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home page AIDS: I DATI DEL 2002

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argomenti di salute

In Italia oltre 18.000 persone sono malate di Aids e si stima che siano almeno 120.000 quelle che vivono
AIDS
con il virus Hiv. E' quanto emerge dai dati più recenti del Centro operativo Aids (Coa) dell'Istituto superiore
storia di sanità, presentati a Roma, al congresso della Società italiana per lo studio delle malattie sessualmente
vie di trasmissione trasmesse. Secondo i dati, aggiornati al 31 dicembre 2002, dall'anno della prima diagnosi di Aids, il 1982,
in Italia si sono registrati oltre 51.700 casi. Il direttore del Coa, Giovanni Rezza, ha rilevato che, rispetto al
prevenzione
passato, la sopravvivenza delle persone sieropositive è aumentata di almeno dieci anni, si arriva più tardi
terapia alla diagnosi e in 6 casi su 10 si convive con l'infezione senza esserne al corrente fino al momento della
diagnosi di Aids conclamato. "Nell'ultimo anno - ha aggiunto Rezza - il numero di nuovi casi si è stabilizzato
intorno ai 2.000, non si assiste cioè ad una riduzione ulteriore" dopo la progressiva diminuzione dei casi
dati epidemiologici che si è avuta a partire dalla metà degli anni '90, grazie all'introduzione della terapia combinata. Sempre
grazie alle nuove cure, ha proseguito, "è possibile stimare un allungamento della sopravvivenza delle
dati del 2002
persone sieropositive pari ad almeno dieci anni". La stabilizzazione, ha detto ancora, e' anche spiegata dal
fatto che il 62,5% di chi arriva alla diagnosi scopre soltanto in quel momento di essere sieropositivo.

banche dati Contrariamente a quanto avveniva in passato, i nuovi casi si registrano ormai raramente fra i
tematiche
tossicodipendenti. "I piu' colpiti - ha detto Rezza - oggi sono gli eterosessuali e gli omosessuali maschi. Un
AIDS dato, quest'ultimo, sorprendente in quanto all'inizio dell'epidemia gli omosessuali sono stati i più sensibili ai
messaggi della prevenzione: sembra che si sia avuta una perdita di memoria generazionale". Il sorpasso
fra eterosessuali e tossicodipendenti, che era gia' avvenuto per il numero di infezioni, adesso si e' verificato
anche per numero di casi di Aids, con un 38% per i primi contro il 37% dei secondi. Aumentano anche le
donne colpite dalla malattia, che sono ormai il 30% e diventano sempre più numerosi anche i casi
attribuibili a persone che provengono dall'estero, soprattutto da zone in cui l'Aids è particolarmente diffuso,
come quelle africane. Dal 1993 al 2002 il totale dei casi di Aids tra gli immigrati sono aumentati dall'1,7%
al 15,4%.
Tra i bambini il numero di casi sembra stabilizzato intorno a 20, un numero più piccolo rispetto al passato.
Tendono invece ad aumentare le nascite di bambini da donne sieropositive, soprattutto straniere, ma
diminuiscono i casi di trasmissione dell'infezione da madre a figlio. Secondo le stime dell'Iss, la terapia, il
taglio cesareo e l'allattamento artificiale riescono a ridurre il tasso di trasmissione al di sotto del 5%.
Un'altra novità rispetto al passato è l'aumento dell'età media alla diagnosi, salita a 40 anni per gli uomini
(rispetto ai 29 del 1985) e a 36 anni per donne (rispetto ai 24 del 1985). Tra le regioni, la Lombardia
continua ad essere la piu' colpita, con 5,6 casi ogni 100.000 abitanti, seguita da Sardegna (5,5), Lazio
(5,4), Liguria (5,1) ed Emilia Romagna (3,9). Tra le città, il maggior numero dei casi si registra a Brescia,
Sassari, Rimini, Lecco, Forlì e Cagliari.

AIDS o "Sindrome da Immunodeficienza Acquisita" costituisce lo stadio clinico terminale dell’infezione da


