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ANTICAPITALISMO E COMUNISMO
potenzialità e antinomie di una rifondazione
~CUEN
@ CUEN 1992
(Cooperativa Universitaria Editrice Napoletana)
in Area Industrie della Cultura
80124 Napoli - Via Coroglio, 156
Tel. 081/2301019 pbx Fax 081/2301044
INDICE
Introduzione 7
PARTE PRIMA
Cento anni dopo 11
Un bilancio essenziale Il
Validità e limiti delle conquiste parziali 14
Tre fattori convergenti 15
Contraddizioni internazionali 59
Internazionalizzazione,grandi aree economiche
e conflittualità mondiale. 60
Socialismo: insopprimibile dimensione sovrannazionale 64
Appendice 119
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7
Introduzione
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Livio Maitan 11
Capitolo primo
Un bilancio essenziale
Valga la definizione che Occhetto stesso ha dato della sua prospettiva nel
corso del dibattito prima del congresso di Rimini:
"Non si tratta di contrapporsi tra antidemocristiani e anticomunisti, come
non ha senso essere antisocialisti... L'alternativa implica che una ricollo-
cazione strategica di tutte le forze di progresso e le differenzi azioni tra
conservatori, moderati e riformisti sono destinate ad attraversare gli attuali
schieramenti e a dar vita a inedite aggregazioni di maggioranza e a nuove
aggregazioni di opposizione e, noi pensiamo, a nuove forze politiche". Il
«modello», che si vorrebbe stimolare, anche con una riforma elettorale, è
quello di una contrapposizione, se non rigorosamente bipartitica, di due
schieramenti, da una parte i progressisti, dall'altra i conservatori. Lo
spartiacque sociale, di classe, viene così diluito sino a scomparire. Che
poi, nel corso di una campagna elettorale, per non perdere voti, ci si ricordi
a volte dell'esistenza di una classe lavoratrice, non cambia minimamente
la sostanza delle cose.
Del resto, il dossier de "l'Unità" contiene anche un'intervista con
Renato Zangheri. L'intervistato, dopo aver giustamente ricordato che
l'apporto di Antonio Labriola è consistito soprattutto nella rivendicazione
"con rigore" dell"'autonomia politica (del movimento operaio) rispetto
alle correnti borghesi", traccia un quadro sintetico della parabola del
Partito socialista sino all'avvento del fascismo e della storia dello stesso
Partito comunista per arrivare a porsi la domanda: "quale può essere nel
mondo attuale una prospettiva di concreta emancipazione umana?". E la
risposta, pur essendo meno netta di quella di Tamburrano, va nella stessa
direzione: "Come minimo (sic!) andrebbe detto che il socialismo va
riesaminato e che esso non coincide più con l'immagine che ne avevano i
riformisti, i massimalisti e i comunisti. Quello della collettivizzazione e
della socializzazione dei mezzi di produzione è divenuto ormai un mito
impraticabile... Non è chiusa l'aspirazione a una società socialmente
giusta. Certo questa aspirazione vive dentro la pratica graduali sta e demo-
cratica delle socialdemocrazie, tuttavia non si lascia delimitare da essa...
Quel che mi pare limitato, insufficiente è l'ancoraggio di classe; come leva
pur necessaria all'emancipazione". Detto altrimenti, anche in Zangheri
c'è, da un lato, l'estrema relativizzazione dell"'ancoraggio di classe",
dall' altro, la rinuncia all'obiettivo storico-strategico di una nuova società,
fondamentalmente diversa dalla società esistente!.
14 Anticapitalismo e comunismo
alle tragedie sofferte durante la seconda guerra mondiale che, ancor più
della prima, ha fatto tabula rasa delle conquiste operaie, in particolare nei
paesi sotto l'occupazione nazista; alla restrizione dei diritti democratici
con l'avvento in Francia della V Repubblica nel 1958; alle conseguenze
dell'instaurazione in Grecia del regime dei colonnelli dopo un troppo
breve interludio democratico; alla tragedia, comparabile solo a quella del
1933 in Germania, di cui sono state vittime nel 1965 in Indonesia le masse
operaie e contadine e le loro organizzazioni, le cui lotte avevano conse-
guito risultati considerevoli nel periodo precedente e che non sono ancora
uscite dal tunnel a quasi trent' anni di distanza.
Per venire all'epoca più recente e a vicende per ora meno drammatiche,
c'è forse bisogno di ricordare il costante riflusso del nostro movimento
operaio dalla seconda metà degli anni '70 con il logoramento e l'annulla-
mento di buona parte delle conquiste dell'immediato dopoguerra e dell'a-
scesa del 1968-69 e, più in generale, nella stessa Europa occidentale, il
progressivo smantellamento del tanto celebrato "stato sociale"?
