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Karl Jaspers: La psicologia delle visioni del mondo

Gli atteggiamenti riflessi


Guido Marenco
Alla coscienza succede un'autocoscienza. L'intenzione oggettiva si ripiega quasi in s
stessa, e si "riflette" sulla psiche e si fa ormai un oggetto di ci che chiamiamo io, s,
personalit. Sulla vita psichica immediata si sviluppa cos una vita psichica riflessa.
L'autoriflessione contemplativa
In ognuno di noi esiste un 's', che per (in) nessuno di noi, tuttavia, riesce ad esistere come
un essere saldo. Noi scorgiamo piuttosto fenomeni singoli della nostra esperienza, singole
connessioni, e questi fenomeni spuri classifichiamo pi o meno coscientemente in uno
schema del s, come in un tutto. Di codesti schemi del s parecchi stanno a nostra
disposizione, e noi li scambiamo per il vero e reale s, che non mai in tutto e per tutto il
nostro oggetto, poich diviene continuamente e resta problematico. In tale errore possiamo
anzi spingerci cos a fondo, da vivere interamente per uno schema di questo genere, che noi
riteniamo sia il nostro vero e reale s, vivere ad esempio per quel lato di noi che la nostra
esistenza borghese, per un'immagine determinata di felicit del s e cos via. La visione del
s fonte di errori continui, per chi presume di vedere il s come una totalit. La nostra
autoconoscenza un compito infinito, che si chiarisce non tanto nel puro osservare della
contemplazione, quanto in una viva e commossa esperienza.
Secondo Jaspers, la stilizzazione dei tipi dimentica ci che sconveniente. Sembra dire che
ogni tipo, quando viene idealizzato, assume caratteri universalmente apprezzabili nella
plurale unit dei diversi. Dobbiamo allora fare "osservazioni scarne", anche se rischiamo di
perdere il "s" come processo. E allora, ci che vale diventa problematico. E' il
problematico di ogni situazione. E l'autovalutazione che sorge sopra di essa non mai
un'autovalutazione generalizzatrice, poich l'uomo non concepisce mai s stesso come un
tutto, e per conseguenza non concepisce nemmeno il suo valore in generale, bens tutte le
sue valutazioni diventano luoghi di articolazione di atteggiamenti altri rispetto a s stessi.
L'autoriflessione attiva: edonisti e asceti
L'uomo 'si vuole', dice Jaspers, non si considera una disposizione data, ma possiede impulsi
a collaborare con il proprio divenire. L'autoconsocersi non si esaurisce nel mettere in
chiaro quello che il proprio essere, bens in un processo in cui l'autocoscienza il luogo
dove si svolge il divenire del s, e resta un compito infinito. Nell'autoriflessione attiva si
fronteggiano due atteggiamenti, due correnti spirituali antitetiche quali l'edonismo e
l'ascetismo. Possiamo considerare l'edonismo come un 'cedimento' di fronte alla cosa? Per
niente. Jaspers considera l'edonismo un piacere dell'esperienza, 'un piacere di s'. La
coscienza si concede a una cosa, e il piecere in quel concedersi, e non gi nella cosa.
Perci la personalit pu rimanere intimamente impartecipe. Si tratta, per lei, di un gioco
(Aristippo); la cosa in quanto tale, nel piacere, non la tocca per nulla. E' un atteggiamento
relativamente passivo, che non prende posizione attiva e non pronuncia giudizi n d
valutazioni, bens ammette rassegnatamente ogni cosa per buona, e limita la sua attivit al
piacere riflesso. Cos il piacere erige ovunque la sua impalcatura sull'immediatezza: alla
gioia che inebria, quale mettiamo, la d la musica, si sovrappone il piacere dell'ebbrezza,
alla intelligenza della cosa il piacere dell'intelligenza, alla sessualit il piacere della
sessualit, al dolore il piacere del dolore. L'edonista un amatore, non crea differenze di
campo, pu essere ghiottone ed esteta; in ogni caso esibisce una richiesta di materia con la
stessa intensit con la quale un neonato reclama il capezzolo materno o il biberon.
