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CRATILO

APPUNTI A MANO

Introduciamo il Cratilo. Vediamo subito che il Cratilo l'unico
dialogo di Platone per il quale la datazione incerta: sulla base delle
analisi stilometriche non si riesce a decidere se stato scritto prima o
dopo la Repubblica -- il margine di indecisione ampio. A ridosso del
Fedone? Infatti noi lo affrontiamo dopo quest'ultimo. Secondo alcuni
immediatamente dopo il Fedone; ma alcuni elementi spingono ad una
datazione successiva (Gaiser, il massimo esponente della scuola di
Tubinga ha sostenuto la tesi delle dottrine non scritte: a proposito del
Cratilo, lo ha studiato a proposito della datazione: concepito a ridosso
del Fedone e portato a termine successivamente. Gaiser ha scritto
negli anni '70 un'opera importantissima: una specie di commento al
Cratilo di Platone. Una delle opere pi importanti di commento al
Cratilo: Name und Sache in Platons Kratylos. Resta un punto di
riferimento: chi vuole occuparsi del Cratilo deve fare riferimento a
quest'opera). Il Cratilo la prima opera sul linguaggio della storia
della filosofia, in cui un filosofo si interroga sullo statuto, ruolo,
funzione, fine del linguaggio. Ma perch si dovrebbe studiare il
Cratilo? In filosofia, rispetto alla scienza, non c' un progresso,
un'evoluzione; in filosofia per capire il linguaggio, la domanda
filosofica e non solo, abbiamo bisogno di occuparci del Cratilo: quello
che conta in filosofia l'impostazione delle domande: Platone un
maestro, ci insegna ad impostare la domanda filosofica. Proprio
discutendo le domande filosoficamente sbagliate ci si accorge che
sono sbagliate. E' interessante nel dialogo che si parte da 2
impostazioni che sono entrambe sbagliate: il Cratilo sar un punto di
riferimento per tutta la filosofia del linguaggio. La domanda
importante quella del rapporto "nome" e "cosa"(?). Platone dice
"nome", noi "parola". Nei secoli i filosofi del linguaggio torneranno
sempre sul Cratilo. Personaggi: Cratilo, Ermogene, Socrate. Ermogene
il fratello di Callia, e figlio di Ipponico. Callia faceva parte del
mondo culturale illuminato vicino ai Sofisti. Ermogene un
personaggio minore, abbastanza grigio. Simbolico. Ermogene
rappresenta il mondo sofistico: quella cultura che aveva avuto ampio
successo ad Atene, che aveva messo in discussione la genesi, l'origine,
e la divinit delle istituzioni umane: non ; ma : per
convenzione. Allora possono essere discusse, riformate, modificate.
Questo movimento, capeggiato dai Sofisti, investe la cultura greca.
Nasce quando il mondo greco si apre grazie ai commerci: confronto
con gli altri popoli; per quanto etnocentrici fossero i greci (incontro
coi Frigi e i Persiani). Questo confronto fa riflettere sulla natura non
divina delle istituzioni; create dagli uomini --> questo riguarda anche
il linguaggio. I nomi non sono per natura, sono e perci possono
essere riformati, cambiati, etc. Questo indirizzo(?) trova nella
Sofistica la punta di un iceberg, perch un movimento culturale
molto ampio: Prodico e Protagora sostengono che gli (i
nomi) sono per convenzione. I Sofisti andavano in giro ad insegnare
l' , pagati, etc. importantissimo nella democrazia. Essendo
maestri di retorica, sono i primi a studiare la grammatica, si pongono
problemi di ordine semantico: Prodico di Ceo un sofista abbastanza
famoso: famoso per la sua SINONIMICA. Si occupa dei
SINONIMI, ci sono parole che sono sinonimi. Attraverso le sue
indagini, intuisce che non c' corrispondenza tra realt e linguaggio
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(lingua greca): e ??? per nominare un oggetto si usano 2 nomi; e per
altri non c' un corrispondente greco. Non c' corrispondenza tra
struttura della realt e lingua. Protagora: pretende di riformare la
lingua greca. Presenza dei "generi" nella lingua, e.g. attribuiamo il
genere femminile alla sedia. Come parlanti siamo talmente dentro la
lingua che ci ci sembra scontato, e.g. la luna e il sole in tedesco.
Abbiamo una categorizzazione opposta in generi per italiano e
tedesco. E' una constatazione difficile da fare per il parlante. Noi
dobbiamo distinguere la prospettiva del parlante da quella del
linguista, del filosofo, del teorico... Il rapporto che il parlante ha con la
lingua tale che lui non nota; ma parla: dimentico del linguaggio.
Distinguere queste prospettive. Il genere della categorizzazione non
indifferente; ma influenza il parlante. Osservazioni preziose. Nella
lingua c' una divisione in generi: la lingua offre un'articolazione della
realt gi distinta in generi. Protagora il primo a notare questa
questione: ci sono i generi nella lingua. Per Protagora occorrerebbe
cambiare la lingua: se un oggetto ha un genere che ne contraddice
l'essenza, andrebbe cambiata la lingua, che [tanto] per convenzione...
creata e cambiata dagli uomini. Riformismo tradizionale. Nel Cratilo
Ermogene rappresenta tutto questo movimento culturale non solo
filosofico. Rappresenta il mondo del riformismo, dell'illuminismo
greco, etc. I nomi vanno cambiati. Vedremo che cosa vuol dire dal
punto di vista filosofico. Cratilo stato un allievo di Eraclito, e a sua
volta maestro di Socrate. Cratilo porta alle estreme conseguenze la
dottrina di Eraclito -- concordia discorso, -- ;
dialettica del reale, tutto scorre nel senso che... Aristotele in
Metafisica gamma (IV) lo descrive con una scena APORETICA:
Cratilo costretto ad indicare. Ad essere coerenti, alla fine, se tutto
scorre, allora non possibile nominare, per il continuo diventare altro
da s delle cose: nominare fissare, e [invece] tutto scorre. Cratilo
molto pi affascinante di Ermogene. Cratilo ha un tono quasi
profetico, quasi oracolare. Ha un fascino la sua tesi che non ha la tesi
di Ermogene. Rappresenta il mondo che inizia a declinare: il mondo
dell'aristocrazia greca messo in discussione dai sofisti. Rappresenta la
corrente dei filosofi... quella che Calogero ha chiamato la logica
arcaica, Cratilo un rappresentante della logica arcaica che Platone
non pu pi accettare; ma che importante. La posizione filosofica di
Cratilo una posizione che si comprende proprio a partire da questa
logica arcaica. Per i primi filosofi (Eraclito, Parmenide) c' una co-
alescenza arcaica tra realt, pensiero, e linguaggio. Coseriu, che inizia
proprio con Eraclito, parla di indistinzione. Non distinguono tra il
piano ontologico, logico e linguistico. Nel mondo greco arcaico questa
distinzione non era introdotta. Ci che reale, vero, e ci che vero,
reale. e sono sinonimi. Ci che conta di pi il piano
linguistico: quando io dico qualcosa, dico sempre qualcosa che vero
e che reale (cfr. Sofista). Il nome ha sempre valore ontologico =
corrisponde sempre ad un ente; ma quello che conta il nome. Il
Cratilo verte sulla giustezza dei nomi: . Cratilo
risponde affermativamente, perch i nomi sono per natura. Il rapporto
tra nome e cosa tale per cui il nome contiene la vera essenza della
cosa. Il nome sempre giusto. Questo vuol dire che per conoscere
l'ente non ho bisogno dell'ente, perch la vera essenza sta nell', e
quindi basta quello. Per conoscere l'essenza degli enti... ai filosofi non
dovrebbero interessare i nomi... per Platone resta l'importanza
dell'ontologia, lo studio degli enti, e per lui questo studiare le idee
(rapporto di partecipazione). Platone quindi non dovrebbe occuparsi
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dei nomi, allora perch si ferma a scrivere un dialogo sui nomi? Molti
filosofi si fermano per interrogarsi sul ruolo del linguaggio per la
conoscenza della realt! Questa anche la domanda di Platone. Quale
ruolo gioca il nome nella conoscenza della realt? Attuale! In che
misura il linguaggio pu essere affidabile? fuorviante affidarsi ai
nomi? Questa la grande domanda del Cratilo. La risposta di Cratilo
radicale. Cratilo dice: "i nomi sono giusti". Altrimenti flatus vocis.
Contiene la vera delle cose. Non ostacolo, non un inciampo;
ma al contrario il nome ci che contiene la verit della cosa!
=il nome contiene l'ETIMO, la VERITA' della cosa: ha senso
solo esaminarne il nome. Per Cratilo l'alternativa all'ontologia
l'etimologia. Questa la via del filosofo. Nel mondo che Cratilo
rappresenta, l' non la nostra etimologia, che
PROVENIENZA della parola. (vero significato di un ente) lo
studio della verit della cosa che contenuta nel nome. Tutto il nucleo
del Cratilo costituito da tantissime etimologie, diffuse anche nella
tradizione pitagorica (-). Circa 140 etimologie; molte anche
esatte. A nessuno interessa la genesi dei nomi; non si pone il problema
genetico. Interessa la rilevanza filosofica dell'etimologia. Il filosofo
per conoscere l'ente deve interrogare il nome; mettersi in ascolto della
saggezza del linguaggio -- questo atteggiamento sar ripreso da
Heidegger che rivaluta l'etimologia (la via traversa dell'ontologia) e lo
fa sulla base della riflessione dei greci e del mondo greco arcaico. Per
Heidegger si tratta di distruggere... Platone primo metafisico.
L'etimologia per Heidegger quello che per Cratilo: ha valore
ontologico, verit del linguaggio. Il filosofo non ha un accesso
immediato agli enti (metafisica); ma deve mettersi in ascolto del
linguaggio: la via dell'etimologia. Verit tramandata nelle parole.
NOMINARE: chiamare l'ente ad essere. Per Heidegger conta la storia,
per Cratilo Verit tout court, contiene la vera essenza dell'ente.
Cratilo attinge alla sapienza degli antichi [vedi un po' se si pu fare un
confronto con Vico "de antiquissima sapientia italorum"]. Per
Ermogene i nomi sono , sono dati per convenzione (), i
nomi non hanno nessun rapporto con l'ente, indifferente. I nomi non
hanno contenuto, si limitano a designare gli enti e sono assolutamente
convenzionali. Per Ermogene i nomi possono essere cambiati
(posizione di Protagora). Anche il suo stesso nome pu essere
cambiato. Ermogene, da Ermes, il dio della ricchezza; ma Ermogene
povero... anche i Sofisti provengono da questa co-alescenza arcaica e
pro[pongono]??? un riformismo basato sulla corrispondenza. Ancora
non si distingue tra nomi propr e nomi comuni. Il primo Aristotele.
Per Cratilo tutti i nomi sono , anche i nomi propr: vero che c'
il momento dell'imposizione, e per i greci questo non diverso dal
nominare: nel nominare chiamiamo ad essere gli enti, ha un valore
ontologico... Quindi non c' un atto deliberativo... importante(?) che
il nome si addica a chi lo porta, anche se a noi non sembra. Mistero.
Non mai trasparente... Non possiamo manipolare il nome, quindi
. Il rapporto di soggezione. Il nome giusto, anche se quel
destino, quella , non stata [non si inverata]. Verit e sacralit
del nome. Sono stato io stato io strumento di qualcos'altro che mi ha
portato a dare quel nome. I greci sono etnocentrici, e quindi il
problema della diversit delle lingue molto a margine: il greco la
lingua tout court. Il greco contiene talmente tanto la Verit degli enti
al punto che il mondo si divide, tra greci e non greci. I greci sono
, quelli che parlano (greco) e poi i , i balbuzienti:
quelle non sono lingue. La diversit delle lingue non li scalfisce. Nel
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dialogo vengono introdotti termini di altre lingue; ma la diversit non
un problema filosofico. Non scalfisce la posizione di Cratilo e di
Ermogene. Lvinas: ogni lingua pu ospitare la filosofia. La
testimonianza di Aristotele non corrisponde all'immagine che Platone
ci da di Cratilo: abbiamo immagini diverse. Platone non distingue tra
suoni e lettere: fonetica acustica di Platone. La corrispondenza
ontologica... Walter Belardi ha chiamato: fonetica acustica.
COMPLESSITA' del NOME <---> COMPLESSIT DELLA COSA.
La tesi di Ermogene ci permette di fare un accordo...

VERSIONE DI CECILIA

un dialogo dedicato al linguaggio. lunico dialogo di Platone per
cui la datazione incerta e coinvolge un ampio margine di
discussione; sulla base delle analisi stilo metriche non si riesce a
decidere la data se sia stato scritto prima o dopo la Repubblica, se
sia uno spartiacque. Per alcuni scritto a ridosso del Fedone; ma ci
sono degli elementi che spingono ad una datazione successiva. Lo
studioso Konrad Gaiser, il maggiore esponente della scuola di
Tubinga sostenitore della tesi delle dottrine non scritte , ha studiato
il Cratilo in funzione della sua datazione e la sua tesi che questo
dialogo sia stato concepito a ridosso del Fedone, ma che poi sia stato
ripreso e portato a termine successivamente e questo sarebbe il
motivo della difficolt nella datazione. Gaiser scrisse negli anni 70
unopera di commento al Cratilo Nome e cosa (Name und Sache)
nel Cratilo di Platone la quale lopera pi importante di
commento a questo dialogo, un punto di riferimento il tema
principale riguarda il rapporto tra nome e cosa.
Il Cratilo la prima opera sul linguaggio nella storia della filosofia,
cio la prima opera in cui un filosofo si interroga sul ruolo, sullo
statuto, sulla funzione e sul fine del linguaggio. La domanda sul
linguaggio, in filosofia, richiede di guardare e di tornare al Cratilo:
questa la prova del fatto che in filosofia non ci sia progresso n
superamento, non almeno come la scienza il cui decorso conosce
uneffettiva evoluzione; ci che conta, in filosofia, limpostazione
il Socrate di Platone un maestro che insegna a impostare la domanda
filosofica. Infatti, nella prima, seconda e terza parte del testo si
presentano delle domande filosofiche fondamentalmente impostate in
modo sbagliato; conta pertanto la consapevolezza che un certo tipo di
domanda si riveli fuorviante non contano il risultato n il progresso.
In questo dialogo si parte da due domande sbagliate. Cos il Cratilo
sar per la filosofia del linguaggio un punto di riferimento
imprescindibile. La domanda fondamentale, che resta attualmente
nella filosofia del linguaggio, proprio quella sul rapporto tra il nome
e la cosa ora pi che nome si usa il termine parola.
I personaggi principali del Cratilo sono: Cratilo, Ermogene e Socrate.
Ermogene, che compare nel Fedone, il fratello di Callia e di
Ipponico: Callia faceva parte del mondo culturale illuminato quindi
vicino agli ambienti sofistici. Ermogene un personaggio minore,
grigio, anche se allievo di Socrate; ma i personaggi di Platone son
sempre simbolici. Ermogene rappresenta quella cultura sofistica che
aveva avuto ampio successo ad Atene e che aveva messo in
discussione la genesi e lorigine delle istituzioni umane: esse non sono
, per natura, ma , per convenzione; ovvero non hanno
unorigine divina indiscutibile; allora consegue che esse possano
essere discusse, riformate e modificate. Questo movimento, che fa
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capo ai Sofisti ed investe la cultura greca, nasce quando il mondo
greco si apre alle altre cultura attraverso scambi e commerci;
inevitabile il confronto con altri popoli, sebbene i Greci siano
etnocentrici. Lesito di questo confronto una riflessione sulle
istituzioni non sono quindi per natura, divine, ma sono
modificabili, perch inventate dagli uomini. Questo discorso riguarda
anche il linguaggio: i nomi non sono , ma , e per questo
possono essere riformati. Questo indirizzo trova nella Sofistica il
massimo dellespressione, essendo un movimento culturale molto
ampio; ma nei Sofisti ne troviamo la testimonianza (Prodico,
Protagora). I Sofisti sostengono che gli , i nomi, siano per
convenzione. I Sofisti non insegnavano solo la virt, ma anche l
il parlarle bene era importante in politica. Essendo maestri di
retorica, furono anche i primi a studiare la grammatica, a porsi
problemi linguistici, semantici prima di Aristotele.
Prodico di Ceo famoso per la sua sinonimica, su cui scrisse
unopera; si occupa di sinonimi e individua il concetto di sinonimo.
Attraverso le sue indagini Prodico riesce a intuire che non c
corrispondenza tra la realt e il linguaggio, cio la lingua greca: per
indicare un oggetto si usano anche due nomi; mentre vi sono dei nomi,
appartenenti ad altre lingue, che non hanno un corrispondente in
greco. In sostanza, non c corrispondenza tra la struttura della realt e
la struttura linguistica.
Un altro esempio Protagora, che arriva a pretendere di riformare la
lingua, in base alla constatazione per cui la lingua in realt arbitraria.
Parlando si attribuiscono dei generi agli oggetti; ma i parlanti sono
abituati alla propria lingua, tanto che i generi si danno per scontati
solo attraverso lo studio di altre lingue si giunge a questa
consapevolezza. Infatti, nelle altre lingue, si incontrano talvolta
categorizzazioni in generi diverse e opposte in quanto parlanti
difficile fare queste constatazioni. Cos si distingue la prospettiva del
parlante da quella del linguista, filosofo del linguaggio o teorico del
linguaggio. La prospettiva del parlante implica che il suo rapporto con
la lingua sia tale che egli non si accorga dei generi attribuiti alle cose;
il parlante parla, ed come dimentico del linguaggio. Il
linguista/filosofo, invece, si interroga sui fenomeni del linguaggio. Il
genere inoltre influenza il parlante se esso maschile, ad esempio, si
tende a immaginare il carattere maschile della cosa. interessante, per
i filosofi, considerare la divisione in generi nel linguaggio, perch essa
rappresenta al contempo unarticolazione della realt. Protagora il
primo a porre la questione dei generi, anche nelle sue indagini
grammaticali. Per Protagora occorrerebbe riformare la lingua: se a una
cosa attribuito un genere che ne contraddice lessenza, si dovrebbe
cambiare genere, oppure aggiungere generi dove mancano l dove vi
una parola al maschile per cui non esiste il corrispettivo femminile
(esempio della parola pollo). Ci vuol dire che per Protagora la
lingua per convenzione e per questo pu essere riformata.
Latteggiamento dei Sofisti una sorta di riformismo razionale, per
cui la lingua da razionalizzare e riformare. Ermogene, nel dialogo,
rappresenta questo movimento culturale, il riformismo o illuminismo
greco, per cui si crede che le istituzioni umane siano per convenzione
e quindi modificabili.
Cratilo un filosofo realmente esistito; stato allievo di Eraclito e
dovrebbe essere stato maestro di Socrate. Cratilo porta alle estreme
conseguenze la dottrina di Eraclito: la ,
larmonia dei contrari che regge la struttura del reale e del logos per
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Eraclito ci da luogo ad una dialettica del reale. Se tutto scorre,
, questo in un senso particolare. Cratilo viene inserito da
Aristotele in una scena aporetica, che resta nella storia della filosofia:
egli si trova sulle sponde del fiume, che scorre, e Cratilo costretto ad
indicare se tutto scorre, passando da un opposto allaltro, allora non
possibile nominare, perch, mentre si nomina una cosa, questa gi
diventata altro da s. Il nominare un fissare, per questo la scena
aporetica e Cratilo deve indicare. C una negativit del nominare,
perch loggetto gi non pi o non ancora. Cratilo rappresenta quel
mondo che sta volgendo al termine, laristocrazia greca, scalzato dai
Sofisti; egli ha un tono profetico, come se parlasse attraverso un
oracolo; ci che dice ha un grande fascino, pi delle parole di
Ermogene. Cos Cratilo rappresenta quella corrente di filosofi, non
solo di Eraclito, ma della logica arcaica (Calogero). Cratilo
simbolo di quella logica arcaica che Platone non pu accettare, ma che
ritiene importante per questo lo fa parlare e gli intitola il dialogo.
La posizione di Cratilo, nel dialogo, si comprende a partire dalla
logica arcaica. Per i primi filosofi (Eraclito, Parmenide) c una
coalescenza (arcaica) tra il pensiero e il linguaggio dice Calogero.
Coseriu, che inizia la sua filosofia del linguaggio con Eraclito, parla di
indistinzione: i Greci arcaici non distinguono il piano logico,
ontologico e linguistico ci che reale vero, ci che vero reale
( e ). Ma ci che pi conta il piano linguistico: dicendo
qualcosa si dice qualcosa di vero e di reale. L ha sempre un
valore ontologico e corrisponde sempre ad un ente. Cratilo sostiene
che alla domanda del dialogo sulla , cio
sulla giustezza dei nomi, si debba rispondere affermativamente i
nomi sono giusti, perch il rapporto tra nome e cosa tale, per Cratilo,
per cui il nome contiene la vera essenza della cosa. Il nome sempre
giusto. Dal punto di vista gnoseologico (conoscenza degli enti): per
conoscere lente non ho bisogno di conoscere lente vero e proprio,
ma basta guardare al nome, baster conoscere l ; la vera
contenuta nei nomi, per questo importante il linguaggio.
Per Platone resta importante lontologia (studio degli enti), il che vuol
dire studiare le Idee perch gli enti hanno un rapporto di
partecipazione con le Idee. Platone dunque non dovrebbe occuparsi
dei nomi; e invece si interroga, come molti, sul ruolo del linguaggio
nella conoscenza della realt. La domanda sulla giustezza dei nomi
la domanda sul ruolo del linguaggio nella conoscenza della realt
domanda attuale. In che modo il linguaggio affidabile nella
conoscenza della realt? La posizione di Cratilo radicale: i nomi
sono giusti, altrimenti non sono nomi, ma flatus vocis; il nome, in
prima istanza, contiene l delle cose. Per conoscere le cose il
linguaggio on un inciampo, un ostacolo, perch il nome ci che
contiene la verit della cosa . Ha senso esaminare il
nome delle cose, per conoscere direttamente la cosa. L la
verit contenuta nel nome; letimologia lalternativa allontologia,
per Cratilo. Letimologia ovvero la via del filosofo, che non deve
pretendere di avere un accesso diretto alla verit. Oggi letimologia
lo studio della provenienza, dellorigine dei termini. Per Cratilo e per
il mondo della cultura greca arcaica, che egli rappresenta,
letimologia, sulla base della parola (vero significato,
verit) lo studio della verit della cosa contenuta nel nome. Per
questo Cratilo indica la strada delletimologia. Il nucleo di questo
dialogo costituito da molte etimologie, diffuse nella cultura greca,
anche in quella orfico-pitagorica la parte centrale del Cratilo un
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viaggio suggestivo nelle etimologie. A Cratilo non interessa la genesi
dei nomi, come non interessa a Socrate, n a Platone; non interessa la
provenienza, ma la rilevanza filosofica delletimologia. Il filosofo, per
conoscere lente, deve affidarsi al nome nel linguaggio Heidegger
rivaluta letimologia, sulla base dei riferimento al mondo greco
arcaico, che Cratilo qui rappresenta. Attraverso letimologia,
Heidegger opera la Destruktion, la distruzione della metafisica, di
cui anche Platone sarebbe colpevole; attraverso la distruzione
Heidegger risale al pensiero delle origini arcaiche. Il nome ha valore
ontologico, perch contiene la verit della cosa per questo bisogna
mettersi in ascolto del linguaggio, perch nella parola c una verit
che si tramanda, ed relativa alla cosa che si nomina. Il nominare,
per Heidegger, chiamare ad essere valore ontologico. Mentre per
Heidegger conta la storia, perch la verit del nome non perfetta, ma
appunto storica, per Cratilo la verit del nome la vera e propria
essenza dellente posizione radicale.
Ermogene, nel dialogo, assume la posizione opposta. I nomi sono
, dati per convenzione, lui parla di (accordo); i nomi
non hanno alcun rapporto con lente che nominano, perch sono
etichette vuote e indifferenti, che designano gli enti, ma non hanno
contenuto e non dicono nulla su di essi; sono convenzionali e frutto di
convenzione; per cui possono essere cambiati, modificati e sostituiti.
Non c quindi una giustezza dei nomi. Questo riguarda anche i nomi
propri esempio di Ermogene, da Ermes (Dio del guadagno), che
non un nome giusto perch lui era povero. Anche Ermogene cerca
quindi una corrispondenza (coalescenza) ontologica, anche se i Sofisti
distinguono il piano ontologico, logico e linguistico. I Greci ancora
non distinguono i nomi comuni e propri il primo sar Aristotele. Per
Cratilo tutti i nomi sono e giusti, anche i nomi propri; vero che
il nome proprio imposto da qualcuno a un individuo, ma
limposizione del nome come un nominare si chiama ad essere.
Il nominare ha un valore ontologico; limposizione del nome
chiamare ad essere non c un vero e proprio atto deliberativo.
importante che il nome, nel suo contenuto, si addica a chi lo porta,
anche se non sembra; per questo . Il rapporto con il nome non
di controllo, perch esso non un strumento; il rapporto con il
nome, per Cratilo, di soggezione, siamo soggetti al nome e non si
pu cambiare se non corrisponde apparentemente, esso rimane
sempre giusto, perch esso prescrive il destino della persona, anche se
questo non si realizza. Cratilo difende la sacralit del nome, che gi
contiene la dellindividuo se non accade quello che era nel
destino del nome, ci non toglie la verit del nome.
Un problema che si pone molto al margine quello della diversit
delle lingue, perch i Greci sono etnocentrici e incentrati sulla propria
lingua i barbari erano coloro che non parlavano greco, i balbuzienti.
La lingua greca dunque porta la verit degli enti, al punto tale che il
mondo si divide tra i Greci e i non Greci. Le altre non sono lingue; per
questo non li scalfisce la diversit delle lingue. Infatti, nella parte
centrale, c una parte dedicata ai termini stranieri, per porre
lattenzione su questo fatto; ma la diversit delle lingue non si impone
come un problema filosofico.
La testimonianza di Aristotele corrisponde solo in parte allimmagine
che Platone ci da di Cratilo. Nella metafisica: Cratilo non parla pi, si
limita ad indicare, perch pensa che nel tutto scorra e non
possa essere nominato. Altra limmagine che ci da Platone: Cratilo
lesponente di questa coalescenza arcaica il nome che contiene la
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verit dellente nella dottrina di Cratilo gli elementi del nome, anche
la fonetica, devono corrispondere all della cosa. Walter Belardi
ha chiamato questa dottrina la fonetica acustica i suoni devono
imitare gli elementi ontologici della cosa.
Invece, per Ermogene, proprio perch c stato un inizio, per quanto
riguarda il nome, ce ne pu essere un altro la sua tesi permette di
fare un accordo () per cui cambiare il nome della cosa.

