a cura di Sigfrido Boffi
2. Onde di materia e onde di probabilità, a cura di Sigfrido Boffi
3. Il principio di indeterminazione, a cura di Sigfrido Boffi
4. La meccanica delle onde, a cura di Sigfrido Boffi
5. Paradosso EPR e teorema di Bell, a cura di Oreste Nicrosini
6. I cammini di Feynman, a cura di Marco Roncadelli e Antonio Defendi
7. L’interpretazione statistica della meccanica quantistica, a cura di
Sigfrido Boffi
8. L’origine delle statistiche quantistiche, a cura di Fulvio Piccinini
9. Le radici della quantizzazione, a cura di Sandro Graffi
10. La fase di Berry, a cura di Franco Salmistraro
11. Il postulato dei quanti e il significato della funzione d’onda, a cura di
Sigfrido Boffi
12. Indice di rifrazione adronico, a cura di Francesco Cannata
13. La formulazione delle storie della meccanica quantistica, a cura di Irene
Giardina
14. La regola d’oro di Fermi, a cura di Paolo Facchi e Saverio Pascazio
15. Le radici del dualismo onda-corpuscolo, a cura di Sigfrido Boffi e Michele
D’Anna
16. Teoria delle caratteristiche ed equazioni ondulatorie quantiche, a cura di
Paola Orsi
I primi dieci Quaderni sono disponibili su richiesta presso il Dipartimento di
Fisica Nucleare e Teorica dell’Università di Pavia. I successivi sono pubblicati
dalla Casa Editrice Bibliopolis
Marco Roncadelli e Antonio Defendi

I CAMMINI DI FEYNMAN

QUADERNI DI FISICA TEORICA

Università degli Studi di Pavia


Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica
Prima edizione: gennaio 1992
Edizione web: ottobre 2001

ISBN 88–85159–06–0
INDICE

Premessa  7

1. Concetto di propagatore quantistico  11

2. Aspetti dell’integrale di Feynman  15

3. Analogie fra meccanica quantistica e processi stocastici classici 34

4. Osservazioni storiche  51
– Approccio spazio-temporale alla meccanica quantistica
non relativistica  57

5. Nuova formulazione della meccanica quantistica  95

6. Bibliografia  122
– Addendum  129
PREMESSA

Un fondamentale cambiamento di prospettiva nell’impostazione dei pro-


blemi di meccanica quantistica si è avuto agli inizi degli anni ’50 principalmente
ad opera di Richard Feynman, al quale si deve una formulazione della teoria
quantistica diversa da quella usuale di Heisenberg, Schrödinger e Dirac.
La formulazione di Feynman è basata sul concetto di “  
 

  ” e permette di esprimere l’ 
"!"! (quantistica) di transizione fra
due punti spazio-temporali senza far ricorso a vettori di stato ed operatori in
uno spazio di Hilbert. Questo approccio fornisce inoltre una rappresentazione
intuitiva del #$%
 &' "( della meccanica quantistica.
L’importanza pratica della strategia di Feynman è dovuta al fatto che essa
rappresenta un’ )
* *+%,- alle tecniche di soluzione dei problemi quantisti-
ci basate sull’equazione di Schrödinger. Naturalmente, nei casi in cui tale
equazione sia risolubile
.*/0 1
 
, il nuovo metodo non aggiunge nulla di
nuovo. Tuttavia è ben noto che si tratta di pure eccezioni: per la maggior parte
dei problemi fisicamente rilevanti risulta impossibile risolvere l’equazione di
Schrödinger. È proprio in queste circostanze che un nuovo approccio alla teoria
quantistica diventa molto importante, in quanto esso permette di sviluppare
  ( , metodi di soluzione approssimate.
Ora, nell’ambito più ristretto della meccanica quantistica  (  relativisti-
ca, i vantaggi derivanti dalla formulazione di Feynman si manifestano princi-
palmente in alcuni tipi di problemi, come quelli basati sull’approssimazione
semiclassica e sulla trattazione dei fenomeni quantistici nei sistemi macro-
scopici.
La situazione cambia radicalmente se si considera l’estensione relativisti-
ca, cioè la teoria quantistica dei campi. Il motivo di fondo è molto semplice.
La quantizzazione canonica è basata sul formalismo hamiltoniano, in cui il
tempo gioca un ruolo 2,'
 . ( dalle coordinate spaziali: la teoria non può
quindi essere “covariante a vista” rispetto a trasformazioni di Lorentz. Questo
serio inconveniente è ovviato nell’approccio di Feynman, poiché il tempo e le
coordinate spaziali vengono poste sullo .
. ( piano. Un ulteriore importantis-
8

simo vantaggio rispetto al metodo canonico è di permettere la quantizzazione


delle teorie di gauge in modo notevolmente più semplice. Si noti che le
“ 
( &
32546
7- 8 ” per tali teorie sono state derivate proprio facendo uso
dell’“  
 9&
:  $  ”.
Scopo del presente Quaderno è fornire un’ $+% ( 2/!* ( ;
alla formulazione
di Feynman della teoria quantistica. Ci limiteremo quindi a considerare solo
la meccanica quantistica non relativistica (per ciò che concerne la teoria quan-
tistica dei campi verrà data soltanto una traccia bibliografica). Com’è con-
suetudine dei Quaderni di Fisica Teorica, presentiamo in traduzione l’articolo
fondamentale sull’argomento, che è stato pubblicato da Feynman nel 1948.
Desideriamo sottolineare che questo lavoro è oggigiorno più un docu-
mento storico che non un’esposizione consigliabile a chi voglia imparare il
metodo di quantizzazione di Feynman. Pensiamo però che la sua lettura costi-
tuisca una notevole esperienza intellettuale – anche per gli studenti di Fisica –
se corredata da un’opportuna introduzione in chiave moderna e da alcuni com-
menti che illustrino il contesto storico in cui si colloca il lavoro di Feynman.
Il presente Quaderno si articola nel modo seguente. Dopo un breve
richiamo del concetto di  (  < ( "
>= %?*% ( (capitolo 1), discutiamo
gli aspetti più importanti della strategia di Feynman (capitolo 2). Segue una
trattazione schematica della teoria dei processi stocastici classici, che mette
in particolare evidenza il parallelismo .% *@0% 9&
fra questa e la meccanica
quantistica (capitolo 3). In effetti, tale analogia costituisce il punto di partenza
del lavoro di Feynman e chiarisce notevolmente la natura dell’“  
 
A
  ”. Sottolineiamo che  (  ci stiamo riferendo al fatto che la mec-
canica quantistica a tempo 8 + . ( diventa (formalmente) una teoria
probabilistica  )".   (sfortunatamente ci siamo trovati costretti ad ignorare
quest’ )
* * ( "
analogia per ragioni di spazio e di semplicità; tuttavia il lettore
interessato a questo argomento può trovare una discussione di facile lettura
in: M. Roncadelli, Nuovo Cimento 11D, 73 (1989)). Prima di presentare la
traduzione del lavoro originale, consideriamo brevemente (capitolo 4) quali
siano state in realtà le motivazioni che hanno indotto Feynman a riformulare
la teoria quantistica (difficilmente il lettore di oggi potrebbe immaginarle!).
La nostra esposizione differisce dalle (molte) altre per una maggiore at-
tenzione al concetto di “  $B2C4D
*7'8 ”. Mostreremo (capitolo 5)
che il desiderio di interpretare tali cammini come soluzioni di un’opportuna

"=E! ( 
F2 G
* "
*!*0
H* ( .%   – secondo un punto di vista suggerito pro-
prio dall’analogia formale fra teoria quantistica e teoria dei processi stocastici
classici – permette di giungere in modo del tutto naturale ad una  ( ,' formu-
lazione della meccanica quantistica (ottenuta molto recentemente da uno degli
autori), che appare quindi come un ulteriore sviluppo delle idee di Feynman.
Conclude il presente Quaderno una bibliografia sull’integrale di Feynman
e questioni connesse, che può fornire utili suggerimenti al lettore che voglia
approfondire alcuni degli argomenti trattati nel testo.
9

L’articolo originale di Feynman, pubblicato su IJ


*,
*KL (9MN( 2<
 .
OQP
7-   , è tradotto con il permesso dell’American Physical Society.
Desideriamo ringraziare Sara Dalprà, Antonia Frangipani ed Elena Giu-
dici per un attenta lettura del testo e Italo Guarneri e Alberto Rimini per utili
discussioni. Un particolare ringraziamento va a Sigfrido Boffi per il costante
incoraggiamento ricevuto, senza il quale questo Quaderno non sarebbe proba-
bilmente mai stato scritto.

1. Concetto di propagatore quantistico
1.1 – Consideriamo per semplicità il moto 021
*@. ( +
di una par-
ticella non relativistica in presenza di un potenziale scalare stazionario RTS%U;V
(situazioni più generali verranno discusse in seguito). È ben noto che la cor-
rispondente equazione di Schrödinger ha la forma
X+
-` Y ` [
W 3
X- Y [ [
S%U6\ Z V5]_^ a'b ` %S U6\ Z V6cdRTS%U;V S%Ue\ Z V S9f fEV
Y Z Y U

Ora, un fisico degli anni ’30  (  avrebbe cercato di risolvere 2 "
0 1
* 
tale
equazione! Egli avrebbe invece osservato che – essendo RTS%U;V indipendente
dal tempo – è conveniente porre

[ Xe
-q a
S%Ue\ Z Vhgjikl$mon p S%UoV S9f V

cosicché l’eq. (1.1) diventa


r ` q a'b q
r ` S%UoVoc X ^uR1S0U;Vwv S%UoVx]zy S9f |{ V
U - `Qs t

A questo stadio, t è ovviamente un parametro (reale) indeterminato } . Sup-


`
poniamo ulteriormente che RTS%U;V soddisfi la condizione

:€ R8S%UoVL]cƒ‚
~Elim S9f …„ V

q
Si può allora dimostrare che l’eq. (1.3) ammette soluzioni S%U;V soddisfacenti
alle usuali condizioni di regolarità †5 (  ( per certi valori 2$  "
% del parametro
t (li indicheremo con tJ‡ \ t } \ t ` \ˆˆˆ e supporremo che si abbia tJ‡F‰Št } ‰
t ` ˆˆˆ ). Quindi, in corrispondenza ad ognuno dei suddetti valori tC‹ si avrà una

1 Naturalmente Πha il significato fisico di energia della particella. Tuttavia questa circostanza


è irrilevante per le considerazioni esposte in questo paragrafo.
2 Se l’eq. (1.4) non valesse, si avrebbe in generale uno spettro continuo di autovalori per
l’eq. (1.3), ma il ragionamento che segue rimarrebbe inalterato.
3 Queste condizioni seguono direttamente dal significato fisico della funzione d’onda (il suo
modulo quadrato fornisce la densità di probabilità) e sono discusse in tutti i testi di meccanica
quantistica.
12
q
soluzione  dell’eq. (1.3): esse q verranno indicate come ‹ S%U;V . Sotto ipotesi
`
molto generali l’insieme delle ‹ S%U;V è "( ;&
 ( in Ž € , per cui l’  
 


*
 
dell’eq. (1.1) può essere rappresentato come

[ X- q
S%U6\ Z V5] ‹ i k+l$m“En0p ‹ S%U;V S9f •” V
‹’‘
ove ‹ sono coefficienti (complessi) arbitrari.
‘ Possiamo schematizzare il suddetto procedimento nel modo seguente.
L’originaria equazione di Schrödinger alle derivate parziali (1.1) è stata ridotta –
mediante l’introduzione di un parametro arbitrario – ad un’equazione differen-
ziale ordinaria. La richiesta di regolarità imposta alla funzione d’onda porta a
considerare il ; (– 
*8> •C ( ,- ( . associato a quest’ultima equazione.
L’  
 9&
— <

* &
dell’equazione di Schrödinger di partenza può allora
essere ottenuto come opportuna combinazione lineare delle @ (9M !* (  in
questione.
Vogliamo osservare che questo è proprio il modo in cui Schrödinger è ar-
rivato alla sua equazione – non a caso il titolo dei suoi lavori è “Quantizzazione
come problema agli autovalori” ˜ .
1.2 – L’approccio di Feynman ™ all’equazione di Schrödinger (1.1) è

<2  #1
*+
B2,'
  ( . La sua proposta consiste nel considerare 2 "
0 1
 

4 Supponiamo (per semplicità) che nessuno degli autovalori dell’eq. (1.3) sia degenere.
5 Si veda il Quaderno di Fisica Teorica: S. Boffi, š/›JœF ž žw›.Ÿ' &žw›J¡9¢#¢|J£oŸ¡ (1991).
6 Richard Phillips Feynman (1918–1988) è considerato, per consenso pressoché unanime, il
più grande fisico teorico del dopoguerra. A lui si devono risultati fondamentali in vari settori
della fisica teorica, il più importante dei quali è la rappresentazione diagrammatica di una
generica espansione perturbativa, che semplifica enormemente i calcoli in teoria quantistica
dei campi (si tratta dei famosi ¡. ›¤.¥ ›.¦§¦Q ¨¡. Q©<«ª.Ÿ-¦¨›.Ÿ ). Sottolineiamo che egli è
giunto a questo risultato proprio applicando l’“  )Ÿ-¬%?¤.¥ ›*¢|e­ ®E /ž ›.¦Q¦Q #Ÿ'  ” all’elettrodinamica
quantistica. Libertà e anticonformismo, combinate con una grande creatività, hanno spinto
Feynman a ripensare in modo autonomo gran parte della fisica teorica. Egli possedeva
anche notevoli doti di “attore”, che lo rendevano un eccezionale didatta: sono giustamente
famose le sue lezioni di fisica (R. P. Feynman, š/›¨©  #­w ž ›¡.  ©<«ª.Ÿ'¦¯›.Ÿ (Addison-Wesley,
Reading, 1968)). Si narrano innumerevoli aneddoti in cui Feynman è protagonista di
situazioni curiose o impensabili; alcuni li racconta egli stesso nei suoi libri autobiografici:
R. P. Feynman, °&±'®¥ ²¢ ªCª³.®+´ ¥ µ9³"¶ )Ÿ¤.·;œB¥9¸x©<«ªŸ'¦¨›.Ÿ/¹ºB»6¡.¼.²Ÿ-¬?®¥ «­5³ ½5›F¾®¥« ³.®­
¾
Á ¿-›.¥ ›ž²¬²¥ , Norton, New York (1985) (trad. it., °&±'¬$›:­«ž«¿'«¥0À"›.Ÿ¡³:œB¥9¸1©<«ª.Ÿ'¦¨›.Ÿ¹º
Ä  #¬›Â¨»D¼¼.«Ÿ'¬®E¥ H¡. D®Ÿ³F­«ž9 ²ŸÀ9 ›.¬$³Âž²®¥« ³.­«³ , Zanichelli, Bologna (1988)); °«Ã¿-›.¬
³1ų.®T¾+›.¥ Fÿ-›.¬§£o¬)¿'«¥QÆo ³«Ç¢|ƒÈ<¿ )ŸE¶É*ºT©®E¥w¬)¿'²¥h»6¡.¼.²Ÿ-¬?®¥ «­¨³ ½L»¾®¥« ³.®­
¾ ¿-›.¥ ›ž²¬²¥ , Norton, New York (1988) (trad. it., °0¾¿'J¬"´  )¦DÇ-³.¥w¬$›¡. xž² Â
 ʳ žw¿'B¡. žw¢…›
¤«Ÿ'¬É*ºË»D¢ ¬¥ B›.¼¼*«Ÿ'¬®¥ B¡. Ì®Ÿ³:­²ž² ?«ŸÀ² ›.¬$³ž²®E¥w ³.­«³ , Zanichelli, Bologna (1989)).
Ne riportiamo qui soltanto uno, che riguarda direttamente l’argomento trattato nel presente
Quaderno. L’idea dell’“  )Ÿ'¬$¤.¥ ›*¢|B­w® hž ›.¦Q¦Q )Ÿ'  ” venne a Feynman da una precedente
osservazione di Dirac, in cui si affermava che una certa grandezza quantistica è ›.Ÿ›*¢…³ ¤›
ad un’altra classica. Egli riuscı̀ a dimostrare – cosa di fondamentale importanza – che in
realtà tali grandezze sono Ç¥ ³«ÇE³.¥ À² ³.Ÿ›*¢   . Successivamente, ebbe l’occasione di parlare con
Dirac di queste questioni e non resistette alla tentazione di dirgli: “Sai che quelle grandezze
sono proporzionali?”. Dirac, stupito, chiese: “Davvero?”. “Sı̀”, rispose Feynman, al che
l’unico commento di Dirac fu: “Oh, interessante!”. Il lettore può trovare molte informazioni
13

l’eq. (1.1) fissando l’attenzione sul cosiddetto  (  < ( "


:= %?*% ( – che
indicheremo con Í%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡-Ï – vale a dire su quella particolare soluzione (nelle
variabili U6\ Z ) che è definita dalla condizione iniziale

Í0Ue\ Z ‡ Î U ‡ \ Z ‡ Ï ]zÐS%U1^U ‡ V S9f |Ñ V

ove ÐS%U3^ËU ‡ V è la funzione delta di Dirac. Fisicamente Í%Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ Ï fornisce


l’Ô 
"!!2o% !* ( 
da S%U ‡ \ Z ‡ V a S%Ue\ Z V e la corrispondente  (<–  – $#xÒ Ó
=+%?*%  *Õ32L% @.&! ( 
è data da

Öx× `
S%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ VL] Î Í0Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ Ï Î S9f •Ø V

Osserviamo che la notazione Í0Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ Ï è estremamente opportuna, in quanto


il propagatore quantistico da S%U ‡ \ Z ‡ V a S%U6\ Z V è proprio il prodotto scalare di
due autostati dell’operatore posizione in descrizione di Heisenberg (uno a
Z ‡ e l’altro a Z ). L’importanza del concetto di propagatore risiede nel fatto
che
[
un’  – [ %  *0 soluzione dell’eq. (1.1) individuata dalla condizione iniziale
S%Ue\ Z ‡ Vhg ‡ S%UoV può essere rappresentata come
Ù €
Ú
[ r [
S%Ue\ Z Vh] U ‡ Í%Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ Ï ‡ S%U ‡ V S9f |Û V
€
k
È facile verificare quest’ultima affermazione se si tiene conto che Í0Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ Ï
soddisfa per definizione l’eq. (1.1) nelle variabili Ue\ Z . Inoltre dall’eq. (1.6)
segue
Ù €
Ú
[ r [
S0Ue\ Z ‡ VL] U ‡ Í%Ue\ Z ‡ Î U ‡ \ Z ‡ Ï ‡ S%U ‡ VL]
€
Ù € k S9f |Ý V
Ú
r [ [
U ‡ ЏS0U1^ÜU ‡ V ‡ S%U ‡ VL] ‡ S0U;V
€
k
Ä Á
sull’opera di Feynman in: R. P. Feynman, È<¿' «¼.²¢…³«Ç¦C«Ÿ'¬;³ ½Þ¬&¿'Ì±*ÇE›žw9ß«È )¦C  ?«à
³ ½âáo®-›.Ÿ'¬Á ®E¦äã;¢| ž9¬¥ ³¡.ªŸ›.¦Q ž²­ , Science 153, 699 (1966); S. S. Schweber, ©<«ª.Ÿ'¦¯›.Ÿ
›.Ÿ¡H¬)¿'  )­ ®'›*¢  …À"›.¬ ³.Ÿ1³ ½h±*ÇE›žw²ß²È )¦CQÆ¥ ³žw«­w­²«­ , Rev. Mod. Phys. 58, 449 (1986).
Si veda inoltre il fascicolo di Physics Today (febbraio 1989) dedicato a Feynman.
7 Considereremo sempre distribuzioni di ampiezza o di probabilità relative a variabili ž ³.Ÿß
¬ )Ÿ'®' (usualmente la posizione di una particella), per cui non ha senso parlare di ampiezza
o di probabilità di ottenere un ­  )Ÿ¤³*¢…³ valore (essa è sempre nulla!). In realtà, le
ampiezze o probabilità di cui ci occuperemo sono delle ¡«Ÿ'­  )¬ʛ ; ad esempio å@æ (çè0é²ê ç 0 è0é 0 )
nell’eq. (1.7) è una densità nella variabile ç . Questa osservazione ci permette di omettere
(per semplicità di linguaggio) l’attributo ¡«Ÿ'­  )¬ʛ . Ci auguriamo che ciò non tragga in
inganno il lettore!
14

Pertanto la conoscenza del propagatore permette di calcolare un’  – %%  *%
soluzione dell’equazione di Schrödinger. Questo fatto – non sempre apprez-
zato appieno – costituisce il  "
*E/ ( . (BM*( +2/1
*  &
alla formulazione di
Feynman della teoria quantistica. È opportuno osservare che, benché l’uso del
propagatore per risolvere l’equazione di Schrödinger non sia certo opera di
Feynman ë , egli è stato indubbiamente il primo a capire il ruolo cruciale che
esso gioca in meccanica quantistica.
1.3 – Sussiste una notevole relazione fra il propagatore dell’equazione
di Schrödinger (1.1) ed il problema agli autovalori associato all’eq. (1.3).
Abbiamo infatti

€
q qhî X-
Í%U+ì|ì%\ Z ì…ì Î U+ì0\ Z ì Ï ]  ‹ S%U+ì…ìV ‹ %
S +
U ?
ì 
V i +
k 
l +
m 
“ #
ï 0
n ñ
ð 
ð +
k %
n 
ð %
ò p S9f fy<V
‹ ío‡
/

Vogliamo dimostrare l’eq. (1.10). Usando la ben nota legge di trasformazione


fra le descrizioni di Heisenberg e di Schrödinger, possiamo scrivere
õ X-
Í%U+ì…ì%\ Z ì…ì Î Uì \ Z ì Ï ]óÍ0U+ì…ì Î i k+lô ï#n0ðñð$k n0ð)ò%p Î U+ì Ï S9f ff-V

ove Î U Ï è l’autovettore (associato all’autovalore U ) dell’operatore posizione


÷
in descrizione di Schrödinger e ö l’operatore hamiltoniano corrispondente
÷
all’eq. (1.1). Scriviamo il problema agli autovalori per ö nella forma
÷ a
ö Îø Ï ] tC‹ Î ø Ï S9f f V

supponendo che l’insieme degli autostati Î ø Ï sia ortonormale e completo.


Naturalmente proiettando l’eq. (1.12) sullaq rappresentazione delle coordinate
si deve ritrovare l’eq. (1.3), il che implica ‹ S%U;Vh]óÍ%U Î ø Ï . Allora segue
õ X-
Í%Uì…ì%\ Z ì|ì Î U+ì0\ Z ì Ï ù ] Í%U+ì|ì Î i kl@ô ï#n%ðñð$k n0ð&ò%p Î U+ì Ï ]
€
õ X-
 Í%U ì…ì Î ik+lô ï#n ðñð k+n ð ò%p Î ø Ï Í ø5Î U ì Ï ]
‹/ío‡
€
X- S9f f { V
 Í%U ì…ì Î ø Ï Í ø5Î U ì Ï i k+l$m “ ï#n ðñð k n ð ò%p ]
‹/ío‡
€
q qhî X-
 ‹ %
S 
U …
ì ?
ì V ‹ %
S 
U ?
ì 
V i 
k $
l 
m 
“ •
ï n ñ
ð ð
k n ð 
ò p
‹/ío‡

8 Esso era noto da molto tempo nella teoria delle equazioni differenziali lineari. Si noti che i
matematici parlano di ­²³*¢ ®*À² ³.Ÿ/;½«³.Ÿ¡›.¦C«Ÿ'¬$›*¢| anziché di Ç¥ ³«ÇE›¤›.¬$³.¥  .
15

che è proprio l’eq. (1.10).


Notiamo infine che il propagatore soddisfa la " ( +
 2!* ( ;
Â2L%  *
 Ò
î
Í%U ì…ì \ Z …ì ì Î U ì \ Z ì Ï ]óÍ%U ì \ Z ì Î U ì…ì \ Z …ì ì Ï S9f f „ V

Essa è conseguenza diretta dell’hermiticità dell’hamiltoniana, come si vede


facilmente usando l’eq. (1.11).

2. Aspetti dell’integrale di Feynman
2.1 – La formulazione di Feynman fornisce il propagatore dell’equazione
di Schrödinger come  
 
C   (  
 9&
ƒ24D
*7'8 ). Risulta
quindi possibile calcolare il propagatore quantistico 
! che sia necessario
risolvere l’equazione di Schrödinger. Sottolineiamo che è proprio quest’ultima
circostanza che rende questo approccio cosı̀ importante da un punto di vista
applicativo. Infatti, anche nei casi in cui non si riesca a calcolare esatta-
mente l’integrale di Feynman, è peraltro possibile sviluppare nuovi metodi di
soluzione approssimati ú .
2.2 – Pensiamo di fare cosa utile al lettore mostrando – nel semplice caso
dell’equazione di Schrödinger (1.1) – come l’integrale di Feynman emerga
in modo naturale partendo dalla usuale formulazione operatoriale della teo-
ria quantistica. Questo modo di procedere è, in un certo senso, ( / ( . ( a
quello originario di Feynman (si veda il paragrafo 2.4 e l’articolo tradotto):
egli ha infatti 2<
* *,-/ ( l’equazione di Schrödinger e l’algebra degli operatori
assumendo il suo integrale sui cammini come  ( *%)/ ( (a cui giunge con con-
siderazioni euristiche). Sfortunatamente è quasi impossibile rendere l’integrale
di Feynman un concetto matematicamente rigoroso } ‡ e la definizione datane
da Feynman stesso può apparire (pensiamo a ragione!) troppo “ingenua” }"} – ci
sembra che il procedimento esposto qui sotto sia un compromesso accettabile
`
fra rigore formale e semplicità concettuale } . û ü
Consideriamo preliminarmenteû due operatori ö e ö definiti su un certo
ü
spazio di Hilbert. Supponiamo che ö e ö  (  commutino, cosicché si avrà
9 Oltre ai testi citati nella bibliografia, si veda in particolare il libro: L. S. Schulman, ȝ žw¿Eß
Ÿ' ý²®'«­§›.Ÿ¡¯»oÇÇ¢  &žw›.¬ ³.Ÿ'­5³ ½ÌÆo›.¬)¿þ Ÿ-¬%?¤.¥ ›.¬ ³.Ÿ (Wiley, New York, 1981).
10 Non vogliamo addentrarci in queste difficili questioni che – di fatto – non condizionano
minimamente le applicazioni fisiche. Il lettore interessato a questi aspetti matematici
può consultare i seguenti lavori di rassegna: S. A. Albeverio and R. J. Hoegh-Krohn,
œâ›.¬)¿'«¦¨›.¬ žw›*¢Ìȏ¿' ³.¥«ª:³ ½Q©<²ªŸ'¦¨›.Ÿ1Æo›.¬)¿:þ Ÿ'¬?¤.¥ ›*¢ ­ (Springer, Berlin, 1976); C. De
Witt-Morette, A. Maheshwari and B. Nelson, Phys. Rep. 50, 255 (1979).
11 Il vantaggio di derivare l’integrale di Feynman dall’approccio operatoriale è di ragionare in
modo matematicamente più soddisfacente.
12 Seguiamo (in modo semplificato) un metodo proposto in: E. Nelson, J. Math. Phys. 5, 332
(1964). Rimandiamo il lettore a questo articolo per maggiori dettagli riguardo al presente
paragrafo. La ½«³.¥«¦Q®E¢…›ƒ¡. LÈ-¥ ³.¬¬«¥ è discussa in: H. Trotter, Proc. Am. Math. Soc. 10,
545 (1959).
16

ÿ Ù ÿ
i ô ô ]i ô i ô
 S
a
fEV

È pertanto un fatto notevole che – sotto ipotesi piuttosto generali – si abbia


invece
 ÿ   

ÿ Ù a a
i ô ô ] lim
:€ i ôp i ô p S V

che è essenzialmente la M*( *&2  ( 0


* . Come vedremo, l’integrale di 
Feynman altro non è che una conseguenza di tale formula, combinata con
un’osservazione dovuta a Dirac!
Fissiamo ora l’attenzione sul propagatore Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï dell’equazione di
Schrödinger (1.1). Ponendo
W
a
g - S Z ì…ì ^
XJ Z ì V.\ S |{ V
÷
ö g

ö c Rö
a
S …„ V

e facendo uso dell’eq. (1.11) possiamo scrivere

Í0U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï ]óÍ%U ì…ì Î i k <ï'ô Ù  ô ò Î U ì Ï a


S •” V

che – in virtù della formula di Trotter (2.2) – diventa

 ô p  i k  ô p  V 
Í%U ì|ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï ]  lim
F€ %
Í U …
ì ì Î
S i k ÎU ì Ï
a
S |Ñ V

È ben noto che la relazione di completezza per gli autostati dell’operatore


posizione (in descrizione di Schrödinger) Î U Ï si scrive
Ù €
Ú
r a
U Î U Ï Í0U Î ]_f S •Ø V
€

 i k x ô p 
k

Inserendo l’eq. (2.7) fra gli  fattori i k §ô p che sono presenti


nell’eq. (2.6) abbiamo

 i k x ô p  Î U 
Ù € Ù €
Ú Ú
Í%Uì…ì%\ Z ì…ì Î U+ì \ Z ì Ï ]  lim
:€ ˆˆˆ Í0U+ì…ì Î i k §ô p
k }
Ï ˆ
k  k  
€ € a
r 
Í%U  Î i k 5ô p i k Ìô p Î U  ` Ï U  ` ˆˆˆ
S |Û V
r
U
k }
r
k }    k
U Í%U Î ik Qô p ik xô p Î U ì Ï
k
} }
17

È conveniente porre U ì g U ‡ e U ì…ì g U  , cosicché l’eq. (2.8) può essere


riscritta nella forma più compatta }w†

  k }  k }
Í%Uì…ì%\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì Ï

  
Ù € Ù €

Í%U  Ù Î i k §ô p i k xô p Î U  Ï
Ú Ú
]  lim
:€
€
ˆˆˆ
€ í }
r
U
l 
ío‡
}
k k l a
S |Ý V

Questa equazione – che segue direttamente dalla formula di Trotter – esprime il


propagatore Í0U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï in funzione del propagatore relativo ad un intervallo

di tempo  L 
* ( (vale a dire S Z ì…ì ^ Z ì V     
   
per ‚ ).
( (
Calcoliamo ora il ; @E // "
 L%
..$ ( Í%U Ù
}
Îi k ô p i k ô p ÎU Ï . 
È evidente che qui R ö non è altro che R1S%U;V , quindi

Í%U  Ù } Î i k § ô p  i k x ô p  Î U  Ï ]i k  ï ~  ò%p  Í0U  Ù } Î i k § ô p  Î U  Ï S


a
fy<V


Analogamente alla eq. (2.7), per gli autostati dell’operatore impulso (in de-
scrizione di Schrödinger) Î Ï abbiamo
Ù €
Ú
r
 Î  Ï Í DÎ ]_f S
a
ff-V
€
k
che ci permette di scrivere

   Í%U  Ù } Î i k ô p  Î   Ï Í   Î U  Ï
Ù €

Í%U  Ù Î i k ô p Î U  Ï
Ú
r a a
] S f V
}
€
k

Nel caso in questione ö ] ö



 `  a'b
, che (per definizione) è diagonale nella
rappresentazione dell’impulso, cosicché

Í%U  Ù Î i k §ô p Î   Ï ] i k "! p `$#  Í0U  Ù } Î   Ï S
a
f { V
}

Inserendo l’eq. (2.13) nell’eq. (2.12) otteniamo

13 Sottolineiamo il fatto che la presenza di un indice nell’eq. (2.9) è pura conseguenza dell’uso
¥«  Ç'«¬®¬³ dell’eq. (2.7).
18

   ik  ! p `#  Í%U  Ù } Î   Ï Í   Î U  Ï


Ù €

Í%U  Ù Î ik ô p Î U  Ï
Ú
r a
] S f „ V
}
€
k


Ma Í%U Î Ï è l’autofunzione dell’impulso (corrispondente all’autovalore ) nella 
rappresentazione delle coordinate, cioè

Í%U Î Ï ] 
q
 S0U;Vx] % a'f & X- i l( ~ p X- S
a
f ” V

quindi possiamo riscrivere l’eq. (2.14) come

   i k  ! p `$#  i l(  ï ~*),+ k ~ ò%p -


Ù €

Í%U  Ù Î i k §ô p Î U  Ï ] a'& X-
Ú X
f r a
S f Ñ V
}
€
k

L’integrale che figura nell’eq. (2.16) è /<0 ( e può essere calcolato facil-
mente usando la ben nota formula } 

Ú
Ù €
.- i k /10 ! Ù32 0 5 &6 2
] 4 i ! p  /
r a
S f Ø V
€
k

Otteniamo

:9
Í%U Ù } Î i k 5 ô p  Î U  Ï ]87 a'&b X- `  a VS%U  Ù  V ` < X+- `>=
`
} p
exp ^âS ; b
}
^ U
a
S f Û V

A questo punto è conveniente porre ?


S Z ì…ì ^ Z ìV a
g
 S f Ý V

14 Va tenuto presente che nell’eq. (2.17) sia che sono numeri  )¦§¦¨›¤. )Ÿ›.¥«  , per cui è
necessario effettuare una continuazione analitica. Essa è a ¡.® valori, dando cosı̀ luogo ad
@ A
una ambiguità di fase. Si ottiene tuttavia il risultato corretto anche procedendo in modo
ingenuo. Questo punto è spiegato in: B. Felsager, D ³.¦C«¬¥«ª.·LÆ;›.¥«¬ ž9¢|«­B›.Ÿ¡:© ?²¢…¡.­
(Odense University press, Odense, 1981).
B
19

Inserendo l’eq. (2.18) nell’eq. (2.10) ed usando le eq. (2.3) e (2.19) abbiamo
infine l’espressione
. ;•  %  del propagatore infinitesimo
?'E
Í%U Ù } Î i k 5?H ô G p  i k x ô p  ? Î U  Ï ]DK C a'&;W X- } p ` ˆ b

U  Ù ^ÜU 
a a

^ R8S%U  VMLON
b ` S y<V
exp H F S  V aJI }
W X-

Questa espressione del propagatore infinitesimo è stata suggerita per la prima


volta da Dirac } ˜ . Non era invece chiaro a Dirac come ottenere il propa-
gatore relativo ad un intervallo di tempo h ( }w™ . Oggi sappiamo – 
 
1
 * ( 2ƒ46
7'8 – che Í%U ì|ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï è dato da  L%
"( , ( •/!* (   
del propagatore infinitesimo, secondo l’eq. (2.9) (come abbiamo visto, ciò

    
deriva dalla formula di Trotter). Esplicitamente, è ora sufficiente inserire
Í0U Ù Î i k Qô p i k xô p Î U Ï – dato dall’eq. (2.20) – nell’eq. (2.9) } Ó :
}

?QE  Ù € Ù €   k }
b ` Ú Ú
:€ C aQ&;W X-
P  lim r
R
p
?H‡ G
Í0U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï ]
?
ˆˆˆ U ˆ

k K
l
 k } € € í
l } a a

U  Ù ^ÜU 
k S f-V
 VTLUN
b `

 F
exp B S  V
W X-
aSI } ^uR1S%U
ío‡

Ma
?HG ? K`
 k }
U  Ù ^ÜU 
^uR1S%U  VTLUNd]
b
exp FBS  - V a I
W X
 íއ ? G }
? K
WYX W X-  k } b U  Ù } ^U  `
a aa
S V

exp V S  V  ^ËRTS%U  VTL[ZY\


 a I ío‡
]
15 P. A. M. Dirac, Phys. Zeit. der Sowjetunion 3, 64 (1933). Questo articolo è ristampato in:
±/²¢| ž9¬ ¡JÆo›«Ç-«¥«­L )Ÿ1áo®'›.Ÿ-¬?®¦ ã¢| ž²¬¥ ³¡.ª.Ÿ›.¦Q ž²­ , J. Schwinger ed. (Dover, New York,
1958). Si veda anche: P. A. M. Dirac, þQÆ¥« #Ÿž²  Ç Ì¡²¢)¢…›ƒœF ž ž ›.Ÿ' ž ›1áo®'›.Ÿ-¬? #­w¬ ž › (IV
ed.) (Boringhieri, Torino, 1959), cap. 32.
16 È a questa circostanza che si riferisce l’aneddoto riportato nella nota 6 (ritorneremo su

cYced ^5fc _ag ` b:_


questo punto nel capitolo 4).
17 È evidente dall’eq. (2.19) che il limite implica 0 (e viceversa), in quanto
l’intervallo di tempo considerato é é è ­ ­«³ . Per maggior chiarezza indicheremo
entrambi i limiti, nonostante essi Ÿ³.Ÿ siano indipendenti.
20

per cui otteniamo in definitiva

?QE  Ù € Ù €   k }
b ` Ú Ú
:€ C aQ&;W X-
? P  lim
r
R
p
‡ G
Í0U+ì…ì%\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì Ï ] ˆˆˆ U ˆ
?
l
k K
€ € í

W X W X- k } b U  Ù } ^ U 
k l } S
a a
{ V

 VTL Z] \
`
exp V S  V 
 ío‡ a I ^ËRTS%U

h
Questa è l’
. ; "
.". ( 
L+&
del propagatore quantistico come  
 
12
4D
*7'8 . Vedremo nel paragrafo successivo che l’eq. (2.23) può essere
riscritta in modo più compatto ed elegante. Tuttavia è bene tenere sempre
presente che ogni altra espressione equivalente  (  ha alcun significato diverso
da quello mostrato
. #   1
* 
dall’eq. (2.23).
2.3 – A questo punto il lettore potrebbe chiedersi (giustamente!) dove
siano i “  h2Ì46
7- 8 ” }wë .
Al fine di rispondere a questa domanda è conveniente porre

?QE  Ù € Ù €   k }
ji P g C aQ&;W X- p ˆˆˆ b
r
l
` Ú Ú

? G
Í0U+ì…ì%\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì Ï
? k K
€ € í }
U ˆ

W X W X-  k } b U  Ù } ^ÜU  `
l a a
k S „ V

exp V S  V  ^uR8S%U  V LUZ \


 ío‡ a I ]
cosicché l’eq. (2.23) assume la forma

ji P
P  lim
a a
Í%U ì|ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï ] F€ Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï S ” V
‡
? ?
Discretizziamo ora l’intervallo di tempo considerato Z ì…ì ^ Z ì mediante ^Šf
W  
Z ‡ g Z ì, Z 
punti intermedi equidistanti Z , Z ` , ˆˆˆ , Z
g Z ì…ì , y
W
lk km
} k }
spaziati di (Z ] Z ‡ c
l
,
) (si noti che questa discretizzazione era già
stata usata $;•  % 1
 
nell’applicare la formula di Trotter). Ragionando
nello spazio delle configurazioni
..
* ( S%Ue\ Z V } ú , il generico insieme di punti

18 Talvolta essi sono anche detti ­ ¬³.¥w ? .


19 Esso si ottiene rappresentando geometricamente il tempo come ®E¢ ¬«¥« ³.¥  coordinata.
21
n U ì \9U o  p
}
\ˆˆˆ\9U \ˆˆˆ\9U
k }
\9U ì…ì che figura nell’eq. (2.24) può essere interpre-
`
tato come l’insieme dei vertici di una  
!"!  ‡ S²ˆˆˆ\9UDS Z V*\ˆˆˆ#V definita Oq  o
nel modo seguente

q n UDS Z ì?VLg Uì0\9UDS Z VLg U \ˆˆˆ-\9UDS Z oVLg Uo\ˆˆˆE\


o
S²ˆˆˆ\9UÌS Z V*\ˆˆˆ)VLg
UÌS Z  VLg U  \9UÌS Z ì…ì VLgzU ì…ì p
} }
k } k } a a
S Ñ V

Indichiamo con r ji P S%U ì \ Z ìs U ì…ì \ Z ì…ì V l’insieme di %@0


le q  S²ˆˆˆE\9UDS Z oV.\ˆˆˆ)V
con estremi fissi UDS Z ì VTg U ì , UÌS Z ì|ì V1g U ì…ì . Dato che q  S²ˆˆˆ\9UÌS Z  o V.\ˆˆˆ)V è
completamenten caratterizzata dai suoi vertici, l’eq. (2.24) non è altro che la
 ( 8 di exp ˆˆˆ p su r ji P S%U ì \ Z ì s U ì…ì \ Z ì…ì V . Alla luce di questa osservazione è
conveniente riscrivere l’eq. (2.24) come

?QE  Ù € Ù €   k }
ji P ] C a'&;W X- p ˆˆˆ b ` Ú Ú
r

? G
Í0U+ì…ì0\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì Ï
? €
kK
€ í
UDS Z V
l
ˆ


WYX W X- k } b UÌS Z  Ù } VD^UÌS Z  V `
k l } S
a a
Ø V

exp V S  V 
 a I ^ËRTS%UÌS Z VV  TL[ZY] \
ío‡

Ricordando che (nel caso in questione) l’azione classica calcolata lungo una
arbitraria traiettoria UDS Z V è
9
t s UDS²ˆ•Vwv n ñð ð ]
Ú n ðñð
r
Z 7 af bvUÌu S Z V ` ^uR1S0UDS Z VV S
a a
Û V


scopriamo che la sommatoria nell’eq. (2.27) è proprio l’ E! ( 
 &'   cal-
colata lungo la spezzata q
S²ˆˆˆE\9UDS Z V.\ˆˆˆ&V . Quindi possiamo scrivere o
?'E  Ù € Ù €   k
ji P w
Í%U ì…ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï ] C a'&;W X-
b
p
` Ú
ˆˆˆ
Ú
} r
UÌS Z V
l  ˆ
a a
€ € í S Ý V
W X ty
l }
exp xDS  - V q 
k k
o
S²ˆˆˆ\9UDS Z V.\ˆˆˆ)V n0ðñð

{z }|
20 Come ­$Ç- À À"›.¬$› intendiamo un insieme discreto di punti uniti da segmenti. Una curva ordi-
naria può essere definita specificando i suoi punti in funzione di una variabile indipendente
é . Analogamente si può fare per una spezzata, solo che ora l’insieme dei punti (vertici) è
discreto anziché continuo.
22
?
 q
~   o
Naturalmente quanto detto vale per arbitrario. Consideriamo ora il li-
mite ‚ ( y ). Al crescere di una spezzata S²ˆˆˆE\9UDS Z V.\ˆˆˆ)V

r Oi P
Z
approssima vieppiù una curva continua UDS V (con gli stessi estremi), fino a coin-

‚ . Pertanto l’insieme S%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V s
€r s
cidere con questa nel limite
diventa lo  E!* ( 2
*   xS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì|ì V , cioè l’insieme delle funzioni

r ji P
(reali) continue UÌS Z V con estremi fissi UÌS Z ì V¯g_U ì , UÌS Z ì|ì V¯gäU ì…ì . Quindi nel li-
 ‚ l’eq. (2.29) da somma su S%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V diventa una  ( 8 s
r s
mite
`
su LS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V . È altresı̀ evidente che }

P  lim
F€
t y q  o
S²ˆˆˆ\9UDS Z V.\ˆˆˆ)V n0ðñð ] {z t s UÌS²ˆ•Vwv n0ðñð
a
S |{ y<V
‡ nð nð

cosicché dalle eq. (2.25), (2.29) e (2.30) otteniamo

ƒ‚
Ú
Í%U+ì…ì%\ Z …ì ì Î U+ì0\ Z ì Ï ] UÌS Z V9ÐS%U+ì…ì@^UDS Z ì…ì?VV9ÐS%Uì@^ÜUDS Z ì$V"V.ˆ a

x S  Vt
S |{ -
f V
W X-
exp D s UDS²ˆ•V"Vwv n%ðñð
nð | \

avendo posto (molto formalmente!)

‚ ?E 
C a'&;W X p  k } r UDS Z
b `

P  lim
a a
UÌS Z Vxg :€ - V S |{ V
l
‡ í }
l

r s
Le due funzioni delta di Dirac nell’eq. (2.31) servono unicamente ad indicare
in modo esplicito che si sta sommando su xS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V . Molto spesso, la
rappresentazione di Feynman del propagatore quantistico è scritta proprio nella
`"`
forma (2.31) .
Siamo cosı̀ giunti in modo naturale al concetto di “  ( 8â   ”
„
come #$%
:2D$ L%%L$+
 • ( 2$+ * . È invalso l’uso di parlare a questo
proposito di $ 
 
—2Q4D
*7'8 (uso a cui del resto anche noi ci siamo
attenuti). Va però precisato che tale denominazione è  (  *% , perché

21 … † ‡$‡M‡ ˆ $‡$‡M‡
Si noti che [Γ ( 9è%ç (é ) è )] è una somma di Cauchy-Riemann. Inoltre [ç ( )] nel
secondo membro dell’eq. (2.30) è un  )Ÿ-¬%?¤.¥ ›*¢|¨¡.  o ?«¦¨›.Ÿ'Ÿ . Avvertiamo però il lettore 3‰ … ‡
che questo secondo fatto Ÿ³.Ÿ è una conseguenza ³.¼¼" &› del primo (questo punto verrà
chiarito nel paragrafo 2.6).
22 Per ovvi motivi, l’eq. (2.31) è spesso detta forma ¢…›¤.¥ ›.Ÿ¤* &›.Ÿ› dell’integrale di Feynman.
Ne esiste anche una (equivalente) forma ¿-›.¦Q &¢ ¬$³.Ÿ' ›.Ÿ› . Strutturalmente, quest’ultima
è molto simile all’eq. (2.31), ma vi sono due differenze essenziali: (i) i ž ›.¦Q¦Q )Ÿ'  sono

… ‡ ‹Š ‡ … ‡
ora funzioni a valori nello ­$ÇE›À² ³:¡²¢)¢|6½«›.­   (anziché nello spazio delle configurazioni);
(ii) l’azione [ç ( )] scritta in termini della lagrangiana è sostituita dalla (stessa) azione
[ç ( ) è ( )] definita sullo spazio delle fasi, in cui compare l’ ¿-›.¦Q &¢ ¬$³.Ÿ' ›.Ÿ› . Oltre al già
citato testo di Schulman, si veda anche: C. Garrod, Rev. Mod. Phys. 38, 483 (1966).
23

esso  (  è (da un punto di vista matematico) un’integrale su uno spazio di


`
funzioni † (integrale funzionale). Più semplicemente, in questo contesto la
parola integrale (ed il relativo simbolo) è da intendersi  (  ( come sinonimo di
 ( 8 (su un insieme di funzioni). Ulteriormente – per quanto suggestiva
l’eq. (2.31) possa apparire – va ricordata l’osservazione fatta alla fine del
paragrafo precedente.
Benché l’eq. (2.31) sia stata derivata qui nel caso unidimensionale in cui è
presente solo un potenziale scalare stazionario R1S%U;V , essa vale anche nel caso
`
multidimensionale per un’azione classica del tipo 

9
t s UÌS²ˆ•Vwv n ñð ð ]
Ú n ðñð
r
Z 7 af bŒU u l S Z V U u l S Z VocŽ S%UÌS Z V*\ Z V U
u S Z VD^lBS%UÌS Z V*\ Z V a
S |{{ V
nð l l

L’eq. (2.31) corrispondente a quest’ultima forma dell’azione classica va ancora


definita come limite di un’espressione discretizzata, molto simile a quella che
figura nell’eq. (2.23). Vi è però un’  (   
2 G
 
! . Nell’espressione
  
(2.20) del propagatore infinitesimo fra U e U Ù , R1S%U;V è calcolato in U .
 }
Ora invece ƒS0Ue\ Z V va calcolato nel ;  ( $+
* *1
2 ( U g S0U cŠU Ù V
}
a ‘    
nell’analoga espressione del propagatore infinitesimo. Ciò si riflette nell’i-
dentica prescrizione per quanto concerne la forma discretizzata dell’eq. (2.31)
`
(simile all’eq. (2.23)) ˜ (a questo proposito si veda l’articolo tradotto).

23 Ciò è stato dimostrato in: R. H. Cameron, J. Math. and Phys. 39, 126 (1960). Sot-
tolineiamo che le difficoltà matematiche menzionate all’inizio del paragrafo 2.2 traggono
origine proprio da questo fatto.
24 È immediato accorgersi che questa azione classica ha la forma tipica dell’interazione di
una particella con un campo elettromagnetico o gravitazionale esterno nell’approssimazione
semirelativistica. In realtà, l’eq. (2.31) vale anche per azioni classiche [ç ( )] Ç ®Q
Ê ¤«Ÿ/«¥ ›*¢  
dell’eq. (2.33). Un esempio è quello di spazio delle configurazioni ž9®¥«¼³ . Rimandiamo
… ‡
il lettore al testo di Schulman. È opportuno tenere presente che l’eq. (1.11) vale ­«³*¢…³ se
l’hamiltoniana Ÿ³.Ÿ dipende dal tempo (invece l’eq. (1.14) ha validità generale).

g Hg
25 L’origine matematica di questo fatto verrà spiegata nel paragrafo 2.6. Discutiamo qui
invece il suo ­  |¤.Ÿ'  ž ›.¬$³ ­  žw³ (si tratta di una tipica situazione in cui una difficoltà

quantistica è l’esistenza delle cosiddette ›.¦ ² |¤.®E #¬E1 “’


matematica ha una radice fisica). Un problema che ha preoccupato i fondatori della teoria
ʛ ¡. 5ý9®-›.Ÿ'¬ |À À"›À² ³.Ÿ/ . Si supponga
che nell’hamiltoniana ž¢…›.­ ­  žw› compaia un termine in cui l’impulso è moltiplicato per
una funzione delle coordinate (questo è effettivamente quanto avviene nel caso descritto
dall’azione (2.33)). Come è ben noto, la corrispondente hamiltoniana ý²®'›.Ÿ-¬? #­w¬ ž › si ottiene
sostituendo gli operatori alle grandezze classiche. Ora, gli operatori posizione e impulso
Ÿ³.Ÿ commutano, quindi vi sono Ç ® Ê hamiltoniane quantistiche distinte associate alla ­ ¬²­ ­«›
hamiltoniana classica. Senza ulteriori argomenti (ritorneremo su questo punto più avanti in
questa nota) è privo di significato chiedersi quale di esse sia l’hamiltoniana “giusta”, perché
esse sono concettualmente sullo stesso piano, nonostante portino a risultati diversi. Qual’è
l’origine di queste ambiguità? Storicamente, vi è stata una notevole confusione al proposito.
Inizialmente si riteneva che esse fossero una Ç®¥ ›Bž ³.Ÿ'­9?¤.®«ŸÀ› dell’uso degli operatori.
24

D’ora in poi considereremo il caso generale di uno spazio delle configu-


razioni )%%2$1
@ ( +&
. Al fine di semplificare la notazione,
,%
* "
* (
2h* "
â –( #h,
0 ( .0# ( +2   ogniqualvolta ciò non dia luogo a frain-
tendimenti.