L'asceta sta agli antipodi dell'edonista, ed volto in s stesso. Evita ogni esperienza per
favorire l'estraniazione. La forma pi semplice di ascetismo quella esteriore. Con essa ci si
preclude la relazione sessuale, il matrimonio, la posizione sociale, il successo ecc... Anche
se la vita, comunque, porta esperienza, occupazioni e preoccupazioni, l'asceta non prova
alcun diletto. Sia l'edonista che l'asceta affermano di non essere posseduti dalle cose bens
di possederle, ma lo affermano con accento capovolto: l'edonista immune da tutte le cose,
perch egli non intende a esse bens soltanto all'atteggiamento edonistico, il quale pu
sempre comunque trovare il suo oggetto; l'asceta ne padrone, poich in grado di lasciare
che esse avvengano senza trarne diletto o piacere. L'asceta si inibisce la gioia. Per
fallisce, e se ne accorge se si esamina. Dotato di una fantastica vita interiore che costruisce
passo a passo nella rinuncia, continua tuttavia a trovarsi nel piacere attraverso gli atti vitali.
La negazione pura, propria dell'estraniazione, diventa intensificazione positiva del dolore.
Digiuno, veglia, duro giaciglio, autocastrazione sono le componenti pi visibili. Ogni
cultura e ogni civilt esprimono figure ascetiche. In ogni epoca scopriamo individui che
aborrono ogni felicit in quanto la felcit stessa fonte di maggiore sofferenza. L'asceta
evita ogni compito mondano perch sa che potrebbe 'disperderlo', sottraendogli l'unit
interiore e il dominio di s.
Tutto ci crea un 'potere'? Sembrerebbe. Ci che per gli altri necessario e giunge loro
dall'esterno, ora libero atto della volont dell'asceta stesso. Non un caso, n una pura
conseguenza di una dottrina razionale, che l'asceta indiano abbia dopo l'ascesi il pi
formidabile senso di potenza, e che proprio l nasca la dottrina che l'asceta sovrasta perfino
gli dei, e che egli infrena, merc l'ascesi, il mondo ed assurge a produrre assoluti di tutte le
cose.
Nell'asceta il dolore pu diventare una fonte di gioia.
L'autoformazione
Per autoformazione Jaspers non intende un dettato della volont, una decisione che afferma
qualcosa del tipo: "ora voglio diventare un asceta!". E' il processo che si serve della volont
in quegli innumerevoli punti singoli nei quali pu affermarsi. La determinazione delle
volizioni singole, con cui mi permetto o mi proibisco qualcosa, con cui eseguo o declino un
compito, colgo lascio passare una possibilit di azione, prendo in senso negativo o positivo
decisioni di importanza vitale, muove dal processo autoformativo delle immagini guida,
delle visioni tipiche di un s ideale. Ma tale determinazione pu di sua natura muoversi su
una lunga scala compresa tra due punti terminali: l'immagine-guida lei stessa in sviluppo:
e sta in rapporto strettissimo con la realt personale attuale, e determina, cresciuta
spontaneamente dalle radici, ci che in quel momento pu dalle radici scaturire; ovvero
l'uomo si assume, con un puro atto d'intelligenza e valutazione, un ideale che gli sembra
assoluto e vuole, di un balzo, vivere secondo quell'ideale.
Ovviamente, non possono mancare problemi. L'individuo 'oscilla' tra certezza assoluta e
varie insicurezze; pu trovarsi inserito in una tensione, 'tirato' tra immagine-guida da un lato
e natura umana dall'altro. Pu subentrare il caos e cos l'uomo pu ritrovarsi agli infimi
gradini dell'esistenza. Non si comprende bene se si tratta di diventare 'ci che si ' o se
occorre diventare 'un altro'. Questo dilemma esprime a meraviglia il fatto che immagine
guida e essere concreto debbano essere congiunti n debbono scindersi, per colui che
riconosce l'autenticit e lo sviluppo come sue esigenze. In realt si danno tante forme di
autoformazione quante sono le specie del s. L'autoriflessione sempre disturbata dal caos
di atti di forza compiuti contro se stessi per creare un s che non c'.
