0 évaluation0% ont trouvé ce document utile (0 vote)
17 vues24 pages
Fulvio Delle Donne, L’immagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito, in L’eredità di Federico II. Dalla storia al mito, dalla Puglia al Tirolo – Das Erbe Friedrichs II. Von der Geschichte zum Mythos, von Apulien bis Tirol, a c. di F. Delle Donne, A. Pagliardini, E. Perna, M. Siller, F. Violante, Bari, Adda, 2010, pp. 145-166
Titre original
DelleDonne_Immagine Fed II Letteratura (Atti Innsbruck)
Fulvio Delle Donne, L’immagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito, in L’eredità di Federico II. Dalla storia al mito, dalla Puglia al Tirolo – Das Erbe Friedrichs II. Von der Geschichte zum Mythos, von Apulien bis Tirol, a c. di F. Delle Donne, A. Pagliardini, E. Perna, M. Siller, F. Violante, Bari, Adda, 2010, pp. 145-166
Fulvio Delle Donne, L’immagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito, in L’eredità di Federico II. Dalla storia al mito, dalla Puglia al Tirolo – Das Erbe Friedrichs II. Von der Geschichte zum Mythos, von Apulien bis Tirol, a c. di F. Delle Donne, A. Pagliardini, E. Perna, M. Siller, F. Violante, Bari, Adda, 2010, pp. 145-166
dalla Puglia al Tirolo Das Erbe Friedrichs II. Von der Geschichte zum Mythos, von Apulien bis Tirol Atti del convegno internazionale di studi (Innsbruck - Stams, 13-16 Aprile 2005) a cura di Fulvio Delle Donne, Angelo Pagliardini, Emanuela Perna, Max Siller, Francesco Violante
Estratto Mario Adda Editore 2010 ISBN 9788880828723 Copyright 2010 Mario Adda Editore - via Tanzi, 59 - Bari Tel. e Fax 080-5539502 Web: www.addaeditore.it e-mail: addaeditore@addaeditore.it Tutti i diritti riservati. Impaginazione: Vincenzo Valerio Pubblicato con il contributo dellUniversit degli Studi di Bari Aldo Moro e con il contributo della Universitt Innsbruck 145 Per innalzare i fastigi del governo crediamo che siano ne- cessari i fondamenti della scienza Noi che reggiamo i popoli per concessione divina, secondo la natura comune per cui tutti gli uomini desiderano sapere, abbiamo sempre ricercato la scien- za, sin dalla giovinezza E anche dopo che abbiamo assunto la guida del regno, non permettiamo che trascorra nellozio quel po di tempo che riusciamo a strappare alle cure familiari, ma tutto lo dedichiamo volentieri alla gradita lettura 1 . Questa ci- tazione tratta da una lettera che venne emanata da Manfredi, nel 1263: essa annunciava ai maestri dello Studium di Parigi linvio della traduzione latina di alcuni trattati logici e matematici. Perch ci si chieder per parlare dellimmagine di Federi- co II, si deciso di partire da una lettera di suo fglio Manfredi? Ebbene, va detto che la risposta a questa domanda pu servire im- mediatamente a chiarire i canali attraverso cui si andato svilup- pando il mito del grande imperatore svevo. Le solenni dichia- razioni sul valore della cultura contenute in quella lettera, infatti, dovettero, ben presto, apparire assai pi congrue con la fgura di Federico II. Solo Federico II poteva affermare di amare tanto la lettura da concedersi ad essa ogni volta che i gravosi impegni di governo dellimpero gli lasciavano un po di tempo a disposizio- ne, e solo lui poteva dichiarare che senza coltivare le scienze non pu esserci vita per gli uomini. Per questo, quella lettera ci stata tramandata dal cosiddetto Epistolario di Pier della Vigna come emanata da Federico II 2 . Fulvio Delle Donne Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito fulVio delle donne 146 Dunque, se questa una spia della precoce alterazione dei trat- ti reali ed autentici della fgura di Federico II, dobbiamo anche porci unaltra domanda: proprio vero tutto quello che la storia ci ha tramandato sullimperatore svevo? Forse saremo in grado di dare una risposta alla fne del percorso che ci accingiamo a intraprendere. Un percorso che si snoder, sia pure brevemente, attraverso lanalisi di alcuni testi letterari, di natura encomiastica, perch proprio quei testi ci permettono di comprendere pi chia- ramente i modi in cui venne operata, o venne guidata, la trasfgu- razione mitizzante del grande Svevo. I testi encomiastici che prenderemo in esame sono solo tre: non perch vogliamo trascurarne qualcuno, ma perch, per il pe- riodo in cui Federico II fu imperatore, in sostanza non ne furono prodotti altri. Questa unaltra circostanza che ci deve far rifet- tere, e per la quale, forse, alla fne, riusciremo a trovare una spie- gazione. I testi dunque, sono solo tre e, precisamente, una predica di Nicola da Bari, un componimento satirico di Terrisio di Atina e un dictamen (cio un componimento retorico epistolare) di Pier della Vigna. Tra questi vorrei trattare solo molto brevemente dei primi due, per soffermarmi soprattutto sul terzo: i primi due testi, infatti, sembrano essere lontani dallatmosfera ideologica e pro- pagandistica tipica della corte sveva 3 . La predica di Nicola da Bari, scoperta e pubblicata da Rudolf M. Kloos 4 , probabilmente risale allestate del 1229, ovvero al momento immediatamente successivo al ritorno di Federico dalla Terra Santa, ma non sappiamo se essa sia mai stata effettivamente pronunciata al cospetto dellimperatore: anzi, ci sono molte pro- babilit che essa non sia mai stata neanche pronunciata. In ogni caso, non sembra essere stata infuenzata dalla ideologia imperia- le federiciana. Nicola da Bari parla della grandezza di Federico, della nobilt della sua stirpe, della sua giustizia, della sua sapien- tia e delle altre sue virt, militari e civili, ma lo fa rispettando le tecniche dellars praedicandi, ovvero insistendo su citazioni bibliche, da cui, per, non si trae alcuno spunto per creare imma- gini mitizzanti: tutto ci che viene detto si muove esclusivamen- te entro i limiti dellesegesi del verbo biblico. Nella sua predica Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 147 sembra che siano del tutto assenti le atmosfere irrazionalmente immaginifche ed escatologico-sibilline, tipiche della propaganda organizzata negli ambienti svevi, a partire da Pietro da Eboli e prima ancora da Goffredo da Viterbo. Il poemetto satirico di Terrisio di Atina, gi attribuito in pas- sato a Quilichino da Spoleto 5 , va datato allincirca al 1241, ed sicuramente opera di un autore che conosceva pi precisamente lideologia uffciale della corte federiciana. Ma solo una sua parte dedicata allesaltazione di Federico. Infatti le 20 quartine in cui sono divisi gli 80 versi presentano questa struttura: la prima una sorta di prologo; le successive 9 costituiscono unesaltazione di Federico II; altre 9 denunciano la corruzione presente nella curia imperiale; lultima di commiato. Ma lintenzione di Terrisio, pi che di comporre un vero e proprio testo encomiastico, dovette es- sere