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SYMBOLON

STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE


Direttore: Francesco Romano
UNIVERSIT DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELLUOMO E DEL TERRITORIO
GIOVANNA R. GIARDINA
I FONDAMENTI DELLA FISICA
Analisi critica di Aristotele, Phys. I
Presentazione di
MARIO VEGETTI
CATANIA 2002 CUECM
23
suvmbola ga; r patriko; " nov o"
e[speiren kata; kovsmon
Or. Ch. Fr. 108 dP
In copertina: Ecate raffigurata in un amuleto (da C. Bonner, Studies in Ma-
gical Amulets, Michigan Univ. 1950).
Department of Sciences of Culture, Man and Territory
University of Catania
Propriet letteraria riservata
Catania 2002 - Cooperativa Universitaria Editrice Catanese di Magistero
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al mio maestro Francesco Romano
INDICE GENERALE
Presentazione di Mario Vegetti p. 9
Prefazione 11
1. La questione del ruolo di Phys. I nel quadro
dellintero trattato 19
2. Lipotesi dellunicit del principio: critica del-
lEleatismo (Phys. I 1-3) 39
3. Lipotesi della molteplicit infinita dei principi:
critica dei pluralisti (Phys. I 4-6) 79
4. Lipotesi della molteplicit finita dei principi:
fondazione della scienza fisica aristotelica e cri-
tica di Eleati e Platonici (Phys. I 7-9) 93
5. Considerazioni conclusive: il ruolo effettivo di
Phys. I nel quadro dellintero trattato 117
6. Appendice 145
Premessa 147
Testi e traduzioni 148
7. Bibliografia 169
7.1. Fonti 171
7.1.1. Edizioni 171
7.1.2. Traduzioni 172
7.2. Letteratura 173
8. Indici 185
Indice degli autori citati 187
Indice dei luoghi citati 191
PRESENTAZIONE
Il lavoro di Giovanna Giardina costituisce unapprofondi-
ta e preziosa introduzione critica al primo libro della Fisica
di Aristotele, considerato nello stretto rapporto che lo connet-
te alle trattazioni del movimento (kinesis) e del mutamento
(metabole) nei libri terzo e quinto.
La Giardina sottolinea giustamente come Fisica I rappre-
senti nellambito della filosofia aristotelica unanalisi genera-
le delle condizioni di pensabilit della natura, e quindi anche
delle condizioni di possibilit di un sapere relativo alla natu-
ra stessa, formando perci una sorta di introduzione teorica
allinsieme dei trattati fisici, cui fornisce linfrastruttura
concettuale di base. Al centro del libro sta la coimplicazione
di phusis e divenire, che Aristotele assume come evidenza fe-
nomenologica, e che non richiede dunque alcuna fondazione
teorica, se non quella forma di dimostrazione per assurdo che
costituita dalla confutazione dialettica del pensiero eleati-
co. Il problema decisivo diventa invece per Aristotele quello
di reperire le strutture dordine del divenire naturale, che lo
rendono pensabile e suscettibile di scienza. Di qui la costru-
zione della fondamentale dottrina dei tre principi (sostan-
za, forma, privazione), cui si accompagna, non senza qualche
tensione teorica, laltra struttura dordine che costituita
dalla coppia concettuale potenza/atto.
Lanalisi della Giardina su questo complesso nodo teorico
presenta diversi motivi di interesse: la funzione dialettica
della ricostruzione aristotelica della tradizione dei phusiolo-
goi, lassioma di corrispondenza fra strutture del linguaggio e
ordine della realt, la concezione posizionale-funzionale della
materia/sostrato (hule), la specificit dei processi di genera-
zione e corruzione (gevnesi~ aJplw`~) rispetto alle altre forme
del divenire con i problemi teorici che essa pone e che sono
destinati a venire ampiamente tematizzati tanto nelle opere
biologiche quanto nel libro Z della Metafisica.
La parte pi innovativa del lavoro consiste nella discus-
sione dei rapporti che intercorrono fra i concetti di divenire
(gignesthai), movimento (kinesis) e mutamento (metabo-
le). Il primo, secondo la Giardina, che si discosta da una con-
solidata tradizione esegetica, il pi generale, gli altri due si
distinguono nonostante che in certi passi Aristotele sembri
considerarli come sinonimi per il fatto che il mutamento
della sostanza, mentre il movimento accade nella sostanza,
ed primariamente connesso con la temporalit. Importante
appare anche linsistenza sulla distinzione, spesso trascura-
ta, fra il concetto di entelekheia (che proprio del movimento
in quanto tale), e quello di energeia: il movimento, nella sua
struttura temporale, non pi potenza ma non ancora atto,
e pu dunque venir definito, con un apparente ossimoro,
energeia ateles, atto incompiuto.
Completa il lavoro unutile antologia dei passi rilevanti,
tradotti e interpretati, anche con pertinenti osservazioni te-
stuali. I riferimenti alla bibliografia critica moderna sono
ampi e aggiornati; particolarmente apprezzabile il ricorso
alla tradizione dei commentatori antichi, talvolta illuminan-
te e sempre indispensabile per comprendere la genesi delle
opzioni esegetiche.
Si tratta nellinsieme di un contributo di notevole interes-
se sul piano della ricerca aristotelica, e anche di sicura frui-
bilit a fini didattici.
Mario Vegetti
10 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
I FONDAMENTI DELLA FISICA
ANALISI CRITICA DI ARISTOTELE, PHYS. I
1.
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I
NEL QUADRO DELLINTERO TRATTATO
La Fisica per Aristotele, com noto, quella scienza che
si occupa della fuvsi~, della natura nella totalit dei suoi
aspetti: essa fa parte degli scritti esoterici,
1
ossia rivolti al-
linsegnamento interno al Liceo e diretti ai discepoli stessi di
Aristotele, e apre la sezione naturalistica delle scienze teore-
tiche.
2
Allinterno del sapere teoretico, infatti, Aristotele di-
1
Si ricorder che i numerosi scritti aristotelici si dividono in due
grandi gruppi: gli scritti essoterici, oggi perduti, ossia rivolti allester-
no, destinati cio ad un pubblico ampio di frequentatori della scuola
aristotelica e che, quindi, presupponevano un pubblico con una generi-
ca cultura di base (in tali scritti, curati da Aristotele stesso, le dottrine
non erano condotte ad un livello approfondito di analisi e di trattazione
e tuttavia del tutto probabile che Aristotele vi trattasse le dottrine
stesse che conosciamo approfonditamente dagli scritti esoterici); e gli
scritti esoterici, cio rivolti allinterno o acroamatici, cio destinati
allascolto diretto, rivolti allinsegnamento che si svolgeva allinterno
del Peripato. In questi ultimi Aristotele si rivolge a un pubblico che
possiede una preparazione approfondita delle discussioni e delle analisi
che si conducevano nella scuola oltre che della terminologia tecnica da
lui utilizzata. La trattazione delle dottrine approfondita e articolata
ma, allo stesso tempo, gli scritti esoterici, in quanto concepiti come te-
sti utili alla lezione, sono in un certo senso non finiti, giacch Aristotele
li ri-maneggi continuamente per i suoi usi scolastici. Si tratta, comun-
que, di un insieme coerente; cf. Simplicio, In De caelo, 228,28 ss.=Sulla
filosofia fr. 16 Ross; I. Dring, Aristoteles. Darstellung und Interpreta-
tion seines Denkens, Heidelberg 1966, (trad. it. di P.L. Donini, Milano
1976), pp. 27 ss.; G. Reale, Introduzione a Aristotele, Roma-Bari 2000
11
,
p. 39.
2
Ci che leggiamo oggi di Aristotele proviene da unedizione dei
suoi scritti fatta dal peripatetico Andronico di Rodi intorno alla met
del I sec. a.C., unedizione che ha influito molto sul destino degli scritti
aristotelici poich di Aristotele si sono salvate, appunto, solo le opere
stingue la fisica, la matematica (sebbene non scrisse alcuna
opera di matematica)
3
e la filosofia prima o metafisica.
4
Nel
Corpus sistemato e tramandato da Andronico di Rodi la Fisi-
comprese nelledizione di Andronico e non altre. Questo significa che
noi leggiamo Aristotele in unedizione che gli posteriore di circa tre
secoli. Andronico diede agli scritti aristotelici un ordine che deriva da
una distinzione delle scienze che lo stesso Aristotele aveva fatto allin-
terno delle sue opere. Andronico ordina gli scritti aristotelici, quindi,
distinguendo le scienze in teoretiche, pratiche e poietiche. Le scienze
poietiche sono quelle relative a tutte le attivit che sfociano in unope-
ra, ad esempio nella costruzione di una nave; le scienze pratiche sono
quelle che riguardano lazione, sia nella sfera pubblica che privata, e
quindi la politica, letica e cos via; le scienze teoretiche, invece, sono
quelle relative alla teoria, o contemplazione, e hanno quindi come og-
getto la conoscenza come fine a se stessa, al contrario delle scienze non
teoretiche, che hanno come oggetto anchesse la conoscenza ma rivolta
ad un fine esterno. Il sapere teoretico, quindi, la pi alta forma di sa-
pere. Sulla base di questa tripartizione del sapere Andronico ordin il
corpus aristotelico, considerando gli scritti di logica come Organon e,
quindi, come strumento funzionale alle altre discipline. utile notare,
inoltre, che allinterno della distribuzione delle scienze che Andronico
ha seguito, le opere di fisica occupano la maggior parte della produzio-
ne aristotelica. In altri termini, senza nulla togliere in valore alla Me-
tafisica o agli scritti aristotelici sulle scienze pratiche e poietiche oltre
che agli scritti di logica, non difficile accorgersi che gli scritti di fisica
(dalla Fisica ai Parva Naturalia) superano con la loro mole il resto del-
lintera produzione aristotelica. Su questo argomento cf. Ch. Kahn, La
Physique dAristote et la tradition grecque de la philosophie naturelle,
in F. De Gandt-P. Souffrin cur., La Physique dAristote et les conditions
dune science de la nature, Paris 1991, p. 44.
3
Cf. Th. Heath, Mathematics in Aristotle, Oxford 1949, pp. 12-15.
4
La fisica scienza diversa dalla metafisica perch questultima
si occupa della sostanza soprasensibile, immobile e separata, mentre la
fisica si occupa di sostanze sensibili e in movimento. Aristotele, infat-
ti, chiarisce ci in Metaph. VI 1, 1026a 27-32: Se non esistesse dun-
que unaltra sostanza oltre a quelle costituite per natura, la fisica po-
trebbe essere la scienza prima; ma se esiste una sostanza immobile, la
scienza di questa sar precedente <alle altre scienze> e sar filosofia
prima, e cos, in quanto prima, essa sar anche <scienza> universa-
le, e sar suo compito proprio considerare lessere in quanto essere, e
che cosa lessere sia e quali attributi, in quanto essere, gli appartenga-
22 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
ca precede le altre scienze naturalistiche particolari: la cosa
non deve sorprendere, dal momento che essa si occupa in ge-
nerale di ci che appartiene allambito della natura mentre le
altre scienze naturalistiche e particolari si avvalgono delle
conoscenze che la Fisica ha conseguito e la assumono, quindi,
come base di partenza. In altre parole, nel campo del natura-
le, che la Fisica studia nella sua globalit, le diverse scienze
naturali specialistiche si ritagliano lambito dindagine loro
proprio e particolare.
5
Ma qual questo ambito generale della natura che la fisi-
no. Inoltre, Aristotele intende la metafisica come scienza dei princi-
pi comuni a tutte le scienze o assiomi, principi dellessere in quanto
essere (cf. Metaph. IV 3, 1005a 19-29), per cui anche in questo senso es-
sa filosofia prima, mentre la fisica riguarda soltanto gli enti naturali.
Sul confronto fra fisica e metafisica si veda E. Berti, Fisica e metafisica
secondo Aristotele (Phys. I 2, 184b 25-185a 5), in E. Berti, Studi aristo-
telici, LAquila 1975, pp. 47-59; L. Ruggiu, Rapporti fra la Metafisica e
la Fisica di Aristotele, in AA.VV., Aristotele. Perch la Metafisica. Studi
su alcuni concetti-chiave della Filosofia prima aristotelica e sulla sto-
ria dei suoi influssi, a cura di A. Bausola e G. Reale, Milano 1994, pp.
319-376.
5
Oggetto di studio della Fisica aristotelica sono i principi del dive-
nire, la natura, le cause, il movimento, linfinito, il luogo, il tempo, i tipi
di movimento, il continuo, la causa del movimento. Nessuna di queste
nozioni , in realt, di specifica pertinenza delle scienze naturalistiche
particolari, che invece presuppongono, nella misura ad esse utile, que-
ste nozioni come gi date. La fisica, quindi, sta a monte di tutte le altre
scienze naturalistiche specialistiche. A questo occorre aggiungere che
gli esegeti moderni, contrariamente a quanto facevano i commentatori
tardoantichi e soprattutto neoplatonici di Aristotele i quali davano
maggiore peso alla Metafisica rispetto agli altri scritti oggi parlano di
primato della Fisica anche sulla Metafisica in ragione del fatto che que-
stultima non risulterebbe comprensibile senza la Fisica mentre, al con-
trario, la Fisica posta da Aristotele come una scienza autofondante. A
questo proposito si cf. non solo W. Wieland, La Fisica di Aristotele,
trad. C. Gentili, Bologna 1993 [Gttingen 1970
2
], pp. 15-16, ma anche
E. Berti, Les mthodes dargumentation et de dmonstration dans la
Physique (apories, phnomnes, principes), in F. De Gandt-P. Souffrin
cur., op. cit., p. 62; oltre che in E. Berti, Le ragioni di Aristotele, Roma-
Bari 1989, p. 43.
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I 23
ca indaga?
6
Oggetto di indagine della Fisica aristotelica sono
i principi e gli aspetti che costituiscono e descrivono gli enti
generabili e corruttibili: la fisica, quindi, riguarda le sostanze
in movimento,
7
perch la caratteristica peculiare degli enti
generabili e corruttibili data dal movimento. quindi ovvio
che Aristotele dedichi al problema del movimento gran parte
della Fisica. Il movimento, quindi, pur avendo la sua tratta-
zione dettagliata nel libro III della Fisica, occupa anche gran
parte dellanalisi che Aristotele conduce negli altri libri e gio-
ca un ruolo di primo piano anche nel libro I, che pure il li-
bro per cos dire introduttivo alla scienza fisica in quanto
si occupa dei principi degli oggetti di tale scienza, principi
che sono necessari per comprendere come le cose della natu-
ra nascono, muoiono e mutano.
La mia analisi si propone, in queste pagine, in primo luo-
go di dare uninterpretazione del libro I della Fisica e della
problematica dei principi degli enti naturali, ma anche, in se-
conda istanza, di dare vigore ad una lettura della Fisica ari-
stotelica che collochi in una posizione di centralit questo
6
Cf. J. Brunschwig, Quest-ce que La Physique dAristote?, in De
Gandt-P. Souffrin cur., op. cit., pp. 11-39. Si cf. inoltre, nello stesso vo-
lume, Ch. Kahn, La Physique dAristote et la tradition grecque cit.,
pp. 41-52.
7
Cf. Aristot., Metaph. VI 1, 1025b 26-1026a 18; Phys. II 2, 193b
22-35 e 194b 9-15; De an., 403a 29-b 15. In quanto la fisica ha per og-
getto enti in movimento e materiali essa si oppone alla matematica,
che per Aristotele verte invece sugli enti immobili e immateriali. Ci ha
fatto sorgere lannoso problema di comprendere se la fisica aristotelica
sia o non sia una fisica matematica. Di questo problema si sono occupa-
ti, per citare solo alcuni studi, G. Lucchetta, Una fisica senza matema-
tica: Democrito, Aristotele, Filopono, Trento 1978, e con la tesi contra-
ria E. Hussey, Aristotles Mathematical Physics: A Reconstruction, in L.
Judson cur., Aristotles Physics. A Collection of Essays, Oxford 1991,
pp. 213-242. Si vedano inoltre gli studi di I. Mller, Aristotle on Geome-
trical Objects, Archiv fr Geschichte der Philosophie, 52 (1970), pp.
156-171; J. Lear, Aristotles Philosophy of Mathematics, Philosophical
Review, 91 (1982), pp. 161-192; A. Graeser cur., Mathematik und Me-
taphysik bei Aristoteles, Bern-Stuttgart 1987.
24 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
primo libro anche per lermeneutica degli altri libri della Fi-
sica. Io mi riferir principalmente ai libri terzo e quinto e
quindi alle nozioni di movimento (kivnhsi~) e di mutamento
(metabolhv) che sono trattate dettagliatamente da Aristotele
appunto in questi libri. Tali concetti di movimento e muta-
mento, nel primo libro della Fisica, li troviamo, come si ve-
dr, a margine della problematica del divenire. Sebbene,
quindi, io mi soffermi a leggere attentamente lintero libro I
per avere una comprensione effettiva dellargomentazione
che Aristotele vi conduce, tuttavia la mia attenzione si con-
centrer sui concetti che in questo primo libro sono espressi
dal verbo kinevw e dalla coniugazione del verbo givgnomai, per
metterli in confronto con le nozioni di kivnhsi~ e di metabolhv
di cui Aristotele discute nei libri successivi.
Per quanto riguarda le forme di kinevw, esse ricorrono in
numero alquanto contenuto in questo primo libro e tutte nei
capitoli 2-3 e una sola volta allinizio del quinto capitolo, ma
comunque sempre in connessione con la dottrina degli Eleati:
ajkivnhton 184b 16; kinoumevnhn 184b 16-17; ajkivnhton 184b 26;
kinouvmena 185a 13; ajkivnhton 186a 16; kinouvmenon 188a 20. Al
contrario, le forme relative alla coniugazione di givgnomai ri-
corrono innumerevoli volte, soprattutto a partire dal quinto
capitolo (circa ottanta occorrenze), nel quale Aristotele, dopo
aver polemizzato con i suoi predecessori, comincia lanalisi
che lo condurr alla propria dottrina dei principi. Prima di
iniziare lanalisi di questo primo libro della Fisica, quindi, mi
sembra doveroso fornire delle indicazioni sulle nozioni aristo-
teliche di movimento e di mutamento, nozioni che riprender
ampiamente nel capitolo conclusivo del presente saggio affin-
ch il lettore possa verificare la complessit del discorso ari-
stotelico e limportanza che tali nozioni rivestono anche nel
primo libro della Fisica.
Aristotele si occupa ex professo del movimento in Fisica
III, soprattutto nei capitoli 1-3, e del mutamento in Fisica
V 1-2; egli inoltre chiarisce i diversi tipi di movimento e mu-
tamento in De gen. et corr., particolarmente nei capitoli 1-5
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I 25
del libro I.
8
Non bisogna ignorare, tuttavia, che in tutti que-
sti luoghi lo Stagirita riprende e sviluppa delle questioni che
egli ha avuto gi occasione di affrontare nel primo libro della
Fisica, a proposito della ricerca dei principi, come stato po-
sto in evidenza ad esempio da A.L. Peck,
9
da R. Sorabji
10
e
pi recentemente da L. Couloubaritsis.
11
Il movimento , per
Aristotele, un dato innegabile dellesperienza ed una pro-
priet imprescindibile degli enti naturali; quindi non possi-
bile n trattare del movimento prescindendo dagli enti natu-
rali n, viceversa, trattare degli enti naturali prescindendo
dal movimento. Scrive, infatti, Aristotele in Phys. III 1, 200b
32-33 che non c movimento fuori delle cose (oujk e[sti de;
kivnhsi~ para; ta; pravgmata).
12
Indagare, quindi, sulle cose na-
turali significa immediatamente indagare anche sul movi-
mento. Ma qualche linea prima Aristotele, cercando il princi-
pio del movimento, aveva trovato questo principio nella natu-
18
Per precisione occorre dire, in verit, che a partire dal libro ter-
zo della Fisica tutta lopera si occupa del movimento e del mutamento:
nel libro III Aristotele fornisce la definizione di movimento, analizza le
posizioni dei suoi predecessori sullargomento, tecnica che gli del tut-
to consueta, e poi discute dellinfinito; nel libro IV analizza in dettaglio
delle nozioni sempre connesse al discorso sul movimento, ossia il luo-
go, il vuoto, il tempo (cf. anche Phys. II 9, 200a 20-21); nel libro V di-
scute delle specie del mutamento e del contrario del movimento, ossia
del rapporto movimento-quiete; nel libro VI Aristotele tratta del conti-
nuo, a cui associa la nozione di infinito, e dei diversi aspetti del mo-
vimento: limpossibilit di movimento e quiete nellistante (cap. 3), la
divisibilit dei componenti del movimento (cap. 4), le fasi del muta-
mento (capp. 5-6), eccetera; i libri VII e VIII, invece, si occupano del
rapporto tra motore e mosso, del movimento eterno e del primo motore
immobile.
19
Cf. A.L. Peck, Aristotle on Kinesis, Albany (N.Y.) 1971, I, pp.
478-490.
10
Cf. R. Sorabji, Matter, Space and Motion, London 1988, passim.
11
Cf. L. Couloubaritsis, La Physique dAristote. Deuxime dition
modifie et augmente de Lavnement de la science Physique, Bruxel-
les 1997, passim.
12
chiaro che qui il generico ta; pravgmata indica specificamente
gli enti naturali in quanto cose oggetto della scienza fisica.
26 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
ra stessa dei pravgmata, infatti scrive in Phys. III 1, 200b 12-
15: Poich la natura principio di movimento e di muta-
mento (ejpei; d hJ fuvsi~ mevn ejstin ajrch; kinhvsew~ kai; metabolh`~)
e la nostra ricerca riguarda la natura (hJ de; mevqodo~ hJmi`n peri;
fuvsewv~ ejsti), occorre che non ci resti nascosto che cos movi-
mento (dei` mh; lanqavnein tiv ejsti kivnhsi~), perch ignorando
questo si ignora necessariamente anche la natura (ajnagkai`on
ga;r ajgnooumevnh~ aujth`~ ajgnoei`sqai kai; th;n fuvsin). Subito do-
po Aristotele anticipa con una sua asserzione quello che dir
una pagina dopo, cio il discorso sulla potenza e sullatto in
rapporto al movimento, dicendo: Ebbene, da un lato esiste
ci che solamente in entelechia (to; me;n ejnteleceiva/ movnon),
dallaltro lato ci che in potenza e in entelechia <insieme>
(to; de; dunavmei kai; ejnteleceiva/), il qualcosa di determinato (to;
me;n tovde ti), il quanto determinato (to; de; tosovnde), il quale
determinato (to; de; toiovnde) e cos per tutte le altre categorie
dellessere (kai; tw`n a[llwn tw`n tou` o[nto~ kathgoriw`n oJmoivw~).
13
Se vero che le cose di cui qui si parla sono gli enti della na-
tura, vero anche che, secondo Aristotele, gli enti apparten-
gono a quellessere di cui egli dice che ha molti significati:
nella fattispecie lessere inteso nel significato di ente natu-
rale. Ma Aristotele dice anche che tra i significati dellessere
c anche quello espresso dalla coppia potenza-atto. Ciascuna
delle cose naturali, infatti, pu essere in potenza o in atto. La
13
Cf. Aristot., Phys. III 1, 200b 26-28. Il passo di Aristotele, che
viene in parte chiarito da ci che il filosofo dice qualche linea dopo, cio
dove si parla del mutamento secondo la sostanza e secondo le altre ca-
tegorie, non appare molto chiaro, ma linterpretazione pi plausibile
sembra quella secondo cui tutta la parte del discorso successiva alle-
spressione to; de; dunavmei kai; ejnteleceiv a/ si riferisce solo a questo secondo
termine della distinzione restando escluso, quindi, il primo termine,
cio ci che soltanto in entelechia, che resterebbe escluso dal muta-
mento e, quindi, dal movimento. Del resto, induce a una tale soluzione
il commento che Simplicio fa di questa espressione aristotelica, cf. In
Phys. 398,2 ss., dove precisa che il primo termine della distinzione si
attribuisce solo alle sostanze ingenerate e immateriali. Per una ulterio-
re riflessione rimando a quanto discuto in Appendice ad loc.
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I 27
relazione tra la potenza e latto nelle cose tale che, rispetto
allessere in atto qualcosa di determinato, lessere in potenza
in qualche modo non essere, poich indica il non essere
quel qualcosa di determinato in atto. Per Aristotele ci che
in potenza comunque qualcosa di reale e la potenza la
reale ed effettiva possibilit di divenire qualcosa in atto. Ora,
quando una cosa passa dallessere in potenza allessere in at-
to avviene un movimento, per cui Aristotele definisce il movi-
mento (kivnhsi~) come lentelechia (ejntelevceia) di ci che in
potenza in quanto tale.
14
Quindi, il movimento altro non
che il passaggio allatto di un mobile in quanto mobile.
Detto questo ritengo sia necessario aprire una parentesi
per puntualizzare un discorso che utilizzer anche nel segui-
to del presente lavoro.
Si noter che nei passi or ora citati traduco il termine
greco ejntelevceia con entelechia e non semplicemente con
atto perch esiste, a mio avviso, una certa differenza fra i
due termini greci che vengono comunemente tradotti con il
termine atto, cio ejntelevceia ed ejnevrgeia, come chiarir qui
di seguito. Intanto, voglio subito precisare che nel corso della
tradizione commentaria antica e anche dellesegesi moderna
questi due termini, ejntelevceia ed ejnevrgeia, si sono spesso
confusi o sono stati usati indifferentemente. Questo errore
deriva non solo da commentatori come Simplicio il quale, a
corroborare questo suo uso, invoca come esempi Alessandro
di Afrodisia, Porfirio e Temistio ma anche da Filopono e da
Metaph. XI 9, 1065b 5 ss., che tuttavia da molti considera-
to un libro spurio della Metafisica aristotelica.
15
Io credo che
14
Aristot., Phys. III 1, 201a 10-11: hJ tou` dunavmei o[nto~ ejntelevceia, h|/
toiou`ton, kivnhsiv~ ejstin; cf. anche Aristot., Phys. III 1, 201a 27-29; III 1,
201b 4-5; III 2, 202a 7-8. Inoltre in Metaph. XI 9, 1065b 33 si legge: hJ
tou` dunatou` kai; h| / dunato;n ejntelevceia kiv nhsiv ~ ej stin.
15
Cf. P. Aubenque, Sur linauthenticit du livre K de la Mtaph., in
Zweifelhaftes im Corpus aristotelicum (Symp. Arist., Berlin 1981), ed.
P. Moraux-J. Wiesner, Berlin-New York 1983, pp. 318-344; men-
tre di converso, a favore dellautenticit di tale libro della Metafisica
28 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
ejntelevceia ed ejnevrgeia non siano per Aristotele termini equi-
valenti e se possibile che il secondo talvolta si identifichi
con il primo e venga usato nel senso di ejntelevceia non acca-
de, tuttavia, il contrario. Il termine ejntelevceia, infatti, espri-
me bene il significato dei suoi componenti stessi indican-
do qualcosa che impegnato nel processo di passaggio dalla
duvnami~ allejnevrgeia e che, quindi, non pi in potenza ma
non si pu dire ancora nemmeno che sia in atto nel senso del
risultato conclusivo del processo che conduce lente ad attuar-
si. Per usare le categorie dellessere, ad esempio, lentelechia
propria di ci che non ancora un qualcosa di determinato,
n un quanto determinato, n un quale determinato eccetera,
stato proprio dellejnevrgeia. Al contrario, lentelechia pro-
pria di ci che sta per essere un qualcosa di determinato, un
quanto determinato, un quale determinato eccetera, per cui
comprensibile a mio avviso che Aristotele definisca il mo-
vimento ricorrendo non al concetto di ejnevrgeia bens a quello
di ejntelevceia, dal momento che questultimo , come io credo
e come mi sforzer di mostrare nella parte conclusiva di que-
ste pagine, propriamente il processo che realizza il passaggio
da uno stato di potenza ad uno stato compiuto di attualit,
cio il passaggio dalla duvnami~ allejnevrgeia. Sebbene quindi
non si possa dire propriamente che Aristotele usi due nozioni
differenti di atto, pur tuttavia luso di due termini differen-
ti, appunto ejntelevceia ed ejnevrgeia, ci indica che per Aristote-
le la nozione di atto possiede due sfumature diverse di signi-
ficato: da un lato latto il processo dellattuarsi, il passare,
cio lejntelevceia, e dallaltro lato latto il risultato del pro-
cesso, il gi passato, cio lejnevrgeia. Per questi motivi io cre-
do che, sebbene la traduzione di ejntelevceia con il termine
atto non sia un vero e proprio errore, tuttavia si tratta di
una traduzione che spesso osteggia la comprensione corretta
si pronuncia, nello stesso volume che pubblica larticolo appena citato
di Aubenque, V. Dcarie, Lauthenticit du livre K de la Mtaph., pp.
295-315.
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I 29
di molti passi aristotelici e, in primo luogo, di quei passi in
cui Aristotele definisce il movimento, nozione nella quale il
concetto di ejntelevceia ha unimportanza fondamentale.
16
Ma
riprendiamo le fila del discorso l dove lo avevamo lasciato.
Dopo aver definito il movimento come passaggio allatto
di un mobile in quanto mobile Aristotele analizza le diverse
forme di movimento e giunge a delinearne quattro. Infatti,
lessere pu essere definito e analizzato tramite le categorie,
di conseguenza le categorie riguarderanno anche il movimen-
to.
17
Tuttavia, alcune delle categorie non ammettono il movi-
mento, come ad esempio la relazione,
18
oppure sono gi in
qualche modo dei movimenti di per s, come lagire e il pati-
re,
19
quindi dallanalisi aristotelica emerge che le categorie
coinvolte nel movimento sono queste quattro: la sostanza, la
qualit, la quantit, il luogo.
20
Infatti il movimento secondo
16
Un esempio in cui la traduzione univoca con il termine atto dei
due termini greci ejntelevceia ed ejnevrgeia induce a confusione e impreci-
sione ermeneutica , ad esempio, il passaggio di Aristot., Phys. III 1,
201a 27-29, che si trover discusso in Appendice. Per una discussione
dettagliata della differenza che sussiste fra ejntelevceia ed ejnevrgeia si cf.
anche L. Couloubaritsis, La Physique dAristote cit., pp. 266 ss.
17
Cf. Aristot., Phys. III 1, 201a 8-9: Di conseguenza del movimen-
to e del mutamento ci sono tante forme quante ce ne sono dellessere
(w{ ste kinhvsew~ kai; metabolh` ~ e[ stin ei[ dh tosau`ta o{ sa tou` o[ nto~).
18
Cf. Aristot., Phys. V 2, 225b 11-13. Infatti dei due relativi, anche
se muta uno solo dei due, muta la relazione stessa, per cui il movimen-
to dei relativi solo accidentale e non c passaggio da un contrario al
contrario.
19
Cf. Aristot., Phys. V 2, 225b 13 ss.
20
chiaro che la fisica moderna considera propriamente il movi-
mento come una traslazione da un punto ad un altro, cio come movi-
mento locale. Tale tipo di movimento ha anche per Aristotele un rilievo
particolare e, per cos dire, una certa superiorit rispetto agli altri tre
tipi di movimento, perch, in effetti, se vero ed in questo Aristotele
di una precisione assoluta che laumentare, il diminuire, il cambiare
forma, sono tutti processi che si realizzano e, quindi, che presuppongo-
no il movimento, che effettua tale realizzazione, tuttavia anche vero
che il movimento nel senso pi proprio uno spostamento, una trasla-
zione. Sulla superiorit del movimento come forav in Aristotele si legga-
30 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
la sostanza la generazione e la corruzione (gevnesi~/fqorav);
il movimento secondo la qualit lalterazione (ajlloivwsi~); il
movimento secondo la quantit laccrescimento e la diminu-
zione (au[xhsi~/fqivsi~); il movimento secondo il luogo la tra-
slazione (forav). Secondo quanto si detto, allora, il movi-
mento secondo la sostanza, per cui una cosa nasce o muore,
cio viene allessere o cessa di essere, latto del nascere e
del morire di ci che generabile e corruttibile; il movimento
secondo la qualit latto di alterazione di ci che alterabi-
le; il movimento secondo la quantit latto di accrescimento
o di diminuzione di ci che accrescibile e diminuibile; il mo-
vimento secondo il luogo latto di traslazione di un mobile.
Scrive, infatti, Aristotele: Lentelechia di ci che in poten-
za in quanto tale movimento; per esempio, di ci che alte-
rabile, in quanto alterabile, alterazione (ajlloivwsi~), dellau-
mentabile e del suo opposto, il diminuibile (infatti non vi
un nome comune per entrambi), aumento e diminuzione
(au[xhsi~ kai; fqivsi~), del generabile e del corruttibile, genera-
zione e corruzione (gevnesi~ kai; fqorav), del traslabile, trasla-
zione (forav). Che questo sia il movimento (kivnhsi~), chiaro
da quel che segue.
21
interessante notare che in questo pas-
so del terzo libro della Fisica, quindi, tutti i tipi di movimen-
to elencati, anche la generazione e la corruzione,
22
sono per
Aristotele kivnhsi~: sembrerebbe cio esserci una contraddi-
zione rispetto a quanto Aristotele dice nel libro V 1-2 a pro-
posito del mutamento, come possiamo vedere qui di seguito.
no non solo le pagine di P. Duhem, Le systme du monde. Histoire des
doctrines cosmologiques de Platon Copernic, Paris 1954, I pp. 159-169,
ma anche E. Berti, La suprmatie du mouvement local selon Aristote:
ses consquences et ses apories, in Aristoteles. Werk und Wirkung, P. Mo-
raux gewidmet, 1. Band, Berlin-New York 1985, pp. 123-150; L.A. Ko-
sman, Aristotles definition of motion, Phronesis, 14 (1969), pp. 40-62.
21
Aristot., Phys. III 1, 201a 10-15. In questo passo Aristotele forni-
sce i termini che riguardano i diversi tipi di movimento e che sono quel-
li che ho indicato tra parentesi nel testo.
22
Sul movimento secondo la sostanza, che in altri luoghi della Fisica
Aristotele, apparentemente, non ammette, rimando alle pp. 133-134.
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I 31
Il movimento, come ho detto, sempre il passaggio da ci
che in potenza in quanto tale al realizzarsi in atto di questa
potenza.
23
Lo stesso si pu dire per il mutamento. Sia quando
muta sia quando si muove, infatti, lente naturale subisce un
passaggio nel suo contrario: nellente che muta, in altri ter-
mini, sono presenti determinazioni contrarie, ma luna in po-
tenza e laltra in atto. Una cosa pu, per esempio, mutare da
calda a fredda e viceversa, e questo perch la cosa calda in
atto e fredda in potenza o viceversa. Il passaggio alla forma
contraria avviene nei mutamenti secondo la qualit, secondo
la quantit e secondo il luogo, poich questi modi di essere
ammettono il contrario, mentre nel mutamento secondo la
sostanza, che non ammette contrario,
24
si avr il passaggio
da un contraddittorio allaltro.
25
23
utile dire, per incidens, come tale processo ci conduce anche a
una relazione fra il motore e il mosso, dal momento che affinch si rea-
lizzi un movimento necessario che la cosa che si muove o che muta
subisca il movimento o il mutamento da qualcosa che agisce. Tale mo-
tore del movimento , per Aristotele, esso stesso in movimento; cf. Ari-
stot., Phys. III 1, 201a 23-25: w{ste kai; to; kinou`n fusikw`~ kinhtovn: pa`n
ga;r to; toiou`ton kinei` kinouvmenon kai; aujtov . Sul movimento del motore
cf. anche Aristot., Phys. III 2, 202a 3-202b 29.