REGISTRAZIONE (incompleta)

[ [...] cosa rappresenta Cratilo, Cratilo in realt un personaggio
molto pi affascinante di Ermogene, Ermogene un po' noioso, un
razionalista che vuole mettere le cose apposto, non simpatico,
abbastanza antipatico, vedremo infatti sar continuamente deludente
nel corso del dialogo. Invece Cratilo ha un po' un tono quasi profetico,
come se in qualche modo parlasse attraverso un oracolo, e infatti per
quanto sia criticabile quello che Cratilo dice, quello che dice per ha
un fascino che non ha invece la tesi di Ermogene. Cosa rappresenta
Cratilo? Cratilo rappresenta il mondo che in qualche modo comincia
ormai a volgere al termine, comincia a declinare, gi quasi anzi
tramontato, mentre Platone scrive, ed il mondo della aristocrazia
greca, il mondo di una cultura aristocratica ed appunto il mondo
che stato scalzato, che stato messo in discussione dai Sofisti.
Dunque Cratilo rappresenta piuttosto anche una corrente, la corrente
dei filosofi... quella di Eraclito, ma infondo in parte come vedremo
non lontano neppure troppo da Parmenide, cio rappresenta quella
che Calogero ha chiamato la Logica Arcaica. Cratilo a tutti gli effetti
un rappresentante della logica arcaica, che Platone non pu pi
ovviamente accettare; ma che per Platone per importante, e dunque
per questo Platone lo fa parlare nel Cratilo e anzi gli intitola il dialogo.
Qual la posizione filosofica di Ermogene e di Cratilo? La posizione
filosofica di Ermogene... la posizione filosofica di Cratilo, che Cratilo
sostiene qui [nel dialogo] una posizione che si comprende proprio a
partire da questa logica arcaica, da quella che Calogero chiama logica
arcaica, cosa vuol dire? Vuol dire che per i primi filosofi, il
riferimento ad Eraclito; ma anche allo stesso Parmenide; Calogero
parla di coalescenza arcaica tra realt, pensiero e linguaggio.
Coalescenza arcaica tra realt, pensiero e linguaggio. Coseriu, che
inizia proprio la sua Storia della filosofia del linguaggio con Eraclito,
e poi prosegue con Platone, Coseriu parla invece di "indistinzione".
Non distinguono [i greci] tra il piano ontologico, logico e linguistico.
Non distinguono perch nel mondo greco arcaico questa distinzione
non stata introdotta. Anzitutto ci che reale vero, e ci che vero
reale. Non sbagliato dice Calogero sostenere che (vero) e
(ente) siano sinonimi. In questo mondo della cultura greca arcaica
ci che vero reale, e ci che reale vero. Ma non basta. Ci che
conta di pi proprio il piano linguistico; non il piano della realt, ma
il piano del linguaggio. Dunque questo vuol dire che quando io dico
qualcosa, dico sempre qualcosa che vero e che reale (cfr. Sofista).
Quando dico qualcosa, dico sempre qualcosa che vero e che reale,
vale a dire che l' (il nome) ha sempre un valore ontologico.
Corrisponde sempre a un ente, per attenzione che quello che conta
non l'ente; ma l', non l'ente; ma il nome. Cratilo sostiene
che alla domanda sulla " ", sulla GIUSTEZZA;
il Cratilo verte sulla giustezza dei nomi. Questa domanda sulla
, sulla giustezza dei nomi, Cratilo risponde affermativamente:
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i nomi sono giusti. Tutti i nomi sono giusti, perch i nomi sono ,
sono per natura. Non possono assolutamente essere cambiati; ma c'
qualcosa di pi: il rapporto tra nome e cosa per Cratilo tale per cui il
nome contiene la vera essenza della cosa. Non soltanto il nome ha un
valore ontologico; ma il nome contiene la vera essenza della cosa. Se
io voglio sapere la vera essenza della cosa, questa essenza contenuta
nel nome. Il nome sempre giusto. Dal punto di vista gnoseologico,
cio della conoscenza degli enti, cosa vuol dire che i nomi contengono
la vera essenza delle cose? Per conoscere la cosa, per conoscere l'ente,
non ho bisogno di conoscere l'ente, perch la vera essenza dell'ente,
dell, contenuta nell'. Baster conoscere l'. La vera
essenza, l', la vera degli enti contenuta nei nomi. Infatti i
nomi sono giusti. Allora per conoscere l'essenza degli enti, che ci
che interessa [a]i filosofi, perch i filosofi in realt a ben guardare non
interessano i nomi, non dovrebbero interessarsi ai nomi, e qui ci
dobbiamo fermare e dobbiamo dire che per Platone resta l'importanza
della ontologia, cio dello studio degli enti, a Platone interessa lo
studio degli enti, e noi sappiamo che per Platone studiare gli enti vuol
dire studiare le idee, perch gli enti di questo mondo partecipano alle
idee. Intrattengono un rapporto di partecipazione con le idee. I tanti
tavoli che esistono nel mondo sono tali perch partecipano dell'idea
del tavolo, etc. cavallinit, etc. Da questo punto di vista Platone
dovrebbe non occuparsi dei nomi, giusto? perch infondo a lui
interessano gli enti, interessa la dottrina delle idee. Come mai si ferma
a scrivere un dialogo sui nomi? Questa la grande domanda. Perch
questo si verifica anche per altri filosofi. Per molti altri filosofi, si
fermano per interrogarsi sul ruolo del linguaggio nella conoscenza
della realt. La domanda che Platone si pone la domanda "qual il
ruolo che il linguaggio svolge nella conoscenza della realt". Questa
la domanda. Interrogarsi sulla significa
interrogarsi sul ruolo del linguaggio. Qual il ruolo che il linguaggio
gioca nella conoscenza della realt, e pi precisamente, ed una
domanda attualissima, della filosofia contemporanea, una domanda
che ancora non ha trovato una risposta di fronte alla quale i filosofi
concordino. E' una domanda attualissima; ma c' una domanda
ulteriore, "in che modo e in che misura il linguaggio pu essere
affidabile, in che modo possiamo affidarci al linguaggio nella
conoscenza della realt?" vale a dire "affidarsi ai nomi fuorviante
oppure no?". Il nome costituisce addirittura un ostacolo? questa la
grande domanda del Cratilo. La posizione di Cratilo una posizione
radicale, e dunque molto interessante. Cratilo dice: i nomi sono giusti,
non ci sono nomi che non siano giusti, perch un nome che non
giusto non neppure un nome; ma semplicemente flatus vocis. Tutti
i nomi sono giusti, e soprattutto, il "nome" contiene la vera ,
l'essenza, delle cose. Per conoscere le cose il nome non per nulla un
ostacolo per la conoscenza delle cose, non un inciampo, come sar
per altri filosofi; ma al contrario il nome che ci che contiene la
verit della cosa. Il nome ci che contiene la verit della cosa. Al
punto che... come si dice Verit in greco? in questo contesto si dice
. Il nome contiene l' della cosa, la Verit della cosa. Non
ha senso andare a conoscere le cose, ha senso invece esaminarne il
nome. Se io voglio conoscere la cosa, non ha senso che io vada a
conoscere immediatamente/direttamente la cosa; ma invece
importante che io ne analizzi/esamini l', cio la Verit
contenuta nel nome. Per Cratilo la via alternativa alla ontologia
l'etimologia, l'etimologia la via del filosofo. Il filosofo non deve
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presumere di avere un accesso immediato/diretto agli enti; ma la via
che il filosofo deve percorrere la via etimologica, la via delle
etimologie. Dove, badate bene, "etimologia" nel mondo che Cratilo
rappresenta, non l'etimologia per noi. Che cos' oggi l'etimologia?
non la genesi della parola, perch non andiamo a studiare come si
genera la parola; ma la provenienza/origine della parola. Noi oggi
quando parliamo di etimologia, e noi sappiamo che lo studio
etimologico costituisce una parte molto importante dello studio del
linguaggio, dunque con etimologia noi oggi intendiamo lo studio della
provenienza, della origine dei termini. Il dizionario etimologico mi
dice quali sono le fonti, in alcuni casi si tratta addirittura di testi da cui
le parole provengono; nel caso dell'italiano questo molte volte
accertabile, il caso dell'italiano il caso di una lingua tutto sommato
molto letteraria, in qualche modo creata da Dante, creata da poeti e da
grandi scrittori di cui abbiamo spesso delle fonti precise [per le parole
che hanno creato]. Non questo il significato della etimologia per i
greci, per Cratilo. Per il mondo che Cratilo rappresenta, che il
mondo della cultura greca arcaica, l'etimologia , sulla base della
parola greca , che vuol dire "verit", "il vero significato di un
ente", etimologia vuol dire lo studio della verit della cosa che
contenuta nel nome. Dunque la strada che Cratilo indica la strada
della etimologia, e infatti noi vedremo che il Cratilo costituito in
tutta la parte centrale, il nucleo del dialogo, costituita da tantissime
etimologie, addirittura una sorta di viaggio anche molto suggestivo
attraverso etimologie che erano tra l'altro etimologie diffuse in quella
cultura, anche nella cultura orfico-pitagorica, infatti troviamo
l'etimologia - . La parte centrale del Cratilo costituita da
un lungo viaggio, molto suggestivo, attraverso le etimologie,
addirittura sono state calcolate quasi 140 etimologie circa, di cui la
gran parte corretta/esatta/giusta. Quello che interessante che a
Cratilo, a Socrate, a Platone, non interessa la genesi dei nomi, per
nulla. Non c' assolutamente, non si pone il problema genetico. Non
interessa da dove proviene una parola. Interessa la rilevanza filosofica
dell'etimologia, che anche facilmente comprensibile, perch il nome
contiene la vera essenza della cosa. Il filosofo per conoscere l'ente
deve affidarsi al nome, deve interrogare il nome, deve interrogare la
saggezza del linguaggio, deve mettersi in ascolto della saggezza
sedimentata, cristallizzata nel linguaggio. Questo atteggiamento sar
un atteggiamento ripreso da un filosofo del '900, che Heidegger.
Quando Heidegger... Heidegger rivaluta l'etimologia, e non si sbaglia
dicendo che per Heidegger l'etimologia la via traversa dell'ontologia,
e dunque quando Heidegger rivaluta l'etimologia la rivaluta proprio
sulla base della riflessione dei greci, e dunque del mondo greco
arcaico, del mondo che qui Cratilo rappresenta, e che esercita su
Heidegger un fascino; ma non solo, perch per Heidegger si tratta di
distruggere gli strati della metafisica... Platone per lui colpevole
anche di questo, cio Platone per lui il primo metafisico, dunque
distruggere gli strati della metafisica, gli strati che si sono via via
sovrapposti e che hanno addomesticato la filosofia, e il motto di
Heidegger Destruktion, appunto Distruzione; ma nel senso di far
esplodere, per cos dire, gli strati della metafisica e dunque per
riandare a quel pensiero arcaico, [delle archai?], delle origini, da cui
nata la filosofia. L'etimologia per Heidegger... non si sbaglia dicendo
che nell'etimologia, in un certo senso [stiamo parlando di Heidegger]
per Heidegger quello che per Cratilo, vale a dire il nome ha un
valore ontologico. Il nome ha un valore ontologico, il nome in un
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certo senso contiene la verit della cosa, perch c' una verit che
contenuta nel linguaggio, dunque il filosofo non deve presumere di
avere un accesso immediato agli enti; ma deve seguire un sentiero
diverso da quello dei metafisici, perch per Heidegger coloro che
pretendono di avere un accesso immediato agli enti sono i metafisici, e
deve al contrario mettersi in ascolto del linguaggio. In ascolto del
linguaggio vuol dire per Heidegger scegliere la via dell'etimologia,
dunque appunto ascoltare quella verit che tramandata nelle parole:
la parola ha una sua verit, ha un fondo ??? di verit, nella parola c'
una verit e c' una verit che la verit relativa alla cosa che viene
nominata. Non un caso che poi Heidegger si soffermi proprio sul
"nominare", che per Heidegger vuol dire "chiamare ad essere"; io
mentre nomino chiamo ad essere, chiamo l'ente ad essere. Ora la
differenza ulteriore tra Heidegger e la posizione di Cratilo, perch per
Heidegger conta la "storia", vale a dire, Heidegger non pretende che la
verit contenuta nel nome ci dica se una verit completa, perfetta
sull'ente. E' la verit storica, la verit che stata tramandata nella
storia. Invece per Cratilo si tratta della verit tout court, cio il nome
contiene la vera essenza della cosa, la vera essenza dell'ente. Il viaggio
che faremo anche noi in questa parte centrale del Cratilo, quella parte
delle etimologie, che una parte che ha fatto molto discutere, una
sorta di carrellata di etimologie; ma che da anche uno sguardo
complessivo d'insieme, quasi enciclopedico, sulla cultura del tempo,
dove Cratilo attinge alla sapienza degli antichi, alla sapienza appunto
dei pitagorici, degli orfici, etc. Quindi questa la posizione di Cratilo,
una posizione radicale. Qual la posizione di Ermogene? potremmo
dire che in un certo senso opposta. Per Ermogene i nomi sono ,
sono dati per convenzione, sono dati per un accordo, addirittura lui
parla di , c' stato un accordo tra gli uomini per cui i nomi
sono... addirittura non hanno nessun rapporto con gli enti che
nominano; non solo il nome non contiene l'ente; ma non ha nessun
rapporto con l'ente, in un certo senso "indifferente", dunque i nomi
non hanno contenuto, sono delle etichette, sono vuoti, sono delle
etichette vuote, e si limitano semplicemente ad indicare, a designare
gli enti. Non dicono nulla sugli enti, quindi semplicemente designano
gli enti, e sono assolutamente convenzionali, sono frutto di
convenzione e in quanto frutto di convenzione sono del tutto
convenzionali. Per Ermogene i nomi possono essere cambiati. E' la
posizione di Protagora. Possono essere modificati, ma addirittura
possono essere cambiati, possono essere sostituiti: io posso ad
esempio decidere di dire che questo oggetto non si deve pi chiamare
cos, perch il nome non va bene, perch fuorviante, perch questo
oggetto a ben guardare ha delle caratteristiche e.g. maschili e decido
ad esempio di cambiargli genere. Questo nuovo nome corrisponde
molto pi all'oggetto, corrisponde ontologicamente alle sue
caratteristiche maschili e dunque giusto cambiargli nome. Posso
decidere di modificare, cambiare, addirittura sostituire i nomi, perch
non c' una , cio non c' una giustezza dei
nomi, i nomi non sono giusti. Dunque si possono cambiare facilmente,
si possono cambiare a piacimento, e questo riguarda anche i nomi
propr. Anche per esempio Ermogene riconosce che il suo stesso nome
non un nome giusto perch lui si chiama Ermogene, dunque da
Ermes, che il dio del guadagno, mentre egli povero. Quindi non va
bene il nome Ermogene. Questo valido anche per i nomi propr,
perch anche i nomi di ciascuno di noi, ha sempre una semantica, ha
sempre un significato, e allora se questo significato non corrisponde...
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se qualcuno di noi si chiama Bruno ed biondo, allora deve cambiare,
modificare, sostituire il suo nome. Che cosa si pu obiettare ad
Ermogene? I sofisti dicono, da una parte sono dei riformisti,
vorrebbero razionalizzare la lingua, dall'altra parte il loro criterio per
razionalizzare quello di una corrispondenza ontologica. Dunque
anche loro provengono da questa coalescenza arcaica, solo che loro
gi hanno cominciato a distinguere i tre piani, il piano ontologico,
logico e linguistico. Per mentre lo distinguono, poi vogliono che ci
sia una corrispondenza. Dunque il criterio per razionalizzare quello
della corrispondenza tra i tre piani. Cosa possiamo obiettare a Cratilo
o a Ermogene? I greci non distinguono bene ancora tra nomi comuni e
nomi propr, per cui il nome "nome". Se il nome proprio viene
imposto, automaticamente non pi ? come fa Cratilo a
continuare a sostenere che , dunque che giusto? Perch
evidentemente chi lo ha dato pensava ad alcune caratteristiche
dell'individuo che lo avrebbe portato [il nome], per cosa si pu
rispondere (risposte filosofiche)? Si potrebbe anche dire: io ho messo,
ho imposto il nome al bambino -- il nome si impone sempre al
neonato -- perch in un certo senso era l'auspicio, l'augurio di un
destino, per esempio; per non siamo proprio convinti, in parte una
risposta. Qui proprio un problema di ordine teoretico: come si pu
rispondere? ci sono molte obiezioni che si possono sollevare nei
confronti e di Cratilo e di Ermogene? Il problema che per Cratilo --
attenzione perch questo un punto importante, loro ancora non
distinguono tra nomi comuni e nomi propr, cio il primo che
distingue Aristotele; dunque prima di Aristotele neanche Platone
riesce ancora bene a distinguere tra nomi propr e nomi comuni;
Aristotele distingue sia in senso filosofico che in senso grammaticale -
- [per Cratilo] tutti i nomi sono , tutti i nomi sono giusti, anche i
nomi propr. E' vero che il nome proprio viene imposto all'individuo,
dunque vero che c' il momento della imposizione, per in realt per
i greci il momento della imposizione del nome non cos diverso dal
NOMINARE, anche quando noi nominiamo, per i greci in un certo
senso noi appunto -- facevo l'esempio di Heidegger: chiamiamo ad
essere, ma si pu dire anche per Cratilo -- [per Cratilo] chiamiamo ad
essere gli enti. Il nominare ha un valore ontologico, questo vale anche
per l'imposizione, vale a dire quando io chiamo qualcuno, lo chiamo
ad essere; la imposizione del nome non cos qualitativamente diversa
dal nominare. Questo vuol dire che per Cratilo non c' un atto
deliberativo nell'imposizione, non cos importante; mentre quello
che importante che il nome si addica nel suo contenuto a chi lo
porta, anche se a noi non sembra. Vale a dire che c' sempre una sorta
di mistero nel nome, il nome non mai davvero trasparente, ed per
questo , perch noi non possiamo manipolare il nome; il
rapporto che per Cratilo noi abbiamo e dobbiamo avere con il nome
non il rapporto di controllo: non possiamo pensare al nome come ad
uno strumento, non cos. Quindi il rapporto che per Cratilo noi
abbiamo con il nome sempre un rapporto in un certo senso di
soggezione, noi siamo soggetti al nome, non possiamo in realt
controllare il nome, non lo possiamo manipolare, non lo possiamo
perci cambiare; dunque, se capitato che qualcuno si chiami cos,
vuol dire che quello avrebbe dovuto essere il suo destino e non stato,
come se quello avrebbe dovuto essere la sua , non stata?! per
il nome giusto, quindi fondamentalmente... perci l'obiezione una
ottima obiezione, per Cratilo risponderebbe cos, risponderebbe
difendendo, se volete, la verit e anche in un certo senso la sacralit
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del nome, per cui chi sono io per cambiare il nome, e se il nome io l'ho
dato, non l'ho dato perch ho deciso io di darlo cos, ma in un certo
senso, in qualche modo sono stato addirittura io strumento, in un certo
senso, di qualcos'altro che mi ha spinto a dare questo nome, dunque
c' una sacralit del nome e il nome gi contiene la , il fato
dell'individuo, e se poi quell'individuo nell'et adulta diventato come
Ermogene povero anzich ricco allora le cose sono andate
diversamente, ma ci non toglie che ci sia una verit del nome. Le
diverse lingue, noi vedremo andando avanti nella lettura del dialogo
che un problema che si pone soltanto molto a margine, perch i greci
sono etnocentrici, vuol dire che non sono centrati soltanto sul loro
ETNOS, ma sono centrati anche sulla loro lingua. Vuol dire che per i
greci la lingua greca il linguaggio tout court, tant vero che come
chiamano i greci gli altri? , i balbuzienti; dunque il mondo --
attenzione perch questo molto interessante anche per il nostro
discorso -- per i greci il greco talmente tanto il linguaggio tout court,
cio per i greci la lingua greca contiene talmente tanto la verit degli
enti al punto tale che il mondo si divide nel mondo da una parte dei
greci e dall'altra dei non greci, il mondo si divide in greci e ,
in greci e non-greci, coloro che parlano... e chi sono i greci, i greci
sono quelli che , quelli che parlano greco; quindi da una
parte ci sono quelli che ellenizzano, quelli che parlano greco, quelli
che PARLANO, e dall'altra ci sono i balbuzienti. Le lingue degli altri
sono non-lingue, gli altri non sono neanche... non questione [che le
altre lingue] non contengono tutta la verit; ma la contengono in parte,
etc. non sono lingue, sono lingue di balbuzienti, anzi, loro sono
balbuzienti. Questa la concezione che hanno i greci delle altre
lingue. La diversit delle lingue non li scalfisce per nulla. Anche se
leggendo il dialogo ci sono proprio nella parte centrale, subito dopo la
parte delle etimologie, ci sono degli esemp di altre lingue, cio si dice
per esempio: "fuoco" i frigi dicono PUR, per dire; cio vengono
portati, vengono introdotti termini di altre lingue, come a dire,
attenzione, perch effettivamente gli altri parlano diversamente, hanno
altre parole, per la diversit delle lingue non per i greci un
problema filosofico; quindi non essendo un problema filosofico,
essendolo in modo molto marginale, non scalfisce la posizione n di
Cratilo n di Ermogene. Per Heidegger, che in realt non prende molto
in considerazione la diversit delle lingue, ben poco, voi sapete che
per Heidegger le lingue della filosofia sono il greco e il tedesco;
perch [solo] queste due? perch sono le lingue della filosofia?
Heidegger dice che il latino la lingua della metafisica, la lingua del
declino della filosofia, nel momento in cui si comincia a tradurre
con RATIO, l comincia il declino della filosofia. Il greco per
Heidegger la lingua della filosofia, perch la filosofia nata nel
greco. Interessante che questa posizione di Heidegger, il caso di
dirlo, non sta n in cielo n in terra, una posizione, bisogna dirlo,
razzista, perch [Heidegger] non ha assolutamente nessuna ragione
per dire questo, non c' nessun motivo per dire che il greco e il
tedesco... se non un motivo storico, un motivo contingente, un motivo
per cui la filosofia si sviluppata nella lingua greca e poi si
sviluppata nella lingua tedesca; sulla latino abbiamo le nostre
perplessit, tutto da vedere che sia poi la lingua del declino della
filosofia, e comunque una posizione assolutamente, con tutto il bene
per Heidegger, non accettabile, assolutamente inaccettabile, perch
profondamente razzista, perch si pu essere razzisti anche con le
lingue. In un certo senso l'etnocentrismo dei greci anche una sorta di
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razzismo, cio dire che gli altri sono OI , balbuzienti, una
forma ovviamente di razzismo. E' chiaro, dir Lvinas, che ogni
lingua pu essere una lingua della filosofia, ogni lingua pu ospitare la
filosofia, anche le lingue... greco, latino, tedesco, francese, inglese,
italiano, arabo, ebraico, spagnolo, etc. chi ci dice che un domani una
lingua dell'America latina, e.g. il Guaran non sia la lingua della
filosofia, non lo sappiamo, pu darsi di s; dunque come si fa a dire
questo [quello che dice Heidegger], non ha assolutamente senso.
Tornando a noi, il tema delle diversit delle lingue non scalfisce la
posizione di Cratilo e di Ermogene; cos'altro possiamo obiettare? La
testimonianza che noi abbiamo da Aristotele, Metafisica gamma (IV),
non corrisponde, o corrisponde solo in parte sul piano pi prettamente
di filosofia dell'ontologia, all'immagine che invece Platone ci da di
Cratilo, perch qui abbiamo due immagini diverse; da una parte nella
Metafisica noi abbiamo un Cratilo che si limita semplicemente ad
indicare, non parla pi neanche, si limita ad indicare perch pensa che
nel , nel tutto scorre, ogni cosa cambia continuamente, e
quindi cambiando, se io la nomino, gi passata dall'E' al non-E' e
quindi non la posso nominare, altra immagine, sebbene scaturisca da
questa coalescenza arcaica di linguaggio, pensiero e realt,
l'immagine che invece ci restituisce Platone, di Cratilo, che a tutti gli
effetti l'esponente per eccellenza di questa coalescenza arcaica, al
punto che non soltanto ogni ente vero ed reale, ma per di pi il
nome contiene la verit dell'ente. Questa la posizione del Cratilo di
Platone. Quali altre obiezioni possiamo ancora fare? Per Cratilo
addirittura al punto tale, come vedremo nel dialogo, nella dottrina
famosa dei , al punto tale che perfino i suoni, ovvero le
lettere, che -- attenzione -- per Platone sono la stessa cosa, al punto
che, perfino gli elementi del nome, cio, parleremo di una fonetica
acustica a proposito di Platone, il modo in cui si pronunciano quelli
che oggi chiamiamo i fonemi, devono corrispondere agli elementi
ontologici della cosa; dunque la corrispondenza ontologica arriva
perfino agli elementi del nome e agli elementi della cosa, il che
molto interessante, e anzi in Platone troviamo per la prima volta una
dottrina che viene chiamata... che un glottologo italiano, Walter
Belardi, ha chiamato "fonetica acustica", vale a dire, il modo in cui noi
pronunciamo i fonemi deve imitare gli elementi ontologici della cosa.
Platone stesso fa parecchi esemp. Anche i dialetti per i greci sono
poco interessanti... vengono notate delle disparit, viene notata per
esempio una disparit socio-linguistica, viene notato che c' una
parlata addirittura delle donne che diversa dalla parlate degli uomini,
e che le donne tendono pi a conservare, etc. per si tratta di
considerazioni, di osservazioni che restano marginali rispetto
all'argomento filosofico (del dialogo). L'imposizione un inizio... per
Ermogene non solo c' un inizio; ma proprio perch c' stato un inizio,
ci pu essere di nuovo; dunque l'obiezione fatta prima, e che non
stata colta, riflettiamo... la tesi Ermogene una tesi sulla base della
quale io posso dire, a ragion veduta, che noi possiamo fare un
accordo, una , noi qui, cio possiamo decidere che da questo
momento in poi tutti noi non chiameremo pi questo oggetto cos; ma
diremo con un nuovo nome: possiamo accordarci. Lo possiamo fare
oppure no? s o no? possiamo decidere e se s perch e se no perch?
possiamo decidere di cambiare nome a questo oggetto [fra di noi]? se
s perch, se no perch? per Ermogene possiamo farlo, il problema
se ci convince, e cosa possiamo rispondere... questo un grande
15

problema filosofico, non una scemenza rispondere a questa
obiezione.]

