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Montaigne, Descartes

e le vicissitudini dell’eraclitismo
Giambattista Gori*
“Praeterea historia id forte significat quod �sthsi tÕn ˛oàn, id est sistit
fluxum” (Cratylus, 437b, trad. Marsilii Ficini, Omnia Platonis Opera,
Froben, Basileæ, 1532, p. 331)
1. Dopo essere stato a lungo minoritario, il confronto fra Descartes e la
tradizione scettica si è conquistato ormai un posto di tutto rilievo nella
storiografia cartesiana. A questo risultato ha largamente contribuito,
oltre
alla ricerca cartesiana in senso proprio, lo sviluppo complessivo degli
studi sulla rinascita dello scetticismo nell’età moderna e in particolare
il rinnovato interesse per autori storicamente più vicini a Descartes
come Gassendi, La Mothe Le Vayer, Charron e lo stesso Montaigne. La
consumata perizia degli studi cartesiani ha in tal modo beneficiato di
un ampliamento delle prospettive storiche e concettuali che hanno
consentito di arricchire il contesto in cui si è inserita la risposta carte-
* Università Statale di Milano.
Ringrazio Mariafranca Spallanzani, Marco Geuna, Francesco Tomasoni, Maria
Lorenza Chiesara, Massimo Parodi che mi hanno cortesemente fornito utili indicazioni
bibliografiche. Ad Anissia Becerra devo proficue discussioni sul tema e molta
gratitudine
per il suo generoso aiuto. Le opere di Descartes sono citate secondo l’edizione
Adam-Tannery (AT); la sigla è seguita da numerazione romana per indicare il tomo e
araba per le pagine. Gli Essais di Montaigne nell’edizione di Pierre Villey in 3 voll.
(Paris, PUF, Quadrige, 1999); se segnalati (a), (b), (c) indicano rispettivamente.il testo
del 1580, le aggiunte dell’edizione del 1588 e le integrazioni di Montaigne sul
cosiddetto
esemplare di Bordeaux. Le citazioni da Sesto Empirico e dagli altri autori antichi
seguono le sigle correnti: Schizzi Pirroniani (PH), Adversus Mathematicos (M),
De sera numinis vindicta di Plutarco (De sera, 559b), Teeteto di Platone (Theaet. 153
d
- 154 a).
Letture cartesiane, a cura di Mariafranca Spallanzani, Bologna, Clueb, 2003.
siana alla sfida scettica1. A questo ampliamento delle prospettive si è
tuttavia accompagnata l’esigenza di determinare con maggior
precisione
lo scetticismo che Descartes si era trovato a fronteggiare e di cui
aveva
tenuto effettivamente conto. La risposta cartesiana alle difficoltà
scettiche comportava il recupero dalla tradizione di una molteplicità di
figure e di argomenti, ma al tempo stesso anche una loro netta
selezione.
Non tutti gli argomenti offerti dalla tradizione si prestavano ad es-
18 Giambattista Gori
1 Per l’incremento degli studi, sensibile soprattutto in questo ultimo decennio, si
fa riferimento in particolare a: G. Paganini, Scepsi moderna. Interpretazioni dello
scetticismo
da Charron a Hume, Busento, Cosenza, 1991, in part. cap. 3, “Intorno a Descartes:
discussioni su dubbio, criterio e certezza”, pp. 85-121; AA.VV., Le scepticisme
au XVIe et au XVIIe siècle, direction P. F. Moreau, Paris, Albin Michel, 2001 (in
particolare,
per il nostro argomento, J.-P. Cavaillé, Descartes et les Sceptiques modernes. Une
culture de la trompérie, pp. 334-347); “Il ritorno dello scetticismo. Da Descartes a
Bayle”, Atti del convegno internazionale di Vercelli, 18-20 maggio 2000, in corso di
stampa presso Kluwer. Al confronto fra Descartes e Montaigne sono dedicate le
“Journées cartésiennes” organizzate dal Centre d’Études Cartesiénnes de la
Sorbonne,
7-8 giugno 2001. Cfr. inoltre: J.-P. Cavaillé, Les sens trompeurs. Usage cartésien d’un
motif sceptique, “Revue Philosophique”, 1/1991, pp. 3-31; E. Mehl, La question du
premier principe dans la Recherche de la Vérité, in Atti della giornata di studio “René
Descartes, La Recherche de la Vérité”, “Nouvelles de la Republique des Lettres,
1/1999, pp. 77-107; Idem, Le méchant livre de 1630, in AA. VV., Libertinage et
Philosophie
au XVIIe siècle, Publications de l’Université de Saint-Étienne, 1996, pp. 53-68
(sui rapporti con i Dialogues di La Mothe Le Vayer, ma senza accettarne
l’identificazione
con il “méchant livre” menzionato nella corrispondenza con Mersenne). Indicativi
del crescente interesse per la scepsi sono anche i contributi degli studiosi cartesiani,
fra i quali si ricordano: G. Rodis-Lewis, Doute pratique, doute speculatif chez
Montaigne
et Descartes, “Revue Philosophique”, 4/1992, pp. 439-449 e Du doute vécu au
doute suprême: ses limites dans le Discours, in Atti del congresso ‘350 Años del
Discurso
del Método’, Barcellona, 1987, entrambi ristampati in Idem, Le développement de la
pensée de Descartes, Paris, Vrin, 1997, rispettivamente alle pp. 96-105 e 113-131; S.
Gaukroger, The Ten Modes of Aenesidemus and the Myth of Ancient Scepticism,
“British
Journal for the History of Philosophy”, 2/1995, pp. 371-387 e Idem, Descartes. An
Intellectual Biography, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 304-321. Fra i contributi
precedenti vanno almeno ricordati: Myles Burnyeat, Idealism and the Greek
Philosophy.
What Descartes saw and Berkeley missed, “The Philosophical Review”, XLI,
1/1982, pp. 3-39, fondamentale nel determinare la peculiarità del dubbio cartesiano
rispetto alle fonti dello scetticismo antico; Burnyeat è anche curatore dell’importante
raccolta The Skeptical Tradition, University of California Press, 1983 (che include il
saggio di B. Williams, Descartes’ Use of Skepticism, pp. 337-352). Ancora importante
il
saggio, innovativo per le fonti tardo-medievali, di T. Gregory, Dio ingannatore e genio
maligno. Nota in margine alle Meditationes di Descartes, “Giornale critico della
filosofia
italiana”, 4/1974, pp. 477-516.
sere recuperati all’interno di un progetto strettamente epistemologico
come quello cartesiano, rivolto a ricavare dalle difficoltà scettiche
principi
certi e indubitabili; né gli argomenti adottati stavano tutti su un
piede di parità, ma alcuni venivano privilegiati rispetto ad altri. Ad un
confronto storiografico più esigente la presa di posizione cartesiana
appariva
caratterizzata quindi non solo dall’adozione di argomenti e figure
scettiche di diversa provenienza, ma anche dal ridimensionamento o
dall’abbandono di alcune di esse. Una comprensione adeguata del
confronto
fra Descartes e lo scetticismo si potrà avere allora prestando
attenzione
anche a quelle varianti scettiche che Descartes non aveva fatto
rientrare nel proprio progetto epistemologico. Uno degli autori che
consente di istituire un confronto con Descartes a tal proposito è
costituito
proprio dal capostipite degli “hodierni sceptici” (Ob. et Resp. Septimæ,
AT VII 549), e cioè Montaigne, tradizionalmente indicato come
il principale interlocutore scettico di Descartes2. Proprio per la libertà
con cui aveva attinto alla tradizione antica e per la ricchezza dei suoi
riferimenti,
Montaigne presentava un quadro dello scetticismo che non
si prestava facilmente ad una definizione univoca, testimoniato del
resto
dalla revisione critica cui è andato incontro il tentativo di Popkin di
ricondurre gli Essais, e l’Apologie in particolare, ad una ascendenza
strettamente
pirroniana. Non solo alla lettura della traduzione latina di Sesto
si era sovrapposta nelle edizioni successive una fase più propriamente
accademica, testimoniata dalle citazioni degli Academica di Cicerone,
ma nemmeno a quest’ultima spettava l’ultima parola in fatto di
scepsi3.
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 19
2 Si veda il commento di E. Gilson al Discours de la Méthode,, Paris, Vrin, 1925
(1a), 1966 (4a) e L. Brunschvicg, Descartes et Pascal lecteurs de Montaigne,
Neuchâtel,
Ed. de la Baconnière, 1945; E. M. Curley, Descartes against the Skeptics, Cambridge,
Mass., Harvard University Press, 1978, in part. i capp. 1 e 2 e pp. 38-40; G. Rodis-
Lewis, Doute pratique, doute speculatif, op. cit., prima di registrare nel suo
Descartes,
Calmann-Lévy, 1995, pp. 71-76, la più forte incidenza di Charron, anche a seguito
del ritrovamento di una edizione de La Sagesse dedicata dal gesuita J. B. Molitor al
giovane Descartes (Bulletin Cartésien, in “Archives de Philosophie”, 1992 e 1994).