24
Cf. anche Aristot., Cat., 5, 3b 24-27: proprio delle sostanze an-
che non avere alcun contrario (Upavrcei de; tai`~ oujsivai~ kai; to; mhde;n
aujtai`~ ejnantivon ei\nai). Infatti, quale potrebbe essere il contrario della
sostanza prima (th`/ ga;r prwvth/ oujsiva/ tiv a]n ei[h ejnantivon)? Non c nessun
contrario, ad esempio, di un uomo determinato o di un animale determi-
nato (oi| on tw` / tini; aj nqrwv pw/ <h] tw` / tini; zw/ v w/ > ouj dev n ej stin ej nantiv on) e neppu-
re c alcun contrario delluomo o dellanimale (oujdev ge tw`/ ajnqrwvpw/ h] tw`/
zwv / w/ ouj dev n ej stin ej nantivon). Aristotele distingue fra luomo determinato,
che sostanza prima, e luomo o lanimale che sono sostanze secon-
de. Sempre nelle Categorie, tuttavia, leggiamo che la sostanza ha la par-
ticolarit di accogliere i contrari pur non avendo nessun contrario, come
Aristotele ci spiega in Cat., 5, 4a 10ss.: Ma sembra essere propriet al
pi alto livello della sostanza esser capace di accogliere i contrari pur ri-
manendo la stessa e una per numero [mavlista de; i[dion th`~ oujsiva~ dokei`
ei\ nai to; tauj to;n kai; e} n aj riqmw` / o] n tw` n ej nantiv wn ei\ nai dektikovn].
25
Non certamente questo il luogo per affrontare una discussione
dettagliata sulla nozione di contrariet in Aristotele o di contraddizio-
32 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
Questo discorso ben chiarito da Aristotele nei capitoli
1-2 del libro V. Il filosofo distingue, in primo luogo, allinizio
del primo capitolo del V libro, il mutamento e il movimento
per accidente, da quello in cui mutano o si muovono una o
pi parti di un tutto e da quello in cui a mutare o a muoversi
la cosa di per s: infatti noi diciamo, ad esempio, che il mu-
sico cammina e questo un mutamento accidentale, poich
al musico pu capitare di camminare o di non camminare; di-
ciamo poi che il corpo guarisce perch guarisce, ad esempio,
locchio o il torace e allora noi estendiamo il concetto di gua-
rigione a tutto il corpo, mentre a guarire in realt solo una
parte di esso; ma ci possono essere casi in cui una cosa non si
muove o muta per accidente n perch si muove o muta una
sua parte, bens si muove o muta essa stessa.
26
Tra queste
specie di mutamento, dice Aristotele, si pu tralasciare il
mutamento per accidente, poich questo si trova in tutte le
cose e sempre e, quindi, non consente di operare alcuna di-
stinzione reale fra le cose n di farci comprendere qualcosa di
ne. Si ricorder, quindi, in breve, dalle Categorie che i contrari sono le
determinazioni massimamente distanti entro uno stesso genere (cf.
Cat., 6, 6a 17-18). Dei contrari si occupa anche il De interpretatione (cf.,
ad esempio, il cap. 14). Nel De interpretatione Aristotele considera i con-
traddittori luno negazione dellaltro che affermazione. Scrive, infatti,
il filosofo in De interpr., 6, 17a 31-34: Di conseguenza evidente che ad
ogni affermazione opposta una negazione, e ad ogni negazione unaf-
fermazione (w{ste dh`lon o{ti pavsh/ katafavsei ejsti;n ajpovfasi~ ajntikeimevnh
kai; pav sh/ aj pofavsei katav fasi~). E la contraddizione (aj ntivfasi~) sia inte-
sa in questo senso, ossia laffermazione e la negazione come opposte
(katavfasi~ kai; ajpovfasi~ aiJ ajntikeivmenai). Sia i contrari che i contrad-
dittori rientrano nei quattro modi dellopposizione, elencati da Aristot.,
Cat., 9-10, 11b 17-23, e che sono appunto la contrapposizione dei ter-
mini relativi, dei contrari, del possesso-privazione, dellaffermazio-
ne-negazione (cf. anche Metaph. V 10, 1018a 20 ss.). Largomento dei
contrari discusso con ampiezza e ricchezza di analisi da J.P. Anton,
Aristotles Theory of Contrariety, London 1957
2
. Sul problema dei con-
trari nel mutamento si cf. anche J. Bogen, Change and Contrariety in
Aristotle, Phronesis, 37
1
(1992), pp. 1-21.
26
Cf. Aristot., Phys. V 1, 224a 21-224b 1.
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I 33
importante sul movimento stesso.
27
Al contrario, il mutamen-
to che non avviene per accidente non avviene in tutte le cose,
bens solo nei contrari o nella contraddizione.
28
Il mutamento
pu allora avvenire in quattro modi: da un sostrato verso un
sostrato, da un sostrato verso un non sostrato, da un non so-
strato verso un sostrato, da un non sostrato verso un non so-
strato. Di questi quattro modi, per, il quarto, ossia il pas-
saggio da un non sostrato verso un non sostrato, non muta-
mento, perch non costituisce unantitesi, ossia non c fra
luno e laltro termine del processo che realizza il mutamento
n un contrario n un contraddittorio.
29
Degli altri tre modi,
invece, il mutamento da un non sostrato verso un sostrato
la generazione, e pu essere generazione in senso assoluto
oppure non in senso assoluto, cio pu essere una vera e pro-
pria nascita di un essere, ossia la generazione di una sostan-
za dal non essere,
30
oppure, ad esempio, il passaggio al bian-
co dal non bianco; il mutamento da un sostrato verso un non
sostrato invece la corruzione, e anche questa pu essere in
senso assoluto o non in senso assoluto, a seconda che si tratti
di un procedere da una sostanza verso il non essere, e in tal
27
Cf. Aristot., Phys. V 1, 224b 26-27.
28
Cf. Aristot., Phys. V 1, 224b 28-29: hJ de; mh; kata; sumbebhko;~ oujk
ejn a{pasin, aJll ejn toi`~ ejnantivoi~ kai; toi`~ metaxu; kai; ejn ajntifavsei. Per
la verit Aristotele cita contrari, intermedi e contraddizione. Gli inter-
medi sono determinazioni intermedie, appunto, fra i contrari, che si
hanno solo quando i contrari non appartengono alla cosa in maniera
necessaria, mentre al contrario, cio quando i contrari appartengono
alla cosa in maniera necessaria, non vi sono fra di essi determinazioni
intermedie.
29
Cf. Aristot., Phys. V 1, 225a 10-12: hJ ga;r oujk ejx uJpokeimevnou eij~
mh; uJpokeivmenon ouj k e[stin metabolh; dia; to; mh; ei\nai kat ajntivqesin.
30
Quando parlo di generazione e di corruzione, ossia di passaggio
dal non essere allessere e dallessere al non essere, non intendo, ovvia-
mente, il non essere in senso assoluto, che per Aristotele inconcepibi-
le, ma il non essere una particolare cosa. Il senso che Aristotele attri-
buisce al non essere sar ben chiaro quando, nel corso di queste pagine,
discuter del divenire di una sostanza cos come Aristotele ce ne parla
nel capitolo settimo di questo primo libro della Fisica.
34 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
caso sar in senso assoluto, oppure un procedere verso lop-
posta negazione.
31
I processi di generazione e di corruzione, dice Aristotele,
che sono contrari fra loro, non sono movimenti, ma avvengo-
no per contraddizione e sono mutamenti, mentre invece
movimento soltanto quello che avviene da un sostrato verso
un sostrato e i sostrati sono fra loro o contrari o intermedi.
32
Quindi, visto che inizialmente si detto che fra tutte le cate-
gorie soltanto la sostanza, la qualit, la quantit e il luogo
sono soggetti a movimento e che il mutamento avviene fra
contraddittori nel caso della sostanza e fra contrari nel caso
delle altre determinazioni dellessere, chiaro che, in senso
pi proprio, quello della sostanza mutamento e non movi-
mento,
33
metabolhv e non kivnhsi~, mentre sono propriamente
movimenti quelli secondo la qualit, secondo la quantit e se-
condo il luogo. Ossia, in altre parole: per Aristotele sembre-
rebbero esserci tre tipi di mutamento: la generazione, la cor-
ruzione e il movimento; generazione e corruzione sarebbero
mutamenti secondo la sostanza, mentre il movimento avver-
rebbe secondo la qualit, secondo la quantit o secondo il luo-
go. Quindi, gli ultimi tre tipi di mutamento sembrerebbero
derivare da una divisione ulteriore del mutamento che il
31
Tutto questo discorso pu leggersi in Aristot., Phys. V 1, 225a
1-225b 9.
32
Cf. supra, pp. 30-31.
33
Ecco perch Aristotele, in Phys. V 2, 225b 10-11, scrive: Secondo
la sostanza non vi movimento, per il fatto che, fra gli enti, non esiste,
relativamente alla sostanza, alcun contrario (kat oujsivan d oujk e[stin
kivnhsi~ dia; to; mhde;n ei\nai oujsiva/ tw`n o[ntwn ejnantivon); cf. anche Aristot.,
Cat., 5, 3b 24-27. Questa traduzione evita il coordinamento tra tw`n
o[ ntwn ed ej nantiv on, come alcuni fanno, perch una tale dipendenza di tw` n
o[ntwn da ejnantivon crea lambiguit, che certamente non pu attribuirsi
ad Aristotele, secondo la quale il problema sarebbe di negare lesistenza
di un ente contrario rispetto alla sostanza, il che non . Per questa ra-
gione io intendo qui che il tw` n o[ntwn indipendente rispetto ad ejnantivon
e, semmai, il coordinamento fra ejnantivon e oujsiva/, che qui , a mio av-
viso, un dativo di relazione; cf. lAppendice di questo volume ad loc.
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I 35
movimento e che lunico tipo di mutamento che procede da
un sostrato verso un sostrato.
34
Intendendo Fisica V 1-2 in
tal modo, dunque, la nozione di movimento (kivnhsi~) sarebbe
interna a quella di mutamento (metabolhv) e meno ampia di
questultima.
Possiamo allora, sulla base di quanto detto, costruire uno
schema in cui collocare le diverse specie del mutamento e in-
dicarle con il corrispondente termine greco. Lo schema, che
non sono certamente la prima ad esporre e sulla cui validit
discuter in seguito, potrebbe essere il seguente:
35
mutamento (metabolhv )
a) generazione (gevnesi~) e corruzione (fqorav )
b) movimento (kivnhsi~)
b1) secondo la qualit (ajlloivwsi~)
b2) secondo la quantit (au[xhsi~/fqivsi~)
b3) secondo il luogo (forav )
Secondo un tale schema, mutamento secondo la sostanza
quello distinto in generazione e corruzione, mentre gli altri
tre tipi di mutamento sono propriamente kivnhsi~, ossia mo-
vimento. In base a questo schema, tuttavia, gevnesi~ e fqorav
riguardano soltanto la sostanza, mentre occorre usare un ac-
corgimento affinch questo sia vero. Infatti, sia la generazio-
ne che la corruzione, avverte Aristotele, possono essere sia
in senso assoluto, aJplw`~, sia non in senso assoluto. Seguia-
34
La distinzione aristotelica potrebbe schematizzarsi nel seguente
modo:
I) mutamento da un non sostrato a un sostrato generazione (mu-
tamento secondo la sostanza);
II) mutamento da un sostrato a un non sostrato corruzione (mu-
tamento secondo la sostanza);
III) mutamento da un sostrato a un sostrato movimento (cio se-
condo qualit, quantit, luogo);
IV) mutamento da un non sostrato a un non sostrato non esiste
perch non ha n contrario n contraddizione.
35
Cf. la parte conclusiva del presente saggio, al cap. 5.
36 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
mo quanto il filosofo dice in Phys. V 1, 225a 12 ss.: Dunque,
il mutamento da non sostrato a sostrato, essendo per con-
traddizione, generazione (hJ me;n ou\n oujk ejx uJpokeimevnou eij~
uJpokeivmenon metabolh; kat ajntivfasin gevnesiv~ ejstin): assoluta
se <avviene> in senso assoluto (hJ me;n aJplw`~ aJplh`), relativa se
<generazione> di qualcosa relativo <al sostrato> (hJ de; ti;~
tinov~) (per esempio, quella che procede dal non bianco al
bianco generazione di questultimo,
36
mentre quella che
procede dal non essere in senso assoluto alla sostanza ge-
nerazione in senso assoluto, secondo la quale noi diciamo che
nasce in senso assoluto e non che nasce qualcosa di relati-
vo oi|on hJ me;n ejk mh; leukou` eij~ leuko;n gevnesi~ touvtou, hJ d ejk
tou` mh; o[nto~ aJplw`~ eij~ oujsivan gevnesi~ aJplw`~, kaq h}n aJplw`~
givgnesqai kai; ouj ti; givgnesqai levgomen); il mutamento da so-
strato a non sostrato corruzione (hJ de; ejx uJpokeimevnou eij~ oujc
uJpokeivmenon fqorav), in senso assoluto quella che procede dal-
la sostanza al non essere, una corruzione relativa, quella che
procede verso la negazione opposta
37
cos come si detto
anche per la generazione (aJplw`~ me;n hJ ejk th`~ oujsiva~ eij~ to; mh;
ei\nai ti;~ de; hJ eij~ th;n ajntikeimevnhn ajpovfasin, kaqavper ejlevcqh
kai; ejpi; th`~ genevsew~). Occorre distinguere, quindi, la gene-
razione in senso assoluto e la corruzione in senso assoluto,
gevnesi~ aJplw`~ e fqora; aJplw`~, dalla generazione e dalla corru-
zione di una determinazione specifica, che sono una certa
generazione e una certa corruzione, come nel caso del non
bianco da cui si genera il bianco o del bianco che perisce in
36
Il touvtou si riferisce qui a leukovn e non, come qualcuno potrebbe
ritenere, a uJpokeivmenon. Infatti qui Aristotele sta parlando di una gene-
razione per contraddizione, cio di una generazione da un non sostrato
a sostrato, mentre se avesse in mente la generazione di un ente bianco
da un ente non bianco sarebbe sempre una generazione da sostrato a
sostrato. Quindi Aristotele, dicendo ejk mh; leukou` eij~ leuko;n gevnesi~, in-
tende la generazione della propriet del bianco.
37
Scil. la negazione dellaffermazione corruzione, cio il non es-
serci dallesserci, mentre laffermazione della negazione generazione,
cio lesserci dal non esserci.
LA QUESTIONE DEL RUOLO DI PHYS. I 37
non bianco. Fatta questa distinzione, quindi, troveremo che
dove abbiamo posto la generazione e la corruzione quali mu-
tamenti secondo la sostanza e non movimenti, dobbiamo con-
siderare la generazione in senso assoluto e la corruzione in
senso assoluto, cio non semplicemente gevnesi~ e fqorav ma
gevnesi~ aJplw`~ e fqora; aJplw`~, mentre il generarsi e il corrom-
persi di qualcosa, come nellesempio del bianco, che una
qualit, si riscontra anche nelle specie del mutamento che
Aristotele indica come movimento (kivnhsi~). Non c quindi, a
mio avviso, contraddizione con quanto Aristotele ha afferma-
to allinizio del terzo libro, nel passo in cui dice che i vari tipi
di mutamento, compresa la generazione e la corruzione, sono
kivnhsi~.
Fatta questa premessa, mi sembra opportuno passare ad
analizzare in dettaglio il libro primo della Fisica che vo-
glio qui principalmente prendere in esame per poi confron-
tare con il contenuto di esso quanto fin qui detto e prosegui-
re nel confronto delle nozioni di kivnhsi~ e di metabolhv con il
givgnesqai che emerge appunto da questo primo libro.
38 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
2.
LIPOTESI DELLUNICIT DEL PRINCIPIO:
CRITICA DELLELEATISMO (PHYS. I 1-3)
Aristotele, dopo avere determinato che la fisica una
scienza che come tutte le scienze si basa sulla conoscenza
scientifica dei primi principi, delle prime cause e degli ele-
menti delle cose che intende conoscere (cap. 1), affronta il pro-
blema del numero e della natura dei principi e si domanda se
il principio uno solo o sono molti e nel caso che sia uno se
immobile o mosso, mentre nel caso che siano molti se sono un
numero determinato o infiniti. Queste varie ipotesi sui princi-
pi Aristotele le esamina sulla base di una ricognizione anali-
tica delle posizioni dei filosofi che lo precedettero e, in parti-
colare, consacra i capitoli 2-3 alla critica della posizione degli
Eleati, precisamente Parmenide e Melisso. Nel cap. 4 il discor-
so continua con la confutazione delle posizioni dei filosofi plu-
ralisti, Anassagora ed Empedocle, dopo di che Aristotele pas-
sa a fissare una sua dottrina dei principi (capp. 5-7), alla luce
della quale cercher di risolvere unaporia eleatica (cap. 8) e
che, infine, confronter con la posizione dei Platonici (cap. 9).
La fusikh; ejpisthvmh per Aristotele quella scienza che
si occupa della realt naturale, ossia di quella realt che, co-
me egli ben chiarisce in Phys. II 1, 192b 21, caratterizza-
ta dallavere in se stessa il principio del movimento e della
stasi ed soggetta a generazione e corruzione. Si tratta di
una prospettiva di indagine sulla fuvsi~ che colloca Aristote-
le sulla stessa linea dei filosofi naturalisti che lo avevano
preceduto. Questi ultimi, sebbene con strumenti filosofici me-
no raffinati, avevano ricercato lajrchv delle cose.
38
Fra i natu-
38
Occorre dire che, sebbene la Fisica aristotelica parta da contenu-
ti tematici che richiamano lesperienza naturalistica dei Presocratici,
affermazioni di Melisso si escludono a vicenda e, al massimo,
pu essere vera solo una delle due, ma certamente non en-
trambe.
Tuttavia, precisa Aristotele a questo punto, anche luno,
non solo lessere, si dice in molti modi (kai; auj to; to; e} n pollacw` ~
lev getai w{ sper to; o[ n),
92
quindi occorre comprendere anche qual
il modo in cui gli Eleati intendono luno per capire la loro
affermazione secondo cui tutte le cose sono uno. Luno, infat-
ti, o il continuo (to; sunecev~) o lindivisibile (to; ajdiaivreton)
oppure le cose di cui c ununica e medesima definizione di
ci che il loro essere, come ad esempio la stessa la defi-
nizione di bevanda inebriante e di vino.
93
Tuttavia, se luno
continuo (sunecev~), allora luno molti, perch il continuo
divisibile allinfinito,
94
se invece luno indivisibile sar
esattamente il contrario di sunecev~ e non sar n quantit
n qualit e lessere, allora, non sar infinito come affer-
ma Melisso, n daltra parte sar limitato come afferma Par-
menide, perch ad essere indivisibile il limite (pevra~) non
il limitato (peperasmevnon).
95
Se assumiamo, infine, la terza
92
Cf. Aristot., Phys. I 2, 185b 6.
93
Cf. Aristot., Phys. I 2, 185b 7-8: Aristotele si riferisce qui a due
nomi della stessa bevanda secondo luso che ne fa Omero, Il., 7,471;
9,469; e Od., 4,746.
94
Questa identificazione delluno con il continuo, da cui deriva che
luno nel senso di continuo sarebbe, in realt, molti, si complica se si
articolano di essa aspetti diversi. Infatti, Aristotele precisa che, ad
esempio, si potrebbe aggiungere la difficolt che deriva dal prendere in
considerazione in che modo stiano le une rispetto allaltro le parti e lin-
tero, perch ci si deve chiedere se la parte e lintero sono uno o pi di
uno, e se lo sono in uno di questi due modi occorre chiedersi in che mo-
do sono uno o in che modo sono pi di uno, e se sono pi di uno in che
modo lo sono nel senso che di due parti ciascuna pu essere uno con
lintero, cio indivisibile dallintero, oppure ciascuna una con se
stessa (cf. Phys. I 2, 185b 11-16).
95
Cf. Aristot., Phys. I 2, 185b 16-19. Quando Aristotele parla del-
luno rimane sempre sullo sfondo la tesi eleatica che luno uno degli
attributi dellessere insieme a infinito, secondo Melisso, o insieme a fi-
nito, secondo Parmenide. Quindi sia il sunecev~ sia lajdiaivreton riferiti
70 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
ipotesi, cio che tutte le cose sono uno perch c ununica
e medesima definizione di ci che il loro essere, allora
gli Eleati finiscono per fare il discorso di Eraclito poich il
bene e il male, cio il bene e il non-bene, saranno la stessa
cosa e cos saranno la stessa cosa luomo e il cavallo, per cui
si arriva al paradosso che tutte le cose sono niente. Infine,
Aristotele si riferisce ai filosofi pi recenti e in particola-
re al sofista Licofrone che hanno accolto la dottrina elea-
tica e si sono trovati in difficolt di fronte alla molteplicit
che sussiste nonostante la negazione eleatica e che, quindi,
hanno cercato di risolvere le loro difficolt tramite proce-
dimenti linguistici che tuttavia non hanno affatto risolto nul-
la. Costoro, infatti, hanno eliminato dalle loro espressioni
l: al posto, ad esempio, dellespressione luomo bianco
dicono luomo biancheggia, e cos non dicono luomo cam-
minante ma luomo cammina. Essi si sono quindi illusi di
poter eliminare il problema eliminando dal linguaggio il ver-
bo essere in funzione copulativa.
96
Aristotele, come Platone,
alluno si riferiscono, di riflesso, allessere. In altri termini, se luno, che
si dice dellessere, continuo, esso sar infinito e quindi sar vera la
seconda parte dellassunto di Melisso secondo cui lessere infinito ma
non sar vera la prima, secondo cui lessere uno, perch il continuo
divisibile allinfinito; se, invece, luno indivisibile e quindi lessere
uno nel senso di indivisibile, allora potr essere vero che lessere uno
ma non potr essere vero che infinito come vuole Melisso n che li-
mitato come vuole Parmenide, perch lindivisibile non n infinito n
finito.
96
Le poche testimonianze su Licofrone si trovano in DK 83 = Vors.
II, pp. 307-308. Dalle testimonianze di Aristotele soprattutto risul-
ta chiaro che fu Antistene che negava la possibilit di un logos defi-
nitorio, cio di un logos in cui si potesse esprimere to; tiv ejstin, dal mo-
mento che ogni discorso definitorio un discorso complesso in cui, di-
ce Aristotele, si significa qualcosa di qualcosaltro. Secondo Antiste-
ne, dunque, solo possibile la definizione del poi`on tiv ejsti. Natural-
mente questa concezione antistenica era soprattutto rivolta contro la
teoria della oujsiva platonica, di cui non si pu avere alcuna ijdeva. Pro-
babilmente, dunque, possibile che nel riferire di Licofrone e di altri
in termini generici, Aristotele alluda appunto a seguaci di questa dot-
CRITICA DELLELEATISMO 71
mostra quindi tutto il suo disprezzo verso coloro che tentano
di risolvere tramite il linguaggio il problema del rapporto
uno-molti. In realt, conclude Aristotele, lessere, se si consi-
dera la definizione, molte cose e non uno, perch per la de-
finizione, ad esempio, una cosa lessere del bianco e una co-
sa lessere del musico, ma entrambe possono capitare allo
stesso ente. In questo modo, avverte Aristotele, gli Eleati non
uscivano pi dalla difficolt e arrivavano ad ammettere che
luno molti. In realt normale per Aristotele che la stessa
cosa sia uno e molti, infatti luno pu essere sia in potenza
che in atto.
Questa seconda argomentazione aristotelica contro gli
Eleati parte, quindi, da un assunto aristotelico, e non eleati-
co, cio che lessere si dice in molti modi, e a partire da tale
assunto la tesi eleatica risulter insostenibile. Come com-
prendiamo dalla critica che Aristotele muove a coloro che
hanno accolto la dottrina eleatica, per lui lessere non ha un
significato suo proprio, ma soltanto un predicato ed quin-
di ci che consente che delle cose si dica ci che di volta in
volta viene di esse predicato; non avendo un significato suo
proprio, cio, lessere prende ogni volta il significato veicolato
dalla categoria secondo la quale si predica lessere. Cos, per
Aristotele, Parmenide ha fatto confusione e ha prodotto una
tesi che non pu essere compresa, dal momento che lessere
si dice in molti modi. Fin qui i ragionamenti di Aristotele
danno come risultato che impossibile che lessere sia uno
come vogliono gli Eleati. A questo punto Aristotele passa a
smontare singolarmente le due tesi eleatiche, prima quella di
Melisso e poi quella di Parmenide.
trina antistenica anche se non appare chiara lattribuzione della solu-
zione di togliere lessere in funzione copulativa ad Antistene. Su tut-
ta questa questione si cf. A. Brancacci, Oikeios Logos. La filosofia del
linguaggio di Antistene, Napoli 1990, soprattutto il cap. 8, dove viene
discusso criticamente tutto linsieme delle testimonianze su Antiste-
ne, a questo proposito, con risultati storiografici che appaiono oggi defi-
nitivi.
72 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
Melisso fa un falso ragionamento (paralogivzetai),
97
infat-
ti egli afferma diverse assurdit: I assurdit) di ci che nasce
(to; genovmenon) c principio e di ci che non nasce non c prin-
cipio;
98
II assurdit) di tutto c un principio (intendendo dire
che c principio di ogni cosa nel tempo e non che c principio
del tempo), e di tutto c un principio in quanto nasce e in
quanto si altera, ma questo assurdo perch c mutamento
che pu avvenire dun sol colpo (metabolh; ajqrova) e quindi
prescinde dal tempo;
99
III assurdit) perch lessere immo-
bile se uno?
100
infatti, ci che si muove in se stesso non
immobile: se si considera ad esempio dellacqua, cos come si
muove una parte di essa si pu muovere lintero; IV assur-
dit) non pu esserci alterazione; V assurdit) lessere uno
per specie: questo assurdo a meno che non si intenda che
lessere uno per la specie a partire dalla quale si costitui-
sce,
101
ad esempio due uomini sono uno rispetto alla loro spe-
197
Aristot., Phys. I 3, 186a 10-11. Secondo Aristotele Melisso sta-
rebbe facendo un discorso fallace, un paralogismo, ossia userebbe un ti-
po di ragionamento che manca di consequenzialit logica, di uninferen-
za formalmente valida. Si ricorder che Aristotele affronta dettagliata-
mente il problema dei paralogismi o fallacie negli Elenchi Sofistici che,
scoperti nel XII secolo, hanno dato luogo durante il medioevo ad aspre
discussioni e a unimponente letteratura sulle fallacie.
198
Qui Aristotele non spiega perch questa tesi di Melisso assur-
da, ma lo spiega chiaramente in Soph. El., 167b 13-20, dove dice che il
difetto del ragionamento di Melisso riguarda il fatto che egli converte
illecitamente la proposizione tutto ci che generato ha un principio
in tutto ci che ha un principio generato, infatti non si pu converti-
re, ad esempio aggiunge Aristotele la proposizione chiunque ha la
febbre caldo in chiunque caldo ha la febbre, cosa evidentemen-
te non vera. Cf. Aristot., Phys. I 3, 186a 11-13: eij to; genovmenon e[cei
ajrch; n a{ pan, o{ti kai; to; mh; genovmenon ouj k e[cei.
199
Cf. Aristot., Phys. I 3, 186a 13-16: ei\ta kai; tou`to a[topon, to;
panto;~ ei\nai ajrchvn-tou` pravgmato~ kai; mh; tou` crovnou, kai; genevsew~ mh; th`~
aJplh`~ aj lla; kai; ajlloiwv sew~, w{sper oujk aj qrov a~ gignomev nh~ metabolh` ~.
100
Cf. Aristot., Phys. I 3, 186a 16: e[peita dia; tiv ajkivnhton eij e{ n.
101
Cf. Aristot., Phys. I 3, 186a 19: ajlla; mh;n oujde; tw/` ei[dei oi|ovn te e}n
ei\nai, plh;n tw/ ` ejx ou| .
CRITICA DELLELEATISMO 73
cie mentre luomo e il cavallo, ad esempio, sono diversi per
specie, questo per nega gi lunit stessa dellessere perch
presuppone la specie come qualcosa daltro rispetto allessere
che appartiene a quella specie stessa. Come si vede, pi che
una confutazione vera e propria di Melisso, Aristotele fa
piuttosto un elenco degli assurdi ragionamenti da questi ad-
dotti per dimostrare lunit dellessere, mostrando come egli
non sappia ragionare, ma discuta solo in maniera paralogi-
stica. A questo punto Aristotele passa alla confutazione di
Parmenide.
Anche per Parmenide valgono lo stesso tipo di argomen-
tazioni che lo Stagirita ha svolto per confutare Melisso, an-
che se poi ce ne sono alcune che riguardano solo Parmenide.
Bisogna subito dire che ci che Parmenide dice afferma
Aristotele un ragionamento falso che non arriva a conclu-
sione: il ragionamento parmenideo falso perch afferma che
lessere si dice aJplw`~, in un solo modo,
102
mentre per Aristote-
le si dice pollacw`~, cio in molti modi, e non arriva a conclu-
sione perch se, ad esempio, si prendono solo le cose bianche
e si ammette che il bianco ha un solo significato, nondimeno
le cose bianche sono molte e non sono uno. Altro, infatti, sar
lessere del bianco e altro lessere di ci che accoglie il bianco,
cio del sostrato che bianco, perch il bianco diverso per il
suo essere da ci cui inerisce. proprio questo ci che Par-
menide non ha compreso, dice Aristotele. Ma chiaro a noi
moderni che qui Aristotele combatte Parmenide sulla base
della sua propria distinzione dellessere nelle varie categorie,
cio secondo un procedimento che del tutto estraneo alla
dottrina parmenidea. Allo stesso modo Aristotele non ha di-
ritto di affermare, cos come fa qualche riga dopo, che Parme-
nide sbaglia nel considerare che lessere si dice aJplw` ~, cio ha
102
Sebbene sia corretto tradurre il termine come fa Zanatta, cio
in senso assoluto, dal significato complessivo del discorso aristotelico
preferisco tradurre il termine come fa Franco Repellini, ossia in un so-
lo modo in contrapposizione appunto a pollacw`~, in molti modi.
74 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
un solo significato, mentre invece si dice pollacw`~, ha cio
molti significati, perch questo un argomento che semplice-
mente oppone la propria posizione a quella di Parmenide e
non una vera e propria discussione della posizione parme-
nidea. Allora, continua Aristotele, Parmenide deve corregge-
re un poco la sua posizione secondo cui lessere ha una solo
significato, di qualunque cosa venga predicato: egli, infatti,
non pu parlare di essere tout court e di uno tout court, come
detti in un solo modo, ma deve specificare cosa significa esat-
tamente essere e cosa significa esattamente uno, usando
o{per o[n, cio ci che essere, e o{per e{n, cio ci che
uno.
103
Poich, per Aristotele, Parmenide sbaglia nel parlare
di essere e di uno simpliciter, come se avessero un solo signi-
ficato, dal momento che lessere e luno hanno pi di un si-
gnificato, Parmenide dovrebbe specificare in che modo inten-
de lessere e in che modo intende luno. Ora, se esaminiamo
la tesi degli Eleati con queste precisazioni scopriamo che es-
sa indifendibile. Poniamo, infatti, in primo luogo che lesse-
re di cui parla Parmenide sia un accidente. Poich laccidente
sempre accidente di un soggetto, ne consegue che il sogget-
to di cui lessere accidente altro dallessere in quanto acci-
dente, da cui consegue anche che lessere come accidente non
pu essere neppure accidente perch sarebbe accidente di
qualcosa che non esiste. Bisogna escludere, in altri termini,
che lessere parmenideo sia detto nel senso di accidente. E
ancora, se il significato di essere non pu essere quello di ac-
cidente, perch ne risulta un assurdo cos come si visto or
ora, possiamo per ipotesi supporre che siano altri accidenti
rispetto allessere che hanno il significato di essere, ma que-
sto assurdo perch essendo tali accidenti diversi dallessere
saranno non essere, ovvero non saranno, a meno che non si
dia un secondo significato allessere di questi accidenti, per
cui, conclude Aristotele, lessere pu avere significato di sog-
getto e mai di accidenti, mentre tutto ci che diverso dal-
103
Cf. Aristot., Phys. I 3, 186a 32-34.
CRITICA DELLELEATISMO 75
lessere pu essere soltanto come accidente e mai come sog-
getto, il che dimostra, ancora una volta, che non si pu pren-
dere lessere come voleva Parmenide, cio in un solo signifi-
cato. Aristotele per dimostrare ci si serve di un esempio con-
creto, assumendo per ipotesi il bianco come essere, ma essen-
do il bianco diverso dallessere risulta che non essere e
quindi il bianco pu essere soltanto accidente dellessere e
non pu mai stare al posto dellessere come sostanza o sog-
getto. Lessere si intende, quindi, almeno in due significati,
uno come essere in senso proprio ovvero come sostanza o sog-
getto di predicazione si ricordi che nelle Categorie Aristote-
le aveva detto che la oujsiva pu fare solo da soggetto e mai da
predicato di una proposizione e laltro come accidente e
questo un significato certamente secondario ma un altro
significato dellessere in cui si pu assumere ogni accidente e
mai lessere come sostanza.
Lo scopo della confutazione aristotelica delleleatismo
chiaramente, come si visto, quella di salvaguardare la pos-
sibilit di conoscere e di esprimere con verit le cose del mon-
do: il mondo per Aristotele intelligibile nella sua moltepli-
cit e mutevolezza. Per Aristotele gli uomini sono enti natu-
rali e appartengono alla natura cos come moltissime altre
cose. Questa appartenenza comune fa s che le cose della na-
tura siano perfettamente intelligibili alluomo, proprio per-
ch esso si trova allinterno della natura cos come lo sono gli
altri enti naturali. Luomo parte integrante di una realt di
cui molteplicit e movimento sono aspetti caratterizzanti
contrariamente a quanto avviene ad altri enti, per esempio
agli oggetti della matematica ed coinvolto da questa mol-
teplicit e mutevolezza della natura di cui fa esperienza ve-
ra. su queste basi di autentica intelligibilit della natura
che Aristotele costruisce gli otto libri della Fisica ed quindi
normale che egli veda lEleatismo come una dottrina antiteti-
ca a questo suo modo di vedere la natura.
A questo punto riprendiamo il discorso principale sulla
kivnhsi~ per mettere in evidenza che tutta la confutazione ari-
76 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
stotelica degli Eleati in funzione di una dimostrazione per
assurdo della tesi principale da cui muove Aristotele, secon-
do cui il movimento il principio fondamentale degli enti na-
turali e non pu essere negato cos come non si pu negare la
molteplicit degli enti. Riepilogando su questa parte, dun-
que, possiamo affermare che la nozione di kivnhsi~ sta alla ba-
se della concezione generale della fisica aristotelica, che qui,
come abbiamo visto, viene ribadita attraverso la negazione
della tesi opposta. Inoltre, proseguendo nel discorso vedremo
che Aristotele costruisce una sua dottrina dei principi degli
enti naturali dove, nei suoi corollari pi importanti, il movi-
mento si presenter in altre forme.
CRITICA DELLELEATISMO 77
3.
LIPOTESI DELLA MOLTEPLICIT INFINITA DEI PRINCIPI:
CRITICA DEI PLURALISTI (PHYS. I 4-6)
Vediamo innanzitutto, prima di proseguire lanalisi del
testo aristotelico, di riassumere brevemente quanto detto.