2.4 – Ci sembra molto istruttivo confrontare la derivazione dell’eq. (2.31)


presentata nel paragrafo 2.2 con la strategia seguita originariamente da Feyn-
man (essa è discussa nell’articolo tradotto). Come abbiamo già sottolin-
eato, egli  (  parte dalla formulazione operatoriale della teoria quantistica,
bensı̀ procede in modo euristico: estende il principio di sovrapposizione delle
`
ampiezze e sviluppa un’osservazione – dovuta a Dirac ™ – sul ruolo dell’azione
classica in meccanica quantistica. Cercheremo di riassumere (in modo molto

”
schematico) i punti nodali di tale approccio.

”
Consideriamo una particella û
descritta dall’azione classica (2.33) e fis-
siamo l’attenzione sull’evento “ó,' 2/ S0U ì \ Z ì V: S%U ì…ì \ Z ì…ì V ”. Si noti che
l’ 
"!! (totale) Í%U ì…ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï associata a questo evento non è altro che il
; ( @E // ( "
dell’equazione di Schrödinger (nelle variabili U ì…ì \ Z ì…ì ). A questo

Successivamente ci si è però resi conto che ciò non poteva essere vero: infatti la meccanica
classica può venire espressa in un linguaggio ³«Ç-«¥ ›.¬$³.¥« ›*¢| molto simile a quello quantistico
(B. O. Koopman, Proc. Nat. Acad. Sci. 17, 315 (1931); J. Von Neumann, Ann. of Math.
33, 587 (1932)), mentre la meccanica quantistica può essere formulata nello ­$ÇE›À² ³B¡²¢)¢|
½«›.­   analogamente alla meccanica classica (E. P. Wigner, Phys. Rev. 40, 749 (1932); J. E.
Moyal, Proc. Camb. Phil. Soc. 45, 99 (1949); M. Hillery, R. F. O’Connell, M. O. Scully

‹g
and E. P. Wigner, Phys. Rep. 106, 121 (1984)). L’origine delle suddette ambiguità è dovuto
in realtà all’ ›.­ ­9«ŸÀ›¨¡.  )­«³.¦¨³.¥ ­w¦¨³ fra i gruppi delle trasformazioni canoniche classiche

g
e quantistiche (indipendentemente dalla ¥ ›«ÇÇ¥ «­9«Ÿ'¬$›À² ³.Ÿ/ di tali gruppi nell’ambito della
­?Ç' ž²  ž › formulazione della teoria) (L. Van Hove, Acad. Roy. Belg. Bull. Cl. Sci. Mém.
(5) 37, 610 (1951); T. F. Jordan and E. C. G. Sudarshan, Rev. Mod. Phys. 33, 515 (1961)).
Ciò nonostante è stato ripetutamente affermato che l’integrale di Feynman ²¢  )¦Q )Ÿ› le am-
biguità di quantizzazione, dato che esso non contiene operatori (citiamo un solo esempio: E.
Kerner and W. Sutcliffe, J. Math. Phys. 11, 391 (1970))! Come vedremo nel paragrafo 2.6,
queste ambiguità sono presenti in ®*¤*®-›*¢¦Q #­w®¥ › nella formulazione di Feynman, anche se
compaiono in forma meno evidente. Il primo calcolo esplicito che mostra la Ÿ³.Ÿ invarianza
dell’integrale di Feynman sotto trasformazioni canoniche classiche è stato dato da: S. F.
Edwards and Y. V. Gulyaev, Proc. Roy. Soc. A 279, 229 (1964). Per una discussione molto
chiara e generale si veda: J. L. Gervais and A. Jevicki, Nucl. Phys. B110, 93 (1976). Si
pone quindi il problema di scegliere ®EŸ› hamiltoniana quantistica. Nel caso dell’azione
classica (2.33) la richiesta che la corrispondente equazione di Schrödinger sia invariante
sotto trasformazioni di gauge determina ®Ÿ' )¼³ž ›.¦C«Ÿ'¬ l’hamiltoniana quantistica. An-
ticipiamo che a livello dell’integrale di Feynman ciò equivale proprio alla prescrizione del
Ç®Ÿ'¬$³â¦C ¡. ³ menzionata nel testo. La situazione è meno semplice nel caso di una par-
ticella (non relativistica) in spazio curvo. Qui è piuttosto naturale richiedere l’invarianza
dell’equazione di Schrödinger sotto trasformazioni generali di coordinate. Tuttavia questo
criterio Ÿ³.Ÿ è sufficiente per fissare univocamente l’hamiltoniana quantistica. Se invece si
considera la meccanica quantistica ­ ®Ç-«¥«­  )¦Q¦C«¬¥« &žw› (E. Witten, Nucl. Phys. B188, 513
(1981)) l’invarianza sotto supersimmetria  trasformazioni generali di coordinate determina
ž ³.¦ÌÇ¢|«¬›.¦¨²Ÿ-¬% l’hamiltoniana quantistica (V. De Alfaro, S. Fubini, G. Furlan and M.
Roncadelli, Nucl. Phys. B296, 402 (1988); V. De Alfaro and G. Gavazzi, Nucl. Phys.
B335, 655 (1990)).
26 Si veda la nota 15.
25
`
punto, il primo postulato di Feynman è Ó
` û
F1) Tutte le #
 .%,'
Â2$² $ 
ë secondo le quali l’evento
j•–r s
può realiz-
zarsi sono descritte da  UÌS Z V xS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì|ì V .
Nella formulazione usuale della teoria quantistica si associa una 
"!!
2 ; (<–  – •% Ò (la funzione d’onda!) alla posizione di una particella ad un 
 1—
% "( ) "
istante. L’ %2
 M( +2<1
*+ 
di Feynman è di associare un’ 
"!!
2o; (–  – •% Ò ad ogni )
* *+/%$,' 2$² $   relativa all’evento in questione.
Ne consegue che egli postula l’esistenza della seguente 
"!"! 2H%  ˜—
.&! ( 
associata ad un  
 (   ( UDS Z V j•–r
LS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V s K
Í0U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s D
U S9ˆ•Vwvg I ampiezza che ” a
S |{„ V
si muova lungo UDS Z V

Questa grandezza ha la struttura

û a
Í%U ì…ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²ˆ•Vwvg ÐS%U ì…ì ^ UDS Z ì…ì VVЏS0U ì ^ÜUÌS Z ì V"V s UÌS²ˆ•Vwv S |{/” V

in cui le due funzioni delta di Dirac implicano che tale ampiezza si annulli –
come è ovvio che
`
debba essere– qualora si abbia UDS Z ì V ] U ì e/o UDS Z ì…ì V ] U ì…ì ú .
 
û ‡
Nell’eq. (2.35) s UDS9ˆ•Vwv è un funzionale † continuo determinato dal secondo
postulato
û
F2) Il  ( 2 ( di s UDS²ˆ•V«v è  t
 &
per %@0% i cammini UÌS Z V , mentre la M '

X
data dall’ -!* ( 
 &'".   s UÌS²ˆ•Vwv n ðñð associata a UDS Z V (in unità di - ). Vale

a dire

Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS9ˆ•Vwv;]zÐS%U …ì ì ^UÌS Z ì…ì VV9ÐS%U ì ^ÜUDS Z ì VV.ˆ

x  t
a
W X S |{Ñ V
exp DS - V s UÌS²ˆ•Vwv n0ðñð
nð |
27 Come risulta chiaro dall’articolo tradotto, questo postulato non è enunciato esplicitamente
da Feynman, però viene assunto implicitamente. Tuttavia esso è essenziale da un punto di
vista logico.
28 Useremo per semplicità l’espressione ›*¢ ¬%«¥wŸ›.¬ )¼.ƒ¡. #­0¤. )®Ÿ'¬ , mentre dovremmo parlare
più propriamente di ›*¢ ¬«¥«Ÿ›.¬ )¼.h )Ÿ¡.  Ç-²Ÿ¡²Ÿ-¬? +¦Q®¬?®-›.¦C«Ÿ'¬¯«­²ž9¢ ®­w #¼* .

™ Qc c .cYc cYc
29 In altre parole, la presenza delle due funzioni delta di Dirac nell’eq. (2.35) è necessaria
affinché ç (é ) appartenga effettivamente a (ç è0é ; ç è%é ).
30 Ci sembra opportuno richiamare il concetto di ½ ®EŸÀ² ³.Ÿ›*¢| . Tutti sanno che una ½ ®EŸÀ9 ³.Ÿ è
una regola per associare un numero ad un altro Ÿ'®E¦¨²¥0³ : essa è quindi definita su un  )Ÿ-­w ?«¦C
Ÿ'®¦C«¥« ž ³ . Analogamente, un ½ ®EŸÀ9 ³.Ÿ›*¢| è una regola per associare un numero ad una
½ ®ŸÀ² ³.Ÿ/ : esso è pertanto definito su un  #Ÿ'­w ²¦¨¡. ½ ®EŸÀ9 ³.Ÿ-  . Un’ottima introduzione
al calcolo funzionale in vista delle applicazioni ai procesi stocastici
capitoli
¬)¿' Oœ
Ä (che discuteremo nei
Ä 3 e 5) è contenuta in: Ä P. Hänggi, È<¿'¯©®Ÿž²¬ ³.Ÿ›*¢ «¥« #¼.›.¬ )¼.¨›.Ÿ¡ )¬­ ­²¯ )Ÿ
«­«ž9¥w  Ǭ ³.ŸT³ ½ ̳. )­ ª ª.Ÿ›.¦Q &žw›*¢ ±'ª.­ ¬²¦§­ , in ±-¬³žw¿-›.­ ¬? &žJÆ¥ ³žw«­w­²«­§»oÇÇ¢  ? ¡
›š
¬$³QÆ ¿ª.­  ž²­ (ed. by L. Pesquera and M. A. Rodriguez) (World Scientific, Singapore, 1984).
26

Ovviamente nel nostro caso l’azione classica è fornita dall’eq. (2.33).

—
È ben noto che le ampiezze quantistiche – convenzionalmente associate
alla posizione $.   ;
 di una particella – soddisfano il  *  | ( 2  ( , *
 ( .&! ( 
. Avendo associato un’ampiezza ad un  
 ( cammino UÌS Z V , è na-
turale supporre che il principio di sovrapposizione "( +%$¯1,-
* "
(si veda
la discussione dell’esperimento di diffrazione da doppia fenditura nell’articolo
tradotto). Ora, tale principio di sovrapposizione û
generalizzato implica che
l’ampiezza (totale) Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï per l’evento debba essere la  ( 8 delle
ampiezze Í%U ì|ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²ˆ•Vwv relative ad ogni singola alternativa disgiunta. Di
conseguenza – in virtù del postulato F1 – il terzo postulato di Feynman è
F3) Il  (  < ( "
F=+%?*% ( è dato da
Ú ‚ a
Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï ] UDS Z VÍ0U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²ˆ•V«v S |{/Ø V

Sostituendo infine l’eq. (2.36) nell’eq. (2.37) ritroviamo proprio l’eq. (2.31)!
2.5 – Non resistiamo alla tentazione di discutere la natura dei “  
2J46
7'8 ” (peraltro questo è proprio il soggetto principale del presente
Quaderno!) in modo più esauriente di quanto usualmente venga fatto ( a tale
argomento è dedicato il presente paragrafo ed i tre successivi).
È ben noto che il modo migliore per evitare i famosi “paradossi” quan-

f
tistici è di dimenticarsi dell’idea classica che una particella si muova lungo
una traiettoria 2<
h  – ciò è infatti incompatibile col principio di indetermi-

 
nazione. Viene quindi spontaneo chiedersi se i cammini di Feynman abbiano
un .)   / ( x "( .
Al fine di chiarire questo punto è opportuno considerare ancora l’ampiezza
Í0U ì…ì \ ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS9ˆ•Vwv definita dall’eq. (2.34). Ragionando in termini più geo-
Z
metrici, Í%U ì|ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²ˆ•Vwv può anche venir interpretata come 
"!!C

e@ % "( ) 
 $ ( UDS Z V <•r s
xS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì|ì V , cosicché una distribuzione
di ;0
!"! risulta definita sullo spazio dei cammini †*} . Scegliamo ora un
ž r s
sottoinsieme di LS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V . Grazie al principio di sovrapposizione gen-
 •Ÿr
eralizzato, l’ampiezza che un (generico) cammino UÌS Z V xS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì|ì V sia s
ž6
contenuto in è data da
Ú ‚
b
 n UD S Z Vj•–ž p ]   UÌS Z VÍ%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s D
U S9ˆ•Vwv
a
S |{Û V

Sappiamo però che il modulo quadrato di un’ampiezza è sempre una proba-


bilità, quindi abbiamo evidentemente

31 Quanto detto nella nota 7 vale naturalmente anche nel caso di distribuzioni di ampiezza o
di probabilità su uno spazio di funzioni. Ometteremo quindi l’attributo ¡²Ÿ-­w )¬ʛ .
27
6
e¡Q¢Q£ ¤ n UD S Z Vj•–ž p ] Î b  n U6 S Z VO•–¤ ` ž p Î `
¤¤ Ú ‚ UDS Z VÍ0U+ì…ì%\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì Ï s UDS²ˆ•V«v ¤¤
]
a
¤  ¤ S |{Ý V

Un’importante conseguenza dell’eq. (2.39) è che  (  esiste alcuna distribu-


r s
zione  &'   di  (<–  – $# Ò definita su xS0U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì|ì V . A prima vista, questa
`
affermazione può apparire strana. Infatti, dall’eq. (2.34) segue †
Öx×
S0U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V s UDS9ˆ•Vwv;g K
Î Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²ˆ•V«v Î
`
]

I probabilità che ” a
S …„ <
y V
si muova lungo UÌS Z V

che (analogamente a Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²ˆ•Vwv ) può essere reinterpretata come ; (
–  – $#3
—
Ò 
 8Þ % ( & "
 $ ( UDS Z V . A questo punto però secondo il
calcolo  &' "( delle probabilità si dovrebbe avere †"†

Ú ‚
n 
˜ ¡.¢Q£ UÌS Z VU•–ž p ]   UDS Z V Öx× S%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²ˆ•Vwv;]
Ú ‚
a
S …„ -
f V
`
  UDS Z V Î Í0U+ì…ì\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì Ï s UDS²ˆ•V«v Î

che è manifestamente  ( @/% – $


con l’eq. (2.39).
Concludiamo che la  (  validità del calcolo  &' "( delle probabilità
in meccanica quantistica †  implica che i cammini di Feynman  (  possano
essere visti come possibili traiettorie descritte da una particella in accordo col

*@ (F( 
† ˜ . Usando un’espressione di Feynman, si deve pensare che una

32 È evidente che se inserissimo l’eq. (2.36) nell’eq. (2.40) otterremmo un’espressione matem-
aticamente priva di significato, a causa del quadrato delle funzioni delta di Dirac. Tuttavia
questo problema può essere evitato omettendo tali funzioni delta nell’eq. (2.36), a patto di
™ c c cYc cYc
restringere l’attenzione alle sole ç (é ) che appartengono a (ç è%é ; ç è%é ) (si tenga presente
la nota 29).
33 Questo punto verrà discusso nel paragrafo 3.9.
34 Questa circostanza è stata sottolineata ripetutamente da Feynman. Vogliamo aggiungere
un’osservazione un po’ polemica. Se il calcolo classico delle probabilità non vale nella


teoria quantistica, come è possilbile pretendere che questa sia equivalente ad una cosiddetta

¦¥
¬ ³.¥w ›:¢…³ž ›*¢|H¡. D¼›.¥« › ² &¢  6Ÿ›.­«žw³.­ ¬ ? (Per questa problematica si veda il Quaderno di
Fisica Teorica: O. Nicrosini, Æo›.¥0›¡³.­w­«³ EPR È ³.¥ «¦¨›¡.  69¢#¢ (1991)).
35 È stato ripetutamente affermato che i cammini di Feynman sono “reali” e che rappresentano
“traiettorie medie” del moto (vedasi ad es.: P. Holland, A. Kyprianidis and J. Vigier, Found.
Phys. 17, 531 (1987)). Non riusciamo a capire cosa ciò voglia dire!
28

particella segua “tutti i cammini simultaneamente”! In realtà, la mancanza di


un’interpretazione fisica intuitiva per questi cammini non deve stupire: infatti
è ben noto che in meccanica quantistica  (  si possono attribuire proprietà
fisiche ben definite ad oggetti  (  ( "
* *,-/% †™ .
2.6 – Una precisazione è ora quanto mai opportuna. Da quanto detto,
il lettore potrebbe farsi l’idea che i  ¯2h46
7'8 – vale a dire quei
cammini che contribuiscono
0G
0%,-1
* 
nell’eq. (2.31) – siano %@0
le
funzioni UDS Z V O•–r s
xS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V . Ciò è M | ( ! Si può infatti dimostrare (si veda
l’articolo tradotto) che  ( #   ( quei particolari cammini che godono della
proprietà § §
§ UÌS Z V óS:¨ Z V } p
` a a
S …„ V

?
( Z molto piccolo) danno un contributo  (    ( all’integrale di Feynman.

 ?
Un modo euristico per rendersi conto di questo fatto è di ritornare all’eq. (2.23),
scrivendo U gùUDS Z V (come spiegato nel paragrafo 2.3). È evidente che nel
limite
 
Î UÌS Z Ù V§^uUDS Z V Î
}
 ?
`


y si ottiene un risultato L% ( solo nel caso in cui la grandezza
si mantiene L%  , ma ciò implica proprio l’eq. (2.42).
?
È altresı̀ chiaro che il contributo di cammini che  (  soddisfano l’eq. (2.42)
scompare nel limite  
y ( se Î UDS Z Ù V/^FUDS Z V Î
}
`  
diverge, il meccanismo per
cui ciò avviene è molto simile a quello considerato nel paragrafo successivo).
Ora, l’eq. (2.42) implica che la funzione UÌS Z V – seppur continua –  (  sia
differenziabile per alcun valore di Z . Concludiamo che i cammini di Feynman
sono M 0 • con dimensione di Hausdorff uguale a 2
† Ó †ë . Qualitativa-
i
mente, essi sono identici alle traiettorie a zig-zag tipiche del moto browniano
(ritorneremo su questo punto in seguito). Osservando tali traiettorie, si nota
immediatamente il loro carattere fluttuante: esse appaiono come se il punto
§
rappresentativo fluttuasse casualmente intorno ad una traiettoria liscia. È facile
rendersi conto che questo fatto 

proprio dall’eq. (2.42). Consideriamo
infatti una curva •$  %6UÌS Z V , vale a dire una funzione 2 G
* "
*!*0 – 
del tempo.
Avremo allora (per Z molto piccolo) § §
UDS Z Vx] ª©1S Z V
a
S …„/{ V

mentre per i cammini di Feynman dall’eq. (2.42) segue

36 Vogliamo mettere in chiaro che ¬®¬¬› la discussione fatta nel presente Quaderno si riferisce
(salvo «­$Ç¢  &ž9 #¬³ avviso) a sistemi quantistici Ÿ³.Ÿ osservati.

B
Il concetto di ½ ¥ ›.¬¬$›*¢| è entrato ormai nella cultura scientifica di ogni fisico. Un’esposizione
37
divulgativa è contenuta in: B. Mandelbrot, e¢  e£+¤¤«¬¬? +©¥ ›.¬¬$›*¢   (Einaudi, Torino, 1987).

«
Si noti che questo fatto Ÿ³.Ÿ è in contraddizione col postulato F1. Semplicemente, l’ampiezza
38
che si muova lungo molti dei cammini ›5Ç¥w ³.¥«  possibili è di fatto Ÿ'®E¢)¢…› .
§ § 29

§ ¬©®­"S Z §V } p `„¯
UÌS Z Vx]
a
S …„„ V

Ma essendo § piccola ( Z:§ °


Z una quantità molto f ), è evidente che

©±­ S Z V } p ` ¯² 1© S Z V a
S …„<” V

per cui una funzione UDS Z V che soddisfi la condizione (2.42) varia  ( ) (  Ò
*02/1
 
(rispetto a Z ) di una funzione UÌS Z V che sia differenziabile. Ciò
´³
spiega il   0
* "
Q@0% 
dei cammini di Feynman.
³
L’esistenza di tali Q@0%E!* (   è concettualmente molto importante, per-
ché esse rappresentano gli
0G
0%B=+%?*%   nell’evoluzione temporale de-
scritta dall’integrale di Feynman. Come è spiegato nell’articolo tradotto,
l’eq. (2.42) è
"=,-
*+
al  *  | ( 2¨+2

* *+E! ( 
! Di fatto, che
quest’ultimo e la proprietà (2.42) siano aspetti diversi della *
." realtà appare
chiaro in un contesto diverso † ú . Se si misura la traiettoria di una particella,
i
si vede che le limitazioni dettate dal principio di indeterminazione implicano
proprio la validità dell’eq. (2.42)  ‡  } !
Un’ulteriore conseguenza dell’eq. (2.42) è l’esistenza delle  – )  Ò
2¨= %!"!E! ( 
nell’integrale di Feynman. Supponiamo infatti di inserire
?
l’azione classica (2.33) nell’eq.(2.31), ed immaginiamo di considerare la cor-
rispondente espressione discretizzata (assumiamo per semplicità che i poten-


ziali siano stazionari). Quest’ultima
del tipo S%U Ù ^dU V ƒS%U V
}
 $  
î differisce dall’eq. (2.23) per un termine
sotto il segno di sommatoria nell’esponente –
l’asterisco indica che non è chiaro in quale particolare punto dell’intervallo
Ä
39  )¼.«¥«­«³ in quanto ciò che segue presuppone che una ¦§ )­w®¥ ›À² ³.Ÿ/ venga effettuata sulla
particella.
40 Questo risultato è discusso in: L. Abbott and M. Wise, Am. J. Phys. 49, 37 (1981).

.cYc cYc .c c ‡
41 Una questione molto interessante è la seguente. Sostituendo l’eq. (2.36) nell’eq. (2.40)

ý²®'›*¢ ®Ÿý²®' sia ç (é ) µ™ .c fc .cYc cYc


ed adottando le precauzioni discusse nella nota 32, si ottiene å@æ (ç èé 0ê ç $è0é )[ç ( )] = 1
(ç $è0é ; ç $èé )! Benché a prima vista ciò possa apparire ›.­ ­ ®E¥ ¡³ ,
Ÿ³.Ÿ è cosı̀. Ricordiamo (preliminarmente) che se si ¦Q #­w®¥ › la posizione  #­w¬$›.Ÿ'¬$›.Ÿ/ › di

un particolare valore ç ¯ , la risposta è data da å æ (ç ¯ è0é ) = ê (ç ¶


una particella al tempo é e ci si chiede quale sia la (densità di) probabilità di ottenere
¯ è%é ) ê 2 . Supponiamo ora di

¶QcYc cYc .c fc ‡ ¸ .Y¸ cY.c cYc fcYc cYQc µ›c.™ c cºf¹ c»c ¹ ‡c ‡ cYc cYc c¦· · cYc
effettuare una ¦Q )­ ®¥ ›Âž ³.Ÿ'¬ )Ÿ'®-› per stabilire quale sia la (densità di) probabilità che la
particella si muova lungo un particolare cammino ç (é ) (ç èé ; ç è%é ) (é é é ).
Naturalmente al posto di (ç ¯ è%é ) abbiamo ora &ç $è0é %ê ç $è0é [ç ¯ ( )], cosicché la risposta è

Yc c cYc c c ‡
data analogamente da åæ (ç è%é 0ê ç $è%é )[ç ¯ ( )] = ê &ç $èé 0ê ç $è%é [ç ¯ ( )] ê 2 . Ma abbiamo visto
che åæ (ç è%é ê ç è%é )[ç ¯ ( )] = 1, il che significa che la particella segue con žw«¥«¬ ÀwÀ› la
traiettoria che si misura! Un’analisi operativa della situazione considerata mostra che le
cose stanno proprio cosı̀ ( Y. Aharonov and M. Vardi, Phys. Rev. D 21, 2235 (1980)). Una
discussione approfondita del concetto di ¦Q )­ ®E¥0›À9 ³.Ÿ§žw³.Ÿ-¬? #Ÿ'®'› in meccanica quantistica
è contenuta in: A. Barchielli, L. Lanz and G. M. Prosperi, Nuovo Cimento 72B, 79 (1982);


A. Barchielli and V. P. Belavkin, J. Phys. A24, 1495 (1991). Una domanda sorge spontanea.
È il cosiddetto ÇE›.¥ ›¡³.­w­«³ƒý²®'›.Ÿ'¬ )­ ¬ ž ³F¡.  @²Ÿ³.Ÿ/ (G. R. Allcock, Ann. Phys. 53, 251

.cYc fcYc Qc c ‡
(1969); B. Misra and E. C. G. Sudarshan, J. Math. Phys. 18, 756 (1977)) una conseguenza
del fatto che åæ (ç $è0é 0ê ç ?è0é )[ç ( )] = 1?
30

U Ù
}
^>U  î
vada calcolato U . Abbiamo visto che nel caso dell’azione classica
t
(2.28) tale sommatoria è una tipica somma di Cauchy-Riemann che definisce
s UDS²ˆ•Vwv come  
 9&
F2oIJ0
8 . Chiaramente, 
questa circostanza con-
tinuasse adî essere vera, il risultato  (  dovrebbe dipendere dalla particolare

scelta di U : questa è infatti una proprietà fondamentale dell’integrale di Rie-
mann. Notiamoî in particolare
  ?î

che le due somme corrispondenti alle due situa-
zioni estreme U ]zU e U ] U Ù differiscono per termini 8S"S%U Ù ^8U V V .
} }
`
© ?  
Ora, 
i cammini di Feynman fossero funzioni 2 G
* "
!*0 – $# del tempo – cioè
tali per cui U Ù ^U
}
 ¨ ?
`
– esse differirebbero per termini 1S V , che sareb- ©
bero  . *&
,- % in quanto infinitesimi di ordine superiore. Sappiamo però che

©
per i cammini di Feynman vale la proprietà (2.42), quindi le due somme sud-
dette differiscono in realtà per termini 8S V , che "(  % * – $ (  ( al risultato.
Siamo cosı̀ giunti ad un’importante conclusione. Da un punto di vista matema-
tico, vediamo che nel caso dell’azione classica (2.33) l’integrale d’azione che
figura nell’eq. (2.31)  (  è più un integrale di Riemann,

î perché le somme che
lo definiscono 2…
*+2 (  ( dalla particolare scelta di U (si tratta di un oggetto
molto simile agli $+
 •6. (E '*%   che incontreremo nel paragrafo 3.9). Sul
piano fisico, l’eq. (2.31)  (  fornisce più il propagatore quantistico inî modo
, (E"( , dato che è necessario specificare in che modo vada scelto U nella 
discretizzazione che la definisce – ecco come le ambiguità di quantizzazione
`
nascono nell’approccio di Feynman  !
2.7 – È ben noto che la meccanica quantistica X contiene la meccanica
classica come caso limite. Ciò significa che quando - risulta  ( ) (  ( "

di qualunque altra grandezza in gioco (avente le dimensioni di un’azione), gli


effetti quantistici scompaiono ed il comportamento classico emerge.
Un vantaggio della formulazione di Feynman è di permettere una com-
prensione  %%,- del limite classico.
Fissiamo l’attenzione sull’eq. (2.31) e supponiamo che in una situazione
specifica si abbia
t½y UÌS²ˆ•VMz n ðñð ² X- a
S …„/Ñ V

per cui la M '
che compare nell’integrale di Feynman è un numero  ( ) (
 +2
. Consideriamo ora due <

* *   cammini U S Z V e U ` S Z V tali che la loro
}

mente anche la grandezza Î s U S²ˆ•Vwv^


t t
distanza Î U S Z VÌ^ÜU ` S Z V Î sia  ( # ( ; "( & su scala  )".   . Corrispondente-
} ( (
s U ` S9ˆ•Vwv Î sarà  ) ;
"( & se misurata
}
42 Esiste un teorema dovuto a Berezin (F. A. Berezin, Theor. Math. Phys. 6, 194 (1971))
che stabilisce una žw³.¥w¥« )­?ÇE³.Ÿ¡«ŸÀ›®Ÿ³*ß›¡*ß$®Ÿ³ fra le ambiguità di quantizzazione nel
formalismo operatoriale e nel formalismo di Feynman. In particolare, esso asserisce che la
prescrizione del Ç®EŸ'¬$³B¦C ¡. ³ (come osservato nel paragrafo 2.3, essa preserva la gauge
invarianza per l’azione classica (2.33)) corrisponde alla quantizzazione operatoriale con
³.¥ ¡. )Ÿ›.¦C«Ÿ'¬$³›*¢)¢…›:ÃF«ª*¢ (M. Mizrahi, J. Math. Phys. 16, 2201 (1975). Si veda anche: T.
D. Lee, Æ;›.¥«¬ ž9¢|¨Æ¿ª.­  ž²­¨›.Ÿ¡Jþ Ÿ'¬¥ ³¡.®'ž²¬ ³.ŸA¬$³ƒ© ?²¢…¡AÈ<¿' ³.¥wª (Harwood, New York,
1981)).
31
P
in unità  )". 
. Quantisticamente la situazione è radicalmente 2,'
* . ,
perché in virtù dell’eq. (2.46) abbiamo $ <

* &

¤¤ t y n ðñð t y n ðñ𠤤 ²
¤ U } S²ˆ•V z n ð ^ U ` S²ˆ•V z n ð ¤ X- a
S …„<Ø V

Di fatto, l’eq. (2.47) mostra che – nel limite classico – passando da un cammino
ad uno contiguo, la fase dei loro contributi all’integrale varia in modo  ( ) (
*02 ( . Ne consegue che tali contributi tendono a   
*) . . Benché questo
fenomeno sia generale, vi è tuttavia un’importante
"
!* ( 
. Consideriamo
nuovamente i due cammini U S Z V e U ` S Z V , supponendo però che ora U S Z V sia
} }

U S Z Vh
*.% "
*!"!
t
la % 
0 ( .0 2$    )".   che congiunge S%U ì \ Z ì V con S%U ì…ì \ Z ì…ì V . Allora
s UÌS²ˆ•Vwv . Adesso è possibile avere  †
}
¤¤ t y n%ðñð t y n%ðñ𠤤
¤ U } S²ˆ•V z n ð ^ U ` S²ˆ•V z n ð ¤ ¨ X- a
S …„/Û V

Quindi le fasi dei cammini vicini a U S Z V¯2 G


* *$ (  ( 2Þ (( , per cui i cor-
}
rispondenti contributi  (  si cancellano. Concludiamo che nel limite classico
 ( )   ( i cammini "(  %)  alla traiettoria dinamica classica che congiunge
S0U ì \ Z ì V con S%U ì…ì \ Z ì…ì V contribuiscono 2 M 0 ( all’integrale di Feynman: questi
sono i  $ §2x46
7'8Ü
*  &'    . Quest’ultima circostanza è di
notevole importanza, in quanto permette di calcolare
. #   1
* 
l’integrale
di Feynman nell’approssimazione semiclassica. È infatti chiaro che basta ef-
fettuare un’espansione (funzionale) alla Taylor di s UÌS²ˆ•Vwv intorno a U S Z V ,
t
}
arrestandosi al 
"( 2 ’ordine in UDS Z Vh^ U S Z V (U S Z V è la traiettoria dinamica
} }
classica che congiunge S0U ì \ Z ì V con S%U ì…ì \ Z ì|ì Vo"˜ , quindi termini del  * ’ordine
in UÌS Z Vx^ÜU S Z V sono assenti). Un calcolo esplicito fornisce  ™
}

K ` ¤¤ ¤¤
Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì ϾÀ¿ ] I '&
f p
det ¤ ^
¤ Y
`
t S%U ì…ì \ Z ì…ì s U ì \ Z ì V ¤
¤ } p
`
a ;W X-
¤ Y U ìl Y U ì…ì ¤ ˆ

W X t
exp x S  - V S%U+ì…ì \ Z ì…ì s U+ì0\ Z ì$V
| a
S …„/Ý V

43

44
Questo perché il secondo membro dell’eq. (2.48) è nullo al prim’ordine in ç 2 (é ) :ç d 1 (é ).

Á ÂÃ
È naturale chiedersi quale sia la distanza dei cammini di Feynman semiclassici dalla traietto-
ria classica. Argomenti euristici basati sull’eq. (2.48) suggeriscono che essi siano compresi
in un “tubo” di sezione ( - 1 2 ) intorno alla traiettoria classica. Una risposta più accurata
dipende tuttavia dalla specifica situazione fisica che si considera.
45 Supponiamo per semplicità che di tali traiettorie ne esista soltanto ®Ÿ› .
46 Si veda ad es. il testo di Schulman più volte citato.
32
t s
funzione delle coordinate  Ó  ë .
i
ove S0U ì…ì \ Z ì…ì U ì \ Z ì V è l’azione classica (2.33) (calcolata lungo U S Z V ) come
}

Talvolta si dice che  ( )   ( la traiettoria dinamica classica U S Z V con-


}
tribuisce all’integrale di Feynman nell’approssimazione semiclassica. Ciò è
M • ( . Come abbiamo già visto, sono i cammini di Feynman ,   a U S Z V
}
che in realtà contribuiscono. Ma sappiamo che tali cammini godono della
proprietà (2.42), quindi nell’eq. (2.49) sono presenti effetti quantistici. Di
fatto, l’approssimazione semiclassica contiene i “; . ” effetti quantistici,
©X
cioè quelli 8S - V "ú .
2.8 – Si incontra spesso l’affermazione che vi è uno stretto legame fra
l’integrale di Feynman e la meccanica classica. Ciò è senz’altro vero, in quanto
l’unica grandezza che compare
. #   1
* 
è proprio l’ E! ( 
 )".   , an-


che se calcolata non già lungo traiettorie classiche, bensı̀ lungo i cammini di
Feynman. Questi ultimi  (  hanno invece alcun &   / (  &'". ( , pro-
prio perché rispecchiano gli effetti quantistici (è inoltre impossibile associare
delle ; (–  – •% Ò a tali cammini in modo consistente con la teoria quantistica).
D’altra parte, abbiamo visto che nell’approssimazione semiclassica i cammini
di Feynman si addensano intorno alla traiettoria dinamica classica che unisce
S0U ì \ Z ì V con S%U ì…ì \ Z ì…ì V . Non solo, ma è anche stato notato che tali cammini
appaiono come se il punto rappresentativo fluttuasse casualmente intorno ad
una traiettoria #?  0 (cioè differenziabile). Alcune domande sorgono sponta-
nee. Queste traiettorie lisce posseggono un significato in meccanica classica?
P
Più in generale, esiste una = 
"( 
. ( 
fra cammini di Feynman e
traiettorie dinamiche classiche? Sarebbe peraltro molto bello se un simile
legame esistesse realmente, in quanto ciò evidenzierebbe una radice classica
della teoria quantistica più pronunciata di quanto usualmente si pensi. Eviden-
temente una comprensione dell’eventuale meccanismo che genera i cammini
di Feynman partendo da una traiettoria dinamica classica farebbe luce sulla
natura stessa della quantizzazione.
Vedremo nel capitolo 5 che una relazione 2 "
0  fra cammini di Feynman
e traiettorie dinamiche classiche  (  esiste. Ma ciò è unicamente dovuto al
fatto che l’eq. (2.31) rappresenta un contesto % ( < ( .$.% "
0 ( per la questione

47 Questo concetto è discusso ad es. in: L. D. Landau e E. M. Lifshits, œF ž ž ›.Ÿ' ž › (MIR,
Mosca, 1976).
48 In tutto il presente Quaderno ignoriamo (per semplicità) i problemi dovuti all’esistenza
di Ç®Ÿ'¬  ½«³ž ›*¢   e ž ›.®­w¬ žw¿' nello spazio delle configurazioni (il lettore interessato può
consultare il testo di Schulman).
49 Purtroppo è facile imbattersi nell’affermazione opposta, che l’approssimazione semiclassica
è Ç®E¥ ›.¦¨²Ÿ-¬% classica. A sostegno di ciò viene addotto il fatto che il propagatore semi-

 Á Â
classico (2.49) è espresso ž ³.¦ÌÇ¢|«¬$›.¦C«Ÿ'¬ in termini di grandezze classiche. Alla base
di questa confusione sta le circostanza che le correzioni quantistiche ( - ) alla dinamica
classica Ÿ³.Ÿ dipendono da - , per cui esse sono descritte soltanto da grandezze classiche,
nonostante si tratti di un effetto ý²®-›.Ÿ'¬ )­ ¬? &žw³ ! Si può trovare una chiara discussione di
questo punto in: L. O’Raifeartaigh and A. Wipf, Found. Phys. 18, 307 (1987).
33

che vogliamo affrontare. È infatti necessario #% "


la nostra prospettiva,
rendendoci conto che esistono $ h% insiemi di cammini di Feynman 
*
 —
•!"!% , peraltro tutti
=,-&
 % dal punto di vista quantistico. Ciò risulta
evidente da una riformulazione dell’integrale di Feynman che ora descriviamo
(questo risultato è riportato qui per la prima volta ˜ ‡ ).

”
Consideriamo la formulazione di Hamilton-Jacobi della meccanica clas-
sica, nel caso della particella descritta dall’azione (2.33). Come è ben noto,
l’equazione di Hamilton-Jacobi corrispondente ha la forma

K
Y t S%U6\ Z V6c a-b
f
I Y t S%Ue\ Z Vx^ č S%Ue\ Z V
`
ŽBS%U6\ Z Vh]zy
c
a
S •” y<V
Y Z Y U l
l

Supponiamo ora di conoscere un (arbitrario) integrale  % "( & "
S%U6\ Z V
t
dell’eq. (2.50) ˜ } . La corrispondente traiettoria dinamica classica nello spazio
delle configurazioni è data dall’equazione ˜
`
˜ †
i

I Y Y U t S%Ue\ Z VÌ^č l S%Ue\ Z V ¤¤¤ ~ í ×
r
f a
r

Z l
S Z Vh] b
l ï#n0ò
S •” -
f V

t Åts st
Indichiamo con S Z U ì \ Z ì s S9ˆ•VwvV la soluzione dell’equazione (2.51) "(  % (  Ɨ
&  da S%Ue\ Z V e corrispondente alla condizione iniziale S Z ì VH] U ì . 45$  
Åt .—
Å s Rs
1
 
S Z U ì \ Z ì s S²ˆ•V«vV è la traiettoria dinamica nello spazio delle configu-
 RÇ
razioni determinata dai dati iniziali S Z ì Vh] U ì , S Z ì Vx] S VS%U ì \ Z ì V .
Non è difficile dimostrare ˜9 che vale la seguente rappresentazione )
*
Å 1—
%,- del propagatore quantistico

50 œ 3‰
M. Roncadelli, x«àuÆo›.¬)¿þ Ÿ'¬?¤.¥ ›*¢ ޝÇ¥ «­9«Ÿ'¬$›.¬ ³.Ÿ ³ ½J¬)¿':áo®-›.Ÿ'¬®E¦_œF žw¿-›.Ÿ' ž ›*¢
Æ¥0³«Ç-›¤›.¬$³.¥ , Pavia preprint (1991) (in corso di pubblicazione).
51 Esiste un metodo alternativo (dovuto a Jacobi) per ottenere la traiettoria dinamica classica
nella formulazione di Hamilton-Jacobi (vedasi ad es.: H. Goldstein, œF ž ž ›.Ÿ' ž ›F¾ ¢…›.­w­  ž ›
(Zanichelli, Bologna, 1971)). Esso ha il vantaggio di Ÿ³.Ÿ coinvolgere l’eq. (2.51), ma il
suo svantaggio è di richiedere la conoscenza di un integrale žw³.¦ÌÇ¢|«¬$³ dell’equazione di
Hamilton-Jacobi. Spesso capita di conoscere solo un integrale Ç-›.¥w¬ žw³*¢…›.¥  dell’eq. (2.50),
cosicché ­«³*¢ ¬›.Ÿ-¬³ il metodo esposto nel testo può venir usato.
52 Si veda ad es.: V. Arnold, œF«¬³¡. hœâ›.¬²¦¯›.¬? &ž9 5¡²¢)¢…›œF ž ž ›.Ÿ' ž › ¾ ¢…›.­w­  ž › (Editori
Riuniti, Roma, 1988).
53 Si ricordi quanto osservato nella nota 48.
54 Si veda la nota 50.
34

¾*È i ¾ ï ~ ð i n ð òÊÉ Ú˂


Í%U+ì…ì%\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì Ï
X- ~

E
]i/ï)l$p ò ï ñð ð n ðñð ò k UDS Z V9ÐS%U ì…ì ^ÜUDS Z ì…ì VV9ÐS%U ì ^ UDS Z ì VV

 t S%Ue\ Z Vx^l S%Ue\ Z V  ¤¤ ¤ `ÏÎ


Ì C U u l S Z VD^
Ú n ðñð
exp ¯S Í W X-
VS
b
aV r
Z b
f Y
Y U l ~ í ~
l ï#n0ò
nð a a
t
essendo %S Ue\ Z V un’  – %  *0 soluzione dell’equazione di Hamilton-Jacobi
S •” V

(2.50) ˜˜ . Ovviamente il secondo membro dell’eq. (2.52) è (globalmente)t


+2…
*+2
* 
dalla scelta di S0Ue\ Z V . Ora, dato che esistono  L 
soluzioni 

dell’eq. (2.50), vi sono  L 
espressioni esplicite del propagatore date
dall’eq. (2.52) – in ognuna di esse contribuiscono  (  ( cammini che sod-
disfano l’eq. (2.42), ma l’insieme di tali cammini 2…
*+2
da S%Ue\ Z V , per cui
t

ve ne sono $ h% . Siamo cosı̀ giunti alla conclusione che esistono $ L%% „
insiemi di cammini di Feynman <

* #!"!/% – quelli cioè che contribui-
t
scono
%G
0%$,'1
 
nell’eq. (2.52) – ognuno (  % ( $& ( da una soluzione
S%Ue\ Z V dell’equazione di Hamilton-Jacobi per il problema classico corrispon-
dente ˜ ™ ! Osserviamo infine che fra le eq. (2.51) e (2.52) sussiste una notevole
somiglianza: ciò induce a sospettare che vi sia davvero un qualche legame fra
i cammini di Feynman <

* •!"!% e le traiettorie dinamiche classiche (nello
spazio delle configurazioni)...

3. Analogie fra meccanica quantistica e processi stocastici
3.1 – Notevoli analogie M*( *8# sussistono fra la meccanica quantistica
e la teoria dei processi stocastici classici. Queste somiglianze – scoperte fin
dalle origini della teoria quantistica ˜ Ó – possono essere interpretate in 2

55 Coerentemente con quanto affermato nella nota 48, non dovremmo porci alcun problema
riguardo ai limiti di validità dell’eq. (2.52). Ci sembra però doveroso osservare quanto

g … ÑÐ
segue. È noto (si veda ad es.: R. Courant and D. Hilbert, œF«¬&¿-³¡.­J³ ½¨œâ›.¬)¿'«¦¨›.¬ ž ›*¢
Æ ¿ª­w &ž9­ (vol. II) (Interscience, New York, 1962)) che una ¤«Ÿ/«¥« ž › soluzione (çè0é )
dell’equazione di Hamilton-Jacobi è regolare soltanto su un intervallo di tempo Ÿ- )¬$³

¸ cYc cYc c c cY¹ c>d fc .Ò±Ð


(ciò riflette l’esistenza di Ç®EŸ-¬? ½«³žw›*¢   nello spazio delle configurazioni). Di conseguenza
la rappresentazione (2.52) vale solo nell’ipotesi ê é é 0ê . Ciò Ÿ³.Ÿ è però una vera

per ê é Aé ê cYc d c >Ò±Ð


limitazione. Infatti – una volta che &ç è0é ê ç è0é sia stato calcolato usando l’eq. (2.52)
– esso può venire esteso in modo banale a tempi ›.¥ 9 #¬?¥0›.¥«  grazie alla
proprietà di convoluzione (3.4).

56 L’equivalenza quantistica di insiemi diversi di cammini di Feynman ¤«Ÿ/«¥ ›*¢  |À À"›.¬  segue

57
…
dal fatto che il secondo membro dell’eq. (2.52) Ÿ³.Ÿ dipende da quale particolare soluzione
(çè0é ) venga scelta.
È stato Schrödinger a discutere per primo tali analogie: E. Schrödinger, Berl. Sitzber 144
(1931); Ann. Inst. H. Poincarè 2, 269 (1932). Si veda anche: R. Fürth, Zeit. Phys. 81, 143
(1933). Va detto tuttavia che il punto di vista di Schrödinger è ¡. )¼.«¥«­«³ da quello esposto
nel presente Quaderno, ed è stato sviluppato recentemente in: J. C. Zambrini, Phys. Rev.
A 33, 1532 (1986).
35

modi 2$.% % , a seconda dell’importanza che si vuole attribuire al concetto di



"!! di probabilità. È infatti ben noto che in meccanica quantistica le
probabilità nascono 
*; "
come modulo quadrato di una certa 
"!"! .
Se si decide di &  ( 9 "
il gioco delle ampiezze e si fissa l’attenzione sulle
distribuzioni di  (<–  – # Ò , alcune analogie strutturali suggeriscono di inter-
pretare la teoria quantistica come un particolare modello di processo stocastico
classico ˜ ë . Effettivamente, è possibile riformulare la meccanica quantistica
in termini di concetti probabilistici classici – ciò è stato fatto originariamente
da Fényes ˜ú nel 1952 e successivamente, in modo più completo e rigoroso,
da Nelson ™ ‡ nel 1966. Però, dato che questo approccio  (  è di 2$ "
0  ril-
evanza per l’integrale di Feynman, preferiamo rimandare il lettore interessato
alla bibliografia.
A differenza dell’atteggiamento precedente – che di fatto “forza” una
fisica  (  classica entro un formalismo classico – si possono considerare
le 
"!"!E
come  +2<
!"!
M*( +2/1
*  • . Risulta allora che la struttura
concettuale della meccanica quantistica è  ( ) ( $
– anche se  (  identica
– a quella della teoria dei processi stocastici markoviani ™*} classici. Come si
vedrà leggendo l’articolo di Feynman, è proprio questo secondo punto di vista
che gli è stato di guida nel formulare la dinamica quantistica come “  ( 8
.  $ ”.
Quanto appena osservato può venire schematizzato dicendo che le 
P ` P
½—
;0
!"!E
di probabilità = %?*% 
soddisfano regole formali quasi ™ 02<
*+% 

a quelle che valgono per le  (<–  – # Ò relative ad un processo stocastico


markoviano  &' "( ™† . Al fine di sottolineare questo fatto fondamentale
scriviamo simbolicamente

›Ó © ü û üÕÔ Ž Ô
×û Ö ûÜÛ Ö›Ô
Ø Ž û Ùt t Ô Ø ÷ t Ú  ÞÕß û 
Ô t tÕ
ÝÜÔ ÝJØ t ÷ t \ S { fEV
Ö

Ø û Ž Ø ©âŽj© Ø Ž û tÙt Ô Ø © Ø û Ž Ø ©âŽj© ÞÕß û 


Ô t
Ô Ø ©
à t ŽhŽ t Ö›Ó © ü û üÕÔ Ž Ô
û Ö á à t ŽhŽ t ûÜÛ ÖâÔ tÝÝJt
a
{ S V

58 Questo modello è però ¥ ›¡. ž ›*¢ ¦C«Ÿ'¬F¡. )¼.«¥«­«³ da quelli usati nelle applicazioni fisiche
ordinarie, come ad es. in connessione con il moto browniano macroscopico. Inoltre,
quando si considerano correlazioni a tempi ¡. )¼.«¥«­   , è necessario introdurre il concetto di
“ žw³*¢)¢…›.­ ­«³8¡²¢)¢…›Q½ ®EŸÀ9 ³.Ÿâ¡´ ³.Ÿ¡› ”. Si veda: Ph. Blanchard, S. Golin and M. Serva,
Phys. Rev. D 34, 3732 (1986).
59 I. Fényes, Zeit. Phys. 132, 81 (1952).
60 E. Nelson, Phys. Rev. 150, 1079 (1966).
61 Questi processi verranno considerati nel paragrafo 3.3.
62 L’unica differenza sta nella condizione di normalizzazione.
63 Naturalmente le ampiezze quantistiche sono quantità ž ³.¦ÌÇ¢|«­w­² , mentre le probabilità sono
grandezze ¥  ›*¢   e Ÿ³.ŸâŸ/?¤›.¬? #¼* .
36

Passiamo ora ad illustrare in dettaglio queste affermazioni.