quella di elaborare una sorta di lunga captatio benevolentiae, che servisse a dimostrare, nonostante le critiche rivolte alla curia, la propria lealt e la propria fedelt nei confronti dellimperatore. Passiamo, ora al dictamen di Pier della Vigna, contenuto nel XLIV capitolo del terzo libro dellepistolario dellillustre retore capuano 6 . Esso strutturato come risposta a una richiesta, di cui, per, non vengono esplicitati il proponente e neppure i termini precisi: non si tratta tuttavia di una pura esercitazione retorica. Comincia, infatti, con la formula Questionis ardue petita respon- sio, in quantum respondenti permittitur, enodatur. La questione proposta, da quanto si ricava dal resto della lettera, doveva essere relativa alle virt dellimperatore Federico. A tale questione Pier della Vigna comincia a rispondere con una serie di affermazioni di falsa modestia: del resto, dice il Capuano, neppure Platone e Cicerone sarebbero stati in grado di discutere approfonditamen- te largomento. Un argomento che viene trattato, comunque, in chiave mistico-religiosa, con continue citazioni dai testi biblici e dai componimenti di Boezio che trattavano di Dio. Hunc siqui- dem terra, pontus adorant, et ethera satis applaudunt, utpote qui mundo verus Imperator a divino provisus culmine, pacis amicus, caritatis patronus, iuris conditor, iusticie conservator, potentie f- lius mundum perpetua ratione gubernat. Federico, vero impera- fulVio delle donne 148 tore insediato da Dio, amico della pace, patrono della carit, fon- datore del diritto, preservatore della giustizia, viene adorato dalla terra, dal mare, dallaria. La complicit degli elementi naturali aspetto della felicitas del sovrano: un tema che si ritrova gi in Cicerone, Stazio, nei Panegyrici Latini, in Claudiano, Prisciano, Corippo e, poi, nella letteratura bizantina, a partire da Temistio 7 . Ma il rapporto privilegiato che unisce il mondo ed i suoi elemen- ti al suo signore Federico viene anche esplicitamente affermato: Talis ergo presidio principis protectus mundus exultet; esulti il mondo, protetto dalla difesa di un tale principe. Limperatore, come gi affermato piuttosto comunemente in gran parte della tradizione elogiativa precedente, posto da Dio al vertice del mondo: anzi luno si identifca nellaltro. Per questo il mondo deve esultare della protezione offerta da Federico. E il concetto viene ulteriormente ribadito, quando si raffgura lo stesso mon- do che invoca Federico come suo signore in una affannosa gra- datio amplifcante, gi introdotta dal nesso precedente: Talem namque totus orbis vocabat in dominum; talem requirebat iustitia defensorem, qui in potentia strenuus, in strenuitate preclarus, in claritate benignus, in benignitate sapiens, in sapientia providus, in providentia foret humanus; tutto il mondo acclamava come signore lui; la giustizia cercava come difensore lui, destinato a essere strenuo nella potenza, grande nella strenuit, benigno nel- la grandezza, sapiente nella benignit, provvido nella sapienza, umano nella provvidenza. Una gradatio che serve ad introdurre una pi precisa descrizione della divina capacit dellimperatore di pacifcare anche i contrari: In eo denique insita forma boni, tanquam livore carens, elementa ligat et elementata coniungit, ut conveniant fammis frigora, iungantur arida liquidis, planis asso- cientur aspera, et directis invia maritentur; in lui linsito aspetto del bene, come fosse privo di livore, lega gli elementi generanti e congiunge quelli generati, in maniera che il freddo si unisca con le famme, il secco si congiunga col liquido, laspro si associ al levigato, il contorto si coniughi al lineare. Date queste premesse, con Federico sar raggiunta la pienezza dei tempi, con lui torner let delloro: lui latteso messia vaticinato dalle sibille. Con lui Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 149 il mondo avr fne, cos come aveva avuto origine con Adamo: i due termini, creazione e redenzione, coincideranno con linstau- razione, da lui operata, del regno della giustizia. Col suo avvento torner il regno della pace e, sradicate le radici del male, non ci sar pi bisogno di armi. Il richiamo alle descrizioni classiche e a quelle sibilline del mito dellet delloro evidente in questo elogio, ma soprattutto la Bibbia ad essere utilizzata in maniera pi diretta. Lespressione gladii confantur in vomeres , infatti, tratta da Isaia (2, 4), che ladoperava per descrivere lavvento del Messia. Il paragone che mette in connessione Federico con Cristo, col Dio fatto uomo, frequentissimo nella produzione della cerchia federiciana, assume, in unepoca in cui si attendeva un messia incarnato, una connotazione escatologica e ieratica talmente ra- dicata da travalicare i limiti del gioco letterario. In Federico la consapevolezza del proprio ruolo supremo si dimostra a tal punto profonda da considerare coloro che osavano insorgere contro di lui come eretici, e da pensare che la loro hybris sacrilega sarebbe stata punita dalla stessa natura, come in occasione della congiura del 1246, in cui sono proprio i quattro elementi ad annunciare il misfatto 8 . Del resto, limperatore il rappresentante di Dio sulla terra, colui che deve proteggere la fede, la pace e la giustizia. E proprio a questo ruolo dellimperatore si richiama Pier della Vi- gna, che, invocando la miranda divina clementia che ha dato al perituro mundo un tam mundus princeps, afferma che pro- prio Federico la supremi manus opifcis formavit in hominem, ut rerum habenas fecteret, et cuncta sub iuris ordine limitaret; la mano del supremo artefce cre uomo, perch reggesse le redini di tutte le cose e le arginasse entro lordine del diritto. Tutte queste affermazioni si richiamano senzaltro alla con- cezione imperiale del sovrano svevo, che considerava il potere monarchico e imperiale come derivato direttamente da Dio e sen- za la mediazione papale. Questo concetto gi era stato affermato con estrema decisione dagli avi normanni di Federico, che lave- vano enunciato, forse mutuandolo dalla tradizione bizantina, sia nei documenti come, ad es., nel proemio delle Assise sia nelle rappresentazioni fgurative come nel mosaico della Martorana fulVio delle donne 150 ma soprattutto dal Barbarossa fondatore della dinastia imperiale sveva 9 . La riforma della Chiesa aveva, per, sottoposto la sacra- lit del Regno temporale ad una profonda revisione, sottraendo allimpero germanico la base ideologica del suo potere, tentando, contemporaneamente, soprattutto con Innocenzo III, di rivendica- re al papato le prerogative imperiali e perfno la derivazione dagli antichi Cesari 10 . A questo tentativo di desacralizzazione dellim- pero e di elevazione del papato ad unica guida della cristianit si