3 R. H. Popkin, The History of Scepticism from Erasmus to Descartes, Assen, Van
Gorcum, 1960, poi ampliato in The History of Scepticism from Erasmus to Spinoza,
Berkeley, University of California Press, 1979 (trad. it. Milano, Mondadori, 2000, in
particolare pp. 64-72 e n. 42 dove si richiama l’articolo di E. Limbrick, Was Montaigne
really a Phyrronian?, “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, XXXIX, 1977,
pp. 67-80 che contro l’unilaterale influenza di Sesto Empirico documentava la
successiva
incidenza degli Academica sul pensiero di Montaigne, richiamandosi da un lato
agli studi di P. Villey sulle fonti degli Essais e dall’altro a Ch. B. Schmitt, Cicero
SceptiProprio
l’Apologie de Raymond Sebond, il testo che aveva portato secondo
Popkin la sfida scettica del XVI secolo al suo più alto ed argomentato
livello, costituiva una vistosa eccezione alla linea strettamente sestana
e pirroniana dello studioso americano. L’Apologie non si concludeva,
infatti,
con uno degli argomenti delle Ipotiposi pirroniane di Sesto – e
nemmeno con un argomento degli Academica – ma con una lunga
citazione
dal De E apud Delphos di un autore platonico come Plutarco, costruita
intorno a due frammenti eraclitei, il primo dei quali presentava
la celebre immagine del fiume4. La lunga citazione eraclitea, innestata
direttamente sugli argomenti sestani circa l’impossibilità di stabilire un
criterio razionale per dirimere le discordanze delle rappresentazioni
sensibili prodotte dall’applicazione dei tropi, portava le conclusioni
scettiche dell’Apologie al loro esito più radicale: “le jugeant et le jugé
estans en continuelle mutation et branle”, era la stessa relazione
conoscitiva
a venire meno5. Restringendo la sua analisi dell’Apologie ai soli
argomenti di Sesto, Popkin eliminava alla radice il problema del
rapporto
fra eraclitismo e scetticismo che era ben noto e discusso nella tra-
20 Giambattista Gori
cus. A Study of the Influence of the Academica in the Renaissance, The Hague,
Nijhoff,
1972). Per una discussione critica del metodo e dei risultati storiografici di Popkin
rinvio
al fascicolo monografico a lui dedicato: Histoire du Scepticisme de Sextus Empiricus
à Richard Popkin, “Revue de Synthèse” (119), 1998 e in particolare al contributo di F.
Brahami, L’articulation du scepticisme religieux et du scepticisme profane dans
l’Histoire
du Scepticisme d’Erasme à Spinoza, pp. 293-305, con il rilievo a Popkin di non aver
adeguatamente sottolineato la differenza profonda che divide lo scetticismo moderno
da quello antico, tema sviluppato da Brahami in altri suoi lavori: in Des Esquisses aux
Essais. L’enjeu d’une rupture (in Le Scepticisme au XVIe et XVIIe siècle, cit., pp. 121-
131) e soprattutto in Le travail du scepticisme. Montaigne, Bayle, Hume, Paris, P.U.F.,
2001, oltre che nella breve sintesi Le Scepticisme de Montaigne, Paris, P.U.F., 1997.
4 Cfr. Apologie de Raymond Sebond in Montaigne, Les Essais, éd. Pierre Villey, Paris,
PUF, Quadrige, 1999, t. II, p. 602: “Heraclitus, que jamais homme n’estoit deux
fois entré en mesme rivière”; l’altra citazione è: “comme disoit Heraclitus, la mort du
feu est generation de l’air, et la mort de l’air generation de l’eau”. La prima citazione
modifica leggermente il testo della traduzione di Amyot in cui Montaigne leggeva i
dialoghi di Plutarco (“car comme souloit dire Heraclitus, on ne peut pas entrer deux
fois en une mesme rivière”), mentre la seconda citazione coincide alla lettera. Cfr.
Que
signifioit ce mot Ei qui estoit engravé sur les portes du temple d’Apollo en la ville de
Delphe, in Les oeuvres morales et meslées de Plutarque, traduites du grec en
francois par
Messire Jacques Amyot, à Paris, 1572 (ma la mia citazione è dalla edizione di Lyon,
1611, t. II, p. 1138).
5 Montaigne, Les Essais, ed. cit., II, XII, t. II, conclusione del capoverso che congiunge
gli argomenti sestani alla citazione plutarchea (“Nous n’avons aucune communication
à l’estre [...] sans commencement et sans fin”), pp. 601-603.
dizione scettica antica e che sarebbe stato ripreso anche dalla critica
montaignana, attenta a valorizzare il momento eracliteo all’interno
degli
Essais; ma, quel che più conta, lo studioso americano veniva ad
escludere consapevolmente la variante eraclitea dalla storia dello
scetticismo
moderno, nella convinzione – certo in gran parte giustificata –
che a svolgere un ruolo determinante e ad avere un futuro fossero stati
i
formidabili argomenti sestani e non certo una scepsi legata al flusso
eracliteo6. La tesi di Popkin, imperniata sulla fortuna delle traduzioni
prima latine e poi in lingua volgare delle Ipotiposi pirroniane e
dell’Adversus
Mathematicos di Sesto Empirico, doveva risultare influente anche
sugli studi cartesiani dove il maggiore lavoro di sintesi sull’argomento –
Descartes against the Skeptics di E. M. Curley – avrebbe privilegiato
nettamente
l’indirizzo scettico pirroniano, che faceva di Montaigne un lettore
di Sesto e l’interlocutore principale di Descartes7. Ma anche la suc-
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 21
6 Riguardo all’eraclitismo di Montaigne, basti citare il suo più deciso assertore,
Marcel Conche che colloca l’Apologie in una direzione più vicina all’insegnamento
originario di Pirrone – una filosofia della pura apparenza – che non al fenomenismo
dualistico di Sesto, basato sulla distinzione fra apparenza e realtà. Montaigne riesce
nel tour de force di scavalcare la fonte sestana per ritrovare l’ispirazione del
pirronismo
originario. Conche può recuperare così la storia dello scetticismo di Popkin imperniata
sulla fortuna di Sesto, ma in senso negativo: la filosofia moderna è venuta a contatto
e ha discusso, attraverso Sesto, una deviazione del pirronismo originario,
accogliendone
l’impostazione dualistica. Si veda M. Conche, Montaigne et la philosophie, Villers-
sur-Mer, éd. du Mégare, 1987 e Idem, Pyrrhon ou l’apparence, Paris, P.U.F., 1994
(1a éd. du Mégare, 1973). Fra gli studi che più hanno sottolineato l’eraclitismo di
Montaigne, a volte valorizzato in base a una lettura fenomenologica come
dimensione
autentica del suo pensiero in opposizione ad uno scetticismo dottrinario: M. Merleau-
Ponty, Lecture de Montaigne, in “Les Temps Modernes”, 1947, poi in Idem, Signes,
Paris,
Gallimard, 1960, trad. it. a cura di A. Bonomi, Milano, Il Saggiatore, 1967, pp.
260-275; H. Friedrich, Montaigne, (1949), trad. fr. Paris, Gallimard, 1968, p. 151; A.
Thibaudet, Montaigne, Texte établi par Floyd Gray, Paris, Gallimard, 1963; M. Baraz,
L’Être et la connaissance selon Montaigne, Paris, Libr. Corti, 1968, cap. I; J.
Starobinski,
Montaigne en mouvement, Paris, Gallimard, 1982, trad. it., Bologna, Il Mulino, 1984,
in part. pp. 108-119; M. A. Schreech, Montaigne and Melancholy. The Wisdom of the
Essais, (Duckworth, 1983), Penguin Books, 1991, pp. 81-82, n. 1; ed ora anche F.
Brahami, Le Scepticisme de Montaigne, cit., in part. pp. 67-70.