3.2 – È ben noto che in meccanica quantistica l’evoluzione temporale è
descritta "( 
 1
*
 
da 2
grandezze ™  :

äã [
i) M !* ( 
Â2 ( +2/1&!%&
S%U6\ Z ‡ V ;
Ô
ii) ;0
!"!T2h% @.&! ( 
; ( @E // ( "
«ÕCÍ%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ Ï .
Sappiamo infatti che la funzione d’onda ad un qualunque tempo Z è data
dalla relazione
Ù €
Ú
[ r [
S%U6\ Z V5] U ‡ Í%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ Ï S0U ‡ \ Z ‡ V S {|{ V
€
k

Inoltre il propagatore soddisfa la cosiddetta  ( ; *0


1
Ò 2x
)  .E< (

Ù €
Ú
r
Í%U6\ ZÎ Uì0\ Z ì Ï ] U ‡ Í%Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡EÏ Í%U ‡ \ Z ‡ Î Uì0\ Z ì Ï S {…„ V
€
k

che si ottiene immediatamente facendo uso della relazione di completezza


Ù €
Ú
r
U ‡ Î U ‡ \ Z ‡EÏ Í0U ‡ \ Z ‡ Î ]óf S {•” V
€
k

—
Abbiamo già ricordato che in meccanica quantistica le probabilità appaiono
sempre come il modulo quadrato di una ampiezza, pertanto la 2<
@%1 Ò 2; (
–  – $# Ò Ö × S%U6\ Z V e la ; (–  – •% Ò 25% @.&! ( 
Ö × S%Ue\ ZÎ U \ Z V¨= %$.%  P

ì ì
sono definite come

ÖÌ× [ `
S0Ue\ Z VLg Î S0Ue\ Z V Î \ S {|Ñ V

Öx× `
S%U6\ ZÎ Uì0\ Z ì$VLg Î Í0Ue\ ZÎ U+ì0\ Z ì Ï Î S {•Ø V

A questo punto è immediato verificare che le eq. (3.3) e (3.4) implicano

64 Una tale schematizzazione è molto conveniente perché la funzione d’onda iniziale specifica
il particolare stato del sistema  )Ÿ¡.  Ç-«Ÿ¡«Ÿ'¬«¦C«Ÿ'¬ dai campi di forza presenti, mentre il
propagatore contiene l’informazione sull’effettiva dinamica che si considera,  )Ÿ¡.  Ç'«Ÿ¡«Ÿß
¬«¦C«Ÿ'¬ dallo stato iniziale.
37

Ù €
Ú
Öx×
S%Ue\ Z V } p
`
k r
U ‡
ÖÌ×
S0Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V } p
` Öx× `
S%U ‡ \ Z ‡ V } p \ S {|Û V
€
k

Ù €
Ú
Öx×
S%Ue\ ZÎ U+ì0\ Z ì$V } p
`
k r
U ‡
Öx×
S%Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V } p
` ÖÌ×
S0U ‡ \ Z ‡ Î U+ì \ Z ì$V } p
`
S {|Ý V
€
k

È molto importante tenere presente che le eq. (3.3), (3.4) – e quindi anche
le (3.8) e (3.9) – valgono  (  ( sotto un’implicita assunzione:  ( j,E0


0G
0%/    + ?. 9-!* ( 
. Se invece una misurazione venisse eseguita
al tempo Z ‡ , le eq. (3.8) e (3.9) verrebbero sostituite dalle seguenti ™ ˜
Ù €
Ú
Öx× r Öx× Öx×
S%U6\ Z Vh] U ‡ S%Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V S%U ‡ \ Z ‡ V.\ S
{ 
f y<V
€
k

Ù €
Ú
ÖÌ× r Öx× ÖÌ×
S0Ue\ ZÎ U+ì \ Z ì$VL] U ‡ S%Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V S0U ‡ \ Z ‡ Î U+ì \ Z ì$V S { ff-V
€
k

3.3 – Consideriamo ora un ; (E


*" ( . (E .% "(  &' "( , che è essen-
zialmente una ,- *% – &
T
/ ( *0Ü2|
*2<
*+
32/5
* ( S Z VQ™"™ . Secondo Hå
Kolmogorov, una descrizione "( 
  (in senso probabilistico) di tale pro-
cesso può essere ottenuta discretizzando il tempo in un numero arbitrario di
istanti Z (Z ‰ Z ` ‰ ˆˆˆ ) e specificando le 2
*@.— Ò 2e (<–  – $# Ò "( <  

Ö l }
s s s
‹ S%U ‹ \ Z ‹ U ‹ } \ Z ‹ } ˆˆˆ U } \ Z } V ™ Ó . Queste grandezze sono definite in modo
k k
tale che si abbia (con ovvio significato dei simboli)

65 Questo punto è discusso in dettaglio nell’articolo tradotto.

f’ç ‹’ 3æ
66 Si vedano al proposito i testi citati nella bibliografia. Ci limitiamo qui a ricordare che una

‹’ ’ ’
¼›.¥« › ² &¢|h›*¢| ›.¬$³.¥w › è specificata dall’  )Ÿ-­w ?«¦Ch¡« @­w®-³. Ç-³.­ ­   ² &¢  @¼›*¢…³.¥«  ?­$ÇE›À² ³Jž ›.¦¯ß
Ç ³.Ÿ/ e da una ¡. )­w¬¥w  ²®À² ³.Ÿ/¨¡. Ç¥ ³ › ² &¢  )¬ʛ definita sullo spazio campione; essa deve
essere una funzione reale non negativa e normalizzata. Sottolineiamo che la visualizzazione
di una distribuzione di probabilità mediante un’ «Ÿ'­9«¦ 9¢| è una pratica comune in fisica,
benché Ÿ³.Ÿ sia affatto necessaria in linea di principio.
“’
Nel seguito ometteremo per semplicità l’attributo ¡«Ÿ'­  )¬ʛ . Invitiamo però il lettore a
’ ’
67

°?¡«Ÿ'­  )¬H ’ ’
tener ­²«¦ÌÇ¥  presente che ogniqualvolta parleremo di “Ç¥ ³ › 9 )¢  )¬ʛ ” intenderemo ­²²¦DÇ¥ 
ʛ ¡. <Ç¥0³ w› ² &¢  )¬ʛ º (si ricordi quanto osservato nella nota 7).
38

˜¡.¢Q£ n U ‹ ‰ å Ö S Z ‹ V ‰ U ‹ c
r
U ‹ s ˆˆˆ r s U å SZ V
} ‰ r } ‰
U c
r
U p g a
‹ S%U ‹ \ Z ‹ s ˆˆˆ s U \ Z V
} }
U ‹ ˆˆˆ U
}
} } S { f V

In linea di principio è necessario conoscere tutte le ‹ S%U ‹ \ Z ‹ ˆˆˆ U \ Z V


} }
Ö
s s
(per ø arbitrario) al fine di avere una caratterizzazione completa del processo.
Ö
s s
È inoltre chiaro che le ‹ S%U ‹ \ Z ‹ ˆˆˆ U \ Z V devono soddisfare le seguenti
äè
condizioni ( " ( §2 ( # ( ( ( , ) ™ë :
} }

i)
Ö
s s
‹ S%U ‹ \ Z ‹ ˆˆˆ U } \ Z } V Oé Mê
y@\ ø ;

ii)
Ù €
ë r Ö
s s
U ‹ ‹ S%U ‹ \ Z ‹ ˆ ˆˆ U \ Z VL]
Ö
‹ } S%U ‹ } \ Z ‹ } ˆˆˆ U } \ Z } V ; s s
€ } } k k k

ë

€
r Ö
iii) U U \ Z Vx] f .
S%6
€

å ˜—
k
Un concetto molto importante è quello di 2
*@.u Ò 2L (<–  – $# Ò "( 
(
# #
2&! +  . Supponiamo ad esempio che i valori assunti dal processo S Z V ai
tempi Z \ˆˆˆE\ Z , S Z ‰ ˆˆˆ ‰ Z V siano noti con 
* 
"!! . Siamo allora
} }
portati a considerare la seguente probabilità

˜¡.¢Q£ n U ‹ ‰ å S Z ‹ V ‰ U ‹ c r U ‹ s ˆˆˆ s U # Ù } ‰ å S Z # Ù } V ‰ U # Ù } c r U # Ù } Î
å S Z # VL] U # s ˆˆˆ s å S Z } VL] U } p g
S%U ‹ \ Z ‹ s ˆˆˆ s U # Ù \ Z # Ù Î U # \ Z # s ˆˆˆ s U \ Z V U ‹ ˆˆˆ U # Ù
Ö r r
} } } } }
S { f { V
La quantità S%U ‹ \ Z ‹ s ˆˆˆ s U # Ù \ Z # Ù Î U # \ Z # s ˆˆˆ s U \ Z VhS Z ‰ ˆˆˆ ‰ Z # ‰
Ö

Z # Ù
} } } } }
ˆˆˆ ‰ Z ‹ V definita in tal modo è detta appunto densità di probabilità
} ‰
condizionata ™ ú . È molto facile convincersi che fra le densità di probabilità
condizionate e congiunte sussiste la relazione Ó ‡

Ö
‹ S%U ‹ \ Z ‹ s ˆˆˆ s U \ Z LV ]
Ö
s s #
%S U ‹ \ Z ‹ ˆˆˆ U Ù \ Z Ù Î U # # \ Z # s ˆˆˆ s U } \ Z } V.ˆ
} } Ö
# # #s s
S%U \ Z
}
ˆˆˆ U \ Z V
} }
}

S { f „ V

Alcuni autori includono l’ulteriore condizione: å (ç @è%é ;


.í í "î ,Êì î .ì ·–ì ï ñ‡$ð ‡M‡ ·–ò
; ç 1 è%é 1 ) non cambia scam-
68
biando fra loro due qualsiasi coppie (ç è0é ), (ç è%é ) (1 è ). Essa è però notevol-

Üæ ‹’ {ç
mente restrittiva, in quanto formalizza il concetto di  )Ÿ'¼›.¥w ›.ŸÀ›J­²³.¬¬$³J )Ÿ-¼*«¥w­w ³.ŸQ¬«¦¯ß
ÇE³.¥ ›*¢| $¥ «¼.«¥«­   ² &¢  )¬ʛ per un processo stocastico. Si veda ad es.: M. Kac and J. Logan,
© ¢ ®'ž²¬®-›.¬? &³.Ÿ'­ , in ±'¬®'¡. ²­6 )ŸH±'¬$›.¬ )­ ¬ žw›*¢œF žw¿-›.Ÿ' ž²­ , vol. VII, ed. by E. W. Montrol and
c c
J. L. Lebovitz (North-Holland, Amsterdam, 1979). Si noti che – in virtù dell’eq. (1.14) –

‹’
å æ (çè0é9ê ç èé ) definita dall’eq. (3.7) soddisfa quest’ultima condizione, in accordo col fatto

ó M‡$‡{‡ ôó õ Qõ
che l’evoluzione quantistica è temporalmente ¥ «¼*«¥w­w  ² &¢| .


69 Si assume cioè la condizione che si abbia con certezza (é 1 ) = ç 1 è 9è (é ) = ç .
70 Essa è nota come ¥ ?¤³*¢…›¡.  e›.ª«­ .
39

Una classe particolarmente importante di processi stocastici è quella dei ; ( —


÷ö

.¯2 N  ( , , caratterizzati dal fatto che la generica probabilità condizio-
Ö
s s # #
nata S0U ‹ \ Z ‹ ˆˆˆ U Ù \ Z Ù Î U \ Z # #s s
s s # # # #
ˆˆˆ U \ Z V è +2…
*+2
* 
dalle va-
} } } }
riabili U \ Z ˆˆˆ U \ Z , mentre 2…
*+2
da U \ Z Ó } . Possiamo dire
} } k } k }
in modo più intuitivo che secondo la proprietà di Markov “ il futuro dipende dal
passato  (  ( attraverso il presente”, cioè il presente determina "( 
 1
 

il futuro, $+2…
*+2
* 
1
* 
da quanto è avvenuto nel passato. È facile ren-

s s
dersi conto che per un processo markoviano l’infinita gerarchia delle densità
Ö
di probabilità congiunte ‹ S%U ‹ \ Z ‹ ˆˆˆ U \ Z V è ( 
 1
* 
determinata
} }
da 2
sole grandezze:
Ö
i) 2<
@% Ò 2o <
( –  – #1
Ò &!%&
S%Ue\ Z ‡ V ;

ii)  
( –  – $#%T
Ò 2h% @.&! ( 

Ö
S0Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V , (Z ‡ k Z ).

Esse sono connesse dalla relazione


Ù €
Ú
Ö r Ö Ö
S%U6\ Z Vx] U ‡ S%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V S%U ‡ \ Z ‡ V S { f ” V
€
k

Infatti abbiamo

Ù € Ù €
Ú Ú
Ö
S%Ue\ Z Vx]
r
U ‡
Ö
s
` S%U6\ Z U ‡ \ Z ‡ VL]
r
U ‡
Ö
S%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V
Ö
S0U ‡ \ Z ‡ V S { f Ñ V
€ €
k k

[ø ˜—Rè
Si può ulteriormente mostrare che la proprietà di Markov implica la cosiddetta
P ( # ( ( ( , `

"=E! ( 
2 .;8 Ó

Ù €
Ú
Ö r Ö Ö
S0Ue\ ZÎ U ì \ Z ì Vx] U ‡ S%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V S%U ‡ \ Z ‡ Î U ì \ Z ì V.\ S { f Ø V
€
k

in cui si suppone Z ì Z ‡ k k
Z . Nel seguito, useremo l’abbreviazione PSMC
÷ö
(; (
*" ( . (E '*% ( 8 ( , 0 (1 )" "( ).
3.4 – È ora chiaro che esiste un’analogia molto stretta fra le eq. (3.3),
(3.4) da un lato, e le eq. (3.15), (3.17) dall’altro – si può infatti passare da

71
72
Se essa non dipendesse neppure da ç è0é si avrebbe un Ç¥ ³žw«­w­«³¡.  6²¥wŸ³.®E¢)¢   . õ õ ¦¥
Si veda un qualunque testo di processi stocastici citato nella bibliografia.
40

queste a quelle mediante la sostituzione (3.1), che assume pertanto la forma


più specifica

Ú
Ö [
S%U6\ Z V S%Ue\ Z V.\ S
{ f Û V

Ú
Ö
S%Ue\ ZÎ U+ì \ Z ì$V Í%Ue\ ZÎ U+ì \ Z ì Ï S
{ f Ý V

Ma c’è di più! Se  (  


0G
0% alcuna misurazione, le probabilità quan-
tistiche soddisfano le eq. (3.8), (3.9) che 2 G
* *$ "(  ( dalle formule classiche
(3.15), (3.17): il manifestarsi di tale comportamento  (   &' "( sta alla
base del famoso “ ' 
0 (( +2)/ ( * ( 2
*)Ü8
* *0 ”. Se invece ƒ
%G
 f—
% una misurazione al tempo Z ‡ , le probabilità quantistiche ubbidiscono alle
eq. (3.10), (3.11), che manifestamente (   02 (  ( con le corrispondenti for-
mule classiche (3.15), (3.17): in questo secondo caso la materia si comporta
come ci si attenderebbe in fisica classica, vale a dire “   ( 2 (8"( w;< "( ) 
”.
L’analisi dell’esperimento di diffrazione da doppia fenditura data da Feynman
nell’articolo tradotto illustra questi concetti in modo estremamente chiaro Ó † .
Notiamo a questo punto che l’analogia schematizzata dalle eq. (3.1),
(3.2) è 9GJ/0 ( <
*;
* 
, in quanto  (  è stata fatta alcuna ipotesi sulla forma

* ;•  %  dell’hamiltoniana.
ù
3.5 – D)
* * ( "
conseguenza delle eq. (3.1) e (3.2) è che si deve avere
una  ( ) •0! M( *8
fra le varie descrizioni di un PSMC e le possibili
formulazioni della meccanica quantistica Ó  . Se questo fatto fondamentale
fosse stato apprezzato appieno fin dai primi tempi della teoria quantistica,
la scoperta dell’integrale di Feynman sarebbe potuta avvenire vent’anni prima
(questo punto verrà discusso nel paragrafo 3.10)! Cosa ancor più sorprendente,
una  ( ,- formulazione della meccanica quantistica emerge spontaneamente
– proprio in virtù delle eq. (3.1) e (3.2) – dalla descrizione di Langevin di un
PSMC (questo argomento sarà trattato nel capitolo 5).
3.6 – Considereremo (d’ora in poi) un generico PSMC nello  @E! ( 2<
$


(  D  E!* (   (tridimensionale) Ó ˜ .
Esso è caratterizzato dalla "( .  

È importante osservare che il punto di vista qui adottato suggerisce in modo Ÿ›.¬®¥ ›*¢| di
’ ’
73
interpretare la meccanica quantistica come una ¬ ³.¥w ›ÂŸ³.Ÿž9¢…›.­ ­w ž ›A¡²¢)¢|§Ç¥ ³ w› ² &¢  #¬Eʛ .
Si vede quindi in modo esplicito che anche le probabilità – come già la geometria con

g
Riemann ed Einstein – non sono verità ›6Ç¥« ³.¥w  , ma ¡.  Ç-«Ÿ¡³.Ÿ³ dalla specifica ­w #¬?®-›À² ³.Ÿ/
­  ž › che si considera. Corrispondentemente il famoso dualismo onda-particella appare
“sbilanciato”: ad es. un elettrone è ­9«¦ÌÇ¥  una particella, mentre l’aspetto ondulatorio è
una semplice conseguenza del fatto che le probabilità Ÿ³.Ÿ soddisfano il calcolo ž9¢…›.­w­  ž ³ .
74 Naturalmente ciò Ÿ³.Ÿ significa che non possano esistere formulazioni della teoria quantistica
­²²ŸÀ"› un analogo per i processi stocastici classici.
75 L’esempio fisico più noto di questo tipo di processi stocastici è il moto browniano macro-
scopico nell’ ›«ÇÇ¥ ³.­w­  )¦¨›À² ³.Ÿ/C¡. oã )Ÿ-­w¬« )Ÿß?±'¦¨³*¢ ®-ž«¿-³.à ­0¶.  , che corrisponde al caso di
¤.¥ ›.Ÿ¡Ì›.¬¬¥« )¬$³ . Si veda a tale proposito ad es.: N. G. Van Kampen, ±'¬$³žw¿-›.­w¬ ž6Æ+¥ ³ž««­ ­9«­
 )ŸâÆ ¿ª­w ž²­5›.Ÿ¡ƒ¾@¿'«¦Q #­w¬¥«ª (North-Holland, Amsterdam, 1981).
41

2 â2 G¨ ( 


à
che descrive l’effetto delle Q@0%@-!* (  , mentre la “ 2 * M  ” ³
RTS%U6\ Z V descrive gli effetti 2

* *$.%   di campi di forza eventualmente pre-
§
senti. Supponiamo inoltre che le particelle che realizzano il processo possano
venir
*1
.
e " ( – %
dall’ambiente: ciò è specificato dalla “ E$#$ 3 
” ö §
S%Ue\ Z V , che esprime la ; (–  – •% Ò 2h" ( – 1
*  ( 
 ƒ% Ò 2h
 ( Ó ™ .
à
§
È fondamentale notare che gli effetti rappresentati da , RTS U6\ Z V e S U6\ Z V
  interferiscono fra loro, per cui ne possiamo tenere conto in modo /2<2%%$, ( .
( §
à  § 
 à
Possiamo cioè analizzare il PSMC in questione supponendo ad es. dapprima
à
]jy , R1S0Ue\ Z Vh]jy e S%Ue\ Z V5]jy , poi
Z Z
] y , RTS%Ue\ Z V ] y e S%U6\ Z V5] y ed
infine ]jy , RTS%U6\ V§]äy e S%U6\ V ]äy . La “sovrapposizione” di queste tre
situazioni fisiche fornisce allora la rappresentazione del PSMC originario.
3.7 – La descrizione “standard” di un PSMC è basata sull’equazione dif-
Ö
ferenziale lineare di Fokker-Planck ÓÓ per la densità di probabilità S0Ue\ Z V . Si
Ö
noti che la probabilità di transizione S0Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V non è altro che il  ( @ < Q—
 ( "
di tale equazione, in virtù dell’eq. (3.15).
Nel caso considerato, l’equazione di Fokker-Planck assume la forma
§
Y Ö
S%Ue\ Z Vx]
à Y
`
Ö
S%U6\ Z V<^
Y
sR S%U6\ Z V
Ö
S%Ue\ Z Vwv^ S%Ue\ Z V
Ö
S%Ue\ Z V
a
S { <y V
§
` l
YZ Y U Y U

ø
l
(  
0%#1
* 
, il ruolo di questa equazione è chiarito dal fatto che , à
Ö Ö
S Ue\ Z V e S Ue\ Z V possono venir definite in termini di S Ue\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ VCÓ ë . Allora
l’equazione di Fokker-Planck appare come un’espressione 2 G
 
!*0
(ap-

 
prossimata) dell’equazione di Chapman-Kolmogorov (3.17).
Discutiamo ora il .)   / ( x "( dell’eq. (3.20).
Sfruttando l’osservazione fatta nel paragrafo 3.6, cominciamo col con-
à
siderare il caso limite in cui le fluttuazioni abbiano un ruolo trascurabile –
ciò consente di porre ] y (almeno in prima approssimazione). È anche
§
conveniente supporre momentaneamente che non si abbia emissione o assor-
bimento di particelle da parte dell’ambiente, per cui poniamo S%Ue\ Z VÂ] y .
Corrispondentemente l’eq. (3.20) diventa

Y Ö Y Ö a
S%Ue\ Z VL]_^ sR S%U6\ Z V S%Ue\ Z Vwv S { -f V
Y Z Y U l
l
76 Ci sembra abbastanza strano che effetti di quest’ultimo tipo vengano spesso ignorati nella
letteratura. Un’eccezione è: F. W. Wiegel, þ Ÿ'¬¥ ³¡.®'ž²¬ ³.Ÿ ¬$³:Æo›.¬)¿þ Ÿ'¬?¤.¥ ›*¢;œF«¬&¿-³¡.­
 )ŸÂÆ¿ª.­  ž²­Q›.Ÿ¡Æo³*¢ ª.¦¨²¥5±ž² ?«Ÿžw (World Scientific, Singapore, 1986). Come risulterà
evidente, è invece molto conveniente considerare questi effetti discutendo le analogie formali
con la meccanica quantistica.
77 A. D. Fokker, Ann. Phys. 43, 810 (1914); M. Planck, Sitzber. Preuss. Akad. Wissens. 324

ú ’
(1917).
78 Per una trattazione molto chiara di questo punto si veda: C. W. Gardiner, ̛.Ÿ¡ w³³"¶F³ ½
±'¬$³žw¿-›.­w¬ ž§œF«¬)¿-³¡.­ (Springer, Berlin, 1983).
42

Questo risultato è in perfetto accordo con l’intuizione fisica: dato che il numero
di particelle è costante, le probabilità si conservano, per cui la densità di
probabilità deve soddisfare un’equazione di continuità. Ora, all’eq. (3.21) è
associata l’equazione
r
aa
r
Z Ål S Z Vx]jR
l Å
S S Z V.\ Z V S { V

Poiché di fatto l’eq. (3.22) segue dall’eq. (3.21) ponendo

Ö a
S%Ue\ Z VL]zÐS%UT^
Å S Z VV S { { V

è evidente che entrambe descrivono la .


.* evoluzione temporale dovuta agli
effetti deterministici Ó ú (i soli ora presenti!). Arriviamo cosı̀ alla conclusione §
P
à  }
$Å ã
che le soluzioni S Z V dell’eq. (3.22) descrivono le % 
0 ( *0
x. 
del PSMC
considerato 
$ ./; ( ".$8-!* ( 
]y , R1S0Ue\ Z V ]zy e S%Ue\ Z VL]y .
Se  (  avessimo supposto la costanza del numero delle particelle, al posto
dell’eq. (3.21) avremmo ottenuto dall’eq. (3.20)
§
Y Ö Y Ö Ö a
S%U6\ Z Vh]_^ sR S0Ue\ Z V S%U6\ Z V«v ^ S%U6\ Z V S%Ue\ Z V S { „ V
Y Z Y U l
l

§
Vediamo quindi che il termine aggiuntivo nell’eq. (3.24) tiene conto proprio
del fatto che le probabilità in realtà non si conservano, a causa dei processi di
emissione e di assorbimento (si noti che ciò è in accordo con l’interpretazione
di S0Ue\ Z V come probabilità di assorbimento per unità di tempo). Naturalmente
: P
le % 
0 ( *0
x. 
restano le .
*"
di prima – cambia  (  ( la distribuzione
di probabilità: si può infatti dimostrare che ora l’eq. (3.22) segue dall’eq. (3.24)
ponendo

§
WX Ú n
Ö
S%Ue\ Z Vx]ÐS%UT^
Å S Z VV exp V^ r
Z ì
Å
S S Z ì&V*\ Z ì$V Z] \ a
S { ” V


n

Abbiamo cosı̀ chiarito il significato del secondo e terzo termine nel secondo
membro dell’eq. (3.20).

79 Non c’è da stupirsi che un’evoluzione temporale deterministica sia descritta da una dis-
tribuzione di probabilità: ciò significa semplicemente che lo stato iniziale Ÿ³.Ÿ è noto
esattamente.
43

Qual’è il significato del primo termine? Consideriamo adesso il caso limi- §


à 
te opposto, in cui le fluttuazioni abbiano un ruolo predominante – supporremo
pertanto ]zy , R1S%Ue\ Z VL] y e S%U6\ Z Vh]zy . Quindi l’eq. (3.20) diventa

Y Ö
S%U6\ Z Vx]
à Y
`
`
Ö
S%Ue\ Z V
a
S { Ñ V
Y Z Y U

ü
Questa è la ben nota “equazione del calore”, che descrive un  (E
. ( 2
0

* , cioè un PSMC definito dalla seguente probabilità di transizione

` Î
Ö
S%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ VL] ý „&à f
SZ ^ Z ‡ V
exp ¯^ Í „à f S%UT^ÜU ‡ V
SZ ^ Z ‡ V
a
S { Ø V

È dunque evidente che le fluttuazioni associate al processo stocastico descritto


i
dall’eq. (3.20) sono caratterizzate da una distribuzione /0+ di proba-
bilità ë ‡ ë} . §
P
 
nel caso
à 
C’è un punto che va ulteriormente chiarito. È naturale aspettarsi che
] y , RTS%U6\ Z V ] y e S%Ue\ Z Vƒ]’y la densità di probabilità

debba soddisfare un’equazione di continuità, dato che il numero di particelle
è costante. Ma ora l’eq. (3.20) si riduce a

Y Ö
S%Ue\ Z VL]
à Y
`
`
Ö
S%U6\ Z VD^
Y
sR S%U6\ Z V
Ö
S%U6\ Z Vwv
a
S { Û V
Y Z Y U Y U l
l
che non sembra avere la forma di un’equazione di continuità. È senz’altro vero
che l’eq. (3.28) differisce dall’eq. (3.21), però va tenuto presente che adesso la
situazione è più complessa, perché si sta tenendo conto anche dell’effetto delle
fluttuazioni. Procedendo formalmente, notiamo che l’eq. (3.28) può venire
riscritta come
9
Y Ö
Y Z
S%U6\ Z Vh]_^
Y U
Y
7²^ à Y U
Y Ö
S%U6\ Z VocŠR
l
S0Ue\ Z V
Ö
S%U6\ Z V
a
S { Ý V
l l

per cui, ponendo

80 È importante apprezzare il fatto che la distribuzione di probabilità relativa a tali fluttuazioni

þ
è  )Ÿ¡.  Ç-²Ÿ¡²Ÿ-¬% dallo stato dinamico del sistema considerato. È per questo motivo che
parleremo di “;®¬¬®'›À² ³.Ÿ' ;¡. ½«³.Ÿ¡³ ”. Questo aspetto verrà sviluppato nel capitolo 5.
81 È ben noto che le distribuzioni ¤›.®­w­  ›.Ÿ/ di probabilità hanno un ruolo preminente in

’ ’
fisica. Ciò è dovuto essenzialmente
Á

al ¬ ³.¥ ²¦¯›:žw²Ÿ-¬?¥0›*¢|J¡²¢+¢  #¦Q )¬ (si veda ad es.: A.
Papoulis, Æ¥0³ w› ² &¢  )¬.ʛ · ›.¥« › ² &¢  /»Ì¢| ›.¬$³.¥« ?h6Æ¥0³"žw«­w­  @±'¬$³žw›.­ ¬ ž²  (Boringhieri, Torino,
1973)).
44

ß S%U6\ Z VLgó^
à Y Ö
ln S%U6\ Z V*\ S {|{ y<V
l Y U
ÿ S%Ue\ Z VLg
ß l
S%Ue\ Z Þ V cŠR S%U6\ Z V S {|{ f-V
l l l

l’eq. (3.29) diventa

Y Ö
S%U6\ Z VL]ó^
Y
s
ÿ S%Ue\ Z V
Ö
S%Ue\ Z Vwv S {|{
a
V
Y Z Y U l
l

che ha la forma usuale di un’equazione di continuità! Pertanto l’equazione


di Fokker-Planck (3.28) può effettivamente essere vista come un’equazione
di continuità, in cui compare la ,'
 (E % Ò 2 "( * 
 
S0Ue\ Z V . Fisicamente
ÿ
non vi è proprio nulla di misterioso in quanto abbiamo fatto: la velocità con
cui si muove una particella ha un contributo dovuto agli effetti deterministici
(come nel caso dell’eq. (3.21))  Ò un contributo dovuto all’
%G
0 ( 1
2 (
delle fluttuazioni. Quest’ultimo è la cosiddetta ,
* (  Ò ( . ( %   , definita
`
dall’eq. (3.30) ë . Si noti che la validità dell’eq. (3.31) è conseguenza diretta
della non interferenza fra i due tipi di effetti.
Ci preme sottolineare due aspetti caratteristici della descrizione di un
PSMC basata sull’equazione di Fokker-Planck. Si tiene conto delle fluttuazioni
Ö
in modo +2$ "
0 ( , considerando solamente il loro
%G
0 ( 1
2 ( su S%U6\ Z V
Ö
e S%U6\ ZÎ U ‡ \ Z ‡ V . Ulteriormente tale approccio  (  fa alcuna affermazione
Ü P
sulle % 90
0 ( *
x. 
di un PSMC. Notiamo infine che quest’ultimo può
venire schematizzato come un’
*, ( #! ( 
3
 ( &
32

* *$.%   – det-

tata dall’eq. (3.22) – 
* % – /  2/ Q0%-!* ( L /"0;
82 M( 2 ( (even-
tualmente le particelle possono essere emesse o assorbite dall’ambiente).
3.8 – Da quanto abbiamo visto è chiaro che la formulazione della mecca-
nica quantistica basata sull’equazione di Schrödinger è concettualmente sullo
*
. ( 0 ( della descrizione di un PSMC basata sull’equazione di Fokker-
Planck. Scriviamo quindi simbolicamente

ÓÛ ß û Ô ÓÛ ß û Ô
à Ô © ©  t Ž Ó ^ Ý Ö ›© Ž  û  t Ø  Ú à Ô © :t Ø ÷ŸÓŽ ©  à Ý Ô ©H  t t Ó
S {|{{ V

82 È proprio la velocità osmotica l’elemento caratteristico di un Ç¥ ³ž««­ ­²³J¡. ;¡.  o®E­  ³.Ÿ/ , che 

ž ³.¥«¥ «Ÿ'¬Q³.­ ¦¨³.¬ žw› è (çè0é ) = d

poi non è altro che un PSMC con traiettorie fisiche continue. Dall’eq. (3.30) segue che la
Qå (çè0é ). Dato che nella trattazione fenomenologica
di un processo diffusivo macroscopico å (çèé ) è proporzionale alla concentrazione delle
particelle considerate, si ritrova un risultato ben noto di fisica elementare.
45

Vi è tuttavia qualcosa che va ƒ2: Ò delle semplice corrispondenza


schematizzata dall’eq. (3.33). Infatti – come il lettore avrà certamente no-
tato – anche la M( *8—
* ;•  %  dell’eq. (3.20) è molto simile a quella tipica

”
dell’equazione di Schrödinger. Vogliamo studiare in dettaglio questo aspetto.
Consideriamo ancora la particella descritta classicamente dall’azione
(2.33). Come è ben noto, l’equazione di Schrödinger corrispondente è
K
W 3
X- Y [
YZ
S%Ue\ Z Vh] a-b
f
KI ^ l l S0Ue\ Z V ˆ
W X- Y
Y U
^
l S {|{„ V
I W X Y
^ -
Y U
č
^
l
S%U6\ Z V
[
S%Ue\ Z VÞcŽƒ S%Ue\ Z V [ S0Ue\ Z V
l

Ponendo per convenienza formale ?


W X-
g a-b \ S {|{/” V

 f

‚
l
S%U6\ Z V5g_^ b

W
l
S%Ue\ Z V.\
K S {|{Ñ V

S%U6\ Z L
V g a-b
f
Y U
Y
 l
S%U6\ Z Þ
V c X- I a-b
f
 l
S0Ue\ Z V $ l
S%U6\ Z Vec BS%U6\ Z V \ S {|{/Ø V
l

l’eq. (3.34) può essere riscritta come


? E ‚
C
`
Y [ Y [ Y [ [
S%Ue\ Z VL] ` S%U6\ Z V^ S%U6\ Z V S%Ue\ Z V ^ S%U6\ Z V S%U6\ Z V S {|{Û V
YZ Y U Y U l
l

Nella forma (3.38) l’equazione di Schrödinger considerata è .% *@0% •1


 

02<
 %   all’equazione di Fokker-Planck (3.20). Vediamo quindi che – in virtù
della corrispondenza (3.18) – l’una si trasforma nell’altra, a patto di assumere
l’ulteriore corrispondenza ?
à
§R8S%U6\ Z V Ú  \ S {|{Ý V

Ú ‚ S%U6\ Z V.\ S {…„ y<V

S%U6\ Z V
Ú S0Ue\ Z V S {…„ f-V

Siamo cosı̀ giunti a stabilire una "( 


   ( * *?  ( +2<
! fra la dinamica
quantistica di ed un generico PSMC. ”
46

3.9 – Una descrizione alternativa di un PSMC è stata iniziata da Wiener ë†


e sviluppata successivamente da Kac ë  ed Onsager e Machlup ë ˜ . Sostanzial-
Ö

come $ 
 
M !* ( +&
( $ 
 
2
ü
mente, questo approccio fornisce la probabilità di transizione S%U ì…ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì V

*
 ë™ ), permettendo cosı̀ di
calcolare tale grandezza 
*! che sia necessario risolvere l’equazione di
Fokker-Planck. La presentazione che segue metterà in evidenza la profonda
+ ( %1*% *0% 
fra gli integrali di Wiener e di Feynman ë Ó .


Denotiamo con una particella che “materializza” un generico PSMC
ü
e consideriamo l’evento “ ,- 2/ S%U ì \ Z ì VS%U ì…ì \ Z ì…ì V ”. È evidente che la
Ö
; (<–  – •% Ò (totale) S%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V associata a questo evento non è altro che

r s
la probabilità di transizione relativa al PSMC in questione. Indichiamo anche
in questo caso con xS0U ì \ Z ì U ì|ì \ Z ì…ì V lo spazio dei  $ , cioè delle funzioni
(reali) continue UDS Z V con estremi fissi UDS Z ì VÂg U ì , UDS Z ì…ì Vg U ì|ì . Di fatto, il
primo postulato di Wiener è
ü
W1) Tutte le )
* *+/%$,
:2$²  
Ìëë secondo le quali l’evento
j•–r s
può realiz-
zarsi sono descritte da  UÌS Z V xS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì|ì V .

s s
Prima di Wiener, le più generali distribuzioni di probabilità erano le
Ö
probabilità congiunte S%U ‹ \ Z ‹ ˆˆˆ U \ Z V che si riferiscono ad un insieme
} }
2?  "
 ( di punti. Egli ha esteso tale concetto al caso di un insieme "(  %$  ( ,
postulando cosı̀ l’esistenza della seguente  (<–  – $#: Ò 2Þ% @!* ( 
associata
ad un  
* (  (
 UDS Z V j•–r
LS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V s K
Ö
S%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V s UDS9ˆ•Vwv;g I probabilità che  S {…„
a
V
si muova lungo UDS Z V

Questa grandezza può anche venir interpretata come ; 


"
 (  (
( –  – •%A
Ò 
* 8$; 1—
% ) "
 UÌS Z V : in tal modo una distribuzione di   (–  – $#% Ò risulta

83 N. Wiener, J. Math. and Phys. 2, 132 (1923); Proc. London Math. Soc. 22, 454 (1924) e


55, 117 (1930).

’ ’’ ’
84 M. Kac, in Æ+¥ ³ž«  ¡. )Ÿ¤.­F³ ½ƒ¬)¿'F±/ žw³.Ÿ¡ 6²¥ ¶9¢|«ª1±'ª.¦ÌÇE³.­  )®¦’³.Ÿ>œâ›.¬)¿'«¦¨›.¬ ž ›*¢


±'¬$›.¬ )­ ¬? &ž9­H›.Ÿ¡:Æ¥0³ w› ² &¢  )¬ª , (University of California Press, Berkeley, 1951). Si veda
anche: M. Kac, Æ¥ ³ › ² &¢  )¬ªB›.Ÿ¡ ޝ²¢…›.¬ ¡È³«Ç ž²­h #Ÿ:Æ ¿ª­w &žw›*¢±ž9 ²Ÿž««­ (Interscience,
London, 1959).
85 L. Onsager and S. Machlup, Phys. Rev. 91, 1505 (1953); S. Machlup and L. Onsager, Phys.


Rev. 91, 1512 (1953).
86 In realtà, Wiener ha considerato soltanto il caso in cui (çè0é ) = 0 e ∆(çè%é ) = 0. Tuttavia

  
per “  #Ÿ'¬$¤.¥ ›*¢|¡. FÃH ?«Ÿ/«¥ ” intenderemo nel presente Quaderno la ¤²Ÿ²¥0›*¢  |ÀwÀ›À² ³.Ÿ/
dell’integrale di Wiener originale in cui si abbia (çè%é ) = 0 e ∆(çè%é ) = 0. Si veda: I. M.
Gel’fand and A. M. Yaglom, J. Math. Phys. 1, 48 (1960); R. Graham, Zeit. Phys. B26, 290
(1977).
87 I ragionamenti che seguono sono ¡. )¼.«¥«­   da quelli che hanno condotto Wiener alla formu-
lazione del suo integrale. Si veda la nota 104.
88 Vale anche qui quanto osservato nella nota 28.
47

r s
definita su xS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì|ì V ë ú . Ancora,
Ö
S0U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V ha la struttura

Ö Ö
S%Uì…ì%\ Z ì|ì Î U+ì0\ Z ì$V s UÌS²ˆ•Vwvg ЏS0U+ì…ì^UDS Z ì…ì?VV9ÐS%Uì@^ÜUDS Z ì$V"V s UÌS²ˆ•Vwv S {…„/{ V


in cui le due funzioni delta di Dirac implicano che tale probabilità si annulli –
Ö
come deve essere – se UDS Z ì V ]zU ì e/o UDS Z ì…ì V ] U ì…ì . Nell’eq. (3.43) s UDS²ˆ•V«v è un

funzionale continuo determinato dal secondo postulato
W2) La  <
( –  – $# Ò 2L% @.&! ( 
lungo UÌS Z V è

Ö
S%U ì|ì \ Z …ì ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²ˆ•Vwv]ÐS%U ì…ì ^ÜUÌS Z ì…ì VV9ÐS%U ì ^ÜUDS Z ì VV*ˆ

exp ^ x t  s UDS9ˆ•Vwv n%n ðñð ð | S {…„„ V

t
ove s UDS²ˆ•Vwv n ðñð ha la stessa forma di un’azione classica

t  s UDS²ˆ•Vwv n0ðñð ] Ú n0ðñð


r

Z ŽS%UDS Z V.\ U6S Z V.\ Z V
u S {…„<” V

ü §
 S%Ue\ UDu \ Z V

in cui la “ &  < %+2 è determinata completa- 
*
 ” Ž
à
§
mente dalle tre grandezze che definiscono il processo , RTS Ue\ Z V e S Ue\ Z V .
Esplicitamente


Žu] à„ S U u l ^ËR l S%Ue\ Z VV `
f
c a
f Y
Y U
R
l
S0Ue\ Z VÞc S0Ue\ Z V S {…„/Ñ V
l

Ora, secondo il   "(  (> &'". ( 2<


*
; (–  – •% Ò ú ‡ , la probabilità (to-
tale) di un evento è la  ( 8 delle probabilità relative ad ogni singola alterna-
tiva disgiunta secondo cui esso può realizzarsi. Conseguentemente – in virtù del
Ö Ö
postulato W1 – S%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V risulta essere la  ( 8 di S%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V s UDS²ˆ•Vwv
r s
su LS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V ú } . Pertanto il terzo postulato di Wiener è
W3) La  <
( –  – $# Ò 2L% @.&! ( 
è data da

Ö

Ú
Ö
S%Uì…ì%\ Z ì…ì Î U+ì \ Z ìVL] UDS Z V S%U+ì|ì?\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì$V s UDS9ˆ•Vwv S {…„<Ø V

Concludiamo che l’integrale di Wiener per un generico PSMC ha la forma

’ ’
89 Si ricordi la nota 31
Si veda, ad es.: B. V. Gnedenko, ȝ ³.¥« ›J¡²¢)¢|LÆ+¥ ³ w› ² &¢  #¬Eʛ (Editori Riuniti, Roma, 1987).
g
90
91 Come promesso, abbiamo ora una ¤. )®­w¬  ž ›À² ³.Ÿ/ dell’eq. (2.41).
48


x t  s UÌS²ˆ•Vwv n0n ðñð ð |
Ú
Ö
S%U+ì…ì%\ Z ì…ì Î Uì0\ Z ì$VL] UÌS Z VЏS0U+ì…ì@^ÜUÌS Z ì…ì$VV9ÐS%Uì^UDS Z ì?VV exp 6^
S {…„/Û V

ove
t  s UÌS²ˆ•Vwv è data dalle eq. (3.45) e (3.46).
A questo punto la  ( ) •0! fra gli integrali di Wiener e di Feyn-
man è evidente, ed essa verrà considerata più in dettaglio nel prossimo para-
grafo. Osserviamo che al primo si applicano molte delle considerazioni fatte
a proposito del secondo. L’eq. (3.48) va intesa come limite di un’espressione
discretizzata – proprio come nel caso dell’eq. (2.31) (la discussione fatta nel
paragrafo 2.3 può essere ripetuta qui quasi alla lettera) – ed è importante sot-
tolineare che in tale discretizzazione R1S0Ue\ Z V va calcolato nel   ( 1
2 (

U g S%U c U Ù V 
a `  
ú . Ancora, i  52 
*
 – cioè quei cammini
ü
}
§ §
che contribuiscono
0G
0%,-1
* 
nell’eq. (3.48) – godono della proprietà


UÌS Z V óS Z V } p
`
S {…„/Ý V

per cui sono M 0 # con dimensione di Hausdorff uguale a 2
Ìú † ú9 ú˜ . Ab-
i i
biamo visto che la proprietà (3.49) per i cammini di Feynman è equivalente al
principio di indeterminazione. Esiste forse un principio di indeterminazione

92 Qui la situazione è ½«³.¥w¦¨›*¢ ¦C«Ÿ'¬C ¡«Ÿ'¬ ž › a quanto avviene per l’integrale di Feynman

… ‡
con azione classica (2.33) (si ricordi quanto è stato detto al proposito nel paragrafo 2.6), e

… ‡
˜ [ç ( )] Ÿ³.Ÿ è più un integrale di Riemann. L’unica differenza è che nel presente contesto
si può attribuire un significato matematicamente ¥w |¤³.¥ ³.­«³ a ˜ [ç ( )] interpretandolo come
 )Ÿ'¬?¤.¥ ›*¢|:­w¬$³žw›.­ ¬ ž ³ . Questi integrali sono ancora definiti come limite di somme di
Cauchy-Riemann, però ¡.  Ç-«Ÿ¡³.Ÿ³ dalla particolare discretizzazione che è stata scelta (nel
caso in questione ciò è conseguenza dell’eq. (3.49)). Anche se esistono ›eÇ¥« &³.¥«  infiniti modi
di scegliere una discretizzazione, ve ne sono solamente due che hanno un reale interesse.


Una scelta consiste nel calcolare il valore dell’integrando nei Ç®Ÿ'¬ @ )Ÿ' …À9 ›*¢   degli intervalli
infinitesimi e definisce l’  )Ÿ'¬?¤.¥ ›*¢|x¡. Eþ ¬ ³ (esso soddisfa regole ¡. #¼*«¥w­9 da quelle dell’usuale
calcolo integrale). L’altra scelta corrisponde ai Ç®Ÿ'¬ ¦C ¡.  degli intervalli infinitesimi (in
cui è calcolato il valore dell’integrando) e dà luogo all’  )Ÿ-¬%?¤.¥ ›*¢|B¡. D±'¬¥ ›.¬$³.Ÿ³.¼ žw¿ (per

… ‡
il quale valgono le ­ ¬²­ ­² regole dell’ordinario calcolo integrale). Quindi la nostra scelta
è di interpretare ˜ [ç ( )] nell’eq. (3.48) come  )Ÿ-¬%?¤.¥ ›*¢|ƒ¡. x±'¬¥ ›.¬$³.Ÿ³.¼ žw¿ . Osserviamo
che, se invece preferissimo la scelta “alla Itô”, dovremmo omettere il secondo termine nella
lagrangiana di Wiener (3.46) al fine di ottenere lo ­ ¬²­ ­«³ risultato. Gli integrali stocastici
sono discussi in tutti i testi avanzati di teoria dei processi stocastici. Si veda ad es.: H. P.
McKean, ±'¬$³ž«¿-›.­ ¬ žhþ Ÿ'¬?¤*¥0›*¢ ­ (Academic Press, New York, 1969).
93 Si veda la nota 37.

ú
94 Nel contesto dell’integrale di Wiener, funzioni che godono della proprietà (3.49) vengono
anche dette ³*¢…¡«¥§žw³.Ÿ'¬ )Ÿ-®¯¡. ož9¢…›.­ ­95®Ÿ:¦¨ À À³ . Questo argomento è discusso ad es.
nel testo di McKean citato nella nota 92.
95 Analogamente a quanto avviene per l’integrale di Feynman, ciò Ÿ³.Ÿ è in contrasto col
postulato W1: la probabilità che Σ si muova lungo molti cammini ›LÇ¥w ³.¥«  possibili risulta
essere Ÿ'®-¢#¢…› .
49
P
 
per un PSMC? Contrariamente a quanto spesso si crede – che il princi-

§ §
pio di indeterminazione sia “l’emblema” della quantizzazione – la risposta è
G
* *8/%$,' ! È infatti noto da lungo tempo ú ™ che si ha ú Ó

U
ß  é Ð à S {•” y<V
l l

ove
ß è la velocità osmotica definita dall’eq. (3.30). Vi sono però anche
notevoli 2,'
 .% Ò fra gli integrali di Wiener e di Feynman. Prima fra tutte è
Ö
che S%U ì|ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V s UÌS²ˆ•Vwv ha il significato di una probabilità, quindi essa è una
grandezza "
&
J ( 3
<%,- , mentre Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï s UDS²ˆ•V«v è una quantità ( 
 ½—
;&
*" . Ne consegue che l’integrale di Wiener è un “ ,'
 ( $+
 &
, in quanto
r
esiste una $  (nel senso matematico del termine) su LS%U ì \ Z ì U ì…ì \ Z ì…ì V ú ë ; ciò s
permette di attribuire un significato matematicamente *) ( (  ( all’eq. (3.48) úú .

´
Altra differenza è che i cammini di Wiener possiedono un significato fisico
P
diretto, e rappresentano le % 
0 ( .
x. 
di un PSMC fra due punti asse-

gnati S%U ì \ Z ì V e S%U ì…ì \ Z ì…ì V . Ulteriormente il loro   /0
* "
Q@0%@ 
(implicato
³
dall’eq. (3.49) } ‡‡ ) rispecchia le Q@0%@-!* ( h <".%
12 M*( +2 ( che carat-
terizzano il PSMC in questione. Osserviamo infine che  (  esistono cammini
di Wiener <

* #!"!/% , simili a quelli considerati nel paragrafo 2.8 } ‡ } .

(  ü
Prima di concludere questo paragrafo, vogliamo considerare ancora il
;
*" ( 2 0

* (questo punto sarà molto utile nel paragrafo 5.2). Ab-
biamo già visto che esso è descritto dalla probabilità di transizione specificata
dall’eq. (3.27). Nello spirito dell’approccio di Wiener, tale processo va definito
Ö Ö
assegnando – anziché S%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì V – un’opportuna probabilità s UDS²ˆ•Vwv sullo

chiaro che si deve avere } ‡


i
spazio delle sue traiettorie. Q
? Dalle eq. (3.43), (3.44), (3.45) e (3.46) è
`
}‡ †

96 R. Furth, Zeit. Phys. 81, 143 (1933). Vogliamo sottolineare che anche nell’ambito della
formulazione di Nelson della meccanica quantistica vale l’eq. (3.50), che qui esprime proprio
il principio di indeterminazione di Heisenberg. Si veda: D. De Falco, S. De Martino S. De
Siena, Phys. Rev. Lett. 49, 181 (1982); S. De Martino and S. De Siena, Nuovo Cimento

 ¸  d‘¸ ¹ ¹ Ã
79B, 175 (1984).
97 Poniamo come di consueto ∆ ( )2 1 2 .