opposero gli imperatori svevi 11 . Era, dunque, necessario ripartire dalla antica idea imperiale, conferendole un nuovo contenuto. Bi- sognava offrire una nuova sacralizzazione carismatica dellimpe- ro, cos come era stato fatto dagli antichi imperatori romani e, seguendo lesempio di Giustiniano, da quelli bizantini, che gli imperatori medievali spesso prendevano a modello. Nel corso del suo regno, Federico sembra sempre pi orientato ad una asso- lutizzazione del suo ruolo, passando da una, in qualche misura umile, sottomissione allaffermazione di una graziosa concessio- ne divina cos come veniva per lo pi affermato nelle arenghe normanne, che, soprattutto allinizio del regno, furono riutilizzate dalla cancelleria federiciana ad una pi esaltata rivendicazione della necessit del potere imperiale e della persona che stata scelta a gestirlo. La derivazione diretta del potere imperiale da Dio, cos come viene intesa da Federico II, , tuttavia, il frutto di quel processo di sacralizzazione dellimpero, che, cominciato nel 1157, quando assume il titolo di sacrum, giunge a pi completa elaborazione proprio con Federico II, che fu addirittura accusato dal papa di volersi assidere sul trono del Signore, arbitro delle leggi e del tempo 12 . Comunque, Federico II ripete pi volte che Dio stesso ad averlo incoronato col diadema imperiale tramite la solenne elezione dei principi ed il consenso della Chiesa intera 13 . dalla grazia divina che egli ha ricevuto il compito di regge- re limpero 14 , riaffermando un principio sviluppato gi a partire dal regno di Carlo Magno e frequentemente applicato lungo tutto lalto Medio Evo 15 . Insomma, la divina clementia e la divina provisio, agendo se- condo un criterio dettato dalla ragione e dallutilit, hanno posto Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 151 alla guida del mondo Federico per imporre un freno alle scellera- tezze terrene. Anzi, addirittura, egli stato creato direttamente da Dio, proprio come il primo uomo, Adamo, soprattutto per reggere le briglie dellumanit e per sottoporla al rispetto del diritto e del- la giustizia. E la cosa viene anche ripetuta, ricorrendo, se possi- bile, a toni ancora pi mistici: Hunc trames rationis antistitem, hunc exigebat iustitia defensorem, qui congruam servans utrobi- que temperiem, ut conatus cupiditatis infringeret et eius morsus illicitos refrenaret. Cui iam virtutum incipiunt invidere mysteria: ea videlicet invidie specie, que non ardore livoris emulantis de- struit animum, sed in suavitatis odorem fatibus incitat caritatis; la via della ragione lo esigeva come sacerdote, la giustizia come difensore, perch, mantenendo la giusta misura, distruggesse gli stimoli della passione e frenasse i suoi morsi illeciti; i misteri delle virt gi cominciano a guardarlo con invidia, con quel desi- derio che non distrugge lanimo per lardore dellavverso livore, ma che incita al profumo della soavit con gli effuvi della carit. Con un linguaggio sacrale, che pu sorprendere soltanto se lo si ascolta con orecchio non aduso alla prosa giuridica ed encomia- stica dellepoca, si rimanda ad una serie di virtutes gi rese cano- niche dalla tradizione elogiativa antica 16 . Tutto, per, confuisce nella caritas, la virt anche altrove considerata da Federico II come suprema. Gi nellencyclica del dicembre del 1227, suc- cessiva alla sua prima scomunica, Federico, temendo che siano giunti gli ultimi giorni del mondo, ed identifcandosi, quindi, con limperatore della fne dei tempi, lamenta che la carit non vie- ne pi tenuta nella giusta considerazione: forte nos sumus, ad quos devenerunt seculorum fnes, cum non tantum in ramis, set in radicibus etiam videatur caritas refrigere. Non enim solum gens contra gentem insurgit, non regnum regno minatur, non pestis et fames tantummodo corda viventium premisso terrore conturbant, set ipsa caritas, qua celum et terra regitur, non tantum in rivu- lis, set videtur in fonte turbari 17 ; siamo noi quelli con cui si giunti alla fne dei tempi, dal momento che la carit sembra esser- si raffreddata non solo nei rami, ma anche nelle radici; non solo la gente insorge contro laltra gente, non solo il regno minacciato fulVio delle donne 152 nel regno, non solo la peste e la fame turbano col terrore i cuori degli uomini, ma la stessa carit, dalla quale sono retti il cielo e la terra, sembra essere turbata non tanto nel suo corso, ma nella sua fonte. In questo manifesto il papa che viene rappresentato come colui che ha fatto raffreddare la carit. E come il papa, dimentico di essere sacerdote, vuole assurgere ad imperatore, cos Federico, limperatore, nellelogio di Pier della Vigna, diventa sacerdote. Non rappresenta, tuttavia, una novit introdotta da Federico II la comparazione posta da parte imperiale tra imperatore e sa- cerdote. Il clima intellettuale era quello in cui giudici e giuristi, anche e soprattutto quelli della Magna Curia federiciana 18 , ritene- vano di amministrare la giustizia come una cosa sacra, una religio iuris, il cui cerimoniale era un iustitiae sacratissimum ministerium / mysterium, di cui essi erano sacerdoti 19 . Lidea che giuristi e giu- dici fossero sacerdotes o antistites della giustizia era stata attinta dal primo paragrafo del Digestum, ma limmagine era stata oc- casionalmente gi usata anche in precedenza 20 . Tuttavia, quello che si confaceva ai giudici venne, ben presto, esteso anche ai so- vrani, che, tutto sommato, si ponevano al vertice della gerarchia giuridica. Gi Simmaco, alla fne del IV secolo, aveva defnito gli imperatori iustitiae sacerdotes 21 ; in seguito, il concetto divenne talmente diffuso che il carattere ieratico del sovrano venne, talvol- ta, affermato non solo sulla base dellunzione con lolio sacro, ma anche proprio su quella della solenne comparazione tra giudici e sacerdoti, e quindi tra sovrano e sacerdote, compiuta dai giuristi 22 . Del resto, la cosa non sorprende eccessivamente, se si considerano le continue interazioni e le frequentissime reciproche invasioni di campo che, nel secolo del diritto, possibile notare nella litur- gia e nella teologia da un lato e nella giurisprudenza dallaltro. I giuristi medievali, dopo tutto, si sforzarono di applicare lethos re- ligioso romano che permeava lantico diritto romano al loro nuovo ideale di governo, incentrato sullo studio scientifco della giuri- sprudenza, recuperando ai loro nuovi paradigmi ermeneutici taluni elementi della precedente visione cristocentrica della regalit. grazie a questo processo innescato dalla rinascita dello studio del diritto civile romano che si giunge anche alla determinazio- Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 153 ne del sovrano come lex animata in terris: espressione, questa, talvolta