Tutto questo dovrebbe dimostrare quanto poco fondata fosse la filoso-
fia, meglio sarebbe dire la metafisica, del riformismo gradualistico clas-
sico della socialdemocrazia, cioè la concezione secondo cui il socialismo
sarebbe stato costruito senza rotture rivoluzionarie, per "approssimazioni
successive". E dovrebbe far riflettere egualmente sulla fondatezza delle
concezioni neoriformistiche e neogradualistiche, rilanciate dopo la secon-
da guerra mondiale e via via assimilate dagli stessi partiti comunisti. Ma
su questo torneremo successivamente.
Note
l Per parte sua, Nicola Tranfaglia parla di "un nuovo modello di società
democratica e socialista che ponga al capitalismo limiti più efficaci di quelli
applicati dagli esperimenti socialdemocratici europei" (''l'Unità'', 31 gennaio
1992). Dunque, si tratta di correttivi nel quadro di un sistema sostanzialmente
mantenuto.
Livio Maitan 19
Capitolo secondo
dagli anni '20 e nelle altre società di transizione dalla loro stessa forma-
zione dopo la seconda guerra mondiale. Se si vuole intraprendere un' opera
feconda di rifondazione ed essere in grado di prospettare, sia pure a grandi
linee, un progetto alternativo di società, di qui bisogna partire. Bisogna
individuare le origini, le caratteristiche, le contraddizioni e le dinamiche
di società burocratizzate in cui non solo non è mai stata portata a termine
un' edificazione socialista, ma la classe operaia, i contadini e gli altri strati
popolari non hanno mai avuto - o hanno perduto abbastanzarapidamente
- la possibilità di esercitare veramente il potere politico e di gestire
l'economia e sono stati addirittura privati di organizzazioni indipendenti
in grado di esprimere i loro interessi e le loro aspirazioni, costrette
com'erano ad accettare il monopolio del partito-Stato, privo del benché
minimo funzionamento democratico al suo stesso internol. Questa rifles-
sione critica implica la presa di coscienza di quella che è stata, sul piano
del metodo, una distorsione di fondo cui ben pochi dirigenti e teorici del
movimento operaio internazionale hanno saputo sottrarsi. Mentre si affer-
mava la validità del metodo materialistico nell'analisi del mondo capita-
lista e della sua dinamica (anche se molto spesso lo si applicava solo molto
parzialmente), nel caso delle società burocratizzate, dall'URSS alla Cina,
si rinunciava a ogni analisi sia socio-economica sia politica, si accettavano
acriticamente dati e interpretazioni ufficiali, quasi sempre nelle forme più
sfacciatamente propagandistiche e meno credibili. Anche quando le con-
traddizioni di queste società esplodevano alla luce del sole (URSS 1956,
Cina 1966-67, URSS nella seconda metà degli anni '80 ecc.), invece di
analizzare materialisticamente, sulla base di dati che pure esistevano,
quello che stava avvenendo e quali fossero la natura e i progetti delle stesse
forze che aprivano un capitolo critico e progettavano misure di riforma,
ci si affidava al pensiero e all'iniziativa di personalità demiurgiche, si
trattasse di Krusciov, di Mao o di Gorbaciov, di cui peraltro non ci si
preoccupava di analizzare veramente le stesse formulazioni ideologiche2.
Questo riesame critico storico-teorico deve essere centrato sugli avve-
nimenti degli ultimi anni e sui problemi che si pongono ora e non certo su
richiami dottrinari, per legittimi che possano essere. In questo senso esiste
il compito enorme - che non può essere assolto da un partito o da una
qualsiasi organizzazione e neppure da qualche singolo individuo - di
scrivere una storia dell'URSS e delle altre società burocratizzate, che sia,
per così dire, una storia contemporanea, cioè parta dal punto di arrivo e
22 Anticapitalismo e comunismo
regime neocoloniale, in cui non solo non è stata presa la più timida misura
"socialista", ma in cui il capitale internazionale ha mantenuto ed allargato
le sue riserve di caccia, si è formata una parassitaria e vorace classe
dominante indigena, la vecchia potenza coloniale ha mantenuto una pe-
santissima ingerenza, le masse popolari hanno subito un deterioramento
costante delle già miserevoli condizioni di vita e il sistema politico,
nonostante correzioni più recenti, è stato ed è più vicino al deprecato
monopartitismo che a una democrazia parlamentare o presidenziale di tipo
"occidentale"5.
Ci si dirà che il bilancio della socialdemocrazia deve essere fatto
soprattutto partendo dai paesi in cui ha avuto una più lunga tradizione, ha
accumulato le forze più consistenti e ha contribuito, a volte in modo
decisivo, all'introduzione del Welfare State o Stato sociale.