7 E. M. Curley, Descartes against the Skeptics, cit., capp. 1 e 2, pp. 38-40. Si veda
anche M. Williams, Descartes and the Metaphysics of Doubt, in AA. VV., Essays on
Descartes’
Meditations, ed. by A. Oksenberg Rorty, Berkeley-Los Angeles, University of
California Press, 1986, pp. 117-139 e K. R. Westphal, Sextus Empiricus contra René
Descartes, “Philosophy Research Archives”, vol. XII, 1987-88, pp. 91-128
(sull’inefficacia
della risposta cartesiana alle difficoltà scettiche di Sesto).
cessiva rivalutazione della componente accademica nell’ambito degli
studi cartesiani e dell’età cartesiana non contribuiva certo a dare un
seguito
alla conclusione eraclitea dell’Apologie. Il ruolo svolto dalla
componente
accademica nell’Apologie e soprattutto nella Sagesse di Charron
nel preparare le premesse per la confutazione dello scetticismo ad
opera
di Descartes da un lato, e la ripresa dall’altro di uno scetticismo
accademico
in funzione anticartesiana nella seconda metà del Seicento venivano
a bilanciare l’egemonia sestana di Popkin senza lasciare peraltro
spazio
alla variante eraclitea8. In questo quadro il recente richiamo
all’eraclitismo
ad opera di due studiosi cartesiani come Jean-Pierre Cavaillé e
Geneviève Rodis-Lewis presenta una interessante eccezione che
merita
di essere ripresa e approfondita. L’eraclitismo era recuperato da
Cavaillé
nel quadro della crisi scettica propria della cultura barocca, cultura
dell’apparenza,
della trompérie, della finzione e anche della fable. All’interno
della crisi barocca il marchio eracliteo è riconoscibile nell’immagine
del flusso universale, della dispersione e dell’écoulement che
imprimevano
un connotato inequivocabilmente scettico alla conoscenza umana,
incapace di andare oltre il fluire delle apparenze9. Descartes
condivideva
il gusto e il fascino dei suoi contemporanei per queste immagini legate
alla fluidità, ma se ne appropriava nell’intento di combatterne lo
scetticismo latente attraverso la costruzione di una rappresentazione
del
mondo fornita di verità10. Cavaillé non mancava di segnalare la
pervasività
di questi temi che eccedevano l’ambito della cultura istituzionale
22 Giambattista Gori
8 J. Maia Neto, Academic Scepticism in Early Modern Philosophy, “Journal of the
History of Ideas”, 1997, pp. 199-220 e Idem, Charron’s épochè and Descartes’
Cogito:
the Sceptical base of Descartes’ refutation of Scepticism, Atti del convegno
internazionale
“Il ritorno dello scetticismo. Da Descartes a Bayle”, cit. Gli studi di Maia Neto
rinviano,
oltre che a Popkin e in particolare al suo breve e incisivo Charron and Descartes:
the Fruits of Systematic Doubt, “The Journal of Philosophy”, (LI), 1954, pp. 831-837,
agli studi fondamentali di Ch. B. Schmitt e soprattutto al suo Cicero Scepticus. Non va
dimenticato il confronto fra Carneade e Descartes istituito da P. Couissin, Travaux du
IXe Congrès International de Philosophie – Congrès Descartes, III, Paris, 1937, pp.
9-16; per gli studi sullo scetticismo accademico in ambito antico si vedano C. Lévy,
Cicero Academicus. Recherches sur les Academiques et sur la philosophie
cicéronienne,
École française de Rome, Palazzo Farnese, 1992; AA. VV., Assent and Argument.
Studies
in Cicero’s Academic Books, ed. by B. Inwood and J. Mansfeld, London, Brill,
1997.
9 J.-P. Cavaillé, Descartes. La fable du Monde, Paris, Vrin, 1991, pp. 9-10, 91, 171-
173.
10 J.-P. Cavaillé, Descartes, cit., pp. 153, 168-174 e 169 in particolare.

per diventare luoghi comuni ampiamente sfruttati da autori di diverso


orientamento filosofico e confessionale e che trovavano nella grande
conclusione dell’Apologie il loro locus classicus11. Alla conclusione
dell’Apologie
si è richiamata negli ultimi anni anche Geneviève Rodis-
Lewis a proposito di un nodo nevralgico della metafisica cartesiana
rappresentato
dal dubbio iperbolico, dal Cogito e dall’idea di Dio12.
L’aspetto storiograficamente interessante di tale richiamo era che
l’eraclitismo
entrava in tal modo a far parte dello sfondo scettico in cui si
collocava la ricerca cartesiana e da cui la linea sestana di Popkin lo
aveva
invece tenuto escluso. Tali richiami richiedono nondimeno alcune
precisazioni di carattere storiografico e concettuale in relazione ai testi
cartesiani da un lato e dall’altro al modo in cui la variante eraclitea era
stata accolta ed elaborata dagli autori precedenti Descartes. Quello
che
si può chiamare convenzionalmente l’eraclitismo è infatti nozione tanto
eterogenea e composita quanto generica. Esso è il risultato di una
semplificazione arbitraria del pensiero del grande presocratico alla sola
immagine del flusso, legata ad una lettura unilaterale di frammenti
come
quelli citati dal De E di Plutarco (Diels-Kranz, Die Fragmente der
Vorsokratiker, fr. 91). Così semplificato, l’eraclitismo può coprire anche
la variegata serie di teorie legate all’idea di flusso e di scorrimento
presenti
nella filosofia antica le quali, pur non dipendendo dall’insegnamento
eracliteo, avevano contribuito poi ad alimentarne la diffusione e
la pervasività. Per questo effetto congiunto di semplificazione e
assimilazione,
l’eraclitismo richiede quindi, come e più di ogni altro “ismo”,
un costante controllo testuale e dei contesti in cui viene impiegato.
Cautela metodologica e consapevolezza critica non devono d’altra
parte
operare come un deterrente. Le vicissitudini dell’eraclitismo nel secolo
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 23
11 J.-P. Cavaillé, Descartes, cit., pp. 31, 173 n. 2, 171 n. 3, 172 n. 1; come esempio
della pervasività di questo tema, Cavaillé indica (171 n. 2), oltre al Traité de la
constance
di Du Vair (172 n. 1) e a Héraclite, ou la vanité et misère de la vie humaine,
Rouen, 1615, del pastore protestante Pierre Du Moulin, la dedica latina della licenza
in utroque iure sostenuta dal giovane Descartes a Poitiers nel 1616, verosimilmente
per la frequente occorrenza di metafore aquee ispirate dal nome del destinatario,
l’oncle
René Brochard, “Seigneur des Fontaines” (si veda il Bulletin Cartésien, in “Archives
de Philosophie”, 1987 e il relativo commento nelle “Nouvelles de la Republique des
Lettres”, 1988, pp. 123-145).
12 G. Rodis-Lewis, Doute pratique, doute speculatif chez Montaigne et Descartes, in
Le développement de la pensée de Descartes, cit., pp. 103-105; temi presenti anche
in L.
Brunschvicg, Descartes et Pascal lecteurs de Montaigne, cit.
decisivo che va da Montaigne a Bayle costituiscono un interessante
tema
di ricerca per lo storico dello scetticismo moderno. Il fatto che
quest’ultimo
si sia sviluppato intorno alle componenti pirroniana e accademica,
valorizzate da Popkin e Schmitt, non deve far dimenticare che ai
suoi inizi, con Montaigne, esso era ancora aperto a diverse opzioni e
che fra queste vi era anche quella eraclitea. Una maggiore attenzione
alla
vicenda dell’eraclitismo e al suo intreccio con la scepsi nell’età fra
Montaigne e Descartes contribuirebbe forse a chiarire le ragioni
dell’apparente
declino di quello che l’Apologie presentava ancora a fine
Cinquecento come il culmine della crisi scettica. È in questa fase che si
prepara la crisi e la trasformazione della variante eraclitea con la
conseguente
esclusione di una possibile “High Road to Heracliteanism” in
luogo di una “High Road to Pyrronism”. L’ipotesi di questo articolo è
che Descartes abbia contribuito a determinare un ridimensionamento
dell’eraclitismo come variante scettica a vantaggio delle componenti
pirroniana e academica. La variante eraclitea non sfuggì al
ripensamento
cui le categorie scettiche furono sottoposte da Descartes, che assegnò
ad esse un ruolo subordinato rispetto a quello di primo piano svolto
nell’Apologie e in altri saggi di Montaigne. A questo ridimensionamento
non fu estranea l’immagine relativamente debole e composita
dell’eraclitismo
presente a Descartes. Questa immagine non dipendeva ovviamente
solo da Montaigne, ma anche dai suoi diretti prosecutori e in
particolare da Charron. Inoltre, non va trascurato l’apporto della
cultura
istituzionale, sotto forma dei commenti scolastici al testo aristotelico,
nel presentare a Descartes una immagine dell’eraclitismo ormai
cristallizzata
da una plurisecolare tradizione di commentatori, che ne aveva
trasformato il significato e ridimensionata la importanza.