REGISTRAZIONE (continua)

Noi sappiamo che i due personaggi che insieme a Socrate
costituiscono... sono i protagonisti del dialogo, sono Ermogene e
Cratilo, i quali entrambi sostengono due tesi molto radicali, che sono
due tesi che nella loro radicalit se per un verso sono mal impostate --
in filosofia non c' niente veramente di sbagliato -- sono male
impostate le due questioni, per sono due questioni che ritornano in
modo anche paradigmatico nella storia della filosofia. Quando si
parla, si riflette sul linguaggio nella storia della filosofia, i due punti di
riferimento, talvolta anche taciti, non esplicitati, sono quelli di
Ermogene e di Cratilo. Infatti noi possiamo gi dire, per comodit, che
la tesi, che la posizione di Ermogene la posizione... quella che si
chiama comunemente la tesi "conventionalistica" [o
"convenzionalista"], la tesi convenzionalistica del linguaggio... anche
se abbiamo gi detto che non parleremo di linguaggio, perch la
questione riguarda la , cio la correttezza dei
nomi; dunque il tema di cui si discute sono appunto i nomi, ed
appunto la -- la parola giusta per tradurre
"giustezza" [dei nomi] -- i nomi sono giusti oppure non sono giusti?
La tesi di Ermogene una tesi che passer nella storia della filosofia,
che ritroviamo ancora adesso, la tesi "convenzionalistica"; nella sua
paradigmaticit anche molto semplice, perch per Ermogene i nomi
sono per convenzione; lui usa due parole: e , sono
due parole che in genere vengono tradotte con "accordo", "patto",
"convenzione"; in altri termini, per Ermogene i nomi sono il risultato,
sono l'esito di una convenzione, di un patto, di un accordo che stato
stipulato tra gli uomini, che stato stipulato tra i parlanti. Ermogene
riprende la cultura sofistica del tempo, l'illuminismo sofistico del
tempo, per cui le istituzioni, tutte le istituzioni sono per convenzione,
anche il linguaggio, anche i nomi. I nomi sono per convenzione, sono
il risultato di un accordo, che stato stipulato tra gli uomini.
Naturalmente, evidentemente per Ermogene -- e a questo gi avevamo
accennato -- i nomi sono etichette, sono indifferenti agli enti
denominati, e dunque i nomi possono essere cambiati, possono essere
modificati e addirittura essere sostituiti: si pu sostituire un nome con
un altro perch come sostituire un'etichetta con un'altra. Noi
possiamo decidere di chiamare e.g. questo oggetto, anzich A,
possiamo decidere di chiamarlo B -- nell'esempio in classe, di
cambiargli "genere" -- perch una questione che salta agli occhi, che
ci sono dei "generi", e che questi "generi" sono appunto... in qualche
modo i nomi riflettono questi generi... io posso decidere che questo
oggetto che ho qui davanti a me, in italiano ha una connotazione al
femminile; potremmo decidere qui tra noi di dire che da oggi in poi
questo oggetto lo chiameremo cambiandogli il "genere", perch tutto
sommato, guardandolo, potrebbe essere meglio categorizzato al
maschile, e potremmo decidere di cambiargli genere, o potremmo
perfino decidere di cambiargli nomi, cio eliminare il vecchio nome e
inventare un altro nome sostituendo il nome originale. La questione si
riproporrebbe con altri oggetti... un famoso esempio che venne fatto
da Gentile, che proprio si pone questa questione, il "tavolino";
perch non possiamo ad esempio decidere di sostituire "tavolino" e
inserire un'altra parola; dunque la domanda : possiamo farlo, non
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possiamo farlo, se s, perch, se no, perch? La tesi dunque di
Ermogene una tesi, tutto sommato, semplice; non semplicistica, ma
semplice. Per Ermogene i nomi sono per convenzione, sono etichette
convenzionali, indifferenti agli enti denominati, al punto che si
possono modificare o sostituire. Questo riformismo coerente con
l'illuminismo sofistico, per cui ci che per convenzione si pu
naturalmente modificare. Questa posizione non una posizione
dimenticata: una posizione che si trova ancora adesso: la definirei la
posizione del "senso comune"; in generale nel "senso comune" si
ritiene che i nomi siano etichette vuote, e che quindi tra il nome e
l'oggetto denominato non ci sia assolutamente altro rapporto che
appunto la convenzione; dunque la posizione di Ermogene, per quanto
possa sembrare radicale, una posizione molto diffusa nel "senso
comune". Con "senso comune" intendo il senso comune dei parlanti; i
parlanti in genere hanno questa... ed anche una posizione -- ma su
questo ci fermeremo pi avanti -- una posizione molto diffusa
soprattutto nella nostra epoca. La posizione di Cratilo per certi versi
la posizione opposta a quella di Ermogene, perch Cratilo convinto
che ci sia appunto una "giustezza" dei nomi, e che questa giustezza ci
sia ovunque (presso i greci ma anche presso gli altri popoli), e che
consista in questo: che ogni , ogni nome, contiene la vera ,
la vera essenza delle cose; l'opposto della posizione di Ermogene,
perch per Cratilo, per cogliere l'essenza delle cose non necessario
andare fino alle cose, non necessario arrivare agli enti, agli ;
basta fermarsi all'. Non ha senso arrivare agli , che la
meta del filosofo... la meta del filosofo l'ontologia, il sugli
enti... perch prima c' l', cio il "nome", e il nome contiene
l'ente; anzi, non contiene l'ente, qualcosa di pi: contiene la vera
, la vera essenza dell'ente; inutile per il filosofo arrivare fino
agli enti, perch invece molto meglio scrutare nel nome, perch il
nome non vuoto, come ritiene Ermogene, dunque non un'etichetta
vuota, non indifferente all'ente; ma il nome ha un contenuto --
questo importantissimo: questa differenza tra Ermogene e Cratilo
importantissima -- il nome ha un contenuto, questo contenuto la vera
essenza dell'ente. Per cogliere la verit degli enti non necessario
arrivare appunto fin l, basta fermarsi all', perch nell' c'
quello che i greci chiamano l', cio il contenuto di verit del
nome. Differenza tra l'etimologia nel senso "scientifico", cio
l'etimologia che praticano oggi gli etimologi, coloro che si occupano
di etimologia all'interno della linguistica: si occupano dell'origine
delle parole, della provenienza delle parole, quindi una parola italiana
proviene dal latino, o proviene da altre lingue, etc. un prestito, e cos
via; non questo il significato di in greco: per i greci antichi
la verit, il contenuto di verit del nome. Non ha senso
arrivare fino agli enti, basta fermarsi all', perch il nome
contiene il vero contenuto delle cose. Vedremo l'importanza
dell'etimologia, addirittura uno degli indirizzi dominanti della cultura
greca arcaica, per uno degli indirizzi dominanti anche nell'epoca di
Platone; l'etimologia appunto studiare la saggezza contenuta nei
nomi; addirittura potremmo dire, se pensiamo che in greco saggezza si
dice , potremmo dire che l'etimologia sia una sorta di filosofia
[in senso etimologico] contenuta nei nomi. All'epoca di Platone ancora
ci sono molti che praticano l'etimologia, e vedremo che la parte
centrale, molto lunga, del Cratilo, una parte interamente dedicata
alle etimologie: addirittura ce ne sono quasi 140. Non assurdo dire
che per il filosofo, cos come lo immagina Cratilo, l'etimologia una
17

via della filosofia, e anzi, potremmo dire la via principale [della
filosofia: per Cratilo]. Entrambe queste tesi sono tesi che Socrate
metter in discussione, e dunque la posizione di Socrate una
posizione di mediazione, Socrate media tra le due tesi, se non fosse
che "mediazione" forse riduttivo, nel senso che poi il compito di
Socrate sar quello di oltrepassare, di superare, di correggere
entrambe le impostazioni.

I. Ermogene riferisce a Socrate, ed Ermogene riferisce a Socrate
entrambe le tesi, lo coinvolge nella discussione, quasi lo chiamasse ad
essere "arbitro" di queste due tesi. La tesi di Cratilo, riferisce
Ermogene, che i nomi sono giusti, e che la giustezza per natura,
. Qui c' da un canto una battuta di Socrate, il quale fa
riferimento a Prodico di Ceo: "Che s'io mai avessi udito da Prodico
quel suo corso da cinquanta dramme..." [cerca citazione, 384b].
Perch fa riferimento a Prodico di Ceo? Prodico faceva parte dei
sofisti, e questi siccome insegnano l' , cio il ben parlare,
inevitabilmente si occupano di lingua, sono in un certo senso i primi
"grammatici", oggi diremmo [che] sono quasi i primi "linguisti",
riflettono con gli strumenti che loro hanno. Prodico colui che in
particolare si occupa dei sinonimi, e quindi interessante... Socrate fa
questo riferimento, naturalmente ironico; un riferimento fatto anche
perch Ermogene l'esponente, il rappresentante del fronte dei
convenzionalisti, dei sofisti, dei riformisti, o dei riformatori della
lingua; quindi una battuta -- ne troveremo altre. Non c' una
distinzione tra quelli che noi oggi chiamiamo "nomi comuni" e "nomi
propr", dunque naturalmente ci si chiede, ci si interroga anche sulla
giustezza dei nomi propr; ragion per cui Ermogene per esempio, lo
stesso nome di Ermogene potrebbe non essere un nome giusto.

II. Detto questo, qual la tesi di Cratilo? Continua Ermogene ed
espone la sua [propria] tesi. La posizione di Ermogene, che lui stesso
sintetizza, la posizione opposta [a quella di Eraclito], nel senso che
noi possiamo... i nomi sono per , per accordo, per
convenzione, siamo noi infondo ad accordarci, perci dei nomi noi
possiamo fare quello che ci pare, li possiamo cambiare, li possiamo
sostituire, etc. Quello che interessante, anzi una domanda: sulla base
di quello che abbiamo detto, per Cratilo ci sono nomi non giusti, o
tutti i nomi sono giusti? e per Ermogene c' una differenza tra nomi
giusti e nomi non giusti? Nessuno dei due: vuol dire che
incredibilmente entrambi rispondono alla domanda nello stesso modo,
un paradosso; per Cratilo tutti i nomi sono giusti, non ci possono
essere nomi non giusti, perch per definizione ogni nome contiene la
vera essenza della cosa, quindi [il nome] giusto; non ci possono
essere nomi non giusti. Per Ermogene: anche per Ermogene tutti i
nomi sono sullo stesso livello, tutti i nomi sono giusti nella misura in
cui noi ci accordiamo e li accordiamo agli enti. Dunque anche qui tutti
i nomi sono giusti. [MIRABILE CONVERGENZA direi io] Vale a
dire che quello che strano, e che gi nelle prime battute del dialogo:
entrambi rispondono... in fondo il dialogo potrebbe chiudersi qui,
perch entrambi rispondono alla domanda sulla giustezza dei nomi --
dunque i nomi sono giusti oppure no -- rispondono entrambi allo
stesso modo; dunque in fondo la questione si potrebbe chiudere qui. E
certo noi potremmo riflettere, per esempio, potremmo, noi, qui,
interrogarci e dire: per noi, dato che qui la maggioranza siamo parlanti
della lingua italiana, per noi i nomi della lingua italiana sono giusti
18

oppure no? questo la questione. E vale sempre la domanda circa, per
esempio, la modifica del genere, o sostituzione del nome: possiamo
noi seguire quello che dice Ermogene, per esempio decidere di
cambiare il nome ad un oggetto, possiamo accordarci e decidere di
fare questo? Non una domanda giusta o sbagliata; una domanda
filosofica. Per Ermogene non c' un criterio, ognuno pu fare come gli
pare, c' una sorta anche di arbitrio. D'annunzio sappiamo all'interno
di quale cornice si muove; quindi nell'ambito di questa "cultura"
nazionalistica, cosa fa, traduce i prestiti stranieri italianizzandoli, e
quindi li impone, anzi li ha imposti, ci sono diversi esemp, dunque ha
ragione il vostro collega perch un buon esempio di uno che
arrivato, e ha detto, oltretutto con l'autorit del poeta, daltra parte noi
sappiamo che l'italiano una lingua inventata da poeti, a cominciare
da Dante; ma perch no, io sono un poeta, qui arrivano troppi prestiti
stranieri, cambiamo, italianizziamo, e cos ha fatto. Questo pu essere
un buon esempio. E' come se D'annunzio fosse venuto qui e avesse
detto, benissimo, guardate, questa parole qui, che cos' questa parola
qui, cambiamo, e trova un'altra, inventa un'altra parola. Si pu fare
questo o non si pu fare? Il caso di D'annunzio un caso
emblematico: lo ha fatto. Si pu fare se c' l'accordo di una
moltitudine, se c' l'accordo degli altri parlanti. Nel caso di
D'annunzio, probabilmente, siamo vicini a parole che si impongono, e
in qualche modo sono delle imposizioni, a tutti gli effetti, per
effettivamente ci vuole l'accordo di tutti. Ma noi qui possiamo
decidere, ammesso e non concesso che noi si sia d'accordo sul fatto
che come vedo io, come interpreto io, questo oggetto ha caratteristiche
maschili anzich femminili, e per esempio cambiamo [il nome], e
diciamo, a partire da adesso, per sempre, il nome modificato di
genere; lo possiamo fare [o no], se s perch, se no perch? Se io
facessi ironie -- non le so fare -- e una serie di giochi sulla parola
modificata, poi usciamo da qui, e fuori possiamo usare quella parola?
no! perch ci prendono per matti. Questi che fanno a lezione di
filosofia? imparano a storpiare le parole. Non lo possiamo dire fuori;
ma lo potremmo dire qui, e che senso ha dirlo qui? Il problema il
problema della comunit, vale a dire, il punto qual , il punto -- ma
ci arriveremo alla fine del dialogo, ancora qui non si prospetta, infatti
Ermogene parla di un cambiamento che fai lui individualmente: lui
individualmente che lo fa -- il problema qual , il problema che i
nomi sono molto pi complessi di quanto non emerga nella tesi di
Ermogene. Non sono etichette che io posso cambiare a piacimento,
perch per cambiare io ho bisogno degli altri parlanti; ma soprattutto
non solo ho bisogno dell'accordo degli altri parlanti, perch altrimenti
io potrei dire: beh, c' l'accordo qui delle persone che sono qui; ma
non si tratta di questo, si tratta di qualcosa che riguarder proprio il
fatto che sbagliato pensare che il nome sia l'esito di un accordo.
Nessuno ci ha chiesto di sottoscrivere un patto per parlare l'italiano.
Ciascuno di noi nato, non tutti tra l'altro... nessuno ci ha chiesto se
eravamo d'accordo nel parlare l'italiano, perch probabilmente molti di
noi avrebbero anche detto no!, preferisco un altra lingua. Qui c'
qualcosa che non viene preso in considerazione soprattutto da
Ermogene, e che cos'? il fatto che i nomi hanno una storia, che i
nomi hanno una tradizione, e che questa storia la storia della
comunit, cio il nome il nesso della comunit, e la comunit --
dall'altra parte, in un certo senso -- il soggetto del nome; dunque noi
non possiamo decidere come fanno e.g. gli scienziati, che propongono
delle formule, inventano delle formule. Uno scienziato pu proporre
19

una formula, e dire: "benissimo!, questa formula a partire da qui,
usiamo questa formula"; nel nome questo non vale; dunque noi non
possiamo decidere di dire, a partire da adesso, di cambiare il nome di
questo oggetto, perch qui una questione della -- appunto --
comunit che parla la lingua; a meno di non imporre alla comunit, in
un modo politicamente quasi al limite "totalitario", come fa
D'annunzio; ma d'altra parte pensiamo in che epoca siamo, decidere di
imporre attraverso una serie di istituzioni, un cambiamento delle
parole. Ecco perch sono casi limite, un caso limite, altrimenti noi
non possiamo decidere, non possiamo decidere di cambiare i nomi,
non possiamo decidere di cambiare neppure il genere di un nome, e
questo quello che verr fuori nel caso di Ermogene; dunque noi
abbiamo due tesi che sono entrambe affascinanti, radicali, per sono
entrambe "sbagliate", perch da una parte abbiamo la posizione di
Cratilo, che dice che il nome contiene la vera essenza dell'oggetto, e
dall'altra parte abbiamo Ermogene che dice: il nome un etichetta che
noi cambiamo come ci pare. Non cos nel caso di Ermogene:
evidente che si tratta di una tesi, come dire, povera, di una tesi iper-
razionalistica, che non tiene conto del fatto che i nomi hanno una
tradizione, potremmo gi dire, hanno una "storia", e dunque noi non
possiamo cambiare. Ora, quello che interessante qui, che noi qui
stiamo parlando della , della giustezza: con giustezza si
intende la "rispondenza" nel senso indicato; la rispondenza con la
struttura ontologica, la rispondenza tra la struttura linguistica e la
struttura ontologica. Quello che importante, [] che gi a questo
punto del dialogo viene introdotta una possibilit, nel paragrafo III, ed
la possibilit che non siano i nomi [ad essere] veri o falsi; ma i
discorsi.

III. Il discorso, in greco il ; qui si pone -- questo III paragrafo
non perdiamolo di vista, perch qui viene introdotto un problema, un
grande problema della filosofia, ed il problema del Sofista -- viene
introdotta una nuova entit, che il . Qui abbiamo una prima
distinzione tra (nome) e (discorso). Viene detto anche
che il (il discorso) fatto di nomi, costituito da nomi, e si
pone il problema, l'interrogativo se si possa parlare di verit e di
falsit solo per il , non per il nome. Socrate pone il problema,
dice: attenzione per, noi stiamo parlando di giustezza dei nomi; ma
non che quando parliamo di giustezza dei nomi ci confondiamo?
perch in effetti ad essere vero o falso solo il , e dunque noi ci
stiamo ponendo qui il problema del nome. A questo proposito
dobbiamo dire, perch importante, che sebbene i sofisti nelle loro
prime osservazioni grammaticali introducano una distinzione tra nome
e discorso, sono proprio i filosofi, proprio Platone prima e Aristotele
poi, a definire con chiarezza la distinzione tra nome e discorso, tra
e ; sebbene siano i sofisti, coloro che poi seguiteranno
nelle loro osservazioni grammaticali a intuire la distinzione tra nome e
discorso, in realt sono i filosofi, e sono cio Platone a Aristotele...
Platone e Aristotele hanno questo grandissimo merito di aver distinto
tra nome e discorso; vedremo, andando avanti, che per Platone si tratta
(cfr. Sofista) non solo di capire; ma anche di salvare il , perch
se si capisce e si salva il , si salva la filosofia. Non c' filosofia
senza . Che cos' il e qual il nesso tra il e la
filosofia [di questo ci occuperemo], che la grande domanda di
Platone nel Sofista. Per Platone si tratta di spiegare il nesso
predicativo che costituisce il , si tratta di spiegare l'enigma della
20

predicazione; dunque il nesso predicativo che costituisce il . Il
Cratilo non un dialogo sul . Nella esegesi platonica -- presso
diversi interpreti/studiosi -- alcuni hanno sopravvalutato il Sofista: il
dialogo davvero importante sarebbe il Sofista, perch il dialogo della
filosofia per eccellenza, il dialogo in cui Platone tematizza il , e
dunque la filosofia. Il Cratilo sarebbe un dialogo filosoficamente
meno rilevante, perch si occupa dei "nomi" e non del . Non
cos. E' senz'altro vero che il Cratilo viene prima del Sofista, il Cratilo
propedeutico al Sofista; Platone deve prima affrontare il problema
dei nomi, e una volta affrontato il problema dei nomi, poi potr
affrontare il problema del discorso, del . Il problema dei nomi
il problema del Cratilo: il rapporto tra il "nome" e la "cosa", qual' il
rapporto tra il nome e la cosa denominata. Il tema del
anticipato in questo terzo capitolo; ma rinviato giustamente al
Sofista, perch deve prima rispondere alla domanda sul rapporto tra
nome e cosa; il nome un'etichetta vuota oppure ha un valore
ontologico? Questa la domanda del Cratilo; solo dopo Platone potr
affrontare il , e c' una verit del nome che diversa dalla verit
del . La verit del nome, la verit contenuta nel nome, una
verit diversa dalla verit del . Ci sono per diversi esemp di
parole che sono state create, dove addirittura noi abbiamo una firma,
c' un autore, e che poi sono state accolte, accettate dalla comunit, e
non imposte. Distinguere due questioni: una la questione di
cambiare, di sostituire un nome, decidere di... altra ma connessa la
questione delle parole create che possono addirittura affermarsi senza
una imposizione. Breve parentesi: posta questa distinzione tra
questioni, perch sono connesse ma non sono la stessa cosa; nel caso
delle parole create, che possono essere create da un poeta, da uno
scrittore, o anche da chi ci pare, dove c' una firma, possiamo fare
degli esemp, possiamo dire che questo si verifica sempre? anche
quando si crea un oggetto [nuovo], in un certo senso lo si "battezza",
per questo si da sempre? no! La parola "sedia" in italiano, chi l'ha
creata? c' un nome e cognome? la parola "tavolo", etc. perch non c'
una firma? Non una domanda storico linguistica; ma una domanda
filosofica. Il problema importantissimo, che la lingua un'opera
d'arte collettiva, un'opera d'arte creata dalla comunit, non un'opera
d'arte aristocratica, non ci sono alcuni, i poeti, che creano... c' il caso
del poeta; ma il caso del poeta un caso al limite. Noi non abbiamo la
firma, non abbiamo l'autore per le parole di cui ci serviamo. Quando
parliamo, durante la giornata, e usiamo le parole, le parole che usiamo
non hanno autore, noi non possiamo dire, non sappiamo chi le abbia
create... e tutto sommato non neanche importante, infatti non ci
poniamo neanche il problema, perch quello che entra nella lingua,
entra in una comunit, nella comunit della lingua. Ci non toglie che
ci siano casi in cui noi possiamo... l'italiano da questo punto di vista
particolarmente eloquente, perch una lingua dove i poeti hanno
avuto un ruolo decisivo in alcune parole; un numero assolutamente
ridottissimo per le quali possiamo risalire all'autore, per le quali la
parola ha la firma. Sono casi assolutamente isolati, assolutamente
singoli, che non sono filosoficamente rilevanti per quello che avviene
nella lingua. La lingua effettivamente una istituzione molto
democratica, al punto che non c' il copyright. Non che qualcuno
inventa una parola e ci sono i diritti d'autore: non cos. C' una
propriet comune, anche perch c' qualcosa anche di politicamente
molto interessante: la lingua non conosce la propriet privata; la
lingua conosce solo una propriet condivisa, comune; la parola non
21

pu essere "privata", non mia, sempre comune, ed per questo che
la parola fonda la comunit. Ci sono i casi in cui c' la firma
dell'autore; ma sono casi assolutamente isolati, e dunque non dicono
quello che avviene nella lingua. La questione di cambiare il nome,
cio decidere che da ora noi, da adesso, non chiameremo pi x "x", ci
accordiamo tra noi qui dentro, non con quelli di fuori, qui dentro, di
chiamare questo oggetto in un altro modo, cambiando il genere,
sostituendo la parola, modificandola, etc. noi possiamo anche farlo;
ma qualcosa di artificioso, e tutto sommato anche di insensato:
possiamo farlo ma insensato, perch le parole hanno dalla loro la
storia, hanno la tradizione, non solo l'accordo tra i parlanti, ma la
storia, il che per ora qui non chiaro [a questo punto nel dialogo di
Platone]. Che cos' che manca nelle due tesi? manca proprio questo.
Detto questo, presentate le tesi, si passa a una parte diversa del
dialogo, in cui Socrate comincia a smantellare la tesi pi facile da
smantellare, che quella di Ermogene; e dunque dice: davvero cos
che io posso a mio arbitrio cambiare i nomi? e quello che Socrate fa
valere l'ontologia: fa valere il fatto che non c' una indifferenza del
nome rispetto alla cosa; non come crede Ermogene, che il nome sia
un etichetta indifferente; ma invece c' -- questione filosofica -- un
rapporto tra il nome e la cosa; Socrate smonta Ermogene dicendo che
c' un rapporto tra il nome e la cosa.

IV. Socrate per smontare la tesi di Ermogene anzitutto fa un
riferimento a Protagora. Protagora uno dei massimi esponenti della
Sofistica, e Protagora, anche sulla base di uno dei frammenti
tramandati, dice che l'uomo, l', misura di tutte le cose. Che
l' sia misura di tutte le cose, di quelle che sono WS, in
quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono; un passo
della filosofia "presocratica", uno dei passi pi problematici, ed un
passo che in qualche modo ha sempre costituito dei problemi, e
costituisce per Platone un problema, perch Platone a cominciare qui,
dal Cratilo, va in cerca di criter di Verit. Il caso di Protagora il
caso di chi dice che l'unico criterio di Verit sono io, l', e
l' misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono,
di quelle che non sono in quanto non sono. Secondo molti questa
posizione di Protagora stata vista come il primo spunto di un
"relativismo", in quanto relativizza le varie posizioni; relativismo nel
senso in cui s'intende anche oggi: parlare di relativismo anche in senso
spregiativo; il relativismo viene gi condannato qui da Platone, perch
Protagora sarebbe appunto il sostenitore -- almeno in questa
interpretazione che ne da Platone -- di un relativismo veramente
radicale, per cui ciascuno in quanto , misura le cose, quelle
che sono in quanto sono, etc. La preoccupazione del Socrate platonico
che chi sostiene questo, si perde in una "Vertigine", in una Vertigine
per cui tutti i discorsi possono essere contemporaneamente veri e falsi;
non ci sono criter di Verit, e la grande preoccupazione non tanto
una preoccupazione di ordine logico, quanto una preoccupazione di
ordine morale, di ordine addirittura etico, perch se tutti i discorsi
sono contemporaneamente veri e falsi, se ciascuno pu dire come a lui
pare, allora evidente che non ci sono pi criter per distinguere tra i
malvagi e i buoni, tra gli assennati e i dissennati, tra coloro che hanno
ragione e coloro che hanno torto. Il problema si pone gi con Platone.
L'interpretazione che Platone da di Protagora non va presa come oro
colato; in realt qui c' una concezione molto negativa della sofistica: i
Sofisti sono mal visti da Platone, e continueranno ad essere mal visti
22

anche da Aristotele. In realt il frammento di Protagora stato
interpretato [anche] diversamente: ci sono diversi interpreti che hanno,
sia nel passato che nel presente, proposto interpretazioni diverse,
perch gi il fatto stesso che Protagora dica che l' misura
di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono... perch dice "di
quelle che sono in quanto sono" e "di quelle che non sono in quanto
non sono"... vuol dire in realt che si rif al problema Parmenideo. C'
uno sfondo parmenideo nei sofisti che stato studiato proprio nella
"scuola di Roma", proprio con Calogero in particolare ha messo in
evidenza questo, e dunque l'interpretazione di Platone va presa ma
come un'interpretazione che in realt squalifica molto Protagora. E'
vero che i sofisti -- nella storia della filosofia sono stati molto
denigrati -- mentre in realt andrebbero rivalutati, o comunque
considerati diversamente. Platone pone questo problema.

V. "che queste cose hanno in se stesse una loro propria e stabile
essenza, non dipendono da noi, n da noi sono tratte in su e in gi
secondo l'immaginazione nostra, bens esistono per se stesse senz'altro
rapporto con la loro essenza cos come sono per natura" FRASE
IMPORTANTISSIMA. Eutidemo: personaggio molto interessante, al
punto che Platone gli dedica un dialogo, quindi non pu essere uno
qualunque; sono due nomi che dovremmo ricordare, Eutidemo e
Dionisodo: sono due eristi, la seconda generazione della sofistica,
sono dei sofisti che per fanno gi parte dell'eristica, e l'eristica dal
punto di vista della logica, importantissima, perch vedremo che
proprio Eutidemo e Dionisodoro formulano dei paradossi logici che
Platone sar costretto a risolvere, non tutti per altro: ci sono alcuni
paradossi, il mucchio, il mentitore, etc. il paradosso del mentitore tra
i pi famosi, ma non l'unico, ed un paradosso "risolto" solo nel
'900. Il paradosso del mentitore un paradosso molto interessante, e in
realt c' una continuit tra la posizione di Parmenide... non si sbaglia
dicendo che i sofisti sono parmenidei... la posizione di Parmenide,
quella dei Sofisti e quella degli Eristi: continuit. Platone dovr porsi
la questione degli Eristi, dovr tentare di risolvere questi paradossi.
Qui gi compare la figura di Eutidemo. Socrate dice -- e dal punto di
vista filosofico ci interessa moltissimo -- : attenzione, non siamo noi il
criterio delle cose, come pretende Protagora, perch le cose non
dipendono da noi; le cose hanno una loro stabile essenza, sono salde
in loro stesse, non dipendono da noi, non le possiamo tirare in su e in
gi come vorrebbe Protagora, secondo la nostra immaginazione; ma
sono per natura, in se stesse: attenzione, gli enti non dipendono da noi,
gli enti sono indipendenti da noi, e dunque dobbiamo interrogarci
sugli enti: gli enti non possono essere ridotti al modo in cui noi li
vediamo. Non solo gli enti -- interessante -- ma anche le azioni: anche
le azioni, non solo gli enti, hanno una loro indipendenza, hanno una
loro stabilit , per natura, infatti... le azioni -- questo il primo
passo nella filosofia in cui si parla delle azioni dal punto di vista
filosofico, perch qui nel Cratilo per la prima volta si riflette
filosoficamente sul concetto di azione -- ; cosa sono le azioni? le
azioni non sono separate dalle cose, sono connesse con le cose, e dice
Socrate, sono una specie di enti; secondo la loro propria natura anche
le azioni si fanno non secondo la nostra opinione. Le azioni non si
fanno, non si compiono, secondo la nostra opinione; ma richiedono
alcuni criter. [cerca citazioni]. Le azioni sono avvicinate alle cose, le
azioni hanno una loro stabilit, una loro stabile essenza, in se stesse,
per cui noi non possiamo compiere le azioni come ci pare, secondo la
23

nostra opinione. Quello che interessante l'esempio: se dobbiamo
tagliare qualcosa, non possiamo tagliarla come ci pare; ma dobbiamo
tagliarla secondo natura [cfr. Fedro, il macellaio]. non soltanto
natura, e si contrappone a . Non il che pu dominare,
che pu decidere; ma la natura delle cose, la che comanda;
infatti quando noi tagliamo qualcosa, non possiamo tagliarla come ci
pare e piace; ma dobbiamo seguire la natura. Questo un esempio
importantissimo -- non ci deve sfuggire -- ed un rinvio al Fedro, ed
un rinvio alla : l'arte... una sorta di dialettica in nuce, anzi
per Platone la dialettica; la l'arte di tagliare, e l'esempio
che viene fatto nel Fedro, esempio celebre: il bravo dialettico come
il macellaio che taglia la carne; il macellaio taglia seguendo le
nervature della carne, non pu tagliare come gli pare e piace; ma deve
seguire le nervature della carne; questo esempio il modo in cui
Platone riferisce come lui intende l'arte della "divisione": il bravo
dialettico quello che appunto divide () cos come fa il
macellaio quando taglia seguendo le nervature della carne. Questo
esempio rinvia alla DIALETTICA. Qual il problema delle "azioni"?
Io non posso compiere un'azione come mi pare... non la posso
compiere con gli strumenti che mi pare, perch non raggiunger
l'effetto!

VI. Il , il dire, un'azione -- IMPORTANTISSIMO!. Per la
prima volta viene detto -- interessantissimo -- che "dire" un'azione:
quindi c' un aspetto pragmatico del linguaggio che qui Platone coglie;
il linguaggio una prassi, il dire un'azione. Il denominare
(). Denominare fa parte -- importantissimo -- ... anche
denominare un'azione; dunque dire e (de)nominare sono azioni. Il
nominare fa parte del dire, perch quando noi diciamo, nominiamo;
entrambe sono azioni, e queste azioni hanno una loro autonomia e
stabilit.