’ ’ h‰
Questa è la famosa ¦Q )­ ®¥ ›B¡. 5ÃB ²Ÿ²¥ (e sue generalizzazioni). Si veda ad es.: M. Kac,
98
Æ¥0³ w› ² &¢  )¬ªH›.Ÿ¡ ޝ²¢…›.¬ ¡Âȳ«Ç ž²­L )Ÿ:Æ¿ª.­  žw›*¢±ž9 ²Ÿž««­ (Interscience, London, 1959);
I. M. Gel’fand and A. M. Yaglom, J. Math. Phys. 1, 48 (1960).
99 Questa circostanza è in contrasto con quanto avviene per l’integrale di Feynman (si ricordi
la nota 23).
100 Le considerazioni fatte a questo proposito nel paragrafo 2.6 possono essere ripetute qui alla
lettera.

dä` `
101 Ritorneremo su questo punto nel capitolo 5.
102 È conveniente estendere l’integrazione da a + nell’eq. (3.51). Quando essa viene

103
fc · · cYc
inserita nell’eq. (3.43) le due funzioni delta riducono ¡. <½«›.¬¬³ tale integrale all’intervallo
considerato (é é é ).
Nell’eq. (3.51) abbiamo omesso per semplicità il fattore di normalizzazione (si veda al
proposito la nota 110).
50

WYX Ù €

V ^âSf  „ à u S Z V Uu S Z V Z\
Ú
Ö
s UDS²ˆ•V«v ¨ exp V
r
Z U
l l ] S {•” f-V
€
k

3.10 – È evidente che la formulazione di Feynman della meccanica quan-


tistica è concettualmente sullo *
. ( ;% ( della descrizione di Wiener di un
PSMC. Scriviamo simbolicamente

© à Ó Ô Û ÿ¬ß Ž Ô û Ý Ô ›© Ó  Ó Û ß û Ô ©›
à © Ô t! Ž  Ý j
Û û
Ú
a
t  t
t t
S {•” V

Ò ; (M*( +2/
Tuttavia la somiglianza fra le due descrizioni è in realtà ben B
di quanto espresso dall’eq. (3.52). Sussiste infatti l’ulteriore corrispondenza

Ö
Ú  Í%Uì…ì0\ Z ì…ì Î U+ì \ Z ì Ï s UDS²ˆ•Vwv;\
S%Uì…ì%\ Z ì…ì Î U+ì \ Z $ì V s UDS²ˆ•Vwv S {•”{ V
t
^" s UÌS²ˆ•Vwv n ðñð  W X t
S  - V s UÌS²ˆ•Vwv n ðñð \
nð Ú
S {•”'„ V
u u
 S0Ue\ Ue\ Z V Ú  ŽJS0Ue\ Ue\ Z Vh\
ŽJ

S {•”” V

di cui ci si rende conto immediatamente confrontando le formule dei paragrafi


t
t
2.4 e 3.9. Cosa ancor più importante, la M*( *8>
* #  %  di s UÌS²ˆ•Vwv è molto
simile a quella di s UDS²ˆ•Vwv , per cui scriviamo  –( #  1
 

t  s UDS9ˆ•Vwv n%ðñð á t s UDS²ˆ•V«v n%ðñð S {•”Ñ V


nð nð
Peraltro l’eq. (3.56) non deve stupire, dato che abbiamo già visto che la
M( *8z
. #    dell’equazione di Fokker-Planck è molto simile a quella
dell’equazione di Schrödinger nel caso in questione.
Vogliamo adottare ora un punto di vista "( ;&
 1
 
82$,
* . ( . Sup-
porremo di conoscere 0 quanto detto finora sui processi stocastici classici
 P
l’usuale formulazione della teoria quantistica; ma &  ( "
* "
* ( l’approccio
di Feynman. Il nostro scopo sarà mostrare come quest’ultimo possa essere

* *,- (3( 
 1
* 
dalla formulazione di Wiener di un PSMC!
Cominciamo notando che si può giungere all’eq. (3.53) in un modo alter-
nativo: basta far uso dell’eq. (3.1). Pertanto l’eq. (2.37) segue immediatamente
dall’eq. (3.47), in virtù delle eq. (3.19) e (3.53). A questo punto si tratta di
Ö
t t
dedurre Í%U ì|ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì Ï s UÌS²ˆ•Vwv da S%U ì…ì \ Z ì|ì Î U ì \ Z ì V s UDS²ˆ•Vwv , il che significa di fatto
ottenere s UDS²ˆ•Vwv a partire da s UDS²ˆ•Vwv . Sappiamo peraltro che sussiste una ( 1—
*$  ( +2
*! ( 
  fra la dinamica quantistica considerata e un PSMC,
51

espressa dalle eq. (3.39), (3.40) e (3.41). Grazie a queste equazioni, ŽHS%Ue\ U6\ Z V  u
diventa
? ‚
u
Ž5ì S%Ue\ UD\ Z Vh]
f
SU
u ^  S%U6\ Z VV
`
c a
f Y  S0Ue\ Z Vec S%Ue\ Z V S {•”Ø V
„ l l Y U l
l

ed usando le definizioni (3.35), (3.36) e (3.37) abbiamo

t U S²ˆ•Vwv n0ðñð ]_^


ì sÌ
W
X-
t s UDS²ˆ•Vwv n0ðñð S {•”Û V
nð nð

t
Riotteniamo cosı̀ l’eq. (3.56) in forma più precisa. La corrispondenza appena
menzionata implica che s UÌS²ˆ•Vwv nell’eq. (3.44) vada sostituita con ì s UDS9ˆ•Vwv al
t
fine di passare alla meccanica quantistica. Ma in forza delle eq. (3.53) e (3.58),
l’eq. (3.44) fornisce proprio l’eq. (2.36).
Questo semplice esercizio dimostra
* ;•  % 1
 
quanto già anticipato
nel paragrafo 3.5: se le analogie fra teoria quantistica e processi stocastici clas-
sici di cui ci siamo diffusamente occupati fossero state capite fin dai primi tempi
della meccanica quantistica, la scoperta dell’integrale di Feynman sarebbe po-
tuta avvenire vent’anni prima } ‡  .

4. Osservazioni storiche
Prima di presentare la traduzione dell’articolo originale, pubblicato nel
1948, ci sembra opportuno discutere brevemente le motivazioni che hanno
spinto Feynman a cercare una formulazione alternativa della teoria quantistica.
A tal fine è necessario considerare la situazione della fisica teorica negli
anni ’40, periodo fondamentale per la formazione intellettuale di Feynman.
A quell’epoca il problema centrale consisteva nel cercare una formulazione

104 Un problema molto interessante di storia della fisica sarebbe capire perché ciò Ÿ³.Ÿ sia
avvenuto. Vogliamo avanzare qui solo qualche congettura. Per quanto ne sappiamo,
nessun probabilista aveva compreso (almeno inizialmente) che l’integrale di Wiener poteva
venire generalizzato in modo tale da fornire il propagatore dell’equazione di Fokker-Planck
(probabilità di transizione) nel ž ›.­²³C¤«Ÿ/«¥ ›*¢| . È stato proprio sotto l’influenza diretta di
Feynman che Kac (suo collega alla Cornell University) ha esteso nel 1947 l’integrale di


Wiener in modo da tenere conto di ∆(çèé ) = 0 nell’equazione di Fokker-Planck (sempre 
però supponendo (çèé ) = 0). Un’ulteriore generalizzazione si è avuta nel 1953 ad opera
di Onsager e Machlup (si veda la nota 85). Vediamo che lo sviluppo storico è ³«ÇÇE³.­ ¬$³
all’ordine logico seguito nel paragrafo 3.10! Parrebbe anche ovvio che Wiener stesso si
sarebbe dovuto accorgere della rilevanza del suo lavoro pionieristico per la teoria quantistica,
anticipando cosı̀ la scoperta di Feynman... È quindi sorprendente constatare che egli ha sı̀
cercato di applicare il suo integrale funzionale alla meccanica quantistica, ma in modo
›.Ÿ'¬ )¬«¬ žw³ a quanto sarebbe naturale aspettarsi sulla base delle considerazioni fatte in
questo capitolo (N. Wiener and A. Siegel, Phys. Rev. 91, 1551 (1953); A. Siegel and N.
Wiener, Phys. Rev. 101, 429 (1956); si veda anche: G. Della Riccia and N. Wiener, J.
Math. Phys. 166, 1372 (1966)).
52

8/
*8/%  1
*+
" ( *
"
*+
dell’elettrodinamica quantistica: le principali dif-
ficoltà nascevano dalla presenza di 2,'
 0 
*!E
(infiniti) in molti calcoli.
Feynman cominciò a riflettere su questi argomenti quando era ancora un
giovane studente al Massachussets Institute of Technology, facendosi un’o-
pinione molto personale – però non corretta – sull’origine degli infiniti in
elettrodinamica quantistica. Egli si convinse che l’esistenza di tali divergenze
fosse sostanzialmente riconducibile a 2
circostanze. La prima è l’energia

 L   dovuta all’autointerazione di un elettrone, difficoltà che esiste nat-
uralmente già a livello classico. La seconda nasce dal fatto che un campo


elettromagnetico quantizzato (in una regione limitata dello spazio) è equiva-
lente ad un insieme di  L % oscillatori armonici quantistici (uno per ogni
grado di libertà del campo). È ben noto che, secondo la meccanica quantis-
tica, l’energia dello stato fondamentale di un oscillatore armonico  (  è nulla.

Pertanto l’energia del campo elettromagnetico risulta  L   (oggi sappiamo
che essa può venire eliminata in modo banale).
A Feynman sembrò evidente che per superare queste difficoltà bastassero
due semplici assunzioni:
a) una carica elettrica agisce solo su )% 
cariche, ma non su se stessa;
b) il campo elettromagnetico  ( 
..?*
.
Egli era convinto che in tal modo si sarebbero potuti risolvere i problemi a
livello  )". ( , e sperava che la teoria potesse essere quantizzata facilmente,
ottenendo cosı̀ un’elettrodinamica quantistica priva di divergenze. Superficial-

ô—
mente, l’ipotesi b può apparire paradossale. Tuttavia va tenuto presente che (a
livello classico) l’esistenza del campo elettromagnetico si manifesta
.  #
,'1
 
come una forza su particelle cariche. È quindi possibile pensare che
fra cariche elettriche esistano forze che agiscono “  2$. ! ”, cioè senza la
“mediazione” del campo elettromagnetico (ovviamente si deve supporre che
queste forze non siano istantanee ma si propaghino con la velocità della luce).
Poco dopo essersi trasferito a Princeton per compiere gli studi di Ph. D.
sotto la guida di J. A. Wheeler, Feynman si rese però conto û
che nei suoi
argomenti vi era un grave errore. Se si accelera una carica , essa irraggia,
perde energia e quindi decelera: questo effetto non dipende dalla presenza di
altre cariche ed è spiegato convenzionalmente proprio dall’azione della carica
su se stessa (mediata dal campo elettromagnetico). Ma come si può spiegare
tale decelerazione escludendo l’autointerazione? L’unica ipotesiû possibile è
ü
che ci debbano 
 "
essere altre cariche che agiscono su . Tuttavia
ü
le forze dovute alle cariche û si propagano con velocità finita e risulta che
l’effetto della decelerazione di avviene “troppo tardi”.
ü
A questo û
punto Wheeler fece un’ipotesi rivoluzionaria: le cariche
agiscono su attraverso le “  ( #! ( Þ %  |@/
” delle equazioni di Maxwell,
che si propagano all’ +2
% ( nel tempo con la velocità della luce (è ben
noto che usualmente tali soluzioni non vengono considerate perché sono in
53

evidente contrasto con la causalità). Feynman e Wheeler furono cosı̀ in grado


di spiegare = % /%$,'1
 
la perdita di energia per irraggiamento. Più
precisamente, la loro assunzione è che la forza agente su una carica sia data
(come di consueto) dalla forza di Lorentz (per semplicità consideriamo qui
l’approssimazione semirelativistica)

b
U l ]
Å st
l
cS$# Ì ü
V v
l
S „@ fEV

ü
nella quale i campi t e abbiano 
 D( Ò la forma

t ]
f
a St &% l&n c t / ‹ n V*\ a
S „@ V

ü
]
f ü
a S % l&n c ü / ‹ n V.\ S „@|{ V

ove i suffissi “rit” e “ant” indicano rispettivamente le soluzioni ritardate ed


anticipate delle equazioni di Maxwell.
Una domanda sorge spontanea. Nonostante il successo ottenuto nel caso
sopra considerato, com’è possibile conciliare : <

* &
l’esistenza dei campi
anticipati con la causalità? Abbiamo già visto che è possibile spiegare corret-
tamente la perdita di energia per irraggiamento secondo i postulati a) e b)  (  (
supponendo l’esistenza di )% "
cariche nello spazio. È proprio sfruttando la
presenza di queste cariche che Feynman e Wheeler sono riusciti a mostrare
come i campi anticipati vengano assorbiti "( ;&
 1
 
, evitando cosı̀ con-
traddizioni con la causalità. Questi notevoli risultati sono stati ottenuti verso
la fine del 1940 ma pubblicati solo dopo la guerra (J. A. Wheeler and R. P.
Feynman, Rev. Mod. Phys. 17, 157 (1945)).
Successivamente Feynman e Wheeler sono anche riusciti a porre la loro
teoria in una forma matematicamente molto elegante. Sostanzialmente l’intero

˜—
elettromagnetismo classico – formulato usualmente in termini di forza di
Lorentz ed equazioni di Maxwell – viene ridotto qui ad un semplice  *
 …; ( ,- *0E! ( +
in cui compaiono  (  ( le cariche elettriche. La sua forma

Å l ›k k
b W
esplicita è (nel caso di ø particelle con masse e cariche ( f ø ))
6 6 l
6
t ‹
b
Ú
r uS U 'ï)l$ò S V U u ' ï#lò S VV } p ` c
] 
l 6 l 6 l6 l6

u' 
í }
r  u Ó` S „@…„ V

l)í ( Å l Å  U6' ï)l$ò S V U ï ò"S  V9ÐS  V


l Ú Ú
f r
a 
l l l

con
54
6 6 6 6
 
Ó `  gùS%U 'ï)l$ò S Vx^ÜU 'ï ò S  VVS%U ' ï#lò S VÌ^ÜU ' ï ò S  VV S „@•” V
l l
6 l

6
Nelle eq. (4.4) e (4.5) U ' ï)l$ò S V è la traiettoria quadridimensionale dell’i-esima
6 6 6 l
u
U ' ï)l$ò S V—]
r
U ' ï)l$ò S V 
particella espressa in funzione di un parametro invariante ; si è quindi posto
r l
. Chiaramente il primo integrale nell’eq. (4.4) è
l l l

senta l’interazione elettromagnetica fra le cariche. Si noti che il fattore f 


l’usuale azione relativistica per le particelle libere, mentre il secondo rappre-
a

assicura che ogni coppia sia contata una sola volta ed il termine ]+* è omesso
W

per evitare l’autointerazione. La funzione delta di Dirac ÐS²ˆˆˆ)V implica che


l’interazione fra una coppia di cariche avvenga solo quando una si trova sul
cono di luce dell’altra, garantendo cosı̀ che l’“azione a distanza” elettroma-
gnetica si propaghi con la velocità della luce. Come di consueto, le traiettorie
t 6
dinamiche del sistema di cariche considerato si ottengono mediante un princi-
t '
pio di minima azione applicato ad (data dall’eq. (4.4)), richiedendo cioè che
si abbia Ð ]y per piccole variazioni ÐEU ï)l$ò S V delle traiettorie (J. A. Wheeler
l
and R. P. Feynman, Rev. Mod. Phys. 21, 425 (1949)).
Feynman era riuscito cosı̀ a realizzare le prima parte del proprio pro-
gramma. A questo punto si trattava di quantizzare le teoria. Sul finire del 1940
egli espose i risultati ottenuti in un seminario a Princeton, a cui parteciparono
anche Einstein, Pauli, Von Neumann, Russel e Wigner. In un seminario succes-
sivo, Wheeler avrebbe dovuto discutere la corrispondente versione quantistica.
Pauli era molto interessato a questo argomento, e volle chiedere a Feynman a
quali conclusioni fosse giunto Wheeler. Feynman rispose che non ne era al cor-
rente, al che la replica di Pauli fu:“Oh, il professore non racconta i suoi risultati
all’assistente? Probabilmente il professore non ha ottenuto alcun risultato”.
Ed infatti il seminario che Wheeler aveva annunciato non ebbe mai luogo!
Per motivi contingenti (dovuti all’inizio della guerra) Wheeler non ebbe
più tempo per occuparsi di questi problemi, cosicché Feynman si trovò a
portare avanti il proprio programma da solo.
Quantizzare una teoria classica è di solito un’impresa piuttosto facile.
Basta porre tale teoria in forma hamiltoniana e sostituire le coordinate e gli im-
pulsi con i corrispondenti operatori (secondo le regole ben note). Inizialmente
Feynman cercò di seguire questa via, ma presto si rese conto di una grossa
difficoltà. A causa del fatto che nel secondo termine dell’eq. (4.4) compaiono
2
integrazioni indipendenti, la teoria  (  possiede alcuna hamiltoniana! È
evidente che il metodo di quantizzazione usuale  (  può essere applicato alla
elettrodinamica di Feynman e Wheeler.
Come procedere allora? Un aiuto insperato giunse a Feynman da un in-
contro casuale con H. Jehle. Questi era appena giunto a Princeton dall’Europa
e – durante un party – chiese a Feynman di cosa si stesse occupando. “Sto
bevendo birra” rispose scherzando Feynman, che poi però raccontò a Jehle
55

le difficoltà che stava incontrando nel quantizzare la propria elettrodinamica.


Jehle si ricordò che Dirac aveva sviluppato un metodo di quantizzazione basato
sull’azione classica anziché sull’hamiltoniana (P. A. M. Dirac, Phys. Zeit. der
Sowjetunion 3; 64 (1933)) e consigliò a Feynman di studiarlo.
È ben noto che la teoria quantistica è stata costruita partendo dalla for-
mulazione hamiltoniana della meccanica classica. Ma quest’ultima può essere
espressa equivalentemente secondo la descrizione lagrangiana. Dirac si era
posto il problema di ottenere l’ + ( ( = %?*% ( della formulazione la-
grangiana. Egli si rese conto che era più opportuno considerare il  ( @ < ( 

n  tp
= %$.% "( anziché l’equazione di Schrödinger, e giunse alla conclusione che
Í0U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï “ "( . *$  ( +2
” a exp S
W X-
V , ove

t ]
Ú n ðñð
u
ŽS%UDS Z V.\ UÌS Z V*\ Z V S „@|Ñ V

u

è l’azione classica corrispondente alla lagrangiana ŽJS%U6\ U6\ Z V . Dirac osserv


inoltre che nel caso in cui l’intervallo Z ì…ì ^ Z ì sia $ h
* ( exp S
n  tp
W X-
V

è “ + ( ( ” a Í%U ì…ì \ Z ì…ì Î U ì \ Z ì Ï (è proprio a questa circostanza che si riferisce lo
scambio di battute fra Feynman e Dirac riportato nella nota 6). Tuttavia Dirac
non riuscı̀ ad andare oltre queste affermazioni piuttosto vaghe.
Come è stato discusso nel capitolo 2, Feynman riuscı̀ a tradurre le suddette
intuizioni di Dirac in una formulazione alternativa della teoria quantistica.
Questa grande impresa del pensiero scientifico contemporaneo è il soggetto
dell’articolo tradotto.
Feynman aveva ora a disposizione un metodo di quantizzazione basato

* ;•  % 1
 
sull’ E! ( 
 &'   . Naturalmente esso è equivalente alla
formulazione usuale nel caso in cui valga l’eq. (4.6), quando cioè la corrispon-


dente teoria classica è esprimibile in forma hamiltoniana. Tuttavia egli era
profondamente convinto che il proprio metodo fosse  ( 
*, ( #1
* 
§ Ò 
*

&
e permettesse di quantizzare anche teorie classiche  (  hamiltoniane ma
formulabili mediante un principio di minima azione – come abbiamo visto,
questo è proprio il caso dell’elettrodinamica di Feynman e Wheeler (descritta
dall’azione (4.4)). In altre parole, Feynman pensava che fosse sufficiente in-
serire l’azione classica (4.4) nel suo “ $+
 &
   ” per ottenere
un’elettrodinamica quantistica priva di divergenze!
Purtroppo questo programma (alquanto ambizioso) non è mai stato re-
alizzato. Ciò che in realtà Feynman è riuscito a fare è stato * M*( .& "
la
meccanica e l’elettrodinamica quantistica in un modo diverso, che presenta
grandi vantaggi da un punto di vista tecnico. Tuttavia, negli anni ’40, egli
sperava che l’“  
 9&
A.   ” potesse portare alla scoperta di leggi
fisiche  ( ,
, non rappresentabili nell’ambito del formalismo hamiltoniano.
La dimostrazione – ottenuta proprio nell’articolo tradotto – che l’“  
 

56

.  $ ” è di fatto


"=$,'
* 
al metodo hamiltoniano è quindi apparsa
a Feynman come il fallimento del proprio programma originario!
,
Approccio spazio-temporale alla î
meccanica quantistica non relativistica

R. P. FEYNMAN

ø “ù
( *
* D,'
* ..%7.-0/. P   1-02:
*K43 ( ÷ö
La meccanica quantistica non relativistica è formulata qui in un
modo diverso, che è tuttavia matematicamente equivalente alla formu-
lazione usuale. In meccanica quantistica la probabilità di un evento che
si può verificare secondo varie alternative è il modulo quadrato di una

5 6
somma di contributi complessi, ciascuno corrispondente ad una alter-
nativa differente. La probabilità che la traiettoria di una particella ( )
sia contenuta in una certa regione dello spazio-tempo è il quadrato di
una somma di contributi, ognuno proveniente da un cammino in tale
regione. Si postula che il contributo di un singolo cammino sia un espo-
nenziale la cui fase (immaginaria) è l’azione classica (in unità di - ) per
7
598:6 ; 5<8=6
il cammino considerato. Il contributo complessivo di tutti i cammini che
raggiungono dal passato è la funzione d’onda ( ) che soddisfa
l’equazione di Schrödinger. Oltre a dimostrare questo fatto, si discute
la relazione con l’algebra delle matrici e degli operatori. Alcune appli-
cazioni sono indicate, in particolare come eliminare le coordinate degli
oscillatori di campo dalle equazioni dell’elettrodinamica quantistica.

1. INTRODUZIONE
È un fatto storico curioso che la moderna teoria quantistica sia iniziata
con due formulazioni matematiche completamente diverse: l’equazione dif-
ferenziale di Schrödinger e l’algebra delle matrici di Heisenberg. È stato
dimostrato che questi due approcci cosı̀ diversi sono matematicamente equiv-
alenti. I suddetti punti di vista sono complementari e si fondono nella teoria
delle trasformazioni di Dirac.
Il presente lavoro descrive quella che è essenzialmente una terza formu-
lazione della meccanica quantistica, che fu suggerita da alcune osservazioni di
>
? Reviews of Modern Physics 20 (1948) 367–387.
Le note sono quelle originali e la loro numerazione è indipendente da quella delle altre parti
del presente Quaderno.
58

Dirac }
i`
riguardanti la relazione fra azione classica † e meccanica quantistica.
Un’ampiezza di probabilità è associata all’intera traiettoria di una particella
come funzione del tempo, anziché semplicemente alla posizione della parti-
cella ad un particolare istante.
Questa formulazione è matematicamente equivalente a quella usuale e
pertanto non ci sono risultati essenzialmente nuovi. Vi è tuttavia un senso
di piacere nel riconoscere vecchie cose da un nuovo punto di vista. Ci sono
inoltre problemi per i quali
û
il nuovo approccio offre un netto vantaggio. Ad
ü
esempio, se due sistemi e interagiscono, le coordinate di uno dei sistemi,
ü
diciamo
û
, possono essere eliminate dalle equazioni che descrivono il moto
ü
di . L’interazione con è rappresentata da una modifica
û
della formula
per l’ampiezza di probabilità associata alla traiettoria di . Ciò è analogo
ü
alla situazione classica in cui l’effetto û di può essere rappresentato da una
modifica delle equazioni del moto diû (mediante l’introduzione di termini
che rappresentano le forze agenti su ). In questo modo le coordinate degli
oscillatori di campo (sia trasversali che longitudinali) possono essere eliminate
dalle equazioni dell’elettrodinamica quantistica.
C’è poi sempre la speranza che il nuovo punto di vista possa suggerire
un’idea per modificare le teorie attuali, modifiche necessarie per rendere conto
degli esperimenti più recenti.
Discuteremo dapprima il concetto generale di sovrapposizione delle am-
piezze di probabilità in meccanica quantistica. Mostreremo quindi come questo

@
concetto possa essere generalizzato per definire un’ampiezza di probabilità per
ogni cammino (posizione , tempo) nello spazio-tempo. Dimostreremo che
l’ordinaria meccanica quantistica risulta dal postulato che tale ampiezza di
probabilità abbia una fase proporzionale all’azione, calcolata classicamente,
per questo cammino. Ciò è vero quando l’azione è l’integrale temporale di una
funzione quadratica della velocità. La relazione con l’algebra delle matrici e
degli operatori verrà discussa usando un linguaggio che è il più vicino possi-
bile alla nuova formulazione. Non c’è alcun vantaggio pratico nel far questo,
però le formule sono molto utili nel caso in cui si consideri un’estensione
ad una classe più ampia di funzionali d’azione. Discuteremo infine alcune
applicazioni. Come esempio mostreremo in che modo le coordinate di un
oscillatore armonico possano essere eliminate dalle equazioni del moto di un
sistema con cui esso interagisce. Tale risultato può essere applicato diret-
tamente all’elettrodinamica quantistica. Verrà anche descritta un’estensione

1 P. A. M. Dirac, È<¿'6Æ+¥« )Ÿž²  Ç¢|«­D³ ½xáo®-›.Ÿ'¬®¦ œF žw¿-›.Ÿ' &ž9­ (The Clarendon Press, Oxford,
1935), seconda edizione, capitolo 33; vedasi anche Physik. Zeits. Sowjetunion 3, 64 (1933).
2 P. A. M. Dirac, Rev. Mod. Phys. 17, 195 (1945).
3 In questo articolo il termine “azione” verrà usato per indicare l’integrale temporale della
lagrangiana lungo una traiettoria. Nel caso in cui tale traiettoria sia effettivamente quella
di una particella che si muove classicamente, il suddetto integrale prende il nome di prima
funzione principale di Hamilton.
59

formale che include gli effetti dello spin e della teoria della relatività.

2. LA SOVRAPPOSIZIONE DELLE AMPIEZZE DI PROBABILITÀ


La formulazione che presenteremo contiene come elemento essenziale
l’idea di ampiezza di probabilità associata ad un moto completamente specifi-
cato come funzione del tempo. È pertanto conveniente riesaminare in dettaglio
il concetto quantistico di sovrapposizione delle ampiezze di probabilità. Ana-
lizzeremo i cambiamenti basilari richiesti per il passaggio dalla fisica classica
a quella quantistica.
Si consideri a tal fine un esperimentoû ideale in cui possiamo fare tre Ø
6
ü
misure successive: prima di una grandezza , poi di ed infine di . Non
c’è motivo per cui queste grandezze debbano essere diverse, e considereremo

£
l’esempio di tre misure successiveû della posizione. Si supponga che sia un
Ø
possibile risultatoû della misura di , e analogamente per e  . Assumeremo
ü
che le misure di , e specificano completamente lo stato ‘ del sistema in
ü

£
senso quantistico. Ciò significa, ad esempio, che lo stato in cui ha il valore
non è degenere.
È ben noto che in meccanica quantistica si si ha a che fare con delle proba-
bilità, ma naturalmente ciò è ben lungi dal caratterizzare il mondo quantistico.
Al fine di mostrare con più chiarezza la relazione tra meccanica classica e
teoria quantistica potremmo supporre che anche classicamente si considerino
delle probabilità, ma che tutte le probabilità siano zero o uno. Un’alternativa
migliore è di immaginare le probabilità classiche nel senso della meccanica
statistica classica (ove, in generale, le coordinate interne non sono specificate
6
/2
completamente). û
Ö
Indichiamo con
Ø
ü
, allora la misura di dia il risultato . Similmente
Ö
£
la probabilità che se la misura di fornisce il risultato
2BA
sarà la probabilità che
6 B2 A
ü

£ /A
la misura di dia il risultato nell’ipotesi che la misura di abbia fornito il
6
Ö Ö
risultato . Analogamente per ‘
£
. Indicheremo infine û
con la probabilità
/
£ £
di ottenere i risultati e supposto che la misura di dia . Ora, se gli eventi
fra e sono indipendenti ‘ da quelli fra e , si ha
‘

/ 2BA / 2 2BA
Ö Ö Ö
] S9fEV

£
Ciò è in accordo con la meccanica quantistica quando l’affermazione che
fornisce il risultato è una specificazione completa dello stato.
In ogni caso, ci aspettiamo che valga la relazione

4 Nella nostra discussione non ha importanza che alcuni valori di › , o ž possano essere ’
esclusi dalla meccanica quantistica ma non dalla meccanica classica. Si può infatti assumere,
per semplicità, che i valori numerici siano gli stessi in entrambi i casi, ma che la probabilità
di certi valori possa essere zero.
60

/A 2 6 / 2:A
Ö Ö a
] S V

û
Ø
perché, se inizialmente la misura di dà e successivamente il risultato della
ü
misura di è , la quantità deve avere avuto qualche û
valore ad un tempo Ø
£ / 2BA
intermedio fra ‘ quelli corrispondenti alle misure di e : la probabilità che
Ö

£ C 2
tale valore sia è ; quindi sommiamo, o integriamo, su tutte le alternative
mutuamente esclusive per (tale operazione è schematizzata da ).
Ora, la differenza essenziale fra fisica classica e fisica quantistica sta

/A
proprio nell’eq. (2). In meccanica classica essa è sempre vera, mentre × in
6
Ö
meccanica quantistica spesso risulta essere falsa. Indicheremo con
probabilità quantistica che una misura di dia quando segue una misura
la
di
Ø
û
che dà come risultato . L’eq. (2) è sostituita‘ in q meccanica
questa legge notevole ˜ : esistono numeri complessi \
q
\
q quantistica da
tali che
/ 2 B2 A / A
/2 / 2 Î \ B2 A 2:A Î ` \ A/ ] Î q / A Î `
q q ×
Ö ` Ö Ö
] Î ] Î S{ V

La legge classica, ottenuta combinando le eq. (1) e (2)

Ö
/A 2 Ö 2BA Ö
] 
2 / S„ V

è sostituita da
q
/A
q
2/ q 2BA
]
2 S” V

6Se l’eq. (5) è corretta, l’eq. (4) non è valida in generale. L’errore logico
fatto nel dedurre l’eq. (4) consiste ovviamente nell’assunzione che per andare
ü

£
da a il sistema debba passare attaverso una condizione tale che debba
avere un‘ valore definito .
ü
Se si cerca di verificareû questa affermazione, cioè se la grandezza è
misurata fra due misure di e , allora la formula (4) è di fatto corretta.
Ø
ü
Più precisamente, se l’apparato per misurare è preparato e usato, ma non
ü
si cerca di utilizzare
correlazioni fra
û
e
Ø
i risultati delle misura di – nel senso che solo le
sono misurate e usate – allora l’eq. (4) è corretta.
ü
Questo perché l’apparato che misura ha “fatto il suo lavoro”. Se vogliamo,

5 ’
Abbiamo supposto che sia uno stato non degenere, e che pertanto l’eq. (1) sia valida.

’
Presumibilmente, se in qualche generalizzazione della meccanica quantistica l’eq. (1) non
fosse più valida (nemmeno per gli stati puri ), sarebbe da aspettarsi che l’eq. (2) venisse
DFEHG$I JEKG$I DFEHG$I
sostituita dall’affermazione: "ci sono numeri complessi
L’analogo dell’eq. (5) è allora = . D KE I C G DFEKG$I
tali che å = ê .ê 2 ".
61
6
possiamo leggere gli strumenti senza disturbare ulteriormente il sistema. Gli

£
esperimenti che hanno fornito i risultati e possono quindi essere raggruppati
a seconda dei valori di . ‘
Considerando le probabilità da un punto di vista frequentistico, l’eq. (4)
6
segue semplicemente dall’affermazione che in ogni esperimento che dà e
ü
, ha qualche valore. L’unico modo in cui l’eq. (4) può essere sbagliata è
ü
‘
che l’affermazione “ ha qualche valore” debba essere talvolta priva di senso.
Si noti che l’eq. (5) sostituisce l’eq. (4) solo nel caso in cui non cerchiamo
ü ü
di misurare . Siamo quindi portati a dire che l’affermazione “ ha qualche
valore” può essere priva di significato ogniqualvolta non cerchiamo di misurare
ü
™ .
6
Abbiamo dunque risultati diversi per le correlazioni di e – cioè l’eq. (4)
ü
o l’eq. (5) – a seconda del caso che la misura di venga effettuata ‘ oppure no.
ü
La misura di – indipendentemente dalla sua accuratezza – deve disturbare
il sistema, almeno di quel tanto che basta per cambiare i risultati da quelli
dati dall’eq. (5) a quelli previsti dall’eq. (4) Ó . Che le misure causino neces-
sariamente dei disturbi e che, essenzialmente, l’eq. (4) possa essere falsa fu
enunciato con chiarezza da Heisenberg nel suo principio di indeterminazione.
La legge (5) è un risultato del lavoro di Schrödinger, dell’interpretazione sta-
tistica di Born e Jordan e della teoria delle trasformazioni di Dirac ë .
L’eq. (5) è una tipica rappresentazione della natura ondulatoria della ma-
6
£
teria. In essa la probabilità che la particella vada da a secondo alcune
alternative diverse (valori di ) può essere rappresentata – se ‘ non si cerca di
determinare quale alternativa si realizza – come il quadrato della somma di al-
cune grandezze complesse, una per ogni alternativa disponibile alla particella.
La probabilità può mostrare i tipici fenomeni di interferenza, usualmente as-
sociati alle onde, la cui intensità è data dal quadrato della somma di contributi
da sorgenti distinte. Si può dire che l’elettrone si comporta come un’onda
fintanto che non si cerca di verificare che esso è una particella. D’altra parte,
si può determinare – se lo si desidera – attraverso quale alternativa esso passa,
proprio come se esso fosse una particella. Ma quando si fa ciò, si deve usare
6
lo abbiamo fatto.
¥
Non serve osservare che ›.¼¥ «¦Q¦¯³¯ÇE³.¬®¬³ misurare se avessimo voluto; in realtà, non

âB
7 Il modo in cui l’eq. (4) segue dall’eq. (5) quando una misurazione disturba il sistema è stato
studiato soprattutto da J. von Neumann ( œâ›.¬)¿'«¦¨›.¬ )­«ž«¿' Þ¥w®EŸ¡E¢…›¤«Ÿ1¡«¥Báo®'›.Ÿ-¬%«Ÿß
¦C žw¿-›.Ÿ' •¶ (Dover Publications, New York, 1943)). L’effetto della perturbazione dovuta

D EHI C G1M íONQP D<EHG=DF¥ G$I


all’apparato di misura è di alterare la fase delle componenti che interferiscono – ad es.
– in modo tale che la (5) diventi = . Tuttavia, come mostrato da von
LKG
LKG
corrispondente å EKIè il modulo quadrato di D EHI
Neumann, la variazione di fase deve restare ignota se è misurato. Quindi la probabilità
mediato su tutti i possibili valori delle fasi

¥ ¶ E? RSE G
– in questo modo si ottiene l’eq. (4).

¶ E @ ¶ E R G A=R G D EHG ë R G? ¶ EUT R G ¶


8 Se A e B sono gli operatori corrispondenti alle misurazioni » e e se e sono le

DFEKG @A
soluzioni di A = eB = , allora si ha = ç = ( è ). Quindi
è l’elemento (<ê ) della matrice di trasformazione per il passaggio dalla rappresen-
tazione in cui A è diagonale a quella in cui B è diagonale.
62

l’eq. (4), ed esso si comporta effettivamente come una particella.


Naturalmente queste sono cose ben note e sono già state spiegate ripetu-
tamente ú . Ci sembra tuttavia che valga la pena di sottolineare il fatto che esse
seguono direttamente dall’eq. (5), la quale gioca un ruolo fondamentale nella
nostra formulazione della meccanica quantistica. û ü 6
Ø à 
La generalizzazione delle eq. (4) e (5) a un grande numero dir misure , ,
, , ˆˆˆ , è ovviamente che la probabilità della sequenza , , , , ˆˆˆ , risulta £ V
essere ‘

2/ BA=WYXZX[X oƒ] Î q 6 / 2:A:W\X[XZX o Î `


Ö

Ad esempio, la probabilità del risultato , , V , se £ , , ˆˆˆ sono misurate è data


r

dalla formula classica ‘

/ A oB]  2  W ˆˆˆ / 2BA=WYXZX[X o


Ö Ö
SÑ V

6
mentre nel caso in cui nessuna misura sia effettuata fra e e fra e  la
û Ø Ø
probabilità della stessa sequenza , , V è
‘
A/ o ] Î  2  W ˆˆˆ q / 2BA=WYXZX[X o Î `
×
Ö
SØ V

q 6
/ 2BA=WYü XZX[X o può Ø essere chiamata
à
£ \q ˆˆˆ\] ]^V (ovviamente essa è
La grandezza û
ampiezza di probabilità per la
r

esprimibile come un prodotto 2 ‘ 2BA A:W ˆˆˆ  o ).


condizione ] \ ] \ q ] q \ q ]
/
3. L’AMPIEZZA DI PROBABILITÀ PER UN CAMMINO
SPAZIO-TEMPORALE
Le idee fisiche del paragrafo precedente possono essere estese facilmente
per definire un’ampiezza di probabilità per un particolare cammino spazio-
temporale completamente specificato. Al fine di spiegare come ciò possa essere
fatto ci limiteremo ad un problema unidimensionale, in quanto l’estensione al
caso multidimensionale è ovvia.
Supponiamo di avere una particella che può assumere parecchi valori di
?
una coordinata U . Immaginiamo di fare un numero enorme di misure di po-
?
sizione, separate da un piccolo
û ü Ø
intervallo di tempo . Allora una successione
di misure come quelle di , , , ˆˆˆ può essere la serie di misure della coor-
dinata U ai tempi successivi Z \ Z ` \ Z \ˆˆˆ ove Z Ù ] Z c . Sia U il risultato
} † l } l l
9 Si veda ad es.: W. Heisenberg, È<¿'JÆ¿ª.­  žw›*¢;Æ+¥« )Ÿž9  Ç¢|²­³ ½¨¬)¿':áo®-›.Ÿ'¬®E¦ È<¿' ³.¥«ª
(University of Chicago Press, Chicago, 1930), soprattutto il capitolo IV.
63
6 û
della misura della coordinata U al tempo Z . Quindi, se è U al tempo Z ,
l
allora U è ciò che prima indicavamo con . Da un punto di vista classico i
} ?
}
valori successivi U \9U ` \9U , ˆˆˆ della coordinata definiscono praticamente un
} †
cammino UDS Z V . Alla fine, ci aspettiamo di prendere il limite y . 
La probabilità di tale cammino è una funzione di U \ˆˆˆ\9U \ˆˆˆ che indi-
6
Ö } l
Ó
chiamo con S²ˆˆˆ\9U \9U Ù \ˆˆˆ)V . La probabilità che il cammino sia contenuto
6 l l }
in una certa regione dello spazio-tempo è data classicamente dall’integrale
Ö
di su tale regione. Cosı̀ la probabilità che U sia compreso fra e , U Ù £
fra Ù e Ù , etc. è
l }
£l }
l l l l l

2B_ :2Ú _ ),+


Ú
Ö r r
\9U Ù \ˆˆˆ)V8ˆˆˆ U U Ù ˆˆˆ]

/ _ / _ ),+
ˆˆˆ ˆˆˆ S²ˆˆˆU
l l } l l }
SÛ V
Ú
Ö r r
\9U Ù \ˆˆˆ)Vˆˆˆ U Ù ˆˆˆE\
`
S²ˆˆˆU U
l l } l l }

ë
6
ove il simbolo ` Ó
significa che l’integrazione deve essere effettuata sui valori

con , £ , ˆˆˆ sostituiti da U , U ` , ˆˆˆ e con la somma sostituita dall’integrale.


delle variabili che stanno nella regione . Questa è semplicemente l’eq. (6),
}
In meccanica quantistica questa è la formula corretta per il caso in cui tutte
}
che appartengono ad
l Ó vengano considerati. Ci aspetteremmo un risultato
le U \9U ` \ˆˆˆ\9U \ˆˆˆ siano effettivamente misurate e soltanto quei cammini

diverso se misurazioni cosı̀ dettagliate non fossero effettuate. Supponiamo


che sia eseguita una misura che è in grado di stabilire soltanto se il cammino
considerato è contenuto nella regione .
Ó
La misura dev’essere ciò che potremmo definire una “misura ideale”.
Supponiamo cioè che nessun altro dettaglio possa essere ottenuto dalla stessa
misura senza disturbare ulteriormente il sistema. Non siamo stati in grado
di trovare una definizione precisa. Stiamo cercando di evitare le incertezze
addizionali che devono essere eliminate con una operazione di media se, ad
esempio, una maggiore informazione fosse misurata senza venire utilizzata.
Desideriamo usare l’eq. (5) o l’eq. (7) per tutte le U , senza avere alcuna parte
l
residua su cui sommare come nell’eq. (4).
Ci aspettiamo che la probabilità di trovare – tramite la nostra “misura
Ó
q Ó
ideale”
Ó
– la particellaq nella regione sia il quadrato di un numero complesso 6
Ó
`
Î S V Î . Il numero S V – che possiamo chiamare ampiezza di probabilità
per la regione – è dato dall’eq. (7) con , , ˆˆˆ sostituiti da U , U Ù , ˆˆˆ e la
l l }
£
somma sostituita da un integrale
q Ó Plim
Ú
BS9ˆˆˆ"U l \9U l Ù r r
U Ù ˆˆˆ SÝ V
`
S Vx]  ‡ \ˆˆˆ)Vˆˆˆ U
} l l }
64
?
l l }

Il numero complesso BS²ˆˆˆU \9U Ù ˆˆˆ#V è una funzione delle variabili U che
l


definiscono il cammino. In realtà immaginiamo che la spaziatura temporale
vada a zero cosicché viene a dipendere dall’intero cammino UDS Z V , anziché
soltanto dai valori di U ai particolari tempi Z , U ] UDS Z V . Potremmo chiamare
 l l l
funzionale ampiezza di probabilità dei cammini UÌS Z V .
l

Riassumiamo queste idee nel nostro primo postulato:


/@a
C .6
%G
0"%( ::( ?. F02<
&
x( 
* J2
 (
* *+( "
¨
J(  (< – ( – 2
+@ %
$& Ò
 
*  $ +: "
 
B2
*  @E! «— 
 -6&C  ô—
 P
#% Ò
Q .$)  0§ ( %%$, ( C
( Ò
2// ƒ2/< ( 2 ( =/2 9/ ( 2+H ( 8
2 "(  % * – @% "( 
.".b5 -  ( 2/  0'     ( Ü=
*)T "
 ( 
Y@
L’affermazione del postulato è incompleta. L’espressione “somma di
?
termini, uno per ogni cammino” è ambigua. Il significato preciso dell’eq. (9)
è il seguente. Un cammino è inizialmente definito solo dalle posizioni U
? l
per le quali esso passa ad una successione di tempi ugualmente spaziati } ‡
Z ] Z c . Allora tutti i valori delle coordinate nella regione hanno
Ó
l l0k }
ugual peso. Il valore del peso dipende da , e può essere scelto in modo tale
che la probabilità di un evento certo sia normalizzata a uno. Questo modo di
procedere può non essere il migliore, ma abbiamo lasciato questo fattore di
?

peso in una costante di proporzionalità specificata dal secondo postulato. Alla
fine del calcolo si deve prendere il limite per y .
Quando il sistema ha diversi gradi di libertà, lo spazio delle coordinate U è
` o
multidimensionale, cosicchè il simbolo U rappresenta un insieme di coordinate
V
S0U ï } ò \9U ï ò \ˆˆˆ\9U ï ò V per un sistema con gradi di libertà. Un cammino è
una sequenza di configurazioni a tempi successivi, ed è descritto dando le
` o
configurazioni U o S%U ï } ò \9U ï ò \ˆˆˆE\9U ï ò V , cioè i valori di ciascuna delle V
l l l l r
coordinate ad ogni tempo Z . Il simbolo U indicherà l’elemento di volume
l l
V
dello spazio delle configurazioni -dimensionale (al tempo Z ). L’affermazione
l
del postulato è indipendente dal sistema di coordinate usato.
Il postulato si limita a definire i risultati di misure di posizione. Per
esempio, esso non dice ciò che deve essere fatto per definire il risultato di una
misura di impulso. Tuttavia questa non è una vera limitazione, perché – in linea
di principio – una misura di impulso su una particella può essere effettuata
mediante misure di posizione su altre particelle, per esempio indicatori di
distanza. Quindi un’analisi di tale esperimento permetterà di determinare
l’impulso della particella originaria.

10 Ci sono problemi matematici molto interessanti connessi al tentativo di evitare la suddi-


visione e il procedimento di passaggio al limite. Un qualche tipo di misura complessa
è associata allo spazio di funzioni ç (é ). Si possono ottenere risultati finiti in circostanze
inaspettate perché la misura non è ovunque positiva, ma i contributi della maggior parte
dei cammini tendono a cancellarsi. Questi curiosi problemi matematici sono evitati dalla
procedura di suddivisione. Tuttavia ci si sente come avrebbe dovuto sentirsi Cavalieri nel
calcolare il volume di una piramide prima dell’invenzione del calcolo infinitesimale.
65

4. CALCOLO DELL’AMPIEZZA DI PROBABILITÀ


PER UN CAMMINO
Il primo postulato specifica il tipo di contesto matematico richiesto dalla
meccanica quantistica per il calcolo delle probabilità. Il secondo postu-


lato dà un particolare contenuto a questo contesto, indicando come calcolare
l’importante quantità per ogni cammino:
/)( /@( / "(  – 
"(
 % * – $ (  (  •1
 
$Ô ä ( 2 ( T8d& M   
- — \-

*1 $ã
+% . @%zÒ
2< z2/$ E!* ( ;
 &'   $ù j
Ò 2
X
Õ   ( Ò


2<   
 9&

* ( 
F2
*)1&  9< 0   "( )/ ( •< ( $   ( @
 ë
 t t u
In altre parole, X il contributo s UÌS Z Vwv di un dato cammino r
UDS Z V è pro-
W
porzionale a exp S - V s UDS Z Vwv , ove l’azione s UDS Z VwvA] Z ŽJS%UÌS Z V*\ U6S Z VV è
l’integrale temporale delle lagrangiana classica ŽS%Ue\ UÞV calcolato lungo il cam-
u
mino considerato. La lagrangiana, che può essere una funzione esplicita del
tempo, è una funzione di posizione e velocità. Se supponiamo che essa sia una
funzione quadratica delle velocità possiamo mostrare l’equivalenza matema-
tica dei postulati enunciati sopra con la formulazione usuale della meccanica
quantistica.
Per interpretare il primo postulato è stato necessario definire un cammino

Z . Al fine di calcolare ]
r l t ë
specificando solamente la serie di punti U per cui esso passa ai tempi successivi
Z ŽJS%U6\ U;V dobbiamo conoscere il cammino in
u
l
tutti i suoi punti, non soltanto gli U . Assumeremo che la funzione UÌS Z V
l
nell’intervallo fra Z e Z Ù sia la traiettoria di una particella classica con
l l }
?
lagrangiana Ž , che parte da U a Z e raggiunge U Ù a Z Ù . Questa assunzione
l l l } l }
? 
è richiesta dall’interpretazione del secondo postulato per cammini discontinui.
Se lo si desidera, la quantità BS²ˆˆˆU \9U Ù \ˆˆˆ)V può essere normalizzata (per
l l }


vari ) in modo tale che la probabilità di un evento certo sia normalizzata ad
uno per y .
Se Ž non dipende da derivate della posizione di ordine superiore al primo,
le brusche variazioni della velocità che hanno luogo ai tempi Z non provocano
l
alcuna difficoltà nell’eseguire l’integrale d’azione. Inoltre, a meno che Ž sia
ristretta in tal modo, i punti estremi non sono sufficienti a definire la traiettoria
classica. Poiché tale traiettoria è quella che minimizza l’azione, possiamo
scrivere

t ] 
t S%U Ù \9U V S9fy<V
l } l
l
ove
_ ),+
t S%U Ù \9U VL]

u r
_
Min ŽJS%UÌS Z V*\ U6S Z VV Z S9ff-V
l } l
n
66

Si vede quindi che l’unico riferimento alla meccanica classica consiste nella


specificazione della lagrangiana. Infatti il secondo postulato potrebbe sem-
W
plicemente essere considerato come l’affermazione “ è l’esponenziale di
per l’integrale di una funzione reale di UÌS Z V e della sua derivata prima”. Cor-
rispondentemente le equazioni classiche del moto potrebbero essere derivate
u
successivamente nel limite di grandi dimensioni. Si potrebbe allora mostrare
che la suddetta funzione di UDS Z V e UDS Z V coincide con la lagrangiana classica a
?
meno di un fattore costante.
Di fatto la somma nell’eq. (10) è infinita anche per finito, e quindi priva
di significato (a causa dell’infinita estensione del tempo). Questa circostanza
riflette un’ulteriore incompletezza dei postulati. Ci dovremo quindi limitare
ad un intervallo di tempo arbitrariamente lungo ma finito.

G
Combinando i due postulati ed usando l’eq. (10) otteniamo

q
S
Ó Vx] P ‡`
lim

Ú
exp
W
X- 
t S%U Ù \9U V L ˆˆˆ
r
U Ù
r
U
û l } û l ˆˆˆ\ S9f
a
V
l } l
l

ove il fattore di normalizzazione û


è stato scritto come il prodotto di f per ogni û
istante di tempo (il valore di verrà determinato in seguito). L’integrazione
Ó
l l } t
è su quei valori U , U Ù , ˆˆˆ contenuti nella regione . Questa q equazione, Ó
Ó
`
la definizione (11) di S%U Ù \9U V e l’interpretazione fisica di Î S V Î come
l } l
probabilità di trovare la particella in completano la nostra formulazione della
meccanica quantistica.