2. Innestando senza apparente soluzione di continuità gli argomenti
scettici delle Ipotiposi sulla conclusione eraclitea dell’Apologie,
Montaigne
orientava quest’ultima in senso scettico, facendo al tempo stesso
della idea di flusso l’esito naturale della scepsi. Quest’ultima non
costituiva
più un procedimento fine a se stesso, ma richiedeva un’ontologia
mobilista che finiva col sottendere gli argomenti sestani. Montaigne
stabiliva così una sostanziale convergenza fra due indirizzi che Sesto
Empirico aveva tenuto a distinguere nettamente (PH, I, 210-212) e
che apparivano divisi da sostanziali divergenze di ordine metodico e di
finalità. Il primo aveva nei tropi e negli altri argomenti sospensivi,
come
il diallele e il regresso all’infinito, un insieme di tecniche perseguite
24 Giambattista Gori
metodicamente dallo scettico per uscire, con la sospensione del
giudizio,
dallo stato di incertezza e di turbamento indotto dalle affermazioni
contrastanti dei dogmatici. Nel caso di una teoria come quella del
flusso,
invece, l’esito scettico non era raggiunto in base a particolari tecniche
argomentative, ma attraverso una determinata affermazione sulla
realtà – il fluire di tutte le cose – che investendo i termini della
relazione
conoscitiva – “il giudicante e il giudicato”, come dice Montaigne –
rende impraticabile la conoscenza. La teoria del flusso era
recuperabile,
entro determinati limiti, all’interno dei tropi e poteva contribuire a
smuovere la fiducia dogmatica circa l’apprensibilità delle cose. D’altra
parte, affermata come dottrina autonoma, essa appariva allo scettico
come una delle tante affermazioni dogmatiche sulla natura della realtà
da cui liberarsi attraverso una salutare epoché. Il limite oltre il quale lo
scettico non poteva seguire i teorici del flusso era costituito
precisamente
dalla definizione e dalla portata del movimento: accettabile in
termini fenomenici in quanto empiricamente constatabile attraverso i
suoi effetti riscontrabili nelle variazioni intervenute nella percezione di
un determinato oggetto, il moto non lo è più e rientra negli ádela, nelle
cose non evidenti, quando viene assunto in termini assoluti. Così
inteso,
il flusso pregiudica quel minimo di stabilità e di determinazione dei
fenomeni richiesto dallo scettico per instaurare la sequenza che porta
alla sospensione del giudizio attraverso l’equipollenza dei contrari. Per
questo, nel passo in cui discuteva l’affermazione attribuita a
Enesidemo
secondo la quale lo scetticismo è una via che porta alla filosofia
eraclitea,
Sesto era stato ben attento a mantenere, accanto all’impossibilità di
dogmatizzare sulla natura delle cose, la tesi di una loro parziale
determinazione:
queste producono affezioni simili in individui diversi, a
condizione che costoro si trovino ad avere disposizioni simili. (PH, I,
211). A dispetto di queste divergenze di metodo e di finalità,
Montaigne
ricostruiva un quadro della filosofia antica improntato alla idea di
flusso e di scorrimento della materia del tutto opposto a quello
delineato
da Sesto. Sollecitate con abilità, le fonti restituivano una situazione
del pensiero antico allo stato fluido dalla quale riemergevano strati
profondi e tracce del dibattito secolare che aveva visto l’intreccio fra
argomenti
scettici e teoria del flusso.
La conclusione dell’Apologie recuperava il motivo del flusso
principalmente
– anche se non esclusivamente – attraverso una lunga citazione
dal De E apud Delphos, uno dei dialoghi delfici di Plutarco, e più
precisamente, dal discorso conclusivo di Ammonio, maestro di Plutar-
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 25
co, che spiegava ai suoi interlocutori come ‘e�’, ‘tu sei’,
l’unica formula appropriata con cui il fedele poteva rivolgersi al dio per
affermarne gli attributi di essere, unicità, eternità (392 a - 393 b). Da
questi attributi si trovavano esclusi, per contrasto, le nature mortali e
la
conoscenza sensibile, sottoposte al flusso incessante che caratterizza il
livello degli esseri appartenenti al mondo fenomenico, in base a una
gerarchia
ontologica d’intonazione medioplatonica comune ad un’altra
fonte importante per il nostro argomento, l’Epistola ad Lucilium (58,
22-24) di Seneca13. Il recupero del frammento eracliteo sul fiume si
collocava nella parte introduttiva del discorso di Ammonio per sancire,
come già in Seneca, la dispersione cui è sottoposto l’essere dell’uomo
nel corso della sua esistenza, in un contesto segnato dall’avvicendarsi
di
nascite e morti che nel secondo frammento eracliteo citato da Plutarco
(Diels-Kranz, fr. 76) investiva anche la fisica degli elementi14.
Attraverso
Plutarco, Montaigne veniva a contatto con una fonte che, in forza
della sua ascendenza platonica, aveva assimilato flusso eracliteo e
scepsi
in forme diverse e stratificate che i testi plutarchei, e in particolare il
De
E, ora restituivano. Intanto, nel discorso di Ammonio era evidente il
legame
fra il fluire continuo del reale e la conseguente incertezza della
sensazione come strumento conoscitivo, in base a una argomentazione
che l’Accademia scettica aveva fatta propria già con Arcesilao15. Il
flusso
offriva un comodo sostegno a conclusioni scettiche anche circa la
impossibilità
per la ragione, alle prese con la materia che scorre e con la
suddivisione incessante del tempo, di attribuire proprietà univoche al-
26 Giambattista Gori
13 Per un confronto dei due testi si v. la recente esposizione di F. Ferrari, Dio, idee e
materia. La struttura del cosmo in Plutarco di Cheronea, Napoli, D’Auria, 1995, pp.
53-54, 61 e n. 70, p. 68.
14 Seneca, Ad Luc., 58, 23: “Hoc est quod ait Heraclitus: ‘in idem flumen bis
descendimus
et non descendimus’. Manet enim idem fluminis nomen, aqua transmissa est”.
15 Su Plutarco, lo scetticismo e la tradizione dell’Accademia scettica in particolare,
v. J. Schroeter, Plutarchs Stellung zur skepsis, [1911], rist. New-York-London, 1987; P.
De Lacy, Plutarch and the Academic Scepticism, “Classical Journal”, 49-50, 1953, pp.
79-85; P. L. Donini, Lo scetticismo academico, Aristotele e l’unità della tradizione
platonica
secondo Plutarco, in Storiografia e dossografia nella filosofia antica, a cura di G.
Cambiano, Tirrenia Stampatori, 1986, pp. 203-226; su Plutarco, Ammonio e lo sfondo
accademico, si v. P. L. Donini, Plutarco, Ammonio e l’Accademia, “Miscellanea
Plutarchea”,
Ferrara, 1986, pp. 97-110; H. Tarrant, Scepticism or Platonism. The Philosophy
of Fourth Academy, Cambridge, Cambridge U. P., 1985, pp. 79-82 e pp. 133-
134 in particolare.
le cose naturali: non vi può essere niente di stabile se ciò che è
misurato
e ciò che misura si trovano sottoposti a una dispersione continua
(393 a)16.
Il tema del flusso aveva avuto inoltre ampi sviluppi attraverso il
dibattito
sulla “materia scorrevole” rilanciato soprattutto per impulso
dell’Accademia
scettica fra II e I secolo a.C., dibattito che aveva costretto
le scuole rivali, e in particolare quella stoica, a elaborare risposte in
grado
di controbattere tali difficoltà17. Una di queste utilizzava la teoria
del flusso per mettere in discussione l’identità delle cose attraverso
l’argomento
della crescita (auxanómenos lógos), attribuito al commediografo
Epicarmo, in base al quale l’aggiunta o la sottrazione di parti modifica
la natura e l’identità del composto per cui anche il singolo individuo,
sottoposto a continui aumenti e diminuzioni di materia, poteva
essere suddiviso in una serie temporale di individui fra loro distinti.
Nella versione comica dell’argomento dell’uomo che cresce, Epicarmo
metteva in scena il caso del debitore che non riteneva di dover pagare
il
proprio debito accampando il pretesto di essere ormai diventato un
diverso
e nuovo individuo. Così era presentato l’argomento in un altro
dialogo plutarcheo, il De sera numinis vindicta (559 b) – non senza un
richiamo al fiume eracliteo – ma lo stesso Plutarco ne presentava altre
varianti in una delle Vite Parallele, la Vita Thesei (23), con l’esempio di
un manufatto – la nave di Teseo ormai in disarmo – le cui parti fossero
state gradatamente sostituite.
Questi sviluppi della teoria del flusso e delle sue negative implicazioni
conoscitive erano, nondimeno, antichi nell’Accademia e trovava-
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 27
16 Cfr. anche il Commento anonimo al Teeteto, importante per la conoscenza del
dibattito
sullo scetticismo nel I secolo a.C. secondo una prospettiva platonica: “Dal fatto
che ogni cosa è in flusso segue che nulla è stabile o identico – infatti, né ciò che
giudica,
né ciò che è giudicato lo sono”. Mio il corsivo. Il Commento già edito da Diels e
Schubart (Berlin, 1905) è stato di recente presentato nel “Corpus dei Papiri filosofici
greci e latini”, a cura di G. Bastianini, con il commento di D. Sedley, Parte III, Firenze,
Olschki, 1995, col. LXIV, 1-5, pp. 438-439, per questa citazione.