VII. Fa l'esempio del tessere e del perforare: sono due azioni. Se io
invertissi il trapano e la spola, non riuscire a... sono importanti questi
due esemp perch indicano che c' una , una delle azioni,
che pretende che l'azione venga fatta in un certo modo, non come ci
pare e piace, e che si usi anche uno strumento, perch per perforare il
muro si avr bisogno del trapano, di qualcosa fatto di ferro, etc. Qual
lo strumento che serve a NOMINARE? il "nome".

VIII. Per la prima volta abbiamo una definizione -- la prima
definizione del nome, che abbiamo nel dialogo del "nome", ed una
definizione importantissima -- : "il nome dunque come uno
strumento didascalico e sceverativo dell'essenza, come la spola del
tessuto". Strumento DIDASCALICO e SCEVERATIVO
[dell'essenza]: la parola greca per sceverativo ; il nome
un (strumento) -- una parola molto pi ampia di
"strumento" -- ; la prima definizione che viene data in filosofia del
"nome", ed una definizione bellissima su cui bisogna fermarsi.
L' ed DIDASCALICO: DIACRITICO
vuol dire che con il nome si scevera l'essenza, si divide l'essenza, si
articola l'essenza; il "nome" serve a sceverare l'essenza degli enti,
serve a articolare l'essenza degli enti, e proprio per questo il nome
didascalico: il nome insegna (questo vuol dire didascalico), il nome
insegna, attraverso il nome noi apprendiamo le cose. Non possiamo
servirci di altro strumento se vogliamo che la nostra azione sortisca un
24

effetto; se io devo dire e dunque nominare, perch il nominare fa parte
del dire, allora devo servirmi dello strumento del nome, perch se mi
servo di un altro strumento, evidentemente la mia azione non sortir
degli effetti, come il caso del tessere e del trapanare, per cui mi servo
di strumenti diversi. DIACRITICO: il fatto che l' sia un
DIACRITICO dell'essenza... perch qui abbiamo esattamente il
contrario di quello che dice Ermogene, perch se Ermogene avesse
ragione, il nome non sarebbe didascalico, dunque non insegnerebbe
nulla, perch non avrebbe contenuto, e in pi, non sarebbe
assolutamente sceverativo dell'essenza, perch per Ermogene non
esiste il rapporto tra il nome e la cosa, altro che nell'arbitrio, dunque
qui il nome scevera l'essenza, dunque il nome l'organo attraverso il
quale si organizzano gli enti, attraverso il quale gli enti vengono
articolati, organizzati; attraverso gli noi organizziamo il
mondo, il mondo viene organizzato attraverso gli : i nomi
sceverano l'essenza del mondo, sceverano l'essenza delle cose, perci
non vero quello che dice Ermogene, per il quale il nome non ha
nessun valore ontologico, il nome un'etichetta indifferente... per
Socrate il nome ha un valore ontologico, al punto che il nome
addirittura scevera l'essenza delle cose... come se Socrate ci stesse
dicendo che la trama del mondo, la trama degli enti del mondo, la
trama dei nomi... che i nomi in qualche modo tengono insieme,
sceverando, gli oggetti del mondo; dunque ci sta dicendo una cosa
importantissima, che i nomi hanno un valore ontologico e che se noi
non usassimo il nome, noi non riusciremmo a parlare, non
riusciremmo a denominare, e dunque non riusciremmo neppure a dire:
questa anche una risposta alla questione sul cambiare, modificare,
sostituire i nomi: no! non possiamo, perch infatti i nomi non sono
semplicemente risultato dell'arbitrio; ma rispondono in un certo modo,
non sappiamo ancora quale, alle cose; quindi noi non possiamo
cambiare i nomi, perch gli altri non ci capirebbero, dunque la nostra
azione del denominare non sortirebbe effetto, gli altri non ci
capirebbero. C' un criterio che proprio il "nome". Questa
definizione una definizione importantissima... questo non vuol dire
tuttavia... qui come se Socrate stesse dando ragione a Cratilo; ma
non dar in ultima analisi ragione a Cratilo: in parte s, in parte no!
Adesso sta mettendo in rilievo che sussiste, che c' un rapporto tra il
nome e la cosa.

Siamo arrivati poco prima della parte etimologica, e abbiamo letto la
parte in cui c' una riflessione molto moderna perch si fa presente che
parlare una azione, e che anche nominare un'azione, e dunque c'
una riflessione di Platone sulle azioni, perch si dice che non solo gli
oggetti, non solo gli enti, non solo gli hanno una loro
indipendenza; ma anche le azioni hanno una loro stabile essenza.
Riprendendo i due esemp che fa Platone: se io devo fare un foro nel
muro, non potr usare la spola, perch la spola serve per tessere; qui si
intendono varie cose: le azioni hanno un "fine", c' il raggiungimento
di un fine. Se io voglio forare il muro, voglio trapanare il muro, questa
azione del trapanare ha un fine che io devo raggiungere, non faccio
l'azione tanto per farla; ma questa azione ha un fine, e il fine appunto
quello di forare il muro, ecco perch io non posso fare come piace a
me, perch se faccio come piace a me non raggiungo lo scopo; dunque
non foro il muro; se mi servo della spola non faccio un foro... e
naturalmente vale la reciproca, perch se io penso di tessere e
maneggiare i fili di un tessuto con un trapano, anche in quel caso non
25

raggiunger un fine. Vale la pena sottolineare due cose: anzitutto che
la prima volta che si sottolinea che parlare un'azione, che parlare
una prassi -- proprio con il termine greco: -- e dunque
interessante questo; il secondo aspetto che Platone qui ha presente
che le azioni hanno un fine; non distingue ancora, come far
Aristotele, tra le azioni che hanno un fine raggiunto al di fuori
dell'azione, e le azioni che hanno un fine in se stesse: e.g. un esempio
che introdurr Aristotele per esempio "costruire": costruire una
casa... dunque la casa l', il prodotto raggiunto dall'azione al di
fuori dell'azione; l'altro esempio quello di vedere (sempre
Aristotele): ci sono 2 tipi di azione, uno che analogo al costruire -- la
casa il fine che cade fuori dall'azione -- "vedere" l'altro esempio,
molto celebre, vedere ha il fine in s, perch io raggiungo di volta in
volta lo scopo del vedere mentre compio l'azione; dunque a partire da
qui i filosofi, con Aristotele, distingueranno due tipi di azione; questa
distinzione vale anche adesso... per Platone, Platone non ha ancora
ben presente questa distinzione, tuttavia, "parlare" e "nominare"
rientrano nel secondo esempio, sono analoghi al vedere, anche se non
mancano i prodotti che pure si collocano al di fuori delle azioni.
Quello che interessante che per la prima volta Platone sottolinea
che parlare un'azione che richiede gli strumenti rispondenti, e
dunque per parlare e per nominare c' bisogno del "nome", dell':
l' appare in questo contesto come uno strumento; dunque ci
avviamo verso una definizione dell', e ci avviamo anche su un
sentiero comincia ad essere lontano sia da quello di Ermogene che da
quello di Cratilo, perch il nome appare uno strumento, un --
semantica molto pi ampia -- un "organo", il nome un "organo"...
definizione: l' un organo sceverativo (DIACRITICO)
dell'essenza e didascalico; due aggettivi su cui ci siamo gi soffermati:
DIACRITICO (sceverativo) e didascalico. Diacritico vuol dire che il
nome scevera, distingue -- sceverare vuol dire distinguere -- il nome
scevera, il nome distingue, il nome articola l'essenza, e questo
importantissimo perch vuol dire che il nome, che attraverso il nome
noi sceveriamo, distinguiamo l'essenza, il nome ci aiuta a distinguere
l'essenza, l'essenza degli enti. La definizione molto importante
perch per la prima volta viene introdotta l'idea che il nome svolga
una funzione, e che questa funzione non sia una funzione soltanto
indicativa, designativa; ma sia una funzione pi profonda, perch ha a
che fare con l'essenza degli enti, che addirittura viene sceverata, viene
distinta, viene articolata dal nome. Ricordiamoci sempre che
"didascalico", non soltanto diacritico: anche didascalico. Per la
prima volta si fa presente che il nome ha a che fare con la conoscenza;
il nome infatti didascalico proprio perch ha a che fare con la
conoscenza, perch sceverativo, perch diacritico. La grande
domanda del Cratilo, che una domanda che si trova soprattutto nella
parte finale del dialogo, la domanda filosofica per eccellenza, che
accompagner tutta la riflessione sul linguaggio, vale a dire: se per
conoscere gli enti sia necessario il linguaggio oppure no. Questa la
grande domanda dei filosofi, perch i filosofi, anche Platone, sono
interessati agli enti, esercitano l'ontologia, dunque sono interessati agli
enti; il filosofo, anche Platone, ha come obiettivo raggiungere gli enti,
raggiungere nel senso di conoscere gli enti, di cogliere gli enti; sotto
questo aspetto noi potremmo dire che il linguaggio sia per i filosofi
una sorta di inciampo, sia una sorta di ostacolo, per cui Platone
affronta la questione nel Cratilo, e la affronta nel senso di chiedersi se
c' una giustezza dei nomi oppure no... perch fa questa domanda?
26

perch quello che interessa a Platone e al Socrate di Platone il valore
gnoseologico, il valore conoscitivo del linguaggio, il valore
gnoseologico degli , gli hanno un valore
gnoseologico rispetto agli , agli enti, oppure no? meglio tentare
di conoscere gli enti come si dir alla fine del dialogo
, senza i nomi, oppure bisogna passare attraverso i nomi?
questa la grande domanda, la domanda filosofica, che una domanda
diversa da quella che si pongono i linguisti, o che si pongono i teorici
del linguaggio... la domanda filosofica la domanda sul valore
gnoseologico e ontologico dei nomi: i nomi hanno un valore
gnoseologico, e dunque hanno un valore ontologico? questa la
domanda filosofica per eccellenza. Il merito di Platone nel Cratilo di
aver posto questa domanda per la prima volta, dunque il Cratilo va
considerato la prima opera filosofica sul linguaggio, anche se non si
parla di linguaggio, perch i greci parlano di . La definizione
che viene data qui, il nome un organo sceverativo dell'essenza e
didascalico, vuol dire che c' una presa di posizione, si comincia ad
affermare che il nome ha un valore conoscitivo, ha un valore
gnoseologico, ha a che fare con gli enti, anzi, ha a che fare addirittura
perch scevera l'essenza. Questo vuol dire che il Socrate di Platone,
qui, comincia a prendere le distanze da Ermogene, perch Ermogene
invece aveva affermato, afferma, che il nome un'etichetta vuota,
un'etichetta indifferente all'ente che designa, che il nome ha una
funzione puramente indicativa, puramente designativa, che il nome
privo di contenuto. Questa la parte in cui Socrate comincia a mettere
in discussione la tesi di Ermogene: anche la tesi pi facile da mettere
in discussione, perch una tesi che non regge. Sembrerebbe dare
quasi ragione a Cratilo, perch dicendo che il nome sceverativo
dell'essenza, ammette che ci sia tra il nome e l', tra il nome e
l'essenza degli enti, un rapporto; che anzi il nome articola, distingue
l'essenza. L'aggettivo diacritico ha a che fare con la , con la
dialettica. La distinguere, conoscere distinguere,
conoscere distinguere gli enti, dunque evidente che quando si dice
che il nome diacritico, vuol dire che il nome ha un valore
ontologico. Bisogna per vedere se davvero il Socrate di Platone da
ragione a Cratilo, o se invece prender posizione anche rispetto a
Cratilo, e infatti sar cos. Proprio in questa parte del dialogo, prima
della parte etimologica, a ridosso della parte etimologica, viene
introdotto un personaggio che ha fatto molto discutere, su cui ci sono
saggi, libri, etc. e che un po' un personaggio emblematico di tutto il
dialogo: il , il legislatore, vale a dire introdotto nel dialogo
un personaggio mitico, il che non stupisce nel paesaggio di Platone,
questa figura una figura in qualche modo mitica... chi il
? il legislatore, colui ha a che fare con il , di cui
abbiamo gi parlato... il viene introdotto come quella figura
che nei tempi dei tempi, in origine, ha creato i nomi. Vedremo, nella
penultima ed ultima parte del dialogo, che questo personaggio mitico
acquister sembianze pi storiche, per ora viene introdotto, e il
colui che ha posto i nomi, non imposto, che ha creato,
introdotto i nomi. Questo personaggio, potremmo dire, un
personaggio mitico, che viene proiettato nell'origine, il ha
l'arte di creare i nomi... ci che precipuo del l'arte di
creare i nomi, l', cio l'arte di creare nomi, di nominare
creando nomi, e come crea i nomi il , per Platone il
ha creato i nomi, che sia in Grecia o presso altri popoli,
attraverso una , un'arte, che l'arte appunto onomastica, la
27

, l'arte onomastica, l'arte del . Come ha
creato i nomi? li ha creati, anzitutto, guardando alla idea del nome,
all' dell', e li ha creati anche servendosi della materia
fonica e grafica, dei suoni, delle sillabe, delle lettere -- interessante
che per Platone... Platone non distingue, come facciamo noi, tra suoni
e lettere -- per Platone, suoni, lettere e sillabe fanno parte di una stessa
materia, che la materia fonica e grafica, che la materia che stata
elaborata dal ... torneremo sull'argomento dei suoni e delle
lettere pi avanti, quando parleremo della famosa teoria dei
, dei primi nomi; ma quello che ci interessa adesso che per
Platone, appunto, il suono e la lettera sono... non riesce bene a
distinguerli, perch in greci in questo periodo non distinguono come
distinguiamo noi oggi, dunque per Platone tutt'uno: materia fonica e
grafica. Quello che interessante che la materia fonico-grafica viene
concepita come la materia del linguaggio, dunque il non
avrebbe potuto usare un'altra materia per fare i nomi, non potrebbe...
perch la materia dei nomi, del linguaggio, sono i suoni e le lettere;
dunque potremmo dire che il , questo personaggio mitico,
che ha elaborato i nomi, lo ha fatto guardando alla materia fonico-
grafica e lo ha fatto guardando all', all'idea del nome. In questo
modo ha creato i nomi. L' sinonimo di forma, dunque il
ha preso da una parte una materia, una materia specifica
dei nomi, quella fonico-grafica, e dall'altra la forma, l' del nome:
sono stati questi i punti di riferimento, dunque gli elementi, attraverso
i quali il ha creato i nomi; che sia presso i greci o presso i
, i balbuzienti, gli stranieri che hanno altre lingue. E'
interessante anche che si prende in considerazione la possibilit che ci
siano lingue diverse, perch questo dipende dalla materia che il
ha usato... evidentemente presso gli altri popoli, presso i
non greci, i , i legislatori, si sono serviti di un'altra materia
fonico grafica. Quello che interessante per Platone, che in questo
molto coerente con la sua filosofia, con la sua dottrina delle idee,
che perfino il nome ha un'idea; non solo c' un'idea del tavolo, del
cavallo, etc. ma c' anche l'idea del nome, ed giusto che sia cos,
perch i nomi, realizzati, nella loro concretezza, partecipano
dell'IDEA, dell' del nome, dunque il ha guardato
all'idea del nome; l'idea del nome come il nome dovrebbe essere: il
nome dovrebbe essere un organo sceverativo delle essenze e
didascalico. Il Nomoteta aveva ben presente questo punto. Non
importa che il legislatore abbia usato suoni, sillabe, diverse, perch la
materia poteva essere diversa, l'importante che ha sempre avuto ben
presente l'idea del nome. Noi torneremo su questo punto perch
pensare che abbia potuto usare anche una materia diversa vuol dire gi
ammettere in qualche modo una diversit delle lingue, sia pure una
diversit che si limita semplicemente alla materia fonico grafica. Il
, assumendo delle sembianze anche storiche, viene
controllato... il suo lavoro viene giudicato: chi che giudica il lavoro
del ? il lavoro del , i nomi, giudicato dal
dialettico: qui abbiamo per la prima volta un binomio interessante, e
anche questo binomio si incontrer poi spesso nella filosofia, il
colui che ha creato i nomi... il suo lavoro viene giudicato
dal Dialettico: la dialettica l'arte della filosofia; come la
, l'arte onomastica... la l'arte dialettica,
l'arte della filosofia... il dialettico il filosofo! la dialettica per
eccellenza, per Platone, la filosofia! dunque il lavoro del
viene controllato, viene giudicato dal Dialettico, dal Filosofo; il che
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vuol dire che sotto un certo punto di vista il Legislatore/Nomoteta ha
un margine di gioco, dunque i suoi "nomi" devono essere accettati,
vengono accettati, sotto un altro punto di vista, tuttavia, possono
essere giudicati... che possano essere giudicati dal dialettico cosa vuol
dire? vuol dire una conferma ulteriore del fatto che i nomi hanno
effettivamente un valore gnoseologico, hanno un valore conoscitivo,
quindi l'opera del dialettico quella... un'opera CRITICA! quella di
criticare i nomi, quella di criticarne il contenuto, il valore conoscitivo,
sulla base della conoscenza che il dialettico va acquisendo della realt.
Questo binomio, -Dialettico, tra colui che crea i nomi e il
Dialettico, si potrebbe dire: il poeta e il filosofo; un binomio che
rester nella filosofia, lo troviamo addirittura nelle forme pi varie
nella filosofia del '900, ed interessante che compaia gi nel Cratilo.
Il problema che bisogna riflettere bene sul nome, cos come il nome
viene edificato, creato dal , perch non chiaro cosa voglia
dire usare una certa materia, guardare all' del nome, dunque
dobbiamo ancora riflettere meglio su quella che possiamo gi
chiamare una sorta di stratificazione del nome: un termine usato da
Gaiser: Gaiser parla -- a questo punto del dialogo -- di stratificazione
del nome, vuol dire che al contrario di quello che asserisce Ermogene,
per il quale il nome piatto, un'etichetta vuota, il nome comincia ad
apparire invece stratificato addirittura, ci sono parti diverse del nome
che devono affiorare, che devono emergere, e dunque lecito
addirittura parlare di una stratificazione del nome.

VIII. Qui naturalmente si fa presente che non tutti hanno potuto essere
; ma solo chi ha l'arte onomastica, la ,
quindi il quasi una sorta di artigiano, un po' come il
falegname. Chi trapana, chi fa un foro nel muro, usa il trapano; il
trapano deve essere fatto di una materia precisa, deve essere di ferro,
come la spola deve essere di legno, quindi ci deve essere una materia
corrispondente alle azioni, e dunque la materia fonico-grafica la
materia corrispondente al nominare e al parlare, come chi trapana usa
l'opera del fabbro, cos vediamo cosa succede per i nomi. La legge in
greco . Ermogene quello che dice che gli sono
, che i nomi sono per legge, per convenzione; Socrate gli fa
presente che lui, Ermogene, che sostiene che la legge che ci
fornisce i nomi. Tra gli artefici il pi raro a trovarsi colui che
appunto crea i nomi. Ci avvaliamo... chi insegna si avvale dello
strumento creato dal .

IX. Il problema che si pone quello... come si svolge l'opera del
, di questa figura un po' mitica. Considera, riprendendo gli
esemp di prima: quando il falegname fa la spola, perch la spola di
legno, quando al falegname si spezza la spola, cosa fa, ne costruisce
un'altra. Per costruire un'altra spola guarda a quella che si spezzata?
no! non guarda a quella che si spezzata. A cosa guarda? guarda
all', guarda all'idea di spola. Per costruire una nuova spola guarda
all'idea di spola. Qui stiamo parlando del lavoro di artefici, quindi il
falegname, il legislatore... dunque c' una spola in s, come c' il
cavallo in s, la cavallinit, cos c' anche un'idea di spola in s;
dunque il falegname quando deve costruire una spola non guarda alla
spola che si spezzata, perch se guardasse alla spola che si
spezzata, la spola che lui costruisce sarebbe un'imitazione
dell'imitazione... per evitare questo, deve guardare alla spola in s,
all'idea della spola, all' della spola, dunque l'artefice, l'artigiano
29

non ha a che fare... un mestiere pratico: no!... in fondo anche chi
esercita un mestiere pratico ha sempre a che fare anche con ci che
teorico, con la teoria, perch guarda all'idea, guarda alla spola in s...
dunque il falegname guarda alla spola in s. Abbiamo trattato la
questione del punto di vista formale, ideale, vale a dire: chi costruisce
uno strumento, la spola, deve guardare alla forma della spola, deve
guardare alla spola in s, all'idea della spola, si tratta sempre di
sinonimi; per c' anche una parte che riguarda la materialit. Chi
costruisce, deve necessariamente servirsi di una determinata materia,
non pu servirsi di una materia a capriccio, perch altrimenti lo
strumento non funzionerebbe: vale l'esempio... se io costruisco una
spola di ferro, io non potr tessere; se faccio un trapano di legno, io
non potr perforare il muro; qual la materia di cui mi devo servire
per i nomi? sono le sillabe e le lettere. Dunque la materia fonico-
grafica. Chi crea i nomi, l'istitutore di nomi, il nome ha a che fare col
, Socrate lo concede a Ermogene, in parte ha ragione Ermogene,
perch i nomi hanno a che fare con la legge, col , con
l'istituzione; per quello che Socrate qui vuol dire che la tesi di
Ermogene una tesi riduttiva: ha ragione ma la sua tesi riduttiva. I
nomi hanno a che fare col , con la legge, con le istituzioni; ma
non solo quello, molto di pi. Allora, chi istituisce i nomi, questo
artefice cos raro perch ha l'arte onomastica... deve guardare al "nome
in s"... per Platone c' l' dell'... deve guardare al nome in
s per fare i nomi, e non basta: deve servirsi delle sillabe e dei suoni.
Se si servisse di un'altra materia, la sua opera non uscirebbe; non
importa che scelga alcune sillabe piuttosto che altre: qui si ammette
che c' una diversit delle lingue, che le lingue sono diverse, che i
legislatori hanno operato diversamente presso i greci e presso gli altri
popoli, che quindi hanno scelto le sillabe in modo diverso, per tutti
guardando sempre all'idea del nome, questo importante, per cui si
ammette la possibilit di una diversit delle lingue. FORMA IDEALE.
Qui Platone sembra molto molto democratico rispetto
all'etnocentrismo dei greci: dice che infondo va bene un legislatore
che sia qui in Grecia o che sia presso altre genti... nella parte
etimologica ci sono esemp di altre lingue, l'importante... perch c' la
possibilit che la materia differisca, c' la possibilit che il legislatore
si serva di una materia, e che un altro legislatore si serva invece di
un'altra; l'importante che guardano appunto all', all'idea del
nome, perch se non fanno questo non possono creare un nome. Qui
c' l'apertura nella considerazione della diversit, della differenza delle
lingue, il che per tutto sommato una constatazione empirica, non
frutto di una riflessione filosofica: il fatto che le lingue siano differenti
nei suoni semplicemente una constatazione empirica, tutti possono
constatare empiricamente questo, qui non c' nessuno sforzo
filosofico; perch un'esperienza che tutti facciamo. Se qualcuno
parla una lingua diversa, evidente che sta usando suoni diversi. Qui
per quello che importante che si ammette questa differenza solo,
per ora, in quel che riguarda le sillabe e i suoni; le lingue sono
differenti, l'una dall'altra; ma sono differenti nella misura in cui
differente la materia, rispetto alla forma, cio all'idea del nome in s
che vale per tutti ed uguale per tutti. Per tutti vale l' del nome,
la materia differisce, la materia differente; almeno qui si ammette la
differenza, la diversit delle lingue; ma la si ammette soltanto sul
piano delle sillabe e dei suoni. L'idea del nome, l' del nome, che
il nome sia un organo diacritico e didascalico.

30

X. Il falegname l'artefice della spola, quello che fa la spola; per
chi che usa la spola colui che tesse, il tessitore; chi che pu
giudicare se una spola stata fatta bene o no... non il falegname; ma il
tessitore, perch il tessitore che usa la spola. Attenzione, chi che sa
giudicare l'opera del , l'opera del legislatore, chi sa
interrogare [l'opera del ]? "dunque, O Ermogene, non pare
sia cosa da poco, come credi tu, questo dar nomi, n di uomini da
poco, n di chicchessia", questa frase importantissima perch
Socrate ha ormai smontato completamente la tesi di Ermogene, che
un facilone superficiale, e che aveva detto che i nomi sono etichette,
ognuno le cambia come gli pare e piace, etc. Socrate gli dice che ha
sbagliato, perch questo dar nomi, questo , non da uomini
da poco, non una cosa da poco, anzi davvero qualcosa di molto
importante, al punto che il dialettico, colui che sa interrogare e sa
rispondere, dunque il filosofo per eccellenza... sta al dialettico
giudicare questa opera del . Socrate prende posizione a
favore di Cratilo. "... e che non ognuno artefice di nomi, bens quello
solo che, riguardando al nome che da natura ha ciascuna cosa, sia
capace di esprimere l'idea di questo nelle lettere e nelle sillabe" su
questa frase ritorneremo! Ermogene ormai in difficolt, qui si
potrebbe anche chiudere il dialogo per quanto riguarda Ermogene. Per
quanto riguarda Ermogene, il Socrate platonico ha smontato la
posizione molto superficiale di Ermogene, mostrando che il nome ha
un valore gnoseologico, ontologico, che ha a che fare con l'essenza
delle cose, e che addirittura l'arte dell' un'arte molto
complicata. Infatti Ermogene non sa cosa rispondere. L'unica cosa che
sa dire Ermogene: ho bisogno di tempo, devo convincermene, per nel
frattempo mostrami tu che cosa intendi con questa naturale giustezza,
dei nomi. Socrate colui che sa di non sapere... colui che sa
di non sapere, quanto dice anche l'oracolo di Delphi, e dunque qui
c' Socrate che un po' ironicamente risponde ad Ermogene: lui
interroga, non sa rispondere; Socrate in realt in questo momento non
vuole prendere posizione, vuole prima smontare le due tesi, la tesi di
Ermogene e la tesi di Cratilo. Ha smontato la tesi di Ermogene, e deve
passare a smontare prima la tesi di Cratilo, per superare entrambe le
tesi, perch entrambe le tesi sono mal poste; la tesi di Ermogene per
ora una tesi insostenibile.