Per la verità, sarebbe mistificatorio fare un bilancio del genere sorvo-
lando sul fatto che la prosperità, reale o presunta, di una serie di paesi
dell'Europa occidentale è stata possibile grazie ai meccanismi economici
e politici di un sistema internazionale, di cui uno degli elementi essenziali
è stato e continua a essere lo sfruttamento, in diverse forme, dei paesi
sottosviluppati. Al di là dei discorsi di occasione e di vaghe enunciazioni
di buoni propositi, nessun partito e, a maggior ragione, nessun governo
socialdemocratico ha lottato contro questi meccanismi, accontentandosi
tutt'al più di prospettare timidi corretti vi, rivelatisi, com'era prevedibile,
del tutto inoperanti.
Ma, dato e non concesso che si possa far astrazione da questo, oltre che
dal ruolo che partiti socialdemocratici hanno avuto anche dopo la seconda
guerra mondiale nei tentativi di impedire l'ascesa dei movimenti anti-im-
perialisti e nell' esercizio della più brutale repressione6, il bilancio storico
complessivo della socialdemocrazia europea non è meno fallimentare di
quello dello stalinismo. A questo proposito, non c'è nulla di nuovo da
scoprire. Ma per rinfrescare le memorie non sarà inutile riprendere som-
mariamente gli argomenti essenziali, su tre piani, di una critica da un punto
di vista marxista e rivoluzionario:
1) I partiti socialdemocratici o socialisti non hanno realizzato in nessun
paese il fine storico che si erano prefissi al momento della loro formazione,
cioè la sostituzione della società capitalista con una società socialista. Di
più, ormai da molti decenni hanno rinunciato addirittura a perseguire
questo fine. Come abbiamo già accennato, conquiste parziali di portata
26 Anticapitalismo e comunismo
Note
Capitolo terzo
con radici sociali ancora più profonde di quelle del movimento francese.
L'odierna riscrittura della storia in chiave conservatrice tende a presentare
quelle vicende come un'esplosione di irresponsabili e sterili estremismi,
preludio del terrorismo, e a far dimenticare la realtà, cioè le mobilitazioni
inesauribili di vasti strati sociali, non solo proletari, l'emergere impetuoso
della forza nuova rappresentata dal movimento studentesco, la radicaliz-
zazione di ampi settori di piccola borghesia che per la prima volta conte-
stavano l' establishment, le crepe che si producevano a diversi livelli delle
stesse istituzioni.
- Avvenimenti non meno significativi in altri paesi europei. Per
esempio, nel Belgio, una situazione critica, con uno sciopero generale, si
era creata già alla fine del 1960 e all'inizio del 1961, mentre la Gran
Bretagna ha attraversato una fase prolungata di aspre lotte operaie, cui
non ha posto fine che l'avvento del thatcherismo (durante il quale c'è
stato, tuttavia, il grande sciopero dei minatori). D'altra parte, grandi
mobilitazioni e conflitti a livello di massa hanno accompagnato e seguito
in Ispagna la caduta del franchismo e una crisi socio-politica ancora più
profonda si è sviluppata in Portogallo dopo la fine della dittatura salaza-
riana.
In tutte queste crisi - come in altre di minoreportata - la classeoperaia,
intesa in senso lato, non solo è stata la spina dorsale di lotte e mobilitazioni,
ma ha rilanciato al tempo stesso il suo ruolo di forza antagonista del
sistema ed egemone di un più vasto fronte sociale di contestazione anti-
capitalistica. Settori sempre più ampi di proletariato, stimolati dalle espe-
rienze di lotta, hanno raggiunto livelli di coscienza senza paragone più
elevati di quelli dei periodi di ristagno o di "normalità", conquistando si
una vera e propria promozione culturale. Nei momenti più alti, si sono dati
nuovi strumenti democratici di lotta e di organizzazione, al di fuori non
solo del quadro istituzionale, ma anche del quadro organizzato tradizio-
nale (esperienze dei consigli in Italia e, fatte le debite proporzioni, in
Portogallo), immettendo sangue fresco nell' organismo del movimento
operaio. In casi-limite e, va da sé, per periodi limitati, operai e tecnici
hanno dato prova dell~ loro capacità di gestione delle aziende (occupazioni
di fabbriche e altre situazioni analoghe). C'è appena bisogno di ricordare
il precedente storico dell' ormai lontano 1920, a proposito del quale restano
attuali le penetranti osservazioni e generalizzazioni del giovane Gramsci.
Esperienze significative nello stesso senso sono state fatte nel biennio di
32 Anticapitalismo e comunismo
classe media, in minima parte entrata a far parte dei settori con redditi più
alti, per lo più, invece, precipitata verso il basso.
Fenomeni analoghi si sono verificati nei paesi industrializzati a livello
di classi medie rurali, nonostante le misure protetti ve adottate, per ragioni
elettoralistiche, soprattutto da certi governi della CEE. Si assiste a un' ine-
vitabile, ulteriore differenziazione. Da un lato, l'estendersi dell' agricoltu-
ra industrializzata, anche nei paesi sottosviluppati, comporta una crescita
del lavoro salariato (il che non significa necessariamente aumento assoluto
degli addetti, dati gli sviluppi tecnologici), dall'altro, gli strati medi più
forti si inseriscono in questo processo raggiungendo una condizione
sociale sempre più vicina a quella della borghesia (pur senza una completa
identificazione).