17 Su questo argomento si v. l’importante ricostruzione di F. Decleva Caizzi, La
“materia
scorrevole”. Sulle tracce di un dibattito perduto, in Matter and Metaphysics, ed. by J.
Barnes and M. Mignucci, Napoli, Bibliopolis, 1988, pp. 427-470; pp. 452-453 e n. 27
in riferimento a Plutarco e pp. 451-452 per il passo del Commento anonimo al
Teeteto.
Per le risposte stoiche all’uso scettico della teoria del flusso in relazione
all’argomento
della crescita è fondamentale D. Sedley, The Stoic Criterion of Identity, “Phronesis”,
(XXVII),
1982, pp. 255-275, utile anche per i riferimenti agli sviluppi del tema in età moderna
(su cui si vedrà più avanti).
no il loro principale testo di riferimento nel Teeteto dove simili
argomenti
erano stati ampiamente sviluppati da Socrate in funzione
antiprotagorea.
Ciò che più importa, il Teeteto presentava la tesi che all’origine
del relativismo protagoreo e dei suoi esiti negativi per la conoscenza
vi fosse, al fondo, la teoria eraclitea del flusso, offrendo in tal modo
una importante premessa e future genealogie dello scetticismo che
avrebbe pesato a lungo18. Questo portava però a una presentazione del
fiume eracliteo come mero flusso in chiave relativistico-scettica che
doveva
trovare la sua espressione più radicale nel gesto, riportato da
Aristotele,
con cui Cratilo, rinunciando al linguaggio, additava in silenzio
le cose nell’impossibilità di attribuire ad esse predicati univoci.
Se si tiene conto di questo intreccio di fonti e di argomenti legati
all’idea
di flusso, il recupero nello strato (b) dell’Apologie dell’argomento
di Epicarmo nella versione trasmessa dal De sera appare come un
complemento
necessario alla ricostruzione, su cui la ulteriore citazione (c)
dal Teeteto (152 e) sulla pervasività dell’idea di flusso nel pensiero
greco
poneva una sorta di suggello finale. Procedendo a ritroso, Montaigne
ritrovava così la fonte originaria e accoglieva la testimonianza che
attribuiva
la teoria del flusso a tutti i filosofi, con l’eccezione del solo Parmenide,
e a poeti come Omero ed Epicarmo (qui omesso da Montaigne
perché già citato in (b)). D’altra parte l’assunzione della teoria del
flusso come categoria dominante della scepsi antica era tale da indurre
fin dall’inizio una lettura rovesciata della stessa fonte sestana da parte
di
Montaigne, con il recupero di una di quelle citazioni con cui le Ipotiposi
avevano introdotto la teoria del flusso per controbattere una
determinata
tesi dogmatica, in modo da produrre la discordanza necessaria alla
28 Giambattista Gori
18 La dipendenza da questa impostazione è evidente in un platonico come
Cudworth che collocherà all’origine del relativismo protagoreo la teoria eraclitea del
flusso e presenterà gli eraclitei come veri e propri scettici; v. R. Cudworth, The True
Intellectual System of the Universe, [1678], repr. Garland, New-York and London, p.
735; A Treatise concerning Eternal and Immutable Morality, ed. by S. Hutton,
Cambridge,
Cambridge U. P., 1996, p. 32 (“it is evident from Plato’s writings that Protagoras
laid his foundation in the Heraclitical Philosophy”); su questa base, Protagora
avrebbe poi sovrapposto l’antica filosofia atomistica fenicia (pp. 33-34). È importante
notare (p. 45) che Cudworth, interpretando Protagora attraverso la testimonianza
tarda
di Sesto (PH, I, 217), gli attribuisce sulla scorta della sua fonte una ontologia della
“materia scorrevole”. Sulla fortuna di Eraclito nel tardo Seicento, si v. I. Baldo,
Eraclito
nella storiografia filosofica inglese e olandese del Seicento e M. Longo, L’immagine di
Eraclito nella storiografia filosofica moderna, in Atti del Symposium Heracliteum,
1981,
Roma, Ed. dell’Ateneo, 1984, vol. II, pp. 19-27 e pp. 29-38.
sospensione del giudizio19. Inoltre, se, come appare verosimile, è a
Protagora
e non a Pitagora che occorre attribuire la tesi della “matiere coulant
et labile”, Montaigne non si era lasciato nemmeno sfuggire un testo
emblematico del dibattito sulla “materia scorrevole”, come un passo
delle Ipotiposi (PH, I, 217) che sovrapponeva ormai al relativismo
protagoreo
una più tarda ontologia mobilista dalle non dissimulate implicazioni
conoscitive20.
Françoise Joukovsky ha messo in luce come la conclusione
dell’Apologie,
attraverso Plutarco, costituisca l’esito più elaborato di una lettura
del flusso eracliteo in termini scettici diffusa nel pensiero
rinascimentale
francese. È nel corso del XVI secolo, infatti, che accanto all’immagine
di Eraclito filosofo del logos e del fuoco si afferma anche la sua
rappresentazione
scettica, soprattutto attraverso i commenti al Cratilo e al
Teeteto platonici, oltre che alla Fisica e alla Metafisica di Aristotele, che
ne sottolineavano le conseguenze assurde e le aporie conoscitive21.
Tuttavia
la stessa Joukovsky ha rilevato come la conclusione dell’Apologie,
pur figurando a buon diritto come testo emblematico del flusso
universale,
non si risolvesse in una semplificazione unilaterale della dottrina
eraclitea e non trascurasse del tutto una sua importante componente
come la fisica degli elementi. Nell’Apologie, al frammento sul fiume
seguiva
infatti, come già in Plutarco, un secondo frammento sull’avvicendarsi
degli elementi – “comme disoit Heraclitus, la mort du feu est
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 29
19 Montaigne, Essais, cit. t. II, II, XII, p. 601: “Platon disoit que les corps n’avoient
jamais existence, ouy bien naissance”. Cfr. Sesto Empirico, PH, III, 54 (in riferimento
a Teeteto, 152 e): “Plato calls bodies things which are coming into being but
never exist” (Sextus Empiricus, Outlines of Scepticism, ed. by J. Annas and J. Barnes,
Cambridge, Cambridge U.P., p. 158). Cfr. anche PH, III, 115 seguito dal riferimento
ad Eraclito e al fiume; III, 82 introduce il flusso in relazione “all’accrescimento e alla
diminuzione” e riporta (83) l’argomento della crescita.
20 È con questo testo protagoreo delle Ipotiposi (PH, I, 217-219) che si apre e si
conclude la ricostruzione di F. Decleva Caizzi, art. cit., p. 427 e pp. 461-469, in
riferimento
anche a M, VIII, 7 e ad Asclepiade di Bitinia come probabile fonte o tramite
del passo in questione.
21 F. Joukovsky, Le Feu et le Fleuve. Heraclite et la Renaissance française, Genève,
Droz, 1991; della stessa autrice è importante: Montaigne et le problème du temps,
Paris,
Nizet, 1972. Sul motivo dell’estetica dell’écoulement in ambito rinascimentale: M.
Jeanneret, Perpetuum mobile. Métamorphoses des corps et des oeuvres de Vinci à
Montaigne,
Paris, Macula, 1997, e L’imaginaire du changement en France au XVIe siècle, éd.
par C.-G. Dubois, Bordeaux, P. U. Bordeaux, 1984, in particolare G. Nakam,
Montaigne
et les mythes du changement chez ses contemporains, pp. 279-302.
generation de l’air, et la mort de l’air generation de l’eau” – da cui
risultava
che il flusso universale non era che una conseguenza delle incessanti
generazioni degli elementi l’uno dall’altro, la traduzione più manifesta
di un andamento che scandisce il ritmo della compagine del
mondo e a cui sono sottoposte tutte le cose22.
Così, la conclusione dell’Apologie non si riduceva esclusivamente al
flusso universale, ma presentava anche un’altra componente eraclitea,
traducibile questa volta nella metafora del “monde-branloire”, della
oscillazione continua destinata a trovare nel celebre inizio del Du
repentir
la sua espressione più calzante23. È noto, anzi, come sia stato a ragione
indicato nella metafora del “monde-branloire” il motivo unificante
degli Essais e come sia in questa direzione piuttosto che nella lettura
convenzionale e scettica del fiume eracliteo che vada cercato il punto
di
contatto fra Montaigne e il filosofo di Efeso24. L’immagine del branle,
della oscillazione, trasmette infatti l’idea di un universo in cui stabilità
30 Giambattista Gori
22 F. Joukovsky, Le Feu et le Fleuve, cit., pp. 92-94.
23 Montaigne, Essais, cit., III, II; t. III, pp. 804-805: “Le monde n’est qu’une branloire
perenne. Toutes choses y branlent sans cesse: la terre, les rochers du Caucase, les
Pyramides d’Ægypte, et du branle public et du leur”. La citazione delle piramidi come
esempio di mutamento, come ha notato M. A. Schreech, Montaigne and Melancholy.