Se non altro, Socrate qui non ha altre ambizioni che quella che
Ermogene conceda anzitutto di essere in difficolt, e conceda che la
sua tesi era una tesi riduttiva, superficiale, quindi le cose sono pi
complesse; un po' la mossa del filosofo, perch la filosofia complica
le cose, rispetto a chi riduce, a chi le semplifica; la filosofia complica
le cose, in fondo lo scopo della filosofia quello di complicare le
cose: Socrate riuscito a complicare le cose, le cose sono ben pi
complicate. Non ha dato per ancora una risposta sulla , ha
detto tuttavia, e questa frase non ci deve sfuggire "Cratilo dice il
vero..." [cerca citazione] Socrate da in parte ragione a Cratilo. Questo
in un certo senso vuol dire quasi che ci sono nomi pi riusciti, e nomi
meno riusciti; sembrerebbe di s, a seconda di come riesce l'opera del
. Qui c' gi uno scarto rispetto alla tesi di Cratilo, perch in
fondo viene introdotta questa figura del , e il se
il nome per natura, non ci sarebbe neppure bisogno del legislatore,
quindi il fatto che venga introdotto un legislatore, un , vuol
dire che le cose non stanno proprio come dice Cratilo, ed in effetti
una spia del fatto che in questo momento strategicamente Socrate sta
31

dando ragione a Cratilo; ma tuttavia, nella sua ironia, prende anche le
distanze. Aver introdotto la figura del , del legislatore, gi
aver preso una distanza dalla posizione di Cratilo; forse il caso di
riassumere quello che abbiamo detto, per cercare di aver presente,
quasi con uno schema, che cosa , come si presenta il nome, arrivati a
questo punto del dialogo. A questo punto del dialogo noi abbiamo una
sorta di stratificazione anzitutto una "materia", una materia che sono le
sillabe, i suoni, le lettere -- non distingue -- la materia fonico-
grafica; poi abbiamo una "forma" di questa materia, materia che pare
formata perch il l'ha formata, e anzi il forma
questa materia in modo diverso, a seconda che sia in Grecia, o che sia
altrove presso altri popoli [io userei il termine "informa",
"informare"]: c' una "forma" fonico-grafica; ancora comparso, in
questa stratificazione del nome, c' l'"idea" del nome, l' del nome,
a cui deve guardare il legislatore, il ; cosa manca? c' un
elemento qui che manca, c' un grado, uno strato che manca: cosa
manca? il "contenuto" dell': vale a dire -- questo il punto
chiave del dialogo e del corso -- potremmo dire, riprendendo
l'esempio del "tavolo"... se il legislatore ha creato la parola "tavolo"
allora abbiamo la materia fonico-grafica, abbiamo la forma fonico-
grafica, ha creato il nome guardando all' del nome; ma manca il
contenuto, manca l' del tavolo: l'idea del tavolo, l' del
tavolo, e ciascuno per ciascuna parola ed esempio, etc. Il contenuto
del nome non va confuso con l' del nome, l' del nome
l'idea del nome, a cui guarda il quando crea il "nome": vale
quello che vale per ogni strumento, come la spola, il trapano, etc. Il
contenuto del nome l' della cosa nominata, quindi nella parola
tavolo l' di tavolo, nella parola sedia l' della sedia. Noi
possiamo dire che l' dell'ente nominato. E a ben guardare
proprio questo punto qui il punto pi problematico della
stratificazione del nome, il punto pi problematico del nome. E' il
punto pi problematico perch non c' dubbio che tutti i nomi devono
rispondere all' del nome, perch non c' dubbio che tutti i nomi
devono essere fatti di una materia fonico-grafica che poi sar ???
diversamente; ma la grande questione filosofica la questione del
contenuto del nome, questa la grande questione filosofica. Il contenuto
del nome il grande dilemma. Ora, questo dilemma, per Ermogene
neppure si pone, perch per Ermogene il nome un'etichetta vuota,
cio non c' contenuto, il nome vuoto, un'etichetta piatta, ridotto.
Socrate apparentemente si avvicina a Cratilo, semplicemente per
indicare che c' una complessit del nome, che il nome complesso,
che la riflessione sul nome una riflessione problematica, e che c' un
contenuto del nome, questa la grande questione, c' un contenuto del
nome; quindi qui indubbiamente Ermogene ha torto. Cratilo ha
ragione. Ermogene ha torto, perch per Ermogene il nome non ha
contenuto, per Cratilo s, dunque ha ragione Cratilo. Il problema
ulteriore che per Cratilo, dato che il nome , per natura, dato
che il nome giusto, c' un' dei nomi, c' una giustezza dei
nomi, il nome contiene l' dell'ente, infatti il nome per Cratilo
contiene la vera dell'ente, la vera essenza dell'ente, dunque per
Cratilo il nome tavolo contiene l' del tavolo, al punto che si
prospetta l'ipotesi che per conoscere gli enti non sia necessario
conoscere effettivamente gli enti; ma basta indirizzarsi ai nomi, basta
etimologizzare. Perci, per Cratilo, il nome ha un contenuto, questa
la grande differenza: la grande differenza tra Ermogene e Cratilo,
che per Ermogene il nome non ha contenuto, per Cratilo s; ma per
32

Cratilo, che a sua volta un fondamentalista, radicale nella sua
posizione, per Cratilo non c' dubbio che il nome non solo risponda
all' del nome; ma in pi contenga l' dell'ente nominato,
quindi il nome tavolo contiene l' del tavolo, il nome sedia l'
della sedia, etc. C' una rispondenza del nome al contenuto
EIDETICO, il contenuto conoscitivo del nome tale da rispondere al
contenuto EIDETICO: questa la posizione di Cratilo. E' cos per
Socrate? probabilmente no! e infatti ha introdotto il legislatore, il
... per indicare che i nomi non sono vuoti, come dice
Ermogene, hanno un contenuto [come dice Cratilo]; ma questo
contenuto, e qui ha torto Cratilo, non corrisponde all' degli enti
nominati. Quindi vuol dire che il nome ha un contenuto; ma questo
contenuto non uguale all', all'idea degli enti nominati. Dunque
si prospetta per Socrate uno scarto tra il contenuto dei nomi e l'idea
degli enti nominati. Questo il grande problema del Cratilo, ma non
solo, il grande problema della filosofia, perch la filosofia ha a che
fare con i "nomi", i filosofi, i dialettici usano i nomi, sono quelli che
interrogano e rispondono, usano i nomi, dunque il grande problema
filosofico la discrepanza, la non-corrispondenza tra il contenuto
del nome e l' dell'ente nominato. Se fosse vero quello che Cratilo
dice, i problemi non ci sarebbero; in un certo senso entrambe le
posizioni, sia quella di Ermogene che quella di Cratilo, sono due
posizioni tutto sommato talmente riduttive che sono quasi a-
filosofiche, perch da una parte non c' nessuna problematicit,
quello che Socrate dice ad Ermogene: se i nomi sono etichette vuote,
come pensano anche oggi molto, allora non c' problema... io cambio
le etichette e ho risolto, anche in filosofia; se vero quello che dice
Cratilo, anche tutto sommato non c' problema, perch c' una
corrispondenza tra il contenuto del nome e l' dell'ente, quindi
benissimo, il nome contiene la vera essenza delle cose. Socrate ci sta
portando verso una terza via, un'altra via, che non la via di
Ermogene, che non la via di Cratilo, e sta dicendo che Ermogene ha
torto, perch la questione molto pi complicata, perch addirittura
c' una "profondit" del nome, c' una "stratificazione" del nome che
degna di essere considerata filosoficamente, e in questa profondit del
nome, in questa stratificazione del nome, si nasconde un grado, uno
strato che il pi complesso: quello del "contenuto" del nome. La
grande questione : qual il contenuto del nome, che cos' il
contenuto del nome per Socrate? Ed anche evidente, sulla base di
questa stratificazione, che quando si denomina, non si indica soltanto,
non si designa soltanto un oggetto; ma si fa anche altro: in realt si
"categorizza" la realt, perch in un certo senso nominare un po'
come predicare, perch nominare significa categorizzare la realt,
inserire l'oggetto nominato all'interno di un genere o di una specie...
quando io dico "questo un tavolo" non designo soltanto questo
oggetto, non mi limito a fare questo; ma inserisco questo oggetto
all'interno di un genere, il genere dei tavoli. C' una valenza
conoscitiva... il nome [infatti] diacritico, sceverativo, perch
nominando noi appunto distinguiamo... quando noi nominiamo, che
la attivit pi dimentica di s che noi facciamo ogni giorno, perch
ogni giorno noi parlando nominiamo, quando noi nominiamo in realt
categorizziamo la realt, cio non facciamo altro che inserire anche se
inconsapevolmente, con l'inconsapevolezza dei parlanti, inseriamo i
vari oggetti all'interno di generi e specie. Il nome non designa
soltanto, fa anche qualche altra cosa che ha un valore indubbiamente
conoscitivo, un valore gnoseologico, e la grande questione, che la
33

questione di Platone, che Platone pone qui, la questione del
contenuto del nome. Il contenuto del nome risponde all' dell'ente
nominato, oppure no? sembra ormai evidente che per Socrate la
risposta no! per Cratilo s! per Socrate no! e se la risposta
negativa, evidente che le cose si complicano, che la questione
complicata, e questa indubbiamente tutt'ora, dunque il problema
rimane, tutt'ora il grande problema della filosofia; non per caso qui
Platone diche che abbiamo questa coppia, il e il
DIALETTICO, il dialettico sorveglia il , perch il dialettico
quello che dovrebbe conoscere l' dell'ente. Sulla base dell'
dell'ente nominato, pu giudicare se il nome stato messo bene
oppure no; il dialettico in altri termini giudica la corrispondenza o no
del contenuto del nome all' dell'ente; se il contenuto del nome si
avvicina all' dell'ente nominato, allora il nome stato messo
bene, stato messo meglio; se si allontana, il nome non stato messo
bene. Questo punto il punto della corrispondenza, potremmo dire, tra
la struttura linguistica e la struttura ontologica, che per i greci
importantissimo, perch per i greci... Calogero sulla Logica Arcaica...
per i greci ci che esiste vero, ci che vero sempre nominabile, ci
deve essere una corrispondenza tra la struttura linguistica e la struttura
ontologica. Il grande problema per la filosofia greca proprio la
corrispondenza tra struttura linguistica e struttura ontologica. Una
parola che qui Platone introduce la parola , c' una
del nome... che cosa vuol dire: forza... c' una forza del nome, c' una
capacit del nome; la forza del nome, la capacit del nome appunto
la capacit di nominare, e la capacit del nome si misura proprio nella
sua capacit di rendere l' dell'ente nominato. Platone arriva a
parlare di del nome. Quando Platone parla di del
nome, noi potremmo gi anticipare quello che pi tardi dir Aristotele:
Aristotele introdurr un verbo, un verbo che in realt viene da una
parola che gi circolava in Grecia, e che per ci render le cose pi
semplici, perch in fondo la filosofia ha molto a che vedere un po' con
l'arte onomastica, con l'arte poetica, perch trovare una parola anche
un po' risolvere alcune questioni filosofiche: Aristotele dice, distingue
quello che noi potremmo dire la funzione designativa del nome, il
nome designa, e su questo non c' dubbio; ma dice Aristotele, il nome
fa qualcosa di altro, contemporaneamente, : un
verbo che viene da un campo gi bene attestato nell'antica greca,
una parola gi menzionata, vuol dire anche SEGNO, SEGNALE
[LAPIDE? cfr. Fedone], vuol dire "significare"; dunque il
nome non solo "designa"; ma "significa". Questa la grande scoperta
di Aristotele: Aristotele trova questo verbo, ... il nome non
designa soltanto; ma significa. Platone non arriva ancora a dire
; ma dice che il nome ha una , e che questa
la capacit del nome di rendere l' dell'ente; ma questo vuol dire
che il contenuto del nome, potremmo quasi azzardare, il "significato"
del nome, non corrisponde all' dell'ente. E che la discrepanza tra
il significato del nome e l' dell'ente il grande problema
appunto... perch se ci fosse la corrispondenza tutti i problemi
sarebbero risolti. Qui abbiamo, in questo punto, il punto del contenuto
del nome, della del nome, il problema che si porr, a partire
da Aristotele fino a oggi, che il problema del "significato", il
significato del nome, come "contenuto"; ma anche come "capacit" di
"significare", che anche per Aristotele, come per Platone, implica
sempre uno sceverare e un articolare, dunque inserire i var oggetti
all'interno dei generi e delle specie. In questo punto abbiamo almeno
34

quattro strati, quattro gradi, e quello che interessante che quello pi
complesso -- non che gli altri non lo siano -- ma quello pi complesso
quello del "contenuto", perch qui si gioca appunto la questione
della corrispondenza non solo tra la struttura linguistica e la struttura
ontologica; ma la corrispondenza tra il contenuto del nome e l'
appunto dell'ente nominato. Che cosa potrebbe essere il contenuto del
nome se non l'idea dell'ente nominato? Che cos' il contenuto del
nome? una "rappresentazione" dell'ente, non un'"immagine", una
rappresentazione dell'ente... questa rappresentazione dell'ente non
risponde, non corrisponde, (co)rrisponde all' dell'ente. Si pu dire
che le lingue siano diverse gi da qui? Per ora Platone ci ha detto che
sono diverse a partire da qui, Platone ci ha detto che sono diverse a
partire dalla forma fonico-grafica; ma sorge il dubbio che le lingue
non siano diverse gi da qui [gi dal problema del "contenuto" credo],
cio che i "contenuti" dei nomi siano diversi, quindi che le lingue non
siano diverse soltanto sul piano appunto dei suoni, delle sillabe, etc.
ma che siano diverse perch i contenuti dei nomi sono diversi, e se
cos, la questione si drammatizza parecchio, perch vuol dire che le
lingue non sono diverse nel senso che possiamo sostituire suoni,
lettere e sillabe, e poi il contenuto resta uguale per tutti; ma che i
contenuti sono diversi... questo un problema, dunque il contenuto del
nome certamente ha a che vedere col , certamente ha a che
vedere con il legislatore, il legislatore stato sicuramente introdotto
come figura diciamo mitica, per complicare la posizione di Cratilo. Se
avesse ragione Cratilo, non ci sarebbe bisogno del , a
ragione. La figura mitica del , del legislatore, stata
introdotta proprio per questo, perch evidentemente il ha a
che vedere con il contenuto del nome, vale a dire che il ,
nella sua arte onomastica, guarda all' del nome, come il nome
dovrebbe essere, usa la materia fonico-grafica imprimendo una forma;
ma fa qualcosa di ulteriore, in pi, e cio "interpreta" gli enti, ci
restituisce, restituisce nei nomi il suo modo di vedere gli enti [quindi
una "rappresentazione" degli enti], il suo modo anche di pensare
effettivamente gli enti, la sua "interpretazione" degli enti. Dunque
questo vuol dire che il contenuto del nome ... restituisce la saggezza
del , il modo in cui il ha interpretato gli enti. Il
contenuto del nome corrisponde in parte all' dell'ente nominato;
ma non del tutto. Ci avviamo verso una giustezza, una del
nome, che non la giustezza di Cratilo, non la giustezza per natura;
ma che una giustezza che "storica", la giustezza dei Nomoteti,
dei legislatori, dove potremmo dire che il contenuto dei nomi il
precipitato della conoscenza dei legislatori. I legislatori hanno
conosciuto e interpretato il mondo, e conoscendolo e interpretandolo,
hanno lasciato che questa conoscenza si sedimentasse nei significati
dei nomi, dunque i significati dei nomi della lingua greca contengono
la conoscenza dei legislatori, la conoscenza dei legislatori non la
conoscenza eidetica, non la conoscenza che si acquista quando ci si
affaccia sull'iperuranio; ma una conoscenza terrena, dove c' una
discrepanza tra la conoscenza dei legislatori, che una conoscenza
che va rispettata, perch Socrate rispetta i legislatori e rispetta la loro
conoscenza; ma non risponde all' degli enti nominati [sarebbe
carino vedere cosa pensa Vico]. Per un bravo dialettico qui si pone un
grandissimo problema, perch se io mi affido ai nomi, vado appresso
alla , all'opinione dei Nomoteti, e non arriver invece all'
degli enti, all'idea degli enti. Per il dialettico, per il filosofo si pone qui
un grande problema, perch se io mi affido ai nomi, mi affido in
35

questo modo alla conoscenza dei Nomoteti, che una conoscenza
limitata; quindi vedremo meglio col Sofista. Per Platone si pone qui
questo grande problema, il problema del rapporto tra linguaggio e
filosofia, che poi si porr Wittgenstein, cio io, in quanto filosofo,
devo essere consapevole che se io mi affido ai significati della lingua
in cui sto articolando il mio pensiero, mi affido anche alla semantica
di quella lingua, dunque alla conoscenza che cristallizzata in quella
lingua: questo un grande problema che Platone ha visto in modo
chiarissimo. [Il linguaggio pi che un ostacolo ha questa semantica
che diventa problematica per il filosofo, se vuole usare il linguaggio,
altrimenti il problema di come e se si pu fare a meno del linguaggio:
la logica di Aristotele? vedremo!]

APPUNTI DI GUGLIELMO

Introduciamo qui la sezione etimologica del dialogo Cratilo. Finora
Socrate sembrava aver fornito una critica unilaterale nei confronti di
Ermogene assecondando le posizioni del secondo interlocutore.
Tenteremo di osservare al contrario un ripensamento di questo
squilibrio espositivo. Ci avverr proprio attraverso la comprensione
della questione etimologica.
Il punto decisivo nella stratificazione del nome rappresentato dal
contenuto. Ci concesso riferirci a questultimo nei termini di
significato; non raro infatti imbattersi nei termini VKPD e
VKPDLQHLQ, nel periodo di attivit platonica in Grecia. Tuttavia il
significato di una parola non pu definitivamente essere ricondotto al
senso che le spetta, allHLGR9 di cui dovrebbe effettivamente offrire
riferimento. Proprio di questa non-validit sar necessario discutere
nella nostra esposizione. Le conclusioni che stiamo anticipando sono
inevitabilmente annodate ad una questione annosa inerente alla critica
del dialogo Cratilo. Molti commentatori sono stati portati a mettere in
dubbio la solidit del testo intero, chiedendosi su quale ragione
Platone abbia ritenuto opportuno affrontare il metodo danalisi
etimologica. La nostra posizione quella che assume la parte
etimologica come sezione ironica dellesposizione socratica; la sua
identit deve essere cercata nel ruolo che assume allinterno del testo
pi che nella sua forma. Sarebbe certamente corretto ricordare che la
struttura ironica, qui, non verr mai rivelata esplicitamente come tale,
tanto da insinuare un dubbio che vede Socrate e la tesi etimologica su
una stessa linea. Tuttavia le responsabilit dellesposizione condotta
verranno rimandate al sapere di Eutifrone di Prospalta ( 396d - 396e ),
protagonista dellomonimo dialogo nel quale Platone assume
posizioni estremamente critiche nei confronti della sua saggezza.
Eutifrone portavoce delle dottrine divine ed antiche, nelle cui vie si
iscrive un fondamento magico tra parola e cosa; la fonte
36

dellispirazione socratica riguardo alle etimologie quindi di altri, e
non asseconda in modo completo il suo stesso pensiero.
Linsostenibilit della tesi etimologica trova definitivamente atto nel
passo 421c, in cui il discorso ha la necessit di passare ad un livello di
approfondimento pi alto per essere continuato, sancendo cos la fine
delle analisi terminologiche.
In questo spazio del dialogo le etimologie sono moltissime, spesso
di origine corretta e frequentemente di duplice natura. Tuttavia ci che
a noi interessa quel che qui segue: (1) di cosa parlano le etimolgie;
(2) esiste un metodo etimologico? E se si, che cos? Prima di
addentrarci nella lettura per affrontare i nostri interrogativi, leggiamo
un passo dal volume Storia della Filosofia del Linguaggio di Eugenio
Coseriu, al fine di visualizzare la vastit e la complessit della sezione
che ci accingiamo a criticare: vengono esaminate centododici parole,
da cui centoquaranta etimologie, delle quali centoventi sono
abbastanza giuste. La parola VYPD ( 400b - 400c ) viene derivata da
VKPD, cio segno di una tomba: cos il corpo tomba; ma VKPD
anche segno, allora sarebbe segno dellanima. Cos vengono
ontologizzati secondo questo processo i nomi ( approssimativamente
il testo scrive questo da pagina 81 ). interessante che esista in
questa analisi un ordine reale, nonostante Socrate ne parli nei termini
di sciame: dei, eroi, astri, concetti astratti. Ma a cosa condurrebbe
questa stratificazione? Apparentemente rassomiglia ad una
cosmogonia prodotta da filosofi, pertanto una GR[D dei filosofi. Per
comprendere la sua identit parleremo ora dellanalisi etimologica
della parola RL -HRL. ( 397c - 397d ) Il nome dei divini ricondotto al
verbo -HY - correre; gli antichi infatti avrebbero scelto questo nome
contemplando gli astri nel continuo movimento. Aggiungiamo a
questo punto il termine MURQHVL9 tradotto con ragionevolezza
( 411d ), che quindi riguarda chi ha a che fare con la prudenza;
deriverebbe da MRUD9 NDL URX QHVL9 - pensiero del movimento e del
flusso. Abbiamo infine WD DOH-KHLD - la verit ( 421b ) che
giungerebbe da -HLD DOK, cio la divina agitazione. Ma a cosa
conducono queste etimologie? Dietro di esse sembrerebbe agire il
senso della filosofia eraclitea. Lintento di Socrate/Platone quindi
quello di affrontare la questione di Eraclito nella formula del
SDQWD UHL; a questo proposito necessario tenere a mente che Cratilo,
maestro dello stesso Platone, fu filosofo eracliteo. Ci che riemerge
dal discorso che i nomi affrontati siano vocaboli dati da QRPR-HWDL
influenzati dalla dottrina arcaica del movimento. Poich sotto GR[D,
ad essi non fu possibile stabilire nomi dal contenuto eidetico,
corrispondente alle idee in s. Questa inevitabile problematica
37

riemerge sotto forma ironica nel passo 402a in cui Socrate esclama
agli interlocutori - mi par di intravedere Eraclito, che dice antiche
sagge cose, addirittura dei tempi di Kronos e di Rea, cose che diceva
anche Omero. Lintento ormai chiaro, e consiste nellattraversare la
cultura greca arcaica - quella rappresentata da Cratilo, il cui pensiero
non pu trovarsi in concordanza allessere delle idee, ma sta in modo
fortemente dipendente da una pi vecchia ontologia. La critica si
rivolge quindi ai legislatori che sono rappresentati qui dagli
RL SDODLRL - gli antichi, di cui viene messa in dubbio la capacit di
vedere rettamente le cose. La posizione di Socrate si rende allora
critica nei confronti di entrambe le tesi ( Ermogene e Cratilo ). La
nostra difficolt nella conoscenza delle cose deriverebbe dal fatto che
un nome non mai n sbagliato n giusto. La questione della
RU-RWK9 comincia allora a vacillare, lasciando spazio ad una
speculazione che non pensa pi nei termini della singolare correttezza,
ma dello sguardo e della prospettiva. Nome ed ente possono stare in
un rapporto di molteplici sfumature, rendendosi spesso motivo di
inciampo ed ostacolo. In questo senso, la sezione etimologica rivela
una vera e propria critica filosofica nei confronti della filosofia del
linguaggio.
Cerchiamo ora di affrontare le etimologie. La prima ad accorrere
quella di Zeus ( 396a ). Si dice che a lui il nome stato dato mediante
un vero discorso - ORJR9, e come tale deve essere affrontato e se ne
deve discutere la correttezza. Alcuni lo chiamerebbero =KQD, altri
'LD; come osserva la nota 60, questa differenze risiederebbero su due
diverse declinazioni del nome Zeus, luna basata sul genitivo GLR9,
laltra sullaccusativo ]KQD. Queste due parti devono quindi essere
riunite in un unico discorso perch comunichino il proprio senso:
GLD RQ ]KQ - per mezzo del quale vivere. Questa frase viene composta
in modo arbitrario, e tuttavia restituisce un risultato. Zeus sarebbe
colui per il quale vivere, e grazia al quale tutti gli esseri possono
vivere. Con questa etimologia abbiamo osservato che un metodo
etimologico esiste: esistendo parti scomponibili delle parole, le si
separa e riconnette, arbitrariamente, al fine di produrre un ORJR9 che
parli e spieghi la verit. Abbiamo ora da affrontare letimologia del
nome eroe - KUY9 ( 398c ). Questa etimologia descritta in modo
molto semplice e spiega che togliendo lo spirito aspro rimane la parola
amore - HUY9. Gli eroi infatti sarebbero nati, letterariamente e non, per
amore di un dio verso una mortale o viceversa. Passiamo ora alla
parola DQ-UYSR9 - uomo ( 399c ). Anche per questo caso, avvenuto
che un ORJR9 sia divenuto RQRPD. Luomo sarebbe colui che, a
differenza degli altri animali, riflette e osserva attentamente
38

( DQD-UHL ) le cose che incontra e ha veduto ( RSYSH ); DQD-UHL D
oSKSH darebbe vita ad DQ-UYSR9 perch luomo lunico che riflette
fermamente su ci che ha visto. Lo RQRPD come gi stato detto
torna ad essere assunto come contrazione del ORJR9. Questo nesso non
pu venir storicamente meno, ma viene occultato e resta al filosofo
che etimologizza ricondursi alla forma originaria ed articolata. Lo
stesso Hegel sosterr che il nome sintesi di una frase e di un discorso
e nuovamente con Platone, Leibniz, Vico e Nietzsche che la dialettica
fluidifica e dialettizza quel nome che si irrigidito e non trasmette pi
il proprio senso. Il dettaglio qui preso in considerazione torner
fondamentale nel dialogo Sofista, in cui si affrontato il problema
centrale della verit del ORJR9.
Passiamo qui alletimologia di VYPD ( 400c ). Viene detto
chiaramente che esso rimanda al VKPD che contemporaneamente
tomba e segno dellanima - \XFK. Lanimo infatti VKPDLQHLQ -
significa, o meglio ci che significa e segna, cio offre un segno -
VKPD. Da qui deriva la forma VYPD. La sua origine riposa sulla
dottrina orfica condotta nei misteri eleusini che professa la duplicit di
corpo ed anima e conseguentemente la metempsicosi. Quel che a noi
interessa sta proprio in questo; in relazione a Platone infatti la scelta di
questa etimologia non pu essere considerata in alcun modo casuale.
La teoria che cerca di prendere piede tenta di guardare al passato e
allazione dei legislatori, ai quali vengono attribuiti caratteri orfici e
successivamente eraclitei ( 402a ). Eraclito il portavoce della
dottrina antica che chiama a parlare Omero stesso; questa afferma che
tutto movimento e non si pu scendere due volte per lo stesso fiume
- frammento D.K. 91A . A questo principio, e non altro, vengono
affidati i nomi della lingua greca.
Uno dei grandi limiti della questione etimologica qui proposta,
come gi osservato, risiede nellassoluta pluralit metodologica su cui
si fonda: sottraendo, aggiungendo, dividendo e riunendo, si cerca di
far riemergere il nucleo del nome e la sua esattezza. Letimologia cos
descostruisce e scompone, affinch un termine sia ricondotto ad altri
nomi che possano parlare per lui; il parlare si propone come ORJR9.
2QRPD e ORJR9 si chiamano lun laltro e costituiscono i pilastri del
sistema linguistico per Platone. Considerando che la logica antica non
era giunta ancora a maturare questioni di genere grammaticale,
possiamo considerare questo un fondamentale passo in avanti. Ci che
Platone qui arriva a formulare la necessit di dover confrontare i
SUYWRQRPDWD ( componenti delletimologia ) con le cose nella loro
realt. Tutto questo viene raggiunto grazie ad una pratica articolata
intorno alla questione del VKPDLQHLQ. Luso del verbo, ancor prima
39

della riflessione del filosofo, gi fortemente connaturato al mondo
arcaico; questo accade perch in filosofia luso delle parole non mai
destinato al caso, cos come gi i presocratici ed i sofisti hanno
esposto con chiarezza. La questione del significare cos pienamente
attiva, disposta a venire alla luce. Tuttavia soltanto in Platone che
avviene contemporaneamente lattestazione del verbo e di una
riflessione formulata. Aristotele nellOrganon e nella Metafisica
propone frequentemente luso di VKPDLQHLQ; riguardo al nome
sostiene non debba necessariamente avere per s un unico significato,
e tuttavia non possa neanche averne infiniti, altrimenti non
significherebbe nulla. Ogni RQRPD deve HQ VKPDLQHLQ, avere un
significato unitario - non unico. La riflessione aristotelica quindi si
sofferma sul problema del significato e del suo senso; a questo
proposito, un QRPR9 pu avere valore esclusivamente quando entra
nel ORJR9, poich l che accade la SWYVL9 - caduta, o in altri termini
la declinazione. Un significato che unitario, solo in quel luogo
mostra la propria elasticit e flessibilit. Nonostante queste
osservazioni, precisiamo che lintroduzione del termine significato
dovr attendere lesperienza stoica soltanto nella quale sar formulata
lespressione VKPDLQRPHQRQ.
Ci confrontiamo ora con lultima etimologia: RQRPD ( 421a ). Il
nome ci di cui si fa ricerca - RQ RX PDVPD HVWLQ ( PDVPD - ricerca
da voc. eolico PDLRPDL - fare ricerca; la professoressa indica
PD-KVWDL ). Il nome lelemento attraverso cui viene cercato lente.
Torna quindi nuovamente a presenziare lidea per cui lRQRPD sarebbe
contrazione del ORJR9 di verit della qual cosa. Questo forse
lobbiettivo pi diretto di Socrate, il quale vuole avvicinarsi alla
questione che guarda alla verit del discorso; il dialettico ha infatti la
necessit di mantenere il nesso che accomuna queste due met
linguistiche, senza le quali n luna n laltra avrebbero la possibilit
di funzionare e alluomo non sarebbe data alcuna facolt di pensiero.
Il valore del GLDOHJHV-DL esiste proprio a partire da questo principio,
che impone una ricerca discorsiva del vero. Partendo da questi
presupposti Platone si accinge a rispondere, nel dialogo Sofista, al
problema del ORJR9 e forse risolvere cos lenigma della predicazione
e della sua verit. Per farlo tuttavia ancora necessario concludere il
nucleo concettuale intorno allRQRPD

REGISTRAZIONE (continua)

Riprendiamo da quell'etimologia importante dell': l' rinvia
all, rinvia all'ente, e soprattutto l'etimologia di sembra
legittimare lo stesso metodo etimologico, perch nell', per
40