Venendo agli strati della società quantitativamente di gran lunga pre-
valenti, l'evoluzione degli ultimi decenni, che non sembra destinata a
mutare a breve o a medio termine, è stata caratterizzata soprattutto da due
fenomeni:
-l'accrescersi del numero dei lavoratori salariati o dipendenti;
- l'accrescersi, in gran parte del mondo, del numero di coloro che sono
espulsi del tutto o in larga misura dai processi produttivi, non hanno nessun
lavoro o svolgono lavori saltuari e precari, spesso ai margini della legge.
Il primo fenomeno, è bene ribadirlo esplicitamente, riguarda gli stessi
paesi capitalisti industrializzati. Con il protrarsi dell' onda lunga di rista-
gno e in seguito alle innovazioni tecnologiche, si è registrata una contra-
zione del numero degli operai industriali, specialmente della grande
industria6. Ma non si ripeterà mai abbastanza che i tratti essenziali di una
società capitalistica consistono, secondo la concezione marxiana, nella
generalizzazione della produzione di merci e nella predominanza del
lavoro salariato, cioè di coloro che devono vendere la loro forza lavoro
per procurarsi i mezzi di sussistenza. Ora, della mercificazione universale,
non solo della produzione ma di tutti gli aspetti della vita, nelle forme più
rivoltanti, siamo testimoni tutti i giorni, letteralmente da quando ci sve-
gliamo sino a quando ci corichiamo. Quanto al lavoro salariato, abbiamo
già accennato alla trasformazione, in linea di diritto o di fatto, in lavoratori
dipendenti di settori di piccola borghesia rurale e, aggiungiamo ora, di
piccola borghesia urbana (basti pensare, per esempio, alle trasformazioni
del commercio in seguito al diffondersi delle grandi reti di distribuzione).
Inoltre, anche altri settori del terziario o dei servizi, hanno subito un
40 Anticapitalismo e comunismo
dei livelli di vita è stata per ora contenuta, grazie all'esistenza di più redditi
nello stesso nucleo familiare e di riserve, sia pur modeste, accumulate
dalle generazioni precedenti. Ma non c'è bisogno di grandi inchieste
sociologiche per capire che questi contrappesi tenderanno inevitabilmente
ad agire sempre meno, se non a scomparire, salvo che si verifichi una
radicale inversione di tendenza (ipotesi che, per il momento, nessuno si
sente di avanzare).
Tendenze in Italia
Livio Maitan 49
Note
Rich and Poor (Harper Perennial, New York, 1991) e per quanto riguarda la sinistra
Mike Dave, The Prisoners of the American Dream (Verso, London-New York,
1986) e Kim Moody, An lnjury to all: the decline of American Unionism (Verso,
1988). Per i problemi delle riorganizzazioni del lavoro è di notevole interesse Mike
Parker e lane Slaughter, Choosing Side: Unions and the Team Concept (Labor
Notes Book, Boston, 1988).
14Sulle differenziazioni in seno alla classe operaia a pàrtire dagli anni '70, cfr.
il citato libro di Mile Dave, p. 278..
15Cfr. Phillips, op. cito p. 154.
16PeriI caso della Nissan, cfr. "International Herald Tribune" (21 aprile 1992).
17Cfr. anche "Corriere della sera" (19 febbraio 1992). Lo stesso giornale, in
un articolo del 25 marzo, ha fatto allusione a progettati mutamenti per quanto
riguarda la definizione dei modelli di vetture che sin qui erano considerati come
uno dei punti di forza dei giapponesi. Per quanto riguarda problemi dell' economia
e dell' organizzazione del lavoro in Giappone segnaliamo un interessante libro di
Benjamin Coriat, Penser à ['envers: travail et organisation du travail dans
['entreprise japonaise, Paris, 1991 e il saggio di Muto Ichiyo, Lutte de classe et
innovation technologique au Japon depuis 1945, pubblicato nel 1990 dall'Istituto
internazionale di ricerche e di formazione di Amsterdam.
18Basti qui ricordare che mentre nel 1960 il 20% più ripco della popolazione
mondiale disponeva di un reddito 30 volte superiore a quello del 20% più povero,
trent'anni dopo il distacco era raddoppiato. Se si confronta il miliardo più povero
con il miliardo più ricco il rapporto è di 1a 150. Quanto al debito estero, il rimborso
è costato ai paesi indebitati, tra il 1983 e il 1989, 242 miliardi di dollari, mentre le
barriere doganali imposte dai paesi industrializzati sono costate ai paesi poveri 40
miliardi di dollari all'anno. Complessivamente, sempre secondo i calcoli degli
esperti dell'ONU, ogni anno sono stati "negati" ai paesi sottosviluppati 500
miliardi di dollari, cioè dieci volte quanto hanno ricevuto sotto forma di "aiuti".