usata dallo stesso Federico II, che, tuttavia, non fu il pri- mo a servirsene 23 . Il sovrano unincarnazione della giustizia e, in quanto tale, custode, difensore, realizzatore del diritto, ossia della volont divina, dal momento che la iurisprudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, conoscenza delle cose divine e umane 24 . Perci, quando Federico afferma che il princeps legibus solutus est 25 , sciolto dalle leggi, anche qui mutuando un concet- to giustinianeo 26 , vuole sottolineare il suo rapporto privilegiato, la sua comunione mistica con il mondo celeste, il suo ruolo di media- tore tra il diritto divino e quello umano: il sovrano svincolato dal- le leggi non perch pu compiere anche azioni che vanno contro il diritto sancito, ma perch egli stesso, in quanto rappresentante secolare del Dio celeste, la fonte terrena di esse. Si tratta di una funzione mediatrice che solo nel periodo in cui si assiste al trionfo della scienza del diritto poteva essere uffcialmente affermata, ve- nendosi, poi, ad affancare e, in parte, a sovrapporre alla funzione della liturgia imperniata sul linguaggio dellesemplarismo cristo- logico. Questa trasformazione non che il sintomo di una pi complessa evoluzione del rapporto con il mondo terreno e celeste, nonch di quello con le tradizioni culturali che ne costituiscono il fondamen- to. Attributi ed espressioni simili, infatti, non sono semplici adula- zioni cortigiane, meri topoi retorici adoperati per celebrare sovrani e imperatori, ma sono il rifesso di una articolata tradizione retorica e politica. Alla corte di Federico potettero, forse, essere importati da Bisanzio, ma diffcile, tuttavia, dire se i modelli greci agirono direttamente, o per il tramite delle corti imperiali occidentali, dove spesso si cerc di imitare il cerimoniale e la liturgia orientali. Fre- quente era nellImpero Greco lassimilazione del basileus terreno a quello celeste; basta pensare a quello che diceva Michele Italico per Manuele Comneno 27 , in un ambiente e in un periodo che vanta sicure infuenze sulla corte degli imperatori svevi. Alla formazione di questa complessa visione del potere regale come espressione dellomologo potere divino contribu non poco anche la tradizione encomiastica e giuridica di derivazione occidentale. fulVio delle donne 154 Nel vocabolario delle raccolte di leggi, cos come in quello della propaganda di epoca tardo-imperiale che avevano in co- mune la tradizione della formulazione linguistica ma anche in quello di alcune interpretazioni delle Sacre Scritture, era possibile trovare la defnizione del princeps come deus in terris, deus terrenus o deus praesens. Queste espressioni, naturalmente, nel corso dei secoli, assunsero signifcati e connotazioni via via diversi, pur mantenendo, generalmente, la comune funzione di esaltare il carisma del principe. Per un lungo periodo cedettero quasi del tutto il posto ad altre immagini che rientravano nella sfera semantica ed ideologica del sovrano come typus Christi: fno a tutto il periodo carolingio, infatti, il sovrano venne quasi sempre appellato vicarius Dei 28 . A quanto pare, per, a par- tire dal IX secolo, con la clericalizzazione, o imitatio sacerdotii, delluffcio regale, con laffermazione del linguaggio degli ordi- nes dellincoronazione e dello spirito della piet monastica, che, spesso, quasi senza avvertirne le differenze di signifcato, si co- minciarono a diffondere le rappresentazioni cristomimetiche del sovrano e, soprattutto, del pontefce 29 . Fu, infatti, con Innocenzo III che limmagine del vicarius Christi applicata al papa fece la sua comparsa non solo nel linguaggio comune, ma addi- rittura in quello uffciale delle Decretales 30 . Allepoca di Federico gi si era tornati da qualche tempo allimmagine dellimperatore deus in terris, che si venne ad affancare, e magari a contrap- porre, a quella del papa Christus in terris. , dunque, in base a questo principio che Federico afferma che stato Dio ad innalzare come abbiamo gi visto il suo trono al di sopra dei popoli e dei Regni. In Dio hanno la loro scaturi- gine le leggi da lui promulgate 31 : per questo Federico viene detto dai suoi adulatori cooperator Dei e suo vicarius constitutus in terris, la cui divina mens in manu Dei est 32 . Ma egli stesso, daltra parte, che adopera laggettivo divus per se stesso: agget- tivo che era di uso frequente nei testi eulogici dellepoca tardo- imperiale 33 . Del resto, quando, nel nostro preconium, Pier della Vigna afferma, come abbiamo gi visto, che Federico la supremi manus opifcis formavit in hominem, ut rerum habenas fecteret Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 155 et cuncta sub iuris ordine limitaret, non si pu non riscontrare unassimilazione completa e profonda di tali concetti. Con una tale espressione, che trova le sue lontane origini nella letteratura encomiastica bizantina dellepoca dei Comneni 34 , si rappresen- ta Federico II come creato in maniera esattamente identica a chi per primo fu preposto alla guida del mondo e come colui che ne possiede anche le stesse caratteristiche: egli lultimo della inin- terrotta serie dei signori mondani, colui che, secondo la tradizione sibillina, avrebbe portato lumanit fno al suo estremo destino, colui in cui convergono principio e fne. In questo lelogiatore trovava la strada aperta dal Proemio delle Costituzioni Melftane, in cui pure si cercava la prefgurazione dellimperatore imago Dei nel primo uomo, che Dio aveva fatto a s somigliante e che paulo minus minuerat ab angelis 35 . Il preconium di Pier della Vigna venne scritto anteriormente al 1239, ovvero prima che si acuisse lo scontro con il papato. In seguito, Federico fu costretto a modifcare i termini della propria concezione del potere. La consapevolezza della propria funzione da universalistica cos come era ancora intesa nel preconium e nel Proemio delle Costituzioni Melftane si trasform in as- solutistica, tesa alla rivendicazione di una supremazia non solo temporale ma anche spirituale. Sicuramente lardore della lotta politica contro Gregorio IX contribu non poco ad estremizzare le posizioni, tanto da spingere qualcuno a pensare che Federico vo- lesse fondare una nuova Chiesa per soppiantare quella romana 36 , ma il percorso per questa svolta era stato tracciato sin dallinizio, sin da quando il giovane sovrano era stato riconosciuto gi da Pietro da Eboli come limperatore della fne dei tempi giunto a rinnovare sulla terra let delloro, e, ancora prima, da quando la pi antica tradizione politica e propagandistica aveva assimilato il rappresentante del potere temporale a una fgura celeste. Quan- do Gregorio IX tent di contrapporre alla sua caratterizzazione sovrumana di rappresentante di Dio