Platone, contenuto , cio ente, dunque l'etimologia di da
ragione a Cratilo, da torto a Ermogene, nella misura in cui nel nome
contenuto l'ente. Qui, nell'etimologia di , c' gi una risposta
alla domanda gnoseologica: in che misura i nomi sono un ostacolo per
giungere agli enti? Qui evidente che l'indicazione precisa che
Socrate da che per arrivare all'ente, allo , bisogna comunque
passare per l', perch l' contiene l, perch l'ente
contenuto nel nome. Questo un punto importante, sul quale ci siamo
soffermati, e ci siamo soffermati anche su un tema, il tema del
rapporto tra e , che uno dei temi centrali della filosofia
greca, e uno dei temi centrali della filosofia [cfr. Sofista]: qual il
rapporto tra l' e il ... evidente che il tema per Platone ha
un rilievo che non grammaticale, anche grammaticale; ma
soprattutto un rilievo, un'importanza filosofica. Qual il rapporto tra
e ? Questo tema ci accompagner nella lettura del Sofista,
ed il tema su cui si concentra anche Aristotele, non avrebbe potuto
fare altrimenti, perch nelle sue indagini sulla logica, comprese
nell'Organon -- comprende gli scritti di logica -- non avrebbe potuto
fare a meno di occuparsi del rapporto tra e . Questo
rapporto tra e un rapporto che per Platone riveste una
importanza decisiva soprattutto nella dialettica; quello che interessa a
Platone giustamente la dialettica, e dunque nella dialettica non pu
aggirare il tema del rapporto tra e . In questa etimologia
di c' gi anche qui una indicazione: la seconda indicazione
che contiene questa etimologia, la prima abbiamo detto che l'
contiene l, il nome ha certamente un valore ontologico che Socrate
riconosce -- bisogner vedere poi qual per Socrate -- e dall'altra parte
la seconda indicazione che tra e non c' separazione, c'
una distinzione -- noi dobbiamo sempre distinguere tra separazione e
distinzione: quando parliamo di separazione la separazione sempre
ontologica, si separa qualcosa nella realt; la distinzione ha invece
sempre un valore logico, io posso distinguere due enti che magari
sono ontologicamente connessi -- non c' una separazione fra e
, c' una distinzione, e la distinzione vuol dire anche che c' un
rapporto tra e , questo rapporto noi lo abbiamo in parte
gi visto, e consiste nel fatto che l' , si rivela in questa parte
etimologica del Cratilo -- abbiamo visto anche diversi esemp -- si
rivela una "sintesi", si rivela la "sintesi" di un , dunque il nome
non va assunto nella sua apparente rigidit; ma va invece analizzato
nelle sue componenti, nelle sue parti, non va assunto nella sua rigidit,
va piuttosto invece ricondotto al che in un certo senso sottost,
soggiace al... che in qualche modo da cui il nome scaturito. Questo
vuol dire che il nome una "sintesi", concetto importantissimo, e
questa "sintesi" del nome scaturisce dalla sintesi del ; il nome
una sintesi ed una sintesi che scaturisce dalla sintesi del . Ma
come possiamo parlare di sintesi, sia a proposito del nome, sia a
proposito del ? Troveremo una risposta nel Sofista, perch
Platone infatti introduce due parole diverse per "sintesi", e cio
e , proprio a indicare che si tratta di due sintesi
diverse. Quello che a noi per ora interessa semplicemente che c' un
legame tra l' e il , e che questo legame un legame... c'
un rapporto, e che su questo rapporto dovremo tornare seguendo le
orme di Platone. Ora, per quanto riguarda invece l'indagine del
Cratilo, dunque la parte etimologica su cui ci siamo fermati l'ultima
volta, questo vuol dire che chi etimologizza, , per i greci
una modalit anche della filosofia, perch l', la verit
41

contenuta nel nome, questo significa appunto far emergere appunto
dal nome il , quindi cercare di capire qual la verit che si
sedimentata, che si cristallizzata nel nome. La questione nel Cratilo
una questione gnoseologica, una questione conoscitiva, ne va della
conoscenza degli enti; la domanda del Cratilo, cio "possiamo
conoscere gli enti come tali, dunque , cio senza
nomi, o invece dobbiamo passare attraverso i nomi?", ebbene qui
comincia evidentemente la risposta di Platone: dobbiamo passare
attraverso i nomi, se c' un nesso tra il nome e l'ente. Questo per vuol
dire che dunque il nome inaggirabile nella conoscenza; ma vuol dire
anche che la questione conoscitiva, la questione gnoseologica una
questione che diventa molto complessa, perch si pone il problema del
rapporto tra il e il dialettico; in un certo senso il Nomoteta
e il Dialettico sono le due figure che per Platone diventano quasi
simbolo di questa relazione conoscitiva cos complessa, per cui da una
parte il Nomoteta... l'opera del Nomoteta pu essere giudicata dal
Dialettico, perch il Dialettico, che per Platone il filosofo, colui
che infatti usa i nomi, e dunque l'opera del Nomoteta, di colui che ha
con la ha messo i nomi, pu essere giudicata dal
dialettico; per il rapporto bi-univoco: dall'altra parte vero anche
che il Dialettico ha bisogno del , [perch] il Dialettico parte
dai nomi, per cui vero che il ha bisogno del dialettico, che
l'opera del pu essere giudicata giustamente dal Dialettico,
perch il Dialettico colui che si avvale dei nomi, e quindi giudica se
i nomi sono stati messi bene o no, dunque giudica la giustezza dei
nomi, la dei nomi, per anche vero che se cos il
Dialettico prende le mosse dall'opera del e che dunque la
dialettica sarebbe impensabile senza i nomi. Questo vuol dire che la
filosofia parte dai nomi, la filosofia muove dal linguaggio, la ricerca
filosofica muove dai nomi. Vedremo nell'incipit famoso del Sofista,
nella prima parte, in cui appunto si va a caccia del , del
Sofista: chi il Sofista? e per capire chi il Sofista, ci si interroga sul
Significato della parola Sofista, che cosa vuol dire Sofista, quali sono
gli usi della parola Sofista, etc. e questo molto interessante perch
questo vuol dire che per Platone la ricerca filosofica non pu non
muovere dai nomi; ma d'altra parte non pu non dispiegarsi attraverso
i nomi, se il nome contiene l'ente. Non solo il nome il punto di
partenza della ricerca dialettica; ma anche il filo conduttore, perch
la ricerca dialettica si dipana, si va dispiegando, proprio seguendo il
filo conduttore del nome. Una domanda a questo punto potrebbe
essere benissimo: per [ma] ci sar un momento in cui il Dialettico si
congeda dal , ci sar un momento in cui la ricerca filosofica
si congeda, si allontana definitivamente dal sapere e dalla conoscenza
contenuta nel linguaggio? questa una grande domanda della
filosofia! nel senso che nella storia della filosofia noi abbiamo risposte
diverse per questa domanda. Per quanto riguarda la domanda, la
questione: se ad un certo punto c' una sorta di salto al di l del
linguaggio, se a un certo punto il dialettico, nella sua ricerca
filosofica, in cui mette alla prova la conoscenza dei nome, ad un certo
punto si allontana definitivamente [dal linguaggio credo]? alcuni
filosofi risponderanno di s, rispondono di s, altri filosofi rispondono
di no! Quello che certo, che tra i filosofi c' una convergenza nel
ritenere che effettivamente, a partire... che la ricerca filosofica muove
per cos dire dalla conoscenza sedimentata, cristallizzata nei nomi, e
che senza questa conoscenza appunto cristallizzata nei nomi, la
filosofia non troverebbe un punto di avvio. Questo sicuramente
42

l'indicazione del Socrate platonico, sicuramente l'indicazione di
Platone; ma infondo per arrivare anche al '900, ovviamente
Wittgenstein e anche Heidegger, e quindi a diversi filosofi del '900.
Dunque qui abbiamo, nella parte etimologica del Cratilo, che
sembrerebbe una parte infondo noioso, secondaria, abbiamo invece
una presa di posizione, una risposta decisa nei confronti di Ermogene,
sicuramente evidente che Ermogene ha torto, Ermogene crede che il
nome sia semplicemente un'etichetta, che sia qualcosa di superficiale,
che non ha profondit, e qui evidente che il nome ha [invece] una
profondit, e anzi ha una struttura, e che questa struttura appare
sempre pi complessa; addirittura una sorta di "abisso", c' una sorta
di "abisso" del nome che va scandagliato, che il filosofo deve
scandagliare. Qui c' una presa di posizione nei confronti di
Ermogene, per c' [gi] anche una presa di posizione nei confronti di
Cratilo, perch proprio in questa parte etimologica, negli ultimi passi
ma non solo, c' la constatazione che se vero che il nome connesso
con l'ente nominato, vero pure che il nome non contiene la vera
, la vera essenza dell'ente. E' vero pure che non ci possiamo
affidare ai nomi nelle nostre ricerche dialettiche, nelle nostre ricerche
filosofiche. Come fa Socrate a constatare questo? in tanti modi, perch
anzitutto tutta la parte etimologica una sorta di grande dossografia,
una sorta di panorama dossografico della , dell'opinione di quel
periodo; ma soprattutto via via che si va avanti etimologizzando i var
nomi, viene fuori che gli antichi, , coloro che appunto
conoscendo gli enti li hanno nominati, erano addirittura ERACLITEI,
erano influenzati forse addirittura dai misteri orfici, erano addirittura
influenzati dai pitagorici, etc. sicuramente da Eraclito: c' quest'ironia
per cui coloro che hanno nominato, che hanno dato i nomi, non hanno
nominato la vera essenza degli enti; ma hanno al contrario... erano
seguaci di Eraclito. I nomi si rivelano il risultato, l'esito, di una
cristallizzazione, di un modo di conoscere che un modo di conoscere
non necessariamente condivisibile, di un modo di interpretare gli enti,
dunque il di Eraclito ha condizionato. Questo vuol dire che
"attenzione ad affidarsi, attenzione a fidarsi dei nomi, perch affidarsi
ai nomi vuol dire rimettersi alla conoscenza contenuta nei nomi, vuol
dire rimettersi anche all'interpretazioni degli enti contenuta nei nomi"
[cerca citazione, che qui si mischia col discorso della di cesare]; qui
viene fuori un tema molto molto interessante, un tema che ritorner
nella riflessione filosofica, il tema... una sorta di scetticismo critico nei
confronti del linguaggio. Socrate non condivide la posizione di
Cratilo, perch Cratilo evidentemente si rimetterebbe del tutto ai
nomi, dato che i nomi contengono la vera essenza. Se i nomi
contengono la vera essenza, io non ho da fare altro che fare delle
etimologie. Se non cos per, se i nomi contengono invece una
conoscenza parziale, se contengono un modo di vedere gli enti, se
sono stati dati sotto una certa angolazione, da una certa prospettiva,
etc. non posso affidarmi ai nomi, se faccio il filosofo, perch affidarmi
vuol dire in un certo senso condividere la conoscenza che appunto
contenuta nei nomi. Questo tema un tema che compare per la prima
volta qui -- nella storia della filosofia compare per la prima volta nel
Cratilo e che per torna continuamente, un tema su cui infondo si
discute ancora oggi, non un tema passato, un tema superato, un
tema su cui si discute ancora oggi, e dove ci possono essere
atteggiamenti diversi, ci pu essere l'atteggiamento di chi ha un
atteggiamento del tutto critico nei confronti del linguaggio, dunque
l'atteggiamento di quella che di solito viene chiamata critica
43

linguistica, critica del linguaggio, o ci pu essere l'atteggiamento per
esempio di chi come Ermogene sottovaluta il problema, dunque pensa
semplicemente che i nomi siano delle etichette vuote, e che dunque
sottovaluta; oppure ci pu essere l'atteggiamento di chi, come molti
filosofi del '900 (Heidegger, Wittgenstein, Merleau-Ponty, etc.) dove
si pone la questione del rapporto tra linguaggio e filosofia: questo il
tema: linguaggio e filosofia. O se volete, tra la lingua e la filosofia,
perch naturalmente noi pensiamo in una lingua, facciamo filosofia in
una lingua, e quindi inevitabile che il significato delle parole abbia
una ripercussione sulla filosofia; possiamo fare tantissimi esemp: un
esempio introdotto da molti filosofi l'esempio del tramonto: noi
diciamo in italiano, ma anche in altre lingue europee, noi diciamo "il
tramonto del sole", parliamo di tramonto, diciamo che il sole
tramonta, etc. se volessimo esercitare una severa critica del
linguaggio, noi dovremmo smettere di dire "il sole sta tramontando",
dovremmo smettere di dire "ah, guarda che bel tramonto!", dovremmo
smettere di dire "a che ora tramonta il sole?", etc. cosa che invece
continuiamo tranquillamente a fare. Perch evidente che nella
lingua, nella semantica della lingua, c' una articolazione del mondo,
questo il punto decisivo: questa articolazione del mondo pesa sul
modo di pensare, non che lo determina, per pesa sul modo di
pensare. Questo un grande problema, che per si pone gi qui. Nella
posizione di Ermogene e in quella di Cratilo il problema non si pone.
Se noi seguissimo Ermogene, per Ermogene il problema non si pone,
perch i nomi sono etichette, sono vuoti, sono semanticamente vuoti,
per Ermogene non si da nemmeno l'idea di una semantica; se
seguissimo invece la via di Cratilo, il problema non si porrebbe
neppure, perch c' una corrispondenza tra la struttura linguistica e la
struttura ontologica, al punto tale che gli enti sono contenuti gi nei
nomi, e quindi anche qui il problema non si pone. Questo rivela che
entrambi pongono la questione degli , dei nomi, in modo
sbagliato; e dunque qui Socrate sta procedendo oltre, da una parte
mostra che non accettabile quello che dice Ermogene, perch
significherebbe che i nomi sono vuoti, e sono etichette, mentre sta
venendo fuori che dietro il nome c' un abisso di profondit, il nome
ha una struttura complessa, e dall'altra parte dimostra che ha torto
anche Cratilo, perch i nomi non contengono la vera essenza degli
enti, contengono una interpretazione, contengono un modo di vedere
gli enti, cio la semantica della lingua, l'articolazione semantica della
lingua greca, ma vale per tutte le lingue, contiene un modo di vedere
gli enti, che il modo di vedere di chi, conoscendo, li ha nominati.
Nominare ha a che fare... ha naturalmente una funzionalit
gnoseologica; ma nei termini in cui... nei limiti, anzi, in cui appunto
ha conosciuto chi ha nominato. Entrambe le posizioni sono sbagliate,
e tra l'altro viene fuori anche negli ultimi passaggi della parte
etimologica, diverse constatazione, un po' al margine, che possiamo
riassumere cos (due constatazioni in particolare): una prima che c'
una mutabilit, cio che i nomi mutano, i nomi si alterano, i nomi si
deteriorano, c' continuamente la constatazione che il tempo,
addirittura il tempo, li ha deteriorati, questa una prima
importantissima constatazione, osservazione: l'osservazione, tra
l'altro per la prima volta in realt abbiamo questa osservazione, i nomi
mutano, i nomi cambiano nel tempo, mutano, si alterano, si alterano
perdendo per esempio una lettera, una sillaba; ma questo vuol dire che
il nome muta; questo un primo punto importantissimo, perch se
fosse vero quello che dice Cratilo, cio se i nomi fossero , i nomi
44

non potrebbero mutare, e invece mutano, viene riconosciuta questa
mutabilit dovuta in alcuni casi all'uso dei parlanti, in altri casi al
tempo, e poi vengono addirittura rintracciate delle cause pi precise;
la seconda osservazione, anche questa molto importante, che accanto
alla mutabilit, alla variabilit dei nomi, c' anche una variet -- i greci
non riconoscono la diversit delle lingue -- tuttavia proprio qui nella
parte etimologica si riconosce che ci sono appunto lingue diverse, c'
questo atteggiamento molto etnocentrico da parte dei greci, per ci
sono dei passi in cui si dice e.g. a proposito del fuoco i Frigi dicono
PIUR, per esempio; si rinvia ad altre lingue, e anche si riconosce che
ci sono diversi dialetti, il che vero perch noi sappiamo che
nell'Ellade c'erano diversi dialetti; c' una variet. Queste due
osservazioni, che dobbiamo tenere presenti, sono importanti perch
dicono che non pu sussistere la tesi di Cratilo, perch se Cratilo
avesse ragione, evidentemente non ci sarebbero tante lingue, ci
sarebbe una sola lingua, e soprattutto i nomi non cambierebbero,
appunto rimarrebbero sempre gli stessi. Ora evidente che i filosofi
greci non hanno un concetto di "storia", perch avere un concetto di
tempo e di temporalit non vuol dire avere un concetto di storia, e
dunque anche un Platone... noi non possiamo davvero parlare di
"storia", sarebbe sbagliato, tuttavia in questa parte del Cratilo, si
riconosce in qualche modo, nell'alterarsi dei nomi, nel mutare dei
nomi... e nel mutare che spesso attribuito al tempo, si riconosce
quella che a tutti gli effetti noi oggi chiameremmo una "storicit" dei
nomi, i nomi si alterano perch si alterano nella storia, l'articolazione
semantica della lingua un'articolazione che si da nella storia; la
conoscenza racchiusa nei nomi, una conoscenza storica, appunto
una conoscenza che in un certo senso determinata sotto questo
aspetto. Noi non possiamo parlare di "storia", neanche usare
l'aggettivo "storico", perch sarebbe una forzatura nei confronti di
Platone, eppure appunto queste osservazioni effettivamente rinviano
all'intuizione di una "storicit"; ma c' di pi: non solo non abbiamo
un concetto di storia in filosofia greca, ma non abbiamo neanche un
concetto di "soggetto"... il concetto di "soggetto" un concetto che
viene molto dopo, e dunque anche in questo caso noi non potremmo
mai parlare di "soggetto", tuttavia abbiamo una parola, la parola ,
una parola su cui ci siamo fermati allungo, e che per abbiamo
incontrato anche nell'etimologia di , e sappiamo che una
parola importantissima per Platone, e che noi traduciamo in genere
con "anima", per gi nel primo semestre noi abbiamo messo in
evidenza tutti i problemi di traduzione della parola , perch
quando noi traduciamo "anima", naturalmente non rendiamo
effettivamente il valore semantico di , cos ci sono alcuni studiosi
che a proposito del Cratilo, da Coseriu a Gaiser, a Ernst Hoffmann
(Philosophiehistoriker), etc. propongono di tradurre con la
parola tedesca BEWUSSTSEIN, anzich SEELE (anima),
BEWUSSTSEIN in genere lo traduciamo "coscienza", proprio a
proposito del Cratilo che propongono questa traduzione, perch
dicono che -- abbiamo parlato della struttura del nome, noi abbiamo
detto che c' una struttura molto complessa del nome, e abbiamo detto
che ci sono almeno 4 piani, se non di pi: quello della materia fonico-
grafica, quello della forma, quello dell' del nome, e poi anche
naturalmente il piano del "significato"; questi interpreti correlano il
significato, cio quello che gli stoici chiameranno , il
significato, con appunto la ... in un certo senso il contenuto del
nome scaturisce dalla di chi, denominando un ente, lo ha
45

conosciuto, conoscendolo l'ha nominato, quindi: propongono di
tradurre, un po' hegelianizzando, propongono di tradurre con
BEWUSSTSEIN, con "coscienza", anzich con SEELE, con "anima",
perch qui Platone riconosce alla un ruolo conoscitivo, dunque,
importantissimo, i nomi non sono in qualche modo dati per natura,
, e dunque in un certo senso anche immobili ed eterni, ma non
sono neanche qualcosa di indifferente, di vuoti, appunto di
convenzionale: sono, e questo il suggerimento di Platone...
scaturiscono dalla , vale a dire -- se mi permettete per una volta -
- posso dire che c' un elemento "soggettivo", tra virgolette, qui
Platone introduce davvero un elemento "soggettivo": , gli
antichi, i , sono in un certo senso delle figure mitologiche
che introducono questo elemento soggettivo, vale a dire, i nomi
scaturiscono dalla , e scaturiscono dunque dalla di coloro
che hanno conosciuto gli enti, e conoscendoli, li hanno nominati;
perci Platone, per la prima volta, introduce tra il nome e la cosa,
introduce la , cio il rapporto tra nome e cosa non cos
semplice, come l'hanno pensato Ermogene o Cratilo, un rapporto
filosoficamente complesso, al punto tale che ne va della , un
rapporto mediato dalla , e ne va dunque della conoscenza, perci
il nome, e pi precisamente il significato, cio il contenuto semantico
del nome, riflette evidentemente la conoscenza, e dunque
naturalmente anche i limiti della conoscenza, di colui che ha
nominato. Si apre, qui, una prospettiva nuova e una prospettiva
diversa da cui naturalmente non si torner indietro, perch evidente
che il rapporto nome-cosa diventa filosoficamente rilevante soltanto
nella misura in cui entra in scena, possiamo dire, la mediazione della
. Detto questo, evidente che l'opera del dialettico sar proprio
quella di riconoscere la mediazione della , e di partire dunque
dall'opera del , il che vuol dire che tra il dialettico e colui
che ha messo i nomi si instaura una sorta di dialogo, il loro rapporto
un rapporto analogo a quello che c' tra l' e il , all'
corrisponde il , possiamo dire, e al corrisponde il
dialettico, che naturalmente colui che ha a che fare con il nella
misura in cui il questa "sintesi" appunto di nomi. Il piano pi
complesso quello del significato; se il significato, vale a dire il
contenuto semantico del nome, corrispondesse all'idea dell'ente
nominato, allora avrebbe ragione Cratilo, perch allora l'
conterrebbe l' ; siccome il contenuto semantico, riflettendo i limiti
della conoscenza di chi denomina gli enti, non corrisponde all'
della cosa nominata, dell'ente nominato, c' uno scarto. Quindi
l'articolazione semantica di una lingua non mai oggettivamente vera,
sempre una articolazione semantica che ha limiti, che sono i limiti
della conoscenza di chi appunto la lingua l'ha prodotta. I greci non
hanno il concetto di "storia" come ce lo possiamo avere noi, cio il
concetto... in tedesco potremmo distinguere tra due parole --
distinzione celebre -- HISTORIE e GESCHICHTE, noi possiamo dire
sanno [i greci] che cos' la HISTORIE, cio possono raccontare e.g. la
guerra, gli eventi, etc. ma non hanno un concetto di GESCHICHTE,
cio non hanno un concetto di "storia", cos come ce lo abbiamo noi; e
questo viene fuori proprio dal Cratilo, perch proprio nella parte
etimologica, e proprio dove si fa riferimento al mutare dei nomi,
sarebbe stato infondo facile fare una riflessione su questo, e non viene
fatta; non c' il concetto di "storia" -- noi in italiano, a proposito di
parole, qui siamo un po' depistati, siamo un po' fuorviati, perch
abbiamo una stessa parola, "storia", cio non c' questa distinzione
46

semantica: l'articolazione semantica dell'italiano non corrisponde
all'articolazione semantica del tedesco, e quindi avendo noi una stessa
parola, "storia", abbiamo la difficolt a capire questo... quindi [i greci]
hanno l'idea del racconto storico, hanno l'idea degli eventi; ma non
hanno il concetto filosofico di storia, Platone non ha un concetto
filosofico di storia, ma neanche Aristotele, non ha un concetto
filosofico di storia. La valenza filosofica GESCHICHTE... per i
greci evidentemente c' l'idea del racconto che si dispiega nella
temporalit, cio l'idea ovviamente del tempo, ma non c' il concetto
filosofico di "storia"... c' nella misura in cui noi lo proiettiamo, e
anche qui la lingue sempre aiuta, quando io faccio una ricerca
filosofica, devo sempre fare attenzione... c' in greco una parola che
corrisponde in qualche modo a "storia" nel senso di GESCHICHTE?
no! c' una parola che corrisponda in qualche modo al "significare", al
"significato"? s! c' . Quindi le parole sono sempre traccia
della filosofia... c' il verbo , e non un caso, perch c'
appunto la convinzione che il nome infatti "significa". Passiamo alla
parte che viene subito dopo... quando si chiude la parte etimologica, si
chiude la parte etimologica; ma se ne apre un'altra, che quella che
viene chiamata, appunto, la dottrina dei : si tratta in
realt di un capitolo interessante, perch Platone anzitutto mostra di
aver riflettuto su quella che noi oggi chiameremmo la struttura della
parola, la struttura del nome, e in che cosa consiste... qual la
domanda che nel dialogo porta alla dottrina dei ?
vuol dire letteralmente "primi nomi"; qual il problema
che si pone? il problema che si pone che Socrate ha gi messo in
difficolt Cratilo, evidente che la parte etimologica un attacco
sferrato contro Cratilo, per a un certo punto l'ultimo... potremmo dire
che la dottrina dei sia il colpo finale, perch noi
possiamo risalire, risalendo e risalendo, ad un certo punto, se noi ci
poniamo il problema della giustezza, cio della dei nomi, se
un nome giusto o no, allora questo vuol dire che tutti i componenti
del nome devono essere giusti, tutti gli elementi del nome devono
essere giusti. Se si tratta, come nel caso di Cratilo, della convinzione
che i nomi sono giusti, che ci sia una , che ci sia una
giustezza, allora questo vuol dire per che non solo il nome giusto,
ma sono giusti, andando per cos dire a ritroso, anche gli elementi che
lo costituiscono, le componenti del nome, perch se questo non fosse
vero, allora di nuovo non si regge la tesi di Cratilo. Che cosa
dobbiamo osservare qui? anzitutto un primo punto che ci aiuta anche
prima della lettura che per Platone, e non l'unico, in quel periodo in
greci, per Platone i nomi sono costituiti da elementi, sono i suoni e le
sillabe, in realt, attenzione, sia nel Cratilo che in altri dialoghi, nella
VII lettera, nel Sofista, etc. si potrebbe fare uno studio molto
circostanziato... Platone parla di suoni, sillabe e lettere, come se si
trattasse di "sinonimi", perch -- molto interessante questo -- perch
per i greci, ogni lettera -- per i greci, diciamo, l'elemento, il
componente, la lettera -- la lettera l'elemento del nome... qualcuno
potrebbe dire: ma perch la lettera l'elemento del nome? perch per i
greci la lettera -- intendo quando io scrivo e.g. , dove c' una
lettera, per i greci c' anche un suono, dove c' una lettera, c' un
suono, dove c' una lettera c' un componente, un elemento del nome;
dunque possiamo dire che le lettere sono quelle che Husserl
chiamerebbe "idealit", cio le lettere sono per i greci ci che
individuano un elemento identitario del nome; quindi la lettera il
modo per distinguere anche i suoni, cio gli elementi fonici, in altri
47

termini, gli elementi grafici aiutano a distinguere gli elementi fonici,
la grafia, il modo in cui loro scrivono, aiuta a discernere la "fonia" --
interessantissimo questo -- e sar un tema di riflessione ripreso in
diverse epoche, ripreso addirittura poi anche nel '900, nella
Grammatologia di Derrida, etc. perch -- noi abbiamo un po' di
difficolt a capirlo -- perch anche per noi cos. Per noi quasi
ovvio. Perch anche per noi, che siamo andati a scuola, e abbiamo
imparato a scrivere, anche per noi la lettera individua una porzione
fonica, individua un suono, quindi noi siamo abituati cos come erano
abituati i greci, allo stesso modo, perch in realt io adesso sto
parlando, e sarebbe difficile individuare davvero tutti i suoni delle mie
parole. In altri termini, noi dobbiamo sempre sapere che i suoni
costituiscono un "continuum", e che le porzioni del continuum fonico
sono naturalmente porzioni che noi in qualche modo siamo abituati a
distinguere proprio tramite la lingua, e che proprio le lettere ci aiutano
a distinguere: a questo proposito vale la pena citare un grande
linguista, che Ferdinand de Saussure, ha scritto, anzi non ha scritto,
perch l'hanno scritto i suoi allievi, un "Corso di linguistica generale":
cosa dice Saussure? Saussure dice proprio questo, dice che -- ma non
il solo a dirlo -- che noi siamo abituati, proprio per il fatto diciamo di
leggere, di avere imparato a leggere, a, attraverso la lettera, a
individuare anche una porzione fonica; questo vuol dire che ogni
lingua ha un sistema fonologico, ogni lingua distingue alcuni fonemi,
che sono rilevanti per quella lingua: e.g. in italiano noi distinguiamo
tra e , questa distinzione tra le liquide non c' in altre lingue;
esemp ancora pi perspicui: in italiano abbiamo un sistema vocalico
molto complesso, per cui per esempio l'apertura o la chiusura delle
vocali un elemento semanticamente rilevante: psca e psca: la "e"
chiusa o la "e" aperta distinguono semanticamente, una distinzione
importantissima, decisiva, distinguono due parole del tutto diverse.
Altri esemp. [la Di Cesare dice sempre la "e" chiusa e non distingue
"psca" da "psca", e per la comprensione si affida al contesto]. Le
persone capiscono lo stesso, in generale, si spera, per via del contesto.
In generale tutta l'Italia meridionale, praticamente da Roma in gi, il
vocalismo completamente alterato, non si riesce la "e" chiusa e
aperta, si dice sempre la "e" chiusa, per via di quello che viene
chiamato "ipercorrettismo", un ipercorrettismo meridionale. Ci sono
tanti di questi fenomeni. Questo esempio... perch l'apertura della
vocale semanticamente rilevante, "pertinente" (termine tecnico), cio
distingue due parole. In altre lingue vale la lunghezza e la brevit:
l'esempio che fa Saussure, riprendendo per il tedesco, la brevit e la
lunghezza di : in tedesco distinguo due parole, in italiano la
lunghezza e la brevit non distingue nulla, quindi per noi
difficilissimo in tedesco tener presente questo, e infatti alcune volte si
rischia di non essere capiti, quindi se io dico MITTE o MIETE, qui ho
una breve, che vuol dire "centro", MIETE che vuol dire "affitto".
Questo l'esempio che fa anche Saussure. Questo vuol dire che in
realt ogni lingua ha un sistema fonologico, ogni lingua ha un sistema
fonologico costituito in realt da un numero limitatissimo di fonemi,
che sono all'incirca 20-25, a questi fonemi di solito corrisponde un
"grafema", di solito, non sempre, e quindi in qualche modo la lettera ci
condiziona, ci aiuta e ci condiziona, perch la lettera ci fa pensare al
"fonema", ci fa pensare che effettivamente un nome costituito
appunto da "fonemi". Il problema di Platone che per Platone, non
distingue tra lettere e suoni, e ha addirittura... non distingue tra suoni e
sillabe. Non distingue tra lettere e suoni. Non distingue e soprattutto in
48