19In Cina assistiamo attualmente, soprattutto in alcune regioni, a un moltipli-
carsi di società miste e a una penetrazione di capitale internazionale in varie forme,
oltre che a una crescita di imprese private nazionali. n regime politico esistente,
nonostante tutte le aperture, costituisce un ostacolo a uno sviluppo qualitativamen-
te superiore in questa direzione. A un certo momento, conflitti saranno inevitabili.
Nel caso di una crisi del tipo di quella che ha sconvolto l'URSS, tendenze
centrifughe potrebbero operare anche in Cina, se pur non in relazione a questioni
nazionali, e potrebbe, al limite, prodursi una decomposizione del paese, fenomeno
già conosciuto in altre epoche prima della rivoluzione. Una situazione veramente
nuova si delineerebbe qualora il passaggio a un' economia di mercato generalizzata
e una restaurazione capitalistica avvenissero in forma graduale e politicamente
controllata. Ma si tratta di una eventualità del tutto astratta, anche se non esclusa
sul piano puramente teorico.
20Sugli sviluppi e sulle prospettive dell' ex Unione Sovietica, v. il nostro articolo
"Dopo la fine dell 'URSS: quale transizione?" in "Marx centouno", n. 8, marzo 1992.
VGN033S3.LHVd
Livio Maitan 55
Capitolo quarto
Capitolo quinto
CONTRADDIZIONI INTERNAZIONALI
più affannosa ricerca del profitto, con tutti i mezzi e in ogni angolo del
globo.
civile che ha dilaniato l'ex-Jugoslavia e con gli scontri armati nel Caucaso
e in altre regioni dell'ex-Unione Sovietica. È un quadro di instabilità e di
conflittualità esteso a tutti i continenti.
È in questo contesto che va individuato un fenomeno cui già abbiamo
accennato, cioè l'erosione e l'indebolimento che subiscono, anche dal
punto di vista sociale, le stesse classi dominanti. Che per quanto riguarda
i paesi sottosviluppati uno dei punti essenziali di debolezza del sistema
-
neocoloniale sia consistito nell'incapacità nella grande maggioranza dei
casi, se non dappertutto - di creare una borghesia indigena socialmente
consistente e capace di assolvere un ruolo politico stabilizzante, dovrebbe
essere chiaro a tutti. Dovrebbe essere chiaro egualmente che alla radice
dell'attuale instabilità dei paesi centro-europei e ancor più nell'ex-URSS
è l'inesistenza o l'esiguità estrema di una classe dominante capace di
imporre, con le necessarie mediazioni e alleanze, la propria egemonia, una
volta che il vecchio strato dominante, la burocrazia, è letteralmente esplo-
so senza essere più in grado di agire come forza dirigente complessiva e
dato che esistono solo embrioni di nuova borghesia.
Ma la crisi non risparmia la stessa borghesia dei paesi imperialisti, il
cui peso specifico sociale subisce pure un restringimento, con conseguen-
ze ancor più trasparenti a livello politico.
Le crescenti difficoltà che conoscono attualmente vari paesi europei,
al limite di vere e proprie crisi del sistema politico, sono, in ultima analisi,
il riflesso di tutto questo. Che la gestione "socialista" più che decennale
di Mitterrand e quella quasi altrettanto lunga di Gonzalez abbiano garan-
tito il funzionamento del sistema secondo la logica capitalistica e nell'in-
teresse della borghesia, per di più con l'adozione di misure niente affatto
diverse da quelle adottate altrove da governi conservatori, è una constata-
zione fatta sempre più esplicitamente anche da portavoce e da ideologhi
della classe dominante. Ciò non sminuisce il valore del fatto che la
borghesia francese e la borghesia spagnola non abbiano saputo esprimere
un proprio gruppo dirigente, capace di assumersi direttamente un ruolo
egemonico, sul piano politico e tuttora abbiano difficoltà a farlo, nono-
stante l'usura estrema del mitterrandismo e l'usura crescente del gonzali-
smo. Nella stessa Gran Bretagna, la scelta di rinnovare la fiducia al gruppo
dirigente conservatore non è stata affatto univoca, se è vero che alla vigilia
del voto il "Pinancial Times", portavoce secolare della borghesia britan-
nica, ha sottolineato i vantaggi di una soluzione laburista2.
64 Anticapitalisnw e comunismo
pure per una estensione dei diritti democratici, non si possono credibil-
mente impostare senza tener conto dei condizionamenti sovrannazionali.