quella del messo infernale, Federico non trov mezzo pi effcace di quello di portare fno in fondo lassimilazione al typus Christi e alle entit angeliche 37 , attingendo, tra laltro, a una prassi gi diffusa nella propaganda fulVio delle donne 156 degli imperatori occidentali ed orientali. Posto su questa strada, Federico non fece altro che compiere un ulteriore passo. Se tutto il mondo gli doveva ubbidienza in quanto punto di congiunzione tra il terreno e il celeste, egli non poteva fare a meno di imporre il proprio potere come eccezionale e sconfnato. Se egli era vera- mente il rappresentante di Dio, non solo gli uomini, ma anche gli elementi gli erano sottomessi. Naturalmente, descrivendo in tale modo lentit del proprio potere, Federico contribu a dare di s unimmagine dai contor- ni molto ambigui, destinata a insinuarsi nelle pieghe insondabili dellimmaginario collettivo e a trasportare la realt entro i conf- ni del mito. Un mito che dovette senzaltro cominciare a crearsi mentre Federico era ancora vivo, ma che si svilupp ipertrof- camente soprattutto dopo la sua morte, e soprattutto in Toscana, dove esisteva sia un attivo ghibellinismo, sia anche un certo guel- fsmo anticuriale e laico: corrente, questultima, a cui apparte- neva Dante. Testimonianze di questo tipo si possono trovare in Brunetto Latini, in Giovanni Villani, in Ricordano Malispini, nel Novellino, nei commentatori di Dante 38 . Cos mentre per i suoi sostenitori Federico era rappresentato come limperatore della fne dei tempi, colui che avrebbe ripor- tato sulla terra let delloro, dai suoi denigratori veniva descrit- to come lAnticristo, ossia come colui che avrebbe provocato lestremo scontro apocalittico tra le forze del bene e quelle del male. Questa trasposizione in termini escatologici del modo di concepire il ruolo del rappresentante del potere secolare trova sicuramente una giustifcazione nel diffondersi di quelle nuove tensioni spirituali che tra XII e XIII secolo si estrinsecarono nella produzione dei vaticini sibillini da un lato e delle interpretazioni biblico-profetiche di tipo gioachimita dallaltro. Due espressio- ni delle attese chiliastiche che talvolta si confusero tra loro, ma che obbedivano a diversi princip ispiratori e che trovarono anche differenti applicazioni strumentali, dal momento che vennero a contrapporsi nella propaganda dei due avversari divenuti ormai nemici irriducibili, il papa e limperatore. Infatti, la produzione sibillina, quella, cio, che pi dettagliatamente descriveva lav- Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 157 vento della felice et che, sotto la guida di un sovrano universale, avrebbe preceduto la fne dei tempi, venne utilizzata per esaltare la fgura di Federico; quella gioachimita, che negava pressoch ogni sia pur minimo ruolo alle istituzioni politico-secolari, venne, invece, impiegata per assimilare limperatore svevo allAnticri- sto. A riprova di ci intervengono, da un lato, gli stretti rapporti tra Goffredo da Viterbo, che fu lispiratore pi immediato di Pie- tro da Eboli, e i vaticini sibillini 39 ; e, dallaltro lato, il ruolo cen- trale svolto dal cardinale Ranieri da Viterbo, sicuramente assai vicino ai circoli gioachimiti, nellorganizzazione della propagan- da di Gregorio IX 40 . Soprattutto nellambito della prosecuzione dello scontro tra papato e impero, che raggiunse lacme nel momento in cui Fe- derico II venne colpito dalla scomunica lanciatagli da Gregorio IX, la fgura dellimperatore svevo cominci ad assumere i trat- ti fttizi del paradigma fantastico di ogni ideale aspirazione e di ogni ancestrale paura, del bene e del male. E questo processo di trasfgurazione venne ad avvolgere non solo ogni momento della vita di Federico, ma persino quello della sua morte: proprio come era avvenuto per il suo antico predecessore Carlo Magno o per suo nonno, il Barbarossa, si disse, dopo il 1250, che Federico era ancora in vita e che si era rifugiato nellEtna, il Mons Gebellus, tradizionale sede del demonio. Addirittura un francescano sici- liano raccont che, caduto in preghiera sulle rive del mare, ad un tratto aveva scorto una schiera di cinquemila cavalieri che si era inabissata nel mare; i futti avevano ribollito come se le corrusche armature fossero state di metallo rovente, e una voce esclam che fuit Fredericus imperator, qui ivit in montem Ethne: nam eodem tempore mortuus est Fredericus 41 : limperatore Federico, appena morto, stava entrando nellEtna, sede del demonio. Certo, dovette essere lo stesso imperatore svevo a contribuire in maniera decisiva alla formazione del proprio mito, ed anche alla determinazione di quella sua fgura delineata coi caratte- ri demoniaci dellAnticristo. Ogni sua azione e ogni suo gesto era probabilmente studiato in maniera tale da poter essere inter- pretato tanto come compiuto dal messia inviato sulla terra come fulVio delle donne 158 rappresentante di Dio, tanto dallAnticristo, la bestia demoniaca che avrebbe portato alla dissoluzione della cristianit. Quando comp la crociata, il suo ingresso trionfale a Gerusalemme pot essere visto sia come quello dellimperatore della fne dei tem- pi, che riunendo lOccidente e lOriente avrebbe riportato let delloro vaticinata dagli oracoli sibillini, sia come la realizzazione del regno dellAnticristo, sempre preannunciata dai vaticini e con- fermata dalle interpretazioni bibliche pseudo-gioachimite. Quan- do si proclam erede di David, diede espressione al suo ruolo di redentore, ma poteva anche ingenerare il timore che si trattasse di un rappresentante dellingannatrice bestia demoniaca. Similmente potettero diffondersi le voci che egli amava farsi chiamare precur- sore dellAnticristo o che aveva rinnegato il dogma della verginit della Madonna o aveva defnito Cristo come impostore 42 . Insomma, soprattutto a partire dalla vittoria di Cortenuova, ossia dal tentativo di rendere fnalmente universale ed assoluta la propria signoria, Federico sfrutt in maniera sorprendente le aspirazioni di un mondo che sentiva imminente la propria fne. E, probabilmente, in tale modo, Federico non fece altro che prose- guire sulla via gi percorsa dai suoi predecessori, ma esasperan- do il carattere irrazionalistico della propria propaganda imperiale. Egli fece leva sulle ancestrali paure e sugli inespressi desideri di chi attendeva solo di essere salvato dallabisso delleternit ultra- mondana. In questa prospettiva non dovette curarsi di essere equi- parato non solo alla fgura positiva dellimperatore della fne dei tempi, ma anche a quella negativa dellAnticristo. Anzi, forse se ne compiacque, seguendo la stessa prassi seguita da altri poten- ti, come, ad esempio, fecero i Lusignano con Melusina. Anche le leggende meravigliose e tremende