Il primo libro della Fisica, come si visto, tratta dei prin-
cipi e si articola nel modo seguente: nel primo capitolo Ari-
stotele afferma che si ha conoscenza scientifica di una qua-
lunque cosa quando si conosce tale cosa a partire dai suoi
principi, quindi chiaro che bisogna partire dai principi e
che chi si occupi della scienza della natura deve in primo luo-
go trovare i principi di essa. Nel secondo capitolo Aristotele
presenta un piano di tutte le possibili tesi sui principi in mo-
do che qualunque tesi sia stata sostenuta dai suoi predeces-
sori possa rientrare in questo quadro, dal momento che i
principi sono o uno o molti, e se molti o finiti o infiniti: oltre
queste possibilit non rintracciabile alcuna tesi sui princi-
pi. Naturalmente, Aristotele trova esempi di queste possibi-
lit teoriche sui principi nei filosofi che lo hanno preceduto a
partire da quelli che sostengono lunit del principio, cio
Eleati e Ionici. Nel corso di questo secondo capitolo e nel ter-
zo viene discussa con particolare attenzione e rifiutata la tesi
eleatica che sosteneva lunit del principio, ma che presenta-
va aspetti importanti per cui Aristotele si dilunga nel confu-
tarla; infatti, poich la tesi eleatica sostiene che il principio
non solo uno ma anche immobile, a differenza di altre tesi
unitarie del principio, giunge a una radicale eliminazione del
problema del principio. Ed particolarmente interessante il
fatto che Aristotele non perde mai di vista che il movimento
il punto di partenza della sua Fisica e per questa negazione
della mobilit degli enti propria della dottrina eleatica, ancor
pi che per lunit del principio, egli si impegna a confutare
gli Eleati. Fin qui quanto abbiamo gi visto. Nel capitolo
quarto viene discussa e rifiutata la seconda parte della tesi
secondo cui i principi sono molti, cio che sono infiniti. Ari-
stotele prende come esempio la formulazione di Anassagora.
Confutata, quindi, la tesi dellunit e quella dellinfinit dei
principi, rimane solo la terza possibilit, cio che i principi
sono finiti. Dal quinto capitolo in poi, dunque, landamento
del discorso cambia, poich esaurita la discussione confutato-
ria dei predecessori, Aristotele passa alla fase costruttiva,
quella cio in cui indaga sulla posizione corretta, e quindi
sulla propria posizione, riguardo ai principi: tale posizione
corretta che i principi sono molti e finiti. Lo Stagirita rileva
come tutta la tradizione precedente sia concorde nel ricono-
scere che i principi sono costituiti da contrari e che il fatto
che ci sia questa concordanza generale segno che in questo
contesto si trovi la verit sui principi. Non , quindi, rilevan-
te che i predecessori abbiano indicato coppie differenti di con-
trari, poich il fatto che tutti abbiano ammesso che i principi
sono appunto coppie di contrari certamente la cosa pi rile-
vante: i filosofi che lo hanno preceduto sono quasi necessitati
dalla verit a convenire sul medesimo punto. Si gi detto,
infatti, come il consensus omnium abbia per Aristotele un va-
lore di verit perch per lui non mai un caso che pi pensa-
tori si trovino concordi sulle medesime posizioni.
104
Nel sesto
capitolo il problema che Aristotele si pone se siano suffi-
cienti i due principi dati come coppia di contrari oppure se
sia necessario introdurre un terzo principio, che funga da
soggetto, o sostrato, dei contrari, e adduce delle ragioni forti
in favore di questultima tesi. Aristotele fa notare poi che esi-
ste unantica opinione a favore di tre principi e che di questa
tradizione ci sono versioni diverse, ossia diverse triadi di
principi, e dimostra anche che non ci sono ragioni per intro-
104
Cf. W. Wieland, op. cit., pp. 126-132. Al contrario, per Platone
lopinione di un grande numero di persone era indice di errore e costi-
tuiva, quindi, un criterio di non verit, cf. Plat., Rp., 492b ss.
82 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
durre pi principi che tre. Nel capitolo settimo lo Stagirita
fonda la sua triade dei principi e definisce la funzione di cia-
scuno.
Lanalisi aristotelica ha il suo punto culminante, e il pi
delicato, nella discussione della nozione del divenire (givgne-
sqai/gevnesi~). Tale analisi, occorre dirlo subito, parte da con-
siderazioni riguardanti il linguaggio e rimane costantemente
legata a esse, poich strutturata sulla base delluso delle di-
verse forme del verbo givgnomai. La traduzione in lingua mo-
derna delle diverse forme in cui il verbo si coniuga, quindi,
non problema da poco: traducendo in un modo o in un altro
si rischia, infatti, di travisare o rendere incomprensibile tutto
il discorso aristotelico. Ma, daltra parte, il giv gnesqai si dice in
molti modi e quindi trovare di volta in volta il significato pi
appropriato diventa un dovere imprescindibile nellargomen-
tazione. Giv gnomai ha, in effetti, in Aristotele almeno due signi-
ficati fondamentali, nascere (o venire allessere) e divenire
(cio diventare qualcosa). Di questi due significati quello di
nascere ha un valore ontologico, cio Aristotele intende il
venire allessere, ossia il passare allessere dal non essere, e
ne parla diffusamente nel De generatione et corruptione, men-
tre quello di divenire inteso nel senso di passare dallesse-
re in un modo allessere in un altro modo ed , quindi, un pas-
sare dallessere allessere. Ambedue questi significati sono le-
gati alle nozioni di movimento e di mutamento dal momento
che sia il nascere che il divenire implicano mutamenti e movi-
menti, ma il primo implica un mutamento dal non essere al-
lessere e il secondo un mutamento e movimento dallessere
allessere, e questo secondo tipo di mutamento e movimento
pu avere diversi significati, tanti quanti sono i significati del
mutamento e del movimento dallessere allessere.
Lesito della discussione la formulazione della dottrina
aristotelica dei principi: i tre principi sono soggetto, forma e
privazione, di cui questi ultimi due sono contrari fra loro.
Nellottavo capitolo Aristotele mostra come la sua dottrina
dei tre principi risolva in maniera efficace laporia in cui ca-
CRITICA DEI PLURALISTI 83
deva la dottrina eleatica, che arrivava a dover ammettere
che il nascere e il perire sono impossibili. Nel nono capitolo,
infine, Aristotele confronta brevemente la sua dottrina con
quella platonico-accademica della triade dei principi, espres-
sa soprattutto nel Filebo, limite illimitato e misto, mostrando
linadeguatezza di questultima.
Vediamo allora di proseguire la nostra argomentazione.
Nel quarto capitolo, Aristotele, come dicevo, confuta la tesi
della molteplicit infinita dei principi servendosi della tesi di
Anassagora. Daltra parte Anassagora, come tutti i Presocra-
tici, ha del principio una nozione naturalistica, cio consi-
dera il principio come elemento costitutivo delle cose (ajrchv
come stoicei`on). La nozione aristotelica di principio non coin-
cide con la nozione presocratica di elemento e tuttavia lo Sta-
girita, come ho gi spiegato, ha delle ragioni per considerare
tale nozione di elemento comunque coincidente con quella di
principio.
Occorre precisare, tuttavia, che quanto si legge una ri-
formulazione aristotelica della dottrina anassagorea: la dot-
trina di Anassagora che leggiamo in queste pagine della Fisi-
ca aristotelica ricorre, per spiegare le molteplici trasforma-
zioni delle cose di cui si fa esperienza nella realt naturale,
ad una struttura materiale comune a tutte le cose, dal mo-
mento che gli elementi costitutivi di tutti gli enti sono oltre
che di numero infinito anche fatti di particelle simili e di par-
ticelle contrarie. Inoltre, dice Aristotele, Anassagora ritiene
che questi elementi devono essere infiniti per il fatto che
niente nasce dal non essere, come giustamente opinavano i
fisici del suo tempo. Infatti, se le cose esistenti rivelano sia
somiglianze che qualit contrarie, questo dovuto al fatto
che una tale somiglianza e contrariet doveva esistere gi
negli elementi perch non potrebbe nascere dal nulla. Par-
tendo da tali presupposti Anassagora giungeva alla spiega-
zione che tutto pu nascere da tutto perch tutto fin dallo-
rigine in tutto. Aristotele confuta questa tesi anassagorea
con degli argomenti che partono tutti dallassunto secondo
84 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
cui se tutte le qualit simili e contrarie sono infinite e pre-
senti in ciascuna parte del tutto allora non sar possibile mai
distinguere una cosa dallaltra, perch in ogni cosa ci sar
sempre linfinit di tutte le altre cose, il che assurdo. Ma
lobiezione che pi preme ad Aristotele unaltra: se vero
che non possibile distinguere una cosa dallaltra perch in
ogni cosa ci sono tutte le altre, allora non possibile conosce-
re scientificamente nessuna cosa, perch non possibile co-
noscere linfinito o indeterminato. Infatti, scrive Aristotele:
Se dunque linfinito in quanto infinito inconoscibile, allora
linfinito secondo numero o grandezza inconoscibile come
una certa quantit, e daltra parte linfinito secondo la specie
inconoscibile come una certa qualit. Ma poich i principi
sono infiniti e per numero e per specie, allora impossibile
conoscere le cose da essi composte. Infatti, noi riteniamo di
conoscere il composto solo quando conosciamo di quali e di
quante cose costituito.
105
chiaro, allora, come Anassagora, secondo Aristotele, ab-
bia costruito una dottrina dei principi assurda ed inutile, dal
momento che i principi anassagorei non riescono ad assolve-
re la loro stessa funzione, ossia quella di far conoscere scien-
tificamente le cose. E come assurda ed inutile la dottrina
dei principi anassagorea, cos lo , secondo Aristotele, qua-
lunque altra dottrina che, allo stesso modo, ponga un numero
illimitato di principi. Tuttavia, altrettanto chiaro qui, ed
emerge ancor di pi da quanto Aristotele ci dice poco dopo, in
Phys. I 5, 188a, che il modo in cui lo Stagirita assume la dot-
trina anassagorea gi frutto di una sua interpretazione. In-
fatti, il concetto anassagoreo di omeomeria riguarda non solo
laspetto qualitativo della particella ma anche un aspetto
quantitativo perch tutte le cose sono per Anassagora divisi-
bili allinfinito e contengono, per questo motivo, una quantit
infinita di parti, tuttavia ogni cosa identica ad ogni altra
cosa, qualunque sia la qualit delle cose poste a confronto,
105
Cf. Aristot., Phys. I 4, 187b 7-13.
CRITICA DEI PLURALISTI 85
per la quantit delle sue parti. Aristotele rigetta il principio
anassagoreo della divisibilit infinita delle cose, ma nel fare
questo tiene presente solo laspetto qualitativo delle stesse.
106
Una volta esclusa la possibilit che i principi siano uno
(confutazione della tesi eleatica) o infiniti (confutazione della
tesi anassagorea), non resta che la tesi secondo cui i principi
sono molti ma di numero finito, che la tesi propria di Ari-
stotele. Si tratta adesso di vedere qual esattamente questo
numero finito dei principi. Nel quinto capitolo, Aristotele co-
mincia a esaminare anzitutto la tesi secondo cui i principi so-
no contrari. Tutti i filosofi che lo hanno preceduto dice lo
Stagirita affermano che i principi sono costituiti da coppie
di contrari (tajnantiva), sia chi sostiene che tutto uno e non
si muove (mh; kinouvmenon), come Parmenide, il quale pone co-
me principi il caldo e il freddo e li chiama fuoco e terra,
107
sia
106
Sullargomento cf. F. Romano, Anassagora, Padova 1965, so-
prattutto p. 58. Allinterpretazione aristotelica della dottrina anassago-
rea legata tutta la tradizione dossografica relativa alle omeomerie.
107
Aristotele attribuisce a Parmenide la dottrina dei due contrari
fuoco-terra (cf. anche Metaph. I 5, 986b 27-987a 2) sulla base di ci che
Parmenide dice nel fr. B 8, versi 51-61 DK. Non intendo qui entrare
specificamente nel merito dellinterpretazione di questo frammento
parmenideo, che registra almeno quattro interpretazioni diverse sulla
base del mivan del verso 54 un compito, questo, che esula dallo scopo
del mio lavoro e sul quale esiste gi una sterminata letteratura critica
ma mi sembra utile sottolineare che qui Aristotele, pur non inventan-
do nulla, in qualit di storico della filosofia, a carico di Parmenide, tut-
tavia analizza il discorso parmenideo sia sulla base del proprio pensie-
ro sia sulla base di quanto era gi stato detto nellAccademia da Plato-
ne. naturale, infatti, che egli conoscesse benissimo gli argomenti
svolti nellambito dellAccademia. I vv. 57-59 del frammento parmeni-
deo trasportano il rapporto di contrariet che esiste fra il fuoco e la ter-
ra allinterno della problematica del medesimo e dellaltro, nella misura
in cui Parmenide afferma, per bocca della dea, che, sempre secondo lo-
pinione dei mortali, il fuoco etere uguale a se stesso in ogni sua par-
te ma non lo rispetto allaltro, e che anche la notte senza luce si tro-
va nella medesima condizione. questa lalterit che Platone conver-
tir in non essere, sottolineando, appunto contro Parmenide, lesistenza
del non essere. Ma in Parmenide tale alterit dei due principi lontana
86 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
coloro che pongono come principi il denso e il rado (mano;n kai;
puknovn), sia chi parla, come Democrito, di pieno e di vuoto,
considerando il pieno come ci che e il vuoto come ci che
dal volere preludere a questi sviluppi futuri e vuole essere solo opposi-
zione di forme contrarie. In altri termini, il discorso parmenideo tiene
solamente conto del fatto che ciascun termine di qualunque contrariet
uguale a se stesso e altro rispetto al termine contrario. Quindi il mo-
do in cui Parmenide introduce la questione non ha che una parentela
molto lontana con il modo in cui Aristotele recupera la questione stes-
sa. A complicare la situazione sta il fatto che il discorso aristotelico di
Phys. I 4-7 si prefigge uno scopo ben preciso, che quello di costruire la
propria dottrina dei contrari: Aristotele tiene quindi conto dellatto par-
ricida che Platone ha compiuto nel Sofista e fa intervenire a suo favore
la privazione (stevrhsi~). Ma in Parmenide questa impostazione del
tutto assente e anzi, nel frammento B 9,4 DK, Parmenide afferma in
modo chiaro che nessuno dei contrari pu essere considerato a partire
dal non essere. Aristotele, invece, introduce fra i contrari il non essere
e in tal modo costruisce, contro Parmenide, la sua fisica, rendendo pos-
sibile una venuta allessere sia a partire dallessere (la materia) che a
partire dal non essere (la privazione di forma). Aristotele compie, quin-
di, rispetto a Platone (cf. soprattutto Soph., 237a e 258d), un passo in
avanti, facendo ci che Parmenide aveva proibito di fare, e cio ontolo-
gizza il divenire. La fisica aristotelica, sin dalle sue prime pagine, non
pu che misurarsi, quindi, con la filosofia del terribile maestro Par-
menide, la cui cosmologia comunque si pone su di un piano nettamente
diverso da quella aristotelica, gi per il semplice fatto di essere una fi-
sica non ontologizzata, una fisica cio che prevede la mescolanza di enti
che non sono considerati veramente essere. Nonostante Parmenide non
pretenda per tali enti lo statuto dellessere, tuttavia egli ribadisce, sem-
pre per bocca della dea, la necessit che si apprenda anche lopinione
dei mortali, nella misura in cui, come ha messo ben in luce L. Palumbo
(Momenti della riflessione sulla sapienza nel pensiero greco arcaico, in
A. Capizzi G. Casertano cur., Forme del sapere nei presocratici, Roma
1987, soprattutto pp. 64-69), che per sua stessa ammissione fa sua lin-
terpretazione di G. Casertano, le due vie della conoscenza sono metodo-
logicamente unite fra loro nel cammino verso la verit: esiste tra
lAltheia e le dxai un nesso di continuit: nelle esperienze non v cer-
tezza, esse sono cangianti e contraddittorie, una loro considerazione
immediata non conduce alla Verit; ma il compito del sapiente sta pro-
prio nel saper organizzare, razionalizzare, sistematizzare le frammen-
tarie esperienze di tutti i giorni, cogliendo al di l della dispersivit e
della disorganicit del sapere quotidiano la compattezza e lunit di
CRITICA DEI PLURALISTI 87
non . vero che Democrito aggiunge poi i termini posizione,
figura e ordine (qevsei, schvmati, tavxei), ma questi sono generi
di contrari (gevnh ejnantivwn): infatti i contrari secondo la posi-
zione sono alto e basso, davanti e dietro, mentre i contrari se-
condo la figura sono angoloso e privo di angoli, retto e circo-
lare.
108
Tutti, quindi, affermano che i principi sono contrari:
c, e questo notevole per Aristotele, un consensus omnium.
Questo accordo generale non sorprendente, dal momento
che i principi n si costituiscono gli uni dagli altri n sono
costituiti da altro poich semmai sono le cose a costituirsi
a partire dai principi e queste due condizioni si trovano
appunto nei contrari primi (toi`~ de; ejnantivoi~ toi`~ prwvtoi~
uJpavrcei tau`ta),
109
infatti, in quanto sono primi non sono co-
stituiti da nientaltro e in quanto sono contrari non sono co-
stituiti gli uni dagli altri.
Assunto come base di partenza il consensus omnium, oc-
corre procedere, avverte Aristotele, per via razionale. Innan-
zitutto nessuna cosa per natura agisce su qualsiasi cosa o su-
bisce da qualsiasi cosa,
110
inoltre non accade che qualunque
cosa nasca
111
da qualunque cosa a meno che non laccolga
quel discorso astratto e perci scientifico che possibile costruire
sulla realt e in cui consiste lessenza stessa della Verit e quindi della
filosofia (p. 68).
108
Cf. Aristot., Phys. I 5, 188a 19-26.
109
Aristot., Phys. I 5, 188a 28-29.
110
Aristot., Phys. I 5, 188a 32-33: pavntwn tw`n o[ntwn oujqe;n ou[te
poiei`n pevfuken ou[ te pav scein to; tuco; n uJ po; tou` tucov nto~.
111
Qui il termine nascere, con cui traduco giv gnesqai, non ha nulla
a che vedere con il significato ontologico di givgnesqai, perch indica
semplicemente il divenire come passaggio dallessere allessere. Tutta-
via Aristotele mette givgnesqai in contrapposizione a fqeivresqai, il qua-
le pure non ha, in questo contesto, un significato ontologico, cio di pas-
saggio dallessere al non essere, bens quello di cessare di essere ci da
cui divenuto. Quindi i due termini, nascere e perire, qui si giustificano
perch non possibile tradurre i due verbi, luno di significato positivo
e laltro di significato negativo, con il verbo divenire, poich questulti-
mo dovrebbe offrire la possibilit di esprimere entrambi i significati,
quello positivo e quello negativo, cosa impossibile nella nostra lingua.
88 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
come determinazione accidentale.
112
Ad esempio, non possi-
bile che il bianco nasca dal musico, a meno che il musico
non sia un accidente del non bianco o del nero; in realt, il
bianco nasce dal non bianco e, anzi, non da qualsiasi non
bianco, bens o dal nero o da qualche colore intermedio fra il
bianco e il nero; allo stesso modo il musico nasce dal non
musico, ma non da un qualsiasi non musico, bens da chi
privo di istruzione musicale o da qualcuno che sta a met fra
il musico e il non musico. Lo stesso discorso vale se la questio-
ne si guarda non dal punto di vista del nascere (givgnesqai),
bens dal punto di vista del perire (fqeivresqai),
113
perch
non accade che una determinazione trapassi (fqeivretai) nel-
la prima cosa che capita, infatti, ad esempio, il bianco non
perisce nel musico, a meno che non vi sia una accidentalit
che li leghi, ma trapassa nel non bianco e non in un qualsiasi
non bianco, bens o nel nero o in qualche altro colore inter-
medio fra il bianco e il nero; allo stesso modo il musico peri-
sce nel non musico, ma non in un qualsiasi non musico, ben-
s in chi privo di istruzione musicale o in qualcuno che sta a
met fra il musico e il non musico.
Questo discorso, precisa Aristotele, non vale solo per le
cose semplici, ma anche per quelle composte, come vedremo
pi avanti. Qualunque esempio si potr fare si scoprir che
ciascuna cosa nasce e perisce in virt dei contrari: ad
esempio, la casa ha origine dai materiali edilizi che non han-
no ancora ricevuto ordine e non sono stati assemblati e che
112
Aristot., Phys., I 5, 188a 33-34: oujde; givgnetai oJtiou`n ejx oJtouou`n,
a]n mhv ti~ lambavnh/ kata; sumbebhkov~. In questo quinto capitolo della Fisi-
ca Aristotele si occupa primariamente del divenire, della generazione e
della corruzione. Egli si assicura lintelligibilit del processo del diveni-
re considerando che il divenire si realizza tramite la sostituzione di una
determinazione ad unaltra. Ci avviene tuttavia non in modo casuale,
bens tramite il contrario specifico, ossia una determinazione viene so-
stituita da quella che le contraria, un predicato sostituito da un suo
contrario specifico e non da un predicato qualunque.
113
Nel corso di questa sua analisi Aristotele usa il verbo sempre
nella forma media.
CRITICA DEI PLURALISTI 89
poi assumono ordine e assemblamento, oppure la statua che
ha origine da una materia non figurata ed un passaggio dal
non figurato al figurato. Il divenire deriva, allora, dai contra-
ri o dagli intermedi fra i contrari, infatti, ad esempio, i colori
sono intermedi fra il bianco e il nero: ne consegue che ogni
aspetto che nasce o perisce, nasce da contrari o perisce in
contrari, quindi le cose che per natura divengono o sono con-
trarie o derivano da contrari (ta; fuvsei gignovmena h] ejnantiva h]
ej x ejnantiv wn).
114
Il fatto che tutti i predecessori siano daccordo a proposito
dei contrari mostra come la verit li abbia quasi costretti a
convenire sulla medesima posizione, anche se poi differiscono
gli uni dagli altri perch c chi assume i contrari primari,
115
c chi assume i contrari secondari, c chi assume i contrari
pi noti razionalmente, c chi assume i contrari pi noti per-
cettivamente, come ad esempio alcuni assumono caldo-fred-
do, altri umido-secco, altri dispari-pari o contesa-amicizia.
116
Questi principi sono da un lato diversi e da un altro lato gli
stessi: sono diversi perch, come li percepisce la gente comu-
ne, sono diversi, non infatti la stessa cosa parlare di caldo-
freddo o di dispari-pari, e tuttavia sono gli stessi in quanto
sono principi costituiti da coppie di contrari, sicch, come di-
ce Aristotele, quello che conta che in ogni caso i principi so-
no coppie di contrari.
Il passo successivo stabilire se i principi siano due o tre
o pi ancora: di questo argomento Aristotele si occupa so-
stanzialmente nel sesto capitolo di questo primo libro. Egli
ha discusso ampiamente del fatto che i principi non possono
essere n uno n infiniti e ci emerge anche alla luce della
114
Aristot., Phys. I 5, 188b 25-26, cf. anche Aristot., Metaph. IV 2,
1005a 3-5.
115
Aristotele aveva gi parlato, in Phys. I 5, 188a 28-29, di contra-
ri primi, toi`~ de; ejnantivoi~ toi`~ prwvtoi~, quindi qui si riferisce a una ge-
rarchia fra contrari per cui ci sono coppie di contrari che stanno prima
rispetto a coppie di contrari che sono secondari.
116
Cf. Aristot., Metaph. IV 2, 1004b 29 ss.
90 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
recente analisi: infatti, non possono essere uno perch si
compreso innanzitutto che i principi sono contrari e i contrari
non sono mai uno, n possono essere infiniti perch, come si
visto a proposito della confutazione di Anassagora, sarebbe-
ro indeterminabili e quindi inconoscibili. Una volta ammesso
che i principi non sono n uno n infiniti, bens molti ma di
numero finito, ci sono delle ragioni, dice Aristotele, che indu-
cono a stabilire che sono pi di due, poich se cos non fosse
sorgerebbero delle difficolt, e precisamente le seguenti. In
primo luogo, se si prende in esame una qualunque coppia di
contrari, ad esempio densit-radezza
117
o amicizia-contesa, si
vedr che nessuno dei due contrari agisce
118
sullaltro, quindi
n la densit agisce sulla radezza n la radezza agisce sulla
densit, ma entrambi i contrari agiscono su un terzo termine
diverso da essi. In secondo luogo, se non si suppone un terzo
elemento oltre i contrari sorge unaltra difficolt, perch noi
117
Il sostantivo astratto manovth~ non ben traducibile in lingua
italiana perch, comunemente, tradotto con rarit, che per deriva
da raro, che diverso da rado. Alcuni preferiscono rendere il termi-
ne con radit, che tuttavia un termine poco confortato dalla lettera-
tura (qualche esempio in Machiavelli). Io preferisco tradurlo radezza,
che ben confortato dalluso che ne fa il Manzoni e che ha comunque la
stessa radice di rado.
118
Il termine che adopera Aristotele poiei`n, che in effetti viene
qui inteso come la categoria contraria del pavscein ed ecco perch lho
tradotto con il verbo agire. In effetti, trattandosi di un ragionamento
per assurdo, in quanto Aristotele vuole dimostrare che, paradossalmen-
te, si pu pensare che un contrario agisca sullaltro contrario, perch
nessun contrario pu, in realt, agire sullaltro contrario o subire dal-
laltro contrario, il poiei`n potrebbe anche non avere il significato preci-
so di agire, cio potrebbe non essere inteso nel senso della categoria
dellazione, la quale ha soltanto senso in presenza di quel terzo termine
che spiega veramente il pavscein. Come dire che, quando si hanno per
assurdo i due contrari e non il terzo termine, il poiei`n e il pavscein non
indicano azione e passione, ma semplicemente il fatto che luno non
spiega lessere dellaltro, ovvero che luno non pu produrre laltro, poi-
ch i due contrari sono coesistenti allo stesso titolo. Infatti, dopo lin-
gresso nel discorso del terzo termine, che poi il sostrato, poiei`n e pav-
scein diventano chiaramente le due categorie contrarie.
CRITICA DEI PLURALISTI 91
vediamo che i contrari non costituiscono lessenza di nessun
ente. Daltra parte, il principio non si pu dire di un soggetto
perch avremmo un principio di un principio, infatti il sog-
getto un principio ed anteriore al suo predicato. In terzo
luogo, siccome della sostanza non si d nessuna sostanza
contraria non potrebbero esserci i contrari come sostanze
perch ci dovrebbe essere una sostanza prima della sostan-
za:
119
una sostanza come potrebbe essere costituita da non
sostanza, e ancora una non sostanza come potrebbe essere
anteriore di una sostanza? In breve, se si accetta come valido
il discorso fin qui condotto, si dovr convenire che necessa-
rio ammettere un terzo principio oltre ad ambedue i contrari.
Del resto ci sono alcuni afferma Aristotele che pongono
come principi degli elementi e ci che intermedio ad essi,
trattando sempre dei principi in termini di un eccesso e di un
difetto e aggiungendo a questi qualcosa daltro.
Per Aristotele c necessit, quindi, che ci sia un terzo
principio, mentre al contrario non ci sono ragioni per ammet-
terne un quarto o pi di quattro. I motivi sono questi: a) per
spiegare il subire sufficiente un unico termine; b) se fossero
quattro i contrari, sarebbero due coppie di contrari, e allora
baster che per ciascuna delle due coppie ci sia una terzo ter-
mine intermedio e non necessita che ce ne sia un quarto; c)
ma se fossero due le coppie di contrari a generarsi luna dal-
laltra allora una delle due sarebbe superflua; d) impossibi-
le che ci siano pi contrariet prime perch le contrariet
molteplici sono primarie e secondarie ma tutte riducibili per
genere ad ununica contrariet.
A questo punto, Aristotele pu iniziare unanalisi siste-
matica sui principi: una volta assodato che essi sono tre e
non pi di tre occorrer sapere quali sono. questo largo-
mento del capitolo successivo, il settimo, nel quale si riscon-
tra un uso massiccio della coniugazione di givgnomai.
119
Si gi detto che per Aristotele la sostanza non ha contrario, cf.
supra pp. 32-35.
92 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
4.
LIPOTESI DELLA MOLTEPLICIT FINITA DEI PRINCIPI:
FONDAZIONE DELLA SCIENZA FISICA ARISTOTELICA
E CRITICA DI ELEATI E PLATONICI (PHYS. I 7-9)
Nel settimo capitolo della Fisica Aristotele parte dal dive-
nire in generale, cio dal divenire a prescindere dai suoi
singoli aspetti, poich egli dice pi naturale che si affron-
ti la questione nel suo aspetto comune prima di affrontarne gli
aspetti specifici. Il divenire da una cosa allaltra o dal diver-
so al diverso (givgnesqai ejx a[llou a[llo kai; ejx eJtevrou e{teron)
120
riguarda sia le cose semplici che quelle composte. Con ci Ari-
stotele intende che possiamo usare tre espressioni diverse:
I) un uomo diviene musico;
II) un non musico diviene musico;
III) luomo non musico diviene uomo musico.
Si intende come semplice sia il diveniente, to; gignovmenon,
il terminus a quo ovvero il soggetto della proposizione che in-
dica il divenire (uomo della prima proposizione e non mu-
sico della seconda proposizione), sia il divenuto, o} givgnetai,
il terminus ad quem
121
ovvero il predicato della proposizione
120
Aristot., Phys. I 6, 189b 32-33.
121
Utilizzo per una migliore comprensione del discorso le espres-
sioni terminus a quo e terminus ad quem perch ho in mente il discorso
fatto da W. Wieland, op. cit., p. 142 nota 68 e pp. 155 ss. Il Wieland, in-
fatti, fa notare che non sempre in Aristotele lespressione to; gignovmenon
indica il diveniente e lespressione o} givgnetai indica il divenuto. Tali
termini sono spesso scambiati da Aristotele e usati al contrario, ossia
talvolta o} givgnetai indica il diveniente e to; gignovmenon il risultato del
divenire, cio ci che divenuto. Alla pagina 155 Wieland spiega il mo-
tivo di questuso scambievole: occorre distinguere un uso predicativo
del verbo, quando cio Aristotele intende che qualcosa diviene qualco-
sa, dalluso non predicativo, secondo cui Aristotele intende che qual-
cosa diviene in senso assoluto, cio nasce. Nel primo caso troviamo
che to; gignovmenon usato nel senso di diveniente, cio di terminus a
quo, nel secondo caso, invece, in cui in senso assoluto qualcosa nasce,
che indica il divenire (musico di entrambe le due proposi-
zioni), composti invece sia il diveniente che il divenuto nel
caso della terza proposizione. Si tratta del primo passo del
ragionamento aristotelico: quando ragioniamo sul divenire
usiamo due termini nel caso delle proposizioni semplici, op-
pure tre termini, uno dei quali viene ripetuto prima e dopo
dellespressione che indica il divenire, nel caso della proposi-
zione composta. Solo la proposizione composta quella com-
pleta e getta luce anche sulle altre due proposizioni semplici,
e incomplete, mostrando come ci siano in ogni caso due cose
che sono sempre un composto di soggetto e predicato: uomo
non musico-uomo musico. Inoltre, si dice non solo che qualco-
sa diviene qualcosaltro (tovde givgnesqai),
122
ma anche che
qualcosa diviene da qualcosaltro (ajlla; kai; ejk tou`de):
123
si pu
dire, ad esempio, che da un non musico diviene un musico.
Tuttavia, non in tutti i casi del divenire si pu dire che qual-
cosa diviene da qualcosaltro poich, ad esempio, non possia-
mo dire che da un uomo divenuto un musico, ma possiamo
dire soltanto che un uomo divenuto musico. In altri termi-
ni, per dire il divenire possiamo usare non solo lespressione
qualcosa diviene qualcosa ma anche lespressione qualcosa
diviene da qualcosa, tuttavia con queste due diverse espres-
sioni diciamo sempre la stessa cosa, cio quello che diciamo
con lespressione completa di tutti i termini.
Ora, quando si parla di divenire delle cose semplici, in
questo divenire alcune permangono e altre no (to; me;n uJpomev-
non givgnetai to; d oujc uJpomevnon),
124
poich nel divenire musico,
ad esempio, luomo permane mentre il non musico non per-
mane n quando usato in modo semplice, ossia nel caso di
un non musico diviene musico, n quando usato in modo
il to; gignovmenon terminus ad quem. Nel caso, invece, in cui il divenire
indica che qualcosa diviene qualcosa viene usata la forma o} givgnetai.
122
Aristot., Phys. I 7, 190a 6.
123
Aristot., Phys. I 7, 190a 6: si tratta del givgnesqai ejx a[llou a[llo
di Phys. I 7, 189b 33.
124
Aristot., Phys. I 7, 190a 9-10.
96 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
composto, ossia nel caso di luomo non musico diviene un uo-
mo musico. proprio dallespressione completa che possia-
mo vedere chiaramente come nel processo del divenire uno
dei tre termini permanga mentre degli altri due termini luno
si sostituisce allaltro. Se si analizzano tutti i casi del dive-
nire si trover, tuttavia, che c sempre qualcosa che deve
permanere, che ci che diviene (o{ti dei` ti ajei; uJpokei`sqai to;
gignovmenon),
125
mentre ci che non permane semplicemente
un aspetto o una propriet o una qualit attribuita a ci che
diviene permanendo. Il diveniente uno di numero ma non
uno per forma, ossia per definizione, perch lessere delluo-
mo non lo stesso dellessere di un non musico e luno per-
mane mentre laltro non permane.
126
evidente che permane
ci che non un opposto (to; me;n mh; ajntikeivmenon uJpomevnei),
127
come in questo caso il termine uomo, mentre laltro termine
non permane n permane il composto in cui esso compare,
ossia non permane n non musico n uomo non musico: i
125
Aristot., Phys. I 7, 190a 14-15.
126
Aristot., Phys. I 7, 190a 15-16. Questo passo discusso ampia-
mente da L. Couloubaritsis, La Physique dAristote cit., pp. 177 ss., per-
ch su di esso lautore fonda la sua distinzione fra problematica gene-
seologica e problematica ontologica nella Fisica di Aristotele. Quan-
do un uomo non musico diviene un uomo musico il diveniente, ossia
luomo non musico, scompare dopo il divenire, poich dopo il divenire
troviamo luomo musico e non pi luomo non musico. Tuttavia anche
vero che qualcosa permane, e questo qualcosa luomo, che da non mu-
sico diviene musico. allora chiaro che, sebbene il diveniente sia uno
di numero, perch uno luomo non musico, tuttavia tale unit non si
riscontra nel fatto che possiamo distinguere nelluomo non musico luo-
mo e il non musico. Lessere delluomo non di certo lessere del non
musico, per cui possibile, ed anzi vero, che nel divenire scompare
una delle due cose, e cio il non musico, ma laltra permane, e cio
luomo. Altrimenti, poich nel caso del divenire di un composto il dive-
niente scompare sempre, infatti luomo non musico non permane,
avremmo un divenire in cui non ci sarebbe alcun soggiacente, il che
impossibile, (cf. Phys. I 7, 190a 17 ss.). Del resto si vede chiaramente
che uomo e non musico ricadono in diverse categorie dellessere, perch
uomo una sostanza mentre non musico una qualit.
127
Aristot., Phys. I 7, 190a 18-19.
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 97
due termini che si sostituiscono luno allaltro sono i due con-
trari, ed per questo che si rende necessaria la presenza del
sostrato,
128
cio del terzo principio. Inoltre, lespressione
qualcosa diviene da qualcosaltro (to; d e[k tino~ givgnesqaiv
ti)
129
e non laltra, secondo cui qualcosa diviene qualcosaltro
(kai; mh; tovde givgnesqaiv ti)
130
riguarda piuttosto i casi in cui il
diveniente non permane, poich si dice che da un non musico
diviene un musico e non si pu invece dire che da un uomo di-
viene un musico, tuttavia la formula qualcosa diviene da
qualcosaltro si usa in taluni casi in cui il diveniente per-
mane, poich, ad esempio, diciamo che dal bronzo diviene una
statua mentre non diciamo che il bronzo diviene una statua.
Nel caso in cui qualcosa diviene dal suo opposto che non per-
mane si possono usare entrambe le espressioni, sia quella se-
condo cui qualcosa diviene qualcosaltro sia quella secondo
cui qualcosa diviene da qualcosaltro perci nel caso del
composto possiamo usare entrambi i modi; in altri termini, le
diverse formulazioni a due termini del divenire, che sono in-
complete, rinviano sempre a quella di tre termini e completa.