Ma da questa giusta premessa le direzioni operaie politiche e sindacali non
traggono la conclusione che il problema di una strategia di lotta sovran-
nazionale è sempre più urgentemente all' ordine del giorno. Al contrario,
accettando la logica della concorrenza capitalistica, pongono al centro
delle loro preoccupazioni la competitività dei diversi settori economici o
delle diverse aziende "nazionali": accettano quindi dei limiti alla dinamica
salariale e una erosione delle garanzie sociali acquisite in passato e
rinunciano a ogni seria battaglia per la riduzione degli orari di lavoro. Non
si rendono conto o non vogliono rendersi conto che tali comportamenti
vanno comunque a detrimento di settori o strati di classe operaia di questo
o quel paese o di una serie di paesi, cioè di quelli usciti perdenti dalla
concorrenza. Il risultato finale, in ultima analisi~ non potrà essere che un
indebolimento della classe operaia nef suo complesso, un logoramento del
suo peso specifico, e quindi un 'ulteriore evoluzione negativa dei rapporti
di forza, indipendentemente dal fatto che questo o quel settore e questo o
quel un paese possano essere colpiti prima o più gravemente-di altri.
Tutte queste contraddizioni possono essere sintetizzate in quella che è
la contraddizione centrale della fase attuale: mentre, come si è visto, gli
obiettivi delle lotte economiche e sociali e i progetti politici, per essere
credibili, devono avere sempre di più una dimensione sovrannazionale, il
movimento operaio è più che mai lacerato da tendenze centrifughe, diviso
e frammentato, trascinato in una logica di ripiegamento settori aie o cor-
porativo e privo di ogni credibile punto di riferimento internazionale su
scala di massa.
Questa contraddizione, di cui sperimentiamo letteralmente ogni giorno
la portata paralizzante e sterilizzante e al cui superamento, almeno tenden-
ziale, è legata la possibilità di una nuova fase di ripresa e di rilancio, non
- -
potrà essere superata ribadiamolo ancora una volta unicamente con
enunciazioni teoriche, ma soprattutto nella pratica, con nuove, vivificanti
esperienze di massa. Non per questo sono meno indispensabili lucidità
analitica e sforzi di generalizzazione, soprattutto in un momento in cui,
ripetiamo lo, si pongono interrogativi di fondo e primordiali questioni di
identità.
È compito in particolare dei militanti impegnati nell'impresa di rifon-
dazione comunista agire sin d'ora perché si realizzino iniziative di solida-
Livio Maitan 67
Note
Capitolo sesto
"Economicismo" e "statalismo"
Quale alternativa?
Note
Capitolo settimo
Difficoltà e contraddizioni
Livio Maitan 79
zione riformi sta graduali sta consiste nell'ipotizzare che un apparato sta-
tale così strutturato e articolato come quello delle società moderne, sorto
e sviluppatosi in un quadro socio-economico ben definito e con la funzio-
ne, ripetiamo lo, di garantire questo quadro nell'interesse di una specifica
classe dominante, possa essere utilizzato per un cambio qualitativo di
modo di produzione e per l' afferma~one dell' egemonia di un' altra classe.
Si tratta di un presupposto teoricamente infondato, la cui inconsistenza,
come abbiamo visto, è stata comprovata da una esperienza ormai quasi
secolare. In altri termini, pensare che una società regolata da una sua
ineludibile logica interna e da una sua intrinseca dinamica e in cui i poteri
decisionali tendono a concentrarsi nelle mani di ristretti gruppi dominanti
e di élites a vocazione autoritaria possa essere trasformata dal suo interno,
gradualmente, senza una rottura rivoluzionaria del quadro preesistente,
significa rifiutare di prendere atto della realtà e quindi proporre una
prospettiva assolutamente irrealizzabile.
Questo è il nodo da sciogliere di una strategia anticapitalistica e
rivoluzionaria, che è mistificante tradurre in termini di violenza più o
meno necessaria. La verità è che la violenza è stata sistematicamente usata
- e continua essere usata - dalle classi dominanti e che è quindi su di esse
che è ricaduta e ricadrà la responsabilità del ricorso, da parte degli sfruttati
e degli oppressi, a lotte insurrezionali e dell'esplodere di guerre civili4.
Non affrontiamo qui il problema della definizione di obiettivi imme-
diati, perché su questo terreno i compiti di un partito operaio all' opposi-
zione appaiono più evidenti e già un lavoro importante è stato svolto. Le
difficoltà cominciano quando si tratta di delineare obiettivi intermedi o di
transizione, cioè di stabilire un nesso intrinseco - non una semplice
giustapposizione letteraria - tra obiettivi immediati o parziali e strategia
anticapitalista di largo respiro. In ultima istanza, si tratta di un problema
cruciale cheil vecchioPCI,nonostanteripetutitentativi,non è mairiuscito
a risolvere, mantenendo una dicotomia tra lotte parziali, non di rado
condotte con successo, e finalità strategiche, rimaste a livello di enuncia-
zioni o tradotte in progetti regolarmentecondannati all'insuccesso.
Ci limiteremo qui a qualche considerazione sugli orientamenti da
prospettare nella fase in cui siamo entrati, analogamente ad altri paesi
dell'Europa occidentale,in particolare dopo l'esito delle ultime elezioni.