5. DEFINIZIONE DELLA FUNZIONE D’ONDA


Procediamo ora a dimostrare l’equivalenza di questi postulati con la for-
mulazione ordinaria della meccanica quantistica. Faremo ciò in due stadi. In
questo paragrafo mostriamo come la funzione d’onda possa essere definita se-
condo il nuovo punto di vista. Nel paragrafo seguente mostreremo che questa
funzione soddisfa l’equazione di Schrödinger.
t

Vedremo che è proprio la possibilità (data dall’eq. (10)) di esprimere
come somma – e quindi come prodotto – di contributi di parti successive
della traiettoria che ci permette di definire una quantità avente le proprietà di
una funzione d’onda.
Al fine di chiarire questo punto, immaginiamo di scegliere un tempo
Ó
Ó
particolare Z e di dividere la regione nell’eq. (12) in “futuro” e “passato”
rispetto a Z . Supponiamo che possa essere decomposto in: (a) una regione ì ,
Ó
Ó
limitata in modo arbitrario nello spazio, ma tutta temporalmente antecedente
ad un tempo Z ì ‰ Z , (b) una regione ì…ì limitata in modo arbitrario nello spazio,
ma tutta temporalmente successiva a Z ì…ì Z ; (c) una regione compresa fra Z ìdc
67

e Z ì…ì in cui tutti i valori delle coordinate spaziali sono permessi (cioè tutto lo
spazio-tempo fra Z ì e Z ì…ì ). La regione (c) non è assolutamente necessaria, e
può essere scelta ristretta arbitrariamente nel tempo. Tuttavia essaq ci permette
Ó Ó Ó Ó
Ó Ó Ó
`
di variare Z di poco senza dover ridefinire ì e ì…ì . Allora Î S ì \ ì…ì V Î
è la probabilità che la traiettoria sia contenuta in ì e in ì|ì . Essendo ì
Ó
temporalmente precedente q Ó Ó
a ì…ì e considerando il tempo Z come il presente,
Ó
Ó Ó
`
possiamo dire che Î S ì \ ì…ì V Î è la probabilità che il cammino sia stato in ì
Ó Ó
e sia in ì…ì nelq futuro. Dividendo per la probabilità che la traiettoria sia in ì ,
Ó Ó
`
troviamo che Î S ì \ ì…ì V Î è la probabilità (relativa) di trovare il sistema nella
regione ì…ì , nell’ipotesi che esso si trovasse con certezza in ì .
Questa è ovviamente la quantità fondamentale per predire i risultati di
molti esperimenti. Supponiamo di preparare il sistema in un certo modo (ad
Ó
esempio, esso sia nella regione ì ) e poi misuriamo qualche altra proprietà (ad
Ó
esempio, sarà nella regione ì…ì q ?). Cosa ci dice l’eq. (12) riguardo al calcolo
di tale probabilità, o meglio di S ì \ ì…ì V di cui essa è il quadrato?
Ó Ó ?
Supponiamo che nell’eq. (12) l’istante Z corrisponda ad un punto parti-
V
colare della suddivisione del tempo in intervalli ; assumiamo cioè Z ] Z o
(naturalmente l’indice dipende dalla particolare suddivisione considerata). V
Poiché l’esponenziale contiene una somma, esso può essere scritto come il
prodotto di due fattori G G
W €
t W í ok}t
S0U Ù \9U V 3ˆ exp TL l
S%U Ù \9U V TL S9f { V
o
exp X-  X- 
l } l € l } l
í í
l l k
V
V
Il primo fattore contiene soltanto coordinate con indice o maggiore, mentre
nel secondo figurano coordinate con indice o minore. La fattorizzazione
(13) è possibile in virtù dell’eq. (10), che segue dal fatto che la lagrangiana è

c V
funzione unicamente di posizione e velocità. Ora, si può eseguire l’integrazione
W
su tutte le variabili U per
o
nel primo fattore: ne risulta una funzione di
l
U
V
(moltiplicata per il secondo fattore). Successivamente si può integrare su
W
tutte le variabili U per ‰
o l q
nel secondo fattore: ciò produce una funzione
di U . Infine, si può integrare su U . Ne consegue che S ì \ ì|ì V può essere o Ó Ó
e o come l’integrale su U del prodotto di due fattori, che indicheremo con o
o
scritta
î [
S0U <\ Z V e S%U \ Z V :

q
S
Ó ì%\ Ó ì…ìVh]
Ú
e î
S%U6\ Z V
[ r
S%Ue\ Z V eU \ S9f „ V

G
ove

Ú W ok } t r
Uo
r
Uo `
[
o
S%U \ Z V5] Plim
 ‡
`
exp X- 
€
S%Uo Ù
}
\9U o<VTL û k } û k ˆˆˆE\ S9f ” V
í
ð l k
68

e
G
e S%Uo/\ Z Vh] Plim
î Ú W €
t Ù M L f U o Ù
r
}
r
U o Ù `
S9f Ñ V
` ðñð í o
 ‡ exp X  %
S U 9
\ U V û û û ˆˆˆ
- l } l
l
Ó [
Ó
Il simbolo ì nell’integrale per sta ad indicare che le coordinate sono
integrate sulla regioneî Ó ì e, per Z l fra Z ì e Z ,î supertuttole locoordinate
l’integrale per e è su ì…ì e sull’intero spazio
spazio. Analogamente,

a tempi compresi fra Z e Z ì…ì . L’asterisco in e denota la coniugazione comples-


corrispondenti

coniugato di un’altra quantità e .


sa, in quanto risulterà più conveniente definire l’eq. (16) come il complesso
[
La grandezza dipende solo dalla regione ì precedente a Z , ed è com-
Ó
pletamente definita se quella regione è nota. Essa non dipende in alcun modo
e e
da ciò che accadrà al sistema dopo il tempo Z . Quest’ultima informazione è
[
contenuta in . Quindi con l’introduzione di e abbiamo separato la storia
passata dal comportamento futuro del sistema. Ciò ci permette di parlare della
Ó
relazione fra passato e futuro nel modo usuale. Esplicitamente, se una parti-
cella è stata in una regione ì dello spazio-tempo, si può dire che al tempo Z
essa si trova in un certo stato determinato soltanto dal suo passato e descritto
[
dalla funzione d’onda S%U6\ Z V . Questa funzione contiene tutta l’informazione
necessaria al fine di predire probabilisticamente il comportamento futuro. Sup-
Ó
¡
poniamo infatti che in un’altra situazione la regione ì sia diversa – diciamo
ì – ed inoltre che la lagrangiana differisca per tempi minori di Z . D’altra parte,
[
Ó
supponiamo però che S%U6\ Z V data dall’eq. (15) sia uguale nei due casi. Allora
Ó
¡
l’eq. (14) ci dice che la probabilità di essere in ì…ì è la stessa, sia per ì che per
Ó ¡
ì . Di conseguenza misure future non distingueranno se nel passato il sistema
[
era in ì o in ì . Ne concludiamo che la funzione d’onda S%U6\ Z V è sufficiente
per specificare le proprietà necessarie al fine di determinare completamente il
comportamento futuro. î
e
In modo analogo la funzione S%U6\ Z V caratterizza l’esperimento che viene
Ó
¡
effettuato sul sistema. Se una regione ì…ì diversa da ì…ì ed î una lagrangiana
e
diversa per tempi successivi a Z dessero la stessa funzione (vedi eq. (16))
Ó
in entrambe le situazioni, avremmo – secondo l’eq. (14) – che la probabilità
di trovare il sistema in ì|ì sarebbe uguale a quella di trovarlo in ì…ì (indipen- ¡
[
Ó ¡
dentemente dalla preparazione del sistema, specificata da ). In altre parole,
i due esperimenti ì…ì e ì…ì sono equivalenti, in quanto forniscono gli stessi
e
risultati. Possiamo anche dire che questi esperimenti determinano con quale
probabilità il sistema si trova nello stato . Di fatto questa terminologia è im-
[
precisa, in quanto il sistema si trova nello stato . Naturalmente il motivo per
cui possiamo associare uno stato ad un esperimento è che (per un esperimento
ideale) risulta esserci un unico stato (la cui funzione d’onda è S%U6\ Z V ) nel quale e
l’esperimento avviene con certezza.
69
[
Possiamo quindi dire: la probabilità che un sistema in uno stato
rivelato da un esperimento il cui stato caratteristico è è data da e venga

¤¤ Ú e ¤¤ `
¤¤ î
S%Ue\ Z V
[
S%Ue\ Z V
r
U ¤¤ S9f Ø V

Ovviamente questi risultati sono in accordo con i principi della meccanica


quantistica ordinaria. Essi sono una conseguenza del fatto che la lagrangiana
è una funzione solamente di posizione, velocità e tempo.

6. L’EQUAZIONE D’ONDA
Al fine di completare la dimostrazione dell’equivalenza con la formu-
lazione ordinaria dovremo mostrare che la funzione d’onda – definita nel para-
grafo precedente dall’eq. (15) – soddisfa proprio l’equazione di Schrödinger. In
realtà, riusciremo a fare questo solo nel caso in cui la lagrangiana Ž nell’eq. (11)
è una forma quadratica inomogenea delle velocità. Non si tratta però di una se-
ria limitazione, dato che sono descritti di fatto tutti quei casi in cui l’equazione
?
di Schrödinger è verificata sperimentalmente.
L’equazione d’onda fornisce l’evoluzione temporale della funzione d’on-
da. Ci possiamo aspettare di ottenere un’approssimazione notando che, per
finito, l’eq. (15) permette di sviluppare una semplice relazione ricorsiva. [
Consideriamo la forma dell’eq. (15) nel caso in cui volessimo calcolare
all’istante di tempo successivo:
? G
o t
TL û U û o k }
o
Ú W r
r
[
S%Uo Ù
}
\ Z c VL]

exp X- 
€
S%U Ù \9U V
l } l
U
ˆˆˆ S9f ” ì V
í
l k

Questa è simile all’eq. (15), a parte l’integrazione sull’ulteriore variabile U o


ed il nuovo termine nella somma che sta nell’esponenziale. Questo termine

 t o o
(15 ì ) è lo stesso integrale presente nell’eq. (15),
"
significa che l’integrale nell’eq.
û W X-
a meno del fattore S9f V exp S V S%U Ù \9U V . Poiché esso non contiene
l
W }
alcuna delle variabili U per minore di , tutte le integrazioni su U possono
r
l
V
o
essere eseguite, ignorando la differenza con l’eq. (15). Tuttavia, [
in virtù
dell’eq. (15), il risultato di tali integrazioni è semplicemente S%U @\ Z V . Quindi

?
dall’eq. (15 ì ) segue la relazione

9
7 X- t S%U o Ù } \9U o/V
Ú W
[
S%U o Ù }
\ Z c VL] exp
[
o r
S0U \ Z V Uo. û S9f Û V
70
?
Mostreremo
û ?
su esempi semplici che questa relazione, con un’opportuna scelta
?  ?
di , è equivalente all’equazione di Schrödinger. Di fatto, l’eq. (18) non è
y , e noi assumeremo che essa sia
U? f
esatta, ma è valida solo nel limite
?
corretta al prim’ordine in . Osserviamo che è .  
* 
che tale equazione
? ? ?
sia corretta  (  ( al prim’ordine in , per piccolo. Infatti, se consideriamo i
?



fattori nell’eq. (15) che ci portano ad un intervallo di tempo finito , il numero




di tali fattori è . Facendo un errore di ordine in ognuno di essi, l’errore
`
risultante sarà di ordine S VL] , che si annulla nel limite y .
Illustreremo quindi la relazione esistente fra l’eq. (18) e l’equazione di
Schrödinger considerando il caso semplice di una particella in un potenziale
t
unidimensionale R8S%UoV . Prima di far questo vogliamo però discutere alcune
approssimazioni al valore S%U Ù \9U V dato dall’eq. (11), che saranno sufficienti
l } l
per l’espressione (18).
t
È difficile calcolare esattamente, partendo dalla meccanica classica, l’e-
?
l } l
un’espressione approssimata per S%U Ù \9U V , purché l’errore dovuto all’ap-
t
spressione di S%U Ù \9U V data dall’eq. (11). In realtà basta usare nell’eq. (18)
l } l
?
prossimazione sia di un ordine di grandezza più piccolo di . Ci limitiamo al
u
caso in cui la lagrangiana è una forma quadratica inomogenea nelle velocità

cui U Ù ^ U è dell’ordine di
%
UxS Z V . Come vedremo più avanti, i cammini più importanti sono quelli per
. In queste circostanze è sufficiente calco-
l } l
lare l’integrale nell’eq. (11) lungo il cammino classico corrispondente ad una
particella # –
*  }} .
`
In (( 92$
  
..%
} la traiettoria di una particella libera è una
linea retta, quindi l’integrale che figura nell’eq. (11) può essere calcolato lungo

? ?
una retta. In questo caso è sufficiente sostituire l’integrale con la "regola del
trapezio"
? K ? K
t S%U Ù \9U Vh] a Ž I U Ù ^
l }
U
l \9U Ù c a Ž I U Ù ^U
l } l \9U S9f Ý V
l } l l } l

oppure, se è più conveniente, con ? ? K


t S%U Ù \9U Vh] Ž I U Ù ^ÜU
l }
U Ù c
l \ l }a
U
l
a
S <y V
l } l

Queste equazioni non sono valide in un sistema arbitrario di coordinate, ad


esempio sferiche. Si può usare un’approssimazione ancora più semplice nel
11 Si assume che le “forze” entrino attraverso un potenziale scalare o vettore, e non in termini
in cui compare il quadrato della velocità. Più in generale, per particella libera si intende
quel sistema la cui lagrangiana è alterata per l’omissione di termini lineari nella velocità o

g
indipendenti da essa.
12 Più in generale, coordinate per cui i termini quadratici nelle velocità in (çè ç_ ) appaiono
con coefficienti costanti.
71

?
caso in cui non sia presente un potenziale vettore o altri termini lineari nella
velocità:
? K
t S%U Ù \9U VL] Ž I U Ù ^ÜU
l } l \9U Ù
a
S -f V
l } l l }

b
Quindi per il semplice esempio unidimensionale di una particella di massa
? ?
in un potenziale R1S%UoV possiamo porre
? K
t S0U Ù \9U VL]
b
a I U Ù ^
l }
U
l
`
^ R1S0U Ù V S
aa
V
l } l l }

In questo caso, l’eq. (18) diventa


? ? G
? K
[
S%Uo Ù \ Z c Vx]
Ú
exp F X- a I
o Ù ^ÜU o
W
}
` b
^ËRTS%Uo Ù V LUN ˆ
U
a
} } S { V
S%U o \ Z V U o 
[ r û

Poniamo U o Ù ] U e U o Ù ^ U o ] å , cosicché U o ]’U ^ å . In tal modo


l’eq. (23) diventa ?
} } ?
? W 9
Wb å ` r å
[
S%Ue\ Z c Vx]
Ú
exp 7 a X- ^
RTS%UoV [
X- S%U3^ å \ Z V û
a
S „ V

?
L’integrazione in å converge se S%U6\ Z V si annulla
?
ë
[
[ î
in modo sufficien-
[ r
?
Essendo molto piccolo, nell’integrazione su å l’esponenziale di å  - os-
temente rapido per grandi valori di U (certamente se S%U;V S%U;V Ud] f ).
W b a X
?
`

+ tranne che[ nella regione intorno a å ]y (å dell’ordine


di S -  V ). Poiché la funzione S%Uƒ^ å \ Z V ha una dipendenza da å piuttosto
cillaX molto rapidamente
b
!
“liscia” (dato che può essere scelto arbitrariamente piccolo), la regione in
cui l’esponenziale oscilla rapidamente contribuirà molto poco, a causa della
å
quasi completa cancellazione di contibuti positivi e negativi. Quindi solo pic-
?
å ?
coli valori di sono rilevanti nell’integrazione, il che permette di sviluppare
[
S%U3^ \ Z V in serie di Taylor. Abbiamo
K ?K
W Ú Wb å`
[
S0Ue\ Z c Vh] exp ^ I R3S0U;V
X- exp I a 9 X- ˆ

åY [ å` ` [
åû
a
S ” V
7[ S0Ue\ Z Vx^
S%U6\ Z V
Y U
c a
Y
Y U
S0Ue\ Z V
` ^dˆˆˆ
r

Ora
72
? ?
Ú
Ù €
å`a å '& +
exp S
Wb X-
V
r
]ùS
a X- W b
 V!\
k
€ ?
Ù €
Ú
å `  a X- V å r å ]zy\
exp S
Wb a
S Ñ V

k
€ ? ? ?
Ù €
+
 V ]óS X- W  b VS a'& X- W  b V ! \
W b å ` a X- å ` r å
Ú
exp S
€
k
?
mentre l’integrale contenente å † è zero, in quanto il suo integrando è una fun-
zione dispari (analogamente all’integrando che contiene å ). Inoltre l’integrale
?
contenente å  è di almeno un ordine più piccolo di quelli considerati sopra }«† .
?
Sviluppando il primo membro dell’eq. (25) al prim’ordine in , tale equazione
? ?
diventa
K a'& X W b +
[
[
Y S%Ue\ Z V ?
] exp I ^
W
R1S0U;V S -  V
!ˆ a
S0Ue\ Z VÞc
Y Z
X- W ` [
X-
9 û
S Ø V
7 S%Ue\ Z Vec a-b Y U ` c ˆˆˆ
[ Y S%U6\ Z V
?
Affinché ambo i membri possano coincidere all’ordine !
 ( in è necessario
che si abbia ?
'& +
û
]óS
a ;W X-
b V! a
S Û V

? ?
Sviluppiamo ora l’esponenziale contenente RTS%U;V . Otteniamo
K
[ Y
[
S%Ue\ Z V ? ] I f¨^ XQR1S%U;V W
S%U6\ Z VÞc
Y Z -K ˆ
a
X W [ ` S Ý V
I [ - Y S0Ue\ Z V
?
S%Ue\ Z Vec a'b `
Y U
[
Cancellando S%U6\ Z V da ambo i membri, uguagliando i termini al prim’ordine
X W
in e moltiplicando per ^ - , si ha 
13 In realtà, questi integrali sono oscillanti e quindi non ben definiti, però ad un simile incon-

 ¶ [ dÕó d ïh
veniente si può ovviare introducendo un fattore di convergenza. Nell’eq. (24) tale fattore
è automaticamente fornito da (ç
può, ad esempio, sostituire - con - (1
successivamente il limite 0.
-è%é ). Se si desidera un procedimento più formale, si

h_
) ove è un numero piccolo positivo, prendendo h
73

X- [ X-
K `
^ W
Y
Y Z
] a-b
f
I W
Y
Y U
[
c R8S%UoV
[
\ S { y<V

che è l’equazione di Schrödinger


eî per il problema considerato.
L’equazione per può essere ottenuta nello stesso î modo, ma aggiun-
gendo un fattore, il tempo 2
 "
* 
di un intervallo, cioè soddisfa un’equa- e
zione simile all’eq. (30) col segno del tempo invertito. Prendendo il complesso
e [
coniugato possiamo concludere che soddisfa la stessa equazione di , cioè
e
?
un’esperimento può essere definito mediante il particolare stato a cui esso
corrisponde }  .
?
o ?
% o o
[
Questo esempio mette in evidenza come [
la maggior parte del contributo
a S%U
o
Ù
} ?
\ Z c V venga dai valori di U in S%U \ Z V che sono molto vicini a
} ?
U Ù (la cui distanza è dell’ordine
?
), cosicché l’equazione integrale (23) può
y . Le “velocità” 
o o + 
essere sostituita da un’equazione differenziale nel limite
S0U Ù ^uU V
 ! 
che sono importanti sono molto grandi – essendo dell’ordine
X } b
di S - V – e divergono per y . I corrispondenti cammini sono perciò
continui ma non differenziabili. Essi sono del tipo familiare dallo studio del
moto browniano.
?
t ?o o
Sono proprio queste grandi velocità che richiedono attenzione nell’ap-
o
o ?
prossimare S%U Ù \9U <V data dall’eq. (11) } ˜ . La sostituzione di R8S%U Ù V
}
con R1S%U V cambierebbe l’esponente nell’eq. (18) di s RTS%U VL^ R1S Ù V«v - ,
W X}
o Ro ô
o o
che è di ordine S0U Ù ^uU V : ciò introdurrebbe termini irrilevanti di ordine
}
}

superiore in nel secondo membro dell’eq. (29). È per questo motivo che
le eq. (20) e (21) sono approssimazioni ugualmente buone di S%U Ù \9U /V
t o o
}
in assenza di potenziale vettore. Tuttavia û r
un termine lineare nella velocità
u
?
(dovuto al potenziale vettore) come U Z deve t o o û
essere considerato con più at-
S0U Ù \9U /V come S%U Ù VS%U Ù ^ U V differisce o o o
o o o o o
tenzione.
û
Un termine in
Ù } }Ù } `
da S%U VS%U ^uU V per un termine di ordine S%U ^uU V , vale a dire di
} }
ordine : questo termine cambierebbe la corrispondente equazione d’onda.

14 Il dott. Hartland Snyder mi ha fatto osservare, in conversazioni private, la possibilità molto


interessante che ci possa essere una generalizzazione della meccanica quantistica in cui gli
stati misurati sperimentalmente non possano essere preparati. Non ci sarebbe cioè alcuno

R
stato in cui il sistema ha un valore definito di (almeno) una osservabile. La classe di funzioni
non sarebbe identica alla classe di stati possibili . Ciò avverrebbe se, ad esempio, ¶¶ R
… í .í b
soddisfacesse ad una equazione diversa da quella per .
15 L’eq. (18) è in realtà esatta quando l’eq. (11) è usata per (ç +1 è%ç ) con arbitrario, nei casi

i  T 1Š jMŠ Š 
in cui il potenziale non contiene ç a potenze superiori a due (particella libera, oscillatore
armonico). È però necessario usare un valore più accurato per . Si può definire

í í
nel modo seguente. Si assuma che particelle classiche con gradi di libertà partano da
ç èé con densità uniforme nello spazio dell’impulso. Si indichi con

 í k ï  jMŠ ˆ à l1m Ã
0 ( 0 costante)

l
il numero di particelle con una data componente dell’impulso nell’intervallo . Allora
= (2 - 0 ) 2 1 2 , ove è la densità nello spazio ¶ -dimensionale delle coordinate
ç +1 delle particelle considerate al tempo é +1 . í
74

Per tale motivo l’eq. (21) non è sufficientemente accurata come approssi-
?
mazione dell’eq. (11), per cui si rende necessario usare l’espressione (20) (o

 $Ç
(19) da cui la (20) differisce per termini superiori in ). Se A rappresenta
X W
il potenziale vettore e p ] S - V
  "
l’operatore impulso, allora l’eq. (20) dà
a-b
nell’operatore hamiltoniano un termine Sf VS p ^ Swi V A VDˆS p ^ S i V AV ,
mentre l’eq. (21) fornisce S9f
a-b

VS p ˆ p ^uS i
a
"
V A ˆ p c S i ‘
`
 `
‘
V A ˆ A V . Queste
due espressioni differiscono per S - i
X
"
a-W b

V ‘ ˆ A, che può ‘ non essere nullo.
La questione è ancora più importante per ‘ i coefficienti di termini quadratici
nelle velocità. In generale, le eq. (19) e (20) non sono rappresentazioni suffi-
cientemente accurate dell’eq. (11) per questi termini. È quando i coefficienti
sono costanti che le eq. (19) o (20) possono sostituire l’eq. (11). Se si usa
un’espressione come l’eq. (19) ad esempio in coordinate sferiche, si ottiene
un’equazione di Schrödinger in cui l’operatore hamiltoniano ha qualche ope-

 Å
ratore delle coordinate e dell’impulso nell’ordine sbagliato. L’eq. (11) allora

  Å Å  Å
risolve l’ambiguità nella usuale regola di sostituire e con operatori non
X W ÷
commutanti S - VS Y Y V e nella hamiltoniana classica S \ V .
È chiaro che l’affermazione contenuta nell’eq. (11) è indipendente dal
sistema di coordinate. Pertanto, al fine di trovare l’equazione d’onda cor-
rispondente in un arbitrario sistema di coordinate, il procedimento più semplice
consiste nel trovare dapprima l’equazione d’onda in coordinate cartesiane, ef-
fettuando poi il cambiamento di coordinate. È quindi sufficiente mostrare
la relazione fra i nostri postulati e l’equazione di Schrödinger in coordinate
rettangolari.


La derivazione data qui in una dimensione può essere estesa direttamente
al caso di coordinate cartesiane tridimensionali per un numero arbitrario di
particelle interagenti fra loro ed in presenza di un campo magnetico descritto
da un potenziale vettore. I termini dipendenti dal potenziale vettore richiedono

Hn
di completare il quadrato nell’esponente nel modo usuale per gli integrali
gaussiani. La variabile U deve essere sostituita dall’insieme U ï } ò \ˆˆˆ-\9U ï † ò ,
b
? ?
`
ove U ï } ò ,U ï ò ,U ï † ò sono le coordinate della prima particella r
di massa ,U ï ò,
b }
U ï ˜ ò ,U ï ™ ò della seconda di massa ` , etc. Il simbolo U viene sostituito da
r r
Hn r
U ï } ò ˆˆˆ U ï † ò e l’integrazione su U è sostituita da {
Q&  '&
 1o!  Hn po!
û û
integrali. La costan-
a ;W X- b a ;W X- b
te assume in questo caso il valore ]ùS V ˆˆˆ'S V .
} †
La lagrangiana è quella classica e l’equazione di Schrödinger che ne risulta
sarà quella corrispondente alla hamiltoniana classica associata alla suddetta
lagrangiana. Le equazioni in ogni altro sistema di coordinate possono essere
ottenute mediante una trasformazione. Poiché quanto detto sopra comprende
tutti i casi in cui l’equazione di Schrödinger è stata verificata sperimentalmente
possiamo dire che i nostri postulati sono equivalenti all’usuale formulazione
della meccanica quantistica non relativistica quando venga trascurato lo spin.
75

7. DISCUSSIONE DELL’EQUAZIONE D’ONDA


Il Limite Classico
La dimostrazione dell’equivalenza fra la formulazione usuale della teoria
quantistica e quella presentata qui è ora completa. Vorremmo però considerare
in questo paragrafo alcune osservazioni concernenti l’eq. (18).
Questa equazione specifica l’evoluzione temporale della funzione d’onda
durante un piccolo intervallo di tempo. Fisicamente, essa può essere inter-
pretata come l’espressione del principio di Huygens per le onde di materia.
In ottica geometrica, i raggi in un mezzo inomogeneo soddisfano il principio
di Fermat di minimo 
 ( . Possiamo enunciare il principio di Huygens
dell’ottica ondulatoria nel modo seguente. Se l’ampiezza di un’onda è nota
su una data superficie, in un punto vicino l’ampiezza può essere consider-
ata come la somma di contributi provenienti da tutti i punti della superficie.
Ogni contributo è sfasato di una quantità proporzionale al 
* ( che la luce
impiegherebbe per andare dalla superficie al punto lungo il raggio di minimo

 ( dell’ottica geometrica. Possiamo considerare l’eq. (22) in modo simile
partendo dal primo principio di Hamilton di minima [
classica o “geometrica”. Se l’ampiezza dell’onda è nota su una data super-
?
E! ( 
per la meccanica

ficie – in particolare la “superficie” consistente di tutte le U al tempo Z – il suo


valore in un punto vicino, al tempo Z c , è la somma di contributi provenienti
da tutti i punti della superficie al tempo Z . Ogni contributo è sfasato di una
quantità proporzionale all’ -!* ( 
richiesta per andare dalla superficie al punto
considerato lungo il cammino di minima E! ( 
della meccanica classica }w™ .
In realtà, il pricipio di Huygens dell’ottica non è corretto e va sostituito
dalla modifica di Kirchoff, che richiede che l’ampiezza e la sua derivata siano
note su superfici adiacenti. Ciò è conseguenza del fatto che l’equazione d’onda
dell’ottica è del secondo ordine nel tempo. L’equazione d’onda della mecca-
nica quantistica è invece del primo ordine nel tempo. Quindi il principio di
Huygens Ò
corretto per le onde di materia, nel qual caso l’azione sostituisce il
tempo.
L’equazione (18) può anche essere confrontata con grandezze che ap-
paiono nella formulazione usuale. Nell’approccio di Schrödinger l’evoluzione
temporale della funzione d’onda è dato da

? ^ W
X-
Y
[
] H
[
S { f-V
YZ
?
che ha come soluzione (per arbitrario se H è indipendente dal tempo) ?
[
S%Ue\ Z c VL] exp S9^
W X [

H - V S%U6\ Z V S{
a
V

16 A tale proposito si vedano le osservazioni molto interessanti di Schrödinger, Ann. d. Physik


79, 489 (1926).
?
76
?
W X
Pertanto l’eq. (18) esprime exp S9^ H - V come un’operatore integrale ap- 
prossimato per piccolo.
?
Secondo il punto di vista di Heisenberg si considera, ad esempio, la
posizione al tempo Z come un operatore x. La posizione x ì ad un tempo
successivo Z c
?
può essere espressa in termini di quella al tempo Z secondo
l’equazione operatoriale ?
? 
W X W X
?
xì ] exp S H - V x exp S9^ H - V S {{ V

La teoria delle trasformazioni di Dirac ci permette di considerare la funzione


[
d’onda al tempo Z c , S%U ì \ Z c V , come descrivente uno stato nella rap-
[
presentazione in cui xì è diagonale, mentre S%Ue\ Z V descrive lo stesso stato
nella rappresentazione in cui x è diagonale. Queste funzioni d’onda sono
P
?
quindi connesse dalla funzione di trasformazione S%U ì Î U;V che collega le due
rappresentazioni:
Ú
[
S%U ì \ Z c Vx] S%U ì Î U;V ? P[ S%Ue\ Z V
r
U

Di conseguenza segue dall’eq. (18) che per piccolo possiamo porre

S0U+ì Î U;V P ]óS9f û V exp S


W t S%U+ì \9U;V  X-
V S {„ V
t
ove %S U ì \9U;V è definita dall’eq. (11).
W X
La stretta analogia fra S%U ì Î U;V e la grandezza exp S S%U ì \9U;V - V è stata P t 
sottolineata ripetutamente da Dirac } . Ora vediamo che, con sufficiente ap-
prossimazione, le due grandezze possono essere considerate proporzionali. Le


osservazioni di Dirac sono state il punto di partenza del presente lavoro. Gli
X
argomenti di Dirac riguardanti il limite classico - y sono molto belli, e
forse posso essere scusato se li riporto qui brevemente.
Notiamo innanzi tutto che la funzione d’onda in U ì…ì al tempo Z ì…ì può essere
ottenuta da quella in U ì al tempo Z ì come G
k
[
S%Uì…ì0\ Z ì…ì$VL] P lim

Ú
ˆˆˆ
Ú
exp
W
X- 
} t S0U Ù \9U V L ˆ
‡ l } l

[
r
S%U ì \ Z ì V û
r
U ‡ U
û } ˆˆˆ
rl
?
íއ
U
û k } \
 S {/” V

 *
ove poniamo U ‡ g U ì \9U g U ì…ì e g Z ì…ì ^ Z ì (assumiamo che fra i tempi Z ì e
Z ì…ì non vi sia alcuna restrizione sulla regione d’integrazione). Ciò può essere
visto sia applicando ripetutamente l’eq. (18) che direttamente dall’eq. (15).
Ci chiediamo ora quali valori delle coordinate contribuiscano maggiormente
? 77
?
all’integrale per  y . Questi saranno i valori osservabili sperimentalmente


con maggiore probabilità, e quindi determineranno il cammino classico per
X
y . Se - è molto piccolo, l’argomento dell’esponenziale sarà una fun-
zione rapidamente variabile di ognuno dei suoi argomenti U . Al variare delle
l
U , i contributi positivi e negativi all’integrale provenienti dall’esponenziale si
l
cancellano quasi completamente. La regione delle U che contribuisce mag-
t
l
giormente è quella in cui l’argomento dell’esponente varia con U il meno
l
rapidamente possibile (metodo della fase stazionaria). Indichiamo con la
somma nell’esponente
k
t ] 
} t S%U Ù \9U V S {Ñ V
l } l
ío‡
l

t
Allora l’orbita classica passa approssimativamente per quei punti U nei quali
X

? t
l
varia di poco al variare delle U : nel limite - y la traiettoria classica
t
l
passa per i punti in cui non varia per una piccola variazione delle U . Ciò
l
significa che l’orbita classica passa per i punti in cui Y Y U ]y , per ogni U .
Prendendo il limite  l
y , l’eq. (36) diventa (in virtù dell’eq. (11))
l

t ]
Ú n ðñð
u
ŽJS%UÌS Z V.\ U6S Z V9V
r
Z S {/Ø V

Vediamo quindi che il cammino classico è quella traiettoria deformando la


quale non si induce – al prim’ordine – alcuna variazione in . Questo è il
t
principio di Hamilton, che porta direttamente alle equazioni di Lagrange.

8. ALGEBRA DEGLI OPERATORI


Elementi di matrice
Data la funzione d’onda e l’equazione di Schrödinger, è possibile natu-
ralmente sviluppare l’intero formalismo degli operatori o dell’algebra delle
matrici. È tuttavia più interessante esprimere questi concetti in un linguaggio
differente, più simile a quello usato nella formulazione dei nostri postulati.
Ciò non porta ad una più profonda comprensione dell’algebra degli operatori,
in quanto i nostri risultati saranno una semplice trascrizione delle equazioni
operatoriali in una notazione più pesante. D’altra parte, il nuovo formalismo
è molto utile in certe applicazioni descritte nell’introduzione. La forma delle
equazioni permette inoltre un’estensione naturale ad una classe di operatori più
vasta di quella usualmente considerata (ad esempio operatori che si riferiscono
a due o più tempi diversi). Le formule che svilupperemo giocheranno un ruolo
78

importante nel caso in cui sia possibile una generalizzazione ad una classe più
vasta di integrali d’azione.
Discuteremo questi argomenti nei tre paragrafi successivi, mentre il pre-
sente paragrafo contiene principalmente alcune definizioni. Introdurremo una
grandezza che chiamiamo elemento di transizione tra due stati. Esso è essen-
e
zialmente un[ elemento di matrice. Ma invece di essere un elemento di matrice
fra due stati e corrispondenti allo *
. ( tempo, i due stati si riferiscono a
tempi diversi. Nel paragrafo successivo otterremo una relazione fondamentale
fra gli elementi di transizione, da cui possono venir dedotte le usuali relazioni
di commutazione fra coordinate ed impulsi. La stessa relazione fornisce anche
le equazioni newtoniane del moto in forma matriciale. Discuteremo infine nel
paragrafo 10 la relazione fra hamiltoniana ed operatore di traslazione tempo-
rale.
Cominciamo col definire un elemento di transizione in termini della proba-
bilità di transizione fra uno stato ed un altro. Più precisamente, supponiamo di
Ó
avere una situazione simile a quella considerata nella derivazione dell’eq. (17).
Ó
Ó
La regione consiste di una regione ì precedente a Z ì , tutto lo spazio fra Z ì
Ó
e Z ì…ì e la regione ì|ì successiva a Z ì…ì . Studieremo la probabilità che un sistema
nella regione ì sia trovato successivamente nella regione ì…ì . Questa è data
Ó
dall’eq. (17). Discuteremo in questo paragrafo come essa varia al variare della
forma della lagrangiana fra Z ì e Z ì…ì . Nel paragrafo 10 studieremo invece come
Ó Ó
essa cambia al variare della preparazione ì o dell’esperimento ì…ì .
Lo stato al tempo Z ì è definito completamente dalla preparazione ì . Esso
Ó
[
può essere specificato dalla funzione d’onda S%U ì \ Z ì V ottenuta dall’eq. (15)
considerando gli integrali estesi fino al tempo Z ì . Analogamente, lo stato carat-
Ó
e
teristico dell’esperimento (regione ì…ì ) può essere definito da una funzione
S%U ì|ì \ Z ì|ì V ottenuta dall’eq. (16) con integrali calcolati a partire dal tempo Z ì…ì .
[
La funzione d’onda [ S%U ì…ì \ Z ì…ì V può ovviamente essere ottenuta anche appli-
cando l’eq. (15) o da S%U ì \ Z ì V mediante l’eq. (35). Secondo l’eq. (17) con
Z ì al posto di Z , la probabilità che il sistema venga osservato nello stato se e
ëe
[
preparato
î in è il quadrato di ciò che chiamiamo ampiezza di transizione
[ r
e
S%U ì…ì \ Z ì…ì V S%U ì…ì \ Z ì…ì V U ì…ì . Desideriamo esprimere questa grandezza in ter-
[
mini di al tempo Z ì…ì e di al tempo Z ì : possiamo farlo grazie all’eq. (35).
[
Quindi la probabilità che un sistema preparato nello stato
trovato ad un tempo Z ì…ì nello stato
nð e
al tempo Z ì sia
è il quadrato dell’ampiezza di transizione
n ðñð

Í e Îf Î
[
Ï ¾ P
] lim

Ú
ˆˆˆ
Ú
e î
S%U ì…ì \ Z ì…ì V exp S
W t X- [
V S%U ì \ Z ì V*ˆ
 r
n ðñð nð ‡
S {Û V
û k } U  \
r r
U ‡ U
û ˆˆˆ

ove si è fatto uso dell’abbreviazione (36). Nel linguaggio della meccanica


quantistica ordinaria, nel caso in cui la hamiltoniana H sia costante, si ha
79
[ W X [
exp s ^ S Z ì…ì ^ Z ì V H - v S%Ue\ Z ì V , cosicché l’eq. (38) è l’elemento di
S%Ue\ Z ì…ì V¨]  e
W X-
matrice di exp s ^ S Z ì…ì ^ Z ì V H v fra gli stati
n ðñð
e
[

. 
Se è un’arbitraria funzione delle coordinate U per Z ì ‰ Z ‰ Z ì…ì , defi-
t
[ l e
niamo l’elemento di transizione di fra gli stati al tempo Z ì e al tempo Z ì…ì
per l’azione S%U ì…ì g U \9U ì g U ‡ V come 
Íe e  V.ˆ
Ú Ú
G
î
Ͼ ] P lim
[
Î Î 
ˆ 
ˆ ˆ S%U+ì…ì%\ Z ì…ì%V S%U ‡ \9U \ ˆˆˆE\9U
n ðñð
W k }  ‡


}

exp ? - X 
t %
S U
r
Ù \9U VTL [ S%U+ì \ Z ì$V û U ‡ ˆˆˆ
r
U r
û k } U  S {Ý V

l } l
ío‡
l
Nel limite y 
diventa un funzionale del cammino UDS Z V .
Vedremo ora perché tali quantità sono importanti. Sarà più facile capirlo
se ci soffermiamo un momento a scoprire le corrispondenti grandezze nella

o V o
formulazione convenzionale. Supponiamo che sia data semplicemente da
U , dove corrisponde ad un certo tempo Z ] Z . Allora nel secondo membro
dell’eq. (39) gli integrali da U ‡ a U o
o n
possono essere calcolati, ottenendo
[ W X [ k }
S%U \ Z V o exp s ^ S î Z ^ Z ì V H - v
*‘é c VW nð W
danno S0U \ Z V o exp s ^ S Z ì…ì ^ Z V H - v
X e
. Analogamente, gliî integrali su U per
l
o  e p
o
. Quindi l’elemento
n ðñð
di transizione di U

Íe e
Ú î X- X-
n ðñð
Î Î
[

¾ Ï ]
n ðñð
ikDï#lp ò H ï•n ðñð k n ò0UoikDï#lp ò H •ï n«k n ð ò
[ r

U3]
Ú î
e [
S%Ue\ Z V«U %S U6\ Z V U
r
S „ y<V

è l’elemento di matrice di x al tempo Z ] Z fra lo stato al tempo Z che nasce


[
o e
da

al tempo Z ì e lo stato al tempo Z che evolverà in
n ðñð
al tempo Z ì…ì . È
?
pertanto l’elemento di matrice di x S Z V fra questi due stati.
? o
?
Procedendo in modo analogo si vede (usando l’eq. (39) con ]äU Ù )
che l’elemento di transizione di U Ù è l’elemento di matrice di x S Z c V .
? }
o
] S%U

^ U V o o 
 
L’elemento di transizione di è l’elemento di matrice di
W X-}
S xS Z c VQ^ x S Z V"V o di S Hx ^ xH V , come è mostrato dall’eq. (40): lo
possiamo chiamare elemento di matrice della velocità.
?
Consideriamo un secondo problema che differisce dal primo, ad esempio, ß
in quanto il potenziale è aumentato di una piccola quantità S x \ Z V . Allora t t t C ß
nel nuovo problema la grandezza che sostituisce è ì ]
Sostituendola nell’eq. (38) si ha
c
l
S%U \ Z V .
l l ?
q ¤  ¤¤
Íe
[
¾ð] e n ¤¤¤ exp W X-  ß ¤¤ [
ðñð ¤ ¤ n ð]r ¾
Îf Î Ï S%U \ Z V S „ f-V
n ðñð nð l l
í
l }
80

Quindi elementi di transizione come quello nell’eq. (39) sono importanti ogni-
qualvolta può nascere in qualche modo da una variazione Ð di un funzionale
t
d’azione. Chiameremo funzionali osservabili quei funzionali che possono
essere definiti (anche se indirettamente) in termini di variazioni indotte da
possibili cambiamenti dell’azione. La condizione affinché un funzionale sia
osservabile è abbastanza simile a quella che un operatore deve soddisfare
affinché sia hermitiano. I funzionali osservabili formano una classe ristretta,
in quanto l’azione deve restare una funzione quadratica delle velocità. Da un
funzionale osservabile altri possono essere dedotti come, ad esempio, ?
q ¤  ¤¤
Íe
[
¾ ð ] e n ¤¤¤ W
ß ¤¤ [ a
ðñð ¤ ¤ nðr ¾
Îf Î Ï exp X-  S%U \ Z V S„ V
n ðñð nð l l
í
l }
che segue dall’eq. (39).
Incidentalmente, l’eq. (41) porta direttamente ad un’importante formula
ß
ß
perturbativa. Se l’effetto di è piccolo, l’esponenziale può essere sviluppato
al prim’ordine in e troviamo
?
Íe Îf Î
[
Ï ¾ ]óÍ
e Îf Î
[
¾ Ï c
W
X- Í e Î 
ß S0U \ Z V Î
[
Ï S „/{ V
n ðñð nð ð n ðñð nð n ðñð l l nð
l

Di particolare importanza è il caso in cui


n ðñð
è uno stato in cui

non e ß
[

Íe Îf Î
[
Ï ]zy ). Allora ¾
potrebbe venir trovato, se non fosse perché la perturbazione è presente (cioè
?
¤¤ e ¤¤¤ ß ¤¤
n ðñð nð

¤[ ¤¤ `
f
X- `
+ ¤bs n ðñ𠤤  S%U \ Z V ¤
l l ¤ nð=t ¤ S „„ V
l
è la probabilità della transizione indotta dalla perturbazione (al prim’ordine
nella perturbazione). Nella notazione usuale si ha ?
¤ ß ¤¤ [
s e n ðñ𠤤  ¤ n ð:t ¾ 9
S0U \ Z V ]
l l
X-l
7 e
Ú Ú î X- [ r r
ikDï)l$p ò H ï#n ðñð k n ò U ikDï)l$p ò H ï#nwk+n ð ò U Z
n ðñð nð

cosicché l’eq. (44) si riduce all’espressione usuale } Ó per la teoria delle pertur-
bazioni dipendenti dal tempo.

17 P. A. M. Dirac, È<¿'6Æ+¥« )Ÿž²  Ç¢|«­D³ ½xáo®-›.Ÿ'¬®¦ œF žw¿-›.Ÿ' &ž9­ (The Clarendon Press, Oxford,
1935), seconda edizione, capitolo 47, eq. (20).
81

9. EQUAZIONI DI NEWTON
Le relazioni di commutazione
In questo paragrafo scopriamo che funzionali diversi possono dare risultati
identici quando considerati fra un coppia di stati. Questa equivalenza fra
funzionali è l’analogo, nel nuovo linguaggio, delle equazioni operatoriali.

 o
Se dipende da più coordinate possiamo naturalmente definire un nuovo
funzionale Y
o
pio U —S y ‰
Y U
V
‰ V . Calcolando Í *
derivando rispetto ad una delle sue variabili, ad esem-
ÎY Y U Î
[ e  o ¾
 o
Ï mediante l’eq. (39),
n ðñð nð
l’integrale nel secondo membro conterrà Y
o
compare la variabile U è in . Quindi l’integrazione su U può essere ef-
t
Y U . L’unico altro posto in cui
o
t
t  o
fettuata per parti. La parte integrata si annulla (assumendo che la funzione
W X-
W X- W X- t
d’onda si annulli all’infinito) e nell’integrale figura ^
 o W X-
S Y Y U V exp S

V.
t o
Ora S Y Y U V exp S VÜ] S VS Y Y U V exp S
membro rappresenta l’elemento di transizione di ^âS - V S Y
W X
V , quindi il secondo
Y U V , cioè  t o
u ¤ ¤¤ [ W u ¤¤ Y t ¤¤ [
e n ¤¤¤ Y ¤¤ n ð:v e ¤ ¤
n ðñð ¤ Y U o ¤ n ð=v
ðñð Y U o ¾ ¾
]_^ X- S „<” V

Questa relazione è molto importante in quanto mostra che due diversi funzionali
possono dare lo stesso risultato per gli elementi di transizione fra un’arbitraria
coppia di stati. Diremo che essi sono equivalenti, e rappresenteremo simboli-
camente tale relazione come
X- t
^ W
Y
Y U o Ú ¾
 Y U o Y
S „/Ñ V

ove il simbolo
Ú ¾  sottolinea il fatto che funzionali equivalenti secondo
un’azione possono non essere equivalenti per un’altra azione. Le grandezze
nell’eq. (46) non devono necessariamente essere osservabili. Usando l’eq. (36)

tY S%U o \9U o V 9
si può scrivere
t
7 Y S%U Y o U Ù o } \9U o V
X-

o Ú ¾ ?k }
Y
Y U o
^ W c S „<Ø V
Y U

Questa equazione è corretta agli ordini zero e primo in , ed ha come con-


seguenza le relazioni di commutazione fra coordinate ed impulso e le equazioni
newtoniane del moto in forma matriciale.
t Nel caso del semplice problema unidimensionale trattato in precedenza,
S%U Ù \9U V è data dall’espressione (15), cosicché abbiamo ?
l } l

Y
t S%Uo Ù \9Uo/V Y U oƒ] ^
b
S%U o Ù o 
^U V
} }
82

e ? ?
Y
t S%U o \9U o V  Y U o ] c
b
S%U o ^ U o k } V  ^ RFì S%U o V.\
k }

ove abbiamo scritto R ì S%U;V per indicare la derivata del potenziale (forza). Allora

K ?
l’eq. (47) diventa
? ? 9
U o ^Uo UB
o ^ÜUo k } ^ R ì S%U;V
X-
^ W
Y
Y U o Ú ¾
 7 ^
b
I } ^ S „/Û V
Ù

Se
?
non dipende dalla variabile U o , l’eq. (48) fornisce le equazioni newtoniane
del moto. Ad esempio, se è costante (uguale ad uno), l’eq. (48) porta
(dividendo per ) a
? ? ? K
I U o Ù } ? ^Ü? U o ^ U o ^ U o k } ^ËRFì S%U oV
b
y
Ú ? ¾ ^

s S0U o Ù } ^U oV ^ S%Uoe^AU o } V vô fra due stati arbitrari è uguale all’elemento
Pertanto l’elemento di transizione del prodotto della massa per l’accelerazione
k
di transizione della forza ^R ì S0U;V fra gli stessi stati. Questa è l’espressione

o o
matriciale della legge di Newton che vale in meccanica quantistica.
dipende da U ? Ad esempio, sia ] U . Allora
 o
Cosa accade se

K ?
l’eq. (48) fornisce (essendo Y Y U â]_f )
? ? 9
Ú ¾ U o‘7«^ b I U o ?o o ok}
X-
^ W
Ù
}
^ÜU
^
U ^U
^ RFì S%U V o
ossia, trascurando i termini d’ordine
? K ? K
I o Ù o U o I o o k } U o Ú ¾ 
X-
b U ^U b U B^ÜU
} ^ W S „/Ý V

o o
Al fine di tradurre un’equazione come la (49) nella notazione usuale, abbiamo
bisogno di conoscere quale matrice corrisponde a grandezze del tipo U -U Ù .
}
w o :x o
Dallo studio dell’eq. (39) è chiaro che se viene scelta, ad esempio, uguale a
S0U V oS%U Ù V , il corrispondente operatore nell’eq. (40) è
}

i k6ï)l$p
X-
òwï•n0ðñð?k n«k
P ò xoS xVi k6ï)l$p X- ò P w
H H
S x Vi k6ï)l$p
X-
òwï#n«k n0ð#ò H \

e [

o
con l’elemento di matrice preso fra gli stati e . Gli operatori che
n ðñð nð
corrispondono a funzioni di U Ù appaiono a sinistra di quelli corrispondenti
}
83

a funzioni di U o $ã
, cioè  ( 92$;
Ü2<
F
* *⁠; ( 2 ( 0 ( 2 ( 
 9/ ( *
( * *?  ( +
(
 2<
H<2: ( 2

* ( 
H2<
 "( . *$  ( +2
* % M 0 ( *Þ$  M  ˜—
! +
. Cosı̀ se il funzionale è scritto in modo tale che in ogni termine i
fattori corrispondenti a tempi successivi appaiano alla sinistra dei fattori cor-
rispondenti a tempi precedenti, gli operatori associati possono essere scritti im-
mediatamente mantenendo lo stesso ordinamento che si ha nel funzionale }«ë .
È ovvio che in un funzionale l’ordine dei fattori è irrilevante ma facilita la
trascrizione nella notazione operatoriale convenzionale . Al fine di scrivere
l’eq. (49) in modo tale che la traduzione operatoriale sia banale è necessario
invertire l’ordine dei fattori nel secondo termine a primo membro. Vediamo
perciò che tale equazione corrisponde a

px ^ xp ] 
X- W

b
in cui p ] _x.
La relazione fra funzionali ed operatori corrispondenti è stata definita
in termini dell’ordine temporale dei fattori. È opportuno però sottolineare
? ?
il fatto che questa regola deve essere applicata con particolare attenzione
?
? ?
ogniqualvolta si considerano grandezze che contengono velocità o derivate
u
? o o  o o  ? o o 
d’ordine più elevato. Di fatto, il corretto funzionale che rappresenta l’operatore
` `
S U;V è S%U Ù ^ U V ˆ@S%U â^ËU V e non s S%U Ù ^ËU V v . La seconda
}
espressione diverge come f ? 
per
k } }
y . Ciò si può vedere sostituendo il
?
o o o 
secondo termine dell’eq. (49) col suo valore calcolato ad un istante spostato
b
di nel futuro, U Ù ˆ S%U Ù ^zU V . Tale procedimento non cambia
} }
? K` ?
l’equazione all’ordine zero in . Allora otteniamo (dividendo per )

Uo ^ÜUo
X-
I Ú ¾  W b
Ù

? ?
} S ” y<V

+
o o 
Riotteniamo il risultato già visto, che la radice quadratica media della “velocità”
S0U Ù ^ÜU V
}
fra due posizioni successive del cammino è dell’ordine k .
!
forma
Non avrà quindi senso scrivere il funzionale dell’energia cinetica nella
?
o Ù } ^Ü? U oV v `
a
f b
s S0U S ” f-V

in quanto tale grandezza è infinita per  y . Di fatto, non si tratta di un


funzionale osservabile.
È possibile ottenere l’energia cinetica come un funzionale osservabile
considerando la variazione al prim’ordine nell’ampiezza di transizione dovuta
18 Dirac ha studiato anche operatori che contengono grandezze che si riferiscono a tempi
diversi. Si veda la nota 2.
84
?
? ?
ad un cambiamento della massa della particella. Si sostituisca con Sf;c—ÐV
b b

per un piccolo tempo , intorno all’istante Z o . La variazione indotta nell’azione


b
s S0U o Ù } ^jU o V  v , la cui derivata
` ?
è ` } Ð
? b ?
dà un’espressione come quella
altera sia la costante diX normaliz-+
aQ&
zazione f  relativa a + U o che l’azione. La costante varia da S + -  V k
nell’eq. (51). û
Ora, lar variazione di
W b

a s
a'& X- W b
 S9fJcÐ'V«v k ! o, al prim’ordine in Ð , `} ÐS a'& X- W  b V k ! . L’effetto!
totale della variazione della ? massa nell’eq. (38) ? al prim’ordine in Ð è
u ¤¤ f W b ¤
e n ¤¤ a Ð s S%Uo Ù } ^ÜU o V v `  X- c af Ð ¤¤¤ [ n ?
ðv
? ðñð ?
Ci aspettiamo che la variazione di ordine Ð che dura per un tempo sia
di ordine Ð . Quindi, dividendo per Ð  - , possiamo definire il funzionale
W X

energia cinetica come ? ?


t ?
Ø ] af b s S%U o Ù ^ÜUo V v ` c X-  a W S” V
a
}
?
Questo è finito per  y , grazie all’eq. (50). Usando l’equazione che si
?
S%Uo Ù ^uU /o V nell’eq. (48) si può anche mostrare
b
ottiene inserendo ]
}
che l’espressione (52) è uguale (al prim’ordine in ) a
? K ? K
t
Ø ] af b I Uo Ù } ^U o I UBo ^ÜUo k } S ”{ V

Si vede che il modo più semplice per ottenere funzionali osservabili contenenti
potenze della velocità è di sostituire questa potenza col prodotto delle velocità,
calcolando ogni fattore a tempi leggermente diversi.