che accompagnavano il proprio nome potevano servire a incutere un salutare timore reverenziale nei propri sudditi e nei propri nemici. Se questa la prospettiva giusta da cui osservare la fgura di Federico II, i testi letterari di tipo encomiastico non dovettero es- sere considerati lo strumento privilegiato per la costruzione del consenso, e non dovettero essere la risposta a una esplicita o im- plicita richiesta. Se corretta linterpretazione proposta, ci si po- Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 159 trebbe spiegare sia lesiguo numero di componimenti elogiativi sia linesistenza di quelli epico-storici. Ma, soprattutto, in tale modo potrebbe essere spiegato il poco conto in cui lo Svevo tenne gli autori cortigiani che dalle loro lodi speravano di ottenere onori e doni. Nellautunno del 1220, quando il giovane Federico torn nel regno dopo otto anni di permanenza in Germania, molti trovatori si accodarono al corteo di colui che stava per essere unto impera- tore. Aimeric de Peguilhan, autore di un sirventese da lui stesso intitolato La Metgia, colui che pi di ogni altro pu rappresenta- re quali fossero, in quella circostanza, le attese e le aspirazioni del mondo trobadorico e feudale italiano. Egli, rappresentando Fede- rico come un medico della scuola di Salerno che viene a risanare Pretz e Dons, che ormai languivano tra piaghe e malattie, ci dice: Non si vide per linnanzi medico della sua giovinezza, tanto libe- rale, tanto bello, tanto buono, tanto dotto, tanto coraggioso, tanto fermo, tanto attraente, tanto ben parlante e tanto bene intendente da saper tutto il bene e da intendere tutto il male; infatti egli sa medicare meglio e pi gentilmente, e fa capo e incominciamento da Dio che gli insegna a guardarsi dal fallare 43 . Federico possiede le virt estetiche e morali dei cavalieri descritti nella letteratura romanza doltralpe, quelle virt che invece non abbiamo ritrovato quasi per nulla nella produzione encomiastica che abbiamo prece- dentemente analizzato. Con questi versi Aimeric chiedeva ricom- pense per s e per i suoi amici e protettori; ma non sappiamo se la sua richiesta abbia sortito leffetto desiderato, poich immedia- tamente altri poeti, come Elia Cairel, lamentarono lavarizia e la mancanza di cortesia del giovane sovrano 44 . In ogni caso nessun altro trovatore, in seguito, si tratterr presso il nuovo imperatore: gli altri sirventesi che parlano di Federico furono scritti lontano da lui e dettati dallincalzare degli eventi. Una situazione non dissi- mile dovettero trovare anche Minnesnger come Walther von der Vogelweide, che ritroviamo presso Federico solo nei primi anni di regno 45 , e un poeta cortigiano come Enrico di Avranches, autore di tre carmi latini composti in onore dellimperatore probabilmente nel 1235-36, ovvero durante la sua permanenza in Germania 46 . Del resto, anche la letteratura poetica in volgare sviluppatasi presso la fulVio delle donne 160 corte imperiale, la prima ad esser prodotta in Italia, trov il proprio campo di esercizio esclusivo nella lirica amorosa: da qui anche le diffcolt nel datare con certezza quei componimenti. Certo questo non vuol dire che la poesia siciliana sia da relegare unicamente entro i pi angusti limiti del mero ornamento e del puro godimento estetico 47 . Lesistenza di una scuola poetica capace di reggere il confronto con i modelli dOltralpe fu comunque utile nel creare una determinata immagine di supremazia anche culturale. Insomma, tirando le fla del discorso, sembra proprio che Fe- derico dovette essere ben consapevole dellopportunit di tenere ben distinti i campi di applicazione e di ricezione dei diversi tipi di comunicazione, concedendo poco spazio a quel tipo di produ- zione celebrativa, che pure poteva presentare forti connotazioni politiche. Politica e propaganda dovettero essere considerate cose troppo delicate e importanti per lasciarle organizzare e proporre, senza controllo, ai letterati e ai poeti. Essi, al limite, potevano col- laborare a dare lustro allimmagine che limperatore aveva saputo crearsi. E, in questo contesto, anche la produzione encomiastica che abbiamo analizzato pu assumere la stessa funzione. Certo bisogna distinguere tra i vari testi, poich non tutti i loro autori sembrano avere avuto stretti contatti con la corte imperiale. Po- sto che il Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli segna, in qualche modo, il modello per un tipo di propaganda politica de- stinata a far leva sugli aspetti irrazionali, la predica di Nicola da Bari risulta solo marginalmente segnata dallimpostazione che Federico II aveva cercato di dare al proprio modo di proporsi. Il rhythmus di Terrisio di Atina una sorta di prolungata captatio be- nevolentiae per impetrare la benevolenza dellirritato sovrano. Il componimento prosastico contenuto nellepistolario di Pier della Vigna, pur essendo strutturato come una risposta ad una quaestio, risulta il testo pi vicino alle tematiche sviluppate dalla propagan- da regia. Dunque, nessuno di essi sembra volto esclusivamente alla celebrazione di Federico. Ma tutti, in un modo o nellaltro, contribuiscono a diffondere quel nimbo di eccezionalit e di stra- ordinariet intorno alla fgura del pi illustre signore temporale della sua epoca. Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 161 note 1 In extollendis regie prefecture fastigiis necessaria fore credimus scien- tie condimenta Hanc nos profecto qui divina largitione populis presidemus, ante suscepta nostri regiminis onera semper a iuventute nostra quesivimus Post regni vero curas assumptas, quanquam operosa frequenter negociorum turba nos distrahat, quidquid tamen temporis de rerum familiarium occupatione decer- pimus, transire non patimur ociosum, sed totum in lectionis exercitatione gra- tuita libenter expendimus. Questa lettera si pu leggere soprattutto in Petr. de Vin., Epist., III 67; e in Historia diplomatica Friderici secundi, ed. J.L.A. Huillard-Brholles, IV, Paris 1854, pp. 383-85 (abbreviato in HB). Per le altre edizioni e per lattribuzione cfr. J.F. Bhmer-J. ficker-e. winkelmann, Die Re- gesten des Kaiserreichs unter Philipp, Otto IV., Friedrich II., Heinrich (VII.), Conrad IV., Heinrich Raspe, Wilhelm und Richard 1198-1272 [Reg. Imp. V,1-3], Innsbruck 1881-1901 (rist. an. Hildesheim 1971: abbreviato in BF), e le integra- zioni di P. zinsmaier, Nachtrge und Ergnzungen [Reg. Imp. V, 4], Kln-Wien 1983 (abbreviato in Z), n. 4750. 