The Wisdom of the Essays, London, Duckworth, 1983, Penguin Books, 1991, p. 82, n.
1, si trovava già in Erasmo, nel suo commento al Salmo XXXVIII, Dixi custodiam, in
Opera Omnia, Lugduni Batavorum, 1703-1706, tomus quintus, p. 461 E: “Ubi sunt
nunc Memphiticae Pyramides, ubi Fornices, et Arcus triumphales? Ubi Colossi?” per
concludere che non vi è nulla di stabile all’infuori dello spirito di Cristo su di noi.
24 Si v. l’analisi di O. Naudeau, La pensée de Montaigne et la composition des Essais,
Genève, Droz, 1972, pp. 64-75 (ma si v. tutto il ch. I), che respinge, proprio a partire
dalla citazione dell’inizio di Du repentir, l’interpretazione corrente di Montaigne come
pensatore del flusso universale per affermare invece il branle come motivo centrale
degli
Essais. Sulla compenetrazione fra esperienza immediata del flusso e suo arresto
attraverso
l’attività riflessa della coscienza – che sarà fondamentale per il pensiero successivo
a Montaigne – ha pagine efficaci J. Starobinski, Montaigne, trad. it. cit., pp.
298-301 soprattutto in relazione a De l’experience, Essais, III, XIII; ed. cit., III, pp.
1111-1112: “je veux arrester la promptitude de sa [della vita] fuite par la
promptitude
de ma saisie”. Sulla necessità di rintracciare nella compenetrazione fra flusso e
permanenza
– e non nella immagine del fiume consegnata nel fr. 91 – il motivo della effettiva
convergenza fra Montaigne e il pensiero di Eraclito, al di là dell’accesso parziale che
il primo poteva avere ai frammenti del secondo, ha insistito P. Henry, Montaigne and
Heraclitus: Pattern and Flux, Continuity and Change in Du Repentir, “Montaigne
Studies”,
September 1992, pp. 7-18. Per una breve rassegna sulla presenza di Eraclito in
Montaigne, si v. M. Markoulakis, Heraclite chez Montaigne, “Bulletin de la Société des
Amis de Montaigne”, n. 11-12, 1982, pp. 81-89.
e mutamento sono complementari in base a quella unità dei contrari
che risponde al senso originario dei frammenti eraclitei sul fiume25.
La conclusione dell’Apologie, generalmente considerata come luogo
del flusso eracliteo per antonomasia, si rivela ad un esame più
ravvicinato
delle fonti come un testo molto composito e come un concentrato
di problemi teorici che gli sviluppi successivi avrebbero isolato e
differenziato.
In particolare, quel testo presentava subito un problema di
compatibilità fra la teoria del flusso e l’esercizio dell’epoché destinato
a riflettersi sugli immediati successori di Montaigne. In precedenza,
l’Apologie aveva indicato nell’esercizio dell’epoché il procedimento
capace
di sottrarre il giudizio all’estrema variabilità del reale. Proprio perché
il nostro giudizio aderisce spontaneamente ad ogni mutevole aspetto
del reale, la sospensione degli antichi scettici viene indicata come la
più
sicura condizione che ci premunisce da un giudizio inevitabilmente
fallace,
decisione che è sempre possibile attraverso l’impulso (branle)
dell’anima
che ci porta a sospendere il giudizio26. D’altra parte, in un’anima
che per la sua incessante mobilità inevitabilmente propende e
aderisce,
il fine non può essere costituito dall’immobilità del giudizio degli
antichi scettici, quanto da una relativa fermezza di opinione che si può
realizzare attraverso l’adesione ad un sistema di credenze trasmesso e
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 31
25 Si v. l’analisi di P. Henry, art. cit., che privilegia, rispetto al discusso fr. 91
trasmesso
da Plutarco, il fr. 12 in Diels-Kranz, in quanto traduce il principio di un’unità
strutturale che sottende lo scorrere delle acque: “il fiume in cui entrano è lo stesso,
ma
sempre altre sono le acque che scorrono verso di loro”. Marcovich nella sua editio
maior dei frammenti eraclitei (p. 194) pone questo frammento all’origine dello
stemma
di trasmissione dei frammenti sul motivo del fiume e non riconosce (p. 211) al
frammento plutarcheo di De E, 392 b nessun valido materiale eracliteo. Ma la
questione
è ovviamente molto controversa. È significativo che il fiume, nel senso preciso
di questo frammento e cioè come unità dell’identico e del diverso, ritorni in alcuni
versi di La Boëtie (“Toujours l’eau va dans l’eau, et toujours est-ce / Mesme ruisseau
et toujours eau diverse”), citati nel saggio De l’Experience per rappresentare questa
volta
il moto incessante e irregolare dell’esprit, le cui idee si succedono e si producono
l’una dall’altra. La contrarietà di identico e diverso riguarda qui il flusso delle idee
della
mente che, non diversamente dal corso d’acqua, rimane la stessa attraverso lo
scorrere
delle sue idee. Cfr. Essais, III, XII; ed. cit., t. III, pp. 1068-1069. È evidente
l’importanza
di questo passo per gli sviluppi della teoria cartesiana della mente.
26 Montaigne, Essais, II, XII, Apologie, cit., t. II, p. 578: “Les Pyrrhoniens, quand
ils disent que le souverain bien c’est l’Ataraxie, qui est l’immobilité du jugement, ils
ne
l’entendent pas dire d’une façon affirmative; mais le mesme bransle de leur ame qui
leur
faict fuir les precipices et se mettre à couvert du serein, celuy là mesme leur
presente
cette fantasie et leur en faict refuser une autre”. Mio il corsivo.
accettato per tradizione, al di fuori del quale siamo destinati a rotolare
senza posa27. Su queste premesse, il finale dell’Apologie, senza negare
esplicitamente l’epoché, accentuava fortemente la passività della
facoltà
di giudicare nei confronti della mobilità del reale e non risparmiava più
di altre facoltà quella che occupa “un siège magistral”28. È significativo
che gli argomenti sestani tratti dal “criterio secondo il quale” (PH, II,
78) sull’impossibilità per la ragione di discriminare fra molteplici
rappresentazioni
sensibili, invece di concludere come in Sesto a favore dell’inevitabile
sospensione, vedano anche il giudizio rinviato senza posa
da una scelta all’altra e sottoposto a quello scorrere che investe tutte
le
cose mortali29. I fenomeni ci sono dati soltanto in una delle
innumerevoli
fasi del loro fluire e anche il discorso su di essi o qualsiasi decisione
teorica – anche quella di sospendere il giudizio – subisce la presa del
flusso universale. Se sotto i piedi dello scettico scorre il fiume eracliteo,
la decisione di sospendere diventa impraticabile e viene meno la
possibilità
di trascendere il corso universale delle cose attraverso questa
risoluzione.
3. La complessa eredità degli Essais va incontro ad una rapida
trasformazione,
già evidente in Charron e tanto più rilevante se si considera il
crescente ruolo accordato alla Sagesse nella formazione del giovane
Descartes30.
Da un lato, la Sagesse determina una netta selezione delle te-
32 Giambattista Gori
27 Montaigne, Essais, II, XII, cit., t. II, p. 569: “Or de la cognoissance de cette
mienne volubilité j’ay par accident engendré en moy quelque constance d’opinions,
et
n’ay guiere alteré les miennes premieres et naturelles. Car, quelque apparence qu’il
y
ayt en la nouvelleté, je ne change pas aisément, de peur que j’ay de perdre au
change.
Et, puis que je ne suis pas capable de choisir, je pren le chois d’autruy et me tien en
l’assiette où Dieu m’a mis. Autrement, je ne me sçaurois garder de rouler sans
cesse”.
Miei i corsivi.
28 Montaigne, Essais, III, 13, (“De l’experience”), cit., p. 1074. Cfr. R. C. La Charité,
The Concept of Judgement in Montaigne, Nijhoff, The Hague, 1968; introduzione
e p. 8 in particolare.
29 Montaigne, Essais, II, XII, cit., p. 601: “Et nous, et nostre jugement, et toutes
choses mortelles, vont coulant et roulant sans cesse. Ainsin il ne se peut estabilir rien
de certain de l’un à l’autre, et le jugeant et le jugé estans en continuelle mutation et
branle”. Qui nel suo senso limitato di giudizio teorico sul vero e sul falso, non come
facoltà di deliberare, come chiarisce R. C. La Charité, The Concept of Judgement in
Montaigne, cit., pp. 40-41.