Del divenire si parla in molti modi (pollacw` ~ de; legomevnou
tou` givgnesqai)
131
e di alcune cose si dice non che divengono
bens che divengono qualcosa di determinato (kai; tw`n me;n ouj
givvgnesqai ajlla; tovde ti givgnesqai),
132
mentre il divenire in
128
Occorre precisare che, soprattutto in questo settimo capitolo del
I libro della Fisica, i due significati del termine uJpokeivmenon, cio quello
logico di soggetto e quello ontologico di sostrato, sono compresenti e
difficilmente distinguibili: da un lato, infatti, luJpokeivmenon propria-
mente ci che nel divenire permane e quindi sostrato, dallaltro lato, vi-
sta la connotazione fortemente linguistica e logica dellanalisi aristote-
lica, esso propriamente il soggetto nel divenire, poich il soggetto di
riferimento dei due contrari, che fungono da predicati o suoi attributi
(si cf., a questo proposito, quanto chiarisce R.L. Cardullo, Siriano esege-
ta di Aristotele, vol. II, Catania 2000 (= Symbolon 15), pp. 164 ss.
129
Aristot., Phys. I 7, 190a 21.
130
Aristot., Phys. I 7, 190a 21-22.
131
Aristot., Phys. I 7, 190a 31.
132
Aristot., Phys. I 7, 190a 31-32.
98 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
senso assoluto si dice solo delle sostanze (aJplw`~ de; givgnesqai
tw`n oujsiw`n movnon).
133
Detto questo chiaro che nel divenire
ci deve essere qualcosa che permane e che il diveniente
133
Aristot., Phys. I 7, 190a 32-33. Come si detto, il divenire ap-
partiene ai pollacw`~ legovmena, e a rendere questo assunto di base pi
vero sta il fatto che non solo possiamo parlare del divenire nel modo se-
condo cui qualcosa diviene qualcosa o nel modo secondo cui qualcosa
diviene da qualcosa, ma possiamo parlare del divenire anche in senso
assoluto: noi possiamo cio usare il verbo givgnomai non solo per dire che
una cosa diviene unaltra cosa o per dire che una cosa diviene da
unaltra cosa ma anche per dire che una cosa diviene tout court. In
Phys. I 7, 190a 31 Aristotele precisa che, dal momento che il divenire si
dice in molti modi, delle altre cose che non sono sostanza non si parla
di divenire generico ma di divenire qualcosa di specifico, mentre del-
le sostanze soltanto si parla di divenire in senso assoluto (givgnesqai
aJplw`~), e inoltre per le altre cose che non sono sostanza necessario
che il diveniente faccia da sostrato. Qui Aristotele parla di sostanza in-
tendendo il nascere della cosa concreta. In altri termini, Aristotele
pensa da una parte alla cosa in quanto sostanza, il nascere cio non ri-
guarda gli accidenti della cosa, ma dallaltra parte alla cosa in concreto,
quindi nel suo essere sostanziale e con specifiche determinazioni acci-
dentali. Il divenire in senso assoluto, il givgnesqai aJplw`~, che il nasce-
re, avviene quando non abbiamo a che fare con gli accidenti ed infat-
ti, quando parliamo degli accidenti parliamo del loro divenire sempre
supponendo qualcosa che soggiace. ben diverso, quindi, il givgnesqai
aJplw`~, il divenire in senso assoluto, dal tovde givgnesqaiv ti, dal divenire
una specifica cosa. E tuttavia, detto questo, Aristotele obbedisce alla
sua esigenza secondo cui nulla nasce dal nulla, per cui anche nel caso
del nascere di una sostanza occorre che ci sia un sostrato da cui questa
nasce: sia nel caso della generazione che nel caso del divenire occorre
che ci sia un soggiacente. Aristotele sollecitato a far prendere questa
direzione alla sua analisi dalla possibilit di esprimere il divenire con
la forma del qualcosa diviene da qualcosa, infatti inizialmente sem-
bra che il sostrato sia necessario solo per il divenire di cose diverse dal-
la sostanza ma poi si scopre che anche le sostanze divengono da qualco-
sa che ad esse soggiace, cf. Aristot., Phys. I 7, 190b 1-5. Quindi, anche
nel caso del nascere sussiste un sostrato, ma, a differenza del divenire
relativo agli accidenti, nel divenire delle sostanze il sostrato solo ci
da cui divie-ne qualcosa e non , invece, esso stesso ci che diviene. La-
nalisi, quindi, conduce Aristotele ad affermare che tutto ci che diviene,
anche il givgnesqai aJplw`~, diviene da qualcosa. Partendo da questa ac-
quisizione, quindi, non solo egli individua i tre principi del divenire,
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 99
(ajnavgkh uJpokei`sqaiv ti to; gignovmenon),
134
poich quando utiliz-
ziamo le varie determinazioni categoriali, quantit, qualit,
relazione, tempo, luogo eccetera, esse si riferiscono sempre a
qualcosa che soggiace loro e solo della sostanza si potr par-
lare senza presupporre nulla che le soggiaccia, mentre tutte
le altre cose si dicono sempre della sostanza. Ma anche le so-
stanze e gli enti in senso assoluto divengono da qualcosa che
soggiace, infatti c sempre qualcosa che soggiace e da cui di-
viene il diveniente (ejx ou| to; gignovmenon);
135
le cose che diven-
gono in senso assoluto (ta; gignovmena aJplw`~)
136
divengono o
per cambiamento di figura, o per aggiunta, o per sottrazione,
o per composizione o per alterazione: chiaro che tutte le co-
se che divengono nelluno o nellaltro di questi modi del dive-
nire divengono a partire da qualcosa che soggiace.
Dalle cose che si sono dette consegue in primo luogo che il
diveniente sempre un composto e poi che da un lato c il di-
veniente e dallaltro lato ci che il diveniente diviene e che ha
un duplice aspetto poich ci che permane oppure lopposto.
In altre parole: per le sostanze uso corrente usare espressio-
ni a un solo termine, dal momento che possibile dire, ad
esempio, che un uomo nasce. In questa espressione non sono
visibili n ci che permane n i contrari, e il sostrato nel caso
del divenire di una sostanza rischia di essere pi fondamenta-
le della sostanza stessa. Per Aristotele, ovviamente, inconte-
stabile che ogni nascita avvenga a partire da qualcosa e che,
quindi, in ogni divenire, anche nel divenire della sostanza nel
che sono, come si visto, il sostrato, la forma e la privazione, ma ri-
prende la critica degli Eleati mostrando come il loro vero errore consi-
sta nel non distinguere fra le cose determinate e le cose in senso assolu-
to, donde, quando gli Eleati parlano dellessere giungono a parlare del
non essere in senso assoluto, mentre non si sono resi conto che esiste
sempre un divenire da un non essere relativo, ossia da un non essere
qualcosa di determinato che la cosa pu divenire. Tale essere determi-
nato che la cosa non prima di divenire la privazione.
134
Aristot., Phys. I 7, 190a 33-34.
135
Aristot., Phys. I 7, 190b 4.
136
Aristot., Phys. I 7, 190b 5.
100 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
senso della generazione, c qualcosa sia allinizio del proces-
so che alla fine di esso. Inoltre, ci che sta allinizio del proces-
so del divenire comunque scomponibile in due termini, per-
ci qualunque divenire si compone di tre principi, due contra-
ri e un sostrato. A proposito del sostrato (uJpokeivmenon) poi,
Aristotele non dice mai che esso la materia, tuttavia negli
esempi e nei discorsi che conduce egli fa sempre riferimento a
una materia determinata dalla forma della sostanza inizia-
le, da che si deduce che il sostrato per Aristotele la materia
(uJpokeivmenon-u{lh).
137
In altre parole, Aristotele supera la fis-
sit della formula secondo cui nulla diviene dal nulla inter-
venendo con una nozione che supera la relazione fra essere e
non essere di tradizione eleatica e introducendo fra questi due
termini una terza possibilit, quella cio di un non essere acci-
dentale che non affatto il nulla ma che il modo di essere
potenziale del sostrato materiale. Tutto ci che diviene,
quindi, implicato in un passaggio dallessere in potenza, ov-
vero dal non essere in atto (ejnergeiva/), allessere in atto. Tale
divenire realizzabile tramite la scoperta della stev rhsi~ qua-
le principio contrario dellei\do~, principi che intervengono en-
trambi sul sostrato-materia. Ci comporta, contro il platoni-
smo, una rivalutazione della dignit ontologica della materia,
che diviene cos la base indispensabile di ogni divenire e,
quindi, di ogni realt naturale. In conclusione, quindi, i princi-
pi sono tre, ossia il sostrato (nel caso del divenire della sostan-
za sostrato-materia uJ pokeiv menon-u{ lh), la privazione (stev rhsi~)
e la forma (ei\ do~), di cui questi due ultimi contrari fra loro.
137
La materia inoltre, per Aristotele, uno dei significati di fuvsi~,
natura. Sul concetto di fuvsi~ si cf., oltre ad A. Mansion, Introduction
la Physique aristotlicienne, Louvain-Paris 1945, pp. 91-105, anche F.
Solmsen, Aristotles system of the physical world, Ithaca-New York
1960, pp. 92-117: alla p. 96 lautore specifica come Aristotele affermi
che in un senso fuvsi~ la materia prima di ogni cosa che ha in s il
principio del movimento e del cambiamento e che, in un altro senso,
la forma delle cose che hanno un tale principio, cf. Phys. II 1, 193a 28
ss. e 193b 3 ss. Si veda anche S. Waterlow, Nature, change and agency
in Aristotles Physics, Oxford 1982, principalmente pp. 1-45.
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 101
Come si vede facilmente, la lunga discussione del libro I
della Fisica culmina in questo settimo capitolo, che quello
in cui effettivamente Aristotele determina la sua dottrina dei
principi. Aristotele mostra di considerare il divenire delle co-
se nel doppio senso di generazione-corruzione, ossia di pas-
saggio dal non essere allessere e viceversa, e di aumento, di-
minuzione, alterazione eccetera, ossia di passaggio dallesse-
re allessere, come un dato ovvio dellesperienza, che non vale
la pena neppure di mettere in discussione. Si tratta semmai
per lui di analizzare il processo del divenire per renderlo in-
telligibile. Ora, per esserci divenire, ci che detto con il pri-
mo termine e ci che detto con il secondo termine devono
essere diversi, tuttavia tra luno e laltro deve anche esserci
qualcosa che si mantiene. Qualora, infatti, nel divenire non
si mantenesse nulla potremmo parlare non di divenire ma di
vera e propria sostituzione di una cosa ad unaltra con la
quale questultima non ha alcun rapporto di relazione: in
questo modo il divenire risulterebbe totalmente inintelligibi-
le. Tale tipo di divenire potrebbe, semmai, risultare intelligi-
bile qualora si trovasse una causa esterna che spiegasse que-
sto sostituirsi di una cosa ad unaltra, ma per Aristotele in-
giustificabile il tentativo di spiegare le cose tramite qualcosa
che sta fuori di esse, poich le cose devono essere comprensi-
bili e conoscibili per quello che sono, quindi a partire da se
stesse: lintelligibilit del divenire delle cose deve appartene-
re alle cose stesse che divengono. In altre parole, lintelligibi-
lit si basa sulle sostanze.
Dalla nostra lettura di questo settimo capitolo si visto
che Aristotele conduce la sua analisi su una base linguistica
alquanto rigorosa, che gli serve come filo conduttore ai fini
dellintelligibilit dello stesso divenire.
138
Il divenire un pro-
138
Come dire che la verit del linguaggio corrisponde esattamente
alla struttura delle cose (nella fattispecie alla realt del divenire). In
altri termini, la verit di una proposizione logicamente corretta e veri-
ficata in tutte le sue componenti logico-linguistiche (verifica che si fa
con la scienza analitica) corrisponde perfettamente alla struttura lo-
102 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
cesso di due momenti, in cui c un prima e un dopo, in cui
troviamo comunque un composto di soggetto e predicato, di-
versi naturalmente a seconda che ci troviamo nel momento
iniziale o nel momento finale del divenire, come nellesempio
delluomo non musico e delluomo musico. chiaro che qual-
cosa diverso e qualcosa si mantiene: ci che diverso per-
ch mutato nel divenire riguarda il predicato, musico, men-
tre ci che si mantiene il soggetto, uomo.
Allinizio del settimo capitolo Aristotele ha analizzato gli
usi linguistici del divenire e ha trovato tre diverse formula-
zioni di esso. Distinguendo i due momenti del divenire le pos-
sibilit possono essere schematizzate nel modo seguente:
I momento II momento
(prima del divenire) (dopo il divenire)
soggetto predicato (es. un uomo diviene
musico)
predicato
139
predicato (es. un non musico
diviene musico)
soggetto-predicato soggetto-predicato (es. un uo-
mo non musico diviene uomo
musico)
gica del reale. Questo discorso non valeva per gli Eleati, che riconosce-
vano identit di essere, dire e pensare, n varr con lo Stoicismo, con
cui si attuer il distacco della sfera del linguaggio dalla sfera delle cose
e il linguaggio costituir un piano autonomo. Platone e Aristotele, inve-
ce, pur riconoscendo che realt e linguaggio sono piani distinti fra loro,
tuttavia non ritengono che ci sia separazione come avverr con gli Stoi-
ci e quindi neppure salto da un piano allaltro, ma semplicemente corri-
spondenza effettiva fra i due piani. Per una visione pi dettagliata e
concreta del rapporto tra linguaggio e realt in Platone rinvio a G. Ca-
sertano, Il nome della cosa. Linguaggio e realt negli ultimi dialoghi di
Platone, Napoli 1996, testo in cui la concezione del rapporto fra lin-
guaggio e realt in Platone analizzata attraverso una analisi minu-
ziosa degli ultimi dialoghi di Platone, dal Parmenide al Timeo.
139
Qui non musico funge da soggetto della proposizione, cio il di-
veniente che non permane, ma attributo del sostrato.
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 103
In ogni caso tutte e tre le possibilit sono riconducibili al-
la terza, che costituisce la formulazione completa del diveni-
re. Altri usi linguistici, come si visto, distinguono poi le due
formule qualcosa diviene qualcosa da qualcosa diviene da
qualcosa, e in questa analisi sembrano scomparire i due mo-
menti del divenire, ma in realt Aristotele vuole mostrare co-
me, qualunque sia lespressione usata, si possa ricondurre il
divenire alla forma pi completa fra quelle appena indicate,
perch quando diciamo che da un bronzo diviene una sta-
tua intendiamo dire che da un bronzo non configurato di-
viene un bronzo configurato in statua, quindi le due forme
del divenire, il qualcosa diviene qualcosa e il qualcosa di-
viene da qualcosa,
140
sono, in realt, solo due varianti della
stessa struttura del divenire in cui due termini contrari fra
loro fungono da predicati di un soggetto e si avvicendano lu-
no allaltro.
141
utile, tuttavia, fare delle precisazioni. Riassumendo
largomentazione che Aristotele sviluppa nel settimo capitolo
di questo primo libro, possiamo articolare tutti i modi di dire
il divenire pressappoco in questa maniera:
I modo
a. divenire semplice
b. divenire composto
II modo
a. qualcosa diviene qualcosa
b. qualcosa diviene da qualcosa
III modo
a. il diveniente permane
b. il diveniente scompare
140
Cf. il gi citato passo di Phys. I 7, 190a 5 ss.
141
Infatti, a una prima occhiata, sembrerebbe che qualcosa perma-
ne solo nel divenire predicativo, espresso dalla formula qualcosa divie-
ne qualcosa e non invece anche nel divenire espresso dalla formula
qualcosa diviene da qualcosa. Questo poter ricondurre tutte le espres-
104 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
Una volta fatte queste distinzioni, ad Aristotele occorre
trovare dei modi per ricondurle tutte ad ununit, cio per
eliminare le distinzioni stesse e poter comprendere di fatto il
divenire come fenomeno unitario. Partiamo da quanto detto
or ora e seguiamo largomentazione aristotelica stessa.
Lultima osservazione, e cio che il diveniente talvolta
permane e talvolta non permane, sembrerebbe in un primo
tempo in contraddizione con il fatto che, come Aristotele ci
dice in Phys. I 7, 190a 13 ss., nel divenire c sempre qualco-
sa che funge da sostrato. Ma, come abbiamo detto pi volte,
la questione si risolve con il ricondurre tutti e tre i modi di
dire il divenire alla formulazione pi completa, in cui dicia-
mo che un uomo non musico diviene un uomo musico. In
questa formulazione, infatti, vero che come ho appena
detto il diveniente non permane mai, ma questo vero solo
nel senso che non permane luomo non musico, mentre in-
vece luomo permane sempre, sia che sia non musico sia
che sia musico, dopo il processo del divenire. Questo ragio-
namento non solo elimina la prima distinzione, dal momento
che si scopre che le espressioni del divenire semplice sono
equivalenti a quella del divenire composto, ma elimina in
qualche modo anche la terza distinzione. Infatti, sebbene
analizzando linguisticamente i modi del dire il divenire dob-
biamo ammettere che il diveniente a volte permane e a volte
scompare, tuttavia troviamo poi che comunque qualcosa per-
mane, cio che c un termine prima del divenire che trovere-
mo sempre anche dopo il divenire.
Ma come stanno le cose se invece di usare le espressioni
predicative per dire il divenire usiamo la formula del qual-
cosa diviene da qualcosa? Si scopre che le due forme con cui
si pu dire il divenire, ossia lespressione predicativa e quella
del qualcosa diviene da qualcosa si coprono parzialmente
sioni del divenire a quella completa allora una spiegazione sicura di
come avviene il divenire. Si cf. la dettagliata discussione con cui le di-
verse espressioni del divenire sono distinte e analizzate da W. Wieland,
op. cit., pp. 142-150.
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 105
luna con laltra, ma non coincidono perfettamente. Infatti,
mentre abbiamo scoperto che nella forma predicativa qualco-
sa permane sempre, sembrerebbe invece che, linguisticamen-
te, nella forma del qualcosa diviene da qualcosa non per-
manga nulla, infatti noi possiamo dire sia che da un non
musico diviene un musico sia che da un uomo non musico
diviene un uomo musico, ma non possiamo dire che da un
uomo diviene un musico: per questultimo tipo di dire il di-
venire possiamo solo usare lespressione predicativa, secondo
cui un uomo diviene musico. Quando cio abbiamo a che fa-
re con un sostrato, come nel caso delluomo, dobbiamo usare
lespressione predicativa, mentre quando parliamo di qualco-
sa che non sostrato possiamo parlare nei termini del qual-
cosa diviene da qualcosa. Questo significa che non sempre,
da un punto di vista linguistico, possiamo trasformare le-
spressione predicativa in unespressione che indica il qual-
cosa diviene da qualcosa. Tuttavia, si scopre poi che il modo
del qualcosa diviene da qualcosa si utilizza anche in alcuni
casi in cui nel divenire permane qualcosa: lesempio secon-
do cui il divenire si pu dire dicendo che dal bronzo si origi-
na la statua mentre, al contrario, non usiamo in questo caso
la maniera predicativa di dire il divenire. In effetti, quando
diciamo che dal bronzo si origina la statua usiamo lespres-
sione del qualcosa diviene da qualcosa e dobbiamo ricono-
scere che quando dopo il processo del divenire ci troviamo di
fronte la statua non possiamo dire che il bronzo sia scompar-
so. Quindi abbiamo riscontrato che anche in taluni casi del
divenire formulato nel modo secondo cui qualcosa diviene da
qualcosa qualcosa permane, anche se appunto questo non
accade in tutti i casi in cui si usa lespressione qualcosa di-
viene da qualcosa, e, inoltre, i casi in cui diciamo il divenire
dicendo che qualcosa diviene da qualcosa e qualcosa per-
mane non possono essere trasformati in espressioni equiva-
lenti di divenire predicativo.
Tutto questo assottiglia la distinzione fra divenire predi-
cativo e divenire secondo cui qualcosa diviene da qualcosa e
106 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
per non lelimina del tutto perch le due espressioni non so-
no equivalenti, quindi esse si ricoprono lun laltra, appunto,
in parte, ma non arrivano a coincidere. Ne consegue, allora,
che il divenire appartiene ai pollacw` ~ legovmena.
La questione si complica, per, quando Aristotele ha a
che fare con il divenire di una sostanza. Quando, infatti, i
predicati ricadono entro categorie diverse dalla sostanza il
problema non si pone perch la sostanza fa loro da sostrato,
come chiaro nellesempio delluomo. Ma quando il divenire
riguarda proprio la sostanza, come nel caso, ad esempio, di
un uomo che nasce o che muore, come si potr mantenere la
stessa struttura del divenire fin qui descritta, quale sar il
soggetto che permane dal momento che non pu essere, come
accade nellesempio indicato, luomo a permanere? Daltra
parte non pu mancare un sostrato, anche nel caso della na-
scita di una sostanza, infatti Aristotele chiarisce subito che
una sostanza diviene sempre da qualcosa, non cio possi-
bile che una sostanza divenga semplicemente dallassenza di
sostanza, non possibile, in altre parole, una generazione
dal nulla: ci che si mantiene nel mutamento deve pur sem-
pre essere qualcosa di sostanziale. Aristotele ha infatti insi-
stito sul fatto che il divenire si dice non solo nel modo secon-
do cui qualcosa diviene qualcosa ma anche secondo cui
qualcosa diviene da qualcosa, intendendo che c sempre
qualcosa da cui ci che diviene diviene. Anche nel divenire
della sostanza, quindi, c sempre un sostrato, che certamen-
te non la sostanza che nasce ma unaltra sostanza che
priva della forma della sostanza che nasce.
Aristotele, in altri termini, risolve il problema mediante il
concetto di privazione: c qualcosa di sostanziale che nel di-
venire di una sostanza si mantiene, ma questo sostrato pri-
ma del divenire privo di ci che invece avr dopo il diveni-
re, ossia della forma. La predicazione privativa consente di
stabilire che il sostrato, nel divenire di una sostanza, gi
qualcosa di sostanziale, perch consente di vedere che, prima
del divenire, tale sostrato non qualcosa che per pu es-
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 107
sere nel senso che non ha la forma e la definizione di ci che
sar. Se noi diciamo infatti, ad esempio, che un odore privo
di suono non abbiamo a che fare con alcuna privazione perch
un odore non pu avere suono, ma possiamo parlare effettiva-
mente di privazione solo quando una cosa non qualcosa che,
per, pu benissimo essere. In questo senso, allora, la priva-
zione , in qualche modo, il non essere specifico di un sogget-
to. Ma occorre fare un passo avanti nellanalisi del testo ari-
stotelico e chiarire che cosa sia, per Aristotele, il sostrato nel
divenire della sostanza, non potendo essere questo sostrato la
sostanza determinata che permane cos come nel caso del di-
venire dallessere allessere. Questo sostrato, dice Aristotele,
sta alla sostanza come ci che privo di una certa forma ma
che pu acquistare una data forma. Ad esempio, dice Aristo-
tele, come il bronzo prima di diventare statua e che, quindi,
diventer statua quando acquister la forma di statua; cos il
legno prima di diventare letto e che, quindi, diventer letto
una volta che acquista la forma di letto, e cos via.
142
In altre parole, si noti per incidens che Aristotele, per in-
dicare questo sostrato privo della forma della sostanza a cui
dar nascita, lo chiama natura-sostrato, per indicare che si
tratta di un sostrato naturale, essendo la sostanza che nasce
un ente naturale, ma privo di una determinata forma di ente
naturale (anche se questo sostrato costituisce unaltra so-
stanza per se stesso). A questo punto viene naturale suppor-
re che Aristotele stia parlando di natura-sostrato come ma-
teria, u{lh, di quella sostanza che nasce.
143
E infatti Simpli-
142
Cf. Aristot., Phys. I 7, 191a 7-12.
143
utile precisare che il concetto di u{lh cos come viene usato in
questo caso e in generale nella Fisica, appunto per il fatto che, come di-
ce Aristotele, conoscibile solo per analogia, ha poco a che vedere con
il concetto di u{lh in senso metafisico, perch non si tratta di uno dei
due principi del sinolo, indispensabile a concepire la sostanza come tale
e neppure di materia fisica come materia di un ente gi formato. Il con-
cetto di materia, infatti, assume qui una significazione posizionale-fun-
zionale nel senso che costituisce la condizione che consente la nascita o
il mutamento dellente naturale.
108 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
cio, commentando Aristotele, cita il lemma nella forma hJ de;
uJpokeimevnh u{lh non hJ de; uJpokeimevnh fuvsi~ come si legge nel
testo aristotelico edito da Ross. Nel testo aristotelico il ter-
mine u{lh compare insieme con lespressione to; a[morfon qual-
che linea dopo (Phys. I 7, 191a 10), ma leditore, Ross, lo ha
estrapolato per suggerimento di Diels, il quale si sarebbe for-
se lasciato influenzare dal fatto che il termine u{lh manca in
Simplicio in corrispondenza di to; a[morfon.
144
Io ritengo che
bisognerebbe conservare il testo senza lestrapolazione (ed al-
cuni traduttori in lingua moderna non ne tengono, in effetti,
conto),
145
anche perch nei commentatori lesegesi di questo
passo contiene insistentemente il termine u{lh, come si pu
vedere ad esempio nello stesso Simplicio e in Filopono.
146
144
Cf. Simplicio, In Phys. 226,7-8.
145
Cf. la traduzione di Hardie e Gaye nelledizione a cura di W.D.
Ross e quella di A. Russo ad loc.
146
Ad esempio, Simplicio, In Phys. 225,20 ss., commentando il lem-
ma di Phys. I 7, 191a 7, che come ho detto non corrisponde del tutto al
testo aristotelico, hJ de; uJpokeimevnh u{lh (in Aristot. fuvsi~) ejpisthth; kata;
ajnalogivan, scrive: Poich gli esempi addotti per indicare la materia
(ejpeidh; ta; parateqevnta th`~ u{lh~ paradeivgmata), quali luomo e il se-
me e se c qualcosa del genere (oi|on oJ a[nqrwpo~ kai; to; spevrma kai; ei[ ti
toiou`ton), pur avendo la definizione di materia rispetto ai divenienti,
non erano per delle forme anchesse (ka]n u{lh~ ei\ce lovgon pro;~ ta; ginov-
mena, ajll ei[dh tina; h\n kai; aujtav ), allora ognuno cercherebbe di appren-
dere che cosa sia mai in s e per s la materia che soggiace alle forme
(pa`~ a]n ejpizhthvseie maqei`n, tiv pote a]n ei[h aujth; kaq auJth;n hJ uJpokeimevnh
toi` ~ ei[desin u{lh). E infatti il seme sia dato come materia delluomo, se il
sangue materia del seme, e i cibi e le bevande materia del sangue, e i
quattro elementi materia dei cibi e delle bevande (kai; ga;r e[stw tou` me;n
ajnqrwvpou u{lh to; spevrma, tou` de; spevrmato~ eij tuvcoi to; ai|ma, touvtou de; si-
tiva kai; potav, touvtwn de; ta; tevttara stoicei`a). Ma poich anche queste
cose mutano luna nellaltra secondo le qualit contrarie (ajll ejpeidh;
kai; tau`ta metabavllei eij~ a[llhla kata; ta;~ ejnantiva~ poiovthta~), anchesse
hanno bisogno assolutamente di un comune sostrato che non abbia al-
cuna qualit per la sua stessa natura (dei`tai pavntw~ kai; aujta; koinou`
tino~ uJpokeimevnou mhdemivan e[conto~ poiovthta th`/ eJautou` fuvsei), perch le
qualit sono forme e le forme sono opposte tra loro (aiJ ga;r poiovthte~
ei[dh kai; ajntikeivmena ei[dh). Anche Filopono, In Phys. 166,20 ss., sempre
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 109
Da quanto si detto si pu evidenziare che, come avevo
gi premesso, lanalisi aristotelica del divenire unanalisi di
tipo linguistico: Aristotele cerca di rendere intelligibile il pro-
cesso del divenire attraverso la comprensione di ci che del
divenire si dice. Quindi, il linguaggio ha nel discorso aristote-
lico una grande importanza. Esso opera come uno strumento
che ci fa vedere ci che dobbiamo vedere allinterno di cose di
cui, comunque, abbiamo gi una conoscenza empirica. co-
me se il linguaggio ponesse in evidenza degli aspetti partico-
lari in un panorama pi ampio:
147
tramite il linguaggio, da
una parte noi, dicendo le cose e quindi isolandole dalle altre,
non facciamo altro che tradurre le differenze e la molteplicit
in corrispondenza dello stesso lemma aristotelico hJ d uJpokeimevnh fuvsi~
[come in Aristotele] ejpisthth; kata; ajnalogivan, scrive: Di qui viene
supposto il modo come si conosce la materia (ejnteu`qen tiv~ oJ trovpo~ th`~
gnwvsew~ th`~ u{lh~ uJpotivqetai), cio per analogia (o{ti kata; ajnalogivan),
ma noi diciamo che Platone pure si servito del modo di conoscere per
astrazione (ei[pomen d o{ti oJ Plavtwn kai; tw`/ ejx ajfairevsew~ trovpw/
kevcrhtai). In tal modo questa sta alla sostanza e al particolare e allen-
te (ou{tw~ au{th pro;~ oujsivan e[cei kai; tovde ti kai; to; o[n). Da questi com-
menti degli esegeti antichi si comprende chiaramente, quindi, senza
che sia necessario spendere altre parole, che la natura soggiacente di
cui parla Aristotele , appunto, la materia. Un riferimento alla materia
come sostrato lo troviamo in Aristot., Phys. I 9, 192a 31-32: [] infatti
intendo per materia il sostrato primo di ciascuna cosa, dal quale <so-
strato> qualcosa nasce in quanto ne principio immanente in modo
non accidentale (levgw ga;r u{lhn to; prw`ton uJpokeivmenon eJkavstw/, ejx ou|
givgnetaiv ti ejnupavrconto~ mh; kata; sumbebhkov~) (per quanto concerne la
traduzione delle espressioni ejnupavrconto~ e mh; kata; sumbebhkov~, tradu-
zione che si allontana dalle traduzioni correnti del medesimo passag-
gio aristotelico, rimando alla discussione dettagliata che ne faccio in
Appendice ad loc.). In Metaph. VII 7, 1032a 20 ss. e 1034b 10 ss., del re-
sto, si legge che la materia pu indicare qualsiasi tipo di sostrato. Sul
problema dellidentificazione del sostrato cf. W. Wieland, op. cit., pp.
170 ss.
147
Il linguaggio, per Aristotele, si applica alle cose della natura e le
divide e le dice cos come naturalmente esse si lasciano dividere e dire.
Quando noi utilizziamo i termini isoliamo, allinterno dellintero campo
di ci che cade sotto la nostra esperienza, qualcosa di particolare ed
escludiamo, invece, le altre cose.
110 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
di cui facciamo esperienza, dallaltra parte per, aggregando
i termini fra di loro, costruiamo discorsi. Da una parte, quin-
di, dividiamo e dallaltra componiamo: del resto le cose si pre-
sentano a noi come dei composti e mai come enti semplici.
Nella composizione dei termini, tuttavia, emergono diversi
aspetti: in primo luogo, alcune composizioni sono inammissi-
bili perch i termini si escludono fra loro;
148
in secondo luogo,
alcune composizioni, pur essendo ammissibili, non sono tut-
tavia necessarie;
149
in terzo luogo, alcune composizioni sono
necessarie, ma di queste alcune sono a senso unico, nel senso
che un termine pu applicarsi allaltro ma non viceversa.
150
Usando questo tipo di combinazioni si possono allora costrui-
re colonne di termini in cui si parte da un genere e si procede
con termini che lo specificano progressivamente e che re-
stringono il campo del significato del termine pi ampio. I
termini che si susseguono, perci, fornendo lindicazione del-
la differenza specifica, delimiterebbero il campo del significa-
to pi ampio fornito dai termini che precedono e, in questo
modo, possibile costruire definizioni. Ad esempio, se dicia-
mo animale razionale come definizione di uomo stiamo li-
mitando con razionale il significato pi ampio di animale
e perci arriviamo a definire luomo.
La discussione sulla composizione dei termini, che qui
nella Fisica viene data come nota e non viene discussa, sem-
bra rinviare indirettamente alla pi complessa discussione
che Aristotele fa nel De interpretatione. In effetti, la vera
trattazione della composizione dei termini si trova nel De in-
terpretatione, in cui Aristotele fa una trattazione ampia so-
148
Ad esempio non posso comporre fra loro termini opposti come
bianco e nero.
149
Come nel caso, ad esempio, di uomo e bianco, perch il termine
uomo pu combinarsi con il termine bianco ma tale composizione non
necessaria, perch non accade necessariamente che luomo sia anche
bianco.
150
Per esempio delluomo si dice anche che animale, ma non si
pu dire dellanimale che uomo.
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 111
prattutto nei primi capitoli, nei quali si parla dellajpovfansi~,
cio dellenunciazione, ovverosia del comporre termini in cui
di un termine si afferma o si nega qualche altro termine. Nel
caso dellaffermazione (katavfasi~), si dice tiv kata; tinov~, cio
che qualcosa appartiene a qualche altra cosa, mentre nel ca-
so della negazione (ajpovfasi~, nozione da non confondere con
quella di ajpovfansi~, che lenunciazione a prescindere che
sia katavfasi~ o ajpovfasi~), si dice tiv ajpo; tinov~, cio che qual-
cosa non appartiene a qualcosa.
151
A questo punto, giunti allinizio del capitolo ottavo, Ari-
stotele torna a confutare la dottrina eleatica sulla base della
sua dottrina dei principi ormai definita. Infatti, una volta
impostata con metodo endossale la sua dottrina dei tre prin-
cipi del divenire, occorre ritornare agli Eleati e confutare,
sulla base della propria dottrina ormai pienamente formula-
ta, quanto essi affermavano a proposito della gevnesi~, arri-
vando a negarla assolutamente.
152
Gli Eleati, ci dice Aristotele, affermano che nessuno degli
enti nasce n perisce perch, se nasce, necessario che nasca
o dallessere o dal non essere ed impossibile sia luna che
laltra cosa perch ci che gi, e quindi non nasce, e ci
che non non , e quindi nulla pu nascere da esso perch
non c nulla che pu fungere da sostrato.
153
Per conseguenza
151
Cf. Aristot., De interpr. 1-6, 16a 1-17a 37. Da quanto detto si ve-
de come il linguaggio e le sue strutture abbiano per Aristotele un rap-
porto concreto con la realt delle cose, nel senso che la logicit di una
struttura linguistica corrispondente alla struttura della realt, per
cui tale realt risulta intelligibile.
152
In questo capitolo ottavo Aristotele fornisce due soluzioni della-
poria eleatica: la prima costruita sulla base della plurivocit dellessere
e quindi sulla dottrina delle categorie, la seconda, invece, sulla base del
rapporto della potenza e dellatto. Di queste, per, solo la prima di-
scussa effettivamente, mentre per la seconda Aristotele rimanda ad al-
tro luogo dei suoi scritti, probabilmente identificabile con Metaph. IX,
capitolo 6.
153
Cf. Aristot., Phys. I 8, 191a 27-31: E dicono [scil. gli Eleati]
che nessuno degli enti nasce o perisce perch necessario che ci che
112 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
essi affermano che i molti non esistono e che esiste soltanto
lessere. Per Aristotele questa la conseguenza ineluttabile
del fatto che gli antichi non avevano compreso che tra i con-
trari esiste un terzo principio che luJpokeivmenon. In realt
non c differenza nel dire che dallessere o dal non essere si
generi qualcosa oppure che lessere o il non essere agisca o
subisca qualcosa o divenga una qualsiasi cosa particolare e
dire, dallaltra parte, che il medico agisce o subisce qualcosa
o che da medico sia o divenga qualcosa. In realt, se il medi-
co costruisce una casa oppure diventa bianco non lo fa da me-
dico, mentre se cura le malattie o diviene inesperto di medi-
cina lo fa in quanto medico. La stessa cosa possiamo dire del
non essere: quando diciamo che qualcosa si genera dal non
essere non si intende dal non essere in quanto non essere.
questa la precisazione che gli Eleati non seppero fare, per cui
caddero in errore. Ci che Aristotele vuol dire questo: consi-
derati i due momenti del divenire, gli Eleati stabilirono o che
lessere deriva dallessere oppure che lessere deriva dal non-
essere. Il primo caso non possibile perch gi lessere c, il
secondo caso non possibile perch nulla si genera dal non
essere.