Cos pu accadere che l'autoformazione non sia altro che lo sviluppo dell'io empirico in una
particolare situazione. Questo l'elemento peculiare, descrivibile solo paradossalmente,
della formazione della personalit quale avviene almeno nei paesi occidentali: che in alcuni
rari casi la cosa e la personalit coincidano per l'uomo e per la cerchia in cui egli opera o
per la sua posterit. Sorgono figure quanto mai individuali, che sono purtuttavia portatrici di
un fattore universale. Nell'elemento individuale l'uomo scorge l'universale e la sua stima
della personalit non adorazione di un'autorit o di un padrone, bens il veicolo in cui
soltanto si fa concreto ci che per lui l'universale o l'assoluto. Il tormento degli uomini
non formati di sentirsi casuali, arbitrari, meramente soggettivi, e di sperimentare d'altro
canto che le regole, la norma, i fatti sono cose morte, generali s ma formali, valide, ma
esteriori, che ti distruggono se tu dai loro un significato interiore. Il detto goethiano, che
"l'uomo il quale vince se stesso si libera dalla forza che costringe tutti gli esseri" lascia -
vero - da parte ogni questione di contenuto, ma non pu essere inteso che concretamente,
non come ascesi, n come disciplina formale, bens come autoformazione che si libera
dell'arbitrio soggettivo.
Nel processo di autoformazione vengono a delinearsi due alternative che Jaspers definisce
'natura plastica' e figura del 'santo'. La natura plastica mira a filosofare, cio a farsi
governare dalla ragione. La figura plastica ben raccontata da Hegel, che parla di Socrate e
di Pericle quali antesignani dell'educazione razionale e ragionata, utile per imparare a vivere
nel mondo. Il 'santo', al contrario, vuole formarsi in vista di un obiettivo extramondano. Egli
Raggiunge una meta annientando il suo io. Sia la natura plastica che il santo si superano
per realizzarsi, ma la natura plastica forma un io personale, il santo si nientifica. Entrambi
possono rivendicare un carattere universale, elevarsi a modello, ma il santo non pi
umano.
Fenomenologia della santit
Il santo un assoluto, non un s. E' un modello di perfezione. Incita, infonde slancio,
emana un carisma che gli venuto dalla "grazia". Gli altri debbono vivere delle sue
risorse. Egli pu dar loro ci che essi non hanno da soli. L'altro non si sente suo compagno
di aspirazioni, suo -anche se minimo - commilitone in una grande falange, bens un suo
dipendente, che lo adora, lo venera, lo ama e gli si sottomette senza condizioni. Nella
personalit plastica invece quanto mai cosciente la volont di attuare all'esterno la loro
conquista, di far s che il risultato e la forma da esse raggiunte non vadano perdute, non
perch esse siano in s l'assoluto, ma perch ne sono una forma esistenziale.
Nel santo troviamo ancora la pi alta espressione dell'amore impersonale per "chiunque sia
presente", esso si manifesta attraverso la gentilezza, la mitezza, la compassione e unifica
buddhisti e francescani al di l di ogni abisso teologico e geografico. Diventare santi non
significa avere una nuova personalit, ma perdere quella precedente e naturale. C' una
strada al di l dello stato di coscienza in cui tutti noi viviamo, di questa forma che la
scissione tra soggetto e oggetto, di questa sfera del pensare, e del richiedere stati di
coscienza sempre pi alti, anche designabili come "conoscenza". Ma tale conoscenza non
dell'intelletto e non dal pensiero,n trasmissibile merc il pensiero e le forme del
pensiero; si pu concepirla solo andando per lo stesso sentiero.
Il 'fenomeno' Ges
... Ges appare problematico. Rispetto agli altri tipi di santi orientali, egli ha molto della
personalit plastica. Ma anche se pu essere possibile una sintesi della personalit plastica e
del santo, sintesi che io non vedo, occorre comunque precisare che, invece dell'esclusione,
possibile la definitiva subordinazione di un tipo, che viene con ci spogliato delle sue
qualit specifiche. Sorge cos, ad esempio, la natura plastica che si permette l'amore, l'amore
del prossimo, si permette processi formativi mistici, ma ignora queste cose in tutte le
circostanze decisive, cio non rinuncia a s, anzi si afferma. C' solo il gesto e il moto
dell'animo superficiale, non disposto al vero sacrificio, non c' una riflessione dell'anima, un
autoannientamento.