30 Già riconosciuto nella storiografia cartesiana, almeno a partire da Gilson, il ruolo
di Charron ha trovato un complemento storico con la recente scoperta di
un’edimatiche
legate al flusso eracliteo, dall’altro, quando queste sono conservate,
vengono fatte rientrare nel progetto di costruzione della sagesse. In
questo senso, anche l’eraclitismo rientra in quelle nozioni di
derivazione
montaignana in cui l’identità delle formule nasconde un cambiamento
di significato, contribuendo per la sua parte a sottolineare l’irriducibilità
del progetto charroniano nei confronti del suo modello31. La
selezione si esercita proprio nei confronti dei passaggi chiave sul flusso
eracliteo con le corrispondenti implicazioni scettiche di derivazione
plutarchea, platonica e sestana che tanto avevano pesato nel finale
dell’Apologie a tutto vantaggio del motivo montaignano del branle,
dell’oscillazione
perpetua del mondo. Il conseguimento di quella universale
e piena libertà d’esprit che è uno dei requisiti della sagesse ha infatti
come sfondo non lo scorrere del fiume eracliteo e la lunga citazione
plutarchea dal De E con le conseguenze scettiche che abbiamo visto,
ma un luogo precedente dell’Apologie, tutto concentrato sull’estrema
variabilità delle opinioni intorno alla compagine, età, eternità del
mondo,
secondo le molteplici definizioni offerte da una eterogenea tradizione
di filosofi, poeti e sapienti32. Affinché l’esprit humain impari a man-
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 33
zione della Sagesse con dedica latina al giovane Descartes da parte del padre gesuita
J.
B. Molitor sul finire dell’anno 1619 (segnalata da F. de Buzon, Bulletin Cartésien, XX,
in “Archives de Philosophie”, 1992 e commentata da G. Rodis-Lewis, Bulletin
Cartésien,
XXI, “Archives de Philosophie”, 1994, pp. 4-9, che l’avrebbe prontamente utilizzata
nella ricostruzione della terza parte del Discours de la Méthode, nel suo Descartes.
Biographie, Paris, Calmann-Lévy, 1995, pp. 71-76. Si v. anche M. Adam, René
Descartes
et Pierre Charron, in “Revue Philosophique”, 4/1992, pp. 467-483).
31 Si vedano al riguardo i recenti contributi coordinati da M. L. Demonet, Montaigne
et la question de l’homme, Paris, P.U.F., 1999 e in particolare i saggi della stessa
Demonet, Les propres de l’homme chez Montaigne et Charron, pp. 47-84 e di T.
Gontier,
Charron face à Montaigne, pp. 103-143.
32 Charron, De la Sagesse, “Corpus des OEuvres de Philosophie en langue française”,
Paris, Fayard, 1986, che riproduce la seconda edizione (B, Paris, 1604) con il testo
della prima edizione (A, Bordeaux, 1601) a fondo pagina ogni volta che siano
intervenute
varianti; cfr. L. II, ch. II, pp. 407-409 che termina con la citazione (B, 409)
con cui iniziava questo lungo passo dell’Apologie: “Que ce grand corps, que nous
appelons
le monde, n’est pas ce que nous pensons et jugeons” (ed. cit., II, p. 572), in base
a un libero rimaneggiamento del testo montaignano, abituale in Charron. V. ad es.
“Platon dit que le monde change de visage en tous sens” (p. 408), posposto da
Charron
che inizia invece (A, 394; B, 407) con il secondo esempio dell’Apologie (ibidem, p.
572): “Les prestes Ægyptiens dirent à Herodote que depuis leur premier Roy [...] le
soleil avoit changé quatre fois de route”. Charron lascia inoltre cadere la
conflagrazione
universale di Eraclito, citata poco dopo dall’Apologie (ibidem, p. 572). Sul tema del
tenere la propria libertà e indifferenza è sufficiente porre mente alla
incessante
vicissitudine del mondo che né nel suo insieme né nelle sue
parti rimane sempre lo stesso. Aderire per contro dogmaticamente a
un
principio fissato attraverso un giudizio significa trascurare il fatto che
quel giudizio non è che un determinato e particolare aspetto del branle
del mondo o di una sua parte, destinato a ripresentarsi sotto altre
latitudini
e in tempi diversi e ad essere a sua volta contraddetto dalla legge
della vicissitudine. D’altra parte lo spirito umano deve guardarsi anche
dagli eccessi della sua peculiare mobilità se vuole sottrarsi al flusso
perpetuo
di errori in cui trascorre la vita umana, quando è incapace di elevarsi
alla saggezza propriamente intesa. La decisione di sospendere il
giudizio peculiare di Charron, presentata come il risultato di un moto
volontario, avviene su questo sfondo di perpetue oscillazioni che
investono
il nostro universo mentale così come la compagine del mondo.
Proprio perché si caratterizza attraverso questa duplice opposizione,
l’epoché può essere definita come la condizione più stabile e sicura del
nostro esprit (“la plus seure assiette, le plus hereux état de l’esprit, qui
par ce moyen se tient ferme, droit, rassis, inflexible, tousjours libre et à
soy”), l’esatto contrario di quello stato fluttuante d’incertezza e di
dubbio
abitualmente rimproverato dai dogmatici agli scettici e ai pirroniani
in particolare33. Attraverso il recupero parziale e limitato di argomenti
legati al tema del branle, Charron trova così il modo di rafforzare
la definizione dell’epoché come esercizio di un esprit dsciplinato e
capace
di sottrarsi alle conseguenze negative della sua peculiare mobilità34.
34 Giambattista Gori
branlement universel in Charron e in particolare sulla ascendenza montaignana di
questi
passi hanno richiamato l’attenzione: D. Taranto, Il posto dello scetticismo
nell’architettonica
della Sagesse, in AA. VV., La saggezza moderna. Temi e problemi dell’opera di
Pierre Charron, a cura di V. Dini e D. Taranto, Napoli, Ed. Scientifiche Italiane,
1987, pp. 26-28 e note; G. Paganini, “Sages”, “Spirituels”, “Esprits forts”. Filosofia
dell’esprit
e tipologia umana nell’opera di P. Charron, Ibidem, pp. 134-135 e n. 57, senza
condividere il richiamo di M. Iofrida al “sapore bruniano” di questi passi.
33 Charron, De la Sagesse, cit., L. II, ch. II, rispettivamente B, 404; A, 391; B, 403
e Petit Traicté de Sagesse, in op. cit., p. 858. Cfr. Montaigne, Essais, II, XII, cit., II, p.
562: “la plus seure assiette de nostre entendement, et la plus hereuse, ce seroit cella

où il se maintiendroit rassis, droit, inflexible, sans bransle et sans agitation”.
34 Della epoché in Charron come “moto energico di liberazione” ha parlato G.
Paganini,
in art. cit., p. 140 e poi, più ampiamente, in relazione al procedimento cartesiano
nel suo Scepsi moderna. Interpretazioni dello scetticismo da Charron a Hume,
Cosenza,
Busento, p. 28: l’epoché richiede “una disciplina ed un esercizio intenzionali
tanto dell’intelletto quanto della volontà”, “con la trasformazione del dubbio da
accaUna
riduzione ulteriore dei motivi del flusso a favore dell’epoché
scettica è ravvisabile nei Dialogues faits à l’imitation des Anciens di La
Mothe Le Vayer, verosimilmente conosciuti da Descartes, anche se non
identificabili col “méchant livre” menzionato nelle lettere a Mersenne
del 163035. Alla trattazione minuziosa e filologicamente accurata
dell’epochè
e dei modi per conseguirla fa riscontro nei Dialogues un impiego
circoscritto del tema eracliteo del flusso all’interno di un progetto
pirroniano. La pratica della contrarietà – come è stata di recente
chiamata
– da parte di La Mothe Le Vayer richiede la consapevole utilizzazione
dell’esprit contro la fissità del sapere dogmatico e del suo correlato
etico, l’opiniâtreté. Il potere degli avvenimenti e delle cose esteriori
può essere convenientemente ridotto fino a conseguire una piena
indifferenza,
come insegna “il divino Sesto”, quando apprendiamo, attraverso
l’esercizio metodico della contrarietà, che uno stesso avvenimento o
una determinata cosa sono suscettibili di produrre effetti contrastanti,
positivi o negativi che siano per noi36. La presenza di Eraclito a
proposito
dell’esempio classico del miele ora dolce ora amaro, o nel contrastare
insieme a Protagora il dogmatismo del principio aristotelico di
non contraddizione rientra così in un procedimento scettico volto a ri-
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 35
dimento subìto in metodo consapevole e riflesso”. Per un confronto fra epochè
charroniana
e cogito cartesiano, sostenuto da precisi riferimenti testuali al contesto della scepsi
accademica, si veda J. R. Maia Neto, Charron’s Epoché and Descartes Cogito: the
sceptical base of Descartes’ refutation of scepticism, cit. Spunti sulla funzione
metodica
del dubbio charroniano in M. Adam, art. cit., in particolare p. 471 e soprattutto il
pionieristico contributo di R. H. Popkin, Charron and Descartes: the fruits of
systematic
Doubt, cit.