10. LA HAMILTONIANA
L’impulso
L’operatore hamiltoniano ha un’importanza centrale nell’usuale formu-
lazione della meccanica quantistica. In questo paragrafo studieremo il fun-
zionale corrispondente a questo operatore. Potremmo definire immediata-
mente il funzionale hamiltoniano sommando il funzionale dell’energia cinetica
(52) o (53) all’energia potenziale. Tuttavia questo metodo è artificiale e non
mostra l’importante relazione esistente fra hamiltoniana e tempo. Definiremo
il funzionale hamiltoniano mediante la variazione indotta in uno stato da una
traslazione temporale.
85

A tal fine è necessario osservare che la suddivisione del tempo in intervalli


 @• non è necessaria. Chiaramente ogni suddivisione in istanti Z è soddis-
l Ù
facente; i limiti vanno presi richiedendo che l’intervallo maggiore Z ^ Z
l } l
vada a zero. L’azione totale deve ora venire rappresentata dalla somma

t ]
t S%U Ù \ Z Ù U \ Z V s S ”'„ V
l } l } l l
l
ove
_ )Ï+
t S%U Ù \ Z Ù s

u r
S ”” V
_
U \ Z VL] ŽJS0UDS Z V.\ UDS Z VV Z \
l } l } l l
n

in cui l’integrale è calcolato lungo il cammino classico che congiunge U al


l
tempo Z con U Ù al tempo Z Ù . Per il nostro esempio unidimensionale si ha
l l } l }
con sufficiente precisione
G K
t S%U Ù \ Z Ù s
U \ Z VL]
b
a I U Ù ^ÜU
l } l
`
TL
^ËRTS%U Ù V S Z Ù ^ Z V S ”Ñ V
l } l } l l Z Ù ^ Z l } l } l
l } l

'& +
eû la corrispondente costante di normalizzazione per l’integrazione su U è
r

] s
a X- W
SZ Ù ^ Z V
l } l
b

vk .
!
l

Possiamo studiare adesso la relazione esistente fra hamiltoniana ed evo-


[
Ó
luzione temporale. Si consideri uno stato S Z V definito in una regione spazio- [ zy
Óy
temporale ì . Si immagini ora di considerare un altro stato al tempo Z , S Z V ,
Óy
Ó
definito in un’altra regione ì . Supponiamo che la regione ì sia esattamente
Ó
la stessa di ì tranne che precede ì di un tempo Ð , cioè è spostata in blocco
Óy
nel passato di un tempo Ð . L’apparato associato a ì per la preparazione dello
stato è identico a quello associato a ì , ma opera ad un tempo precedente
Ó
dell’intervallo Ð . Se Ž dipende esplicitamente dal tempo, anch’essa dev’essere
[ zy
[
traslata temporalmente, cioè lo stato è ottenuto da Ž usata per lo stato , con
y
[ zy
la sola differenza che il tempo Z in Ž è sostituito con Z c Ð . Ci chiediamo ora
[
come lo stato
Ó
differisca da . In ogni misurazione la probabilità di trovare
Ó Óy
il sistema in una regione prefissata ì…ì è diversa per ì e ì . Si consideri
la variazione nell’elemento di transizione Í Î f Î Ï
[
indotta dalla traslazione e y ¾1{
temporale Ð . Possiamo considerare quest’ultima come realizzata diminuendo
tutti i valori di Z di Ð per
W
k|V
, lasciando inalterati i valori di Z per
W
c V
o o }
,
l l
essendo Z nell’intervallo Z \ Z Ù } ú . Questa variazione non avrà alcun effetto

19 Dal punto di vista del rigore matematico, se h è finito, il limite b_ 0 è problematico in


86
t s
su S0U Ù \ Z Ù U \ Z V definita dall’eq. (55) fintanto che sia Z Ù che Z ven-
l } l } l } t o o s o o
t o o s o o
l l l
gono variati della stessa quantità. D’altro lato, S0U Ù \ Z Ù û U \ Z V diventa
'& o o
S%U Ù \ Z Ù
}
+
U \ Z ^Ð'V , mentre la costante d’integrazione f
} r
relativa a U  o
} a X}W
diventa s - S Z Ù ^ Z Cc ÐV
}
b
!
v k . Al prim’ordine in Ð , l’effetto di queste
variazioni sull’elemento di transizione è dato da

[ }[ y
Í e Î f ΠϾ ^ Í e Î f Î Ï ¾1{ ]
W
X- Í e Î o ΠϾ
Ð ÷ [
S ӯ V

in cui la funzione hamiltoniana o è definita come


÷

t
Y S%Uo Ù \ Z o Ù s U o o X-

?
÷
oƒ] }
Y Z o
}
\ Z  V
c a'W
SZ o Ù ^ Z o V
S ”Û V
}
L’ultimo termine è indotto dalla variazione di f  e mantiene o
û ÷

 y . Ad esempio, per l’espressione


finita per

K (56) si ha

Uo Ù ^ U o
b ` X-
÷
o ] a I Z o Ù ^ Z o c a-W S Z o Ù ^ Z o V cdRTS%Uo Ù } V
ƒ }
} }

oy
che è proprio la somma del funzionale dell’energia cinetica (52) e di quello
dell’energia potenziale R1S0U Ù V .
[ } [
La funzione d’onda S%U6\ Z V rappresenta naturalmente lo stato S%U6\ Z V
[
traslato temporalmente di Ð , cioè S%Ue\ Z c ÐV . Quindi l’eq. (57) è strettamente
connessa con l’equazione operatoriale (31).
e
Si può anche considerare variazioni dovute ad una traslazione temporale
dello stato finale . Naturalmente, in questo caso non si [
ottiene alcun risultato
nuovo, in quanto è solo la traslazione relativa fra e che conta. Si ottiene e
un’espressione alternativa
t S%U o Ù \ Z o Ù s U o@\ Z o/V
a-? W
X
÷
oƒ]_^ Y
}
YZ o Ù
} c
-
SZ o Ù ^ Z 
oV S ”Ý V
} }
che differisce dalla (58) solo per termini di ordine .
La rapidità di variazione temporale di un funzionale può essere calco-
lata considerando l’effetto combinato di una traslazione temporale sia dello
stato iniziale che di quello finale. Ciò equivale a calcolare l’elemento di tran-
sizione del funzionale riferito ad un tempo successivo. Il risultato è l’analogo
dell’equazione operatoriale

h Rˆ d Rˆ ˆ
quanto, ad es., l’intervallo é +1 Qé è mantenuto finito. A ciò si può ovviare assumendo che

ˆ
si cerchi la variazione (al prim’ordine) per h_ h
dipenda dal tempo, e che sia “acceso” lentamente prima di é = é e “spento” lentamente
dopo é = é . Tenendo fissa la dipendenza temporale di , si effettui il limite 0; quindi
0. Il risultato è essenzialmente identico a
b_
quello ottenuto col procedimento più semplice usato sopra.
87

X-
W _
f ] Hf ^ fH

Il funzionale dell’impulso o §
può essere definito in modo analogo con-
siderando le variazioni indotte dalle traslazioni spaziali:

[z~
Íe e X- Í e Î  o ΠϾ
W
Î f Î Ï ¾ ^ŠÍ Î f ΠϾ€ ]
[ [

§ Ó dello stato [z~ è associata ad una regione Ó ~ì che è identica


La preparazione
alla regione , tranne che per il fatto § di essere traslata spazialmente di una
~ ] ŽJS%UT^ \ UÞu V per tempi precedenti a Z ). Si trova ` ‡
distanza . (La lagrangiana – se essa dipende esplicitamente da U – deve
essere sostituita con Ž
t t
 o ] Y Uo Ù } § ] ^ Y U o } o V
Y S0U o Ù \9U / o V Y S%Uo Ù \9U
S Ñ y<V
}
[ ~ [
S%U6\ Z V è uguale a S%Uâ^ \ Z V , ne consegue la stretta connessione fra
 o e la derivata spaziale della funzione d’onda.
Poiché

Gli operatori di momento angolare sono connessi alle rotazioni in modo


simile. t
Ora, la derivata di S%U Ù \ Z Ù s U \ Z V rispetto a Z Ù compare nella
, mentre la derivata rispetto a U Ù definisce  . Ma la
÷ l } l } l }
t
l l

derivata di S%U Ù \ Z Ù s U \ Z V rispetto a Z Ù è connessa alla derivata rispetto


definizione di
l l } l
l } l } l lt
a U Ù , dato che la funzione S%U Ù \ Z Ù s U \ Z V definita dall’eq. (55) soddisfa
l }
l } l } l } l l ÷

di  . In altre parole, l’equazione di Hamilton-Jacobi esprime il fatto che


l’equazione di Hamilton-Jacobi. Quindi tale equazione esprime in funzione
l
l
stati traslati temporalmente sono connessi alla traslazione spaziale degli stati
originali. Questa idea porta direttamente ad una derivazione dell’equazione di
Schrödinger che è molto più elegante di quella considerata precedentemente.

11. INADEGUATEZZA DELLA PRESENTE FORMULAZIONE


La formulazione descritta in questo lavoro possiede un serio inconve-
niente: i concetti matematici su cui si basa sono nuovi. Essa richiede per ora
una suddivisione artificiosa ed innaturale dell’intervallo di tempo per chiarire
il significato delle equazioni. Questa situazione può essere migliorata notevol-
mente mediante l’uso di notazioni e concetti della matematica dei funzionali.
20 Non abbiamo sostituito Ší
dato dall’eq. (60) direttamente nell’eq. (47) perché altrimenti
l’eq. (47) non sarebbe più stata valida né all’ordine zero né al prim’ordine in . Avremmo b
b í fí
potuto derivare le relazioni di commutazione ma non le equazioni del moto. Le due

essi differiscono per b:´c ˆ


espressioni nell’eq. (60) rappresentano gli impulsi ai due estremi dell’intervallo [é è0é +1 ] –
(ç +1 ), a causa della forza agente durante il tempo .
88

Abbiamo tuttavia ritenuto opportuno evitare questi metodi in una prima pre-
sentazione. Ulteriormente è necessario avere a disposizione un’appropriata
misura sullo spazio funzionale dei cammini UÌS Z V } ‡ .
Questa formulazione è anche incompleta dal punto di vista fisico. Una
caratteristica fondamentale della meccanica quantistica è l’invarianza per tra-
sformazioni unitarie, che corrispondono alle trasformazioni canoniche della
meccanica classica. Naturalmente, si può dimostrare che la presente formu-


lazione è invariante per trasformazioni unitarie, in virtù della sua equivalenza
con la formulazione usuale. Non è però x  1
* 
ovvio che sussista tale
invarianza. Questa incompletezza si manifesta in un modo ben definito. Non
è stato descritto alcun procedimento diretto per misurare grandezze diverse
dalla posizione. Ad esempio, misure dell’impulso di una particella possono
essere definite in termini di misure di posizione di altre particelle. Analizzando
questa situazione in modo dettagliato si ottiene la connessione fra misure di
impulso e trasformata di Fourier della funzione d’onda. Questo è però un
metodo piuttosto involuto per ottenere un risultato cosı̀ importante. È naturale
Ó
attendersi che i nostri postulati possano essere generalizzati sostituendo l’idea
Ó
dei “cammini in una regione dello spazio-tempo” con quella di “cammini
Ó
della classe ”, o “cammini che hanno la proprietà ”. Non è però chiaro in
generale quale proprietà specifica debba corrispondere a misurazioni fisiche.

12. UNA POSSIBILE GENERALIZZAZIONE


La formulazione che abbiamo considerato suggerisce un’ovvia generaliz-
zazione. Ci sono problemi classici interessanti che soddisfano ad un principio
d’azione, ma per i quali l’azione non può essere scritta come l’integrale di una
funzione della posizione e della velocità. L’azione può contenere ad esempio

il prodotto delle coordinate a due tempi diversi, come UDS Z V«UÌS Z c


r ë
l’accelerazione, oppure – se l’interazione non è istantanea – essa può contenere
V Z . Allora

l’azione non può venire suddivisa nella somma di piccoli contributi, come è
stato fatto nell’eq. (10). Di conseguenza, lo stato del sistema non può essere
Ó Ó
descritto da una funzione d’onda. Ciò nonostante si può definire la probabilità

teoria degli elementi di transizione Í


n ðñð
Î Î
[ e
di transizione da una regione ì ad una regione ì…ì . La maggior parte della

¾ Ó
Ï può essere estesa a questo Ó ¾
caso. È sufficiente inventare un simbolo del tipo Í ì…ì Î Î ì Ï definito da
t
[
un’equazione simile all’eq. (39) in cui non compaiono e , ed in cui figura e
per l’espressione più generale dell’azione. L’hamiltoniana ed il funzionale
d’impulso possono essere definiti come nel paragrafo (10). Ulteriori dettagli
`
sono contenuti nella tesi dell’autore } .

21 La teoria dell’elettromagnetismo descritta da J. A. Wheeler e R. P. Feynman, Rev. Mod.


Phys. 17, 157 (1945) può essere espressa in forma di principio di minima azione in cui
compaiono solamente le coordinate delle particelle. È stato il tentativo di quantizzare questa
89

13. APPLICAZIONE ALL’ELIMINAZIONE


DEGLI OSCILLATORI DI CAMPO

Un aspetto caratteristico della presente formulazione è che essa offre una


visione panoramica delle relazioni spazio-temporali in una data situazione.
Prima di effettuare l’integrazione sulle U in un’espressione come l’eq. (39) si
l
ha a disposizione una formula in cui vari funzionali possono essere inseriti.
Si possono quindi studiare le relazioni esistenti fra gli stati quantistici del
sistema a tempi diversi. Discuteremo ora un esempio per rendere più definite
queste osservazioni piuttosto vaghe.
In elettrodinamica classica i campi che descrivono, ad esempio, l’in-
terazione fra due particelle possono essere rappresentati da un insieme di
oscillatori. Le equazioni del moto di questi oscillatori possono venire risolte,
e gli oscillatori possono essere eliminati (potenziali di Lienard e Wiechert).
Le interazioni che ne risultano correlano il moto di una particella ad un dato
tempo con quello dell’altra particella ad un tempo diverso. In elettrodinamica
quantistica il campo è ancora rappresentato da un insieme di oscillatori, in
questo caso però non si può calcolare il moto degli oscillatori, cosicché questi
non possono venir eliminati. A dire il vero, gli oscillatori che rappresentano
onde longitudinali possono essere eliminati, il che dà luogo ad un’interazione
elettrostatica istantanea. L’eliminazione elettrostatica è molto istruttiva, in
quanto mostra in modo molto chiaro la difficoltà dell’auto-interazione. Di
fatto, la situazione è cosı̀ chiara che non c’è alcuna ambiguità nel decidere
quale termine è scorretto e debba essere eliminato. Né l’intero procedimento,
né il termine eliminato sono relativisticamente invarianti. Sarebbe auspicabile
che anche gli oscillatori che rappresentano onde trasversali potessero essere
eliminati. Ciò rappresenta un problema pressoché insormontabile nella mec- û
canica quantistica convenzionale. Ci aspettiamo che il moto di una particella
ü
ad un dato istante dipenda dal moto di ad un istante precedente e , 
B,'
* . .
/ 2s
[
Una funzione d’onda S%U \9U Z V può invece descrivere solo la dinamica di
entrambe le particelle allo stesso tempo. Non c’è alcun modo di tener conto û
ü
di ciò che ha fatto nel passato al fine di determinare il comportamento di .
L’unica possibilità consiste nello specificare lo stato, al tempo Z , dell’insieme
ü û
di oscillatori, che servono per “ricordare” ciò che (ed ) hanno fatto.
La presente formulazione permette di determinare il moto di tutti gli oscil-
latori, e di eliminarli completamente dalle equazioni del moto che descrivono
le particelle. Tutto ciò è facile. Si devono solo risolvere le equazioni del moto
degli oscillatori prima di integrare sulle variabili U delle particelle. È proprio
l
l’integrazione sulle U che cerca di condensare la storia passata in un’unica
l

teoria – senza alcun riferimento ai campi – che ha portato l’autore a studiare la formulazione
della meccanica quantistica considerata qui. L’estensione di tali idee al caso di funzionali
d’azione più generali è stata sviluppata nella sua tesi di Ph. D. “Il principio di minima
azione in meccanica quantistica” (tesi presentata all’università di Princeton, 1942).
90

funzione d’onda. Questo è ciò che vogliamo evitare. Naturalmente, il risul-

t e
tato dipende dagli stati iniziale e finale dell’oscillatore. Qualora essi siano
[
specificati, il risultato è un’equazione per Í Îf Î Ï simile all’eq. (38), in cui
appare come fattore – oltre che exp S
W X- n ðñð nð
V – un altro funzionale che dipende 
soltanto dalle coordinate che descrivono le traiettorie delle particelle.
Illustriamo brevemente come ciò avvenga in un caso molto semplice. Sup-
u
poniamo che una particella (coordinata UÌS Z V , lagrangiana ŽJS%U6\ UoV ) interagisca
` ` ` u ‚
con un oscillatore (coordinata S Z V , lagrangiana ` } S
ƒ
^
Å
V ) mediante un
Å Å ƒ
Å
termine ÌS%U6\ Z V S Z V nella lagrangiana per il sistema complessivo. Qui ÌS%U6\ Z V
è una funzione arbitraria della coordinata UÌS Z V della particella e del tempo .
`"`

Supponiamo di voler conoscere la probabilità di una transizione da uno stato


[
al tempo Z ì , in cui la funzione d’onda della particella è
nel livello energetico ø , ad uno stato al tempo Z ì…ì con la particella in
b

e l’oscillatore è
n ðñð
e e
l’oscillatore nel livello . La probabilità cercata è il quadrato di

Í e n ðñð
\
q
#
¾.„ Ù ¾1… Ù ¾1† 9
Îf Î
[

\
q
‹ Ï

# S Å  V e n ðñð S%U  V exp 7 X- S t  c t ‡ c t‰ˆ V


Ú Ú qhî î W q
[
] ˆˆˆ
r 6 r  r 6

S%U ‡ V
Å
‹ S ‡ V.ˆ

Å ˆˆˆ û k } Å k } r U  r Å 
r
U ‡ ‡ U
û S Ñ f-V
q t
Å
Qui ‹ S V è la funzione d’onda dell’oscillatore nello stato ø ,
 è l’azione
k }
t

l
ío‡
 S%U l Ù }
\9U
l
V

G? ? K`
calcolata per la particella immaginando ? sia assente,
che l’oscillatore
k }
t ‡ ]  a I Å l Ù } ^ Å l ^  a ` Ù ` L
l
ío‡
Ål }
è l’azione del solo oscillatore, e
k }
tˆ ]  ƒ lÅl
? ío‡
6
(ove ƒ ]ŠƒxS%U \ Z V ) è l’azione per l’interazione fra particella ed oscillatore.
l

l l l
La costante di normalizzazione per l’oscillatore, , vale S  V k !+ . Ora
a'& W X-

22 ‹
La generalizzazione al caso in cui
problemi.
ç dipende dalla velocità _ della particella non presenta
91

l’esponenziale dipende quadraticamente da tutte le , quindi l’integrazione su


W l
* Å
tutte le variabili ( y ‰
l
‰
Å
) può essere effettuata facilmente - si tratta di

una sequenza di integrali gaussiani.


'&
 Œ +  t Þ Þ 
Å Å
Pertanto scrivendo ] Z ì…ì ^ Z ì , si trova che il risultato di tale integrazione
a X- W W X
è S sin §V k
!
exp s S - VS c
 S \ ‡ VVwv , ove S \ ‡ V risulta essere
proprio l’azione classica per l’oscillatore armonico forzato (vedasi la nota 15).
Å Å
Esplicitamente si ha G
Þ S  \ ‡ VL] a 
cos 
S  ` c ‡` VÌ^ a  ‡
Å Å sin  Å Å Å Å c

a Ú n0ðñð

 Å ƒÌS Z V sin JS Z


‡ r
^ Z ì?V Z c


a Å Ú n ðñð xƒ S Z V sin JS Z ì…ì ^ r
 Z V Z ^


a Ú n ðñð Ú n

 ` ƒÌS Z VBƒÌSB-V sin JS Z ì…ì ^ Z V sin JS ¨^  B Z ìV


r
 r Z LD\
nð nð

ƒ
ove ÌS Z V è stata trattata come funzione continua del tempo. Gli integrali dovreb-
bero in realtà essere sostituiti da somme di Riemann e le quantità xS%U \ Z V Þ ƒ
andrebbero scritte al posto di xS Z V . Quindi dipende dalle coordinate della
l l
ƒ
l
particella a tutti i tempi attraverso ÌS%U \ Z V , e da quella dell’oscillatore ai soli
l l
ƒ
tempi Z ì e Z ì…ì . Corrispondentemente l’eq. (61) diventa

Í e K \
q
#
‹ Ͼ.„ Ù ¾1… Ù ¾1† ] Îf Î
[
\
q

e î S%U  V] # ‹ exp I W t X- [ n S0U9Ž V r û U ‡ ˆˆˆ r U û  k } r U 


n ðñð nð
Ú Ú
ˆˆˆ ]
n ðñð ð

Íe Î # ‹ ΠϾ „
[
n ðñð nð

che ora contiene solamente le coordinate della particella. La quantità # ‹ è


data da

'& +

Œ  ! # Å  V.ˆ
Ú Ú h
# a ;W X- q î
‹ ù
] S sin § V k S

 Þ Å Å Å Å Å
W X q r r
exp s S - V S \ ‡ Vwv ‹ S ‡ V ‡
92

Procedendo in modo analogo si trova che tutti gli oscillatori del campo
elettromagnetico possono essere eliminati da una descrizione del moto delle
cariche.

14. MECCANICA STATISTICA


Spin e relatività
Spesso i problemi della teoria della misurazione e della meccanica sta-
tistica quantistica si semplificano quando vengono formulati secondo il punto
di vista descritto in questo lavoro. Ad esempio, la perturbazione dovuta
all’influenza di uno strumento di misura può – in linea di principio – es-
sere eliminata per integrazione nello stesso modo in cui si è proceduto per
l’oscillatore. La matrice densità statistica ha una generalizzazione utile e
piuttosto ovvia, che si ottiene considerando il quadrato dell’eq. (38). È

p9‘ p9’‘ “O”–•=— ˜9™ ”Bšœ›


un’espressione simile all’eq. (38), contenente però l’integrazione sui due in-
™š}’ : , ove š0’ dipende
siemi di variabili e . L’esponenziale è sostituito da exp -
funzionalmente dalle variabili 9’‘ nello stesso modo
in cui š dipende dalle variabili 9‘ . Essa descrive, ad esempio, il risultato
dell’eliminazione degli oscillatori di campo quando lo stato finale degli oscil-
latori non è specificato e si considera soltanto la somma su tutti gli stati finali
b
.
Lo spin può essere incluso nella nostra discussione in modo formale e

šž”–9‘ Ÿ¢¡Y£)9‘ ™
l’equazione di Pauli per lo spin può essere ottenuta nel modo seguente. Si
sostituisce in il termine di interazione col potenziale vettore
¤ ¢
™ ¦
™ § ¤ ¢™ ¦ A ” x‘ Ÿ¢¡ ™
a1¥ ” x ‘ Ÿ¢¡ › x ‘ A ” x‘ a1¥ ” x ‘ Ÿ¢¡ › x ‘

dato dall’espressione (13) con

¤ ¦ ™ :  ¦ :
™ ª
 § ¤ ¦ ™: ¦ ” x‘ Ÿ¢¡d› x‘ ™:¬«
1a ¥ “ ¨ ” x  
‘ ¢
Ÿ ©
¡ › x ‘ “ ¨ A ” x ‘ a1¥ “ ¨ A ” x ‘ Ÿ¢¡ “ ¨

‘ Ÿ¢¡ ‘
­Q‘ Ÿ¢¡ Q­ ‘ ¨
Qui A è il potenziale vettore, x e x sono i vettori posizione della particella

 ® ‘ “O”$•=— ˜9™ šž”$<‘ Ÿ¢™ ¡¯£)9‘ ™:


ai tempi e e è il vettore formato dalle matrici di spin di Pauli.
-
šž”–9‘ Ÿ¢¡Y£)9‘
La grandezza deve ora essere espressa come exp , in


quanto essa differisce dall’esponenziale della somma di . Quindi
è qui una matrice di spin.
Anche l’equazione relativistica di Klein-Gordon può essere ottenuta for-

9°‰”$± ™
malmente, aggiungendo una quarta coordinata per specificare i cammini. Si
considera un “cammino” come individuato da quattro funzioni di un
93

±
¡ ”$± ™ £) ”$­ ± ™ )£ ³p”$± ™ ²
parametro . Tale parametro viene trattato nello stesso modo in cui si con-
siderava la variabile : esso viene suddiviso in intervalli di lunghezza . Le
`

<´µ”¬± ™
grandezze sono le coordinate spaziali di una particella,
mentre è il tempo corrispondente. Si usa la lagrangiana

¶ ´ “O”¬p ° —pµ± ™ ` § ” ¤ — ¥ ™ ”¬µ ° —pµ± ™Q¸  £


°
°p· ¡
¸
in cui ° è il quadrivettore potenziale e nella somma i termini con ¹»º|¼1£ £H½
a

dipende periodicamente da ± soddisfa necessariamente l’equazione di Klein-


sono presi con segno opposto. Si può dimostrare che una funzione d’onda che

Gordon. L’equazione di Dirac si ottiene modificando la lagrangiana usata


per l’equazione di Klein-Gordon – modifica che è simile a quella necessaria
nella lagrangiana non relativistica per derivare l’equazione di Pauli. Ciò che
si ottiene è il quadrato dell’usuale operatore di Dirac.
Questi risultati per lo spin e la relatività sono puramente formali, e nulla
aggiungono alla nostra comprensione di tali equazioni. Ci sono altri modi di
ottenere l’equazione di Dirac che appaiono più promettenti al fine di ottenere
una migliore interpretazione fisica di questa bella ed importante equazione.
L’autore apprezza sinceramente gli utili consigli del professor H. C. Cor-
ben e signora e del professor H. A. Bethe. Egli desidera ringraziare il professor
J. A. Wheeler per moltissime discussioni durante le fasi iniziali di questo la-
voro.
¾ 5. Nuova formulazione della meccanica quantistica
5.1 – Vogliamo concludere questo Quaderno con la discussione di una

³
formulazione della meccanica quantistica (non relativistica) ottenuta molto
`
recentemente da uno degli autori (M. R.) . Questa scelta ha una duplice mo-

¿ªÀÁ9À¯Â]Ã1ÄÆÅOÇKÇYÃpȖŠÉ9Â]Ê]ËÊpÁ<̵ûÍHÊpÁSÁ9ÀUÎKÎKÅ$Ê1Á9À
tivazione. Vedremo infatti (come anticipato nel paragrafo 2.8) che i cammini
di Feynman hanno una con le traietto-

ÀάÉÄZÅ$ͯŖȬà ÎÊ1ÄÆϵÇÅ$Ê1ÁSÅ À]ЯÏSÃ.ÇÅ$Ê1Á9ÀÌ1Å ÑÒÀ¯Â]À¯ÁªÇÅ$Ã1ÄÀ


rie dinamiche classiche. E nell’ambito del nuovo approccio, essi acquistano

ÎȬÊ\ÍKÀÎUȖÅ$ÍHà ´
una caratterizzazione come di un’
`

Á9ÃpȖÏÓÂ]Ã1ÄÀ
. D’altro lato, la formulazione che descriveremo emerge in modo
completamente dall’analogia fra meccanica quantistica e processi

ÍKÊ1ÁFȖÂ]ÊÉJÃ1¯ÈBÀ!ЯÏSÃ1ÁFȖŠÎUȖÅ$ÍHÃ
stocastici classici (su cui ci siamo soffermati a lungo nel capitolo 3): essa
non è altro che la della descrizione di Langevin di un
PSMC. Scriviamo simbolicamente

ÔÖÕ×ØÚÙÜÛ ¸ÞÝ&ß Õà»á ×Þá áéàëêÒá


â ß Û ¸ àãÞáÖä ß à åçæ ÔÕ!×è ØÚÙҚ Û ¸ÜÝ ß Õ!à»á « ”Bì « ¼ ™

Ci sembra quindi sorprendente che questo nuovo approccio non sia già
noto da alcuni decenni!
5.2 – Abbiamo visto che un PSMC può essere descritto in due modi e-

ϪÄíÈBÀÂÅ$Ê1ÂHÀ
quivalenti, anche se molto differenti fra di loro: l’uno basato sull’equazione di

îHï
Fokker-Planck, l’altro sull’integrale di Wiener. Ma esiste un’ formu-
lazione di un PSMC (alquanto diversa dalle precedenti) dovuta a Langevin .

ÀUάÉÄZÅ$ͯŖȬÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ
L’approccio di Langevin è in un certo senso il più profondo, in quanto

KÊ ¿1ÁSÅÞÃ1ÄíȖÂ]ÃòÅóÁYËÊpÂðôÌÇÅ$Ê1ÁÀ
si considerano le traiettorie fisiche del processo – come ve-

Á<ÊpÁ ίÊ1ÄOÊ
dremo, viene derivata da queste. Ricordiamo che

ÅóðÒÉ9ÄÆŖÍYÅóȬÃ
esse figurano nell’approccio di Fokker-Planck, mentre compaiono in
forma nella formulazione di Wiener. Ulteriormente l’effetto delle

õzö=÷ùøµúUû=üþýŒÿ ¯úUü ú ôú ‰ý ‰ý ýŒü éö ú ëú þõ}ú €û¬ö)ÿ


ú ö=ü
  
23 M. Roncadelli,   
    , Pavia preprint (1991) (in

¯Uú ü ‰ý
     
corso di pubblicazione);          !" # ,

ú
 &  
Pavia

preprint (1991) (in corso di pubblicazione);  $ %   (')+*
 , Pavia preprint (1991) (in corso di pubblicazione).

24 Questo concetto verrà discusso nel prossimo paragrafo.


25 P. Langevin, Compt. Rend. Acad. Sci. (Paris) 146, 530 (1908).
96

fluttuazioni è qui rappresentato in modo , contrariamente a quanto ÀUÎBÉ9ÄÆŖÍYÅóȬÊ


avviene nell’equazione di Fokker-Planck.
Al fine di semplificare la trattazione sfruttiamo l’osservazione fatta nel

ÍKʀÎȬÃ1ÁFÈBÀ ”– £)­ ™ º


paragrafo 3.6 supponendo – per il momento – che il numero di particelle resti
, cosicchè poniamo , .- (effetti di emissione e di assorbimento

verranno considerati in un secondo tempo).


Sappiamo che un PSMC può essere immaginato come un’evoluzione
temporale deterministica perturbata da fluttuazioni gaussiane di fondo. Ab-

Ŗ̪À]Ãñ˯Ê1Á<Ì Ã1ðñÀÁ<ȬÃ1ÄÀ
biamo anche visto che – in assenza di fluttuazioni – le traiettorie fisiche del

þÏJÈ$ȖÏSÌǯŖÊpÁSÅ
processo sono date dall’eq. (3.22). Ora, l’ di Langevin

Ã\¿\¿pÅ ÏÓÁ ¿ªÀÁ<Ì Ê ÂUÏÓðôʀÂHÀ


consiste nel supporre che l’effetto delle / sulle traiettorie del pro-
cesso possa venire descritto semplicemente un termine di
nell’eq. (3.22), cioè modificando tale equazione nel modo seguente

 ‘H”$­ ™ º ä ‘H” ”–­ ™ £)­ ™‰§ ‘]”–­ ™U« B


” ì « p™
µ ­
0 0 21 43

Questa è la celebre À]ЯÏSÃ.ÇÅ$Ê1Á9ÀñÌ1Å ÃpÁ ¿ À \ÅóÁ î . È essenziale notare che


nell’eq. (5.2) la ÌpÂÅ ËÈ è rimasta ÅóÁ<Ã1ÄíÈBÀÂ]õȬà , in perfetto accordo col fatto che in
65 87 9

un PSMC le fluttuazioni Á<ÊpÁ interferiscono con gli effetti deterministici.


Discutiamo ora il significato dell’eq. (5.2). ™ L’aspetto più caratteristico
dell’equazione di Langevin è che le variabili ”–­ Á<ÊpÁ sono funzioni Ã1ÎHίÀB¿1Á<õÈBÀ
1

variabili vengono definite ÎÊpÄíÊ»ÅóÁ‚ίÀ¯ÁJÎÊñÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅ ÎUȖÅ$ÍHÊ , specificando la loro


del tempo, bensı̀ rappresentano un opportuno processo stocastico. Pertanto tali

ÌpÅbÎȖÂÅ ¯ÏpǯŖÊpÁ9ÀÌpÅJÉÂ)Ê ]à ÅóÄZÅ–È Ã ä è “ ” ¦Z™:™  . þÏSÃpÄOÀ ? Al fine di determinare è “ ” ¦Z™: è


;: <:
1 1

conveniente limitarsi al caso ”– £)­ º


¦Z™= è ÅóÁ<Ì1Å[ÉSÀ¯Á<Ì À¯–ÁFÈBciòÀ daÁ9Ê1ä Á ”–comporta
=: <: <: <> ?

generalità, in quanto “ ”
-

 )
£ ­ ™ î . Quindi
alcuna perdita di
è
1
l’eq. (5.2) A@

diventa ora

 ™ ™ ”Bì « ½ ™
µ­ ‘ ”–­ º ‘H”–­
0CBEDAF 1

e chiaramente le sue soluzioni rappresentano le ȖÂ]Ã1ŬÀ¯È$ȬÊpÂÅ$À }ÎKÅ$Í SÀ del É9Â]Ê\ÍUÀUÎKÎÊ


ÌpŠŬÀÁÀ . Sappiamo peraltro (si ricordi quanto detto alla fine del paragrafo
HG JI

3.9) che la distribuzione di probabilità per tali traiettorie è î


LK

M

26 ö Qý ú öQû¬ö ÿ ú €ö
Essa è l’esempio più noto fra le ON  
+

  P
 O 
+ 
, su cui esiste una
 

ö pöQû
l’eq.
\ 

1û¬ú :ö =ú
vasta letteratura matematica (si veda la bibliografia). Va osservato che i matematici scrivono
(5.2) nella forma più rigorosa QJRAS (T ) = US (R (T ) VT )Q8T + Q8W)S (T ), ove WXS è il Y  Z [
(ciò verrà ulteriormente chiarito nella nota 115). Preferiamo però attenerci qui al
formalismo (meno rigoroso) che viene usato comunemente nelle applicazioni fisiche.
27 Ancora una volta, questo fatto è conseguenza dell’indipendenza delle fluttuazioni dagli
effetti deterministici.
28 È ovvio che tutte le distribuzioni di probabilità devono essere normalizzate. D’altra parte,
97

Ÿ
¦Z™= p ­ ‘ ”–­ ™ ‘ ”–­ ™ « ”Bì « ™ ›é”)¼Œ— ⠙
^
dc

è “ ”
_a` e
0 BEDAF ] 0hBEDAF 0CBEDAF iaj
exp b g g b
k
f c

¦Z™:
Poiché siamo interessati a determinare “ ” , notiamo che – facendo uso
è
1

dell’eq. (5.3) – l’eq. (5.4) può venire riscritta come

Ÿ
Z
¦ :
™  ⠙ µ­ ‘H”–­ ™ ‘]”–­ ™ « ”Bì « ì ™
^
mc

“è ” exp ›!”)¼Œ—
_a` e
0 BEDAF l] 1 Z1 i j
b
k
f c

ÊH¿pÁSÅ valore di ”–­ ™ corrisponde ÏÓÁ


”–­ ™ ™ î
1

É9Â]Ê Hà ¯Å ÄÆÅóÈ Ã ³ ¡H¡ per un dato insieme (continuo!)


A questo punto sfruttiamo il fatto che ad
0 BEDAF D

”–­ Ïp¿1ÏSÃ1ÄÀ É9Â]Ê Hà ¯Å ÄÆÅóÈ Ã î per i corrispondenti valori di


valore di n , per cui la ;: ;: <>

”–­ ™
1
di valori
0 BEDAF
di è alla ;: ;: <>

. Evidentemente ciò implica

o 0 BEDAF
”–­ ™ è “ ” ¦Z™: º 0 BEDAF o 1
”–­ ™ è “ ” ¦Z™:¬«1
”Bì « µ™
p

ÄÆÅ ÁÀ]™ Ã1ÂHÀ , quindi™ il determinante (funzionale ³ ¡ ) jacobiano


”–­ a ”–­ è ÍKʀÎȬÃ1ÁFÈBÀ . Di conseguenza dall’eq. (5.6)
Ma l’eq. (5.3) è
o 0 BEDAF o 1

³]î
che connette

“è ” ¦Z™: è “ ” ¦Z™: ”Bì « p™


deduciamo
0 BEDAF l] 1 4q

per cui dall’eq. (5.5) otteniamo infine

Ÿ
“è ” ¦Z™= ›é”)¼Œ— ⠙ p­ ‘]”–­ ™ ‘]”–­ ™ ”Bì « µ™
^
dc
_a` e
1 ] 1 1 i j r
exp b
k
f c

che ha la ben nota forma ¿ Ã1ϪÎHÎUŖÃpÁ<à .


quando si è interessati al calcolo dei  ÿ úUû ü&ö
(come in questo caso) è più economico
ignorare momentaneamente tale richiesta, salvo poi normalizzare opportunamente i valori
  

medi (ritorneremo su questo punto più avanti).


29 Ciò segue semplicemente dall’ipotesi che R (0) (T ) e s (T ) siano connessi dall’eq. (5.3). Si noti

ú
che sotto opportune condizioni di regolarità per U (thV=T ) (che supporremo soddisfatte) ab-

biamo più in generale che ad OuJ valore di s (T ) corrisponde v valore di R (T ) soddisfacente ý
Qý 1û¬ú
all’eq. (5.2).

ÿ pú Yö
30 
Contrariamente
w w  yx
alla pratica
yx
seguita in questo Quaderno, intendiamo N realmente la Y J*

¬ý ú ÿ
e   la  Z di probabilità!
31  


Questo perché stiamo effettuando un cambiamento di variabili fra  v  .
32 Dato che consideriamo distribuzioni di probabilità   normalizzate è superfluo indicare
esplicitamente tale costante.
98

ÂϪðôÊpÂHÀ Å$Ã1Á9ÍHÊ
¿ Ã1ϪÎHÎUŖÃpÁ<Ê ³H³ Z³ ´
Un processo stocastico definito dall’eq. (5.8) è detto z:

(RBG) { .
ËUϪÁÓÇÅ$Ê1ÁSÅ
­ ’ ­ ’ ÍKÊ1Á<ÌpÅOǯŖÊpÁ9À
Ritorniamo all’eq. (5.2). È chiaro che le sue soluzioni sono di

ÅóÁSÅÇÅ$Ã1ÄÀ ”$­ ’ ™ º  ’ ¦Z™=ó™ ËUϪÁÓÇÅ$Ê1Á<ÃpÄZÅ ”–­ ™


e della posizione fissata ad un (arbitrario) istante iniziale (
0 1

”$­ ) ’ £)­ ’ \“ ”
) oltre ad essere del RBG : le indicheremo
0 1
come }| | . Esse godono dell’importante proprietà

”$­ ) ’ £)­ ’ \“ ” Z¦ ™:ó™ ” Ö­ ™ ¡ î


,
0
}| |
1 6]
”Bì « µ™
O,
Z~ 

™
che segue direttamente dal fatto che ”–­ è un RBG ³]ï . Vediamo che le ȖÂ)ÃpÅ$ÀYÈ
1

ȬÊpÂÅ$À }ÎUÅ–Í JÀ di un PSMC sono ËKÂ]ÃpÈ$ȬÃpÄZÅ con dimensione di Hausdorff uguale


€

a ÌpÏFÀ , ritrovando cosı̀ un risultato già ottenuto nell’ambito dell’approccio di



G 8I

Wiener (ritorneremo su questo punto in seguito).


™ un PSMC può Ã1Á<Í JÀ essere
vista come un ÍHÃpð Å$Ã1ðñÀ¯ÁFȬÊ"ÌpÅ €Ã1ÂŖà ÅóÄZÅ ”–­ æ ”–­ )<’¬£)­=’ \“ ” ¦Z™=ó™ definito
Va notato che la descrizione di Langevin di 1 0 1
8I

dall’eq. (5.2) ³ : il carattere Á9Ê1Á banale di questa trasformazione è pura


‚: [7 <: | O|

conseguenza degli effetti Ì À¯ÈBÀ¯Âð Å ÁSÅ ÎUȖÅ$ͯŠ.


9

la ÌpÅbÎȖÂUÅ ϵǯŖÊpÁ9À‚Ì1ÅÜÉÂ)Ê ]à ÅóÄZÅ–È Ã “è ” ¦Z™: per le soluzioni dell’equazione di


Quanto appena osservato suggerisce spontaneamente la domanda: qual’è
0
: <: <: <>

validità generale ³ , per cui ora abbiamo


Langevin? L’argomento usato precedentemente per ottenere l’eq. (5.6) ha
A@

”–­ ™ è “ ” ¦Z™: º ”–­ ™ è “ ” ¦Z™: «


o 0 0 ƒ=„a„
ƒ „
o 1
”Bì « ¼ ™ 1 ƒ=„a„
ƒ „ y-

zÁFÅóȬÊÒ­ ’ ­ ­ ’ ’ ™
Si noti che adesso preferiamo considerare (per maggiore chiarezza) un inter-

”$­ ’ º  ’ ³
vallo di tempo G †… … , supponendo che alle soluzioni considerate
0
sia imposta la condizione iniziale . Dall’eq. (5.10) segue M

33 Strettamente parlando, il RBG è una grandezza matematicamente patologica. È per questo


motivo che i matematici scrivono l’equazione di Langevin come indicato nella nota 108.
Ulteriormente nella notazione qui usata si ha W)S (T ) = R (0)
che l’uso del RBG porta a risultati  

BúUú û=û¬ö
S (T ). Tuttavia è stato dimostrato
. (Per  P una trattazione matematicamente rigo-
ö=ûBö ÿ Qý ú €ö¬úUû
pÿ ú
 
rosa del

RBG

si veda: L. Arnold,   ˆ‡ Z ‰HN ŠŒ‹; Z"Ž


'HY8Y   (Wiley, New York, 1973)).

34 Si osservi che le variabili s (T )   appartengono alla particella considerata e possono anche


venire interpretate fisicamente come descriventi un “campo
essa: ecco perché abbiamo usato l’espressione “




esterno



fluttuante” agente su di
  ”! 9ý ý ú =ú ¯ú
35 Più precisamente, è facile dimostrare che ∆W (T )  (∆T )1 ‘ 2 . Quindi l’equazione QJR (T ) =
U (R ( T ) V=T )Q8T + Q8W ( T ) implica l’eq. (5.9).

36 Ciò non deve stupire: l’intera teoria delle probabilità è, in ultima analisi, una trasformazione
di variabili (si veda al proposito il testo di Van Kampen citato nella nota 75)!
37 Si tenga presente quanto detto nella nota 111.
38 Unicamente per motivi tipografici scriviamo qui semplicemente ’ [R ( “ )] anziché più corret-
tamente ’ [R (T ; t”•VT” ; [s ( “ )])].
99

“è ” ¦Z™: º d”–­ ’ ’ £)­ ’ ™ è “ ” ¦Z™: ”Bì « ¼p¼ ™


0 ƒ „a„
ƒ „ —–
1 ƒ „a„
ƒ „

™ ¡]¡
ove d”–­=’[’–£)­=’ è il determinante (funzionale ³ ) jacobiano corrispondente, cioè
–
™ ™˜™ ™
d”$­=’ ’–£)­Q’ det ‘H”$­ — ”–™­ . Naturalmente l’eq. (5.2) non è più lineare™ (in
1 0œ

generale), cosicché d”–­ ’ ’ £)­ ’ Á<ÊpÁ è costante. Grazie all’eq. (5.2), d”–­ ’ ’ £)­ ’ può
– š › › } š

– –

essere riscritto in modo più eloquente come

d”–­ ’ ’ £)­ ’ ™ º
 ¯‘ › ä ‘H”– £)­ ™ Ó –
” 0
­ 
› ­ ™ « ”Bì « ¼ µ™
Ÿ

p­ 
œ Z¡h¢ ¢ 3
det
·
– ž ›   œ ›  ž
ž ž
B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B•§aF&¨©F
ž   H£ { ž

™
ž ž
ž ž

Il calcolo esplicito di d”–­Q’ ’ó£)­=’ può venire effettuato con manipolazioni formali
partendo dall’eq. (5.12). Si ottiene ³
–

n

d”–­ ’ ’ £)­ ’ ™ ›!”)¼Œ— µ™ p ­  ‘ ä ‘]”– £)­ ™ · ”Bì « ¼\½ ™


^ ƒ „a„
e ¢ ¢
_a`
†] 3 i j
– exp ª  š B ƒ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F
£ { k
ƒ „  

ȖÂ]Ã1ŬÀ¯È$ȬÊpÂÅ$À zÎKÅ$Í JÀ
ϪίÍKÀÁ<ȖŠ”–9’–£)­=’ ™ ¡ î
quindi la distribuzione di probabilità per le ˆG JI di un PSMC
D
da è

¦Z™: ›é”)¼Œ— p™ p ­ < ‘ ä ‘K”– £)­ ™ · ¦Z™= «


^ ƒ=„a„

è “” è “”
e ¢ ¢
_ `
0 ƒ „a„ ] 3 i j 1 ƒ „a„
ƒ „ exp ¬  š B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B•§aF&¨©F ƒ „

”Bì « ¼ ™
H£ { k
ƒ „  

­b

ȖÏJÈ$ÈBÀ
ðñÀ]ÌpÅ$À
È evidente che in questo approccio le quantità fisiche misurabili nascono

ðñÀ]ÌpŖà ” ¦¯¦¯¦Æ™
come sul RBG di opportuni funzionali delle soluzioni dell’equazione di
Langevin. La di una certa quantità è ovviamente definita come

” ¦¯¦¯¦Æ™ à ”–­ ™ è “ ” Z¦ ™= ” ¦¯¦¯¦Æ™ ”Bì « ¼Œì ™


® e
8¯ ˜ o 1 1

à
¼ º|¼ ´
ove
°
la costante di normalizzazione deve essere fissata in modo che si abbia
D
v± ¦ .