Lobiezione di Aristotele questa: il non essere inteso in
senso assoluto effettivamente nulla e quindi nulla pu na-
nasce nasca o dallessere o dal non essere, ma non possibile che nasca
n dalluno n dallaltro; (kaiv fasin ou[te givgnesqai tw`n o[ntwn oujde;n ou[te
fqeivresqai dia; to; ajnagkai`on me;n ei\nai givgnesqai to; gignovmenon h] ejx o[nto~
h] ejk mh; o[nto~, ejk de; touvtwn ajmfotevrwn ajduvnaton ei\nai); infatti n ci che
pu nascere (perch gi) n dal non essere pu nascere alcunch,
perch occorre che qualcosa faccia da sostrato (ou[te ga;r to; o]n givgnesqai
(ei\ nai ga; r h[dh) e[k te mh; o[nto~ ouj de;n a] n genevsqai: uJ pokei`sqai gav r ti dei` n).
Questa confutazione riguarda Parmenide, B 8, soprattutto li. 15-21 DK.
Per la mia traduzione delle espressioni givgnesqai e to; gignovmenon ri-
spettivamente con nascere e ci che nasce cf. lAppendice ad loc. In
Metaph. XI 6, 1062b 24 ss. Aristotele si occupa ancora del problema del
non-essere in rapporto al divenire e rimanda alla trattazione dettaglia-
ta che egli fa di questo problema proprio in questo ottavo capitolo del I
libro della Fisica.
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 113
scere da questo nulla (mhqe; n aJ plw` ~ ej k mh; o[nto~),
154
ma la gene-
razione parte sempre da qualcosa e lesempio del medico ha
soprattutto la funzione di mostrare allinizio del processo del
divenire qualcosa di determinato. chiaro, allora, che la ge-
nerazione non parte da un non essere in senso assoluto ben-
s, come Aristotele ha mostrato nel capitolo precedente, dalla
privazione, che in un certo senso un non essere, ma che
presente accidentalmente in un sostrato determinato e cos il
divenire e, quindi, la generazione, sono risultati perfetta-
mente intelligibili. La generazione e il divenire non partono
dal non essere tout court, bens da qualcosa che privo di al-
cune determinazioni e che solo in questo senso non essere:
questo il sostrato, cio ci che privo delle determinazioni
che assume nel nascere.
Adesso Aristotele pu confrontare, e lo fa nel capitolo no-
no, la sua dottrina dei principi con quella di Platone e degli
Accademici, che tra laltro hanno prima di lui cercato una so-
luzione alla negazione eleatica della molteplicit dellessere.
Aristotele precisa subito che costoro sembrerebbero avere ri-
conosciuto la triade dei principi, ma solo apparentemente, in
quanto invece avrebbero sdoppiato uno di questi principi in
grande e piccolo, che la diade. Tale sdoppiamento ha il di-
fetto di non costituire che un unico principio in quanto il
grande e il piccolo degli Accademici corrispondono esatta-
mente al principio del non essere. Tutto questo nasce dalla
incapacit, da parte di Platone e degli Accademici, di distin-
guere il non essere in s dal non essere per accidente, cio
quello che in Aristotele sono la privazione e la materia, che
sono nozioni diverse luna dallaltra (hJmei`~ me;n ga;r u{lhn kai;
stevrhsin e{terovn famen ei\nai): la materia , infatti, non essere
per accidente (oujk o]n ei\nai kata; sumbebhkov~, th;n u{lhn), men-
tre la privazione non essere per se stessa (th;n de; stevrhsin
kaq auJthvn). Come dire che i Platonici avrebbero il torto di
non considerare luJpokeivmenon come qualcosa che pur essen-
154
Aristot., Phys. I 8, 191b 13-14.
114 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
do privazione, e dunque non essere, e quindi avrebbero unifi-
cato i pretesi due principi del piccolo e del grande nel non es-
sere assoluto.
155
Per Aristotele la materia-sostrato sempre
una materia determinata dalla sua forma, ed in questo senso
egli pu dire che la materia di cui sta parlando prossima al-
la sostanza (th;n me;n ejggu;~ kai; oujsivan pw~, th;n u{lhn)
156
e quasi
alla fine dello stesso capitolo precisa che con materia egli
intende il sostrato primario di ciascuna cosa, ci da cui una
cosa diviene in modo non accidentale e che il costituente in-
terno della cosa stessa (levgw ga;r u{lhn to; prw`ton uJpokeivmenon
eJ kavstw/ , ej x ou| giv gnetaiv ti ej nupav rconto~ mh; kata; sumbebhkov ~).
157
I Platonici, in definitiva, sbagliano, per Aristotele, nel consi-
derare che quando c il divenire il passaggio allo stato con-
trario implichi la distruzione di ci che era prima che divenis-
se. Non c, invece, distruzione, ma solo una materia che ac-
quista le determinazioni di cui era priva prima del divenire:
c, cio, la sostituzione di una forma alla privazione di essa.
Con questa polemica contro Platone e i Platonici Aristote-
le conclude il suo primo libro della Fisica. Aristotele pu rite-
nere a buon diritto, a questo punto, di aver fondato la scienza
della natura trovando i principi primi degli enti naturali e di
aver tratto dalla sua scoperta tutte le conseguenze, che sono
155
Questa confutazione aristotelica della concezione platonica
stata giudicata da taluni forzata e scorretta, ma essa si riconduce a
quanto sul divenire si legge nel Filebo. Ci che poi Aristotele non pote-
va accettare che per i Platonici il mutamento era dovuto non solo al-
lindeterminatezza interna alla cosa, poich questa, secondo loro, da so-
la non sarebbe bastata a causare il mutamento, ma anche da una causa
esterna, quale quella proveniente dallintelligibile platonico. Per la con-
cezione aristotelica, al contrario, non necessario ricorrere ad una cau-
salit che operi dallesterno, poich per la nascita di una sostanza si de-
ve rimanere sempre allinterno del piano della sostanza stessa. Per
quanto riguarda questa polemica contro la posizione platonico-accade-
mica occorre ricordare, per incidens, che la scrittura dei primi libri del-
la Fisica impegn Aristotele nella fase giovanile, quando egli ancora
era sotto linfluenza forte dellinsegnamento accademico.
156
Aristot., Phys. I 9, 192a 6.
157
Aristot., Phys. I 9, 192a 31-32.
CRITICA DI ELEATI E PLATONICI 115
non solo la confutazione dei filosofi che lo hanno preceduto,
che egli compie ancor prima di fornire la sua propria triade
dei principi, ma anche la confutazione di punti specifici della
dottrina degli Eleati da una parte e di quella di Platone e de-
gli Accademici dallaltra parte, confutazione che egli pu fare
solo dopo aver dimostrato che i principi degli enti fisici sono
soltanto quelli che egli ha posto e non altri. Avvalendomi del-
largomentazione fin qui condotta, quindi, e riprendendo
quanto ho gi anticipato nel capitolo 1. a proposito di ci che
Aristotele dice nei libri III 1-3 e V 1-2 che riguardano, rispet-
tivamente, il movimento e il mutamento, ritengo sia venuto
il momento di trarre le opportune conclusioni, sebbene, come
chiarir qui subito di seguito, non si tratta di vere e proprie
argomentazioni conclusive quanto di spunti utili per ulteriori
sviluppi.
116 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
5.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE:
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I
NEL QUADRO DELLINTERO TRATTATO
Ho gi ribadito pi volte che il movimento e il mutamento
esistono, secondo Aristotele, come dati inconfutabili della no-
stra esperienza. Infatti, come ho detto nel corso dellesposi-
zione, Aristotele non sente affatto la necessit di ricorrere a
una dimostrazione dellesistenza del movimento e del muta-
mento, ma ricorre allinduzione, sulla base della quale egli,
appunto, inizia il suo discorso da una premessa che ritiene
verit di fatto, evidente di per s, e cio che le cose naturali,
tutte o alcune, sono in movimento.
158
Questa asserzione viene
data da Aristotele come una verit ovvia e, al contempo, co-
me il punto di partenza della ricerca dei principi. Se dalle-
sperienza quotidiana che facciamo degli enti naturali ricavia-
mo una prima generica notizia di essi,
159
per cui gli enti ci
appaiono come entit confuse e prive di determinazione in-
trinseca, e di essi occorre poi determinare la struttura ele-
mentare e i principi, chiaro che a tale prima notizia che
empiricamente ci procacciamo sugli enti naturali apparten-
gono anche il movimento e il mutamento, poich la nostra os-
servazione degli enti naturali ce li mostra nel loro continuo
divenire, mai fissi in se stessi e immobili. Di questa realt
naturale che appare in movimento Aristotele imposta subito
una ricerca dei principi, che attraversa varie fasi sia di con-
futazione delle teorie precedenti sui principi e sul movimento
sia di una nuova e costruttiva ricerca dei principi in cui lim-
pressione che gli enti naturali siano dotati di movimento ri-
158
Cf. Aristot., Phys. I 2, 185a 12 ss.
159
Si tratta di ci che pi chiaro e meglio conosciuto per noi e me-
no chiaro per natura perch pi chiaro in s, di cui si gi detto.
mane valida e viene chiarita attraverso una teoria dei princi-
pi che adesso risulta comprensibile scientificamente e non
pi una semplice impressione generica e confusa quale era
quella dellesperienza iniziale. Intendo con ci dire e sar
ancora pi chiaro in seguito che, se allinizio del primo libro
Aristotele sembra dare grande peso alla mobilit degli enti
naturali,
160
come se dovesse subito chiarire tale aspetto di es-
si, mentre in realt egli delude per il momento il lettore in
quanto rimanda lanalisi del movimento al terzo libro e si im-
pegna intanto, nel primo libro, a cercare i principi degli enti
naturali, ci avviene opportunamente e ragionevolmente. In
questo modo, infatti, lo sviluppo progressivo del discorso sul-
la Fisica coerente ed ha in ogni momento le pezze di ap-
poggio giuste per il suo dipanarsi. Dico ragionevolmente
perch la progressione dellanalisi sembra avere per Aristote-
le una grande importanza ed egli si impegna nel chiarire i
singoli aspetti e le parti del suo discorso sulla natura soltan-
to nei luoghi e nei momenti pi adeguati. Il primo libro deve,
quindi, in prima istanza trovare i principi degli enti della na-
tura e solo dopo aver chiarito quali siano questi principi e,
successivamente, aver chiarito cosa sia la natura, Aristotele
passer a discutere del movimento, di cui si occuper detta-
gliatamente nel libro III. Ci non toglie, tuttavia, che movi-
mento e mutamento siano comunque, come ho detto, il tema
di fondo della ricerca dei principi. In altri termini, qualunque
sia la strategia argomentativa o di rinvio delle sue spiegazio-
ni in rapporto sempre alla ricerca sui principi della natura,
sta di fatto che il discorso di Aristotele conserva sempre come
tema centrale quello del movimento e del mutamento degli
160
Mi riferisco a tutte quelle considerazioni che Aristotele fa contro
coloro che con le loro dottrine distruggono la possibilit stessa della
scienza fisica, nelle quali, come mi sono sforzata di chiarire nel corso
della mia esegesi, Aristotele sottolinea non solo quanto sia sbagliato
porre un solo principio ma anche, e soprattutto, considerarlo come im-
mobile. Limmobilit , in altri termini, per Aristotele, una negazione
forte della possibilit di fondare una scienza della natura.
120 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
enti naturali perch la ricerca dei principi degli enti naturali
sempre una ricerca relativa ad enti la cui natura quella di
avere intrinsecamente il movimento e il mutamento. Quan-
do, perci, Aristotele in Phys. I 7, 189b 30 afferma che occor-
re discutere di ogni divenire, peri; pavsh~ genevsew~,
161
egli si
riferisce ad una prima conoscenza generalizzata del divenire,
dal momento che adatto alla ricerca sulla natura occuparsi
prima delle cose nella loro globalit e poi studiarne successi-
vamente gli aspetti particolari. In altri termini, Aristotele
sembra pensare che, in questa fase della ricerca sulla natu-
ra, non ci sia alcuna necessit di fare distinzione fra i diver-
si tipi di divenire. Inoltre, lanalisi del divenire quale fon-
damento della ricerca dei principi, come si visto, condotta
da Aristotele con una metodologia in cui il linguaggio ha un
ruolo fondamentale, dal momento che Aristotele insiste sul
pollacw`~ levgetai: analizzare il divenire e il modo in cui noi
diciamo il divenire sono per Aristotele due processi equiva-
lenti, dal momento che la verit del linguaggio corrisponde
alla struttura logica della realt.
Detto questo credo sia giunto il momento di raccogliere le
fila del mio studio e di trarne le conseguenze che, come dice-
vo, ben lungi dallessere conclusive, hanno lo scopo di prefi-
gurare problemi e ulteriori sviluppi di studio per chi voglia
impegnarsi in una riflessione attenta sui legami eventuali
che intercorrono fra i libri I, III e V della Fisica aristotelica:
unipotesi di legame alla quale sembrerebbe normale giunge-
re attraverso lesame comparativo dei libri III e V, relativi al
movimento e al mutamento, e alla quale sono invece giunta a
partire dallanalisi del libro I.
Mi sembra di non dire nulla di particolarmente azzarda-
to se affermo che c una relazione fra la nozione di divenire
(givgnesqai), di cui Aristotele tratta nel libro I, e quella di mu-
tamento (metabolhv), di cui Aristotele discute soprattutto nei
capitoli 1-2 del libro V. Tanto pi se si pensa che esiste tutta
161
Cf. anche Aristot., Phys. I 7, 190a 13.
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 121
una tradizione, per quanto discutibile essa sia, che ha mesco-
lato i due termini parlando di metabolhv , mutamento, per spie-
gare lanalisi che Aristotele fa del divenire. E mi riferisco non
solo agli esegeti antichi, Temistio, Simplicio, Filopono, ma an-
che a molti moderni, fra cui W.D. Ross, H. Wagner, L. Robin
e J. Moreau.
162
Limportanza fondamentale del libro I risiede
nel fatto che in esso, sviluppando filosoficamente i significati
del divenire, Aristotele assicura le condizioni per la fondazio-
ne di una scienza fisica, per la fondazione di una scienza cio
i cui oggetti, gli enti naturali, sono in continuo movimento e
mutamento. Occorrerebbe allora condurre uno studio in cui,
ripensando le differenti problematiche poste da Aristotele nei
libri I e V nella loro stessa specificit, si giungesse a chiarire
le problematiche relative al divenire in rapporto a quelle rela-
tive al mutamento. Fra le une e le altre si inserisce per il li-
bro III e la sua analisi del movimento (kiv nhsi~), da mettere in
rapporto con quelle del divenire e del mutamento. Ma faccia-
mo un passo indietro per vedere qual propriamente lo sfon-
do di indagine a cui mi riferisco. Possiamo partire, ad esem-
pio, da uno schema che ho gi proposto in precedenza, quello
cio relativo a Phys. V 1-2, secondo il quale la metabolhv era il
termine pi generale di cui erano specificazioni da una par-
te la generazione e la corruzione secondo la sostanza (gevnesi~
e fqorav), quello che ho chiamato nella mia analisi del diveni-
re il divenire dal non essere allessere e viceversa, e dallal-
tra parte il movimento (kivnhsi~), ulteriormente specificato in
movimento secondo la qualit (ajlloivwsi~), movimento secon-
do la quantit (au[xhsi~-fqivsi~) e movimento secondo il luogo
(forav), quello che ho chiamato nella mia analisi del divenire
il divenire dallessere allessere.
Una tale interpretazione di Phys. V 1-2, che deriverebbe
principalmente dallesegesi neoplatonica di Simplicio, In
162
Cf. le traduzioni della Fisica di W.D. Ross e di H. Wagner; si cf.
anche L. Robin, Aristote, Paris 1944, pp. 71 ss.; J. Moreau, Aristote et
son cole, Paris 1962, pp. 86 ss.
122 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
Phys. 801,3-9, stata seguita da molti esegeti moderni ed
comunemente accettata come un luogo comune che non ne-
cessita di dimostrazioni o di prove.
163
Tuttavia, non si pu
non prendere in considerazione, per quanto isolata, la rifles-
sione che fa L. Couloubaritsis nel suo libro La Physique dA-
ristote (seconda edizione di Lavnement de la science Physi-
que), in cui lo studioso sottolinea come uno schema siffatto
ha il difetto di negare la plurivocit del mutamento nella mi-
sura in cui questultimo risulta essere un genere di cui
generazione/corruzione e movimento sarebbero le specie. In
altre parole, alla plurivocit dellessere corrisponde esatta-
mente la plurivocit del mutamento e, quindi, questo non
pu essere un genere, nel qual caso verrebbe a essere com-
promessa tutta lontologia aristotelica.
164
Questo rifiuto della
validit della interpretazione tradizionale di Phys. V 1-2 ri-
propone, ovviamente, il problema del rapporto fra metabolhv,
givgnesqai e kivnhsi~. Per esempio, potremmo chiederci, e lo
stesso Couloubaritsis si pone questa domanda, se mutamen-
to e movimento siano dei sinonimi. A questa soluzione, del
resto, sembrerebbero condurre alcuni passi della Fisica che
possiamo ben leggere. il caso, ad esempio, del passo gi vi-
sto di Phys. III 1, 200b 12-15, in cui Aristotele scrive: Poich
la natura principio di movimento e di mutamento e la no-
stra ricerca riguarda la natura, occorre che non ci resti na-
scosto che cos movimento, perch ignorando questo si igno-
ra necessariamente anche la natura. In questo passo Aristo-
tele cita movimento e mutamento, di cui la natura sarebbe
principio, ma poi afferma che occorre comprendere cosa sia il
163
Si cf., oltre ai gi citati Ross e Wagner, anche O. Hamelin, Le
Systme dAristote, Paris 1920 pp. 310-311; J. Tricot in Aristote, La M-
taphysique, trad. J. Tricot, Paris 1966
2
, I, pp. 378-379; G. Reale in Ari-
stotele, Metafisica., trad. e comm. G. Reale, II, Napoli 1958, p. 215; F.
Solmsen, Aristotles system of the physical world cit., pp. 178-179. Que-
sta interpretazione, tuttavia, appare come accettata comunemente an-
che da quegli studiosi che non se ne occupano ex professo.
164
Cf. L. Couloubaritsis, La Physique dAristote cit., pp. 69-75.
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 123
movimento (e non parla pi di mutamento) se non si vuole
ignorare cosa sia la natura. Sembrerebbe cio che i due ter-
mini, movimento e mutamento, siano unendiadi e che il kaiv
che li unisce debba essere inteso nel senso di vel.
E ancora possiamo leggere Phys. III 1, 200b 32-201a 9:
Non c movimento fuori delle cose (oujk e[sti de; kivnhsi~ para;
ta; pravgmata),
165
perch ci che muta, muta sempre (metabavl-
lei ga;r ajei; to; metabavllon) o secondo la sostanza o secondo il
quanto o secondo il quale o secondo il luogo (h] kat oujsivan h]
kata; poso;n h] kata; poio;n h] kata; tovpon) []; sicch non ci sar
n movimento n mutamento di nulla oltre i tipi gi detti
(w{st oujde; kivnhsi~ oujde; metabolh; oujqeno;~ e[stai para; ta; eijrh-
mevna); [] di conseguenza del movimento e del mutamento ci
sono tante forme quante ce ne sono dellessere (w{ste kinhv-
sew~ kai; metabolh`~ e[stin ei[dh tosau`ta o{sa tou` o[nto~). In
questo passo, per spiegare che il movimento non fuori del-
le cose, Aristotele anzich scrivere, come ci si aspetterebbe,
kinei`qai ga;r ajei; to; kinouvmenon, in ragione del soggetto della
proposizione principale che kivnhsi~, scrive invece metabavl-
lei ga;r ajei; to; metabavllon, lasciando intendere che movimen-
to e mutamento sono presi in questo contesto come sinonimi,
anche se subito dopo Aristotele continua a tenere distinti i
due termini nelle espressioni oujde; kivnhsi~ oujde; metabolhv e
kinhvsew~ kai; metabolh`~. Anche nel primo libro della Fisica si
trova la metabolhv, sebbene solo tre volte e in modo non sem-
pre significativo. Tuttavia, almeno uno di questi tre passi, e
precisamente il terzo, sembrerebbe far pensare alla metabolhv
come a un concetto generale.
I passi in questione sono: 186a 16, 191a 7 e 191b 33. Scri-
ve Aristotele in Phys. I 8, 191b 31-33: [] Anche per questa
importante ragione, infatti, i filosofi precedenti (oiJ provteron)
si allontanarono dalla strada che conduce alla generazione e
165
Questa tesi che Aristotele sostiene in questo passaggio contra-
ria a quella sostenuta da Platone in Parm., 138b e 162e; e in Soph.,
248e.
124 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
alla corruzione e insomma al mutamento (th`~ oJdou` th`~ ejpi;
th; n gev nesin kai; fqora; n kai; o{ lw~ metabolhvn). In questa espres-
sione, o{lw~ metabolhvn, Aristotele sembrerebbe fare riferimen-
to al mutamento come a qualcosa che riassume in s almeno
i due termini precedenti, gevnesin kai; fqoravn, ma lascia anche
la possibilit di pensare, e questa la mia impressione, che
egli intenda piuttosto i vari modi in cui il mutamento pu
realizzarsi e, quindi, anche quelli che non sono gevnesin kai;
fqoravn, ossia, per intenderci, i modi che nello schema che
traduce Phys. V 1-2, che ho tracciato nel capitolo 1., sono po-
sti a specificare la kivnhsi~. Ora, lasciando per il momento da
parte lanalisi relativa ai tre passaggi in cui il termine meta-
bolhv ricorre nel primo libro allinterno della tematica del di-
venire (givgnesqai), cercher di chiarire quale sia il possibile
rapporto fra kivnhsi~ e metabolhv di cui dicevo allinizio.
Se nei passi qui indicati pu sembrare che kivnhsi~ e meta-
bolhv possano essere sinonimi, anche vero che in altri passi
Aristotele si esprime a sfavore di questa ipotesi.
166
E anzi, e
166
La confusione fra le due nozioni di metabolhv e kivnhsi~, favorita
da diversi passi della Fisica aristotelica, si prodotta gi a partire dagli
esegeti antichi. Ad esempio, Filopono, il quale dedica un commento pun-
tuale e profuso alla problematica del movimento di Phys. III, non si im-
pegna pressoch affatto a commentare il V libro, il che pu far pensare
che egli non riconoscesse fra questi due libri, il III e il V, una differenza
tale da dovere affrontare il commento del V libro come cosa nuova e a
parte rispetto al III. Dal canto suo Simplicio, il quale studia e commen-
ta gi Phys. I 7 in funzione di Phys. V 1-2, tratta la kivnhsi~ alla stessa
stregua che la metabolhv, quasi a voler ridurre ad unit le due nozio-
ni. La prova della sinonimia di kivnhsi~ e metabolhv sarebbe corroborata
per questi esegeti da Phys. IV 10, 218b 19-20, in cui Aristotele scrive:
Non dobbiamo fare alcuna differenza, per il momento, nel dire movi-
mento o mutamento (mhde;n de; diaferevtw levgein hJmi`n ejn tw`/ parovnti kivnh-
sin h] metabolhvn). Si noter, tuttavia, come lespressione ejn tw`/ parovnti
rende forzata lidentificazione fra le due nozioni, infatti dire che per il
momento non ha importanza distinguere le due nozioni non significa
affatto dire che esse sono la stessa cosa. Per una discussione pi detta-
gliata del problema della sinonimia di kivnhsi~ e metabolhv rimando a L.
Couloubaritsis, La Physique dAristote cit., pp. 58-69 e capitolo quinto.
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 125
questo occorre dirlo, se nei passi indicati lidentificazione di
kivnhsi~ e metabolhv frutto di una possibile interpretazione
ma Aristotele non dice mai esplicitamente che i due termini
indicano la stessa cosa al contrario, in altri passaggi della
Fisica, Aristotele afferma esplicitamente che sono nozioni di-
verse.
167
Infatti, in Phys. V 5, 229a 30-229b 2 egli scrive: Poi-
167
Del resto, costituiscono una discriminante precisa fra movimen-
to e mutamento i corpi celesti ovvero il mondo sopralunare. Infatti, Ari-
stotele ci insegna che i corpi celesti si muovono di movimento circolare,
che un tipo particolare di forav, ossia di movimento secondo il luogo.
Tuttavia egli precisa anche che il mondo sopralunare non coinvolto
nel mutamento. Quindi i corpi celesti sarebbero enti che accolgono il
movimento ma non il mutamento. Ci ha condotto alcuni studiosi, quali
ad esempio il Robin, op. cit., pp. 129 ss., a porre sul tappeto della di-
scussione ermeneutica lipotesi, a cui tuttavia egli non fornisce rispo-
sta, secondo cui il movimento potrebbe essere una nozione pi ampia di
quella di mutamento e anzi, pi precisamente, secondo cui il mutamen-
to sarebbe una specie di movimento. Ora, se effettivamente, come dice
Couloubaritsis, La Physique dAristote cit., p. 73, pareille question na
de sens en vrit que dans une interprtation qui ne discerne pas que
le rapport entre les choses nest pas chez Aristote un rapport de lor-
dre de la synonymie, ni mme toujours celui de la quasi synonymie
(cf. anche W. Leszl, Logic and Metaphysics in Aristotle, Padova 1970),
tuttavia anche vero che chi legge la Fisica aristotelica ha, a tratti,
proprio questa impressione, cio che la nozione di movimento sia pi
ampia e quasi comprenda in s quella di mutamento, contrariamente
a quanto Aristotele afferma in Phys. V 1-2 in cui, semmai, il movimen-
to potrebbe apparire una specie di mutamento. In effetti, io credo che
debba essere ulteriormente verificato, allinterno della problematica
generale del movimento (kivnhsi~) in Aristotele, il problema e la giu-
sta collocazione della forav, cio del movimento secondo il luogo, sia
perch un tale problema ha un fondamentale interesse suo proprio sia
perch chiarirebbe ancor meglio il rapporto generale che sussiste fra
il movimento e il mutamento (anche se, occorre dirlo, ci sono gi de-
gli studi che hanno di molto chiarito le idee per quanto riguarda il
movimento come forav; si veda, ad esempio, larticolo di E. Berti, La
suprmatie du mouvement local selon Aristote: ses consquences et ses
apories cit.). Questo tipo di movimento, cio la forav, sfugge infatti, in
qualche modo, alla problematica vera e propria del divenire (givgnesqai)
e del mutamento (metabolhv). Del resto, lo stesso Aristotele, negli ulti-
mi libri della Fisica (VI e VIII), comincia a trattare la forav come una
126 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
ch il mutamento diverso dal movimento (ejpei; de; diafevrei
metabolh; kinhvsew~) (perch movimento il mutamento da un
sostrato a un sostrato hJ e[k tino~ ga;r uJpokeimevnou ei[~ ti
uJpokeivmenon metabolh; kivnhsiv~ ejstin), allora il movimento che
va da contrario a contrario contrario a quello che procede da
<questultimo> contrario al <primo> contrario (hJ ejx ejnantivou
eij~ ejnantivon th`/ ejx ejnantivou eij~ ejnantivon kivnhsi~ ejnantiva), ad
esempio quello che va dalla salute alla malattia < contrario>
a quello che va dalla malattia alla salute (oi|on hJ ej x uJgieiv a~ eij~
novson th`/ ejk novsou eij~ uJgiveian). Questo passo getta una luce
incontrovertibile, io credo, sia sul rapporto movimento-muta-
mento (kivnhsi~-metabolhv ) sia sul rapporto movimento-diveni-
re (kivnhsi~-givgnesqai), dal momento che i termini in cui Ari-
stotele parla della kivnhsi~ in questo passo ricordano quelli
con i quali in Phys. I 7 ha spiegato il givgnesqai. Prima per di
passare allanalisi della possibilit teorica che deriva da que-
sto passo necessario da un lato fare delle precisazioni a pro-
posito della nozione di movimento e dallaltro lato, per non
lasciare indiscusse possibilit gi accennate, riprendere
quanto emerge nei tre passi indicati di Phys. I, in cui ricorre
il termine metabolhv .
In primo luogo, nella Fisica Aristotele sembrerebbe asse-
gnare alla kivnhsi~ un significato molto vasto, una valenza co-
munque pi ampia di quanto non faccia, ad esempio, con la
metabolhv. Questo emergerebbe sia dai passi gi indicati, in
cui si sospettava una possibilit di sinonimia, che si tutta-
via rivelata falsa, fra movimento e mutamento ad esempio
nellimportante passo in cui la nozione di fuvsi~ chiamata a
definire sia la kivnhsi~ che la metabolhv, ma in cui il discorso di
Aristotele si riduce solo al movimento (mi riferisco a Phys. III
1, 200b 12-15) sia nei passi in cui, per definire la kivnhsi~,
problematica a parte, affermando che la forav il primo movimento
nel senso che preesiste (prou>pavrcei) non soltanto agli altri tipi di mo-
vimento, ma persino alla generazione e alla corruzione (cf. Aristot.,
Phys. VIII 7, 260a 26; VIII 7, 260b 19-261a 12; Id., De motu anim., 5,
700a 26-b 3).
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 127
Aristotele usa la coppia di principi potenza-atto. In Phys. III
1, 201a 27-29 Aristotele scrive: Ma lentelechia di ci che
in potenza, quando, essendo in entelechia, agisce non in
quanto quello che ma in quanto mobile, movimento (hJ de;
tou` dunavmei o[nto~ ejntelevceia, o{tan ejnteleceiva/ o]n ejnergh`/ oujc
h|/ aujto; ajll h|/ kinhtovn, kivnhsiv~ ejstin). Cio il movimento si
realizza quando un ente in potenza, essendo in entelechia
non in quanto se stesso poich lente in quanto se stesso
non in entelechia ma compiutamente in atto, cio in atto
nel senso dellej nev rgeia ma in quanto contiene in s ci in vi-
sta di cui in potenza cio ha in s il tevlo~ , avvia lattua-
lizzazione di ci che in potenza, ossia realizza lo stato di ej-
nevrgeia e diviene compiuto. necessario cio, affinch vi sia
movimento, che vi sia un processo di attuazione e che, quindi,
vi sia lente che abbia in s il tevlo~, ovverosia che lejnevrgeia
non sia ancora realizzata, non sia ancora compiuta.
168
168
chiaro che lesegesi di cosa Aristotele intenda quando parla di
ejntelevceia e di ejnevrgeia ha impegnanto molto i commentatori moderni
dando luogo a molte posizioni contrastanti e non sempre coerenti. Non
certamente questo il luogo pi adatto per affrontare un cos annoso pro-
blema, e tuttavia, dal momento che le due nozioni sono necessarie per
comprendere largomentazione di Aristotele sul movimento e sul muta-
mento, di cui in queste pagine mi occupo, sebbene a latere, mi sembra
opportuno dare le coordinate storiografiche essenziali. Gi J. Kostman,
Aristotles Definition of Change, History of Philosophy Quarterly, 4
(1987), pp. 3-16, ha sottolineato che quando Aristotele parla di movi-
mento dellente in potenza intende lente che si trova in una condizione
di potenzialit che determina la realizzazione del movimento stesso, si-
gnificando un ente in potenza che per contiene in s ci in vista di cui
in potenza. A tale posizione di Kostman si riconduce anche R. Brague,
Note sur la dfinition du mouvement (Physique III, 1-3), in F. De Gandt-
P. Souffrin cur., op. cit., pp. 107-120, il quale, tuttavia, confonde, senza
fornire alcuna argomentazione a proposito, i due termini ejntelevceia ed
ejnevrgeia. Legati a questo articolo di R. Brague appaiono le argomenta-
zioni di S. Waterlow, op. cit., passim, e larticolo recente di B. Besnier,
La dfinition aristotlicienne du changement (Physique III, 1-3), in Ari-
stote et la notion de nature, d. par P.M. Morel, Bordeaux 1997, pp. 15-
34, il quale, oltre a non distinguere fra ejntelevceia ed ejnevrgeia confonde
anche tra loro le nozioni di divenire, movimento e mutamento.
128 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
E ancora, in Phys. III 2, 201b 27-33 Aristotele scrive: La
ragione del fatto che il movimento sembri essere una cosa in-
definita (tou` de; dokei`n ajovriston ei\nai th;n kivnhsin ai[tion) che
non possibile ricondurlo <semplicemente> n alla potenza
degli enti n al loro atto (o{ti ou[te eij~ duvnamin tw`n o[ntwn ou[te
eij~ ejnevrgeian e[stin qei`nai aujthvn), perch non si muove neces-
sariamente n ci che in potenza un quanto n ci che in
atto un quanto (ou[te ga;r to; dunato;n poso;n ei\nai kinei`tai ejx
ajnavgkh~ ou[te to; ejnergeiva/ posovn) e il movimento sembra esse-
re s un certo atto, ma incompiuto (h{ te kivnhsi~ ejnevrgeia me;n
ei\naiv ti~ dokei`, ajtelh;~ dev ); la ragione che incompiuto poi,
che atto di qualcosa che in potenza (ai[tion d o{ti ajtele;~ to;
dunatovn, ou| ejstin ejnevrgeia). E perci difficile assumere che
cosa sia il movimento. chiaro da questo passo che Aristo-
tele trova delle difficolt a identificare il movimento sia con
la duvnami~ sia con lejnevrgeia, dal momento che il movimento
propriamente ejntelevceia, come ho gi chiarito precedente-
mente, che non pi duvnami~ e non ancora ejnevrgeia, poich
propriamente il passaggio dalla potenza allatto. Di fatto,
lejntelevceia altro non che una ejnevrgeia ajtelhv~, cio un atto
incompiuto, ed incompiuto perch incompiuto effettiva-
mente il potenziale.
Infine, per non dilungarmi eccessivamente, in Phys. III 2,
202a 7-8 leggiamo: movimento lentelechia del mobile in
quanto mobile (hJ kivnhsi~ ejntelevceia tou` kinhtou`, h|/ kinhtovn).
Ora, mi sembra importante, sia la precisazione che il movi-
mento entelechia e non atto nel senso della compiuta realiz-
zazione dellente poich non c movimento di ci che per-
fettamente compiuto in se stesso per quello che , ma c mo-
vimento di ci che deve ancora raggiungere questa compiutez-
za perfetta sia il fatto che il movimento sia definito attraver-
so una coppia di principi, quella di potenza-atto, che ha per
Aristotele un valore fondamentale e di base. Questo, secondo
me, conferisce alla nozione di kivnhsi~ un valore generale, pi
ampio di quello che potrebbero avere altre nozioni definite at-
traverso termini secondari nella scala delle principialit logi-
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 129
co-ontologiche. Questo ci conduce a considerare con maggiore
attenzione il rapporto che pu intercorrere fra il divenire e il
movimento (giv gnesqai-kiv nhsi~), rapporto sul quale ci conduce-
va a riflettere anche Phys. V 5, 229a 30-229b 2 su menzionato.