Cosa i santi pensano dei plastici e viceversa
L'antitesi della natura plastica e del santo visibile anche nella concezione e nella stima
che l'uno ha dell'altro. Per la natura plastica il santo un essere spregevole, che conduce
alla morte e al nulla; gli incute per rispetto quella saldezza metafisica, e in tale
incondizionatezza e in tale saldezza egli pu arrivare a scorgere una "personalit" (al primo
Rinascimento incuteva rispetto la personalit di Francesco d'Assisi, non per la sua
dottrina). Per il santo, d'altro lato, la natura plastica non che una povera creatura, irretita
nell'illusione dell'al di qua, un orgoglioso che, confondendo uomo e Dio, si considera a
quell'altezza, un solitario, un isolato, strappato alla patria celeste, soprasensibile.
Cosa realmente pensa Jaspers (natura plastica?) del santo
Cos assai comodo per una personalit povera di sostanza intrinseca, meschina in s,
propugnare il tipo del santo, dichiarandosi magari al tempo stesso, modestamente, lontana
da questa meta. Questa adopera placidit e mansuetudine d'animo, e la venerazione e
l'ammirazione per il tipo autentico del santo per procurarsi influenza e potenza nel mondo,
nonostante la sua povert di sostanza, e la sua natura rozza, angolosa e impersonale. Ci
riesce nelle epoche che, prive di qualsiasi visione del mondo, desiderano intensamente una
visione del mondo. Allora, ci che in quelle personalit un difetto pu apparire agli altri
un elemento positivo e degno di rispetto. Ma per cose di tal genere si pu operare
nell'esistenza soltanto come profeti e come apostoli, o se ne pu parlare in sede teorica
come psicologia. Fra le due sfere non si danno altro che fenomeni inautentici, ambigui.
Epicureismo intellettuale e atteggiamento edonistico
L'autoformazione avviene attraverso l'essenzializzazione dell'atteggiamento edonistico.
L'istante assume un valore assoluto: bisogna cogliere l'istante. Kierkegaard scriveva che
...Si eleva all'assoluto qualcosa di assolutamente casuale. L'epicureismo intellettuale una
tecnica: occorre evitare di annoiarsi. Jaspers trova che un buon antidoto sia la variet di
esperienze. Nulla deve diventare indispensabile, nulla acquisire importanza eccessiva.
Occorre educarsi alla asostanzialit, guardarsi da ogni decisione, dal scegliere qualcosa che
sia definitivo e incondizionato. Solo cos si rimane imperturbabili, anche se in modo diverso
dagli stoici. Jaspers convinto che tutte le esperienze dell'edonista convengano alla propria
personalit. Essa si sviluppa e si coltiva senza essere guidata da un'idea, senza guardare ad
una meta. La vita dell'edonista non ruota attorno ad un centro, nemmeno il "centro" del
piacere. Attorno al centro della propria personalit viene creata un'atmosfera personale,un
guscio,un circolo che ha qualcosa della formazione organica. Si espelle tutto ci che non si
conviene, o non si conviene pi, a codesta determinata atmosfera personale, senza
preoccuparsi minimamente delle giustificazioni reali, tutti compiti, tutto ci che pu
riempire l'anima e lo spirito umano svolg s una parte, ma l'uomo non mai toccato
intimamente da tali cose, non mai obbligato ad alcunch, non alla fedelt, non alla
conseguenza, non all'intervento attivo (egli gusta in sommo grado - quando si convenga e
astenendosi nella sua oggettivit da ogni conseguenza - il sentimento della fedelt, senza
perci essere obbligato, e il sentimento dell'attivit, senza per trarre in generale le
conseguenze per un fare reale). Tale il lento processo di un uomo di cultura senza vincoli
morali aperto edonisticamente e incentrato egoisticamente.