39 Si veda ad es.: J. Zinn-Justin,


(Clarendon Press, Oxford, 1989).
‰ý ýŒüÚø öQÿ €ö¬úUû

 
²‹; Z"‚³ Fû ÿ €ö 1úUü&ö

O m´  Z

40 Questa è la normalizzazione a cui abbiamo accennato nella nota 110.


100
™
Mostriamo ora come la probabilità di transizione š di un
è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’
´ ¡ €Ã Ì Ã딖 ’ £)­ ’ ™
PSMC possa venire espressa in termini delle soluzioni dell’equazione di

Ô– ’ ’ £)­ ’[’ ™ ÉÂ)Ê ]à ÅóÄZÅ–È Ã ”– ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™


Langevin . A tal fine consideriamo ancora l’evento µ “ ¶·7

´ î ¦Z™=ó™ è
” la cui <: <: <> (totale) è proprio š . Nel presente

”–­ )<’B£)­=’ \“ ”
contesto tutte le alternative disgiunte secondo le quali µ può realizzarsi sono
0 1
descritte da quelle soluzioni | | che soddisfano la condizione

”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™ º  ’ ’


0
| ”Bì « ¼ ™ |
1 p

™
per ȖÏJÈ$ÈBÀ le possibili configurazioni ”–­ del RBG. KÁ‚ÂHÀ]ÃpÄÆÈ Ã abbiamo però a
1

che fare con soluzioni ¿ À¯Á9ÀÂÅ$Í JÀ , che Á9Ê1Á soddisfano in generale la condizione
¸ <>

(5.16). Si può superare questo ostacolo associando ad ogni ”–­ )<’$£)­Q’ \“ ”


JI
¦Z™:ó™ 0 1

la seguente ÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅ–È ÃÌ1ũȖÂ]ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1Á9À


| =|

;: <: <>

™ ¦Z™=
è ”– ’[’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ “ ”
0 l˜
š

« ”Bì « ¼ µ™


”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™ ¤ vada da ”– ’ £)­ ’ ™ a ”– ’[’ £)­ ’[’ ™
¹
probabilità che Σ si muova lungo q
0 1 hº
| |

Evidentemente,™ quando accade che ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ”


¦Z™:ó™ soddisfa l’eq. (5.16),
Z
¦ :
™ 
0 1

”–<’ ’–£)­Q’ ’ <’$£)­Q’ “ ” è proprio la probabilità relativa ad una generica alter-


}| |

ènativa
0

disgiunta associata all’evento . Ma sappiamo che secondo il ÍKÃ1ÄOÍHÊ1ÄOÊ





ÍYÄíÃ1ÎHÎUŖÍKÊ ÌªÀÄóÄOÀ É9Â]Ê Hà ¯Å ÄÆÅóÈ Ã la probabilità (totale) di un evento è data dalla


µ

;: ;: <>

somma delle probabilità relative alle possibili alternative disgiunte secondo


cui esso può realizzarsi. Abbiamo pertanto

™ ™ ™ ¦Z™: ”Bì « ¼ ™
è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ º ¡ ”–­ è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ”
e
o 0 0 r
š š

ï

B F

« µ™ al segno di integrazione sta ad indicare che l’integrale


8» 9

ove il suffisso ”Bì ¼


p

va esteso ÎÊpÄíÊ all’insieme di soluzioni dell’eq. (5.2) che soddisfano la con-


è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™: è di fatto 0

una probabilità ÍKÊ1Á ¿pÅ ÏÓÁFȬà , per cui possiamo riscrivere l’eq. (5.17) nella forma
dizione (5.16). Procediamo osservando che š


–
”  ’ ’ )
£ ­ [
’ ’  ’ )
£ ­ ’ ™ “ ” ¦Z™: º
è
0

™
š

probabilità che Σ vada da ”$<’–£)­Q’ ¦




™ Z
¦ :
™ ó
 ™ Z
¦ :
™ ó
 ™
¹

a ”–9’ ’$£)­Q’ ’ lungo ”–­ )<’$£)­Q’ \“ ” lungo ”–­ )<’$£)­Q’ \“ ”


si muove ¶
0 1 0 1 ´º
ž
| =| | =|
ž
ž
ž
41 Abbiamo voluto presentare qui una discussione più dettagliata di quanto usualmente venga
fatto.
42 Si ricordi l’osservazione fatta nella nota 28.
101

« ”Bì « ¼ ™
”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™
¹
probabilità che Σ si muova 
0 1 º
lungo | |

Ulteriormente è evidente che

”–­ )<’¬£)­=’ \“ ” ¦Z™:ó™ º è “ ” ¦Z™: « ”Bì « ™


¹
probabilità0 che Σ si1 muova 0 ƒ„a„ 43
º ƒ „ -
lungo | =|

Pertanto, ponendo
™ ¦Z™:
è ”– ’[’ £)­ ’ ’  ’ ™ £)­ ’ “ ”
1 ˜
š

™ che Σ vada da ”– ’ £)¦Z­ ™=’ ó™ lungo si–” ­ )muove « ™


<’$£)­Q’ \“ ” ¦Z™:ó™ £ ”Bì ¼
¹

a ”–<’[’–£)­=’ ’ lungo ”$­ )9’$£)­=’ \“ ”


probabilità 0 1

0 1
43
º
ž
}| | | =|
ž
ž
ž
otteniamo
™ Z¦ ™: ™ Z¦ ™: ¦Z™: ”Bì « µ™
è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” º è ”– ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” è “ ”
0 1 0 ƒ„a„ 433
š š ƒ „


in virtù delle eq. (5.19), (5.20) e (5.21). Corrispondentemente l’eq. (5.18)


assume la forma

”è – ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ º ”$­ ™ è “ ” Z¦ ™: è ”$ ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™:¬« ”Bì « ½ ™


e
o 0 0 ƒ „a„ 1 43

ï¡
š ƒ „ š

B F
J» 9

Ma grazie all’eq. (5.10) abbiamo

™ ”–­ ™ è “ ” Z¦ ™= è ”$ ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™:¬« ”Bì « ™


è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ º ¡
e
o 1 1 ƒ „a„ 1 43
š ƒ „ š b

ï B
J» 9
F

™ ¦Z™:
”–­ )9’$£)­Q’ \“ ” ¦Z™:ó™ è ”–<’[’–£)­=’ ’ <’¬£)­Q’ “ ”
1
A questo punto è necessario conoscere l’espressione di Zš
0 1

ÍKʀÎUȬÃpÁFÈBÀ
in funzione di }| =| . Abbiamo supposto finora che il numero di
particelle fosse . È chiaro che in tale situazione si ha

™ Z¦ ™: ¦Z™:ó™]™U« ”Bì « ì ™


è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” º ª”$ ’ ’ › ”$­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ”
1 0 1 43
D š .› | |

Tuttavia è facile estendere l’eq. (5.25) al caso ¿ªÀÁ9À¯Â)ÃpÄOÀ in cui ë”$ £)­ º
™ . ,
½¼
¾-

Ponendo per convenienza


102

“ ” ¦Z™:
”–­ )<’¬£)­=’ \“ ” ¦Z™:ó™ ”Bì « ™
¹

’ ­Q’ ­ ­Q’ ’
¿ 1 ƒ „a„ ˜ probabilità di sopravvivenza lungo 43Žp
ƒ „ 0 1 º
| =| nell intervallo … …

semplici argomenti probabilistici ´ ³ forniscono

“ ” ¦Z™: º ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” Z¦ ™:ó™ )£ ­ ”Bì « µ™


^ ƒ„a„

› µ­
_ ` e
¿ 1 ƒ=„a„ 0 1 i j 43q
ƒ „ exp ),ÁÀ | | Â
k
ƒ „

cosicché al posto dell’eq. (5.25) otteniamo ora

™ Z¦ ™: ¦Z™:ó™]™ ¦Z™= ”Bì « ™


è ”$ ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” º Ӕ– ’ ’ › ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” “ ”
1 0 1 ¿ 1 ƒ „a„ 43Žr
š .› | | ƒ „

in quanto i processi di emissione ed assorbimento Á<ÊpÁ interferiscono con

ðôÊpÄÆȖÅ[É9ÄÆÅ$ÍHÃ1Á9Ê ). Ma se inseriamo l’eq. (5.28) nell’eq. (5.24) scopriamo


gli effetti deterministici e delle fluttuazioni (quindi le relative probabilità si

molto importante: la forma particolare di ”–9’ ’–£)­Q’ ’ <’¬£)­=’ “ ”


™ ¦Z™: tieneunconto
fatto
è (5.16) debba essere soddi-
1

ÃpÏJȬÊ1ðôÃpȖÅ$ÍHÃpðñÀÁFÈBÀ del vincolo che la condizione


di Langevin la ÉÂ)Ê ]à ÅóÄZÅ–È ÃÌ1ÅzȖÂ]Ã1ÁJÎUÅOǯŖÊpÁ9À è data da ´]´


sfatta! Concludiamo (in virtù delle eq. (5.15) e (5.24)) che nella formulazione
<: <: <>

”è – ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ º è ”– ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™: « ”Bì « ™


®
1 ¯ 43Ž
š š
¦

Possiamo anche riscrivere l’eq. (5.29) in forma più ÀάÉÄZÅ$ͯŖȬà , facendo uso delle
eq. (5.27) e (5.28). Otteniamo cosı̀

™ Z¦ ™:ó™]™U¦
è ”– ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ º Ӕ– ’ ’ › ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ”
0 1

”Bì « ½ ™
š Äƛ | |

p­ ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™ £)­ «


^ ƒ „a„

exp ›
e -
_ `
0 1 iaj
m,zÀ | | +Â
1
kÆÅ
ƒ „

ðôÊ1ÄíȬʂÎYÀðÒÉ9ÄÆÅ$ÍKÀ ´ ï
Un vantaggio dell’approccio di Langevin è permettere una derivazione
della formulazione di Wiener in modo . Consideriamo
43
‰úÿ Kü&ö=û ö =ö
Si veda ad es.: F. W. Wiegel, ÇO    ÈH ÉÇO &u = 
 " ™Ž Ž (World Scientific, Singapore, 1986).
 

û¬ú Uý ú ú
ˆÊy" ËŽ

ö û ÿ éö .ú
     

44 Vediamo che ’ (t”a”•V=T=”a”=Ì t”V=T=” ) è effettivamente normalizzata.

øµú ¯öQû 9ÿ ö Qý ú ú µö û Uü&ö=û !ú ÿ €ö


45 È anche possibile derivare l’equazione di Fokker-Planck. Il metodo “classico” (basato
 HÍ
sulla cosiddetta &Yv  É  Z*• "J ) è riportato ad es. in: H. Risken, ‹;

AÎÎ Z*• 8ZΈ‰HN  (Springer, Berlin, 1984). Un metodo alternativo è descritto nel
testo di Zinn-Justin citato nella nota 121.
103

™ z”– ™’ £)­ ’ ) ’ ’ £)­ ’ ’ ™ ¢”$­ ™


¢”$­ ’ º  ’ ¢”–­ ’ ’ º  ’ ’
nuovamente l’insieme Ï | delle funzioni continue con estre-
™ ¦Z™:
è ”– ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ 0”
mi fissi , . Analogamente a quanto fatto nel para-
grafo 3.9, fissiamo l’attenzione sulla probabilità š definita

ÉSʀÎȖϪÄOÃp™ È¬Ê ¢”–­ ™ ”$<’–£)­Q’ ™


dall’eq. (3.42). Essenzialmente, ciò che ci proponiamo di fare è derivare il

”$<’ ’$£)­Q’ ’ ™
W2. Va notato che ora tutti i cammini congiungono con
¢”$­ ™
”$<’ ’$£)­Q’ ’ ÍKÀ¯ÈBÀKÇHÇYà Ì1Å €À¯ÂKίÃ
, per cui se la particella si muove lungo un certo essa raggiunge

0”–­ ™
con – la situazione era «7 quando consideravamo le
Z
¦ =
™ ó
 ™
”$­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ™ ȖÏJÈ$Ȗ¦Z™=Å 
soluzioni dell’eq. (5.2). Pertanto è evidente che, nel caso in cui
­
coincida
­ ’ ­ ­ ’’
™ Z
¦ =
™ 
0 1

è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ¢” º è ”– ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ”


con }| | per i valori di compresi nell’intervallo m… … ,
0
abbiamo š š . Questa osservazione

piuttosto ovvia può essere formalizzata nel modo seguente

”– ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ ™ “ ¢” ¦Z™: º


$” ­ ™ ӓ 0”–­ ™ › ”$­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™=ó™: ¦ ”Bì « ½J¼ ™
e

è
o 0 0 1 ƒ „a„

™ ¦Z™:
š › }| | ƒ „

è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ”


0
š


ove ӓ
¦¯¦¯¦  è una delta ËUÏÓÁªÇÅ$Ê1Á9Ã1ÄÀ di Dirac, cioè il prodotto continuo di funzioni
delta di Dirac per tutti i valori di ­ compresi nell’intervallo ­ ’ ­ ­ ’ ’ . Usando
›

d… …

le eq. (5.10), (5.15) e (5.22), l’eq. (5.31) assume la forma

”è  ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ 0” ¦Z™: º


–
ª“ 0”–­ ™ › ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™: è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™: « ”Bì « ½ µ™
š
3
®
0 1 ƒ=„a„ 1 O¯
› | | ƒ „ š
¦

Siamo cosı̀ riusciti ad esprimere la probabilità per un cammino di Wiener

”è  ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™= ™ ¦Z™=


–
nell’ambito dell’approccio di Langevin. Non solo, ma inserendo nell’eq.(5.32)
1

ÀάÉ9ÄÆÅ$ͯŖȬÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ è ”$ ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ¢”


l’espressione di š data dalle eq. (5.27) e (5.28) è possibile

ÉJÊ1ÎUȖÏÓÄíÃµÈ¬Ê ÉJÊ1ÎUȖÏÓÄOÃpȬÊ
calcolare š . Si trova per questa via proprio

}”– ’ £)­ ’ ) ’ ’ £)­ ’ ’ ™


quanto stabilito dal W2. Ma è anche possibile derivare il
W3! Infatti, integrando l’eq. (5.32) su Ï | si ha

¢”–­ ™ è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ ¢” ¦Z™: º è ”– ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™:
B” ì « ½p½ ™
e ®
o 1 O¯
š š
¦

in quanto l’operazione di integrazione non fa altro che eliminare ӓ


¦¯¦¯¦  dal ›

secondo membro dell’eq. (5.32). E grazie all’eq. (5.29) otteniamo l’eq. (3.47).

ÎKÅ$Ã Í SÀ
Vogliamo concludere con un’importante osservazione. Come segue dalle

ËUÂ)õÈ$ȬÃ1ÄÆÅ ÌpÏFÀ Á<Ê1Á


eq. (3.49) e (5.9), i cammini di Wiener JI le soluzioni dell’equazione di
Langevin sono con dimensione di Hausdorff uguale a . Ciò
104

Å
KÍ Ã1ð ð ÅóÁSÅ Ì1ŠŬÀÁ9À¯Â Í JÀñÍHÊpÁ ¿1ÅóÏÓÁ ¿µÊpÁ<Êù”$ ¦Z™:’ ó£)™ ­ ’ ™ ÍHÊpÁ‚”– ’ ’ £)­ ’ ’ ™ ÉSʀÎKÎÊ1Á9Ê €À¯ÁSÅóÂ
è casuale. La derivazione dei postulati W2 e W3 mostra chiaramente che

ÅóÁFÈBÀ¯ÂBÉÂHÀ¯È¬ÃpȖÅ}ÍHÊp¦Z™:ðñó™ ÀÒίÊ1ÄÆÏpǯŖÊpÁSÅ ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” Í JÀ ίÊ\̵ÌpÅbÎóËÃpÁ<Ê ÄOÃôÍKÊ1Á<ÌpÅOǯŖÊpÁ9À


ÆK 8I 7
0 1

”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” º  ’[’ – dopo tutto, gli uni e gli altri descrivono le ÎÈBÀUÎHÎYÀ
}| | 8I
0 1
| |

traiettorie fisiche di un PSMC!


Quest’ultimo è un risultato di grande rilevanza, per cui ci sembra oppor-
tuno darne una dimostrazione alternativa (che può forse apparire più esplicita

”–9’–£)­=’ ™
della precedente). Chiediamoci quale sia la distribuzione di probabilità per le

ÍHÊ1ÎUȬÃ1Á<ÈBÀ
traiettorie fisiche di un PSMC uscenti da . Si osservi che nel caso in

ÍKÀÎÊ ¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÀ
cui il numero di particelle è la risposta già la conosciamo: è fornita
dall’eq. (5.14). È però molto facile considerare il , in quanto
basta combinare l’eq. (5.14) con l’eq. (5.27) (quest’ultima tiene conto dei
processi di emissione e assorbimento) 9 . Otteniamo
D
´ ¡î

“è ” ¦Z™: µ­ ¼ < ‘ ä ‘K”– £)­ ™ § ë”$ £)­ ™ ¦


ƒ „a„

ž›
e Ÿ
0 ƒ „a„ ] ¡ ¢ ¢
exp Ð
·
ƒ „ 3Ñ  ,
ž
B ƒ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F}Ò

Z
¦ =
™ 
ž
ƒ „   £ {
ž

è “” ”Bì « ½ ™
1 ƒ„a„ ž
ƒ „

¦Z™: può venire espressa


Žb

in cui compare esplicitamente il RBG. Tuttavia “ ”


Z
¦ =
™ ó
 ™ è
0

ÍKÊ1ðҙ ÉÄOÀYȬÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ in termini di ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” . A tal fine è sufficiente eliminare


0 1

”–­ dall’eq. (5.8) facendo uso dell’eq. (5.2). Abbiamo quindi


| |
1

“è ” ¦Z™: exp þ› p­ ¼â ”  ‘ › ä ‘ ”– £)­ ™]™ î §


ƒ „a„
e Ÿ

”Bì « ½µì ™
0 ƒ „a„ ]
ƒ „ Ð
g
b
ƒ „

¼ ä ]‘ ”– £)­ ™ § 딖 £)­ ™ «


9‘
¡ ¢ ¢

·
3   ,
ž
ž B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©FÒ

¦Z™= per i
  ž £ {

Ma l’eq. (5.35) ÍHÊ1ÅóÁ<ÍYŖ̪À con la distribuzione di probabilità “ ¢”


ž

è
ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅçÌ1ŠŬÀÁ9À¯Â ´ (si vedano le eq. (3.43), (3.44), (3.45) e (3.46)),
dimostrando cosı̀ la ÍHÊ1ðÒÉÄOÀYȬÃÀ]ÐYÏÓÅ €Ã1ÄÀÁªÇ\à fra questi ultimi e le soluzioni
ÓK @

”–­ )<’¬£)­=’ \“ ” ¦Z™=ó™ che passano per ”–<’ ’¬£)­=’ ’ ™ .


•7
0 1
| O|

5.3 – Nel caso della particella Ô descritta dall’azione classica (2.33) è un


gioco fin troppo facile ottenere una formulazione della meccanica quantistica

46 Procediamo nello stesso modo in cui abbiamo derivato l’eq. (5.28) partendo dall’eq. (5.25).

û=û ÿ[ö pö ú
47 Naturalmente questi ultimi soddisfano la condizione t (T ”a” ) = t ”a” mentre le soluzioni
dell’eq. (5.2) che figurano nell’eq.
 
(5.35)
 
  soddisfano (in generale) la condizione (5.16).
Ma questo fatto è qui del tutto  .
105

ÍKÊ1ÁFȖÂ]ÊUÉSÃ1¯ÈBÀþÌ À¯Ä ÄOÃ̪ÀUÎÍYÂÅOǯŖÊpÁ9ÀžÌ1Å ÃpÁ ¿ À \ÅóÁ


ÍHÊpðÒÉ9ÄÀ¯È¬ÃùÍHÊ1ŠάÉJÊpÁ<Ì À¯ÁªÇYÃ
come C5 87 di un PSMC: basta ricordare
l’eq. (3.1) e far uso della fra le due teorie stabilita
dalle eq. (3.39), (3.40) e (3.41) unitamente alle definizioni (3.35), (3.36) e
(3.37)!
Cominciamo dall’equazione di Langevin (5.2). Grazie alle eq. (3.40) e
(3.36) essa diventa

 ‘]”–­ ™ º|› ¼ ž‘H” ”$­ ™ £)­ ™‰§ ‘H”$­ ™ B


” ì «½ ™
µ ­
0 0 Ö1 p

che è l’ À]ÐYÏSÌÇÅ$Ê1ÁÀ ÌpÅ Ã1Á ¿ªÀ \ÅóÁ su cui è basato il presente approccio. Ora,
nel caso di un PSMC le þÏÓÈ$ȖÏSÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅ sono simulate da un RBG definito
×5 J7

dall’eq.(5.8). Analogamente – almeno da un punto di vista formale – le þÏJÈ


/

ȖÏSÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅþЯÏSÃ1ÁFȖŠÎUȖÅ$Í SÀ ´ sono simulate qui da un ÂϪðôÊpÂHÀ ¯Å–ÃpÁ<ÍHÊ ÌpÅ Â]ÀÎKÁ9À¯Ä


/ €

(RBF) ´ , che si ottiene dall’eq. (5.8) in virtù delle eq. (3.39) e (3.35). Natu-
JI M Ø: XÙ

ralmente adesso le ÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅ–È Ã vanno sostituite dalle corrispondenti Ã1ðÒÉÅ$ÀKÇHnjÀ .


n

Quindi il RBF è definito dalla distribuzione di Ã1ðÒÉÅ$ÀKÇHÇ\Þï


;: <: <>
D

Ÿ
¸ “ ” ¦Z™= exp ”–•=— p™ ” — ˜9- ™ µ­ ‘H”–­ ™ ‘)”–­ ™ « ”Bì « ½ µ™
^
dc
_ ` e
1 H] 3 1 Z1 iaj q
Õ

k
f c

É9Â]Ê HÃ
¯Å ÄÆÅ–È ÃÌpʼnȖÂ)ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1ÁÀ ”è  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ ” Z¦ ™: ÆÄ ÏÓÁ ¿µÊ ” ­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ ó™
Un concetto chiave nella formulazione di Langevin di un PSMC è la ;: Ž€
1 0 1
: <> (condizionata) š | |

definita dall’eq. (5.21). Ponendo ora

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™: ° 1 ˜

™
š ±

ampiezza™ che vada da ”$ ’ £)¦Z­ ™:’ ó™ si muove ¦Z™:ó™


”Bì « ½ ™
¹

a ”–<’[’–£)­=’ ’ lungo ”$­ )9’¬£)­Q’ \“ ” lungo ”–­ )<’$£)­Q’ \“ ”


Ô Ô r
0 1 0 1 º
ž
}| =| | |
ž
ž
ž

l’eq. (3.1) implica evidentemente

™ Z¦ ™= ¦Z™:¬« ”Bì « ½ ™


è –”  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” çå æ  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ”
1 ° 1 
š š ±

48 L’espressione “  ý ý ú Qý


N   Z

€ö 
” viene usata con significati spesso differenti.
Ritorneremo su questo argomento nel paragrafo 5.7.
 &

49 Questa denominazione trae origine dal fatto che nell’eq. (5.37) figura l’analogo funzionale
di un integrale di Fresnel.  Si noti che
con costante di diffusione Éu


formalmente
 ÜÝ
üü
il RBF può essere visto come un RBG
(Ú = Û - 2 Þ ), quindi alcune proprietà del RBG Uû
.ú ö=û úUû
valgono anche per il RBF (questo punto verrà precisato nella discussione seguente).
  
50 Anche qui non ci preoccupiamo di normalizzare le distribuzioni di ampiezze. 'ßY 

ý pú
si scopre (discutendo esempi fisici espliciti) che la corretta costante di normalizzazione
nell’eq. (5.37) è proprio y !
106

Sfruttando l’eq. (5.39), la forma esplicita di š ± segue diretta-


°
 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™: 1

mente dalle eq. ( 5.27) e (5.28) facendo uso delle eq.(3.41) e (3.37). Otteniamo

°
 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” Z¦ ™: º Ӕ– ’ ’ › ”–­ ’[’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™]™¦
š ±
1
à›
0
| |
1

™ p­ ž‘]”– £)­ ™ ¦


^ ƒ „a„

exp ›é”)¼Œ—
e ¢ ¢
_a`

< ‘ ·
3 i j
Õ
ª  š B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F
£ { k
ƒ „  

›!”–•Q— ˜<- ™ µ­ ¼  ‘ ”– £)­ ™  ‘ ”$ £)­ ™ § Þ”– £)­ ™ «


^ ƒ=„a„
e ¹
_ `
¢ ¢ i j
exp
·
3 º
Õ

”Bì « ™
ž
ž B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B•§aF&¨©F k
ƒ „ H£ {
ž
ž
bá-

ðñÀHÌ1Å$à ï¡
Concludiamo – grazie alle eq. (5.29), (3.19) e (5.39) – che il propagatore
quantistico emerge qui come sul RBF

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ zº  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™: « ”Bì « S¼ ™


®
° ° 1 ¯
š ± š ± b
¦

Inserendo l’eq. (5.40) nell’eq. (5.41) abbiamo esplicitamente

 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ zº Ӕ– ’ ’ › ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™=ó™]™U¦


°
š ± ÄÃ˛
0
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1

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£ { k
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˜<™ µ­ ¼  ‘]”– £)­ ™ ž‘H”$ £)­ ™ § Þ”– £)­ ™


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”Bì « µ™
ž 1
ž B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§aF¨F kXÅ
ƒ „ £ {
ž
3
ž
b

che costituisce essenzialmente il nostro ÂÅbÎUϪÄíȬÃpÈ¬Ê ©Á<Ã1ÄÀ : il ÉÂ)ÊÉJÌ¿µÃpȬÊpÂHÀ ЯÏSÃpÁ


ȖŠÎUȖÅ$ÍHÊ espresso in termini delle ÎÊpÄZϵǯŖÊpÁSÅ0̪ÀÄóÄ À]ÐYÏSÌÇÅ$Ê1ÁÀÞÌ1Å Ã1Áª¿ À ŒÅ Á (5.36).
ÈG ´€

â H5 J7

Tuttavia l’eq. (5.42) può venire semplificata un po’ definendo

딖­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™=ó™


, | |
1 6˜
det ž
ž
 
’ ]
‘œ–
” ­ ’ ’ ) 0
’ )
£ ­ ’ \ “ ” Z¦ ™=ó™ « | |
1
ž
ž
”Bì « µ½ ™ b

ž   ž
ž ž
ž ž
51 L’operazione di media sul RBF è definita come nel caso del RBG, cioè dall’eq. (5.15) con
’ [ s ( “ )] sostituito ovviamente da ã [s ( “ )] e ä = 1.
107

Un semplice calcolo dà ï]î

”–­ ’[’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™ º ›!”]¼Œ— ™ µ ­ < ‘ ž‘]”– £)­ ™ ·


^ ƒ „a„
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, | | exp Ñ  š B ƒ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F

”Bì « ™
£ { k
ƒ „  

bb

che permette di riscrivere l’eq. (5.42) nella forma

 ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ }º Ӕ– ’ ’ › ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“


°
š ± åÃ˛
0
| |
1
” ¦Z™:ó™]™ ë”$­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™ ¡ î ¦
, | |
1 ~

˜<™ µ­ ¼  ‘ ”– £)­ ™  ‘ ”– £)­ ™ § Þ”– £)­ ™ «


^ ƒ „a„

exp ›!”–•Q— -
e ¹
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·
3 º
Õ

”Bì « ì ™
ž 1
ž B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§aF¨F kæÅ
ƒ „ £ {
ž
ž
b

È importante sottolineare che – benché l’eq. (5.45) sia stata dedotta in modo

À¯ÏÓÂUÅ ÎUȖÅ$ͯŠÞÉSʀÎÈBÀÂŖÊpÂÅ
abbastanza convincente – gli argomenti che abbiamo usato sono essenzialmente

ÂHÀHÃ1ÄÆðñÀÁFÈBÀ
, per cui è necessario verificare ( ) che l’eq. (5.45) fornisce
il propagatore dell’equazione di Schrödinger (naturalmente è stato
dimostrato che le cose stanno effettivamente cosı̀).

ÐYÏJÃpÁFȬʻðôÃ1ŠίÀðÒÉÄZÅ$ÍKÀ
Un vantaggio di questa formulazione è fornire la derivazione dell’ap-

ï]³
proccio di Feynman in modo (è sufficiente seguire la

z”– ’ £)­ ’ ) ’ ’ £)­ ’ ’ ™


stessa strategia sviluppata nel paragrafo precedente) . Consideriamo quindi

<’ ’$£)­Q’ ’ 9’$£)­Q’ ¯“ ¢” ¦Z™:


lo
°
spazio dei cammini Ï | e fissiamo l’attenzione sull’ampiezza

ðñÀ]Ì1Å$Ã
š •± definita dall’eq. (2.34). È immediato esprimere questa
ampiezza come sul RBF (in cui compaiono le soluzioni dell’eq. (5.36)):
basta infatti usare le eq. (3.53) e (5.39) per ottenere dall’eq. (5.32)

 ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ “ 0” ¦Z™: º ӓ ¢”–­ ™ › ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™= ¦


®

”Bì « ™
° 0 1 ƒ„a„
š ± › | | ƒ „

 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™: «


p
b
° 1 ¯
š ±
¦

52
=úUû:ü 1ú
Se nell’eq. (5.36)   comparisse il termine di rumore, l’eq. (5.44) manterrebbe la  OZ

ö

 
(si veda ad es.: R. Kurth, 'mç É  
³ O  h
   
  h   úUü
É : avremmo allora un risultato ben noto a chi si occupa di sistemi dinamici classici

 (Pergamon þú Fÿ ÿ ÿ éö €ö
53
û=ý\ü úUûBö
Press, Oxford,©&1960)).
#88
©
ú
Si può però dimostrare che l’eq. (5.44) vale ŽZ in presenza di un
(quale è il caso dell’eq. (5.36)).
È anche possibile derivare l’equazione di Schrödinger partendo dall’equazione di Langevin
in modo molto simile a come si ottiene l’equazione di Fokker-Planck secondo la strategia
discussa da Zinn-Justin (si veda la nota 127).
108

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z¦Z™:™: 


° 1

ÀUÎBÉ9ÄÆŖÍYÅóȬÃpðñÀÁFÈBÀ  ’[’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ ¯“ 0”


Inoltre, se si inserisce nell’eq. (5.46) l’espressione di ° š ± data

ÉJÊ1ÎUȖÏÓÄOÃpȬÊ
dall’eq. (5.40) è possibile calcolare š ± . Si

€À¯ÂÅ dÍKÃ1ÂHÀ ™
ritrova per questa via proprio quanto stabilito dal F2. (Questo è

}”–9’–£)­=’ )<’ ’¬£)­=’ ’


un modo per 7 G la correttezza dell’eq. (5.45)). Ancora, integrando
l’eq. (5.46) su Ï O| , si ha

0”–­ ™  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ¢” ¦Z™: º


 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™: ”Bì « µ™
e ®
o ° ° 1 ¯ q
š ± š ± b
¦

dato che l’operazione di integrazione elimina ª“


¦¯¦¯¦[ dal secondo membro
dell’eq. (5.46). Infine l’eq. (2.37) – cioè il ÉJÊ1ÎUȖÏÓÄíÃµÈ¬Ê F3 – emerge combi-
›

nando l’eq. (5.47) con l’eq. (5.41).

ËUÂ]ÃpÈ$ȬÃ1ÄÆÅ
Analogamente a quanto si ha nella descrizione di Langevin di un PSMC,

ÌpÏFÀÞï ´
anche le soluzioni dell’equazione di Langevin (5.36) sono con dimen-
sione di Hausdorff uguale a . Non stupisce che questa proprietà sia

ÅzÍHÃpð ð Å ÁSÅ}Ì1Å ¢À €ÁSðôÃ1ÁòÍ SÀÍHÊpÁ ¿1ÅóÏÓÁ ¿µÊpÁ<Ê”– ¦Z’™:£)ó™­ ’ ™ ÍKÊ1Áò”– ’ ’ £)­ ’ ’ ™ ÉJÊ1ÎHÎÊpÁ<Ê
condivisa dai cammini di Feynman. Infatti le eq. (5.46) e (5.47) implicano

1ÀÁSÅóÂHÀ Å Á<ÈBÀÂ:É9ÂHÀ¯È¬ÃµÈ–Å ÍHÊpðñ¦Z™:óÀž™ ίÊ1ÄÆϵÇÅ$Ê1ÁSÅ ”–­ )<’¬£)­=’ \“ ” Í JÀ Îʌ̵Ì1ŠΠ˯Ã1Á9Ê!ÄOÃÖÍHÊpÁ


che dÙ Jè JI
0 1

ÌpÅOǯŖÊpÁ9À ”–­Q’ ’ )<’B£)­=’ \“ ” º 9’ ’ !


7 | =| 8I ´€
0 1

¦Z™  fondamentale risultato ̪À


| =|

©Á9ÀÁ<Ì Ê una distribuzione


Alternativamente, si può giungere ¸ a questo
di Ã1ðÒÉ9ŬÀHÇKÇYà “ ” ï]ï per le soluzioni dell’eq. (5.36)

™
0

uscenti da ”–<’–£)­Q’ (considerando l’intervallo di tempo ­=’ ­ ­Q’ ’ ). La ËÊpÂUðôÃ


G

ÀάÉÄZÅ$ͯŖȬà di¦Z™:¸  “ ” ¦Z™: può essere ottenuta – ancora una volta grazie all’eq. (3.1)
… …
0

– da “ ”
è
0
data dall’eq. (5.35), usando la corrispondenza stabilita dalle

(3.37). Ricordando l’ampiezza “ 0”


¸ ¦Z™: per i cammini di Feynman definita
eq. (3.39), (3.40) e (3.41) congiuntamente alle definizioni (3.35), (3.36) e

dall’eq. (2.35) e le eq. (2.33) e (2.36), si trova É9Â]ÊUÉÂUÅ$Ê “ ”


¸ ¦Z™: º ¸ “ 0” ¦Z™: . 0

È evidente che l’eq. (5.36) – ίÀ¯ÁªÇYà il termine di rumore – Á9Ê1Á possiede


alcun significato specifico in meccanica classica. Ciò comporta che Á<ÊpÁ vi
sia alcuna ÂHÀ¯ÄíÃ.ÇÅ$Ê1Á9À fra le soluzioni ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ”
0 ¦Z™:ó™ e le traiettorie dinamiche
}| |
1

Á<ÊpÁÎKϪÎKÎKÅ ÎUÈBÀñÃ1ÄOͯÏÓÁÄÀ¬¿µÃpðñÀ
classiche nello spazio delle configurazioni. Pertanto fra queste ultime ed i cam-
mini di Feynman (come anticipato nel paragrafo
2.8) (si veda anche quanto verrà detto nel paragrafo 5.6).

1à ÄíÈBÀÂÁ<ÃpȖŠ.Ã
5.4 – Vogliamo mostrare che la formulazione della meccanica quantistica

ÄOÀB¿µÃpðñÀðôÊpÄÆȬÊñÎȖÂHÀ¯È$È¬Ê ÍHÊpÁòÄíà ðñÀHÍHZ¦ ÍH™:Ãp ÁSÅ$ÍHà ͯÄOÀÎKÎKÅ$ÍHÃ


descritta nel paragrafo precedente può essere posta in una forma «7 ,

žš “ 0”
che possiede un .

”– £)­ ™ £ Þ¦Z”$™:  £)­ ™


Abbiamo considerato l’azione classica definita dall’eq. (2.33):
˜Ñê ë

šž“ ¢”
ciò presuppone la scelta di un insieme di potenziali é .
Consideriamo ancora l’equazione di Hamilton-Jacobi associata a
54 Si possono ripetere qui le stesse considerazioni fatte nel paragrafo 5.2 per ottenere l’eq. (5.9).
55 Unicamente per motivi tipografici, scriviamo qui semplicemente ã [R ( “ )] anziché più cor-
rettamente ã [R (T ; t”•V=T=” ; [s ( “ )])].
109

š­ ”– £)­ ™ § ¼ 9‘ šž”– £)­ ™ ›l ‘ ”– £)­ ™ î § Þ”– £)­ ™ º ”Bì « ™
¹
r
  3   º - b
Õ

   

™
ed interpretiamo ÊK¿1ÁSÅ sua soluzione šž”– £)­ come la generatrice di una trasfor-
mazione di gauge æ
 3 
é

Þ”– £)­ £ ”– £)­ ™ ï . Esplicitamente
™ é
˜àê ë
9

ž ‘H”– £)­ ™ ž‘]”– £)­ ™ ›  ‘ š ”– £)­ ™ £ ”Bì « ™ 6˜


  b


Þ ”– £)­ ™ Þ”– £)­ ™ § ­ š ”– £)­ ™U« ”Bì « ì ™


 

™˜
  Ž-

Questa trasformazione induce nell’azione classica il cambiamento šž“ 0”


¦Z™: æ  

š&“ ¢” ¦Z™= , con

žš  “ 0” ¦Z™:
šž“ 0” ¦Z™: ›“ šž”–0”–­ ’[’ ™ £)­ ’ ’ ™ ›‚š ”–¢”–­ ’ ™ £)­ ’ ™:¬«
ƒ „a„
ƒ „
˜
”Bì « ìÓ¼ ™
ƒ „a„
ƒ „

Corrispondentemente il propagatore quantistico associato a šž“ ¢” è connesso


 ¦Z™:
Z
¦ =
™ 
a quello associato a šž“ ¢” dalla relazione ï A@

˜
 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ « ”Bì « ì µ™
¢ ¢

 ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ ©º ¤ ‘ -


°
š ±
f B •~ F ¥ ì B „a„
{
ƒ „a„ F f ì B „
{
ƒ „ F&¨ °
š ±
3

 ¦Z™:
Quantizziamo adesso l’azione classica š0“ 0” secondo lo schema del paragrafo
precedente. L’equazione di Langevin (5.36) è ora

  ‘]”–­ ™ º|› ¼ ž  ‘H”  ”–­ ™ £)­ ™ § ‘H”$­ ™ ”Bì « ì1½ ™


µ ­
0 0 Ö1

che – in virtù dell’eq. (5.49) – può venire riscritta come

  ‘]”–­ ™ º ¼ ¹

ž
š $
”
 )
£ ­ ™ ›Äž‘]”$ £)­ ™ § ‘H”$­ ™U« ”Bì « ì ™
µ ­ 9‘
0 ¢ 21

·
  º b
Õ ž
ž B ƒ F
  ž #£ í
ž

1ý =ú ÿ Uý €ö
56 Ricordiamo che nel presente Quaderno ignoriamo (per semplicità) i problemi dovuti all’e-
 
sistenza di Y y  O e O v  nello spazio delle configurazioni.
57 Il modo più facile di derivare l’eq. (5.52) è di esprimere sia îEt ”a” VT ”a” Ì t ” V«T ”Eï che îEt ”a” V«T ”a” Ì t ” VT ” ï
in funzione di ð [t ( “ )] e ð ¯ [t ( “ )] (rispettivamente) secondo l’eq. (2.31), paragonando poi i
due risultati.
110

ÌpÅ ÑÒÀ¯ÂHÀÁªÇ\Ã
ÌpÅ 1ÀÂUÎKÅ–È Ã
È proprio nella fra le equazioni di Langevin (5.36) e (5.54) che
consiste la •7 <> di questa formulazione rispetto a quella del paragrafo

precedente. L’espressione (5.42) del propagatore quantistico diventa

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ©º ª”$ ’ ’ ›  ”$­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™]™U¦


°
š ± ·Ã6›
0
| |
1

™ p­ ž H‘ ”$ £)­ ™ ¦


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exp ›!”)¼Œ—
e ¢ ¢
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ª  š B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§aF¨F
£í { k
ƒ „  

›!”–•=— ˜<- ™ p­ ¼ ž ‘H”– £)­ ™Àž ‘]”– £)­ ™ §S ”– £)­ ™ «
^ ƒ „a„
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¢ ¢ i j
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·
3 º
Õ

”Bì « ìpì ™
ž 1
B ƒ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F k Å
ž
ƒ „ £í {
ž
ž

Ma le eq. (5.48), (5.49) e (5.50) implicano

3
¼   ]‘ ”– £)­ ™ ž ‘]”– £)­ ™ § ޏ  ”– £)­ ™ º «
Õ
- ”Bì « ì ™ p

Come in precedenza, definiamo

ë ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™=ó™  ‘]”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” Z¦ ™=ó™ ”Bì « ì µ™


’
1 6˜ 0 1 q
, | | det ž   œ | | ž
ž ž
ž   ž
ž ž
ž ž
ottenendo

 ”–­ ’[’ ) ’ £)­ ’ \“ ” Z¦ ™:ó™ º ›!”]¼Œ— ™ µ ­ < ‘ ž ‘]”– £)­ ™ · «


^ ƒ „a„
e ¢ ¢
_a`
1 i j
Õ
, | | exp   š B ƒ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§ F&¨©F

”Bì « ì ™
×£ ñ { k
ƒ „  
r

Grazie alle eq. (5.56) e (5.58), l’eq. (5.55) si semplifica notevolmente, as-
sumendo la forma

 ’[’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ zº Ӕ– ’ ’ ›  ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™]™ ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™=ó™ ¡ î «« ™
®
° 0 1 1 Z~ ¯
š ± › | | , | |

”Bì ì
¦


Paragonando infine l’eq. (5.59) all’eq. (5.52) otteniamo un’espressione Ã1ÄíÈBÀÂ


Á9ÃpȖŠ.à per il propagatore quantistico associato all’ ÊpÂUÅO¿1ÅóÁ<ÃpÂUÅ$à azione classica

š “ ¢” ¦Z™: in cui compaiono Ê1Â]à le soluzioni dell’equazione di Langevin (5.54)


«7
111

˜ ¦
¢ ¢

 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ zº ¤ ‘ -


”Bì « ™
° B •~ F ¥ ì B „a„ ƒ „a„ F f ì B „ ƒ „ F&¨

ª”$ ’ ’ ›  ”$­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™]™ù ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” Z¦ ™:ó™ ¡ î «


š ± { {
p
®
0 1 1 ¯ -
~
› | | , | |
¦

à ŖȖÂ]Ã1ÂŖà soluzione šž”– £)­ ™ dell’e-


ï
Sottolineiamo che quanto detto vale per un’ <:
quazione (5.48) M .
¡
5.5 – La ˯Ê1Âð ÏÓÄíÃ.ÇÅ$Ê1Á9ÀÖà ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ©Ã1ÄÀ]õȬÊ1ÂÅ ï della meccanica quanti-
D

stica è stata ottenuta ÌpÅS˯ÃpÈ$È¬Ê nel paragrafo 5.4. Tuttavia ci sembra opportuno
riassumerne gli aspetti fondamentali seguendo un ordine logico.

ÐYÏÓÅ ðñÀ]ÍKÍHÃ1ÁFŖÍKÃͯÄOÀÎHÎUŖÍKÃ
Diversamente da quanto avviene nelle altre formulazioni della teoria quan-
tistica, si assume come punto di partenza proprio la
(approccio di Hamilton-Jacobi). Ricordiamo che, nel caso della particella Ô
descritta dall’azione classica (2.33), l’equazione di Hamilton-Jacobi è

š­ ”– £)­ ™ § ¼
ž š –
”
 )
£ ­ ™ ›Ä ‘]”– £)­ ™ î § Þ”– £)­ ™ º « ”Bì « ¼ ™
¹

<‘
p
  3   º -
Õ

”– £)­ ™ dell’eq. (5.61). Al-


   

Supponiamo di conoscere un integrale ÉSÃ1¯ȖÅ$ÍHÊ1ÄOÃ1ÂH¦ZÀ0™=óšž


™
lora la traiettoria dinamica classica Ӕ ­ )<’$£)­Q’ \“ šž” ÍHÊ1Á<ȖÂ)ÊpÄ ÄOÃpȬà da šž”– £)­ ™ è ò | =|

soluzione dell’equazione

 ¯‘H”–­ ™ º ¼ ž
š –
”  )
£ ­ ™ ›Ëž‘]”– £)­ ™ « B
” ì « µ™
¹

p­ <‘
¢ pá3

·
ò   º
Õ ž
ž B ƒ F

Z
¦ :
™ ó
 ™
  ž Hó

Ricordiamo anche che Ӕ–­ )<’$£)­Q’ \“ šž”


ž

Ӕ–­Q’ ™ º <’ , ”$­=’ ™ ºÚ” ôš ™ ”–<’ó£)­Q’ ™ .


corrisponde alla condizione iniziale
ò | =|

La ÐYÏJÃpÁFȖÅÇHÇYÃ.ÇÅ$Ê1Á9À si effettua trasformando l’eq. (5.62) in un’ ÀHЯÏSÌǯŖÊpÁ9À


ò ô õ

ÌpÅ ÃpÁ ¿ À \ÅóÁ


X5 87

 ‘]”$­ ™ º ¼ ž
š $
”
 )
£ ­
¹
™ ›Äž‘H”$ £)­ ™ § ˜- ¡ î ‘K”–­ ™ ”Bì « ½ ™ ¹ ~

µ­ ‘
0 ¢ 1 p

·
  º º
Õ ž Õ
ž B ƒ F
  ž H£

™
nella quale ”–­ è un RBF definito dalla distribuzione di ÃpðÒÉ9ŬÀHÇHÇ\à ³]î pï
1 ¡
ž

ˆ{ n

58 Infatti il secondo membro dell’eq. (5.60) è (globalmente)  Y Z Z


ð (thV=T )ö
€ö Yö ö
dalla scelta di
  

59 Si noti che le eq. (5.63) e (5.64) sono state riscritte in modo leggermente diverso (ma
equivalente alle eq. (5.54) e (5.37)).
112

Ÿ
¸ “ ” Z¦ ™: ”$•=— p™ µ­ ‘H”–­ ™ ‘]”–­ ™ « ”Bì « ™
^
mc
_ ` e
1 d] 3 1 Z1 iaj p
exp b
k
f c

È evidente che nel limite -


˜ æ
e/o Õ ø÷ si ritrova la meccanica classica. æ
Ê1Â]à ÏÓÁSÅ €ÀÂUίÃ1ÄÀ
-

”™ $­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:ó™


D
Ulteriormente il RBF possiede un significato «7 9 . Indichiamo

šž”– £)­ ™
0 1

”–­ ’ º  ’ ÍHÊpÁFȖÂ]Ê1ÄóÄíõȬÃ
con }| | la soluzione dell’eq. (5.63) con condizione iniziale
0

ÍHÃpð ð Å ÁSŞÃ1ÄÀ]õȬÊ1ŠЯÏSÃ1Á<ȖÅbÎȖŖÍYÅ


e dall’integrale dell’eq. (5.61). Queste soluzioni
descrivono i (CAQ), che sono gli oggetti fon-

ËUÂ]ÃpÈ$ȬÃpÄZÅ Ì1ÏFÀ ¡ ³
damentali su cui si basa la presente formulazione. È chiaro che i CAQ sono
con dimensione di Hausdorff uguale a 9 . Abbiamo visto che è

conveniente definire

딖­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” Z¦ ™ K£ šž” ¦Z™:ó™


, | |
1 ™˜
det ž
ž
 
’ H
‘ –
” ­ ’œ’ )  ’ )
£ ­ ’ \ “ ”0Z¦ ™ K£ šž” ¦Z™:ó™
| |
1
ž
ž
”Bì « ì ™ p

ž   ž
ž ž
ž ž

e sappiamo anche che vale la relazione

ë”$­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™=ó™ º


, | |
1

)” ¼Œ— ™ µ­ <‘ <‘ šž”– £)­ ™ ›Ëž‘]”– £)­ ™ «


^ ƒ „a„
e ¹
_a`
¢ ¢ i j
Õ
exp
·
ª    º

”Bì « ™
ž
ž B ƒZ¤ „ ƒ „ ¤¥ ¦ B«§ F ì B § F&¨©F k
«
ƒ „     £ { {
ž
pp
ž

Si tratta ora di esprimere il propagatore quantistico  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ in termini¸


°
š ±

™ ™
€ÃÌ Ã”–9’–£)­=’ Ô$<’ ’–£)­Q’ ’ ” facendo uso dei CAQ (anziché dei cammini di
dei CAQ. La strategia che seguiremo consiste nell’analizzare l’evento “
7
Ô

altro che l’ ÃpÁ<Ã1ÄOÊH¿ Ê Ð¯ÏSÃ1ÁFȖŠÎUȖÅ$ÍHÊ dell’analisi fatta per un simile evento nel
Feynman come nel paragrafo 2.4). Ma questo modo di procedere non è
™
caso di un PSMC al fine di ottenere ”$ ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ in termini delle soluzioni
è
dell’equazione di Langevin. Ancora una volta l’eq. (3.1) e le sue forme
š

più specifiche ci permettono di raggiungere il nostro obiettivo in modo quasi

ÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅ–È Ã
banale.
™ ¦ Z :
™ ó
 ™
ÌpŠȖÂ]ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1Á9¦Z™=À ó™ è ”– ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” ÆÄ ÏÓÁ ¿µÊ ÏÓÁ<à ÎÊpÄZϵǯŖÊpÁ9À
Ricordiamo che per un PSMC un concetto fondamentale è la ;: <: <>
1

”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ”
(condizionata) š
0 1
| | dell’equazione di Langevin (5.2)

60 Con ciò intendiamo dire che il RBF è 


considerato.
BúUü pÿ[ö Uü&ö ö
æY

Z
 


.ö Yö ö
Y Z Z

dal sistema dinamico
113

”è – ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™: 1 ˜

™
š

probabilità che Σ vada da ”–<’–£)­Q’


™ Z
¦ =
™ ó
 ™ lungo si–” ­ )muove « « µ™
<’$£)­Q’ \“ ” ¦Z™:ó™ ”Bì
¹

a ”–<’[’–£)­=’ ’ lungo ”$­ )9’$£)­=’ \“ ”


¶ páq
0 1 0 1 º
ž
}| | | =|
ž
ž

nel¦Z™: paragrafo 5.2 che ”– ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ emerge come
™ ž

È stato quindi dimostrato ™


ðñÀHÌ1Å$à di è ”–9’ ’ó£)­=’ ’ <’¬£)­Q’ “ ” sul RBG

1è š

”è – ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ™ º è ”– ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ ™ “ ” ¦Z™: « ”Bì « ™


®
1 ¯ pr
š š
¦

Ritornando al caso quantistico, è naturale definire un’ Ã1ðÒÉ9ŬÀHÇKÇYÃéÌ1ʼnȖÂ]Ã1ÁJÎUÅOǯŖÊpÁ9À


(condizionata)  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” £Kšž”
° ¦Z™ ¦Z™: ÄÆÏÓÁ ¿µÊ ÏÓÁ (generico) CAQ
š ±
1

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:


° 1 ˜

™ a si muove lungo « « ™
š ±

–
”  ’ )
£ ­ ’
”–<’[’$£)­=’[’ ™ lungo ”–­ )9’$£)­Q’ \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:ó™ ”–­ )<’$£)­Q’ \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:ó™ ”Bì
¹
ampiezza che vada Ô da0 1 0
Ô
1
p
º
ž
}| =| | =|
ž
ž
ž

È allora ovvio che l’eq. (3.1) implica


™ Z¦ ™: Z¦ ™ ¦Z™:¬« ”Bì « ™
è ”$ ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” çå æ  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” K£ šž”
1 ° 1 4q
š š ± -

Ma in virtù delle eq. (3.19) e (5.70) concludiamo dall’eq. (5.68) che il ÉÂ]Ê
ÉSÃ\¿ ÃpȬ¡ Ê1ÂHÀÖÐYÏJÃpÁFȖŠÎUȖÅ$ÍHÊ emerge qui come ðñÀ]ÌpŖà di 9’ ’$£)­Q’ ’ <’¬£)­=’ Y“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™: sul
Ž€
° 1

RBF ³]³
š •±

 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ zº  ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™ £Kš ” ¦Z™: « ”Bì « ¼ ™
®
° ° 1 O¯ 4q
š ± š ±
¦

A questo punto è necessario specificare come  ’[’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ ¯“ ” £Kš ” dipenda
¦Z™ ¦Z™:
Z
¦ ™ Z
¦ :
™ ó
 ™
° 1

funzionalmente da ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” £Kšž”


š ±

¦Z™ ¦Z™: . Notiamo preliminarmente che la


0 1

struttura di  ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” £Kš ” è


| |
° 1
š ±

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™: º


° 1

Ӕ– ’[’ › ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ £Kš ” ¦Z™:ó™]™ “ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™= ”Bì « µ™
š ±

0 1 Zù 1 4q3
› | |

”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:ó™ º  ’ ’ . Osserviamo che avremmo potuto derivare
in quanto – in virtù del suo significato fisico – essa deve essere nulla per
0 1 ú¼
| |

determinare per questa via la ËÊpÂðôÃ"ÀUÎBÉ9ÄÆŖÍYÅóȬà di “ ” £Kšž” , facendo uso


l’eq. (5.72) dall’eq. (5.28) usando l’eq. (5.70). Potremmo anche cercare di
¦Z™ ¦Z™: ù 1
114

della corrispondenza definita dalle eq. (3.39), (3.40) e (3.41) 9 . Ci sem-


¡
ÌpÅ 1ÀÂUÎÊ
bra tuttavia un fatto notevole che si possa pervenire a questa espressione in

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™: 1Ì Å[ÉSÀÁ9Ì À


modo ancora più semplice e totalmente •7 ° . Supponiamo infatti di inserire
™
1

š –”  £)­
l’eq. (5.72) nell’eq. (5.71). È evidente che š ±

Ã1Á<Í JÀ
dal particolare integrale dell’eq. (5.61) che è stato scelto. Pertanto tale

Ã1ÎHÎKÏÓÂ]ÌµÊ <’ ’$£)­Q’ ’ 9’$£)­Q’ ÎÊpÄíÊ ”–9’$£)­Q’ ™ ”–9¦Z™ ’ ’–£)­Q’ ’ ¦Z™ ™:
dipendenza dovrebbe
°
manifestarsi 8I nel propagatore quantistico. Ma ciò

ðñÀ]Ì1Å$à <’[’–£)­=’ ’ <’$£)­Q’ ¯“ ” £Kš ” <Á Ê1Á


è : š •± dipende da e . Siamo quindi

šž”– £)­ ™ ]î ¦Z™ ¦Z™:


° 1
indotti a richiedere che la di Zš «± sul RBF

ÍKÊ1ðÒÉÄOÀYȬÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ “ ” £Kšž”
dipenda da 9 . Si può allora dimostrare che questo requisito determina
ù 1
! Otteniamo in tal modo

˜
 ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ Y“ ” ¦Z™ ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:¦Z™: óº™H™ ¤ ‘ - ¦
¢ ¢

° 1

Z
¦ ™ Z
¦ :
™ ó
 ™ « B
” ì « ½™
B •~ F ¥ ì B „a„ ƒ „a„ F f ì B „ ƒ „ F&¨

¡
š ± { { 4q

Ӕ– ’ ’ › ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” £Kšž” 딖­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” £Kšž” î


›
0
| |
1
, | |
1 Z~

Basta ora inserire l’eq. (5.73) nell’eq. (5.71) per concludere che la Â]ÃUɵÉÂHÀUίÀ¯Á
ȬÃ.ÇÅ$Ê1Á9Àçà ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ©Ã1ÄÀ]õȬÊ1ÂÅ del propagatore quantistico risulta essere
´€

˜ ¦
¢ ¢

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ }º ¤ ‘ -
° B «~ F ¥ ì

« ™
B „a„ ƒ „a„ F f ì B „ ƒ „ F&¨

Z
¦ ™ Z
¦ :
™ ó
 ]
™ ™ Z
¦ ™ Z
¦ :
™ ó
 ™ ¡ « B
” ì
š ± { {

Ӕ– ’[’ › ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” £Kš ” ”–­ ’[’ ) ’ £)­ ’ \“ ” £Kšž” î


4q
®
0 1 1 ¯ b
Z~
› | | , | |
¦

Questa espressione vale per un’ Ã1 ŖȖÂ]Ã1ÂŖà soluzione šž”$ £)­ dell’equazione di
™
¡
Hamilton-Jacobi (5.61) ´ , conferendo cosı̀ una notevole “flessibilità” alla
D
y:

presente formulazione ]³ .
L’approccio di Feynman emerge in modo ðôÊpÄÆȬʻÎYÀðÒÉÄZÅ$ÍKÀ nel presente
9

ripetuta qui alla lettera ´ . Ovviamente l’eq. (5.46) diventa ora


contesto, e la discussione fatta a tale proposito nel paragrafo 5.3 può essere
9

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ¢” ¦Z™= º ӓ ¢”–­ ™ › –” ­ ) ’ £)­ ’ \“ ” Z¦ ™ K£ šž” ¦Z™:ó™: ¦


®

”Bì « ì ™
° 0 1 ƒ „a„
š ± › | | ƒ „

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” Z¦ ™ K£ šž” ¦Z™:


4q

° 1 ¯
š ±
¦

e similmente l’eq. (5.47) assume la forma

61 Tuttavia questa strategia è ora meno immediata rispetto a quanto si è visto nel paragrafo 5.3.

€ö
62 Ovviamente ð (thV=T ) deve sempre soddisfare l’eq. (5.61).
63 Quanto detto nella nota 55 circa la validità dell’eq. (2.52) vale ŽZ per l’eq. (5.74).
64 Vale anche qui l’affermazione fatta nella nota 135.
115

¢”–­ ™  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ Y“ ¢” ¦Z™: º  ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ Y“ ” Z¦ ™ K£ šž” ¦Z™: « ”Bì « ™
e ®
o ° ° 1 O¯ 4qŽp
š ± š ±
¦

ÉJÊ1ÎUȖÏÓÄíÃµÈ¬Ê F2 può essere derivato calcolando ÀάÉÄZÅ$ͯŖȬÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ


 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ¢” ¦Z™: in termini dei CAQ secondo l’eq. (5.75). (Per questa via si
Vediamo
°
che il

1ÀÂÅ dÍHà anche la correttezza dell’eq. (5.74)). Ulteriormente il ÉJÊ1ÎUȖÏÓÄOÃpÈ¬Ê F3 si


š ±

7 G

ottiene combinando l’eq. (5.71) con l’eq. (5.76).