In secondo luogo, per non lasciare indiscusse come dice-
vo possibilit gi accennate: certamente vero che il termi-
ne metabolhv non molto usato nel primo libro e di certo non
usato in senso strettamente tecnico, cio nei termini in cui
Aristotele ne discute in Phys. V 1-2. anche vero, per, che
lanalisi di Phys. I precede quella di Phys. V, non intendo dire
cronologicamente bens filosoficamente. In altri termini, Ari-
stotele, anche se ammettiamo che abbia gi chiaro in mente
quanto dir in Phys. V, non pu mettere come si suol dire
il carro davanti ai buoi, cio ancora prematuro per lui, in
Phys. I, parlare di metabolhv negli stessi termini che user in
Phys. V, prematuro e scorretto in termini di rigore filosofico,
oltre al fatto che egli non sembra essere necessitato alluso di
tale nozione. Dei tre passi che ho indicato, comunque, nei qua-
li Aristotele usa metabolhv, il primo riguarda la polemica con-
tro gli Eleati in rapporto al fatto che questi negano il muta-
mento delle cose che , per inciso, una conseguenza dellim-
mobilit delle cose , mentre gli altri due si trovano in I 7, do-
ve Aristotele si occupa del divenire ex professo. Di questi ab-
biamo gi visto il terzo, mentre nel secondo passo, cio I 7,
191a 6-7, dopo aver detto che nel divenire ci devono essere
due contrari e un sostrato, Aristotele aggiunge che per certi
versi il contrario pu anche essere uno solo: infatti luno dei
due contrari sar sufficiente, con la sua assenza o con la sua
presenza, a produrre il mutamento (iJ kano; n ga; r e[ stai to; e{ teron
tw`n ejnantivwn poiei`n th`/ ajpousiva/ kai; parousiva/ th;n metabolhvn).
Appare chiaramente, quindi, come esista una relazione inne-
gabile fra divenire e mutamento (giv gnesqai-metabolhv ).
169
169
Ha ragione, a mio avviso, L. Couloubaritsis (La Physique dAri-
stote cit., pp. 52-58) a negare sia che divenire e mutamento possano es-
sere sinonimi sia che per spiegare la problematica del libro I della Fisi-
ca si possa o si debba ricorrere alla nozione di metabolhv , che ha peraltro
130 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
La riflessione che mi viene in mente come dicevo allini-
zio di questa conclusione nasce dallo studio che ho condotto
principalmente su Phys. I e, quindi, sulla nozione di divenire
(givgnesqai), ma allo stesso tempo anche sulla nozione di mo-
vimento (kivnhsi~) di Phys. III 1-3 e su quella di mutamento
(metabolhv) di Phys. V 1-2. Il problema questo: Aristotele
tende a mescolare questi tre termini, e principalmente gli ul-
timi due, cio movimento e mutamento, sia quando spiega il
movimento, in Phys. III 1-3, sia quando spiega il mutamento,
in Phys. V 1-2. La sua spiegazione della nozione di movimen-
to e di quella di mutamento riconduce, tuttavia, a molte cose
che egli ha detto a proposito del givgnesqai di Phys. I 7. Le tre
nozioni si richiamano a vicenda, cio luna implica laltra, lu-
na necessaria per comprendere la natura dellaltra, e talvol-
ta sembrano annullarsi luna nellaltra, ma poi emerge sem-
pre che si tratta di nozioni diverse. Abbiamo visto, ad esem-
pio, come il mutamento sia cosa diversa sia dalla generazione
(gevnesi~) che dal movimento (kivnhsi~) e abbiamo visto come
esso non possa essere un genere di cui generazione e movi-
mento risultino specie. Del resto, nemmeno la generazione e
il movimento sono la stessa cosa, come Aristotele ci chiarisce
in Phys. V 1 225a 20 ss. Proviamo allora a rileggere Phys. V 1
portandoci dietro come bagaglio la lettura ormai completa di
Phys. I e le avvertenze che ho fin qui elencato in questa con-
clusione. Partiamo proprio dalle prime linee, per vedere se
tale lettura pu farci adesso unimpressione diversa.
Tutto ci che muta (to; metabavllon pa`n), dice Aristotele,
muta (metabavllei) o per accidente (cio secondo una pro-
priet del soggetto che muta) o perch muta una delle sue
parti, ma c qualcosa che non si muove n per accidente
(e[ sti dev ti o} ou[ te kata; sumbebhko; ~ kinei` tai) n perch a muo-
versi una delle sue parti, bens perch essa stessa prima-
riamente si muove (ajlla; tw` / aujto; kinei`sqai prw` ton). Aristote-
un uso ben limitato in questo contesto. Restano tuttavia da chiarire i
termini di questa relazione fra divenire e mutamento.
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 131
le qui sembra passare subito da una nozione allaltra e nel
momento in cui comincia a spiegare il mutamento subito pas-
sa a usare la nozione di kivnhsi~ come se le due nozioni, meta-
bolhv-mutamento e kivnhsi~-movimento, fossero interscambia-
bili, ma come si vede subito dopo non cos. Allo stesso modo
dice Aristotele accade nel caso di ci che muove (e[sti de;
kai; ejpi; tou` kinou`nto~ wJsauvtw~), perch una cosa muove per
accidente, una cosa muove la parte e unaltra muove per se
stessa primariamente: i casi sono cio quelli stessi elencati
per il mutamento, ossia kata; sumbebhkov~, kata; mevro~ e kaq
auJ to; prw` ton. Detto questo, Aristotele fa una distinzione: Poi-
ch una cosa ci che muove primariamente, (ejpei; d e[sti mevn
ti to; kinou`n prw`ton), altra cosa ci che mosso (e[sti dev ti
to; kinouvmenon), e ancora ci in cui <avviene il movimento>,
<cio> il tempo (e[ ti ej n w| / , oJ crov no~), e oltre a questi ci da cui e
ci verso cui <avviene il movimento> infatti ogni movimen-
to avviene da qualcosa e verso qualcosa (kai; para; tau`ta ejx ou|
kai; eij~ o{ - pa`sa ga;r kivnhsi~ e[k tino~ kai; ei[~ ti); infatti diver-
so ci che primariamente mosso e ci verso cui e ci da cui si
muove, ad esempio il legno e il caldo e il freddo (e{ teron ga;r to;
prw` ton kinouv menon kai; eij~ o} kinei` tai kai; ej x ou| , oi| on to; xuv lon kai;
to; qermo; n kai; to; yucrov n). Di questi una cosa ci che <si muo-
ve>, unaltra ci verso cui <avviene il movimento>, unaltra
ancora ci da cui <avviene il movimento> (touvtwn de; to; me;n o{,
to; d eij~ o{, to; d ejx ou|) allora chiaro che il movimento nel
legno e non nella forma: infatti n muovono n si muovono la
forma, il luogo e il quanto determinato (hJ dh; kivnhsi~ dh`lon o{ti
ej n tw` / xuv lw/ , ouj k ej n tw` / ei[ dei: ou[ te ga; r kinei` ou[ te kinei` tai to; ei\ do~
h] oJ tovpo~ h] to; tosovnde), ma esiste ci che muove, ci che
mosso e ci verso cui si muove (aj ll e[ sti kinou` n kai; kinouv menon
kai; eij ~ o} kinei` tai). Infatti il mutamento prende il nome pi da
ci verso cui che non da ci da cui avviene il movimento
(ma` llon ga; r eij ~ o} h] ej x ou| kinei` tai oj nomav zetai hJ metabolhv ).
170
170
Cf. Aristot., Phys. V 1, 224a 34-224b 8. Lo stesso identico discor-
so, anche se in forma pi stringata, si trova in Metaph. XI 11, 1067b
132 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
A proposito di questo passo ritengo che sia molto interes-
sante, in primo luogo, notare questa considerazione di Ari-
stotele secondo cui la forma, il luogo e la quantit non sono
n motori n mossi. Dopo aver distinto, infatti, tre importan-
ti termini del movimento, e precisamente ci che si muove,
ovvero to; me;n o{ , ci a partire da cui si muove, ovvero to; d ejx
ou| , e ci verso cui si muove, ovvero to; d eij~ o{ , Aristotele ades-
so pone la sua attenzione sul kinou`n e sul kinouvmenon, cio
sul motore e sul mosso. La cosa importante che Aristotele
afferma nella Fisica che il movimento avviene secondo la
qualit, secondo la quantit e secondo il luogo, termini che
qui sono espressi quando dice infatti n muovono n si muo-
vono la forma, il luogo e il quanto determinato, ma non av-
viene secondo la sostanza. In altri termini secondo la sostan-
za non c movimento, ma c solo mutamento, ossia genera-
zione o corruzione. In questo passaggio noi ne troviamo la
spiegazione, perch scopriamo che n la qualit, n la quan-
tit n il luogo agiscono o subiscono il movimento, mentre ad
agire o subire il movimento ci che si muove (lente), cio il
to; me;n o{ di cui Aristotele ha parlato qualche linea prima. In
altri termini possiamo dire che c movimento nella sostan-
za, ma non c movimento della sostanza. Questo ci spie-
ga meglio anche il rapporto che intercorre fra movimento e
mutamento, dal momento che c mutamento della sostan-
za. Quando un ente nasce o muore evidente che c un mo-
vimento, tuttavia Aristotele sembrerebbe escludere questa
ipotesi, ammettendo soltanto il mutamento come generazio-
ne e corruzione. Ci accade perch, propriamente, generazio-
ne e corruzione, ovvero nascita e morte, sono mutamenti
della sostanza. In realt, se ammettiamo la mia ipotesi e
cio che il movimento un processo e quindi, in rapporto al
mutamento e, in generale, al divenire, rappresenta il loro
1 ss., in cui pure Aristotele passa dal metabavllei al kinei`tai. Il discorso
della Metafisica pi stringato perch il movimento non argomento
proprio di questa scienza, bens della Fisica.
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 133
realizzarsi, cio il dinamismo che realizza il mutamento o il
divenire possiamo comprendere facilmente come vi sia mu-
tamento della sostanza, e quindi come Aristotele ammetta
che un tipo di metabolhv sia appunto quella secondo la sostan-
za, ossia generazione e corruzione, ma come non vi sia movi-
mento della sostanza, perch la sostanza stessa ad agire o
subire il movimento: il movimento quindi avviene nella so-
stanza.
Ma a parte questa precisazione, proviamo adesso ad in-
terpretare questo passo della Fisica aristotelica alla luce del-
la dottrina del givgnesqai-divenire di Phys. I. Aristotele di-
stingue to; me;n o{, to; d eij~ o{, to; d ejx ou| . Nei termini in cui si
pu parlare del givgnesqai il to; me;n o{ potrebbe essere il sostra-
to, il to; d eij~ o{ il contrario a cui tende la cosa che diviene e il
to; d ejx ou| il contrario che troviamo prima che divenga la cosa
che diviene. Potremmo avere cio due contrari fra loro, to; d
ejx ou| e to; d eij~ o{ e un sostrato to; me;n o{ come nel divenire.
Questo per, opportuno precisarlo immediatamente, non
vuol dire affatto che il movimento (kivnhsi~) divenire (givgne-
sqai), e anzi abbiamo detto prima che Aristotele li distingue
proprio in questo libro V. Eppure in diversi passi Aristotele
parla del movimento usando termini gi utilizzati a proposi-
to del givgnesqai. Ad esempio e dico per inciso che fra poco
torner non solo a tentare di chiarire quale sia il possibile
rapporto fra divenire e movimento, ma anche che cosa Ari-
stotele intenda con mutamento in Phys. V 5, 229a 30-229b
2, che avevo lasciato sopra in sospeso volutamente, per poter
riprendere qui il discorso, Aristotele scrive, come si ricorder,
che il movimento mutamento da un qualche sostrato a un
qualche sostrato, intendendo quello stesso significato con
cui ho parlato a proposito del divenire di passaggio dallesse-
re allessere, e che il movimento procede da un contrario al
contrario, proponendo come esempio quello del passaggio
dalla salute alla malattia e viceversa. E questo esempio si
trova anche in Phys. V 2, 225b 13-25, espunto a proposito del
mutamento e integrato a proposito del movimento nelledizio-
134 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
ne Ross del 1982.
171
Infatti scrive Aristotele: Non c nep-
pure <movimento> nel caso dellagente e del paziente, o del
mosso e del movente, nel senso che non esiste movimento di
movimento n generazione di generazione, n in generale
mutamento di mutamento. Anzitutto, infatti, si pu ammet-
tere <solo> in due modi che ci sia movimento di movimento,
o come <movimento> di un sostrato (ad esempio un uomo si
muove nel senso che muta da bianco a nero: ma si deve forse
intendere in tal modo anche movimento, nel senso che esso si
riscalda o si raffredda o cambia di luogo o aumenta o dimi-
nuisce? ma questo impossibile, perch il mutamento non
uno dei sostrati), oppure <si pu dire movimento di movi-
mento> nel senso che una certa forma di sostrato, per mu-
tamento, muta in unaltra forma di sostrato (h] tw`/ e{terovn ti
uJpokeivmenon ejk metabolh`~ metabavllein eij~ e{teron ei\do~) [ad
esempio luomo dalla malattia alla salute (oi|on a[nqrwpo~ ejk
novsou eij~ uJgiveian)]. Ma neppure questo possibile tranne
che per accidente: infatti in questo caso mutamento il movi-
mento da una forma ad unaltra <ad esempio il mutamento
di un uomo dalla malattia alla salute> (aujth; ga;r hJ kivnhsi~
ejx a[ llou ei[dou~ eij ~ a[llo ejsti; metabolhv oi| on ajnqrwv pou ej k nov sou
eij ~ uJgiveian).
Ma ancora, importante la precisazione che Aristotele fa,
sempre nel capitolo I del libro V, e cio che il movimento
nel legno e non nella forma e abbiamo visto con chiarezza, a
proposito del divenire, che il sostrato non la forma, che
invece uno dei contrari, bens la materia, come in questo caso
il legno. N trovo modo di comprendere questa precisazione,
in questo luogo, se non richiamando a me stessa proprio la ri-
flessione che ho appena riportato. Detto questo Aristotele
torna al mutamento, per precisare, usando le espressioni che
171
Lesempio cio spostato qualche riga sotto. Occorre notare che
ledizione Ross del 1982 una ristampa con correzioni delledizione del
1950. Ross opera questo spostamento, a mio avviso correttamente, sul-
la base del commento di Simplicio.
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 135
gli sono servite poco prima per parlare di movimento, che es-
so pi leij~ o{ che lejx ou|, cosa visibile nel nome stesso, meta-
bolhv, che nella preposizione metav conferisce particolare im-
portanza al dopo anzich al prima. Infatti, poco dopo, in
Phys. V 1 225a 1-2. Aristotele precisa che il mutamento av-
viene da qualcosa verso qualcosa (ed chiaro anche dal no-
me: infatti, <il nome metabol> indica una certa cosa dopo
unaltra, luna che sta prima e laltra che sta dopo metabolhv
ejstin e[k tino~ ei[~ ti (dhloi` de; kai; tou[noma: met a[llo gavr ti kai;
to; me;n prov teron dhloi` , to; d u{steron).
A questo punto mi sembra di poter riassumere quale sia
la mia interpretazione relativamente al rapporto che sussiste
tra le varie nozioni che entrano in gioco nel discorso di Ari-
stotele sui principi della Fisica, ossia givgnesqai, kivnhsi~ e
metabolhv. Si tratta di una interpretazione che lascio tuttavia
come ipotesi da verificare, dal momento che essa potrebbe es-
sere esauriente solo a condizione che si studiasse non solo
lintera Fisica aristotelica come tale, ma anche nei suoi rap-
porti con altri testi di Aristotele nonch con le esegesi dei
commentatori antichi.
172
172
La Fisica di Aristotele ha suscitato linteresse di molti commen-
tatori in et antica e medievale. Fra gli esegeti greci possono citarsi
Eudemo di Rodi, Boeto di Sidone (discepolo di Andronico di Rodi),
Aspasio, Adrasto, Alessandro di Afrodisia e il suo maestro Ermino, Por-
firio, Temistio, Filopono, Simplicio. Di tutti questi commentari solo gli
ultimi tre ci sono pervenuti; inoltre, dallo studio di R.L. Cardullo, Si-
riano esegeta di Aristotele cit., appare chiaramente dimostrato che, pur
se non ha scritto un vero e proprio commentario alla Fisica aristotelica,
tuttavia vi ha dedicato molti commenti, a fini didattici, lo stesso Siria-
no. noto infatti che, sebbene il Timeo platonico fosse considerato dai
filosofi neoplatonici come il dialogo fisico per eccellenza, tuttavia, a
partire dallinsegnamento di Porfirio e sotto limpulso ulteriore che ne
diede Siriano, anche la Fisica aristotelica viene letta e commentata con
impegno da tali filosofi e allinterno dellattivit della scuola, che co-
minci a prevedere appunto la lettura sistematica degli scritti di Ari-
stotele come preparazione allo studio di Platone. Verosimilmente Siria-
no fu liniziatore di una tale pratica scolastica che assegnava ad Aristo-
tele un posto di tutto riguardo (cf. F. Romano, Il Neoplatonismo, Roma
136 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
La mia impressione che il givgnesqai di Phys. I 7 sia la
nozione pi ampia fra le tre che ho messo a confronto (cio
givgnesqai insieme con metabolhv e kivnhsi~) e di valore prima-
rio rispetto alle altre. Non possibile, infatti, parlare di mo-
vimento n di mutamento se non c divenire nel senso della
nascita, della morte, e della modificazione degli enti stes-
si, cio se non in una visione in cui il givgnesqai li comprende
entrambi.
173
Movimento (kivnhsi~) e mutamento (metabolhv ) so-
1998, pp. 132 ss., ma anche F. Romano, Lo sfruttamento neoplatonico
di Aristotele, in Studi e ricerche sul neoplatonismo, Napoli 1983, pp. 35-
47). Per un quadro completo della tradizione e della fortuna della Fisi-
ca aristotelica cf. G. Verbeke, La Physique dAristote et les anciens com-
mentaires grecs, in Proceedings of the World Congress on Aristotle,
Athen 1981, I pp. 187-192; Id., Saint Thomas et les commentaires grecs
sur la Physique dAristote, in La philosophie de la nature de Saint Tho-
mas dAquin. Actes du Symposium sur la pense de St. Th., tenu Rol-
duc les 7 et 8 nov. 1981, sous la direction de L. Elders, Roma 1982, pp.
134-154; Id., La rception de la Physique dAristote: Philopon et Thomas
dAquin, in Aristotelica et Lulliana, ed. F. Dominguez, R. Imbach, Th.
Pindl, P. Walter, The Hague 1995, pp. 55-75.
173
Sulla base di quanto ho detto fino ad ora, ritengo sia fuorviante
per un lettore che non abbia una conoscenza approfondita della Fisica
aristotelica quanto scrive Ruggiu nella sua Introduzione alla traduzio-
ne, appunto, della Fisica di Aristotele, in particolare alla p. XXVIII.
Analizzando correttamente il divenire come un processo in cui il sostra-
to assume una forma a partire dallassenza di questa, cio come un pro-
cesso i cui termini sono il sostrato, la privazione e la forma, Ruggiu ar-
riva a considerare ogni divenire come un processo che riguardi la qua-
lit degli esseri. Egli infatti scrive: Il divenire pertanto il processo
nel quale il sostrato (e la materia originaria) acquisisce una nuova de-
terminazione qualitativa, passando dallassenza di una determinata
forma allacquisizione della forma. [] Il divenire non altro che il pro-
cesso mediante il quale la materia riceve differenti qualit. Poco dopo,
sempre alla p. XXVIII, Ruggiu chiarisce ancora come la dottrina di Ari-
stotele sia antitetica a quella parmenidea, poich mentre Parmenide ha
ridotto ogni processo di divenire al solo divenire sostanziale, Aristote-
le, al contrario, riconduce tutti i processi della natura a processi quali-
tativi, cio ad alterazione. Questo modo di considerare il divenire ari-
stotelico, che deriva dal fatto vero che lente che funge da sostrato ac-
quisisce la forma di cui era privo, riduce la complessit e la completez-
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 137
no, quindi, processi che si spiegano in funzione del divenire
(givgnesqai) e che sotto certi aspetti ricadono dentro il dive-
nire stesso.
174
Di questi, per, la kivnhsi~ il passaggio da un
prima a un poi, e non a caso il tempo uno degli elementi
essenziali perch il movimento si realizzi. Kivnhsi~ una no-
zione dinamica, un processo, mentre la metabolhv nozione
dinamica solo in funzione della kivnhsi~, nel senso che la
kivnhsi~ che attua la metabolhv, ma in questo senso e con que-
sto accorgimento luna e laltra nozione implicano la nozione
del tempo, pur implicando le altre categorie di volta in volta
coinvolte, cio il luogo, la qualit e la quantit. Sia detto per
incidens che lunica categoria che nel givgnesqai non sembra
implicare la nozione del tempo quella della sostanza, nel
senso che nella generazione e nella corruzione esclusa la
kivnhsi~ e quindi anche il tempo, mentre in qualunque altro
discorso di kivnhsi~ e di metabolhv il tempo sempre implicato.
za con cui Aristotele tratta del divenire nel libro I della Fisica. Il dive-
nire infatti non solo alterazione, ma anche nascita e morte, e il pano-
rama concettuale che abbraccia tanto ampio da contemplare in s an-
che il movimento e il mutamento, che hanno appunto nel divenire il
proprio presupposto teorico. Quindi se vero che anche nascita e morte
sono rispettivamente acquisizione e perdita di forma da parte di un so-
strato amorfo, tuttavia questa acquisizione e perdita di una qualifica-
zione non sono alterazione.
174
Oggetto di studio della Fisica di Aristotele , infatti, lessere nel
divenire, per cui siamo di fronte ad una ontologia del divenire, in quan-
to Aristotele discute del divenire in quanto essere e dellessere nella
misura e nel modo in cui diviene (cf. anche L. Ruggiu cur., Aristotele,
Fisica cit., pp. XXXVI-XXXVIII). In questo modo di considerare la Fisi-
ca si misura lenorme distanza che intercorre su questo punto fra Ari-
stotele e Platone. Per questultimo inconcepibile pensare ad una
scienza del mutevole: la scienza ha per oggetto solo limmutabile e
quindi non esiste scienza del divenire, che non pu costituire vero esse-
re. Al contrario, per Aristotele la Fisica scienza degli enti in movi-
mento e in mutamento, scienza dellessere nel divenire e, se si tiene
conto che la scrittura della Fisica impegn Aristotele negli anni dellAc-
cademia, si pu misurare non solo la sua presa di distanza da Platone
ma anche la sua capacit straordinaria di libert e di autonomia intel-
lettuale; cf. W. Wieland, op. cit., cap. VII.
138 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
Naturalmente, la categoria del tempo in primo luogo impli-
cita nella nozione di kivnhsi~, nel senso che secondo Aristotele
kivnhsi~ ejntelevceia del mobile in quanto mobile, cio dire
realizzazione immanente di ci che in potenza in quanto
pu muoversi e, quindi, pu tendere allatto, cio al movi-
mento compiuto, e infatti noi diciamo che ejntelevceia un
concetto che implica contestualmente la duvnami~ e lejnevrgeia
in quanto riguarda un ente in potenza, kinhtov n, ma in quanto
capace di muoversi, kinouvmenon, cio di tendere dalla poten-
za allatto del movimento.
Ora, Aristotele, nei libri III e V, stabilisce i confini di que-
sto processo, nel senso che lo colloca tra un punto di parten-
za, ejx ou|, e un punto di arrivo, eij~ o{, ed in questo senso che
la kivnhsi~ appunto considerata ejntelevceia, nel senso cio
che dal suo stato di potenza, (dunav mei, ej x ou| ), passa al suo sta-
to di atto (ejnergeiva/, eij~ o{).
175
Anche la nozione di mutamento,
la quale implica la nozione di kivnhsi~, e anzi proprio nella
misura in cui implica la kivnhsi~, coinvolge, come il movimen-
to, la categoria del tempo.
176
Un accorgimento, tuttavia, oc-
corre tenere presente a proposito della categoria della so-
stanza. Infatti, non coinvolge la categoria della sostanza, di
175
Potrebbe destare sospetto il fatto che qui, per spiegare ci che
Aristotele vuole dire, io metta insieme due espressioni, ejnergeiva/ ed eij~
o{, che nel loro significato preso a s, sganciate dal contesto in cui si tro-
vano e dallargomentazione complessiva di Aristotele, avrebbero signi-
ficati diversi. Qui, in realt, lespressione eij~ o{ va intesa non nel senso
della tendenza verso, come la preposizione eij~ farebbe immediata-
mente pensare, ma nel senso, che ho indicato appunto qualche riga so-
pra, del punto di arrivo del processo e, quindi, nel senso dellattuazione
compiuta dellente, che appunto lo stato di ejnergeiva/ .
176
Sulla nozione di tempo si cf. soprattutto Aristot., Phys. IV 10-
14. La nostra esperienza del procedere del tempo, secondo Aristotele, ci
mostra che, sebbene il tempo e il movimento non siano affatto la stessa
cosa (Phys. IV 10, 218b 9-20), tuttavia il tempo non pu sussistere sen-
za il movimento (Phys. IV 11, 218b 21-219a 2), poich il tempo deve es-
sere considerato come un elemento del movimento (Phys. IV 11, 219a
2-10), infatti senza esperienza del movimento non si ha neppure espe-
rienza del procedere del tempo.
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 139
cui non c movimento come Aristotele ci ha insegnato nel
libro V , il tempo visto come una continuit: nella genera-
zione e nella corruzione cos come non c movimento non c
tempo nel senso del continuo.
177
Soltanto il susseguirsi di un
prima e di un dopo, infatti, ci fornisce lesperienza del movi-
mento e del mutare di un essere: quando noi facciamo espe-
rienza di un oggetto mobile o mutevole nel suo muoversi o
nel suo mutarsi, cio nel dislocarsi di un corpo in un differen-
te punto dello spazio oppure nellacquisire determinazioni
differenti rispetto a quelle che esso possedeva prima, pos-
sibile avere coscienza del procedere del tempo. Sembra rima-
nere fuori da una metabolhv realizzata dalla kivnhsi~, e quindi
tutta interna al tempo come continuo, quella che Aristotele
chiama la metabolh; ajqrova, cio il mutamento dun sol colpo.
Nascita e morte allora, in cui il movimento non coinvolto,
avvengono nel tempo, ma in un tempo concepito senza conti-
nuit e, quindi, avvengono grazie ad un mutamento che av-
viene dun sol colpo. In effetti, Aristotele di questo concetto,
di cui si serve nel libro I per argomentare contro Melisso, si
occupa ex professo nel libro IV a proposito, appunto, del rap-
porto tra mutamento e tempo, in cui il tempo visto come
una continuit, ossia una durata continua, data da istanti
che non hanno durata. Aristotele chiama il momento del
tempo privo di durata to; nu`n, e quindi considera in rapporto
a questo tempo istantaneo il mutamento ajqrova.
178
Sarebbe
177
A proposito del fatto che non c movimento della sostanza ri-
mando a quanto scrivo alle pp. 31 e 133-134.
178
In questo caso, io credo, Aristotele subisce linfluenza di Plato-
ne. Infatti, se accade che questultimo utilizzi la nozione di metabolhv
nel suo significato pi usuale, ad esempio in Theaet., 167a; 182d, e in
Parm., 162a-c, tuttavia accade anche che Platone faccia uso della nozio-
ne di mutamento nel senso di mutamento istantaneo come in Parm.,
156d-e. Sullimportanza che largomentazione del Parmenide platonico
ha sulla dottrina di Aristotele cf. G.E.L. Owen, Tiqevnai ta; fainovmena
cit., pp. 92 ss.; si cf. anche L. Brisson, Linstant, le temps et lternit
dans le Parmnide (155e-157b) de Platon, Dialogue, 9 (1970-1971),
pp. 389-396.
140 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
interessante, ma non rientra nei temi del presente discorso,
esaminare, sempre in rapporto alla kivnhsi~ e alla metabolhv,
lidea che Aristotele ha del tempo,
179
della sua continuit
180
e
della sua infinit, e ovviamente di questa nozione di to; nu`n
che costituisce come il punto in geometria.
181
La nozione del
tempo istantaneo, infatti, da Aristotele discussa in rappor-
to alla matematica nel libro III, dove si trova un continuo ri-
ferimento al concetto di mevgeqo~ e di ajriqmov~ nellelaborazione
di kivnhsi~ e di crovno~.
Il movimento (kivnhsi~), come dicevo, un processo dina-
mico che ha i suoi confini tra un punto di partenza, ejx ou|, e
un punto di arrivo, eij~ o{, come Aristotele insegna nei libri III
e V, ed in questo senso che la kivnhsi~ appunto considerata
ejntelevceia, nel senso cio che passa dalla potenza allatto.
Aristotele afferma, inoltre, che anche il mutamento (meta-
179
Per maggiori dettagli si cf. comunque non solo il libro di J.M.
Dubois, Le temps et linstant selon Aristote, Paris 1967, ma anche lar-
ticolo di P. Destre, Le nombre et la perception. Note sur la dfinition
aristotlicienne du temps, Revue de philosophie ancienne, 9
1
(1991),
pp. 59-81.
180
Molto interessante, a questo proposito, larticolo di H.J. Wa-
schkies, Mathematical continuum and continuity of movement, in F. De
Gandt-P. Souffrin cur., op. cit., pp. 151-179. Si cf. anche J. Annas, Ari-
stotle, number and time, Philosophical Quarterly, 25 (1975), pp. 97-
113, e H.G. Apostle, Aristotles Philosophy of Mathematics, Chicago
1952, passim; Id., Aristotles Theory of Mathematics as a Science of
Quantities, Filosofiva, 8-9 (1978-1979), pp. 154-214.
181
Proprio in questi giorni mi sono occupata della nozione di punto
geometrico anche in rapporto alla misura unitaria del tempo, rapporto
che emerge sia dagli scritti di un matematico di tradizione euclidea qua-
le Erone di Alessandria sia dalla tradizione neopitagorico-neoplatonica,
ad esempio, dal Commentario a Nicomaco di Giovanni Filopono; cf.
G.R. Giardina, La nozione di punto geometrico nelle Definitiones di Ero-
ne di Alessandria, attualmente in corso di stampa nel volume ENWSIS
KAI FILIA, Unione e Amicizia, Omaggio a Francesco Romano, a cura di
M. Barbanti-P. Manganaro-G.R. Giardina.; e G.R. Giardina, Giovanni
Filopono matematico tra Neopitagorismo e Neoplatonismo. Commenta-
rio alla Introduzione Aritmetica di Nicomaco di Gerasa. Introduzione,
testo, traduzione e note, Catania 1999 (=Symbolon 20).
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 141
bolhv) avviene da qualcosa verso qualcosa: i termini neces-
sari affinch esso avvenga, ovvero i confini entro i quali esso
avviene, sono sempre lejx ou| e leij~ o{, e tuttavia il mutamento
non , come il movimento, il processo che conduce dalluno al-
laltro di questi termini, ma si visualizza, da un lato, nellejx
ou| e nelleij~ o{, in quanto non pu esserci mutamento se non
c prima una cosa che diversa da come sar dopo che mu-
tata, e, dallaltro lato, pi nelleij ~ o{ che nellejx ou| , dal momen-
to che facile comprendere che ci si accorge che una cosa
mutata dopo che essa mutata e non prima, quindi il muta-
mento pi visibile nel momento finale che nel momento ini-
ziale del processo, il quale processo un movimento. In altri
termini, lejx ou| la cosa nel suo stato potenziale (dunavmei)
mentre leij ~ o{ la cosa nel suo stato attuale (ejnergeiva/): il pro-
cesso che conduce dalluno allaltro termine e che, quindi,
realizza il mutamento, lejntelevceia, che il movimento-
kivnhsi~. Tutto questo ha a che fare con il givgnesqai del libro
I, perch, in termini generali, movimento e mutamento altro
non sono che generazione, corruzione, alterazione, aumento e
diminuzione, movimento secondo il luogo. Tutte cose che si
son viste, eccetto il movimento secondo il luogo, nel libro I a
proposito del givgnesqai.
182
Si comprende, allora, come la nozione di divenire sia pi
ampia, come ho gi detto, e abbia un valore primario rispetto
a quelle di movimento e di mutamento, che pure da essa par-
tono e in essa convergono. Aristotele, quindi, sembra avere
seguito un percorso coerente nella sua Fisica, dal momento
che tratta prima del givgnesqai, che non a caso ha un ruolo
fondamentale nella fondazione dei principi e della scienza fi-
sica tutta, poi del concetto di natura che sta allorigine delle
nozioni di movimento e di mutamento in quanto principio di
entrambi, poi ancora del movimento, processo senza il quale
non si attuano molte forme di metabolhv, come si visto sopra
nel capitolo 1., e solo successivamente della metabolhv stes-
182
Rimando, a questo proposito, alla nota n. 167.
142 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
sa. C, allora, una grande coerenza nel discorso aristotelico
sulla fisica per cui non opportuno, come alcuni invece riten-
gono, collocare il I libro della Fisica a parte, separatamente
dagli altri libri,
183
dal momento che se pu essere in s suffi-
ciente apprendere ci che Aristotele dice sui principi degli en-
ti naturali, anche vero che il resto della Fisica aristotelica
non troverebbe spiegazione sufficiente senza questo primo li-
bro. E se a un primo sguardo sembrerebbero esserci incon-
gruenze fra i libri III e V, io ritengo che questo dipenda dal
fatto che Aristotele segue coerentemente il filo della sua argo-
mentazione, senza mettere, come dicevo anche prima, il car-
ro davanti ai buoi. Non mi preoccupa affatto, ad esempio,
che in V 1, Aristotele dica apparentemente contro la mia in-
terpretazione che conferisce grande valore e una sfumatura
specifica di significato alla nozione di atto come entelechia
che il movimento non nella forma ma nel mosso, ovvero nel
mobile in atto (hJ kivnhsi~ oujk ejn tw`/ ei[dei ajll ejn tw`/ kinoumevnw/
kai; kinhtw`/ kat ejnevrgeian)
184
usando il termine ejnevrgeia an-
zich ejntelevceia perch qui Aristotele non sta pi discutendo
del movimento, bens del mutamento, e si avvale della prima
nozione per chiarire la seconda, quindi sta facendo un passo
in avanti nello sviluppo progressivo del suo discorso, e infat-
ti, alla luce di quanto ho detto prima, il mutamento sta nello
stato compiuto del processo che lo attua e non nel proces-
so stesso. Allo stesso modo, altrettanto coerente Aristotele
quando dice che il mutamento-metabolhv evidente di per s,
per induzione, e proprio in Phys. I 2, 185a 14 egli aveva af-
fermato che non possiamo dubitare che il movimento-kivnhsi~
183
Cf., ad esempio, A. Mansion, Introduction la Physique ari-
stotlicienne cit., pp. 54-55.
184
Cf. Aristot., Phys. V 1, 224b 25-26. Qui Aristotele conclude e
spiega il suo discorso. Egli ha detto, infatti, che una cosa si muove per
se stessa, oppure per accidente, oppure secondo unaltra cosa, oppure
presa per se stessa primariamente: distinzioni queste che si applicano
tutte sia al motore che al mosso. La spiegazione appunto che il movi-
mento non nella forma ma nel mosso, ovvero nel mobile in atto.
IL RUOLO EFFETTIVO DI PHYS. I 143
esista poich esso chiaro per induzione.
185
Anche con questa
considerazione Aristotele congiunge le due nozioni di kivnhsi~
e di metabolhv: sia il movimento che il mutamento sono auto-
evidenti, sono manifestazioni chiare del divenire degli enti
naturali.
Detto questo, mi sembra opportuno fermarmi qui, avendo
raggiunto il mio scopo nei limiti che mi ero proposta, i quali,
trattandosi di un autore della complessit di Aristotele e di
un testo dalla lettura non facilissima quale la Fisica, non po-
tevano che essere limiti strettissimi. Mi sembra di aver chia-
rito sufficientemente, comunque, limportanza del primo li-
bro della Fisica non solo nella misura in cui esso rappresenta
per Aristotele la fondazione stessa del suo discorso sulla na-
tura, ma anche per il ruolo fondamentale che esso gioca se lo
si pone a confronto con gli altri libri della Fisica, e soprattut-
to con i libri III e V, dal momento che tutto visto alla luce
dei principi degli enti naturali e quindi del givgnesqai quale
fondamento dellintera realt naturale.