home page virus dell’immunodeficienza umana (HIV).
L’HIV è un retrovirus, cioè un virus a RNA, che attacca alcune cellule del sistema immunitario,
principalmente i linfociti CD4, indebolendo il sistema immunitario fino ad annullare la risposta contro virus,
argomenti di salute
batteri, protozoi e funghi. Sono stati identificati due tipi di HIV: il tipo 1 (HIV-1) ed il tipo 2 (HIV-2). Si
tratta di due virus relativamente distinti, sia sierologicamente, sia dal punto di vista geografico ma che
AIDS hanno in comune caratteristiche epidemiologiche.
Quando una persona entra in contatto con l'HIV può diventare sieropositiva, vale a dire che presenta la
storia positività alla ricerca di anticorpi dell'HIV nel siero. Ciò significa che l'infezione è in atto e che è possibile
vie di trasmissione trasmettere il virus ad altre persone.
prevenzione Il tempo che intercorre dal momento del contagio all'effettiva comparsa degli anticorpi contro l'HIV nel
sangue viene chiamato “periodo finestra”. Questo periodo dura mediamente 4-6 settimane, ma può
terapia
estendersi anche fino a 6/8 mesi. Durante questo periodo anche se la persona risulta sieronegativa è in
grado di trasmettere l'infezione.
Pur essendo sieropositivi, è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi del contagio solo al
dati epidemiologici
manifestarsi di una malattia. Il tempo trascorso tra il contagio e le manifestazioni cliniche evidenti della
dati del 2002 malattia conclamata, viene definito periodo di incubazione. L'infezione da HIV è caratterizzata da un tempo
di incubazione molto lungo e molto variabile da persona a persona (anni).
Mentre la sieropositività è quella condizione in cui viene riscontrata la presenza di anticorpi anti-HIV, ma
banche dati non sono ancora comparse le infezioni opportunistiche, la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS)
tematiche al contrario è quella situazione in cui si presentano infezioni opportunistiche, cioè quando le difese
immunitarie sono così deboli da non proteggere l'organismo da microrganismi che potrebbero essere
AIDS
innocui.
Le infezioni tipiche della sindrome dell’AIDS sono una ventina, distinte in:
- infezioni da batteri e protozoi, tra cui sono frequenti: pneumocistosi, una polmonite causata da un
protozoo di nome Pneumocistis carinii; toxoplasmosi, causata dal Toxoplasma gondii, un protozoo che
colpisce il cervello, l'occhio e raramente il polmone; la tubercolosi, causata dal bacillo di Koch
- infezioni da virus tra cui Herpes, infezione da CitoMegaloVirus e HHV-8
- infezioni micotiche tra cui è frequente l'infezione da Candida, un fungo che nelle persone
immunodepresse si può sviluppare in bocca, nell'esofago e in altre parti del corpo.
Oltre a queste infezioni è accompagnata da tumori, fra cui linfomi, tumori delle ghiandole linfatiche;
sarcoma di Kaposi.

Per saperne di più…


E’ attivo il Telefono Verde AIDS al numero 800-861061 il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle
ore 13.00 alle ore 18.00- telefonare è completamente gratuito da qualunque parte d’Italia. Il Telefono
Verde Aids garantisce l'anonimato.

Un po’ di storia
La sindrome è stata riportata per la prima volta in letteratura nel 1981, anche se casi isolati di AIDS si sono
verificati negli USA e in numerose altre aree del mondo (Haiti, Africa ed Europa) durante gli anni ’70.
È alla fine del 1980 che Michael Gottlieb, ricercatore dell'Università della California, svolgendo una ricerca
sul sistema immunitario e analizzando le cartelle cliniche dei ricoverati in ospedale alla ricerca di eventuali
deficit immunitari, scopre un giovane paziente che soffre di un raro tipo di polmonite, dovuto al microbo
Pneumocystis carinii, che solitamente provoca la polmonite soltanto in pazienti con un sistema immunitario
depresso. Nei mesi successivi, Gottlieb scopre altri tre casi, tutti con un basso livello di linfociti T. in
pazienti che presentavano una caratteristica in comune, erano omosessuali attivi.
Nel 1981, dopo la pubblicazione sul Morbidity and Mortality Weekly Report (MMWR, il bollettino
epidemiologico dei Centers for Disease Control and Prevention statunitensi, CDC) di un improvviso
aumento di casi di polmonite da Pneumocystis carinii in giovani omosessuali, vengono segnalati ai CDC
nuovi casi di pazienti che soffrivano di un raro tumore dei vasi sanguigni, noto come il sarcoma di Kaposi.
Successivamente, a seguito del verificarsi di alcuni casi tra gli emofiliaci, alcuni ricercatori del CDC
collegano la malattia al sangue.
Nel corso di un congresso promosso dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 1983, viene proposto di
chiamare la sindrome: Acquired Immuno-Deficiency Sindrome, sindrome da immunodeficienza acquisita
(AIDS).

Vie di trasmissione
La trasmissione dell’infezione da HIV può avvenire in tre modi:

• per via ematica (trasfusione di sangue infetto, scambio di siringhe)


• per via sessuale (sia omosessuale che eterosessuale)
• per via verticale (dalla madre al figlio durante la gravidanza, al momento del parto o
durante l'allattamento)
Per via ematica
L'HIV si può trasmettere se il sangue di un individuo sieropositivo entra in contatto, in quantità sufficiente,
con il sangue di un’altra persona. All’inizio dell’epidemia diverse persone sono state contagiate in seguito a
trasfusioni di sangue o alla somministrazione di suoi derivati. A partire dal 1985, lo screening delle unità di
sangue, con il conseguente allontanamento di quelle risultate positive, il minor ricorso a trasfusioni inutili,
la pratica dell’autotrasfusione, il trattamento con calore degli emoderivati e la selezione dei donatori, con
l’esclusione di quelli con comportamenti a rischio, hanno di fatto eliminato il pericolo di contagio con queste
modalità.
La trasmissione attraverso il sangue è invece la modalità di contagio responsabile principalmente della
diffusione dell’infezione nella popolazione dedita all’uso di droga per via endovenosa. Ciò è dovuto alla
pratica, ampiamente diffusa tra i tossicodipendenti all’inizio dell’epidemia, dell’uso comune e ripetuto di
siringhe e aghi contaminati dal sangue. Possono essere veicolo di trasmissione dell’HIV anche aghi usati,
come per esempio quelli utilizzati per l’agopuntura e la mesoterapia, i tatuaggi, gli strumenti taglienti per la
cura del corpo come lamette da barba, forbici e rasoi. Per questo motivo va evitato l’uso in comune di
questi oggetti.