5.6 – Mostriamo ora che la ˯Ê1Âð ÏÓÄOÌÇÅ$Ê1ÁÀ&à ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ Ã1ÄÀ]õȬÊ1ÂÅ della mec-
canica quantistica Í Å$Ã1ÂÅ ÎÍKÀ la natura dei cammini di Feynman ¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÆÅOÇKÇYõȖŠ.
8I

Probabilmente il lettore sarà meravigliato dal fatto che abbiamo interrotto


la discussione del paragrafo precedente proprio quando eravamo sul punto di
fare delle affermazioni sulla relazione fra cammini di Feynman e CAQ, nello

Á<Ê1Á HÍ ÊpÂÂ]ÀYÈ$ȬÊ
spirito dell’analisi basata sulle eq. (5.46) e (5.47) (fine del paragrafo 5.3). Il

ÅóÁ<ÌpÅ ÉFÀÁ<̪ÀÁFÈBÀÜÌ Ã1ÄSÂÏÓðôÊ1ÂHÀ


motivo è semplice: un tale risultato sarebbe ! A causa del fattore

À¯ÂÂ)ÃµÈ¬Ê ]ï
esponenziale presente nell’eq. (5.73) sarebbe infatti
trarre conclusioni simili dalle eq. (5.75) e (5.76) 9 .

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ ¯“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™: SÁ ÏSÊ .Ã


Una maniera piuttosto
°
ovvia di evitare questa difficoltà consiste nel con-
1
siderare – al posto di š ± – la Ž7 ampiezza

 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™: Ӕ– ’ ’ › ¦Z™ ”–­ ’[’¦Z™=)ó ™ ’ £)­ ’ « \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:ó™]™U¦ ”Bì « µ™
° 1 d˜ 0 1

ë”$­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” £Kšž” ¡ î


š ± › | | 4qq

1 Z~
, | |

Corrispondentemente definiamo su }”– ’ £)­ ’ ) ’ ’ £)­ ’ ’ una ÁSÏSÊ .à ampiezza nel


™ Ï | Ž7

modo seguente

 ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ “ ¢” ¦Z™= ӓ ¢”$­ ™ › $” ­ ) ’ £)­ ’ \“ ” Z¦ ™ K£ šž” ¦Z™:ó™= ¦


®

”Bì « ™
° ˜ 0 1 ƒ „a„
š ± › }| | ƒ „

 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ” Z¦ ™ K£ šž” ¦Z™: «


 4qŽr

° 1 O¯
š ±
 ¦

}”–9’–£)­=’ )<’ ’¬£)­=’ ’ ™


L’analogia fra le eq. (5.75) e (5.78) è evidente. Procediamo quindi integrando
l’eq. (5.78) su Ï O| . Analogamente a quanto già visto, otteniamo

BúUû=ûBö €ö ö Uû ú µ1ö ú
65 La connessione fra cammini di Feynman e soluzioni dell’eq. (5.36) ricavata dalle eq. (5.46)

ÿ ú .öQû ú ü&ö
    
e (5.47) è  proprio perché  sotto il segno di  &u   nel primo membro

ÿ .ö Yö ö ÿ&ü <û=ö ý\ü úUûBö



dell’eq.
w
(5.47)

Z sotto

il segno +di
 
O nel secondo membro   compaiono 
fun-
zioni  rispetto a ZY =  . Ora invece sotto il segno di O nel secondo
  
membro dell’eq. (5.76) è presente un esponenziale Ž Y Ž  !8 , in virtù
dell’eq. (5.73).
116

0”–­ ™  ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ¢” ¦Z™: º  ’ ’ £)­ ’[’  ’ £)­ ’ “ ” Z¦ ™ K£ šž” ¦Z™: « ”Bì « ™
e ®
o ° ° 1 ¯ 4qŽ
š ± š ±
  ¦

Ci siamo ricondotti in tal modo alla situazione discussa nel paragrafo 5.3 (si

ÀUάÉÄZÅ$ͯŖȬÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ <’ ’¬£)­=’ ’ <’$£)­Q’ “ ¢” ¦Z™:


vedano la eq. (5.46) e (5.47)). °
Osserviamo che è possibile calcolare Zš •±

inserendo l’eq. (5.77) nell’eq. (5.78). Con alcune manipolazioni formali (pe-
raltro abbastanza standard) si trova

°
 ’[’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ ¢” Z¦ ™: º Ӕ– ’ ’ ›¢”–­ ’ ’ ™H™ Ӕ– ’ ›0”–­ ’ ™]™U¦
š ± › ›

î


–” •Q— ˜9- ™ ” — µ™ p­ 9‘]”–­ ™ › ¼ <‘ šž”– £)­ ™ ›Ä ‘H”– £)­ ™
^ ƒ „a„
e ¹
_ `
3 ¢ ¢ iaj
Õ
exp
·
üû   º
g Õ

”Bì « ™
ž
B ƒ Fý k
ž
ƒ „   ž
r
ž
-

ma ciò implica

0”–­ ™  ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’ “ 0” ¦Z™: º 0 ”–­ ™ Ӕ– ’ ’ ›¢”–­ ’ ’ ™]™ ª”$ ’ ›0”–­ ’ ™H™U¦
e e
o ° o
š ± › ›


˜<™ p™ p­ 9 ‘]”–­ ™ › ¼ ™ ›Ä ‘]”– £)­ ™


ƒ=„a„
î «
exp ”–•=— - ” — š –
”
 )
£ ­
e ¹
_ `

<‘
3 ¢ ¢ i j
Õ

· « ™
üû   º
g Õ ž
B ƒ Fý k
ž

”Bì ¼
ƒ „   ž
r
ž

tribuiscono À–ÑÜÀ¯È$ȖŠ.Ã1ðñÀ¯ÁFÈBÀ nell’integrale a primo membro dell’eq. (5.79) sono


Ricordando l’eq. (2.52) vediamo – grazie all’eq. (5.81) – che i cammini che con-

proprio i ÍHÃ1ð ð ÅóÁSÅ Ì1Å ¢À €ÁSðôÃ1ÁÖ¿ À¯Á9ÀÂ]Ã1ÄÆÅÇHÇYõȖŠdefiniti nel paragrafo 2.8. Giun-
«7

giamo cosı̀ (sulla base delle eq. (5.78) e (5.79)) alla conclusione: ÅþÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ
´Ù Jè

ÌpÅ ¢À €ÁSðôÃpÁ»™ ¿ªÀÁ9À¯Â)ÃpÄZÅÇHÇ\ÃpȖŠÍHÊpÁFȖÂ]Ê1ÄóÄíõȖŠ̵Ãñš ”– £)­ ™ Í SÀçÍKÊ1Á ¿pÅ ÏÓÁ ¿ Ê1Á<Ê»¦Z™ ”– ’ £)¦Z­™:ó’ ™™
ÍKÊ1Á ”$ ’ ’ £)­ ’ ’ ÉSʀÎKÎÊ1Á9Ê €À¯ÁSÅóÂ]À Å Á<ÈBÀÂ:É9ÂHÀ¯È¬ÃµÈ–Å ÍKÊ1ðñÀ ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” £Kš ”
ËÙ Jè JI

ίÊ\Ì Ì1ŠΠ˯õÍKÀ¯ÁFȖŠÃpÄ ÄOÃÍHÊpÁ<Ì1ÅÇÅ$Ê1Á9À ”–­ ’ ’ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:ó™ º  ’ ’ .


0 1
7 ½þdÿ? | |
0 1
| | 99

66 Avevamo osservato (paragrafo 3.9) che   esistono cammini di Wiener u Z  . Ora 1ú Yö µö=û ÿ O &

il motivo di tale affermazione dovrebbe essere chiaro. Infatti, se essiesistessero,


essere
Uü&ö ö
interpretabili come soluzioni di un’equazione di Langevin 

dovrebbero
 dall’eq. (5.2) ma öQû
ú QöQû [ÿ Qö ö
 
 O Z equivalente ad essa. A differenza del potenziale vettore Ω(thV«T ) che 
compare
w 
nell’eq. (5.36), la drift U (thVT ) che figura nell’eq. (5.2) è una grandezza O : ciò

preclude la possibilità di effettuare su di essa trasformazioni simili all’eq. (5.49)  Z
alterare le descrizione fisica. Questa circostanza è conseguenza del fatto che – in assenza di
fluttuazioni – un PSMC ubbidisce ad una dinamica
ricordi l’eq. (3.22)).
 

 
O anziché 



Ž (si Uû ú öQÿ µö=÷ ú
117

Avevamo concluso nel paragrafo 5.3 che sussiste alcun legame fra Á<ÊpÁ
cammini di Feynman e traiettorie dinamiche classiche nello spazio delle confi-

¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÆÅOÇ
gurazioni. D’altra parte, la rappresentazione del propagatore quantistico pre-

Ç\ÃpȖÅ
sentata nel paragrafo 2.8 suggerisce che per i cammini di Feynman 8€

le cose vadano diversamente. Siamo ora in grado di discutere compiuta-

ÎYÀÁªÇ\Ã
mente questo punto. Contrariamente a quanto si ha per l’eq. (5.36), l’eq. (5.63)
– il termine di rumore – possiede un profondo significato in meccanica

”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ £Kš ” ¦Z™:ó™ ¦Z™=ó™ šž”– £)­ ™


classica, in quanto essa coincide con l’eq. (5.62). Ciò comporta che l’insieme
0 1

Ӕ–­ ) ’ £)­ ’ \“ šž”


dei CAQ | | controllati da nasca dalla traiettoria
dinamica classica ò | | per effetto del termine di RBF presente

–
” ­ ™ ” Ö­ ™ ¡ î
nell’eq. (5.63). Quest’ultimo è la sorgente degli effetti quantistici, che si
Å ÍHÊpÁFȖÂ]Ê1ÄóÄíõȖÅd̵Ã
š ”– £)­ ™ ÃUÉ ÉJÃpŖÊpÁ<ÊÍHÊ1ðñÀçͯÏÓ €À þÏJÈ$ȖÏJÃpÁFȖũÅóÁFȬÊpÂUÁ9Êëà Ӕ–­ ) ’ £)­ ’ \“ šž” ¦Z™=ó™
0 †] Z~
manifestano nella proprietà , , . Pertanto CAQ

ÍKÃ1ð ð ÅóÁSÅ
J7 ™/ Éò | | . Com-

ÌpÅ ¢À €ÁSðôÃpÁ ¿ ÀÁÀÂ]Ã1ÄÆÅOÇKÇYõȖÅþÍKÊ1ÁFȖÂ]Ê1ÄóÄOÃpÈ–Å Ì Ã&šž”– £)­ ™ ÉSʀÎKÎÊ1Á9Ê ÀUÎKίÀÂHÀ \Å ÎUȖÅëÅ Á


binando questo risultato con quanto ottenuto sopra abbiamo che i

ðôÊŒÌµÊ ÍKÊ1ðÒÉ9ÄÀ¯È¬ÃpðñÀÁFÈBÀÖÁ<ÃpȖÏÓÂ]Ã1ÄÀ ëÍHÊpðñÀÖ¦Zͯ™:Ïӝó™  €À þÏJÈ$ȖÏSÃ1ÁFȖŠŠÁ<ȬÊ1ÂÁ<Ê Ã1ÄóÄOà ȖÂ]Ã


æÙ Jè 7

ŬÀ¯È$ȬÊpÂŖÃÌ1ÅóÁ<Ãpð ŖÍKÃñÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHà Ӕ–­ )<’$£)­Q’ \“ šž” . Questo legame – già sospettato


J7 ™/ Ž€

#ò | =|

teoria quantistica possiede una Â]à Ì1Å$ÍKÀÖͯÄOÀÎKÎKÅ$ÍHà più profonda di quanto appaia
nel paragrafo 2.8 – ha una notevole rilevanza concettuale, perché mostra che la

dalla formulazione operatoriale (ritorneremo su questo punto nel paragrafo


successivo).

À–ÑÒÀYÈ$ȖŠ€Ã1ðñÀ¯ÁFÈBÀ
Vogliamo concludere questo paragrafo osservando che abbiamo verificato

ÀάÉ9ÄÆÅ$ͯŖȬÊ
implicitamente che l’eq. (5.74) fornisce •7 il propagatore quan-

”–•=— ˜<™ “ š ”– ’ ’ £)­ ’ ’ ™ ›


tistico. Al fine di rendere questo argomento, combiniamo dapprima

š ”– ’ £)­ ’ ™:


ê
l’eq. (5.79) con l’eq. (5.81), moltiplicando poi per exp -

 ’ ’ £)­ ’ ’  ’ £)­ ’
ambo i membri dell’equazione ottenuta. Un membro °
di quest’ultima
equazione risulta essere – grazie all’eq. (2.52) – proprio š ± , men-

tre l’altro membro coincide – in virtù dell’eq. (5.77) – col secondo membro
dell’eq. (5.74).

5.7 – Benché la discussione presentata negli ultimi quattro paragrafi abbia

ÅóÁFȖÏÓÅóȖŠ.Ã
un carattere essenzialmente formale, l’approccio a cammini aleatori offre una
rappresentazione «7 della meccanica quantistica, che ci sembra molto
semplice e suggestiva.

þÏJÈ$ȖÏJÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅþͯÄOÀÎKÎKÅ$Í JÀçÌ1ÅS˯Ê1Á<Ì Ê
Ancora una volta l’analogia con i PSMC è illuminante. Abbiamo visto
che il RBG descrive / JI . Possiamo citare, come

þÏJÈ$ȖÏSÌǯŖÊpÁSÅÈBÀÂð Å$Í JÀ
esempio, il caso del moto browniano macroscopico 9A@ , nel quale tali fluttuazioni
sono le ben note / JI dell’ambiente. Ritornando al caso
generale, le fluttuazioni (classiche) di fondo modificano il comportamento
deterministico della particella ¶ (che “materializza” il PSMC considerato): una

û ú µú ö 1û¬:ú ú ü Uý
67 Tutti i PSMC considerati nel presente Quaderno sono definiti nello spazio delle   u *

ö .ü úÿ ý .úU÷
  
  . Quindi intendiamo in realtà il moto browniano macroscopico nell’ ZY8Y O ×J*
     
 # ‰  Ž*•  ÊÎ (si ricordi la nota 75).
118

ÎUÅ Áª¿µÊ1ÄOà Ӕ–­ ) ’ £)­ ’ ™


ËÃpð Åí¿pÄZÅ$à ™ ”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™:ó™
traiettoria ò | – ottenuta ignorando l’esistenza della fluttuazioni
0 1

”–­
di fondo – è sostituita da una di traiettorie aleatorie | |
1

1
à í
Ä B
È 
À 
 <
Á ÃpȖŠ€ÀÌpÅbÎ)¿1ÅóϪÁ<ÈBÀ
(una per ogni possibile configurazione del RBG). Abbiamo anche notato

€Ã ̵Ãޔ–9’$£)­=’ ™ Ã!”–<’ ’¬£)­=’ ’ ™ ™ ÉÂ]Ê ]à ÅóÄZÅ–È Ã


che queste traiettorie descrivono le «7 associate all’evento

ÌpÅÒȖÂ]ÃpÁJÎKÅÇÅ$Ê1Á9À è ”–9’ ’–£)­=’[’ <’$£)­Q’


µ “¶ 7 ”. E con argomenti probabilistici la ;: <: <>

”–­ )<’$£)­Q’ \“ ” ¦Z™:ó™


š è stata
0
derivata1 come media sul RBG in cui
compaiono le traiettorie aleatorie | | . Ma c’è un punto che
vogliamo sottolineare (vedremo in seguito che esso ci permetterà di chiarire

ÅóÁFȖÂÅ ÁSίÀ]ÍKà Á9Ê1Á
alcuni aspetti della teoria quantistica). Al fine di tener conto dell’effetto delle

ÎUÈBÀUÎKÎÃ
fluttuazioni su ¶ , la dinamica del sistema è stata modificata.
Si è supposto invece che la dinamica – che è deterministica quando la si
considera nel “vuoto” – avvenga in realtà in un ambiente in cui sono presenti
fluttuazioni classiche di fondo.

þÏJÈ$ȖÏSÌÇÅ$Ê1ÁFŢЯÏSÃpÁFȖÅbÎÈ–Å–Í JÀ!Ì1ŵ˯Ê1Á9ÌµÊ Á<Ê1Á


Seguendo l’analogia con quanto appena visto, ci sembra molto suggestivo
immaginare che il RBF descriva / 8I (che

ÁSÏSÊ .Ê ÏÓÁSÅ €À¯ÂKίÃ1ÄÆÅ


interferiscono con alcun effetto deterministico). Supponiamo naturalmente

ÏÓÁ<Ã
che questo 7 tipo di fluttuazioni «7 9M modifichi il comporta-

Ӕ–­ ) ’ £)­ ’ \“ š ” ¦Z™:ó™


mento deterministico della particella Ô . Esplicitamente, ciò significa che
generica traiettoria dinamica classica ò | | viene sostituita – in

”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:ó™ ”–¦Z­ ™:™ ó™


presenza delle fluttuazioni quantistiche di fondo – da una famiglia di CAQ
Z
¦ ™
0 1 1

”$¸ ­ ) ’ £)­ ’ \“ ” £Kšž” ™


| | (uno per ogni possibile configurazione del RBF). A

.Ãù̵Ã锖 ’ £)­ ’ Ô– ’[’ £)­ ’ ’ ™


0 1

Ã1ÄíÈBÀÂÁ<õȖŠ1ÀçÌ1Å ÎQ¿pÅ ÏÓÁFÈBÀ
questo punto è naturale supporre che i CAQ }| | descrivano
le •7 associate all’evento “Ô 7 ”.

É9Â]ÊÉJÃ\¿ ÃpȬÊpÂ]ÀçЯÏSÃ1ÁFȖŠÎUȖÅ$¦ZÍH™ Ê <¦Z’ ’–™:£)ó™­Q’ ’ 9’¬£)­Q’


Allora – procedendo parallelamente° a quanto è stato fatto per i PSMC – si

”–­ )<’¬£)­=’ \“ ” £Kš ” ϪÎKÏSÃ1ÄÆÅ


ottiene il š •± come media sul RBF in cui
0 1
compaiono i CAQ | =| . Vediamo quindi che gli ef-
fetti quantistici nel comportamento di Ô nascono dalla combinazione delle

šž”– £)­ ™
fluttuazioni quantistiche di fondo con la dinamica classica.

”–­ ) ’ £)­ ’ \“ ” ¦Z™ £Kšž” ¦Z™:ó™


Viene spontaneo chiedersi quale soluzione dell’equazione di Ha-
0 1

Å Á<ÌpÅ ÉFÀÁ<̪ÀÁFÈBÀ
milton-Jacobi debba essere usata per controllare i CAQ }| | .
Come è stato discusso nel paragrafo 5.5, il risultato finale è da

ðôõÈBÀðôõȖŖÍKÊ
questa scelta. Ma ciò implica che i CAQ abbiano unicamente un significato

Á<Ê1Á
. Non ci si deve meravigliare di questa circostanza: analogamente

ÍYÄíÃ1ÎHÎUŖÍKà É9Â]Ê Hà ÅóÄÆÅóÈ Ã Á<ÊpÁ ÍKÊ1ð ÏÓÁ<ЯÏFÀ


a quanto avviene per i cammini di Feynman, esiste alcuna distribuzione

ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHÊ
di ;: ;: <> per i CAQ, che quindi sarebbero inter-

ÀÏÓÂÅbÎȖŖÍKÊ
pretabili come traiettorie seguite da Ô in senso L9n . Ciò nonostante,

ragionare in termini di CAQ è stato molto utile sul piano : ci ha

68  

öQû ÿ 
nel senso che esse sono  æY
 Z :úUü pÿ[ö Uü&ö ö
 Y Z Z
 
dal sistema dinamico
che si considera. Questa proprietà segue direttamente dall’eq. (5.64) (si tenga conto della
 
€ö Yö 

Uü ö
nota 142).
 O
69 Infatti l’eq. (5.69) definisce una distribuzione di æY sui CAQ. Ragionando in modo
simile a come è stato fatto nel paragrafo 2.5 per i cammini di Feynman, è facile convincersi
della correttezza di quanto affermato.
119
D
permesso di ottenere una nuova formulazione della meccanica quantistica @ .
Vogliamo mostrare ora come la circostanza che i CAQ siano curve flut-
tuanti intorno ad una traiettoria dinamica classica (nel senso spiegato nel para-

ÁFÏJÊ .Ã
grafo precedente) ponga la relazione fra meccanica classica e quantistica in
una 7 prospettiva.
Ricordando quanto è stato osservato a proposito della descrizione di

Á<Ê1Á Å ÁFȖÂÅóÁ
Langevin di un PSMC (fine della discussione dei PSMC contenuta in questo

ÎYÀ]ÍKÃ1ðñÀÁ<ÈBÀñÌpÅ 1ÀÂUÎÃ
paragrafo), siamo indotti ad affermare che la dinamica quantistica è ´€

<Á õȖÏÓÂ)ÃpÄOÀ
•7 da quella classica. È facile capire il perché. Lo scenario

ίÀ¯ðÒÉ9ÂHÀ UÎ ÈBÀUÎKÎÃ
che emerge in modo dalla formulazione a cammini aleatori è che
Ô ubbidisce alla dinamica, definita dalle eq. (5.61) e (5.62).
Evidentemente – quando questa dinamica ha luogo nello spazio “vuoto” – il

UÃ É É9Â]ʀÎKÎKÅóðôÌÇÅ$Ê1ÁÀ
comportamento di Ô è deterministico e si ottiene la meccanica classica. Ma
questa situazione risulta essere soltanto un’ . Al fine di ot-

þÏÓÈ$ȖÏSÃ.ÇÅ$Ê1ÁSÅ ÐYÏJÃpÁFȖŠÎUȖÅ$Í JÀÜÌpÅ1ËÊpÁ<̵Ê


tenere una descrizione più accurata è necessario supporre che nell’ambiente

ðôʌÌ1Å dÍHõȬÃ
siano presenti / JI . A causa di tali fluttuazioni,

Å Á<ÃpÄÆÈBÀ¯Â]ÃpȬÃ
l’eq. (5.62) viene G e va sostituita con l’eq. (5.63) – proprio come

ÎÊpÄÆȬÃpÁFÈ¬Ê ÅóðÒÉ9ÄÆŖÍKÃ
nel caso dei PSMC – mentre l’eq. (5.61) resta . Ed il fatto che le
eq. (5.62) e (5.63) differiscano per l’aggiunta del RBF quanto
affermato sopra. Possiamo schematizzare tutto ciò nel modo seguente:

â ß à ¸ Ø ßÞ¸ Ù ¸ àëê ß š ê ß Þ¸ º â ß à ¸ Ø ß¸ Û ¸ šzš ß Þ¸ §


Ô!Û Ù&ê ê!Ù ¸ÞÝ&ß Õà ß
 Ù ¸ à ê ß š ê ß ÷»á â ß ÔÖÕà»âëÕ «
”Bì « µ™ rá3

Questo scenario fornisce una rappresentazione ÅóÁFȖÏÓÅóȖŠ.à della teoria quanti- «7

in modo ÀUÎBÉ9ÄÆŖÍYÅóÈ¬Ê come la meccanica classica debba essere ðôÊ\Ì1Å dÍKÃpȬà per
stica, che ha, se non altro, il pregio della semplicità. Esso mostra anche

ottenere la meccanica quantistica, ÎYÀÁªÇ\à che sia necessario introdurre vettori


G

una comprensione ÉÅ ÏçÉ9Â]Ê)˯Ê1Á9̵à della natura stessa della quantizzazione.


di stato ed operatori. Resta da vedere se la schematizzazione (5.82) fornisce

È però opinione comune che la dinamica quantistica sia ÅóÁFȖÂÅ ÁJÎYÀ]ÍKÃ1ðñÀÁ<ÈBÀ


<>

ÌpÅ 1ÀÂUÎÃ da quella classica! Vediamone il motivo. Se si pone


•7

˜
”– £)­ ™ è ”– £)­ ™ ¡ î ¤ ‘ - ”Bì « ½ ™
¢

6˜ Z~ B «~ F ì
ñ
B
{
ƒ F r

nell’equazione di Schrödinger

70 Bú :ö ý ÿ ü&ö ö
In realtà, i CAQ sono  
&
Z

sullo  Z
vale naturalmente anche per i cammini di Feynman u

ö =Yú ö µö=û ÿ
Z
pianoOdei


cammini di Feynman (ciò

).
120

• ˜- ­ ”– £)­ ™ º ¼ ›ž• ˜- <‘ › ‘ ”– £)­ ™¢¦



”Bì « ™
  3  
Õ

 ˜
›ž• - 9‘ ›ž‘]”– £)­ ™  ”$ £)­ ™ § ”– £)­ ™ ”$ £)­ ™
r
    b

¡  

questa diventa ÀHЯÏÓÅ .Ã1ÄÀÁ<ÈBÀ alla coppia di equazioni


«7 @

š­ ”– £)­ ™H§ ¼ 9‘ šž ”– £)­ ™ › ‘ ”– £)­ ™ î § Þ”– £)­ ™K§ ä ”– £)­ ™ º J£é”Bì « ì ™

¹
r
  3   º -
Õ

   


–
”  )
£ ­ ™§ ¼  š ”– £)­ ™ › ‘ ”– £)­ ™  ”– £)­ ™ º Ó£ ”Bì « ™
­è 9‘ <‘ è
rp
      .-
Õ

in cui
ä  ”– £)­ ™ è il cosiddetto ÉSÊpÈBÀÁÓÇÅ$Ã1ÄÀÖЯÏSÃ1ÁFȖŠÎUȖÅ$ÍHÊ )î
     

ä  ”– £)­ ™ › ˜- î ”– £)­ ™ ¡ î î ”– £)­ ™ ¡ î « B


” ì « µ™
è î è
†˜ f Z~ Z~ ráq
3  
Õ

Sappiamo peraltro che la meccanica ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHà può essere espressa dalla coppia
 

di equazioni

š­ ”– £)­ ™ § ¼ <‘ š ”– £)­ ™ ›  ‘]”– £)­ ™ î § Þ”– £)­ ™ º Ó£ ”Bì « ™
ž
¹
rr
  3   º -
Õ

   

‰
™ § ¼  ™ ™ ™ « ™
­ è ”– £)­  ‘   ‘ žš ”– £)­ › ž‘]”– £)­ è ”– £)­ º Ó£ ”Bì
r
      .-
Õ

in quanto l’eq. (5.89) è matematicamente À]ÐYϪŠ.ÃpÄOÀ¯ÁFÈBÀ all’equazione


     

«7

 ‘ ”–­ ™ º ¼  š ”– £)­ ™ ›  ‘ ”– £)­ ™  B


” ì « ™ ¢

p­ <‘


·
ò   -
Õ
ž B ƒ F

™ ™H™
ž Hó
 

che si ottiene ponendo ”– £)­ º ª”$!› Ӕ–­ )³ . È evidente che le eq. (5.86) e
ž

è
(5.89) coincidono formalmente, mentre l’equazione ÐYÏJÃpÁFȖŠÎUȖÅ$ÍHà di Hamilton-
.› ½ò @

Jacobi (5.85) differisce da quella classica (5.88) per la presenza di


ä  ”$ £)­ ™ .

71 Questa circostanza è stata notata per la prima volta in: E. Madelung, Zeit. Phys. 40, 322
(1926).
72 D. Bohm, Phys. Rev. 85, 166 (1952).
73 Naturalmente ’ (thVT ) è la distribuzione (classica) di probabilità sullo spazio delle configu-

razioni di (si tenga presente quanto osservato nella nota 79).
121

Ciò implica che (in questo contesto) la


 ä $”  £)Ìp­ ™ Å ÑÒÀ¯ÂHÀÁªÇ\Ã

fra dinamica classica e
´ ä ”– £)­ ™
ÌpÅ ÉFÀÁ<̪À ÎȬÃpȬÊ
quantistica è dovuta unicamente a nell’eq. (5.85) @ . Ma

ÅóÁFȖÂÅ ÁSίÀ]ÍKÃ1ðñÀ¯ÁFÈBÀ
dallo dinamico di Ô (in virtù dell’eq. (5.87)), quindi la dinamica
quantistica differisce da quella classica.
Non ci nascondiamo che, a questo punto, il lettore (che ci abbia seguito
fin qui!) possa provare un certo senso di disagio, e per diversi motivi. Quanto
appena visto sembra essere in contraddizione con ciò che è schematizato

ЯÏSÃpÁFȖÅbÎȖŖÍKÃ
dall’eq. (5.82). Non solo, ma la formulazione a cammini aleatori pretende di

ÍYÄíÃ1ÎHÎKÅ$ÍHà Á<Ê1Á
descrivere la dinamica facendo uso di un’equazione di Hamilton-

ЯÏSÃ1Á<ȖÅbÎȖŖÍKÃ
Jacobi ; però dalle eq. (5.85) e (5.88) segue che tale equazione
sembra essere valida in meccanica . Ed infine, abbiamo introdotto
il concetto di fluttuazioni quantistiche senza preoccuparci di discutere il loro
significato fisico.

ÍHÊpÁJÎKÅ ÎUÈBÀ¯ÁFÈBÀ
È un fatto notevole che l’eq. (5.61) – se usata per controllare i CAQ
attraverso l’eq. (5.63) – è perfettamente con l’eq. (5.85). Al fine

šž”– £)­ ™ ˯ÀίÀ  £)­  ’ £)­ ’ )ï
di comprendere come ciò sia possibile °
è conveniente considerare l’eq. (5.74).
Se indichiamo con la di 8š ± , è evidente che si ha @

šž ”– £)­ ™ º šž”– £)­ ™ § š  ”– £)­ ™ ”Bì « ¼ ™ 

ove š
 ”– £)­ ™ è la ËÃ1ίÀ dell’espressione ¦¯¦¯¦ . Sappiamo che š ”– £)­ ™ soddisfa
™
°

mentre šž”– £)­ è soluzione dell’eq. (5.61). Pertanto la comparsa


± ¦

ä  ™
”– £)­ nell’eq.
l’eq. (5.85),
può essere vista qui come una ÍKÊ1ÁJÎYÀ¬¿pÏSÀ¯ÁªÇYà della
presenza di š ­ ™ nell’eq.
  ”– £)(5.85) (5.91) – si noti che š
  ”– £)­ ™ º perché la
di
¸ ¦Z™: per il RBF è una grandezza ÍKÊ1ðÒÉÄOÀÎHÎà .
¼

distribuzione di ampiezza “ ”
-
1
@9

ä  ”– £)­ ™ – nasce proprio dal fatto che l’evoluzione dinamica clas-
Concludiamo che la differenza fra le eq. (5.61) e (5.85) – cioè la correzione
quantistica
sica è perturbata dalle fluttuazioni quantistiche di fondo. Si osservi che ritro-
viamo per questa via proprio l’eq. (5.82) (ciò prova la sua consistenza con
l’eq. (5.85)).
Ma allora, la dinamica quantistica è diversa da quelle Å ÁFȖÂÅóÁJίÀHÍHÃpðñÀÁFÈBÀ
classica oppure no?

74 L’uso del Y .ú ö ÿ[ö )ý :ú


Z
 
dN   
 
per discutere alcuni problemi concettuali della meccanica
!
 Yö
quantistica

( ö=û Öö ! Yö <û¬ú ÿ
è stato
 
suggerito da L. De Broglie
 [ 
w
(si veda il Quaderno di Fisica Teorica: S. Boffi,
w  yx
(1989)). Questa strategia è stata sviluppata

.ö ÿ[ö
successivamente da D. Bohm e J. S. Bell:w D. Bohm, B. J. Hiley
Rep. 144, 321 (1987); J. S. Bell, JY OAÎJ X
(Cambridge University Press, Cambridge, 1987).
&Y OAÎJ
w
and
 
(  .ö ÿ[ö ‰ý ý\ü éö
P. N. Kaloyerou, Phys.
z O 



75 Omettiamo per semplicità la dipendenza dalle variabili t ” VT ” perché irrilevante in questa
discussione.


76 È gratificante constatare che, se avessimo cercato di simulare le fluttuazioni quantistiche di
fondo con un RBG, avremmo ottenuto ð #"%$
(thVT ) = 0. Ciò implica che   si avrebbe
alcuna correzione quantistica alla dinamica classica!
122

È un merito della formulazione a cammini aleatori mostrare l’ ÅóÁFȖÂÅ ÁJÎYÀ]ÍKÃ


Å$Ì À¯ÁFÈ–Å–È Ã delle due dinamiche. Si noti che questa circostanza è proprio la ÍHÊpÁ
ȖÂ]ÊÉJÃ1¯ÈBÀ ÐYÏSÃ1ÁFȖŠÎUȖÅ$ÍHà del fatto che la dinamica ÅóÁFȖÂÅ ÁJÎYÀ]ÍKà di un PSMC Á9Ê1Á è
<> ´€

alterata dalla presenza delle fluttuazioni classiche di fondo. La situazione ίÀ¯ð


¯Â]à essere diversa se si ragiona nell’ambito della formulazione di Schrödinger,
€

nella quale ci si limita a considerare ÎÊ1ÄíȬÃ1Á<È¬Ê l’effetto ðñÀ]Ìp™ Å–Ê delle fluttuazioni
:

quantistiche di fondo sulla distribuzione di ampiezza ”$ £)­ (funzione d’onda).


Infatti – non essendoci più variabili del RBF in gioco – l’ ÏÓÁSÅ$ÍHÊ modo in cui le
™
classica di ”– £)­ è attraverso un termine che ÍHÊ1ÅóÁ €Ê1Ä ¿ À ”– £)­ stessa. Ma
fluttuazioni quantistiche di fondo possono modificare l’evoluzione temporale
™
ciò significa che la correzione quantistica Ì1Å[ÉSÀ¯Á<Ì À dallo ÎȬÃpÈ¬Ê dinamico di ,
´7

suggerendo cosı̀ ÃɵÉJÃpÂHÀÁFÈBÀ¯ðñÀÁFÈBÀ che la dinamica quantistica sia Å ÁFȖÂÅóÁJίÀHÍHÃ


Ô

ðñÀ¯ÁFÈBÀ diversa da quella classica . Si può giungere alla ÎUÈBÀUÎKÎà conclusione


@@

anche sfruttando (ancora!) l’analogia con i PSMC (in particolare l’analogia


fra equazione di Schrödinger ed equazione di Fokker-Planck). Se si paragona

ÅóÁFȖÂÅóÁJίÀHÍHÊ
l’equazione di Fokker-Planck (3.20) all’eq. (3.24) si è indotti a pensare che

˯Ã1ÄZÎÊ
le fluttuazioni classiche di fondo alterino in modo la dinamica del

ÎÊpÄÆȬÃpÁFÈ¬Ê ðñÀ]Ì1Å$Ê
processo. Ma sappiamo che ciò è : il termine diffusivo nell’eq. (3.20)

”è – £)­ ™
rappresenta l’effetto delle fluttuazioni classiche di fondo sulla
distribuzione di probabilità .

˯Ê1ÂðôÃ1ÄÀ
Osserviamo infine che le fluttuazioni quantistiche di fondo sono state
introdotte sulla base dell’analogia fra meccanica quantistica e teoria

}ÎKÅ$ÍHÊ
dei processi stocastici classici. È spontaneo chiedersi se esse abbiano un
significato G . Purtroppo, non sappiamo rispondere a questa domanda!

ÅóÁ<Ì1Å[ÉSÀ¯Á<Ì À¯ÁFȖŠŠÁFÈBÀ¯Â:É9ÂHÀ¯È¬Ã.ÇÅ$Ê1Á9À


Osserviamo però che la formulazione a cammini aleatori e quanto esposto
in questo paragrafo sono dall’ delle fluttuazioni
quantistiche di fondo @+M .

€ÉSõÍKÀ ÅóðñÀÖÃ1Á<Ì "ÃpÈ$ÈBÀ¯Â


Concludendo questo Quaderno ci vengono alla mente le parole finali del
libro di H. Weyl, & ('*) ,+ (Dover, New York, 1922), ma un
minimo di modestia ci suggerisce di parlare sottovoce!
¾ 6. Bibliografia
Completiamo questo Quaderno con una bibliografia dei principali argo-
menti che sono stati considerati. Pensiamo di fare cosa utile al lettore indicando
77 Grazie all’equivalenza fra l’eq. (5.84) e le due eq. (5.85) e (5.86), è possibile ragionare
-
in termini della coppia di funzioni ’ ˜ (t<VT ), ð ˜ (thVT ) anziché di (thVT ). In questo modo il


ragionamento appena fatto diventa più chiaro.
78 
Anche se risulta impossibile attribuire un significato   a tali fluttuazioni, esse sono


pur sempre un utile espediente matematico
(in questo caso   ci sarebbe alcuna 
P
Z ö=ûBö
per  quantizzare un sistema dinamico classico
fra fluttuazioni quantistiche di fondo e
RBF). Sottolineiamo che l’essere riusciti a schematizzare la dinamica quantistica secondo
 
.ö Yö ö=ü&ö ö
l’eq. (5.82) ci sembra un fatto notevole, che chiarisce la struttura concettuale della teo-
ria quantistica  Y Z Z
fondo.

Z

dall’interpretazione delle fluttuazioni quantistiche di
123

con una, due e tre stelle il grado di difficoltà di ogni testo (facile, ðôÃpÈBÀ¯ðôÃpȖÅ$ÍHÃ
medio e difficile per un laureato in Fisica). Anche se questo criterio è inevita-
bilmente soggettivo, ci sembra che esso sia sufficientemente orientativo.
6.1 – ¸KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄÆÅdÌpÅ À €ÁSðôÃ1Á»Å ÁòðñÀHÍHÍHÃpÁSÅ$ÍHÃëÐYÏJÃpÁFȖŠÎUȖÅ$ÍHÃ
XÙ 8è

I. M. Gel’fand and A. M. Yaglom, KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpȖÅ$Ê1ÁœÅóÁ ÏÓÁ<ÍYȖÅ$Ê1Á&€ÉSõÍKÀÃpÁ<Ì UÈóÎ


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&Àð Å$ͯÄOÀÎHÎUŖÍKÃ1Ä É É9Â]Ê98pÅ ðôõȖŖÊpÁ‚ȬÊ<;À]à Ê1Á
&9ÍHÃpÈ$ÈBÀ¯ÂÅ Á 1
¿ =ÒÀÎYÀ]ÌëÊpÁÈ JÀ ¢À €ÁSðôÃpÁ>. ÃµÈ KÁFÈBÀ¬¿pÂ)ÃpÄ?+"À¯È JÊ\Ì , Phys. Rep. 22,
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124

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À €Á
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þÏSÃpÁFȖÏÓ6 ð +"À]Í ÓÃpÁSŖͯ(Î F þÏSÃ1ÄÆŖȬÃpȖŠ€gÀ ) SÀ]Ê1 \Å$€Ã &FÈ¬ÊŒÍ ÓÃ1ÎUȖÅ$dÍ + À]Í JÃ1ÁSÅ$ÍÎ ,
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Phys. Rep. 77, 313 (1981) . }

E. Nelson, þÏSÃ1Á<ȖϪð dÄZÏSÍ\ȖÏJõȖŖÊpÁJÎ (Princeton University Press, Princeton,


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1985) AA .
P. Ruggiero and M. Zannetti, &<ȬÊ\Í JÀÎÈ–Å–Í þÏSÃ1ÁFȖÅÇYõȖŖÊpÁ ÃpÈ dÅóÁSŖÈBB À )9ÀðÒÉSÀ¯Â]Ã
ȖÏÓÂHÀ , Rivista Nuovo Cimento 8, 5 (1985) .
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K. Namsrai, AéÊ1ÁFÄíʌÍHÃ1Ä þÏSÃpÁFȖÏÓð dÅ$À¯Äíi Ì ) JÀHÊ1 Ã1Á<Ì &FȬÊ\Í ÓÃ1ÎUȖÅ$Í þÏSÃ1Á<ȖϪð


+ À]Í ÓÃ1ÁFŖͯΠ(Reidel, Dordrecht, 1986) .
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Ph. Blanchard, Ph. Combe and W. Zeng, +ÃµÈ JÀðôõȖŖÍKÃ1Ä©ÃpÁ<Z Ì . .ÎKÅ$ÍHÃpÄ ÜÎ


ÉFÀ]Í\ÈóÎÊ)7Ë &<ȬÊ\Í JÀÎȖŖ7Í + À]Í JÃ1ÁSÅ$ÍÎ (Springer, Berlin, 1987) .
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129

Addendum

Dopo aver completato il presente Quaderno, siamo venuti a conoscenza


delle seguenti pubblicazioni riguardanti l’integrale di Feynman.

W. Dittrich and M. Reuter, ¢ÄOÀÎHÎUŖÍKÃ1Ä ÃpÁ<Ì þÏJÃpÁFȖÏÓð„5 €Á<Ã1ð Å$ÍÎ (Springer,


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Berlin, 1992) } .


H. M. Fried, ‰ÏÓÁ<Í\ȖŖÊpÁ<Ã1Ä[+"À¯È JÊ\Ì1ÎÃ1Á<Ì,+"Ê\̪ÀÄZÎ!Å Á þÏSÃpÁFȖÏÓð dŬÀÄOÌg) JÀHÊ1 ,
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(MIT Press, Cambridge,1972) .


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H. Kleinert, . ÃµÈ KÁFÈBÀ¬¿pÂ]Ã1ÄZÎdÅóÁ þÏJÃpÁFȖÏӅ ð +"ÀHÍ ÓÃpÁSÅ$ÍΆ&FȬõȖÅbÎȖŖͯΞÃpÁ<Ì.&Ê1Ä .ðñÀ¯Â


. .ÎKÅ$ÍÎ (World Scientific, Singapore, 1990) .
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F. Langouche, D. Rockaerts and E. Tirapegui, ‰ÏÓÁ<Í\ȖŖÊpÁ<Ã1Ä KÁFÈBÀB¿1Â]ÃpȖÅ$Ê1ÁÃpÁ<Ì


&Àð Å$ͯÄOÀÎHÎUŖÍKÃ1[Ä UV8UÉSÃ1ÁJÎUŖÊpÁJÎ (Reidel, Dordrecht, 1982) .
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V. N. Popov, ÏÓÁ<ÍYȖÅ$Ê1Á9Ã1Ä KÁFÈBÀB¿1Â]Ã1ÄZÎ ÃpÁ<Ì }Ê1ÄóÄOÀHÍYȖŠ€À 2À 8µÍ¯Å–ȬÃpȖÅ$Ê1ÁSÎ (Cambridge


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University Press, Cambridge, 1987) . A

J. Rzewuski, dŬÀÄOg Ù Ì ) JÀHÊ1 (Iliffe Books, London, 1969), 2 vols .


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