185
Cf. Aristot., Phys. V 1, 224b 30: touvtou de; pivsti~ ejk th`~ ejpagw-
gh`~.
144 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
6.
APPENDICE
Premessa
Nella presente appendice sono raccolti, nella loro succes-
sione naturale, tutti i passaggi-chiave dei testi aristotelici
(Fisica, Metafisica, Categorie, De interpretatione), che ho tra-
dotto, analizzato e discusso nel corso del mio lavoro. Mi sem-
bra, infatti, che questo possa essere utile al lettore al fine di
reperire con facilit i luoghi aristotelici sui quali, spesso in
misura maggiore, si soffermata la mia analisi e dai quali
scaturisce la mia interpretazione del testo aristotelico. I pas-
saggi sono riportati nel loro intero contesto. Precede il testo
greco, segue la mia traduzione e un apparato di note in cui
tale traduzione confrontata con le traduzioni correnti in
lingua moderna allo scopo di giustificare le mie scelte inter-
pretative, come risulta dalle annotazioni in calce a ciascun
testo tradotto. Il confronto, per quanto riguarda la Fisica,
fatto con le seguenti traduzioni: R.P. Hardie & R.K. Gaye,
Oxford 1952
2
; H. Carteron, Paris 1961
3
; A. Russo, Roma-Bari
1973; L. Ruggiu, Milano 1995; F. Franco Repellini (Fisica.
Libri I e II), Milano 1996; L. Couloubaritsis, La Physique
dAristote. Deuxime dition modifie et augmente de Lav-
nement de la science Physique, Bruxelles 1997; M. Zanatta,
Torino 1999; per quanto riguarda la Metafisica: W.D. Ross,
Oxford 1952; A. Russo, Roma-Bari 1973; C.A. Viano, Torino
1974; G. Reale, Milano 1993 (ed. Vita e Pensiero); per quanto
riguarda le Categorie: E.M. Edghill, Oxford 1952; G. Colli,
Roma-Bari 1973.
I passaggi di Aristotele tradotti sono numerati progres-
sivamente: il lettore trover il testo greco delle edizioni oxo-
niensi, con qualche eventuale variante, di cui dar spiegazio-
ne di volta in volta, e la relativa traduzione.
Testi e traduzioni
1) Phys. I 1, 184a 23-24:
dio; ejk tw`n kaqovlou ejpi; ta; kaq e{kasta dei` proi>ev nai.
Perci bisogna passare dalle cose prese nella loro genera-
lit agli elementi singoli <di cui si compongono>.
a
a) Come ho gi osservato nella nota 45, accettando e discu-
tendo in parte le giuste considerazioni di Wieland secondo le
quali lespressione ejk tw`n kaqovlou non indica tanto le cose uni-
versali in senso lato quanto, piuttosto, gli oggetti percepiti nella
globalit e confusione dei loro aspetti, che Aristotele ha definito
sugkecumevna ma`llon, mentre lespressione ejpi; ta; kaq e{kasta in-
dica gli elementi e i principi, stoicei`a kai; ajrcaiv, come cose sin-
gole e unitarie degli oggetti percepiti nella loro globalit, la cui
conoscenza rappresenta la vera conoscenza scientifica di quegli
oggetti ritengo opportuno qui ribadire queste stesse ragioni
che giustificano la mia traduzione, motivatamente diversa da
quella corrente, secondo cui occorre passare dal generale al
particolare. Tale traduzione corrente non appare adeguata
perch non tiene conto che qui non si tratta di generale e parti-
colare come tali, ma di precise determinazioni degli enti compo-
sti, dei sugkecumevna appunto. Nella fattispecie, Hardie & Gaye
traducono: from generalities to particulars; Carteron des
choses gnrales aux particulires; Russo traduce: dalluni-
versale al particolare; Ruggiu: da ci che si prospetta in gene-
rale verso gli aspetti particolari; Franco Repellini: dagli uni-
versali verso i loro particolari; E. Berti, Aristotele: il pensiero
filosofico e scientifico, Milano 1997: dalluniversale al partico-
lare. Pi adeguata appare, invece, la traduzione di Zanatta,
che scrive: dalle cose globali alle singole <determinazioni>.
2) Phys. I 2, 185a 12-17:
hJmi`n d uJpokeivsqw ta; fuvsei h] pavnta h] e[nia kinouvmena ei\nai:
dh`lon d ejk th`~ ejpagwgh`~. a{ma d oujde; luvein a{panta proshvkei,
148 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
ajll 185,15h] o{sa ejk tw`n ajrcw`n ti~ ejpideiknu;~ yeuvdetai, o{sa
de; mhv, ou[, oi|on to;n tetragwnismo;n to;n me;n dia; tw`n tmhmavtwn
gewmetrikou` dialu`sai, to; n de; Antifw` nto~ ouj gewmetrikou` .
Ma noi dobbiamo partire dalla premessa di fatto che gli
enti naturali, o tutti o <almeno> alcuni, sono in movimento:
e ci chiaro per induzione. Al tempo stesso neppure convie-
ne risolvere tutte quante le aporie, ma <solo> quelle di cui si
pu mostrare la falsit a partire dai principi, e non quelle
che non sono tali, ad esempio conviene al geometra sciogliere
la quadratura del cerchio ottenuta mediante le sezioni, men-
tre non gli conviene <sciogliere> quella di Antifonte.
a
a) Le traduzioni correnti sembrano accettabili nel loro com-
plesso. Del resto qui non si tratta di interpretare concetti parti-
colarmente complicati e difficili.
3) Phys. I 4, 187b 7-13:
eij dh; to; me;n a[peiron h|/ a[peiron a[gnwston, to; me;n kata;
plh`qo~ h] kata; mevgeqo~ a[peiron a[gnwston povson ti, to; de; kat
ei\ do~ a[peiron a[gnwston poi` ov n ti. 187,10 tw` n d ajrcw` n aj peivrwn
oujsw`n kai; kata; plh`qo~ kai; kat ei\do~, ajduvnaton eijdevnai ta; ejk
touvtwn. ou{tw ga;r eijdevnai to; suvnqeton uJpolambavnomen, o{tan
eijdw`men ej k tivnwn kai; povswn ejstiv n.
Se dunque linfinito in quanto infinito inconoscibile, al-
lora linfinito secondo numero o grandezza inconoscibile co-
me una certa quantit, e daltra parte linfinito secondo la
specie inconoscibile come una certa qualit. Ma poich i
principi sono infiniti e per numero e per specie,
a
allora im-
possibile conoscere le cose da essi composte. Infatti, noi rite-
niamo di conoscere il composto solo quando conosciamo di
quali e di quante cose costituito.
a) Le traduzioni correnti sembrano in generale accettabili;
un po meno quelle che non traducono ei\do~ con specie ma con
forma, quali quella di Hardie & Gaye, di Russo e di Franco
Repellini, dal momento che nelle due occorrenze, in questo con-
testo, una volta in combinazione con linfinito in se stesso e una
APPENDICE 149
volta in combinazione con linfinit dei principi, lei\do~ non pu
significare la forma, ma la specie distinta dalla quantit nume-
rica. E infatti kat ei\do~ contrapposto a kata; plh`qo~.
4) Phys. I 7, 191a 6-7:
iJkano;n ga;r e[stai to; e{teron tw`n ejnantivwn poiei`n th`/ ajpousiva/
kai; parousiv a/ th; n metabolhvn.
[] infatti luno dei due contrari sar sufficiente, con la
sua assenza o con la sua presenza, a produrre il mutamento.
5) Phys. I 8, 191a 27-31:
kaiv fasin ou[te givgnesqai tw`n o[ntwn oujde;n ou[te fqeivresqai
dia; to; ajnagkai`on me;n ei\nai givgnesqai to; gignovmenon h] ejx o[nto~ h]
ejk mh; o[nto~, ejk de; touvtwn ajmfotevrwn ajduvnaton 191,30 ei\nai:
ou[te ga;r to; o]n givgnesqai (ei\nai ga;r h[dh) e[k te mh; o[nto~ oujde;n
a] n genevsqai: uJpokei` sqai gav r ti dei` n.
E dicono [scil. gli Eleati] che nessuno degli enti nasce o
perisce perch necessario che ci che nasce nasca o dalles-
sere o dal non essere, ma non possibile che nasca n dallu-
no n dallaltro; infatti n ci che pu nascere (perch gi)
n dal non essere pu nascere alcunch, perch occorre che
qualcosa faccia da sostrato.
a
a) Come si pu notare, io ho tradotto, in questo passaggio,
givgnesqai con nascere (infatti ho spiegato nel testo che givgne-
sqai ha pi significati fondamentali, di cui questo uno) e que-
sto si ricava facilmente dal fatto che in questo contesto givgne-
sqai posto da Aristotele in contrapposizione con fqeivresqai.
Per analogia, anche il participio, to; gignovmenon, significa ci
che nasce, quindi ritengo quantomeno incongrua la traduzione
di Russo, il quale correttamente intende givgnesqai con gene-
rarsi, ma poi continua traducendo to; gignovmenon con ci che
diviene. Una seconda differenza fra la mia traduzione e alcune
delle altre riguarda lespressione a]n genevsqai, che io traduco
pu nascere. La mia traduzione utilizza il presente anche se
genevsqai un infinito aoristo, che alcuni traducono al passato:
cf. Hardie & Gaye, che traducono could have to be e Franco
Repellini, che traduce <e nulla> pu essere venuto ad essere.
150 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
In realt, il senso del discorso qui lascia chiaramente intendere
che la qualit temporale dellaoristo genevsqai non pu avere ve-
ro valore di tempo passato e di azione perfettamente compiuta
nel passato, ma ha lo stesso significato temporale dei tre givgne-
sqai che lo precedono e, soprattutto, del terzo givgnesqai, con cui
ha relazione diretta in quanto si tratta di proposizioni coordina-
te. Di fatto, lespressione a]n genevsqai, lungi dallavere valore di
passato, ha ragione logico-linguistica nelluso dellaoristo itera-
tivo retto da a[n. Infatti, uno dei principali e il pi antico mano-
scritto della Fisica aristotelica, cio E (=Paris. Gr. 1853, saec. X
in.), registra in questo punto due lezioni: oltre a genevsqai, indi-
cato in apparato come E
2
, cio lectio postea scripta, anche givgne-
sqai, indicato in apparato come E
1
, cio come lectio prima. Da
tutto ci si pu arguire che una vera e propria differenziazione
grammaticale fra givgnesqai e genevsqai non sussiste e, quindi,
non se ne deve tener conto nella traduzione, come non ne tiene
conto, ad esempio, Carteron, che traduce correttamente et rien
peut tre engendr du non-tre. Se vogliamo aggiungere altre
ragioni alla correttezza della mia traduzione, possibile rin-
tracciare la stessa espressione, a]n genevsqai, con significato non
di passato, in: Plat., Soph. 245d 1 e 248e 4; Plt., 301c 9; Rp.,
386b 1; Lg., 752c 8; Porf., Isag., 6,16 Busse.
6) Phys. I 8, 191b 31-33:
dia; ga;r tou`to tosou`ton kai; oiJ provteron ejxetravphsan th`~
oJdou` th`~ ejpi; th; n gevnesin kai; fqora;n kai; o{lw~ metabolhvn.
[] Anche per questa importante ragione,
a
infatti, i filo-
sofi precedenti si allontanarono dalla strada che conduce alla
generazione e alla corruzione e insomma al mutamento.
a) In questo passaggio voglio porre laccento su due termini,
tosou`ton e kaiv. Alcuni traduttori non tengono conto n delluno
n dellaltro, come, ad esempio, Russo; altri trascurano il to-
sou`ton e tengono in considerazione il kaiv, come Hardie & Gaye;
altri trascurano, al contrario, il kaiv e tengono in considerazione
il tosou`ton, come Carteron, Ruggiu e Franco Repellini; altri, in-
fine, tengono in considerazione entrambi i termini ma in modo,
a mio avviso, inadeguato, come Zanatta. Io ritengo che non solo
si debba tener conto di entrambi i termini, ma che occorra te-
APPENDICE 151
nerne conto in modo appropriato, che ritengo sia il seguente: il
tosou`ton, a mio avviso, non da accordarsi, anche se considera-
to in forma avverbiale, con il verbo ejxetravphsan, come qualcuno
fa (Carteron, Franco Repellini, Ruggiu e Zanatta): una tale re-
lazione grammaticale fa s che nella traduzione italiana ci si
aspetti comunque il correlativo di tosou` ton. Se il tosou` ton si ac-
corda con il verbo ejxetravphsan e non si vede come si possa dare
un valore correlativo, allora il discorso rimane nel vago perch
non pu indicare la causa di quella deviazione (cio la ragione
secondo cui gli Eleati hanno preso in senso assoluto i concetti di
nascere e perire), ma si deve riferire a tutte le conseguenze che
derivano da questa causa e, quindi, il discorso rimane appunto
troppo vago. In realt, il tosou`ton da accordarsi, a mio avviso,
con il tou`to che lo precede, a indicare la gravit della ragione
per la quale i filosofi precedenti si allontanarono eccetera.
Inoltre, Ruggiu non solo accorda tosou`ton con ejxetravphsan, ma
lo fa anche in modo scorretto, perch traduce in maniera inspie-
gabile il verbo, infatti scrive si sono inoltrati tanto in profon-
dit nello studio eccetera, dando al verbo il significato che
esso avrebbe potuto avere qualora avesse retto un accusativo e
non un genitivo come nel testo aristotelico, costruzione classi-
ca, questa con il caso genitivo, per indicare lallontanamento
da. Per quanto riguarda il kaiv, inoltre, non sembra opportuno
ignorarlo n accordarlo con oiJ provteron, perch non si compren-
de cosa possa, in tal caso, significare: sembra pi logico, invece,
accordarlo con dia; tou`to tosou`ton perch indica che questa che
Aristotele intende fra le tante ragioni la pi importante e se-
ria. Insomma, come se dopo il kaiv dovessimo intendere una
breve pausa, una virgola, intendendo la frase composta da due
momenti diversi: dia; ga;r tou`to tosou`ton kaiv e oiJ provteron ejxe-
travphsan th`~ oJdou` th`~ ejpi; th;n gevnesin kai; fqora;n kai; o{lw~ meta-
bolhvn.
7) Phys. I 9, 192a 31-32:
levgw ga;r u{lhn to; prw`ton uJpokeivmenon eJkavstw/, ejx ou| givgne-
taiv ti ejnupav rconto~ mh; kata; sumbebhkov ~.
[] infatti intendo per materia il sostrato primo
a
di cia-
scuna cosa, dal quale <sostrato> qualcosa nasce in quanto ne
principio immanente in modo non accidentale.
b
152 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
a) Questo to; prw`ton uJpokeivmenon concettualmente corri-
spondente allespressione to; a[morfon pri;n labei`n th;n morfhvn
in cui stato estrapolato, ma in modo ingiustificato, da Diels
il termine u{lh perch entrambe le espressioni indicano la
stessa cosa, cio che il sostrato concepito prima ancora che as-
suma la forma e il termine di collegamento u{lh, non pi
fuvsi~, come Aristotele lha chiamata prima.
b) La difficolt qui quella di intendere il termine ejnupavr-
conto~ e lespressione mh; kata; sumbebhkov~. Alcuni intendono lej-
nupavrconto~ nel senso di un sostrato che persiste nella cosa
quale risultato della nascita, come ad esempio Hardie & Gaye,
che traducono wich persists in the result; altri, invece, lo in-
tendono nel senso di un sostrato che immanente, ma lasciano
vaga questa immanenza, non specificando in che cosa e in che
senso immanente, come Russo, il quale dice ci dalla cui im-
manenza, o Zanatta, che traduce se presente. Questi due
modi di intendere lejnupavrconto~ non mi sembrano adatti a far
comprendere il senso del discorso di Aristotele perch il primo
modo considera soprattutto la persistenza del sostrato dopo la
nascita e, quindi, fa prevalere soltanto un aspetto della condi-
zione del sostrato, che quella del dopo che la cosa nata,
laltro modo invece non soddisfa perch lascia nel vago la per-
manenza o la presenza del sostrato, ossia resta vago ci in cui
immanente o presente il sostrato. In effetti, a mio avviso, lejnu-
pavrconto~ un termine che qui indica, riferito al sostrato, al
tempo stesso lesistenza del sostrato nellatto della nascita della
cosa e la permanenza del sostrato dopo che la cosa nata. Per
questa ragione mi sembra pi soddisfacente la traduzione di
Franco Repellini, il quale traduce lejnupavrconto~ con costituen-
te interno. C per da precisare che esso non tanto costi-
tuente, perch in tal caso potrebbe essere scambiato per stoi-
cei`on, e quindi non essere presupposto ma presupporre la cosa
gi nata. Per questo stesso motivo non appare adeguata la tra-
duzione di Carteron, che scrive lment immanent, scambian-
do evidentemente lejnupavrconto~ con uno stoicei`on della cosa
nella quale si trova. Al contrario, qui lejnupavrconto~ la condi-
zione del sostrato in quanto principio (ajrchv), il quale, in effetti,
secondo Aristotele al tempo stesso ci da cui nasce la cosa e
ci che immanente alla cosa stessa che nasce, come spiega be-
nissimo il passaggio di Metaph. V 1, 1013a 4 ss., in cui Aristote-
APPENDICE 153
le scrive: Il principio ci da cui primariamente <qualcosa>
nasce in quanto esso ne immanente [] (hJ de; o{qen prw`ton giv-
gnetai ejnupavrconto~ con riferimento allajrchv di li. 1). C poi
infine chi, inspiegabilmente, come Ruggiu, traduce il passo tra-
scurando lejnupavrconto~. Rimane il problema del mh; kata; sum-
bebhkov~. Tale espressione tradotta in modo incomprensibile
da Hardie & Gaye without qualification, cosa evidentemente
impossibile dal momento che la cosa che nasce, nasce perch il
sostrato amorfo acquista la forma e, quindi, acquista una quali-
ficazione. Una simile interpretazione, infatti, avrebbe senso
qualora i traduttori riferissero lespressione mh; kata; sumbebhkov~
ad ejnupavrconto~, ma essi la riferiscono invece al givgnetai. Le
traduzioni correnti, ad eccezione di Carteron e di Russo, fanno
dipendere tutte lespressione mh; kata; sumbebhkov~ da givgnetai,
ma anche questo non ha senso perch non si capisce cosa possa
significare che qualcosa nasce in modo non accidentale. Al con-
trario, lespressione acquista significato se si riferisce a ejnupavr-
conto~, come giustamente fanno Carteron e Russo, dei quali
il primo traduce lment [sic!] immanent et non accidentel,
mentre il secondo traduce dalla cui immanenza non accidenta-
le, perch in effetti il sostrato come principio immanente non
ha accidentalit, ma essenziale alla nascita di qualcosa. Con-
vincente mi sembra, di conseguenza, linterpretazione che di
questo passo d Couloubaritsis, pp. 213-214, il quale sottolinea
soprattutto laspetto ontologico del discorso di Aristotele, pun-
tando sullespressione mh; kata; sumbebhkov~ che egli accorda, co-
me io faccio, con ejnupavrconto~, e che significherebbe lessenzia-
lit con cui la materia, in quanto soggetto, appartiene alla cosa
che da essa nasce.
8) Phys. III 1, 200b 12-15:
Epei; d hJ fuvsi~ mevn ejstin ajrch; kinhvsew~ kai; metabolh`~, hJ
de; mevqodo~ hJmi`n peri; fuvsewv~ ejsti, dei` mh; lanqavnein tiv ejsti
kivnhsi~: ajnagkai`on ga;r ajgnooumevnh~ aujth`~ ajgnoei`sqai kai; th;n
fuvsin.
Poich la natura principio di movimento e di mutamen-
to e la nostra ricerca riguarda la natura, occorre che non ci
resti nascosto che cos movimento, perch ignorando questo
si ignora necessariamente anche la natura.
154 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
9) Phys. III 1, 200b 26-28:
e[sti dh; ti to; me;n ejnteleceiva/ movnon, to; de; dunavmei kai; ejnte-
leceiva/, to; me;n tovde ti, to; de; tosovnde, to; de; toiovnde, kai; tw`n
a[llwn tw` n tou` o[nto~ kathgoriw` n oJmoiv w~.
Ebbene, da un lato esiste ci che solamente in ente-
lechia, dallaltro lato ci che in potenza e in entelechia <in-
sieme>, il qualcosa di determinato, il quanto determinato, il
quale determinato e cos per tutte le altre categorie delles-
sere.
a
a) Per tutto quello che ho detto a proposito della distinzio-
ne fra la nozione di ejnevrgeia e quella di ejntelevceia (cf. il testo
pp. 28-30), mi sembra inaccettabile la traduzione del termine
ejnteleceiva/ con in atto come fanno Carteron, Russo, Ruggiu e
Zanatta. Giustamente, invece, traduce Couloubaritsis, p. 272,
che infatti discute ampiamente il significato del termine nel suo
volume, passim. Traducono correttamente in a state of fulfil-
ment anche Hardie & Gaye. Quantomeno fuorviante mi sem-
bra, invece, la traduzione che Carteron fa dellespressione to; de;
dunavmei kai; ejnteleceiva/ , cio ce qui est dune part en acte dau-
tre part en puissance, perch il to; dev qui in correlazione con
il to; mevn che indica quegli enti che sono soltanto in entelechia;
Aristotele non vuole, quindi, distinguere fra enti diversi che sia-
no tutti compresi nella categoria to; de; dunavmei kai; ejnteleceiva/ ,
ma vuole, al contrario, significare un genere di enti che sono
contemporaneamente in potenza e in entelechia (cf. quanto ho
gi spiegato alla nota 13).
10) Phys. III 1, 200b 32-201a 9:
oujk e[sti de; kivnhsi~ para; ta; pravgmata: metabavllei ga;r ajei;
to; metabavllon h] kat oujsivan h] kata; poso;n h] kata; poio;n h] kata;
tovpon, koino;n d-200,35-ejpi; touvtwn oujde;n e[sti labei`n, wJ~ fa-
mevn, o} ou[te tovde ou[te po-201,1-so;n ou[te poio;n ou[te tw`n a[llwn
kathgorhmavtwn oujqevn: w{st oujde; kivnhsi~ oujde; metabolh; oujqeno;~
e[stai para; ta; eijrhmevna, mhqenov~ ge o[nto~ para; ta; eijrhmevna.
e{kaston de; dicw` ~ uJ pav rcei pa`sin, oi| on to; tov de (to; me; n ga;r morfh;
aujtou`, to; de; 201,5 stevrhsi~), kai; kata; to; poiovn (to; me;n ga;r
leuko;n to; de; mevlan), kai; kata; to; poso;n to; me;n tevleion to; d ajte-
APPENDICE 155
lev~. oJmoivw~ de; kai; kata; th;n fora;n to; me;n a[nw to; de; kavtw, h] to;
me;n kou`fon to; de; baruv. w{ste kinhvsew~ kai; metabolh`~ e[stin ei[dh
tosau`ta o{ sa tou` o[nto~.
Non c movimento fuori delle cose, perch ci che muta,
muta sempre o secondo la sostanza o secondo il quanto o se-
condo il quale o secondo il luogo, ma a proposito di questi tipi
<di mutamento>, non si pu assumere, per cos dire, nulla di
comune, che non sia n questo n quanto n quale n al-
cun altro degli altri modi di predicazione, sicch non ci sar
n movimento n mutamento di nulla oltre i tipi gi detti,
perch in effetti non c nessun altro modo oltre i suddetti.
Ma ciascun modo <di predicazione> appartiene a tutto ci a
cui si applica in duplice maniera, ad esempio il questo (per-
ch di esso c da un lato la forma e dallaltro lato la privazio-
ne), e secondo il quale (perch c da un lato il bianco e dal-
laltro il nero), e secondo il quanto <perch> c da un lato il
compiuto e dallaltro lincompiuto. Allo stesso modo anche <il
modo di predicazione> secondo la traslazione <perch> c
da un lato lalto e dallaltro il basso oppure da un lato il leg-
gero e dallaltro il pesante. Di conseguenza del movimento
e del mutamento ci sono tante forme quante ce ne sono del-
lessere.
a
a) La mia traduzione, nella sostanza, non differisce molto
da quelle correnti, tranne che per qualche sottigliezza a propo-
sito, ad esempio, del termine to; metabavllon, che indica chiara-
mente ci che muta e che Ruggiu traduce ci che diviene, op-
pure a proposito dellespressione e{kaston de; dicw`~ uJpavrcei
pa`sin, che io ho tradotto ciascun modo <di predicazione> ap-
partiene a tutto ci a cui si applica in duplice maniera, mentre
sia Zanatta che Ruggiu traducono le{kaston con un generico
ciascuna di esse o ciascuna di queste cose: al contrario il ter-
mine e{kaston ha un preciso riferimento allespressione tw`n
a[llwn kathgorhmavtwn della linea precedente. Cos, pure, le-
spressione mhqenov~ ge o[nto~ para; ta; eijrhmevna non si riferisce a
una generica realt, come fa intendere Ruggiu con la sua tra-
duzione, bens ai kathgorhv mata eij rhmev na.
156 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
11) Phys. III 1, 201a 10-15:
hJ tou` dunavmei o[nto~ ejntelevceia, h|/ toiou`ton, kivnhsiv~ ejstin,
oi|on tou` me;n ajlloiwtou`, h|/ ajlloiwtovn, ajlloivwsi~, tou` de; aujxhtou`
kai; tou` ajntikeimevnou fqitou` (oujde;n ga;r o[noma koino;n ejp
ajmfoi`n) au[xhsi~ kai; fqivsi~, tou` de; genhtou` kai; fqartou` gevne-
si~ kai; 201,15 fqorav, tou` de; forhtou` forav. o{ti de; tou`to
e[stin hJ kivnhsi~, ejnteu`qen dh` lon.
Lentelechia di ci che in potenza in quanto tale movi-
mento; per esempio, di ci che alterabile, in quanto altera-
bile, alterazione, dellaumentabile e del suo opposto il dimi-
nuibile (infatti non vi un nome comune per entrambi), au-
mento e diminuzione, del generabile e del corruttibile, gene-
razione e corruzione, del traslabile traslazione. Che questo
sia il movimento (kivnhsi~), chiaro da quel che segue.
a
a) Il termine ejntelevceia tradotto in due modi, come atto e
come entelechia. Chi lo traduce alla prima maniera, ad esempio
Russo, Ruggiu e Zanatta, confonde ovviamente le due diverse
sfumature di significato che la nozione di atto possiede in Ari-
stotele, e che Aristotele tiene distinte, a mio avviso, usando due
termini diversi, appunto ejnevrgeia ed ejntelevceia. Altri, invece,
correttamente, tengono distinti i due aspetti di questa nozione e
quindi traducono ejntelevceia con entelechia, come fa Coulouba-
ritsis, oppure con un termine corrispondente, come fulfilment,
come fanno Hardie & Gaye. Non c dubbio, infatti, che da una
infinit di luoghi aristotelici e di argomentazioni si legittimati
a intendere i due termini in modo differenziato. Quindi, secon-
do me, un errore di interpretazione tradurre i due termini allo
stesso modo in ogni contesto, perch Aristotele, pur avendo una
sola nozione di atto, tuttavia la intende secondo due diverse
sfumature di significato, cio come processo di attuazione e co-
me attuazione compiuta. E anzi, proprio a proposito della kivnh-
si~, che trova la sua trattazione dettagliata in questo libro III
della Fisica, la nozione di atto come entelechia ha una sua ra-
gion dessere importantissima, come ho gi spiegato (cf. il testo
alle pp. 28-30), per cui tradurre atto in modo indifferenziato i
due termini, ejnevrgeia ed ejntelevceia, induce a una comprensio-
ne fuorviata e fuorviante di molti passaggi aristotelici.
APPENDICE 157
12) Phys. III 1, 201a 27-29:
hJ de; tou` dunavmei o[nto~ ejntelevceia, o{tan ejnteleceiva/ o]n ej-
nergh` / oujc h|/ aujto; aj ll h|/ kinhtov n, kivnhsiv ~ ejstin.
Ma lentelechia di ci che in potenza, quando, essendo
in entelechia, agisce
a
non in quanto quello che ma in
quanto mobile, movimento.
b
a) Questo ejnergh`/ indica unazione processuale dellente in-
tesa alla attuazione della sua potenza.
b) Nella traduzione di Hardie & Gaye non si comprende
perch essi interpretano lespressione ejnteleceiva/ o[n non con il
fulfilment con cui fino ad ora avevano tradotto il termine en-
telechia, ma con already fully real. Le traduzioni degli altri,
al solito, confondono atto ed entelechia, come Ruggiu e Zanatta.
Al contrario Russo, in questo passaggio, traduce ejnteleceiva/ o[n
con essendo in entelechia, mentre prima aveva tradotto in
atto, ed ejnergh`/, che una forma verbale, la traduce come se
fosse il nome al dativo, ejnergeiva/ , cio in atto. La stessa cosa fa
Carteron, che traduce lacte de la chose qui est en puissance
ma poi, costretto a distinguere i due termini nellespressione
o{tan ejnteleceiva/ o]n ejnergh`/ , continua quand on la prend dans
lentlchie quelle possde en tant quelle est en acte. Anche
Carteron, quindi, traduce il verbo ejnergh`/ come se fosse il nome
al dativo. Questultimo errore lo commette anche Zanatta. Si
pu osservare facilmente in questo contesto come la confusione
fra le due sfumature di significato della nozione di atto espresse
dai due termini ejntelevceia ed ejnevrgeia dia luogo a traduzioni
pesantemente fuorvianti.
13) Phys. III 2, 201b 27-33:
tou` de; dokei`n ajovriston ei\nai th;n kivnhsin ai[tion o{ti ou[te eij~
duvnamin tw`n o[ntwn ou[te eij~ ejnevrgeian e[stin qei`nai aujthvn: ou[te
201,30 ga;r to; dunato;n poso;n ei\nai kinei`tai ejx ajnavgkh~ ou[te
to; ejnergeiva/ posovn, h{ te kivnhsi~ ejnevrgeia me;n ei\naiv ti~ dokei`, aj-
telh;~ dev: ai[tion d o{ti ajtele; ~ to; dunatovn, ou| ejstin ejnevrgeia. kai;
dia; tou`to dh; calepo; n aujth; n labei` n tiv ejstin.
La ragione del fatto che il movimento sembri essere una
cosa indefinita che non possibile ricondurlo <semplice-
158 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
mente> n alla potenza degli enti n al loro atto, perch non
si muove necessariamente n ci che in potenza un quanto
n ci che in atto un quanto e il movimento sembra essere
s un certo atto, ma incompiuto; la ragione che incompiuto,
poi, che atto di qualcosa che in potenza. E perci diffi-
cile assumere che cosa sia il movimento.
a
a) Qui non compare il termine ejntelevceia come termine
chiave nella definizione di kivnhsi~. In effetti, dice Aristotele, la
kivnhsi~ non si pu ridurre n alla semplice potenza n al sem-
plice atto come ejnevrgeia, ma, semmai, ad una ejnevrgeia ajtelhv~,
per cui di fatto si ritorna allejntelevceia che definisce il movi-
mento, dal momento che lejntelevceia altro non che un atto in-
compiuto, ossia appunto una ejnevrgeia aj telhv~.
14) Phys. III 2, 202a 7-8:
hJ kivnhsi~ ejntelevceia tou` kinhtou` , h| / kinhtovn.
movimento lentelechia del mobile in quanto mobile.
a
a) Lunico che traduce, come al solito ma coerentemente,
ejntelevceia con atto Zanatta, mentre Russo in questo caso tra-
duce, non coerentemente, entelechia. Carteron traduce
entlchie: egli talvolta traduce ejntelevceia con entelechia e
talvolta con atto. Ruggiu, purtroppo, per un errore di omote-
leuto, salta lintera espressione. Hardie & Gaye traducono, co-
me al solito, fulfilment, e correttamente traduce anche Cou-
loubaritsis, p. 288.
15) Phys. IV 10, 218b 19-20:
mhde;n de; diaferevtw levgein hJmi`n ejn tw`/ parovnti kivnhsin h] me-
tabolhv n.
Non dobbiamo fare alcuna differenza,
a
per il momento,
nel dire movimento o mutamento.
a) Lespressione diaferevtw levgein hJmi`n ha chiaro valore im-
perativo e quindi non pu essere tradotta con un semplice pre-
sente come fa Zanatta.
APPENDICE 159
16) Phys. V 1, 224a 21-224b 8:
Metabavllei de; to; metabavllon pa`n to; me;n kata; sumbebhkov~,
oi|on o{tan levgwmen to; mousiko;n badivzein, o{ti w|/ sumbevbhken
mousikw`/ ei\nai, tou`to badivzei: to; de; tw`/ touvtou ti metabavllein
aJplw`~ levgetai metabavllein, oi|on o{sa 224,25 levgetai kata; mev-
rh (uJgiavzetai ga;r to; sw`ma, o{ti oJ ojfqalmo;~ h] oJ qwvrax, tau`ta de;
mevrh tou` o{lou swvmato~): e[sti dev ti o} ou[te kata; sumbebhko;~ ki-
nei`tai ou[te tw`/ a[llo ti tw`n aujtou`, ajlla; tw`/ aujto; kinei`sqai
prw`ton. kai; tou`t e[sti to; kaq auJto; kinhtovn, kat a[llhn de; kivnh-
sin e{teron, oi|on ajl-224,30-loiwtovn, kai; ajlloiwvsew~ uJgianto;n
h] qermanto;n e{teron. e[sti de; kai; ejpi; tou` kinou`nto~ wJsauvtw~: to;
me;n ga;r kata; sumbebhko;~ kinei`, to; de; kata; mevro~ tw`/ tw`n touvtou
ti, to; de; kaq auJto; prw`ton, oi|on oJ me;n ijatro;~ ija`tai, hJ de; cei;r
plhvttei. ejpei; d e[sti mevn ti to; kinou`n prw`ton, e[sti dev ti to; ki-
nouv-224,35-menon, e[ti ejn w|/, oJ crovno~, kai; para; tau`ta ejx ou| kai;
eij~ 224,1 o{ - pa`sa ga;r kivnhsi~ e[k tino~ kai; ei[~ ti: e{teron ga;r
to; prw`ton kinouvmenon kai; eij~ o} kinei`tai kai; ejx ou|, oi|on to; xuvlon
kai; to; qermo;n kai; to; yucrovn: touvtwn de; to; me;n o{, to; d eij~ o{, to; d
ejx ou| - hJ dh; kivnhsi~ dh`lon o{ti ejn tw`/ xuvlw/, oujk 224,5 ejn tw`/
ei[dei: ou[te ga;r kinei` ou[te kinei`tai to; ei\do~ h] oJ tovpo~ h] to; to-
sovnde, ajll e[sti kinou`n kai; kinouvmenon kai; eij~ o} kinei`tai.
ma`llon ga;r eij ~ o} h] ejx ou| kinei`tai ojnomavzetai hJ metabolhv .