2 Sui problemi relativi alla redazione di questo epistolario cfr. soprattutto h.m. schaller, Zur Entstehung der sogenannten Briefsammlung des Petrus de Vinea, in Deutsches Archiv fr Erforschung des Mittelalters, 12 (1956), pp. 114-59 (ristampato in id., Stauferzeit. Ausgewhlte Aufstze, MGH Schriften 38, Hanno- ver 1993, pp. 225-70). Per la tradizione manoscritta cfr. h.m. schaller, Hand- schriftenverzeichnis zur Briefsammlung des Petrus de Vinea, Hannover 2002. Ma mi si permetta di rimandare anche allintroduzione a nicola da rocca, Epistolae, ed. F. Delle Donne, Firenze 2003, pp. LXXX-LXXXII; e a F. delle donne, Una costellazione di epistolari del XIII secolo: Tommaso di Capua, Pier della Vigna, Nicola da Rocca, in Filologia Mediolatina, 11 (2004), pp. 143-159. 3 Su tale questione mi sia consentito di fare riferimento a f. delle donne, Il potere e la sua legittimazione. Letteratura encomiastica in onore di Federico II di Svevia, Arce 2005. 4 r.m. kloos, Nikolaus von Bari, eine neue Quelle zur Entwicklung der Kai- seridee unter Friedrich II., in Deutsches Archiv fr Erforschung des Mittelal- ters, 11 (1954), pp. 166-90; il saggio stato poi ripubblicato in Stupor Mun- di. Zur Geschichte Friedrichs II von Hohenstaufen, a c. di G. Wolf, Darmstadt 1982 2 , pp. 130-160. Sulle successive edizioni di questo testo si rimanda a delle donne, Il potere cit., pp. 99-100. 5 Questo testo stato pi volte studiato ed edito: cfr. delle donne, Il potere cit., pp. 131-32. 6 Sulle altre edizioni del testo cfr. idem, pp. 59-62. 7 cic., Manil., XVI 48; stat., Sylv., IV 1, 24; Pan. Lat., VIII (V) 7; IV (X) 32, 6; claud., Carm., VII 97-98; Prisc., Anast., 107-111; coriPP., Laus Iust., I 361; themist., Or. XVIII 221 b. fulVio delle donne 162 8 Acta imperii inedita, ed. E. Winkelmann, I, Innsbruck 1880 (abbreviato in WActa), nr. 725, p. 571. Questa lettera, indirizzata al conte Raimondo di Tolosa, pubblicata, non sempre correttamente, anche da f. torraca, Maestro Terrisio di Atina, in Archivio storico per le province napoletane, 36 (1911), pp. 244-46. Cfr. anche HB, VI, p. 438, BF 3565 Z. 9 Cfr., ad es., Constitutiones et acta publica imperatorum et regum I, ed. L. Weiland, MGH Legum Sectio IV, Hannoverae 1893, [MGH, Const., I], n. 217, p. 308; ivi, n. 228, p. 323. 10 Cfr. soprattutto H.M. schaller, Die Kaiseridee Friedrichs II, in Stupor Mundi cit., p. 497 (il saggio apparso la prima volta in Probleme um Friedrich II, a c. di J. Fleckenstein, Sigmaringen 1974, pp. 109-134, ed stato poi ripub- blicato in id., Stauferzeit cit., pp. 53-83); o. hageneder, Weltherrschaft im Mittelalter, in Mitteilungen des Institut fr sterreichische Geschichtsforsc- hung, 93 (1985), pp. 266 ss. 11 P.E. schramm, Sacerdotium und Regnum im Austausch ihrer Vorrechte, in Studi Gregoriani, 2 (1947), pp. 438-40; H.M. schaller, Die Kanzlei Kai- ser Friedrichs II. Ihr Personal und ihr Sprachstil, in Archiv fr Diplomatik, 4 (1958), p. 325 s.; Id., Die Kaiseridee cit., p. 497; a. de stefano, Lidea im- periale di Federico II, Parma 1978 (precedente ed., Bologna 1952), pp. 55 ss. 12 WActa, II, n. 1037, p. 710, r. 8 e p. 711 r. 5. 13 Idem, II, n. 46, p. 50, r. 12 [BF 3541 Z]; cfr. anche Die Konstitutio- nen Friedrichs II. fr das Knigreich Sizilien, ed. W. Strner, Hannover 1996 [MGH, Const., II suppl.], n. 253, p. 353 r. 5 [BF 3435 Z]. 14 HB, III, p. 58, del 1228 [BF 1724 Z]; MGH, Const., II, n. 119, p. 158, rr. 35-6, del 1228 [BF 1731 Z]; cfr. anche ivi, n. 152, p. 186, r. 25, del 1231 [BF 1854 Z]; e n. 158, p. 197, rr. 9-10, del 1232 [BF 1942 Z]. 15 Questo si rileva dalla formula constat nos divina dispensante gratia ceteris mortalibus supereminere: cfr. g. waitz, Die Formeln der deutschen Knigs- und der rmischen Kaiserkrnung, in Abh. d. Ges. d. Wiss. Gttin- gen, 6 (1873), p. 159, n. 4. f. kern, Gottesgnadentum und Widerstandsrecht im frheren Mittelalter, Leipzig 1914, pp. 91 s. e 305 s., fa risalire questa for- mula al Concilio di Nicea del 325. 16 Sul ruolo dellimperatore, che deve porre un freno alla cupiditas e alla ri- cerca di ci che non lecito cfr. soprattutto a. wallace-hadrill, The Emperor and his Virtues, in Historia, 30 (1981), pp. 298-323. 17 MGH, Const., II, n. 116, pp. 148-149; BF 1715 Z. 18 Cfr. HB, IV, p. 245, Petr. de Vin., Epist., III 68, p. 495 ed. Iselius [Z 605]; HB IV, p. 247, Petr. de Vin., Epist., III 69, p. 501 ed. Iselius [Z 605]; Liber August., I 62, ed. Strner cit., pp. 227 ss.; inoltre, ivi, I 32 e 95, ed. Strner cit., pp. 186 ss. e 275 ss. 19 Cfr. e. kantorowicz, I due corpi del re, Torino 1989 (ed. or. The Kings two Bodies, Princeton 1957), pp. 88 e 103 ss. Per luso interscambiabile di mi- Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 163 nisterium e mysterium si veda f. Blatt, Ministerium-Mysterium, in Archivum Latinitatis medii aevii, 4 (1928), pp. 80 ss., e e. kantorowicz, The Absolutist Concept Misteries of State and its Late Medieval Origins, in Harvard The- ological Review, 58 (1955), p. 71, n. 22. Anche nella tradizione manoscritta dei documenti federiciani, comunque, possibile riscontrare una simile ambi- guit nelluso dei due termini. 20 Ad es., in quint., Inst., XI 1, 69; gell., XIV 4; questa immagine venne poi spesso utilizzata nei secoli del Medio Evo: cfr. kantorowicz, Due corpi cit., pp. 104 ss. 21 symm., Epist., X 3, 15: si tratta della lettera a Teodosio del 384 sullaltare della vittoria. 22 kantorowicz, Due corpi cit., p. 108. 23 Questa espressione appare dapprima in uno scritto vescovile del 1230 [BF 1793], poi, venne usata dallo stesso Federico nellaprile del 1237 (J.f. Bhmer, Acta Imperii Selecta, Innsbruck 1870, n. 299, p. 264). Ma gi nel 1231 era stata impiegata dal fglio Enrico VII (HB, III, p. 469, BF 4205 Z). 24 Dig., I 1, 1, 2; ripetuto alla lettera anche in Inst., I 1, 1. Con S. Tommaso, poi, si arriver alla determinazione che omnes leges, inquantum participant de ratione recta, intantum derivantur a lege aeterna (Summa, I-II, q. XCIII, art. 3). 25 MGH, Const., II, nr. 262, p. 365, r. 8 [BF 3495, 3510, 3499 Z]; HB, V, p. 162 [BF 2311 Z]; cfr. HB, VI, p. 145 [Epist., II, 8; BF 3301 Z]. 26 Dig., I 3, 31. Sul signifcato di questo concetto cfr. d. wyduckel, Prin- ceps legibis solutus, Berlin 1979. 27 a.m. collesi, u. criscuolo, f. fusco, a. garzya, Il panegirico inedito di Michele Italico per Manuele Comneno, in Annali della Facolt di Lettere e Filosofa dellUniversit di Macerata, 3-4 (1970-71), p. 712. 28 Cfr. m. maccarrone, Vicarius Christi: storia del titolo papale, Roma 1952, p. 79 s. 29 Cfr. ibidem; kantorowicz, Due corpi cit., pp. 78 ss. 30 maccarrone, Vicarius Christi cit., pp. 119 ss. Tuttavia, Innocenzo III usa per s anche lespressione vicarius Dei (ad es., in Epist. I 88, in Patrologiae cursus completus. Series Latina, ed. J.P. Migne, 214, Parisiis 1855, col. 75; I n. 326, ivi, col. 292; Epist. I 335, ivi, col. 306, ecc.) trasferendo su di s unimma- gine riservata esclusivamente allimperatore; noto, del resto, che Innocenzo amava defnirsi verus imperator. 