un certo senso si fa guidare dalla lettera per individuare quello che noi
oggi chiameremmo appunto "fonema". Qual la argomentazione di
questi ? tutto sommato relativamente semplice, e
cio, se i nomi sono giusti, cio hanno quella giustezza, quella
, che una corrispondenza con gli enti, allora questo vuol dire
che anche i componenti, gli elementi del nome, devono corrispondere
appunto all'ente, devono corrispondere agli elementi dell'ente; se c'
ad esempio una lettera, cio un suono, che non corrisponde, allora il
nome non giusto. Per Platone... dobbiamo tener presente la
confusione tra lettera e suono; ma c' qualcosa di ulteriore che
complica ancora di pi la questione: la corrispondenza per Platone
una corrispondenza che si da non fra un elemento fonico del nome e
un elemento dell'ente; ma addirittura fra l'elemento icastico del suono,
il modo in cui il suono viene articolato, e l'ente; in altri termini,
abbiamo qui per la prima volta un esempio di quella che viene
chiamata "fonetica icastica", cio, quello che interessa a Platone, il
modo in cui le lettere-suoni vengono pronunciati, ovvero articolati,
per cui e.g. la (iota) corrisponderebbe alla "sottigliezza", (rho)
nel modo in cui viene articolato corrisponderebbe alla "agitazione",
etc. Il modo in cui i suoni vengono articolati, sono per Platone una
sorta di , una sorta di imitazione, dunque se nel nome c' una
lettera-suono [DDC: lettera barra suono] che non imita l'ente, che anzi
contraddice l'ente, allora il nome sar sbagliato. Importantissimo che
abbiamo qui per la prima volta quello che si chiama una "fonetica
icastica", cio il modo in cui i suoni vengono articolati fa pensare ad
una imitazione delle cose. Questo lo troviamo addirittura nella poesia,
cio c' -- se leggiamo delle Poetiche; ma non solo -- c' ad esempio
l'idea che la , cio questo modo di articolare sia relativo -- dice
Platone alla sottigliezza -- ma poi diventa qualcosa di "piccolo", la
rinvia a "piccolo" [esempio della Di Cesare col russo]. Questa fonetica
icastica guida tutt'ora molti poeti e molte poetiche, cio l'idea che il
nome imiti la cosa attraverso il modo in cui il nome viene
pronunciato, viene articolato, nel modo in cui vengono articolati dagli
organi fonator appunto i suoni. Se c' una lettera-suono [barra] che
non risponde all'essenza dell'ente, evidente che il nome sar
sbagliato, e siccome ci sono parecchi esemp evidente che la tesi di
Cratilo, che convinto che i nomi siano appunto giusti, che convinto
della del nome, una tesi che non regge. [allitterazione?
onomatopea? cerca tu!]

XXXIII. (422a) bisogner arrivare a degli "elementi" e quindi
accertare se questi elementi siano giusti o no [cerca citazione (non so
che edizione usa DDC)].

XXXIV. Dunque qui appunto si pone la questione dei .
E pi avanti si incontra quella che la seconda definizione che viene
data del nome -- la prima definizione la definizione che viene data
quasi all'inizio, in cui si dice che il nome l'organo sceverativo,
diacritico e didascalico -- qui invece si dice che il nome : (423b-c)
"Nome, dunque , come sembra, imitazione con voce di cosa che si
imita". Quindi il nome "imitazione" -- attenzione perch imitazione
in greco -- quindi il nome "imitazione" con voce di cosa si
imita. Il nome imitazione... su questa definizione dovremo fermarci,
per dobbiamo gi tener conto dell'importanza di questa definizione,
perch questa definizione non meno importante della prima, perch
in questa definizione il nome viene ricondotto alla , cio il
49

nome ha a che fare con la , il che vedremo il tema di tutta
l'ultima parte del dialogo; il nome ha a che fare con la ,
condivide la complessit della , e dunque vedremo in che
senso il nome "imitazione" della cosa nominata; il nome , il
nome imitazione della cosa nominata; ma il nome imitazione con
la , il nome imitazione che avviene attraverso la ,
attraverso la voce di chi articola il nome.

XXXVII. Tutta questa parte un'analisi, un esame di questa fonetica
icastica. La "lingua" proprio la lingua [quella nella bocca]. Dunque
(rho)... che cosa avviene con la quando noi articoliamo? che la
lingua vibra nella bocca, e quindi che questo vuol dire per Platone,
questa vibrazione l'agitazione, l'agitare, , quando io faccio
(rho), questo vuol dire appunto che (rho) imita tutto quello che
l'agitazione. Vedete che una fonetica appunto icastica; ma anche
"articolatoria", quindi non interessante l'esito fonico; ma
interessante il processo articolatorio, vale a dire, l'imitazione non si da
attraverso l'esito fonico; ma si da attraverso gli organi... il modo in cui
si muovono gli organi articolator, quindi per pronunciare (rho), la
lingua si muove e quindi indica l'agitazione, importantissimo questo,
questo vuol dire che ci che imita non l'esito del suono, l'esito del
processo; ma il processo stesso, il modo in cui si muovono gli organi
fonator. Quindi, (iota) vuol dire "sottigliezza", vuol dire le cose
"leggiere"; per noi, nella nostra fonetica icastica, vuol dire pi che
altro la "piccolezza". Ora, qual l'intento? l'intento mostrare. E poi
(lambda) per esempio vuol dire, la liquida, vuol dire la liquidit,
vuol dire il movimento, vuol dire ci che liquido. L'esempio (forse)
pi famoso l'esempio della parola o , nella parola
o c' un (lambda); pu essere il nome
giusto? s o no? o vuol dire -- possiamo fare un
quadro molto sintetico: (rho) indica movimento, indica agitazione,
(iota) indica la leggerezza, la sottigliezza, e le altre vocali, "" e
"" sono dentali, quindi le dentali indicano tutto ci che si ferma, la
STASI, e non possono perci entrare nelle parole che indicano
movimento; le liquide indicano il movimento, (lambda) una
liquida, e indica appunto proprio la liquidit, e infine il "" (nu) indica
ci che "eterno", etc. -- quello che mi interessa che emergono
esemp, come O , dove per esempio c'
(lambda), che indica la liquidit, che il contrario di /
che vuol dire "duro", "durezza"; quindi come pu la
(lambda) far parte del nome perci che indica la "durezza", se
(lambda) indica la liquidit? Questa parte, che interessantissima da
un punto di vista sia linguistico che fonetico, la parte con cui si da
un colpo finale alla tesi di Cratilo, perch evidente che questi
mitologici Nomoteti, questi antichi, non hanno messo bene i nomi;
evidente che i nomi non sono stati messi bene; ma non sono stati
messi bene non nel senso che si possano correggere, cio che si possa
togliere, per esempio la (lambda) nella parola o ,
perch in realt questa diciamo ipotesi non viene presa in
considerazione. Quello su cui Platone insiste che evidentemente il
nome un'imitazione, il nome ha a che fare con la , soltanto
che l'imitazione evidentemente non riuscita, oppure che l'imitazione
riuscita solo in parte, che quindi i nomi non hanno quella giustezza
che Cratilo vorrebbe, non hanno quella giustezza n nell'ambito del
contenuto semantico, perch rispondono alla conoscenza di coloro che
li hanno messi; ma non hanno una giustezza neppure sul piano
50

diciamo della forma grafico-fonica; quindi i nomi non sono giusti, non
c' la a cui pensa Cratilo. La dottrina dei
dunque una dottrina in un certo senso... occupa un posto nella
strategia del dialogo, per noi dobbiamo ricordare che molto
importante quello che Platone dice sia nella misura in cui da prova di
sapere, di conoscere, che ogni nome costituito da componenti, ogni
nome costituito diciamo da elementi analizzabili, che sono fonemi e
grafemi, anche se non [Platone] non distingue, e soprattutto c' questa
idea grandiosa, che avr poi diciamo molte ripercussioni proprio... non
tanto in filosofia, anzi, non in filosofia, per nella poesia sicuramente,
della appunto "imitazione articolatoria", di questa... l'idea che quando
noi usiamo gli organi fonator, in quel momento in cui usiamo gli
organi fonator, il processo attraverso cui usiamo gli organi fonator,
imitiamo le cose, che poi se ci pensate l'idea della "onomatopea":
che cos' l'onomatopea? che cosa pensiamo anzitutto con
onomatopee? Le onomatopee riguardano soprattutto, ci sono esemp
eclatanti che riguardano un ambito che anche quello che riprende
Platone, quello della imitazione dei versi degli animali: ci sono
tantissimi esemp -- in realt l'onomatopea un concetto limite, perch
non ci sono effettivamente onomatopee, non c' il suono naturale, il
suono che entra nella lingua non mai naturale, tant' vero che alcuni
suoni che per noi sono onomatopeici, nella nostra lingua, nella lingua
che parliamo abitualmente, per esempio in italiano, non sono per nulla
onomatopeici per i parlanti di altre lingue; dunque non si pu dire
effettivamente che esistano onomatopee nella lingua; ci che nella
lingua, proprio perch la lingua un'articolazione semantica del
mondo, dunque ha a che fare con la storia, non mai solo natura,
perci quelle che per noi, e.g. parlanti dell'italiano sono onomatopee...
infatti voi sapete che anche i versi degli animali sono diversi nelle
diverse lingue, gli animali non sono imitati allo stesso modo nelle
diverse lingue. Quello che interessante, che qui a questo punto il
Socrate platonico fa una sorta di esperimento filosofico, che cosa dice:
benissimo, arrivati a questo punto abbiamo detto che il nome
imitazione con voce dell'ente che viene nominato, quindi ha a che fare
con la ; ma, dice Socrate, facciamo un po' un esperimento,
facciamo come se in questo momento noi non avessimo la nostra
lingua, in questo momento noi non parlassimo greco, e dovessimo
diciamo imitare, comunicando tra di noi, imitare per esempio un
cavallo [ proprio l'esempio di Socrate], imitare degli animali: che
cosa succederebbe? probabilmente noi dovremmo, non avendo la
lingua, ed un buon esperimento anche per noi, dovremmo ricorrere
ai gesti, o meglio, dovremmo ricorrere per l'appunto all'imitazione
attraverso la voce; quindi cosa faremmo, dovremmo cercare o di
imitare coi gesti un cavallo, oppure cerco di imitare il nitrito del
cavallo, e questo pu valere anche per gli altri animali [va sottolineato
per che il potere delle onomatopee sta nell'imitare quel tratto
distintivo dell'animale che il suo verso; evidentemente qualsiasi
forma di imitazione, anche senza voce, che sia abbastanza forte da
avvicinarsi considerevolmente al suo modello, dovrebbe avere lo
stesso potenziale successo, pensa l'imitazione senza voce dei
movimenti di una scimmia, o dello scodinzolare del cane (anche se
non abbiamo la cosa)]. La domanda -- possibile che voi mi capiate
-- ma la domanda : qual la differenza tra i suoni attraverso cui io
imito il verso, il nitrito, del cavallo per indicarvi un cavallo, e il nome
invece del cavallo, il nome "cavallo"? quali sono le differenze? qual
la differenza tra i suoni che io, o voi, o chiunque, potrebbe emettere o
51

anche, badate bene, articolare, perch potrebbero essere anche suoni
articolati, per imitare il nitrito di un cavallo, per indicare agli altri un
cavallo, e il nome , o "cavallo"? quali sono le differenze? Io dico
"cavallo" [e ho detto tutto], ho detto alcuni suoni... se non abbiamo la
lingua, allora dobbiamo cercare di imitare diversamente. Quali sono le
differenze? Il primo punto, il pi importante, il "significato", il fatto
che nei suoni che noi potremmo appunto articolare, che imiterebbero
il nitrito del cavallo, non c' quel contenuto semantico, cio quel
significato che c' nella parola cavallo. Questo un primo punto
decisivo e importantissimo, per Platone importantissimo. Quali altre
differenze meno importanti; ma comunque da considerare? Ci sono
almeno altre due differenze, e cio che una prima differenza, che in
generale possiamo parlare di una simbolicit, cio il nome che fa parte
della lingua, , ha sempre anche un carattere simbolico, che non ha
mai, appunto, invece il suono imitativo; pi in particolare, pensate pi
che al suono imitativo, perch il suono... la differenza tra il suono che
imita il nitrito e la parola "cavallo" che il suono che imita il nitrito
non , come dire, un suono passato per la storia, perch non un
suono condiviso dagli altri, e dunque non un suono che entra nella
lingua; ma c' una differenza che appunto quella che riguarda il
carattere simbolico: si tratta del fatto che quando... se noi per esempio
facessimo questo esperimento, seguendo appunto Platone,
l'esperimento quello di, in questo momento noi non abbiamo
linguaggio, non abbiamo lingua, dunque dobbiamo comunicare con i
gesti, e comunicare con i gesti vuol dire "indicare", questo
dice Platone, questo carattere ostensivo del gesto, il gesto indica; ora il
problema della grande differenza tra il gesto... perch io certe volte mi
sento dire: "ma i gesti!", eh, lo so, per il gesto sempre "in
presentia", vuol dire che io posso indicare; ma posso indicare sempre
in presenza, posso indicare; ma posso indicare [solo] in presenza; la
del nome, la grande capacit del nome, quella di indicare in
assenza, di indicare simbolicamente, io parlo di cavallo, non ho
bisogno che ci sia qui e.g. un cavallo, perch il nome ha un carattere
simbolico, e dunque una delle grandi capacit del linguaggio quella
di poter superare quella che possiamo chiamare l' "immanenza
spaziale", se noi dovessimo usare i gesti soltanto, noi saremmo in un
certo senso prigionieri qui di quest'aula, non riusciremmo ad andare
fuori, ad andare oltre, non solo; ma poi voi dovreste guardare me, io
dovrei guardare voi, oppure ascoltare me, [io] ascoltare voi, etc. la
grande capacit del linguaggio la "simbolicit", cio quella di
designare in assenza, questo il punto decisivo; quindi io dico
cavallo, e non ho bisogno che sia presente un cavallo; se io invece
sono rinviata ai gesti, o devo maldestramente imitare il cavallo,
oppure imitare la galoppata, piuttosto che imitare il nitrito... ma non
usciremmo da questa immanenza spaziale, quindi le differenze sono
fondamentalmente due: da una parte il carattere simbolico del nome,
per cui il nome indica come il gesto; ma indica anche in assenza, non
immediatamente "deittico" (termine tecnico), "deissi" la presenza,
indicare in presenza; la seconda differenza importantissima --
importantissima anche per Platone -- il carattere, il contenuto
semantico, e quindi dice Platone: abbiamo imitato bene imitando i
versi? no! perch quello che conta, evidentemente, il contenuto
semantico. Quindi le differenze sono fondamentalmente due. Per
volevo sottolineare anche l'aspetto della simbolicit, del carattere
simbolico, che non ci deve sfuggire, cio la possibilit... noi non ci
riflettiamo, perch noi siamo parlanti; ma pensate che cosa vuol dire
52

poter parlare in assenza degli enti, noi non abbiamo bisogno di esibire
gli enti, e addirittura possiamo parlare di quello che non c', nel senso
che non c' pi, che c' stato e che non c' pi, e di quello che ci sar,
e che non ancora; possiamo addirittura parlare di ci che non mai
esistito, che sar l'esempio di Aristotele, cio del ,
dell'Ircocervo, cio di un animale che non mai esistito, eppure se noi
diciamo, se io dico l' "Ircocervo", appunto, riesco a parlare di ci che
non mai esistito. Importanti sono queste due differenze, quindi,
certamente, certo che un nome ha qualcosa in comune con il gesto,
che l'ostensivit, ma il gesto indica per forza in presenza, il nome
indica in assenza, c' il carattere simbolico, e c' soprattutto il
contenuto del nome, il contenuto semantico del nome.

Riprendendo il nostro discorso sul Cratilo, ci avviamo alla parte
conclusiva di cui alcuni punti era stati gi in parte anticipati:
riferimento alla parte finale, che costituita soprattutto da due gruppi
di argomentazione, un primo gruppo quello che riprende il tema
della , e affronteremo un tema importantissimo per la filosofia
del linguaggio e per la filosofia in generale, il tema del confronto tra
parola e immagine, affrontato nei termini in cui lo delinea Platone; la
seconda grande questione la questione del linguaggio, del rapporto
tra linguaggio e conoscenza, e dunque se i nomi siano o no necessar
per la conoscenza degli enti: questa la grande domanda filosofica, ed
una domanda dove emerge la difficolt della posizione di Cratilo,
dove Cratilo non riesce pi a difendersi. Se la posizione di Ermogene
stata relativamente semplice da mettere in scacco, dunque mostrare
tutti i limiti della posizione di Ermogene, che tutto sommato molto
riduttiva, riduce il nome ad etichetta, pi complesso per il Socrate
platonico mostrare a Cratilo che la sua tesi insostenibile. Abbiamo
affrontato la questione dei , dei primi nomi, dei nomi
primitivi, e dunque la questione della fonetica articolatoria, icastica,
etc. e ricominciamo a partire da quando, non per caso, entra o rientra
in scena Cratilo.

XXXVIII. (427d) Si sta parlando ancora di , si sta parlando
ancora di imitazione, a proposito dei , etc. Il problema
che effettivamente a questo punto la posizione... una volta mostrato
che non c' corrispondenza tra i , cio tra le lettere-
suoni che costituiscono un nome, e gli elementi degli enti, dunque se
non c' corrispondenza fra la struttura linguistica e quella ontologica,
inevitabile che si chiami in causa Cratilo, e lo fa infatti Ermogene:
necessario, occorre che a questo punto Cratilo chiarisca davvero che
cosa intende quando parla di , quando parla di giustezza dei
nomi, che qui come dire, in questo passo, insomma, non ha pi
senso la sua posizione. (428e): Socrate riepiloga. Propone Socrate:
possiamo dire che giustezza del nome quella per la quale il nome
mostra (carattere ostensivo del nome) qual la cosa. Risponde Cratilo.
A partire da qui, naturalmente non un caso, il dialogo soprattutto il
dialogo tra Cratilo e Socrate; Ermogene assume un ruolo, a partire da
qui, marginale, perch Socrate deve mettere con le spalle al muro
Cratilo. La prima definizione del nome: organo, strumento, critico e
didascalico, attraverso il nome si pu insegnare, se si pu insegnare, si
pu anche apprendere. Qui la questione importantissima, perch
Socrate, tirando in ballo i pittori, e tirando in ballo i costruttori di case,
propone un paragone: come un pittore pu disegnare un'immagine
migliore o peggiore, pi bella, meno, bella, come un costruttore di
53

case pu fare un edificio migliore o peggiore, cos avviene al
che fa il nome; dunque il viene paragonato al
pittore, al costruttore di case, all'architetto, in breve abbiamo qui a tutti
gli effetti una sorta di paragone tra arte e linguaggio, un paragone
nella sua fattispecie un paragone tra immagine e nome; se ci sono
immagini migliori e peggiori, e.g. un ritratto migliore o peggiore,
possiamo dire: "in quel ritratto ci sei veramente tu! sei veramente tu!
quell'immagine ti corrisponde davvero!" oppure possiamo dire
"guarda, non sei per niente tu!", quel ritratto non ritrae te, non ritrae la
tua "essenza"; se questo vale -- questo il ragionamento di Socrate --
per la , per il processo mimetico, imitativo da cui scaturisce
l'immagine, allora dovr valere anche per il processo mimetico,
imitativo, da cui scaturisce un nome; se cos, allora Cratilo deve
riconoscere che, come ci sono immagini migliori o peggiori, come ci
sono immagini che sono pi corrispondenti di altre, cos ci sono dei
nomi peggiori o migliori, questo il punto. Il passo successivo che
se ci sono nomi migliori o peggiori, pi corrispondenti o meno
corrispondenti all'essenza della cosa denominata, allora crolla la tesi di
Cratilo, perch allora vuol dire che non c' un'uguale giustezza di
nome, che non c' un' che vale per tutti i nomi, ma che ci sono
nomi migliori e peggiori, dati pi o meno bene, infatti nel momento in
cui [Cratilo] deve rispondere a questa domanda, di fronte a questo
Cratilo fa un passo indietro: non pu concedere che ci siano nomi
migliori o peggiori, perch si rende conto che se accetta questo,
accetta che non tutti i nomi sono giusti, ci sono i nomi pi giusti e i
nomi meno giusti; in breve il criterio di Cratilo un criterio astratto di
, di giustezza. Cratilo un fondamentalista, e dice: per me i
nomi sono tutti giusti; rispondono tutti alla , i nomi che non
sono giusti, non sono neppure "nomi", non li chiamerei, non li
definirei neppure , nomi, perch i nomi che non sono giusti
sono semplicemente rumori, sono flatus vocis, sono semplicemente
rumori; in qualche modo non significano, non ,
soltanto , ma non neanche , perch non sono neanche
articolati, sono semplicemente rumori, non sono nomi. Cratilo
continua nella sua posizione. L'intento di Socrate invece quello di
proseguire dimostrando che invece regge il suo paragone, cio che i
nomi possono essere paragonati all'immagine, perch sia dietro
l'immagine che dietro il nome c' un procedimento mimetico, un
procedimento imitativo, dove quello che importante che
un concetto molto complesso della filosofia greca, non un concetto
semplice, quando noi diciamo "imitazione", non un concetto
semplice. Abbiamo gi detto che vuol dire che col nome io
non imito i versi del cavallo, ma imito l'essenza e.g. del cavallo, che
qualcosa di completamente diverso. A questo proposito c' da dire, da
aggiungere qualcosa di pi: quando noi traduciamo con
"imitazione" in realt facciamo una forzatura, riduciamo fortemente il
campo semantico del greco, perch greco dice Ernst
Cassirer nella Filosofia delle Forme Simboliche, nel primo volume e
nella prima parte, Cassirer ricostruisce una sorta di storia della
riflessione sul linguaggio, e si ferma proprio sulla grande questione
della nella filosofia greca, e dunque anche sul Cratilo, e dice
che un concetto molto complesso, sia in Platone che in
Aristotele; addirittura Cassirer propone di tradurre
nientemeno che con la parola tedesca VORSTELLUNG, che vuol dire
-- quasi un termine tecnico della filosofia tedesca --
"rappresentazione". La greca, la di Platone e
54

Aristotele per Cassirer ha a che fare con la "rappresentazione":
indubbiamente si pu dire che Cassirer influenzato da Kant, o
addirittura perfino da Hegel, e comunque dall'Idealismo tedesco, etc.
Vorstellung un termine tecnico dell'idealismo tedesco, etc. quello
che Cassirer vuole dire che quando noi diciamo "processo mimetico
che da luogo al nome" vuol dire che in quel "processo mimetico" o
"riproduttivo", "rappresentativo" nella misura in cui riproduttivo,
vengono rappresentati nel nome alcuni tratti dell'oggetto, vale a dire
che la gi sempre una scelta, la scelta di alcuni tratti
piuttosto che di altri, dove naturalmente la scelta non esauriente, non
esaurisce tutti i tratti dell'oggetto, perch se esaurisse tutti i tratti
dell'oggetto, ci sarebbe una corrispondenza tra il contenuto del nome e
l' della cosa denominata, dunque allora, e solo allora in quel caso,
avrebbe ragione Cratilo: il nome conterrebbe davvero la verit
dell'oggetto, la vera essenza, la vera . Il nome, in realt, una
, cio appunto una RAPPRESENTAZIONE dell'oggetto, che
data da una scelta, una scelta di alcuni tratti piuttosto che altri, dove
questi tratti sono di numero limitato, dunque in questo senso che la
scelta arbitraria, perch si scelgono alcuni tratti piuttosto che altri, e
secondo punto importantissimo, non detto che i tratti scelti siano per
cos dire "essenziali", possibile che i tratti scelti siano anche non
essenziali, cio che non ineriscano all'essenza dell'oggetto; questi due
punti sono importantissimi, perch questo vuol dire che la
rappresentazione mimetica che da luogo al nome, sempre appunto
arbitraria, non possiamo dire "soggettiva", o "psichica", per tutti i
problemi che abbiamo gi indicato, perch nella filosofia greca non
abbiamo un concetto di soggetto e trattiamo (o partiamo?) sempre
dalla ; ma chiaro che la ha a che fare con la ,
quindi importante il fatto che la rappresentazione sia una scelta di
alcuni tratti piuttosto che di altri; se cos, evidente che non hanno
ragione n Ermogene n Cratilo, questo il punto dirimente: non ha
ragione Ermogene, perch nella sua superficialit non ha visto che il
nome non qualcosa di piatto, non un'etichetta piatta, ma c' una
profondit che una profondit della , una profondit addirittura
del processo mimetico, e non ha ragione neanche Cratilo, perch non
si rende conto che la che da luogo al nome, non potr mai
portare al momento in cui il nome corrisponde, il contenuto del nome
corrisponde all'essenza dell'oggetto. Questo un punto
importantissimo. Cratilo si intestardisce. Socrate gli ripropone
l'esempio di . Qui viene introdotto un tema, soltanto
accennato, un tema su cui ci fermeremo (cfr. Sofista), un tema
interessantissimo, e importantissimo: la questione davvero rilevante
nella filosofia greca del tempo, di cui qui Cratilo si fa sostenitore, che
"non possibile dire il falso"; quando si dice si dice sempre qualcosa
che vera, non possibile dire il falso... ci sono due grandi nodi: non
possibile dire il falso (), e non possibile contraddire.
Sembrano delle sciocchezze, in realt sono due paradossi che Platone
affronta nell'Eutidemo, due paradossi che verranno ripresi dagli Eristi,
ma che hanno origine nella filosofia parmenidea; hanno posto
nell'Eutidemo di Platone, ma svolgono un ruolo anche nel Sofista.
Sono il background del Sofista. Dobbiamo cercare insieme a Platone
di risolvere questi due paradossi, dobbiamo dimostrare che possibile
dire il falso, e che possibile contraddire. Se non facciamo questo,
non salviamo la filosofia. Ne va della filosofia. Qui l'argomento
soltanto accennato. (429e-430a): Cratilo dice che per lui i "nomi" sono
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tutti giusti, quelli che sono o sarebbero sbagliati, o falsi, in realt
sarebbero soltanto rumori, non sono nomi.