Lo stoico e l'uomo del dovere
L'atteggiamento opposto quello stoico,anche se tale figura mira allo stesso obiettivo
dell'epicureo: il raggiungimento dell'imperturbabilit. Essa si realizza asceticamente. Lo
stoico uomo del dovere, e riesce a fare quel che deve diffidando di tutte le inclinazioni, le
tentazioni, gli sviamenti. Tutto ci infatti meramente individuale, perci arbitrario e
casuale. In nome di di principi, e di distinti imperativi etici universalmente validi,
rifiutando il piacere, la gioia, l'allegria, egli aspira alla meta dell'assoluta validit universale
e della razionalit.E' severo, metodico, conseguente, disciplinato, e si permette - senza
godere dell'istinto - quanto corrisponde ai principi e alle necessit vitali. Egli elimina
tuttoci ch' meramente personale, per diventare un esemplare dell'universale personalit
umana.
Con simile atteggiamento, osserva Jaspers, sono compatibili moltissime filosofie, da quelle
spirituali e religiose a quelle liberali e illuministiche. La scienza stessa non pu trovare nello
stoicismo qualcosa di estraneo ed opposto. Lo stoico si prefigge la serenit,
l'autosufficienza, l'indipendenza da tutte le cose. Nulla pu farlo soffrire, nemmeno il
destino pi infame. Non desiderando nulla, lo stoico non abbisogna di nulla che non
dipenda da lui stesso o che non sia realizzabile da s stesso.
Paradossalmente, sia lo stoico che l'epicureo sono identici sotto almeno un aspetto: di fronte
ad un destino avverso, a sofferenze troppo grandi, trovano la soluzione nel suicidio.
Compare Kierkegaard
Ragionando sulle conseguenze possibili nel processo di autoformazione dell'epicureo e
dello stoico, Jaspers presenta tutti i lati negativi con una certa lucidit. Nota che si tratta di
discipline 'formali'. L'uomo vero, che sente entro di s l'erompere della carica vitale si
ribella. L'individuo disciplinato dallo stocismo o dall'epicureismo manca l'elemento
dell'autoformazione autentica. Sia nell'epicureo che nello stoico, abbiamo la negazione per
amore della negazione, cio una primitiva forma di nichilismo. L'autoformazione viva ed
integra un'altra cosa. La caratteristica propria dell'autoformazione una sintesi di
oggettivo e soggettivo, di generale e individuale, di casuale e necessario, di dato e voluto.
L'elemento supremo,irrazionale, che emerge dagli atti della viva autoformazione , secondo
la denominazione di Kierkegaard, la scelta di s stesso. Ma questa scelta di s per s,
secondo Jaspers, non si pu descrivere senza ricorrere al paradosso che trova nella seguente
lunga citazione di Kierkegaard: L'individuo acquista coscienza di se stesso come di questo
individuo determinato, che ha queste doti, queste inclinazioni, questi istinti, queste passioni,
che subisce l'influsso di questo ambiente determinato: acquista coscienza di s come di
questo prodotto determinato in un mondo determinato. Acquistare una tale coscienza,
significa togliere su stessi tutte queste cose e dichiararsene responsabili. Chi fa ci non
perde pi tempo a dubitare se deve o no far proprio il dato songolo; poich sa che, a fare
altrimenti, perde un bene di gran lunga pi alto. Egli dunque nel momento della scelta, in
un isolamento assoluto, per il fatto che si svincola dal suo ambiente; e tuttavia in una
continuit assoluta, per il fatto che si erge come prodotto; e tale scelta una scelta libera,
per modo che chi ha scelto s stesso come prodotto si pu dire con ugual ragione che, in
quell'attimo stesso, egli ha prodotto se stesso. (1)
Jaspers vede nella scelta il trionfo della concretezza. Ma essa non si lascia trascrivere in
ricette. E' una scelta che non ignora il generale, ma non lo assume come condizionante
assoluto. E' una scelta in armonia con gli impulsi vitali e l'individuo che la compie, ne
accetta le conseguenze e se ne assume la responsabilit. Gli esseri umani, tuttavia,
sembrano sempre pronti a fuggire dall'identit prodotta da loro stessi. Come mai?
(continua)
1) Jaspers cita da W. W. II pag.215. Non sono in grado di specificare da quale testo Jaspers
abbia tratto la citazione. Scartabellando tra vari lavori di Kierkegaard in edizione italiana,
non l'ho trovata.
gm - 16 novembre 2006

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