Per via sessuale


La trasmissione sessuale è nel mondo la modalità di trasmissione più diffusa dell’infezione da HIV. I
rapporti sessuali, sia omosessuali che eterosessuali, possono trasmettere l’infezione. Questo avviene
attraverso piccolissime lesioni dei genitali che si verificano durante il rapporto sessuale e che consentono al
virus, presente nello sperma e nelle secrezioni vaginali, di entrare nell’organismo.
Ovviamente tutte le pratiche sessuali che favoriscono traumi possono provocare un aumento del rischio di
trasmissione. Per questo motivo i rapporti anali sono a maggior rischio: la mucosa anale è infatti più fragile
e meno protetta di quella vaginale e quindi il virus si trasmette più facilmente.

Per via verticale


La trasmissione da madre sieropositiva al feto o al neonato può avvenire durante la gravidanza, durante il
parto, o con l’allattamento. Il rischio per una donna sieropositiva di trasmettere l’infezione al feto è circa il
20% (cioè 1 su 5). Oggi è possibile ridurre questo rischio al di sotto del 10% somministrando, alla madre
durante la gravidanza e al neonato per le prime sei settimane di vita, la zidovudina (AZT, primo farmaco
usato contro l’HIV). Per stabilire se è avvenuto il contagio il bambino deve essere sottoposto a controlli in
strutture specializzate per almeno i primi due anni di vita.
Prevenzione
Poche semplici precauzioni possono ridurre, o addirittura annullare, il rischio di infezione da HIV:
1. Per evitare la trasmissione dell’infezione per via ematica, si raccomanda
• di evitare l’uso in comune di siringhe ed aghi per l’iniezione di droghe
• di non usare in comune con altri oggetti che tagliano o pungono come aghi, rasoi,
forbicine, spazzolini da denti, spazzole con i denti metallici
• di non sottoporsi ad agopuntura, mesoterapia, tatuaggi e piercing se gli aghi utilizzati
non sono monouso o non sono stati sterilizzati
• agli operatori sanitari, di fare attenzione nel maneggiare ed utilizzare aghi e altri oggetti
taglienti
• ai medici, di conformarsi in maniera rigida alle indicazioni per le trasfusioni ematiche e
di incoraggiare l’uso di trasfusioni autologhe. Tutte le donazioni devono essere infatti sottoposte
a screening per HIV e vanno utilizzate solo le donazioni risultate negative. Le persone che hanno
avuto comportamenti tali per cui è ipotizzabile un rischio di infezione da HIV non devono donare
sangue, plasma, organi per trapianti, tessuti o cellule (incluso lo sperma per l’inseminazione
artificiale).
2. L’unico mezzo sicuro di evitare la trasmissione sessuale dell’infezione è quello di
astenersi dai rapporti sessuali o di avere rapporti sessuali mutuamente monogamici con un
partner che non sia infetto. In altre situazioni devono essere utilizzati condom in latex ogni
qualvolta si abbia un rapporto sessuale vaginale, anale o orale.
3. Le donne in gravidanza che risultano HIV positive andrebbero valutate onde
determinare l’eventualità di una terapia antiretrovirale con zidovudina (AZT) per prevenire la
trasmissione prenatale e perinatale dell’HIV.

Le terapie
Nel 1987 è stato introdotto il primo farmaco anti-HIV, la zidovudina (AZT) il cui meccanismo d'azione mira
ad inibire l'attività della trascriptasi inversa (enzima virale necessario per tradurre il genoma del virus da
RNA in DNA e consentirne così l'integrazione con il patrimonio genetico della cellula umana ospitante). A
questa molecola hanno fatto seguito altre con meccanismo d'azione simile (DDC e DDI). Successivamente
si sono aggiunti il 3tc e il D4t, come farmaci sinergici rispetto all'azione dell'AZT. A questi prodotti si sono
affiancati recentemente altri inibitori della trascriptasi inversa, detti inibitori non nucleosidici, come la
Nevirapina e l'Efavirenz. Nel 1997 viene commercializzata una nuova categoria di farmaci: gli inibitori della
proteasi (enzima necessario a sintetizzare il rivestimento esterno del virus), a cui appartiene l'Amprenavir.
Le esperienze cliniche successive hanno dimostrato la superiore efficacia della combinazione di più farmaci
rispetto alla monoterapia. Sono inoltre in sperimentazione classi di farmaci mirate alla stimolazione e al
supporto del sistema immunitario piuttosto che ad una diretta azione antivirale. Accanto a farmaci, sono in
corso molti studi in diversi laboratori in tutto il mondo per mettere a punto un vaccino efficace, che possa
associare a una azione preventiva anche una possibile azione terapeutica.

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