Tutto ci che muta, muta (metabavllei) da un lato per acci-
dente, ad esempio quando diciamo che il musico
a
cammina
nel senso che ci che ha la propriet di essere musico cammi-
na, dallaltro lato perch, mutando qualcosa di ci che muta,
si dice che esso muta in senso assoluto, ad esempio per le co-
se che si dicono <mutare>
b
secondo le parti (infatti il corpo
guarisce nel senso che guarisce locchio o il torace, e queste
sono parti del corpo come intero); ma c qualcosa che non si
muove (kinei`tai) n per accidente n perch si muove qualcu-
na delle sue parti, bens perch si muove essa stessa prima-
riamente. E questo il mobile preso per se stesso, il quale
per differenziato a seconda della particolarit del suo mo-
vimento, ad esempio lalterabile;
c
anche dellalterazione c
diversit fra il sanabile e il riscaldabile. Allo stesso modo ac-
160 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
cade nel caso di ci che muove, perch una cosa ci che muo-
ve per accidente, altra cosa ci che muove secondo qualcuna
delle sue parti
d
e altra cosa ancora ci che muove preso per
se stesso primariamente: ad esempio il medico cura e la mano
colpisce. Ma poich una cosa ci che muove primariamente,
altra cosa ci che mosso, e ancora ci in cui <avviene il
movimento>, <cio> il tempo, e oltre a questi ci da cui e ci
verso cui <avviene il movimento> infatti ogni movimento
avviene da qualcosa e verso qualcosa, perch diverso ci che
primariamente mosso e ci verso cui e ci da cui si muove,
ad esempio il legno e il caldo e il freddo; di questi una cosa
ci che <si muove>, unaltra ci verso cui <avviene il movi-
mento>, unaltra ancora ci da cui <avviene il movimento>
allora chiaro che il movimento nel legno e non nella forma:
infatti n muovono n si muovono la forma, il luogo e il quan-
to determinato, ma esiste ci che muove, ci che mosso e ci
verso cui si muove. Infatti il mutamento prende nome pi da
ci verso cui che non da ci da cui avviene il movimento.
a) Letteralmente lespressione to; mousikovn andrebbe tradot-
ta ci che musico, ma il neutro ha la funzione di indicare la
propriet dellessere musico e non luomo musico. Nellatto di
camminare, quindi, secondo Aristotele, cammina, insieme con il
soggetto uomo, anche la sua propriet, cio musico, quindi in
questo modo c un movimento e un mutamento dellaccidente,
perch a muoversi e a mutare appunto laccidente. Aristotele,
infatti, spiega, subito dopo aver usato lespressione to; mou-
siko;n badivzein, che con tale espressione egli intende che cammi-
na il soggetto il cui accidente appunto quello di essere musico.
b) Il predicato sottinteso di levgetai chiaramente metabavl-
lein, quindi non si comprende perch Ruggiu traduca diviene
anzich mutare, verbo che ha fin qui usato.
c) Lalterabile qui sempre il mobile preso per se stesso, ma
che si diversifica a seconda delle diverse specie di movimento
con cui si muove. Lajlloiwtovn un kinhto;n kaq auJtov , ma diffe-
renziato in virt del suo movimento che lajlloiv wsi~.
d) Qui la traduzione di Ruggiu: dallaltro lato secondo la
parte, in quanto muove una cosa che gli propria, potrebbe da-
APPENDICE 161
re adito a qualche fraintendimento, dal momento che lespres-
sione muove una cosa che gli propria potrebbe essere intesa
nel senso che il motore muove una sua parte, mentre il senso
del discorso di Aristotele che il motore muove per mezzo di
una sua propria parte, cio in quanto una sua parte motrice.
17) Phys. V 1, 224b 25-26:
[] hJ kivnhsi~ oujk ejn tw`/ ei[dei ajll ejn tw`/ kinoumevnw/ kai;
kinhtw` / kat ejnevrgeian.
[] il movimento non nella forma ma nel mosso, ovvero
nel mobile in atto.
18) Phys. V 1, 225a 1-2:
metabolhv ejstin e[k tino~ ei[~ ti (dhloi` de; kai; tou[noma: met
a[llo gav r ti kai; to; me; n prov teron dhloi` , to; d u{steron).
il mutamento avviene da qualcosa verso qualcosa (ed
chiaro anche dal nome: infatti, <il nome metabol> indica
una certa cosa dopo unaltra, luna che sta prima e laltra
che sta dopo).
19) Phys. V 1, 225a 12-20:
hJ me;n ou\n oujk ejx uJpokeimevnou eij~ uJpokeivmenon metabolh; kat
ajntivfasin gevnesiv~ ejstin, hJ me;n aJplw`~ aJplh`, hJ de; ti;~ tinov~ (oi|on
hJ me;n ejk mh; leukou` eij~ leuko;n gevnesi~ touvtou, hJ d ejk tou` mh;
o[nto~ aJplw`~ eij~ oujsivan gevnesi~ aJplw`~, kaq h}n aJplw`~ givgnesqai
kai; ouj ti; givgnesqai levgomen): hJ d ejx uJpokeimevnou eij~ oujc
uJpokeivmenon fqorav, aJplw`~ me;n hJ ejk th`~ oujsiva~ eij~ to; mh; ei\nai,
ti;~ de; hJ eij~ th;n ajntikeimevnhn ajpovfasin, kaqavper ejlevcqh
225,20 kai; ejpi; th` ~ genev sew~.
Dunque, il mutamento da non sostrato a sostrato, essen-
do per contraddizione, generazione: assoluta se <avviene>
in senso assoluto, relativa se <generazione> di qualcosa re-
lativo <al sostrato> (per esempio, quella che procede dal non
bianco al bianco generazione di questultimo, mentre quella
che procede dal non essere in senso assoluto alla sostanza
generazione in senso assoluto, secondo la quale noi diciamo
162 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
che nasce in senso assoluto e non che nasce qualcosa di re-
lativo); il mutamento da sostrato a non sostrato corruzio-
ne, in senso assoluto quella che procede dalla sostanza al non
essere, una corruzione relativa, quella che procede verso la
negazione opposta cos come si detto anche per la genera-
zione.
a
a) C da notare a proposito di questo passo il termine ajntiv-
fasi~, che propriamente la contraddizione, per la quale ri-
mando soprattutto a De interpr. 6, 17a 31-34 (ho gi chiarito la
nozione di contraddizione, almeno nei termini generali, nelle
note al testo, ad loc). Occorre notare che Ruggiu, sebbene qual-
che linea prima distingua correttamente ejnantiva e ajntivfasi~,
che traduce contrari e contraddittori (anche se per la verit
dovrebbe dire contrari e contraddizione), in questo passo tra-
duce invece lespressione kat ajntivfasin con rapporto di con-
trariet, anzich di contraddizione. Una svista analoga ricorre
alla fine del passo, in cui egli traduce lespressione eij~ th;n ajn-
tikeimev nhn ajpov fasin verso la negazione contraria.
20) Phys. V 2, 225b 10-11:
Kat oujsivan d oujk e[stin kivnhsi~ dia; to; mhde;n ei\nai oujsiva/
tw` n o[ntwn ejnantivon.
Secondo la sostanza non vi movimento, per il fatto che,
fra gli enti, non esiste, relativamente alla sostanza, alcun
contrario.
a
a) Il tw`n o[ntwn crea ambiguit, come ho gi detto nella no-
ta al testo n. 33, infatti alcuni traducono il tw`n o[ntwn, a mio
avviso correttamente, tra le cose che sono, come ad esempio
Hardie & Gaye, che scrivono among things that are, altri in-
vece, come ad esempio Carteron, Russo e Zanatta, lo fanno di-
pendere da ejnantivon, infatti traducono nel senso che non c
nessun ente che sia opposto alla sostanza, scrivendo rispetti-
vamente il ny a aucun tre qui soit contraire la substan-
ce, non c nessun essere che sia opposto [sic], e perch nes-
suno degli esseri contrario alla sostanza. Infatti, in questul-
tima interpretazione, il dativo oujsiva/ direttamente dipenden-
te da ejnantivon nel senso che nessun ente contrario alla so-
APPENDICE 163
stanza: in effetti, Aristotele non vuole dire questo, ma vuole di-
re che, tra le cose che esistono, non c alcuna contrariet re-
lativamente alla sostanza. Infatti, per evitare lambiguit, sa-
rebbe forse meglio tradurre mhde;n ejnantivon come un sostanti-
vo, cio nessuna contrariet. In altri termini, Aristotele vuo-
le dire che qualsiasi ente pu contenere luno o laltro dei con-
trari rispetto a tutte le sue propriet tranne che per la sua so-
stanza. Per inciso, occorre dire che Ruggiu non traduce il geniti-
vo tw` n o[ntwn.
21) Phys. V 2, 225b 13-25:
oujde; dh; poiou`nto~ kai; pavsconto~, h] kinoumevnou kai;
kinou`nto~, o{ti 225,15 oujk e[sti kinhvsew~ kivnhsi~ oujde; genev-
sew~ gevnesi~, oujd o{lw~ metabolh`~ metabolhv. prw`ton me;n ga;r
dicw`~ ejndevcetai kinhvsew~ ei\nai kivnhsin, h] wJ~ uJpokeimevnou (oi|on
a{nqrwpo~ kinei`tai o{ti ejk leukou` eij~ mevlan metabavllei: a\rav ge
ou{tw kai; hJ kivnhsi~ h] qermaivnetai h] yuvcetai h] tovpon ajllavttei h]
aujxavnetai 225,20 h] fqivnei tou`to de; ajduvnaton: ouj ga;r tw`n
uJpokeimevnwn ti hJ metabolhv), h] tw`/ e{terovn ti uJpokeivmenon ejk me-
tabolh`~ metabavllein eij~ e{teron ei\do~ oi|on a[nqrwpo~ ejk novsou
eij~ uJgiveian.
a
ajll oujde; tou`to dunato;n plh;n kata; sumbebhkov~:
aujth; ga;r hJ kivnhsi~ ejx a[llou ei[dou~ eij~ a[llo ejsti; metabolhv
oi|on 225,25 aj nqrwvpou ej k novsou eij ~ uJgiveian.
Non c neppure <movimento> nel caso dellagente e del
paziente, o del mosso e del movente, nel senso che non esiste
movimento di movimento n generazione di generazione,
n in generale mutamento di mutamento. Anzitutto, infatti,
si pu ammettere <solo> in due modi che ci sia movimento
di movimento, o come <movimento> di un sostrato (ad esem-
pio un uomo si muove nel senso che muta da bianco a nero:
ma si deve forse intendere in tal modo anche movimento, nel
senso che esso si riscalda o si raffredda o cambia di luogo o
aumenta o diminuisce? ma questo impossibile, perch il
mutamento non uno dei sostrati), oppure <si pu dire mo-
vimento di movimento> nel senso che una certa forma di so-
strato, per mutamento, muta in unaltra forma di sostrato
b
[ad esempio luomo dalla malattia alla salute]. Ma neppure
164 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
questo possibile tranne che per accidente: infatti in que-
sto caso mutamento il movimento da una forma ad unal-
tra <ad esempio il mutamento di un uomo dalla malattia alla
salute>.
c
a) Questo testo fra parentesi quadre viene giustamente po-
sposto dalleditore, Ross, alla fine di questo stesso passo.
b) Scil. di sostrato-movimento: qui Aristotele intende sem-
pre il movimento del movimento in cui il movimento fa da so-
strato al movimento.
c) A proposito dellespressione movimento di movimento,
espressione che si pu ben capire se si pensa che il movimento
appartiene ai pollacw`~ legovmena, Aristotele in questo passaggio
assume il movimento come sostrato o soggetto logico della pro-
posizione kivnhsi~ kinei`tai. In altri termini, in questo paragrafo
Aristotele precisa che non pu esistere movimento di movimen-
to, n generazione di generazione, n mutamento di mutamen-
to. Per mostrare limpossibilit della prima espressione egli
parte dagli unici due possibili sensi in cui si potrebbe intendere
kivnhsi~ kinhvsew~. Il primo modo quello di intendere kivnhsi~,
soggetto logico dellipotetica proposizione kivnhsi~ kinei`tai, come
se fosse un sostrato, cosa impossibile perch kivnhsi~ non pu fa-
re da sostrato, come ad esempio luomo nella proposizione in cui
luomo muta da bianco a nero, infatti non si pu dire che il mo-
vimento si riscalda oppure si raffredda eccetera; il secondo mo-
do, invece, quello di intendere ipoteticamente kivnhsi~ kinhv-
sew~, come due specie di movimento di cui uno sarebbe il muta-
mento dellaltro, caso anche questo impossibile perch si tratte-
rebbe, ad esempio, del movimento-esser malato al movimento-
esser sano e, quindi, movimento in altra specie di movimento,
cosa evidentemente impossibile perch in questo caso non c
mutamento di sostrati veri e propri, a meno che qui si consideri
il movimento dice Aristotele come un sostrato accidentale,
ossia come un sostrato non in senso proprio, cio dire come una
specificazione di kivnhsi~, ad esempio essere-malato essere-
sano, per cui avviene un movimento dalluna specie allaltra
del movimento. La conclusione che n nel primo modo n nel
secondo modo di intendere kivnhsi~ kinhvsew~ (tranne che questo
secondo modo si intenda in modo accidentale e non in senso
proprio, cio plh;n kata; sumbebhkov~) possibile realmente verifi-
APPENDICE 165
care una kivnhsi~ kinhvsew~, che risulta, pertanto, unipotesi as-
surda.
Per quanto riguarda le varie traduzioni da me consultate,
esse non differiscono gran che, nella sostanza, dalla mia tradu-
zione e quindi non ne faccio qui alcuna annotazione, tranne che
per la traduzione di Ruggiu, il quale intende lespressione a\rav
ge ou{tw kai; hJ kivnhsi~ h] qermaivnetai h] yuvcetai h] tovpon ajllavttei h]
aujxavnetai h] fqivnei: Pu dunque essere allo stesso modo anche
il movimento di ci che si riscalda o si raffredda o muta di luogo
o si accresce o diminuisce?. Qui Ruggiu non si accorge che i
predicati qermaivnetai yuvcetai ajllavttei aujxavnetai fqivnei hanno
come soggetto direttamente kivnhsi~ e non il sostrato presunto
di kivnhsi~.
22) Phys. V 5, 229a 30-229b 2:
ejpei; de; diafevrei metabolh; kinhvsew~ (hJ e[k tino~ ga;r uJpokei-
mevnou ei[ ~ ti uJpokeiv menon metabolh; kivnhsiv ~ ej stin), hJ ejx ejnantiv ou
229,1 eij~ ejnantivon th`/ ejx ejnantivou eij~ ejnantivon kivnhsi~ ejnan-
tiva, oi|on hJ ejx uJgieiva~ eij ~ nov son th`/ ej k nov sou eij~ uJgiv eian.
Poich il mutamento diverso dal movimento (perch
movimento il mutamento da un sostrato a un sostrato),
a
allora il movimento che va da contrario a contrario con-
trario a quello che procede da <questultimo> contrario al
<primo> contrario, ad esempio quello che va dalla salute al-
la malattia < contrario> a quello che va dalla malattia alla
salute.
a) chiaro che qui non si tratta di mutamento che va da
un sostrato verso un altro sostrato, come traduce Russo (tra-
duzione che pu indurre in inganno), ma di mutamento che va
da un sostrato che ha una certa forma, ad esempio la malattia,
verso lo stesso sostrato che assume la forma contraria, ad esem-
pio la salute. Quindi, si tratta dello stesso sostrato.
23) Metaph. VI 1, 1026a 27-32:
eij me;n ou\n mh; e[sti ti~ eJtevra oujsiva para; ta;~ fuvsei sune-
sthkuiva~, hJ fusikh; a]n ei[h prwvth ejpisthvmh: eij d e[sti ti~ oujsiva
ajkivnhto~, 1026,30 au{th protevra kai; filosofiva prwvth, kai;
166 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
kaqovlou ou{tw~ o{ti prwvth: kai; peri; tou` o[nto~ h|/ o]n tauvth~ a]n ei[h
qewrh`sai, kai; tiv ejsti kai; ta; uJpavrconta h|/ o[n.
Se non esistesse dunque unaltra sostanza oltre a quelle
costituite per natura, la fisica potrebbe essere la scienza pri-
ma; ma se esiste una sostanza immobile, la scienza di questa
sar precedente <alle altre scienze> e sar filosofia prima, e
cos, in quanto prima, essa sar anche <scienza> universa-
le, e sar suo compito proprio considerare lessere in quanto
essere, e che cosa lessere sia e quali attributi, in quanto es-
sere, gli appartengano.
a
a) Tali traduzioni non differiscono, nella sostanza, dalla
mia.
24) Cat. 5, 3b 24-27:
Upavrcei de; tai`~ oujsivai~ kai; to; mhde;n aujtai`~ ejnantivon
3,25 ei\nai. th`/ ga;r prwvth/ oujsiva/ tiv a]n ei[h ejnantivon oi|on tw`/ ti-
ni; ajnqrwvpw/ <h] tw`/ tini; zw/vw/ >
a
oujdevn ejstin ejnantivon, oujdev ge tw`/
ajnqrwvpw/ h] tw` / zwv/ w/ oujdevn ejstin ejnantiv on.
proprio delle sostanze anche non avere alcun contrario.
Infatti, quale potrebbe essere il contrario della sostanza pri-
ma? Non c nessun contrario, ad esempio, di un uomo deter-
minato o di un animale determinato e neppure c alcun con-
trario delluomo o dellanimale.
b
a) Questa integrazione la ricavo dallapparato critico delle-
dizione di L. Minio Paluello, Oxford 1980. Non ritengo necessa-
ria lespunzione dellespressione h] tw`/ tini; zw/ v w/, dal momento che,
oltre ad avere un senso logico, essa ricorre nel principale mano-
scritto (B= Marcianus 201, e nei commentatori).
b) Nelle traduzioni correnti non ci sono differenze sostan-
ziali di senso rispetto alla mia, ad eccezione del fatto che ho ac-
colto lintegrazione di cui sopra. tuttavia da rilevare che la
traduzione di E.M. Edghill, Oxford 1952, che rispetta peraltro
lintegrazione di B, traduce il secondo tw`/ ajnqrwvpw/ h] tw`/ zwv/w/ come
specie e genere, quindi, in altri termini, come sostanze seconde,
come ho gi spiegato supra, nella nota n. 24.
APPENDICE 167
25) Cat. 5, 4a 10ss.:
Mavlista de; i[dion th`~ oujsiva~ dokei` ei\nai to; taujto;n kai; e}n aj-
riqmw` / o] n tw`n ejnantiv wn ei\nai dektikovn.
Ma sembra essere propriet al pi alto livello della so-
stanza esser capace di accogliere i contrari pur rimanendo la
stessa e una per numero.
26) De interpr. 6, 17a 31-34:
w{ste dh`lon o{ti pavsh/ katafavsei ejsti;n ajpovfasi~ ajntikei-
mevnh kai; pavsh/ ajpofav sei katavfasi~. kai; e[stw ajntiv fasi~ tou` to,
katavfasi~ kai; aj povfasi~ aiJ ajntikeivmenai.
Di conseguenza [rispetto cio al fatto che di ogni affer-
mazione ci pu essere una negazione e viceversa] eviden-
te che ad ogni affermazione opposta una negazione, e ad
ogni negazione unaffermazione. E la contraddizione sia inte-
sa in questo senso, ossia laffermazione e la negazione come
opposte.
27) Top. I 2, 101b 3-4:
ejxetastikh; ga;r ou\sa pro;~ ta;~ aJpasw`n tw`n meqovdwn ajrca;~
oJdo; n e[cei.
[] infatti essendo [scil. la dialettica] <una tecnica> di
indagine, essa si muove verso i principi di tutte quante le ri-
cerche.
168 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
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184 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
8.
INDICI
Accademici, 11, 43, 116.
Adrasto, 136.
Alessandro di Afrodisia, 28, 136.
ALLEN R.E., 52.
Anassagora, 41, 47, 48, 49, 82,
84, 85, 91.
Anassimene, 46.
Andronico di Rodi, 21, 22, 136.
ANNAS J., 141.
Antifonte sofista, 64, 149.
Antistene, 71, 72.
ANTON J.P., 33.
APOSTLE H.G., 141.
Aspasio, 136.
AUBENQUE P., 28, 29, 53.
BARBANTI M., 141.
BARNES J., 54.
BAUSOLA A., 23.
BERTI E., 14, 23, 31, 52, 53, 54,
60, 61, 66, 126, 148.
BESNIER B., 128.
Boeto di Sidone, 136.
BOGEN J., 33.
BOLTON R., 66.
BRAGUE R., 128.
BRANCACCI A., 72.
BRISSON L., 140.
BRUNSCHWIG J., 24.
CAMBIANO G., 53, 63.
CAPIZZI A., 52, 87.
CARDULLO R.L., 98, 136.
CARTERON H., 147, 148, 151,
152, 153, 154, 155, 158, 159,
163.
CASERTANO G., 14, 54, 87, 103.
CHERNISS H., 51, 52, 53, 55.
COLLI G., 52, 147.
COULOUBARITSIS L., 14, 26, 30,
54, 63, 97, 123, 125, 126,
130, 147, 154, 155, 157, 159.
DAL PRA M., 52.
DCARIE V., 29.
DE GANDT F., 22, 23, 24, 66, 128,
141.
Democrito, 47, 48, 87, 88.
DESTRE P., 141.
DIELS H., 109, 153.
Diogene di Apollonia, 46.
DOMINGUEZ F., 137.
DONINI P.L., 21.
DUBOIS J.M., 141.
DUHEM P., 31.
DRING I., 21.
EDGHILL E.M., 147, 167.
ELDERS L., 137.
* I nomi degli autori moderni sono in maiuscoletto. Resta escluso da
questo indice, per ovvi motivi, il nome Aristotele.
INDICE DEGLI AUTORI CITATI*
Eleati, 25, 41, 42, 50, 51, 55,
57, 58, 60, 64, 65, 66, 67,
69, 70, 71, 72, 74, 77, 81,
82, 103, 112, 113, 116, 130,
150, 152.
Empedocle, 41, 47.
ENGBERG-PEDERSEN T., 63.
Eraclito, 62, 71.
Ermino (maestro di Alessandro
di Afrodisia), 136.
Erone di Alessandria, 141.
Eudemo di Rodi, 136.
Filopono, 28, 59, 109, 122, 125,
136, 141.
FRANCO REPELLINI F., 48, 58, 74,
147, 148, 149, 150, 151, 152,
153.
FRAPPIER G., 54.
FRITZ K. VON, 63.
FURLEY D.J., 52.
GAYE R.K., 43, 109, 147, 148,
149, 150, 151, 153, 154, 155,
157, 158, 159, 163.
GENTILE M., 52.
GENTILI C., 23.
GIARDINA G.R., 9, 141.
GIGON O., 52.
GRAESER A., 24.
GUROULT M., 52.
GUTHRIE W.K.C., 52, 53.
HAMELIN O., 123.
HAMLYN D.W., 63.
HARDIE R.P., 43, 109, 147, 148,
149, 150, 151, 153, 154, 155,
157, 158, 159, 163.
HEATH TH., 22.
HUSSEY E., 24.
IMBACH R., 137.
Ionici, 46, 48, 81.
Ippocrate di Chio, 64.
Ippone, 46.
JAEGER W., 52.
JUDSON L., 24, 66.
KHAN CH., 22, 24.
KOSMAN L.A., 31.
KOSTMAN J., 128.
LE BLOND J.M., 61, 63.
LEAR J., 24.
LESZL W., 52, 126.
Licofrone, 71.
LUCCHETTA G., 24.
LUGARINI L., 53.
Machiavelli N., 91.
MANSION A., 101, 143.
MANSION S., 52, 65, 67, 68.
Manzoni A., 91.
Melisso, 11, 41, 48, 57, 62,
66, 68, 69, 70, 71, 73, 74,
140.
MEYER M., 63.
MINIO PALUELLO L., 167.
MORAUX P., 28, 31.
MOREAU J., 53, 122.
MOREL P.M., 128.
MLLER I., 24.
NAPOLITANO L., 52.
Omero, 70.
OWEN G.E.L., 53, 140.
PALUMBO L., 87.
Parmenide, 11, 41, 48, 54, 57,
188 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
62, 65, 66, 69, 70, 72, 74, 75,
76, 86, 87, 137.
PECK A.L., 26.
Peripatetici, 59.
PINDL TH., 137.
Platone, 11, 42, 43, 54, 55, 56,
67, 71, 82, 86, 87, 103, 110,
115, 116, 124, 136, 138, 140,
151.
Platonici, 41, 42, 115.
Porfirio, 28, 47, 60, 136.
Presocratici, 41, 42, 43, 47, 49,
52, 55, 84.
Presofisti, 49.
REALE G., 21, 23, 123, 147.
REPICI L., 63.
ROBIN L., 122, 126.
ROMANO F., 14, 47, 60, 86, 136,
137.
ROSS W.D., 43, 58, 109, 122,
123, 135, 147, 165.
ROSSITTO C., 54.
RUGGIU L., 23, 58, 137, 138,
147, 148, 151, 152, 154, 155,
156, 157, 158, 159, 161, 163,
164, 166.
RUSSO A., 109, 147, 148, 150,
151, 153, 154, 155, 157, 158,
159, 163, 166.
SANTUCCI A., 54.
SICHIROLLO L., 52, 53.
Simplicio, 21, 27, 28, 47, 59,
60, 108, 109, 122, 125, 135,
136.
Siriano, 136.
SOLMSEN F., 101, 123.
SORABJI R., 26.
SOUFFRIN P., 22, 23, 24, 66, 128,
141.
STEVENSON J.G., 52.
Stoici, 103.
Talete, 46.
Temistio, 28, 47, 122, 136.
TRICOT J., 123.
VEGETTI M., 14.
VERBEKE G., 137.
VIANO C.A., 147.
WAGNER H., 122, 123.
WALTER P., 137.
WASCHKIES H.J., 141.
WATERLOW S., 101, 128.
WEIL E., 61.
WIELAND W., 23, 44, 45, 46, 53,
58, 63, 66, 82, 95, 105, 110,
138, 148,
WIESNER J., 28.
ZANATTA M., 74, 147, 148, 151,
152, 153, 155, 156, 157, 158,
159, 163.
Zenone, 65.
AUTORI CITATI 189
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Cat. 1, 1a 16-17: 68.
Cat. 5, 3b 24-27: 32, 35, 167.
Cat. 5, 4a 10 ss.: 32, 168.
Cat. 6, 6a 17-18: 33.
Cat. 9-10, 11b 17-23: 33.
De an. 403a 29-b 15: 24.
De caelo I 10, 279b 5 ss.: 55.
De caelo III 1, 298b 21-24: 65.
De gen. et corr. 325a 2-21: 65.
De interpr. 1-6, 16a 1-17a 37:
112.
De interpr. 6, 17a 31-34: 33, 163,
168.
De interpr. 14: 33.
De motu anim. 5, 700a 26-700b
3: 127.
De philosophia, fr. 8,3: 44.
Eth. Eud. I 3, 1215a 6 ss.: 55.
Eth. Eud. VII 2, 1235b 13-18: 55.
Eth. Nic. VII 1, 1145b 2 ss.: 55.
Eth. Nic. VII 4, 1146b 6 ss.: 55.
Metaph. I 3, 984a 16-984b 4: 64.
Metaph. I 5, 986b 10-987a 2: 65,
85, 86.
Metaph. I 5, 986b 30-31: 57.
Metaph. III 1, 995a 24-28: 55.
Metaph. IV 1, 1003a 18 ss.: 42.
Metaph. IV 2, 1004b 29 ss.: 90.
Metaph. IV 2, 1005a 3-5: 90.
Metaph. IV 3, 1005a 19-29: 23.
Metaph. V 1, 1013a 4 ss.: 153.
Metaph. V 10, 1018a 20 ss.: 33.
Metaph. VI 1, 1025b 6 ss.: 43.
Metaph. VI 1, 1025b 20 ss.: 42.
Metaph. VI 1, 1025b 26-1026a
18: 24.
Metaph. VI 1, 1026a 27-32: 22,
166.
Metaph. VII 7, 1032a 20 ss.:
110.
Metaph. VII 7, 1034b 10 ss.:
110.
Metaph. IX 6: 112.
Metaph. XI 5, 1062a 31 ss.: 62.
Metaph. XI 6, 1062b 24 ss.: 113.
Metaph. XI 9, 1065b 5 ss.: 28.
Metaph. XI 9, 1065b 33: 28.
Metaph. XI 11, 1067b 1 ss.: 132.
Phys. I 1, 184a 16-26: 45.
Phys. I 1, 184a 23-24: 45, 148.
Phys. I 2, 184b 15 ss.: 46.
Phys. I 2, 184b 15-25: 47.
Phys. I 2, 184b 16: 25, 66.
INDICE DEI LUOGHI CITATI
Phys. I 2, 184b 17: 25.
Phys. I 2, 184b 21-22: 47.
Phys. I 2, 184b 25-26: 66.
Phys. I 2, 184b 26: 25.
Phys. I 2, 185a 4: 66.
Phys. I 2, 185a 4-5: 66.
Phys. I 2, 185a 12 ss.: 119.
Phys. I 2, 185a 12-14: 63.
Phys. I 2, 185a 12-17: 148.
Phys. I 2, 185a 13: 25.
Phys. I 2, 185a 14: 143.
Phys. I 2, 185a 14-17: 64.
Phys. I 2, 185a 20: 64.
Phys. I 2, 185a 20-185b 5: 50.
Phys. I 2, 185a 20-185b 6: 67.
Phys. I 2, 185a 21: 67.
Phys. I 2, 185a 22: 67.
Phys. I 2, 185b 6: 70.
Phys. I 2, 185b 7-8: 70.
Phys. I 2, 185b 11-16: 70.
Phys. I 2, 185b 16-19: 70.
Phys. I 2, 185b 21-22: 62.
Phys. I 3, 186a 10-11: 73.
Phys. I 3, 186a 11-13: 73.
Phys. I 3, 186a 13-16: 73.
Phys. I 3, 186a 16: 25, 124.
Phys. I 3, 186a 19: 73.
Phys. I 3, 186a 32-34: 75.
Phys. I 4, 187b 7-13: 85, 149.
Phys. I 5, 188a: 85.
Phys. I 5, 188a 19-26: 88.
Phys. I 5, 188a 20: 25.
Phys. I 5, 188a 28-29: 88, 90.
Phys. I 5, 188a 32-33: 88.
Phys. I 5, 188a 33-34: 89.
Phys. I 5, 188b 25-26: 90.
Phys. I 7, 189b 30: 121.
Phys. I 7, 189b 32-33: 95.
Phys. I 7, 189b 33: 96.
Phys. I 7, 190a 5 ss.: 104.
Phys. I 7, 190a 6: 96.
Phys. I 7, 190a 9-10: 96.
Phys. I 7, 190a 13: 121.
Phys. I 7, 190a 13 ss.: 105.
Phys. I 7, 190a 14-15: 97.
Phys. I 7, 190a 15-16: 97.
Phys. I 7, 190a 17 ss.: 97.
Phys. I 7, 190a 18-19: 97.
Phys. I 7, 190a 21: 98.
Phys. I 7, 190a 21-22: 98.
Phys. I 7, 190a 31: 98, 99.
Phys. I 7, 190a 31-32: 98.
Phys. I 7, 190a 32-33: 99.
Phys. I 7, 190a 33-34: 100.
Phys. I 7, 190b 1-5: 99.
Phys. I 7, 190b 4: 100.
Phys. I 7, 190b 5: 100.
Phys. I 7, 191a 6-7: 130.
Phys. I 7, 191a 7: 109, 124.
Phys. I 7, 191a 7-12: 108.
Phys. I 7, 191a 10: 109.
Phys. I 8, 191a 27-31: 112, 150.
Phys. I 8, 191b 13-14: 114.
Phys. I 8, 191b 31-33: 124, 151.
Phys. I 8, 191b 33: 124.
Phys. I 9, 192a 6: 115.
Phys. I 9, 192a 31-32: 110, 115,
152.
Phys. II 1, 192b 21: 41.
Phys. II 1, 193b 3 ss.: 101.
Phys. II 1, 193a 28 ss.: 101.
Phys. II 2, 193b 22-35: 24.
Phys. II 2, 194b 9-15: 24.
Phys. II 9, 200a 20-21: 26.
Phys. III 1, 200b 12-15: 27, 123,
127, 154.
Phys. III 1, 200b 26-28: 27, 155.
Phys. III 1, 200b 32-33: 26.
Phys. III 1, 200b 32-201a 9: 124,
155.
192 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
Phys. III 1, 201a 8-9: 30.
Phys. III 1, 201a 10-11: 28.
Phys. III 1, 201a 10-15: 31, 157.
Phys. III 1, 201a 23-25: 32.
Phys. III 1, 201a 27-29: 28, 30,
128, 158.
Phys. III 1, 201b 4-5: 28.
Phys. III 2, 201b 27-33: 129,
158.
Phys. III 2, 202a 3-202b 29: 32.
Phys. III 2, 202a 7-8: 28, 129,
159.
Phys. IV 4, 211a 7 ss.: 55.
Phys. IV 10, 218b 9-20: 125,
139, 159.
Phys. IV 11, 218b 21-219a 2:
139.
Phys. IV 11, 219a 2-10: 139.
Phys. V 1, 224a 21-224b 1: 33.
Phys. V 1, 224a 21-224b 8: 160.
Phys. V 1, 224a 34-224b 8: 132.
Phys. V 1, 224b 25-26: 143, 162.
Phys. V 1, 224b 26-27: 34.
Phys. V 1, 224b 28-29: 34.
Phys. V 1, 224b 30: 144.
Phys. V 1, 225a 1-2: 136, 162.
Phys. V 1, 225a 1-225b 9: 35.
Phys. V 1, 225a 10-12: 34.
Phys. V 1, 225a 12 ss.: 37.
Phys. V 1, 225a 12-20: 162.
Phys. V 1, 225a 20 ss.: 131.
Phys. V 2, 225b 10-11: 35, 163.
Phys. V 2, 225b 11-13: 30.
Phys. V 2, 225b 13 ss.: 30.
Phys. V 2, 225b 13-25: 134, 164.
Phys. V 5, 229a 30-229b 2: 126,
130, 134, 166.
Phys. VI 9-10, 239b 7-241b 20:
65.
Phys. VIII 7, 260a 26: 127.
Phys. VIII 7, 260b 19-261a 12:
127.
Soph. El. 167b 13-20: 73.
Soph. El. 172a 7: 64.
Top. I 2, 101b 2-4: 168.
Top. I 2, 101b 3-4: 59.
Top. I 12, 105a 13 ss.: 63.
Homerus
Il. 7,471: 70.
Il. 9,469: 70.
Od. 4, 746: 70.
Lycophron
83 DK: 71.
Parmenides
B 8 DK: 57.
B 8,7-10 DK: 57.
B 8,15-21 DK: 113.
B 8,38 DK: 70.
B 8,41 DK: 70.
B 8,51-61 DK: 86.
B 9,4 DK: 87.
Plato
Lg. 752c 8: 151.
Parm. 135e-136a: 56.
Parm. 138b: 124.
Parm. 156 d-e: 140.
Parm. 162a-c: 140.
Parm. 162e: 124.
LUOGHI CITATI 193
Plt. 301c 9: 151.
Rp. 386b 1: 151.
Rp. 492b ss.: 82.
Soph. 237a: 87.
Soph. 245d 1: 151.
Soph. 248e: 124.
Soph. 248e 4: 151.
Soph. 258d: 87.
Teaeth. 167a: 140.
Teaeth. 182d: 140.
Philoponus
In Phys. 27,11-18: 59.
In Phys. 166,20 ss.: 109.
Porphyrius
Fr. 1 Rom.: 60.
Fr. 3 Rom.: 47.
Isag. 6,16 Busse: 151.
Simplicius
In De caelo 228,28 ss.: 21.
In Phys. 9,10-22: 60.
In Phys. 43,26-44,10: 47.
In Phys. 47,23-30: 59.
In Phys. 225,20 ss.: 109.
In Phys. 226,7-8: 109.
In Phys. 398,2 ss.: 123.
194 G.R. GIARDINA - I FONDAMENTI DELLA FISICA
FINITO DI STAMPARE
NELLA TIPOGRAFIA A. & G. DI LUCIA AMARA
IN CATANIA NEL MESE DI GIUGNO 2002
PER CONTO DELLA
COOPERATIVA UNIVERSITARIA EDITRICE
CATANESE DI MAGISTERO
CATANIA - VIA ETNEA, 390 - TEL. E FAX (095) 316737
COMPOSIZIONE E PELLICOLE: DI PIETRO MARLETTA
MISTERBIANCO (CT)

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