31 Cfr. matthaeus Parisiensis, Chronica Majora, ed. F. Liebermann, MGH, SS., XXVIII, Hannover 1888, p. 277. 32 J.l.a. huillard-Brholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865 (rist. anast. Aalen 1966; abbreviato in HB Pierre), n. 109, pp. 428- 29: la lettera di maestro Salvo, priore di S. Nicola di Bari. 33 Federico viene defnito divus per la prima volta in uno scritto uffciale dal fulVio delle donne 164 fglio Enrico VII (MGH, Const., II, n. 316, p. 427, BF 4278 Z). Ma anche lui stesso ad adoperare quellespressione: in MGH, Const., II, n. 223, p. 307 [BF 2691 Z], dice diva mens nostra; in HB, VI, p. 245 [BF 3453 Z], dice di suo fglio Corrado che diva proles, il quale, a sua volta, si defn ripetutamente divi augusti flius (HB, V 1171 e docc. successivi, BF 4387 Z); in MGH, Const., II, n. 219, p. 304, la famosa lettera a Jesi, dice che sua madre diva (HB, V, p. 378, BF 2470 Z). Sulluso dellepiteto divus e sulle connotazioni che assume nel corso del tempo cfr. i. mller, Von Divus Constantinus bis Divus Thomas. Zur Geschichte des Divus-Titels, in Freiburger Zeitschrift fr Philosophie und Theologie, 8 (1961), pp. 241-53. 34 Cfr. w. regel, Fontes Rerum Byzantinarum, S. Pietroburgo 1917, fasc. 2, pp. 7-12. Su altre ricorrenze di questa immagine cfr. e.h. kantorowicz, Fried- rich II. und das Knigsbild des Hellenismus, in id., Selected Studies, Locust Valley-New York 1965, pp. 267 ss. 35 Sulluso politico di questo concetto cfr. i. mller, Primus parens, ein sakraler Begriff in den mittelalterlichen Urkunden, in Schweizerische Zeit- schrift fr Geschichte, 1 (1951), pp. 491-96. 36 HB Pierre, pp. 160-245. 37 lo stesso Federico che, gi nel manifesto di Gerusalemme, si pone a lato degli angeli nella lode al Signore quando dice Laudemus et nos ipsum quem laudant angeli. Era stato, del resto, proprio Gregorio IX, prima che nascessero i dissidi, a concedere a Federico il rango di cherubino: MGH, Epp. saec. XIII, I, p. 278, nr. 365 [BF 6708]. 38 Cfr. f. delle donne, Politica e Letteratura nel Mezzogiorno medievale, Salerno 2001, pp. 101 ss. 39 Cfr. idem, pp. 43 ss. 40 Fu sicuramente lui a scrivere almeno uno dei pi violenti manifesti pon- tifci antifedericiani, quello che comincia con le parole ascendit de mari, MGH, Epp. saec. XIII, 1, pp. 646-54, nr. 750. Per lattribuzione a Ranieri di questo testo cfr. h.m. schaller, Endzeit-Erwartung und Antichrist-Vorstellun- gen in der Politik des 13. Jahrhunderts, in Stupor Mundi cit., p. 433 e nota 60 (larticolo stato pubblicato la prima volta in Festschrift fr Hermann Heim- pel zum 70. Geburtstag, Gttingen 1972, pp. 924-47; stato ultimamente ri- stampato in id., Stauferzeit cit., pp. 25-52). 41 Cos racconta thom. de eccleston, De adventu Fratrum Minorum in Angliam, ed. F. Liebermann, MGH, SS, XXVIII, Hannoverae 1886, p. 568. 42 Epistolae saeculi XIII e regestis pontifcum Romanorum selectae, ed. C. Rodenberg [MGH Epistolae saeculi XIII], I, Hannoverae 1883, p. 653; BF 7245 Z. 43 Anc hom non vi metge de son joven, / Tant larc, tant bel, tant bon, tant conoissen, / Tant coratgos, tant ferm, tant conqueren, / Tant ben parlan ni tant ben entenden / Quel ben sap tot e tot lo mal enten, / Per que sap miells meizinar Limmagine di Federico II nella letteratura coeva. Riletture del mito 165 e plus gen / E fai de Dieu cap e comenssamen, / Qe leinsegna gardar de falli- men. Poesie provenzali storiche relative allItalia, ed. V. De Bartholomaeis, I, Roma 1931, nr. LXIX, p. 247, con traduzione a p. 249. 44 Elia Cairel lamenta che non pu pi seguire colui che signore dellim- pero quel te ma persona magra / si que nom pot mordre lima, ovvero perch lo tiene cos magro che neppure la lima pu morderlo (Poesie provenzali cit., II, nr. LXXII, p. 9). 45 Sulla presenza di poeti tedeschi alla corte di Federico II cfr. i. frank, Posie romane et Minnesang autour de Frdric II. Essai sur les dbuts de lcole sicilienne, in Bollettino del Centro di studi flologici e linguistici sici- liani, 3 (1955), pp. 51-83. 46 Essi sono stati editi da e. winkelmann, Drei Gedichte Heinrichs von Av- ranches an Kaiser Friedrich II., in Forschungen zur Deutschen Geschichte, 18 (1878), pp. 482-92. 47 Sulla politica culturale di Federico II e sul posto che in essa occupa la poesia volgare cfr. soprattutto r. antonelli, Seminario romanzo, Roma 1979; e id., Letterature volgari, ragioni politiche, doctores: la Magna Curia e la Scuola Siciliana, in Federico II e larte del Duecento italiano, a c. di A.M. Romanini, II, Galatina 1980, pp. 199-257. aggiornamento BiBliografico In questi ultimi anni, gli studi sulle connessioni tra letteratura e rappresen- tazione del potere, in epoca sveva, sono stati continuati da parte di chi scrive, soprattutto in riferimento alla produzione epistolografca di ambito cancelle- resco. Si avuto modo, innanzitutto, di pubblicare nuove fonti e di ridiscutere la tradizione di quel tipo di testi: Una silloge epistolare della seconda met del XIII secolo, Firenze 2007 (Edizione nazionale dei testi mediolatini 19); Per scientiarum haustum et seminarium doctrinarum: edizione e studio dei documenti relativi allo Studium di Napoli in et sveva, in Bullettino dellIsti- tuto storico italiano per il medioevo, 111 (2009), pp. 101-225, ripubblicato anche in volume, Per scientiarum haustum et seminarium doctrinarum. Sto- ria dello Studium di Napoli in et sveva, Bari 2010 (Quaderni del Centro di studi normanno-svevi, 3). Inoltre, sono stati approfonditi alcuni problemi pi specifci di contestualizzazione: La cultura e gli insegnamenti retorici lati- ni nellAlta Terra di Lavoro, in Suavis terra, inexpugnabile castrum. LAlta Terra di Lavoro dal dominio svevo alla conquista angioina, Arce 2007, pp. 133-157; Uninedita epistola sulla morte di Guglielmo de Luna, maestro pres- so lo Studium di Napoli, e le traduzioni prodotte alla corte di Manfredi di Svevia, in Recherches de Thologie et Philosophie Mdivales, 74 (2007), fulVio delle donne 166 pp. 225-245, dove si ridiscute anche la questione relativa alla lettera inviata, nel 1263, da Manfredi ai maestri dello Studium di Parigi, citata allinizio di questo contributo. Di particolare importanza, infne, sono anche gli studi condotti da Benot Grvin: Les mystres rhthoriques de ltat mdival. Lcriture du pouvoir en Europe occidentale (XIII e -XV e sicle), in Annales. Histoire, Sciences So- ciales, 63 (2008), pp. 271-300; Rhtorique du pouvoir mdival. Les Lettres de Pierre de la Vigne et la formation du langage politique europen (XIII e -XIV e
71. F. Delle Donne, Una costellazione di informazioni cronachistiche: Francesco Pipino, Riccobaldo da Ferrara, codice Fitalia e “Cronica Sicilie”, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medioevo», 118 (2016), pp. 157-178