XXXIX. Socrate prosegue. A partire da qui inizia l'argomentazione: il
nome una imitazione della cosa. Socrate cerca, e questa
l'argomentazione davvero decisiva, il colpo maestro di Socrate,
Socrate dice: allora ammetti che il nome sia una imitazione della
cosa? Cratilo: senz'altro! etc. Dunque la argomentazione
relativamente semplice, Socrate: in questo paragone tra immagine e
nome, noi possiamo attribuire l'immagine giustamente o non
giustamente, se attribuiamo il ritratto di un uomo anzich all'uomo,
alla donna, e vice versa, noi attribuiamo in modo non giusto, e vice
versa; se possibile il confronto, e Cratilo ha detto che possibile, tra
le immagini e i nomi, questo vale sia per l'immagine che anche per i
nomi; dove il nome attribuito nella dissomiglianza, allora l
evidentemente non c' giustezza. Qui chiaro che Cratilo ha difficolt.
Qui naturalmente la cosa viene ulteriormente complicata, anche se si
tratta solo di un accenno, perch qui l'accenno l'accenno non solo ai
nomi, ma ai , e ai verbi: qui per la prima volta abbiamo
un'intuizione importante che viene ripresa nel Sofista, nell'excursus
sul , per cui per Platone evidente che c' un nesso tra l' e
il , tra il "nome" e il "discorso". Addirittura abbiamo detto che
questo uno dei criter della parte etimologica del Cratilo, il nome una
sintesi che pu essere analizzata e ricondotta a un , per la vera
domanda : che cos' un ? noi abbiamo anche gi detto che
Platone distinguer tra la sintesi dell' e la sintesi del . Il
una sintesi, ma che sintesi ? questa la grande questione, e
qui c' gi un accenno: il una sintesi di e , cio di
nome e verbo, e il ha a che fare con la verit e con la falsit, in
un modo diverso dal nome; al punto che, proprio in questo passaggio,
sembrerebbe quasi che davvero la verit e la falsit, proprio nel senso
della giusta attribuzione, sia proprio appunto assegnato al . E noi
vedremo che una delle grandi conquiste del Sofista, aver proprio
"scoperto" -- nella misura in cui si pu parlare di scoperta nella
filosofia -- che il luogo, per cos dire, del vero e del falso non
l', non il nominare, ma il , il dire, e che il luogo
della verit e della falsit il . Non sappiamo per ancora in che
termini, qui c' soltanto un accenno, e perci noi lo lasciamo da parte,
anche perch Socrate stesso che lo lascia da parte, perch in questo
momento quello che interessa a Socrate solo la verit dell'; c'
anche una verit dell', e dunque quello che lui [Socrate], quello
che interessa a Platone nel Cratilo proprio far emergere che c' una
verit dell', e che questa verit dell' precede la verit del
, ed in certo senso una verit altra; il riferimento noi lo
accantoniamo, lo mettiamo da parte, e ritorniamo con Socrate, etc. Qui
c' la questione della , cio del procedimento rappresentativo!
"Alcuni tralasciare" importantissimo! Socrate dice: il nome ha a che
fare con la , come l'immagine, se cos, allora il processo
"riproduttivo", e soprattutto "rappresentativo" vuol dire che in una
immagine... un'immagine e.g. sar pi brutta se verranno tralasciati dei
tratti, o se verranno aggiunti quei tratti che non sono rilevanti, che non
sono pertinenti. La quel processo rappresentativo,
ovviamente arbitrario, che consiste in una scelta di tratti... abbiamo
detto che l' un organo sceverativo, questo vuol dire sceverare:
vuol dire scegliere, e allora effettivamente il nome sceglie, scevera;
sceglie nel senso che sceglie alcuni tratti della cosa da denominare,
56

questi tratti scelti sono appunto non necessariamente dei tratti
rilevanti, e soprattutto sono alcuni, dunque la scelta arbitraria,
perch non viene resa l'essenza della cosa, non sono tutti i tratti
appunto della cosa denominata. Questo vuol dire che qui c' un
"criterio" per giudicare della , perch il nome che contiene pi
tratti essenziali, pi tratti che costituiscono l'essenza della cosa
dell'ente denominato, sar dato meglio, il nome che ne contiene di
meno o che ne contiene in pi, in aggiunta, che per non sono [tratti]
inerenti all'essenza, dato peggio. Questo punto importantissimo.
Cratilo da una parte accetta l'argomentazione, dall'altro dice -- per
attenzione! -- fa l'esempio del nome [e] delle lettere: se noi
aggiungiamo o togliamo il nome noi facciamo in modo che in realt
non sia pi riconoscibile, anzi, non sia pi nome; e Socrate dice:
guarda, hai esaminato male! non cos! questo che tu dici vale per
tutto ci che, come nei numeri... qui c' un paragone tra nomi e numeri
-- il primo paragone nella storia della filosofia tra nomi e numeri, ed
interessantissimo, perch un paragone ripreso da Aristotele negli
Elenchi Sofistici. Il Socrate di Platone qui dice: attenzione, ti stai
sbagliando, perch il criterio della quantit vale per i numeri; se noi
aggiungiamo o togliamo, effettivamente questo, se si tratta dei numeri,
noi non abbiamo pi un criterio, per questo non vale per i nomi,
perch nei nomi non ne va della "quantit", ma della "qualit"; il nome
mira infatti a imitare l'essenza dell'ente. Dove abbiamo un criterio di
"quantit", evidente che se noi, al 10, togliamo, e diventa 9, l
abbiamo un problema di riconoscimento dell'identit dell'ente, perch
il criterio quantitativo; dunque il 10, nel momento in cui noi
togliamo, perde la sua identit, perch un'identit quantitativa;
questo non vale per i nomi. Qui addirittura Socrate rivendica,
rovescia, cio dice: attenzione, perch addirittura quell'immagine che
il nome, non ha bisogno di essere identica alla cosa che imita, non
solo dunque non lo , quindi riproduce solo alcuni tratti, alcuni aspetti,
ma non pu neanche riprodurre tutti, perch -- ed ecco qui che
l'imitazione non imitazione pedissequa; ma ha a che fare con un
processo rappresentativo -- perch se cos fosse, avremmo un
raddoppiamento del mondo, avremmo un raddoppiamento del mondo!
L'insieme dei nomi sarebbero un raddoppiamento del mondo degli
enti, del mondo reale; questo vale sia per le immagini che per i nomi.
Se un "dio", perch evidente che una riproduzione di tutti i caratteri,
di tutti gli aspetti di una cosa, semmai potrebbe essere tutt'al pi, opera
di un dio, non opera umana, perch l'opera umana sempre un'opera
limitata, un'opera finita, dunque l'uomo non pu mai riprodurre tutti i
tratti che ineriscono all'essenza della cosa appunto rappresentata,
imitata. Dunque, in quel caso, se davvero la ... quello, se fosse
vero quello che sostiene Cratilo, che i nomi contengono la vera
essenza delle cose, allora avremmo davvero un raddoppiamento del
mondo, allora i nomi costituirebbero un raddoppiamento del mondo,
accanto a Cratilo ci sarebbe appunto un secondo Cratilo.

XL. Le cose diventerebbero doppie, si avrebbe un raddoppiamento del
mondo. Qui Socrate un po' anche spazientito, e dice: coraggio,
brav'uomo! [Cratilo ha rotto un po' i cojoni]. Dunque qui Socrate pone
dei limiti, dunque [dice Socrate a Cratilo]: concedi che il nome abbia
una... non debba appunto riprodurre, nel senso di raddoppiare la cosa,
ma che il nome sia una rappresentazione della cosa, vuol dire
questo, sia una rappresentazione della cosa, che questa
rappresentazione sia evidentemente una rappresentazione che
57

scaturisce dalla del , e che questa rappresentazione
restituisca, renda alcuni tratti, non tutti, ma che nondimeno sia nome,
che nondimeno attraverso quel nome la cosa venga detta. Qui abbiamo
anche un Socrate che in un certo senso fa un appello anche giusto alla
limitatezza delle capacit umane, alla limitatezza della conoscenza
umana, alla limitatezza di quello che sarebbe il processo
rappresentativo, soltanto un dio potrebbe appunto ricreare, imitare nel
senso di ricreare le cose, e allora per in quel caso avremmo appunto
un raddoppiamento del mondo; dove l'uomo si fa artista, alter deus
potremmo dire, a quel punto per evidente che l'arte dell'uomo
sempre un'arte limitata, che quindi non restituisce gli oggetti, e
nondimeno il nome nome, anche se per definizione, a questo
punto, naturalmente manchevole. L'importante, dice Socrate, che nel
nome ci sia il carattere della cosa, nel nome ci sia il carattere per cui
noi possiamo "significare" la cosa, questo vuol dire; su questo punto
ritorner pi tardi Aristotele. Dunque, che cos' il nome? riprende qui
la definizione: un modo di manifestare la cosa con lettere e sillabe,
dove per la cosa non viene imitata in toto, questo vuol dire! Il
manifestare -- dice pi avanti -- un manifestare per somiglianza
(434a), un manifestare per somiglianza, e il nome, naturalmente, deve
essere simile alla cosa: somiglianza-dissimiglianza saranno
ovviamente i criter. Questo punto un punto importantissimo, perch
questo vuol dire che ovviamente Ermogene aveva torto, perch non
aveva visto la complessit del nome, quindi la sua tesi del tutto
accantonata, anche se verr poi ripresa in seguito nella filosofia, viene
ripresa anche oggi in realt, e per ha torto ormai, evidente, anche
Cratilo: ha ragione per una parte, nel senso che ha ragione nella
misura in cui Cratilo si reso conto, ha visto, che il nome ha un
contenuto, ha una complessit, ha un contenuto complesso, lo
abbiamo detto anche l'altra volta, e in questo ha ragione; non ha
ragione nel momento in cui ha preteso che il nome contenesse la vera
essenza della cosa, perch il nome contiene, possiamo dire, alcuni
tratti dell'essenza, questi tratti ci sono sufficienti, questo il grande
punto, la grande questione del linguaggio, questi tratti ci sono
sufficienti per parlare, sono sufficienti per dire, dunque questo vuol
dire che una lingua, costituita da parole, una articolazione semantica,
e che questa semantica della lingua appunto... ha dei contenuti, una
lingua veicola contenuti, i parlanti che parlano una lingua veicolano
contenuti; questi contenuti, dato che noi siamo parlanti di una lingua,
non ce ne rendiamo conto, facciamo fatica a rendercene conto; ma
quando noi parliamo, quindi parlare appunto questo estraniarsi
continuo, questa continua estraneazione che noi compiamo ogni
giorno, quotidianamente, molte volte al giorno, al punto da non
rendercene conto... quando noi parliamo, il nostro parlare non
qualcosa di innocuo, non qualcosa di neutro, neutrale, perch ci sono
dei contenuti, e dunque quando noi parliamo, noi veicoliamo dei
contenuti, noi rilanciamo addirittura dei contenuti, cio, noi
veicoliamo i contenuti della lingua, rilanciamo i contenuti della
lingua, noi parlando in un certo senso condividiamo il modo in cui le
cose sono state viste e rappresentate nella lingua in cui parliamo; il
modo in cui le cose sono state viste e rappresentate sono diverse per
ogni lingua, noi possiamo dire che questa davvero [] la differenza tra
le lingue, non la differenza tanto dei suoni, ma la differenza dei
modi in cui le cose sono state viste, in cui le cose sono state
rappresentate, dunque quando noi parliamo una lingua,
inconsapevolmente noi condividiamo quel modo di rappresentare le
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cose che ci viene dai Nomoteti, che ci viene da un passato, e che noi
riproponiamo, e questo importantissimo, perch questo vuol dire che
il nostro parlare qualcosa di molto pi complicato di quanto non
immaginiamo, perch se avesse ragione Ermogene, si tratterebbe
semplicemente di far uso di etichette vuote, e quindi nulla di
inquietante, se avesse ragione Cratilo noi non faremmo altro che
riprodurre la vera essenza delle cose, e anche qui nulla di inquietante,
e invece quando parliamo noi in un certo senso condividiamo il modo
in cui le cose sono state rappresentate prima di noi, perch ciascuno di
noi si ritrova in una lingua, non siamo stati noi a creare i nomi, i nomi
esistono gi, e dunque quando noi parliamo, noi non articoliamo
soltanto suoni, ma noi veicoliamo dei contenuti, condividiamo dei
contenuti, cio in un certo senso non solo condividiamo, ma finiamo
anche per rilanciare e supportare determinati contenuti, anche
inconsapevolmente, certi modi di vedere le cose, e non altri, che infatti
sono diversi da lingua a lingua. Questo invece , s!, molto
inquietante, molto inquietante, ed un grande problema per la
filosofia, un grande problema per i filosofi; sta qui il grande
problema del rapporto tra linguaggio e filosofia, ed il tema
dell'ultima argomentazione di Socrate, che terminer in una... la
conclusione una conclusione "aporetica"; ma Socrate pone proprio
questo problema, e sicuramente la prima volta che viene posto nella
filosofia, verr posto continuamente, ed che il bivio qui un bivio
decisivo, perch da una parte c' Ermogene che dice che i nomi sono
delle etichette, dunque si possono anche sostituire, etc. questo per il
filosofo non sarebbe un problema, [fare i conti con] quello che dice
Ermogene, e non un problema neanche quello che dice Cratilo, anzi,
la tesi di Cratilo tutto sommato una tesi che viene incontro
all'esigenza del filosofo, perch se avesse ragione Cratilo, allora,
attraverso l'etimologia, noi potremmo, evidentemente, far riferimento
al nome, il nome sarebbe un riferimento per far emergere la verit
della cosa; ma se il nome una rappresentazione, per giunta arbitraria,
allora si pone il problema per i filosofi. Il problema qual , ed un
grande problema anche della filosofia contemporanea, il problema, ma
anche della filosofia del '900, il problema che il filosofo, se va dietro
ai nomi, finisce per farsi fuorviare dal modo in cui gli enti, le cose,
sono state rappresentate nella lingua che parla. Posto che la via di
Ermogene la via, per cos dire, del filosofo superficiale, e ce ne sono
anche oggi, quelli che dicono "ma che conta il linguaggio?! usiamo le
etichette, etc."; la via di Cratilo la via del filosofo che dice che il
nome contiene la vera essenza della cosa, allora io come filosofo mi
rimetto, per cos dire, al nome; ma se scopriamo, come Socrate ci sta
facendo scoprire, che i nomi contengono non la vera essenza della
cosa, ma contengono una rappresentazione della cosa, e questa
rappresentazione una rappresentazione parziale, arbitraria e parziale,
addirittura risente della filosofia eraclitea; Socrate ritorner
polemicamente, anche un po' ironicamente su questo; allora rimettersi
ai nomi vuol dire, per il filosofo, farsi fuorviare; il filosofo non pu
rimettersi ai nomi, non pu affidarsi ai nomi, perch se si affida ai
nomi pensando di arrivare alla verit attraverso i nomi, non ci arriver
mai, perch i nomi contengono una rappresentazione degli enti, questa
rappresentazione, in questo caso, una rappresentazione addirittura
che risente, per cos dire, di una immagine del mondo, di una
concezione del mondo, che [] addirittura quella degli eraclitei. Ora
questo cosa vuol dire, vuol dire che il monito di Socrate quello
evidentemente di non fidarsi del linguaggio, di non fidarsi dei nomi.
59

Detto questo, per, vi rendete conto che questa una situazione
effettivamente aporetica, perch infatti proprio verso la fine c' quella
frase in cui Socrate dice: benissimo, allora che cosa facciamo?
cerchiamo di conoscere gli enti per se stessi, senza i nomi [
], non convinto di questo [Socrate sarebbe non convinto di
questo?! ma guarda te.]. Dunque la situazione a cui conduce la fine del
dialogo, qui poi i personaggi principali si congedano andandosene in
campagna, in realt una situazione aporetica, dove cio sono stati
posti tutti i problemi che riguardano il rapporto dei filosofi, ma anche
infondo dei parlanti, con gli , con i nomi. Se noi diciamo,
come dice Ermogene, che i nomi sono etichette, evidente che
conoscere una lingua significa... la conoscenza di una lingua si risolve
nell'imparare l'uso delle etichette, quindi tutto sommato qualcosa di
meccanico, anche [di] molto semplice; in questo caso, imparare a
parlare, e dunque parlare, perch non si tratta di imparare, parlare una
lingua straniera vuol dire imparare l'uso di alcune etichette; nel caso di
Cratilo, la posizione non si pone neppure, perch evidente che ci pu
essere una sola lingua, la posizione di Cratilo una posizione
fondamentalista, perch una posizione anche etnocentrista, una
posizione... una posizione che si trova nel "senso comune": se noi
interroghiamo parlanti che non si sono imbattuti in lingue altre, il
parlante di un'unica lingua, e.g. l'italiano, versione romanesca, etc. vi
dice che quei suoni per dire quella parola sono veramente quelli giusti,
che quella la parola giusti [e stacce, ce devi sta'!], non ci pu essere
altra parola giusti in altre lingue, perch il rapporto di quel parlante
con la sua lingua un rapporto di esclusione -- sarebbe quasi da
definire razzista -- sicuramente un rapporto etnocentrico, quindi la
posizione di Cratilo una posizione molto pericolosa, perch
evidente che ci pu essere [per Cratilo] un'unica lingua giusta, non ci
possono essere altre lingue giuste, perch le altre lingue, infatti lui
dice, sono rumori, e infatti tutto sommato la posizione di Cratilo, in
parte si rispecchia in quello che noi abbiamo detto e.g. a proposito dei
barbari, OI per i greci sono coloro che balbettano: qual la
semantica? che vuol dire? interroghiamo la parola greca, qual il
significato, dunque la semantica della parola OI , una
semantica infondo terribile, perch vuol dire "i balbuzzienti", dunque
coloro che parlano delle non-lingue, coloro che balbettano, terribile,
perch rispecchia l'etnocentrismo dei greci, i greci si sentono...
l'Ellade al centro del mondo, gli altri non contano, gli altri popoli
sono inferiori, etc. questo atteggiamento di rapporto esclusivo con la
lingua, cio, la mia lingua la lingua migliore, e.g. l'italiano la
lingua pi bella, l'italiano l'unica lingua giusta, etc. un rapporto che
si ritrova spesso, e non solo nell'antichit... come si dice "tedesco" in
russo? (nemetskiy), oppure (nemetskiy
yazyk), "lingua tedesca", ebbene, la semantica di questa parola
anche terribile, e ancora adesso si dice cos per dire "tedesco"
"muto": la lingua dei muti; per i russi, quando incontrano alla frontiera
i tedeschi, quindi si imbattono in una lingua straniera, in una lingua
altra, quella lingua la lingua dei muti, la lingua muta, quindi c' un
disprezzo enorme, perch c' l'dea un po' cratilea per cui la mia lingua
la lingua giusta, la mia lingua quella dove i nomi corrispondono
all'essenza delle cose, se cos, le altre sono non-lingue. E' evidente
che noi dobbiamo stare attenti: il nostro rapporto con la lingua
materna molto meno identitario, nel senso che noi parliamo la lingua
materna, ma la lingua materna conserva anche per noi una certa
estraneit; dunque quando noi passiamo a parlare un'altra lingua, cio
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quando noi qui per esempio impariamo l'inglese, impariamo a parlare
inglese, a parlare francese, tedesco, arabo, etc. noi non ci limitiamo a
esercitare i nostri organi fonator, affinch si abituino in un modo
piuttosto che in un altro; ma evidente che c' qualcosa di altro, noi
impariamo i contenuti, noi impariamo i modi in cui le cose sono state
rappresentate, in cui le cose sono state viste, e questo varia da lingua a
lingua, ed questo che rende complicato, molto complesso, il
passaggio da una lingua all'altra. Questo il punto, e tra l'altro questo
non riguarda solo la semantica, ma riguarda anche la sintassi, etc.
passare da un lingua all'altra significa effettivamente passare da un
mondo ad un altro, indubbio questo, passare da un mondo ad un
altro, ecco perch cos faticoso; ma non che c' una lingua migliore
di un'altra, non c' una lingua migliore di un'altra, chi lo ha detto,
come si fa a dire che una lingua sia migliore di un'altra; nel '700
c'erano delle gare soprattutto tra italiani e francesi: quale lingue pi
creativa, quale lingua pi geniale, quale lingua pi acuta, quale
lingua pi sottile, etc. ma naturalmente sono scemenze, battaglie
culturali. In realt noi non possiamo dire che c' una lingua migliore o
peggio, assolutamente, dobbiamo imparare che ogni lingua un modo
di articolare il mondo, e che quel modo va rispettato. C' una pari
dignit delle lingue. La mia lingua non migliore delle altre. Questo
vale anche per la filosofia, ecco perch una scemenza la posizione di
Heidegger quando dice che le lingue della filosofia sono il greco e il
tedesco, una scemenza, ed una posizione razzista, perch
giustamente s! la filosofia si sviluppata nel greco, lo stiamo
vedendo, si sviluppata anche per in altre lingue, poi in tedesco; ma
noi non sappiamo, perch nessuno ce lo dice, che forse fra 40 anni non
si sviluppi per esempio nel Quechua, nel Nahuatl, nel Guaran -- che
la lingua dell'Amazonia, una delle poche che si sono conservate --
come facciamo a dirlo? le lingue hanno paro dignit, perch ogni
lingua un modo di articolare il mondo, quindi anche se io ho,
certamente, un rapporto privilegiato con la mia lingua, perch la
lingua in cui sono cresciuto, la lingua appunto "materna", questo non
vuol dire disprezzare le altre lingue, giudicare le altre lingue, si tratta
di "modi", quindi il filosofo, la questione che Socrate qui pone, la
questione che riguarda per la filosofia, dunque, come fa il filosofo a
raggiugere gli , ad arrivare agli enti? perch questo quello che
interessa il filosofo, posto che su questa strada ci sono gli ,
che ci sono i nomi, la questione si complicata nel momento in cui
abbiamo scoperto che i nomi non contengono la vera essenza degli
; ma contengono un modo di vedere [vederli], allora questo...
quale sar qui la soluzione, quale via dovr prendere il filosofo?
[seguiremo Platone] A proposito dell'apprendimento: quando si pone
la questione dell'apprendimento della lingua... Wittgenstein
probabilmente quello che da la risposta pi bella, e la da nelle
Ricerche Filosofiche: Wittgenstein dice che in genere viene fatto
l'esempio dell'apprendimento, viene posta la questione
dell'apprendimento del linguaggio; ma, dice Wittgenstein, si tratta -- e
sono proprio i filosofi a fare, a tirare ogni volta fuori questo esempio
dell'apprendimento -- il filosofo che Wittgenstein cita Agostino, il
De Magistro, e cita Agostino, perch Agostino pone il problema
dell'apprendimento del linguaggio; cosa risponde Wittegenstein: in
realt un falso problema, perch l'apprendimento del linguaggio un
gioco linguistico che si gioca al limite; quando noi parliamo, parliamo,
non stiamo apprendendo il linguaggio, quindi l'esempio
dell'apprendimento del linguaggio si colloca per cos dire al limite, ai
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confini, e dunque come tale un gioco linguistico che non rilevante
filosoficamente, ed buffo che proprio i filosofi lo pongano; non
rilevante. Detto questo per c' un secondo aspetto, ed un aspetto
importantissimo: noi abbiamo detto e ridetto che il nome uno
strumento didascalico, Socrate ce lo ha ripetuto ampiamente, perch
uno strumento didascalico: se avesse ragione Ermogene non lo
sarebbe, per didascalico non nel senso in cui lo intende Cratilo,
didascalico perch ci indica un modo di vedere le cose, per questo
didascalico. Il problema un paradosso in cui si trova Cratilo. Socrate
dice (436b-c): "se noi seguiamo il modo in cui i nomi ci rendono le
cose, rischiamo di essere ingannati" [cerca citazione] questo vuol dire
che si pone per i filosofi il problema di non essere ingannati dai nomi,
noi non possiamo fidarci, quella di Socrate una giusta, sana,
diffidenza; i filosofi devono diffidare dei nomi. Diffidare vuol dire che
non che non debbano affidarsi per nulla ai nomi, vuol dire che
devono diffidare, devono sapere che i nomi veicolano contenuti,
veicolano dei modi di rappresentare gli enti, e che dunque se loro
vogliono arrivare agli enti, devono sapere che l hanno a che fare con
dei modi parziali di vedere gli enti. Pi avanti per Socrate dice
(sintesi della pagina saltata): se i nomi non ci restituiscono la verit
degli enti, dunque se i nomi sono in un certo senso parziali, dunque c'
una parzialit che potremmo dire costitutiva dei nomi, allora noi come
facciamo a comunicare, come facciamo a capirci? noi comunichiamo
e ci capiamo attraverso l'abitudine e l'accordo, l'abitudine e l'accordo,
l', che non la convenzione di cui parlava Ermogene, non
il patto esplicito di cui parlava Ermogene; ma l', l'accordo e
l'abitudine, vuol dire proprio che noi siamo abituati, dunque proprio
perch nei nomi c' una parzialit costitutiva, noi possiamo usarli e
possiamo capirci perch si impone un accordo, perch si impone un
HABITUS, un'abitudine, ed l'esempio di "tavolo"... perch per
abitudine e per accordo noi appunto diciamo cos, si da questo,
diciamo cos; e dunque qui come se Socrate, in un certo senso,
volesse quasi dare anche solo un pizzico di ragione a Ermogene, in un
certo senso l'unica cosa giusta che aveva detto Ermogene che c' una
sorta di accordo, questo accordo non la "convenzione"; ma
l'abitudine, il modo in cui siamo abituati a parlare, il modo in cui
siamo abituati a dire "tavolo", e questo spiega perch noi possiamo
servirci dei nomi anche se nella loro parzialit. Detto questo si pone
l'ultimissima parte: 438a.

XLIII. Paradosso. Qui c' una enorme difficolt della posizione di
Cratilo, perch Cratilo dice che noi impariamo gli enti dai nomi,
perch i nomi contengono la vera essenza degli enti; se cos, che
cosa venuto per in origine? da quali nomi ha imparato chi ha messo
i nomi? Se noi impariamo le cose dai nomi, allora qui c' una aporia,
una difficolt, che riguarda , gli antichi. Cratilo [ormai] non
sa veramente che rispondere: adombra la tesi di una origine divina dei
nomi. Qui Socrate lo prende un po' in giro: i nomi dovrebbero essere
stati dati da una forza maggiore di quella umana; ma addirittura
venuto fuori che ci sono nomi contraddittori, che c' che per
esempio contiene il (lambda), etc. questo dio come ha messo i
nomi, li ha messi male?! addirittura alcuni nomi contraddicono altri,
allora che cosa succede? Cratilo in enormi difficolt, ricorre
addirittura ad una forza sovrumana che avrebbe (per)messo i nomi; ma
anche di fronte a questo Socrate dice: noi abbiamo etimologizzato,
sono addirittura messi male, in contraddizione l'uno con l'altro [i
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nomi], allora noi come facciamo... abbiamo bisogno di un criterio
extra-linguistico, di un criterio che fuori, che oltre i nomi, di un
criterio ontologico per determinare quali nomi siano stati messi bene,
quali male, dunque dobbiamo ricorrere alle cose, se dobbiamo
ricorrere alle cose, allora qui arriva, dall'altra parte, la tesi paradossale
di Socrate, allora tanto vale conoscere le cose ,
senza i nomi, dunque per se stesse; e si pu dire appunto che qui che
finisce il dialogo; finisce in un modo davvero... forse tra i dialoghi, il
Cratilo fra i dialoghi aporetici il pi aporetico, proprio perch
presenta [in] tutta questa parte conclusiva molte molte difficolt,
molte aporie; chiaro che la affermazione di Socrate, ultima: allora
tanto vale conoscere le cose per se stesse, senza i nomi, non la
posizione di Platone, perch anche questa sarebbe una posizione
semplicistica; dunque noi possiamo, riassumendo, dire che il dialogo
ha mostrato che non hanno ragione n Ermogene n Cratilo, che il
modo in cui entrambi pongono il problema un modo sbagliato,
dunque tutte e due le tesi sicuramente sono superate, sono
oltrepassate; ma che quello che emerso qualcosa di molto
complesso, e dunque vuol dire che da una parte c' una via che la via
dei nomi per arrivare alle cose, a questa via non ci si pu affidare,
bisogna diffidare; ma dall'altra parte non possibile neanche davvero
far completamente a meno dei nomi. Qui si pongono tantissimi
problemi, e non un caso che il Cratilo in un certo senso... si ferma
qui lasciando questi problemi aperti, e molti di questi problemi
vengono ripresi appunto in altri dialoghi, a cominciare proprio dal
Sofista. Gi il Sofista, gi l'inizio del Sofista, una prima risposta alla
conclusione del Cratilo.

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