L'Italia attaversa una crisi sociale e politica - ancor più che strettamen-
te economica- che è la secondain ordine di gravità dalla fine della guerra
84 Anticapitalismo e comunismo
(la prima è stata quella della fine degli anni '60 e dell'inizio degli anni
'70). Si tratta ormai di una vera e propria crisi di regime di cui non è facile
intravedere sin d'ora i possibili sviluppi, ma che segnerà, comunque, un
periodo di aspra conflittualità e di profondi squilibri. C'è appena bisogno
di ricqrdare che, nel contesto dato, non sono la classe operaia e gli altri
strati popolari a condurre l'offensiva. L'iniziativa è, almeno per ora, nelle
mani di forze politiche e sociali insoddisfatte dello stato attuale delle cose
per ragioni ben diverse dalle nostre e alla ricerca di soluzioni non certo
corrispondenti agli interessi e alle aspirazioni del movimento operaio e
dei comunisti. L'eventuale successo di questi progetti comporterebbe una
restrizione di elementari diritti democratici e una ulteriore concentrazione
di poteri nell' esecutivo, se non l' istaurazione di una "democrazia" dai
tratti fortemente autoritari.
Che in un tale contesto sia necessario difendere intransigentemente
tutte le conquiste democratiche, siano iscritte o no nella Costituzione,
opporsi all'introduzione di un sistema elettorale non proporzionale, riget-
tare soluzioni presidenzialistiche o comunque miranti a esaltare il ruolo
degli esecutivi, è fuori discussione. Ma bisogna evitare di assumere
posizioni sostanzialmente difensive che possano farci apparire come di-
fensori dello status quo.
Qui si inserisce il discorso sulla Costituzione del 1948. Innanzi tutto,
va demistificata l'interpretazione ideologistica secondo cui questa Costi-
tuzione potrebbe consentire una evoluzione della società italiana verso il
socialismo. In realtà, è stata il risultato di un compromesso. Per riprendere
un articolo di Togliatti, evocato a più riprese da Enrico Berlinguer, questo
compromesso avrebbe dovuto consistere nell'accettazione da parte dei
conservatori della "liquidazione politica del fascismo" e del "raggiungi-
mento di un normale sviluppo democratico", mentre le "forze più avanzate
del blocco antifascista" avrebbero dovuto garantire che questo non avreb-
be comportato "modificazioni profonde o addirittura rivoluzionarie della
struttura economica italiana" ("Rinascita", agosto 1946). Questo compro-
messo non si è realizzato, come Togliatti auspicava, a livello di alleanza
di governo, ma si è tradotto in larga misura nella carta costituzionale, che
è senza dubbio avanzata su diversi piani, ma si basa pur sempre sul
riconoscimento prioritario dell'iniziativa privata e della proprietà privata
dei mezzi di produzione.
Per di più, a oltre quarant' anni di distanza, appare obsoleta per aspetti
Livio Maitan 85
Note
Capitolo ottavo
Nel terzo capitolo abbiamo indicato quali siano gli elementi nuovi e
gli elementi permanenti nella composizionedella società italiana. Ritor-
niamo ora sui mutamenti che hanno riguardato, a partire, grosso modo,
dalla fine degli anni '70 la classe operaia industriale e, più in generale, i
lavoratori dipendenti.
Scomposizione e frammentazione
lunga durata), per non parlare dei veri e propri emarginati, espulsi dal
mercato del lavoro, giovani in grande percentuale. Infine, esistono le
divisioni tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati, il cui numero è
destinato assai probabilmente a crescere.
Queste annotazioni analitiche corrispondono in gran parte alla realtà.
Vanno, tuttavia, precisati la portata e i contenuti reali dei mutamenti
intervenuti e delle tendenze in atto. .
Uno dei risultati più negatividi questa "evoluzione",il cui inizio risale
alla fine degli anni '70, se non più indietro, è stato l'annullamento
pressoché totale delle specificità che avevano costituito gli elementi di
forza del movimento operaio e sindacale italiano rispetto a quello di altri
paesi. Per limitarci a due aspetti decisivi, si sono progressivamentesvuo-
92 Anticapitalismo e comunismo
tate di contenuto le grandi lotte per il rinnovo dei contratti nazionali delle
maggiori categorie, che, soprattutto tra la metà degli anni '60 e la metà
degli anni '70, erano state non solo scadenze sindacali o categoriali, ma
momenti centrali della lotta di classe e dello scontro politico, che segna-
vano l'intera vita nazionale2. Parallelamente, si sono sterilizzati quegli
strumenti di mobilitazione e di pressione dal basso che erano i consigli
sorti a partire dal' 69. Prima svuotati di contenuto e messi ai margini, sono
stati alla fine sotterrati per sostituirli, quasi sempre solo sulla carta, con
strumenti "nuovi", incomparabilmente meno democratici e in larga misura
lottizzati tra le varie sigle.
Il pesante ruolo negativo assolto dalle organizzazioni sindacali e, ancor
di più, il fatto che in quasi tutte le lotte e le vertenze più importanti ci sia
stato un distacco sempre più grande tra vertici e apparati, da una parte, e,
dall'altra, settori consistenti e non di rado maggioritari di lavoratori,
confortano la conclusione che si può ricavare dagli altri elementi analitici
sinteticamente richiamati. I fattori strutturali sono reali e non possono
essere ignorati o negati luddisticamente, ma gli sbocchi sociali e politici,
di cui tutti possono constatare la portata negativa per la classe operaia, non
erano affatto predeterminati. In altri termini, non esisteva e non esiste
nessuna fatalità tecnologico-strutturale o socio-economica. L'azione dei
sindacati e di tutto il movimento operaio avrebbe potuto produrre esiti
diversi. Potrebbe ancora conseguire risultati diversi, a condizione che
siano decisamente contrastate le tendenze in atto e si adottino nuovi
metodi.
Non pretendiamo di rispondere qui agli ardui problemi che si pongono.
Si tratta, in un certo senso, di una prova del fuoco per tutti i militanti
impegnati, all'interno delle confederazioni o al di fuori di esse, nei
tentativi di rinnovamento sindacale e nell'impresa di rifondazione comu-
nista. Limitiamoci a ribadire che il punto di partenza deve essere la
rifondazione dell'indipendenza e dell'autonomia operaia, partendo dal
rifiuto della logica dell' accumulazione capitalistica e delle impostazioni
economiche delle classi dominanti. Bisogna ristabilire, con un'azione al
tempo stesso paziente e intransigente, tutti gli elementi di unificazione
oggetti vamente possibili rilanciando la tematica democratica dell' auto-or-
ganizzazione e la tematica egualitaria, che sono state il sale della terra nei
momenti più alti della storia del movimento operaio, anche negli ultimi
cinquant' anni.
Livio Maitan 93
94 Anticapitalismo e comunismo
j
-
Livio Maitan 95
Note
-
96 Anticapitalismo e comunismo
Capitolo nono
Democrazia negata
coinvolto la base e gli stessi quadri intermedi, senza contare che il partito
russo aveva un ruolo egemonico schiacciante. Questo spiega, almeno in
parte, perché non sia stato realizzato sistematicamente e tempestivamente
nei nuovi partiti in costruzione il lavoro di formazione teorico-politica
assolutamente indispensabile. Di conseguenza i vari partiti comunisti sono
stati più esposti al rischio di commettere errori anche molto gravi e, cosa
ancora più importante, non ci sono state che resistenze piuttosto scarse e
poco durature alla involuzione staliniana.
Trasferendoci in un altro settore geo-politico, in un' altra fase storica,
riferiamoci al caso del Fronte sandinista del Nicaragua. Non si tratta
affatto di un esempio particolarmente negativo, al contrario, dell' esperien-
za per molti aspetti altamente positiva di una organizzazione che è stata
alla testa di una rivoluzione vittoriosa. Se il FSLN non avesse stabilito
profondi legami democratici con settori decisivi della classe operaia, dei
contadini e delle masse plebee urbane, non avrebbe avuto il loro appoggio
al momento dell'insurrezione del 19 luglio. Ma oggi, nel bilancio che è
necessario fare e che, in una certa misura, è stato già fatto dallo stesso
FSLN e in particolare da alcuni suoi settori, non si possono sottovalutare
i limiti dello Stato sorto dalla rivoluzione, come pure del Fronte, dal punto
di vista dell'esercizio di una democrazia operaia e popolare. Nel vivo
dell'ascesa rivoluzionaria sono sorti i CDS, organismi genuinamente
democratici per la loro origine e composizione. Ma successivamente,
lungi dal divenire gli organismi democratici costitutivi del nuovo Stato,
che avrebbero permesso alle grandi masse di partecipare attivamente e
direttamente alla direzione del paese e alla gestione dell' economia, hanno
assunto mansioni ben più limitate, svuotandosi abbastanza rapidamente
dei loro contenuti più genuini e perdendo i legami di massa che avevano
costituito il loro punto di forza. Quanto al FSLN, nonostante i propositi
ripetutamente espressi e che erano un riconoscimento di quello che sareb-
be stato necessario fare, non si è mai strutturato veramente come un partito
democraticamente organizzato. Tutte le decisioni sui problemi più impor-
tanti sono state regolarmente prese dalla direzione ristretta dei nove
comandanti - risultato dell'accordo tra le tendenze in cui a un certo
momento il Fronte si era diviso - con l'assegnazione di un ruolo solo
consultivo a un' assemblea più ampia, peraltro convocata piuttosto rara-
mente. È significativo che il primo congresso del FSLN sia stato convo-
cato solo nel luglio 1991, ben dodici anni dopo il rovesciamento di
Livio Maitan 103
Linee di un rinnovamento
Nota
Capitolo decimo
Note
Appendice