35 L’identificazione, avanzata a suo tempo da René Pintard, del “méchant livre” –
di cui si fa menzione nella corrispondenza di Descartes con Mersenne del 1630 – con
i Dialogues di La Mothe è stata rimessa in discussione da A. Mothu, Orasius Tubero et
le “méchant livre” de Descartes, “La Lettre clandestine”, 4/1995, pp. 525-538 e da E.
Mehl, Le méchant livre de 1630, cit.; nella Addition, Mothu discute l’ipotesi avanzata
da Mehl che identificava il libro con il De Vera Religione del sociniano Volkelius
pubblicato
a Rakov nel 1630 insieme al De Deo et ejus attributis di J. Crell. Ciò non esclude
ovviamente che Descartes abbia conosciuto per altra via i Dialogues e li abbia
addirittura
tenuti presenti nella redazione del dialogo De la Recherche de la Vérité: si veda
dello stesso Mehl, La Question du premier principe dans la Recherche de la Vérité,
cit.,
pp. 88-89 in particolare.
36 S. Giocanti, La Mothe Le Vayer: scepticisme libertin et pratique de la contrariété,
in Le Scepticisme au XVIIe siècle, sous la direction de P.-J. Moreau, cit., pp. 239-256
e,
in particolare su quest’ultimo punto, pp. 241 e 253.
conoscere la relatività dei contrari37. In modo più determinato, nel
dialogo
De l’ignorance louable l’esempio di Cratilo che addita silenziosamente,
rafforzato dal riferimento allo scorrere della materia, indica bene
l’apporto che la teoria del flusso può recare alla causa scettica,
provando
come il divenire continuo pregiudichi l’attribuzione di predicati
fissi alle cose e renda sostanzialmente incerte le proposizioni costruite
su di essi, in obbedienza alla più schietta ignoranza efettica38. Per lo
scettico che fa professione di seguire le apparenze, il cambiare
opinione
non è più riprovevole; significa piuttosto avvalersi della duttilità del
nostro
esprit per adeguarlo all’estrema variabilità delle circostanze e
maturare
di conseguenza nei loro confronti una piena indifferenza pirroniana39.
La fluttuazione propria dell’esprit, consapevolmente utilizzata
all’interno
della pratica della contrarietà, indica come il recupero di un
36 Giambattista Gori
37 La Mothe Le Vayer, Quatre Dialogues faits à l’initations des Anciens par Orasius
Tubero: II. Le banquet sceptique, in Idem, Dialogues faits à l’initations des Anciens,
“Corpus des OEuvres de Philosophie en langue française”, Paris, Fayard, 1988, p.
109;
Cinq autres Dialogues du mesme autheur: I. De l’ignorance louable, op. cit., p. 258.
Cfr.
in particolare su questo punto S. Giocanti, La Mothe Le Vayer, cit., pp. 253-254.
38 La Mothe Le Vayer, De l’ignorance louable, op. cit., p. 300: “Ainsi Cratilus disciple
d’Heraclite protestoit que les choses ne pouvoient estre veritablement demonstrées
que du bout du doigt, pource que les paroles estoient trompeuses, et toutes les
propositions
qu’elles composoient incertaines; aussi que le flux de la matiere estoit tel, qu’une
mesme chose se trouvoit toute autre à la fin d’un periode d’oraison qu’elle n’estoit
au
commencement”. Mio il corsivo. Già Gassendi, in Exercitationes Paradoxicae
adversus
Aristoteleos, L. II, Ex. VI, 6, recuperava, come poi La Mothe, gli esempi eraclitei del
fiume e di Cratilo all’interno di un procedimento che accumulava autori ed argomenti
diversi a sostegno di una totale professione d’ignoranza (v. éd. B. Rochot, Paris,
Vrin, 1959, pp. 496-498). Sul procedimento per accumulazione in La Mothe, opposto
all’argomentazione sestana, v. J. Beaude, Amplifier le dixième trope ou la différence
culturelle comme argument sceptique, “Recherches sur le XVIIe siècle”, V, pp. 21-29.
Sul tema assai discusso della giustificazione della conoscenza storica in La Mothe si
v.
P. Capitani, La storia tra retorica e scienza. Il pirronismo di La Mothe Le Vayer,
“Dianoia”,
5, 2000, pp. 57-93.
39 La Mothe Le Vayer, De l’opiniâtreté, op. cit., pp. 368-369: “Car de croire qu’il y
ait de la honte à changer d’advis, et à prendre nouveau party, selon que les
vraisemblances
se presentent à nous dans cette varieté de tant de circonstances, ce n’est pas
tesmoigner
qu’on les ait examinées comme il faut”. Cfr. per contro Charron, De la Sagesse,
L. II, ch. 2, ed. cit., p. 404 dove la sospensione del giudizio è lodata perché ci affranca
dal rischio “de se desmentir et desdire sa creance, de changer, se repentir, se
r’adviser: car combien de fois le temps nous a-il fait voir que nous étions trompés et
mescontés en nos pensées et nous a forcé de changer d’opinions?”; cfr. anche L. I,
ch.
16, p. 149.
residuo eracliteo avvenga ormai all’interno di procedure genuinamente
scettiche. Invece di rappresentare l’esito naturale e radicale
dell’itinerario
scettico secondo la scansione dell’Apologie e costituire così una
possibile
alternativa alla scepsi pirroniana, il flusso eracliteo perde la sua
autonomia e contribuisce semmai a rafforzare un progetto ispirato al
“divino Sesto”.
4. Questa sommaria approssimazione a Descartes intorno al dibattito
sulla teoria del flusso non può prescindere da un breve richiamo ai
commenti scolastici al testo aristotelico e in particolare ai
Conimbricenses.
Questi presentano un quadro estremamente interessante delle
varie procedure attraverso le quali una grande tradizione razionalista
come quella aristotelica poteva neutralizzare gli effetti negativi del
flusso
eracliteo sulla conoscenza. Mentre gli autori appena richiamati
affrontavano
il problema posto dall’eraclitismo con esiti fra loro differenziati
ma comunque all’interno di una prospettiva scettica che riduceva
le pretese del sapere dogmatico – e aristotelico, in particolare –
questi commentatori guardano al flusso dal punto di vista esattamente
opposto, e cioè da quello di una razionalità che, in possesso di un
sapere
dimostrativo, dispone degli strumenti necessari per discutere e
risolvere
la questione. Dislocato nei vari luoghi in cui Aristotele l’aveva discusso
– come a proposito dei presocratici, dell’origine della dottrina
platonica delle idee, in correlazione alla propria dottrina del movimento
e di quella del vivente – il flusso eracliteo viene presentato in questi
commenti come un problema storicamente significativo ma ancora di
forte attualità, risolvibile sul piano strettamente razionale grazie agli
argomenti
aristotelici e a una robusta, anche se non univoca, tradizione
di autorevoli commentatori. Attraverso i commenti di Alberto Magno
e Tommaso d’Aquino, della scuola parigina di Giovanni Buridano e di
suoi successori come Alberto di Sassonia e Marsilio di Inghen, e con
l’ausilio, in particolare, del concetto di forma, il flusso eracliteo
riemerge
emendato dei suoi errori tanto sul piano logico e ontologico, quanto
su quello della scienza naturale40. Fonseca, a commento del luogo in
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 37
40 La possibilità di una conoscenza razionale delle sostanze naturali contro Eraclito
e gli eraclitei è tradizionalmente affermata dai commentatori scolastici: cfr. Alberto
Magno, Physica, Lib. I, Tract. 1, cap. 2: “Hæc igitur dicta sunt ad defensionem
scientiæ
naturalis ab Heraclianis”; cfr. anche Lib. 8, Tract. 2, cap. 8 (Alberti Magni, Physica,
Pars I, ed. P. Hossfeld, Monasterii Westfalorum, 1987, pp. 3-5; Physica, Pars II,
cui Aristotele discuteva il detto di Cratilo (Met., IV, 5; 1010 a), denuncia
contro i sostenitori del flusso una concezione ipostatizzata e
astratta del movimento che, invece, è sempre movimento determinato
da qualcosa verso qualcosa. Ma anche ammettendo, come essi
vogliono,
“res omnes perpetuo fluere”, si dovrà concedere che il mutamento
avvenga “ratione quantitatis, id est materiae” e non “ratione qualitatis,
hoc est formae”, attraverso la quale le cose vengono conosciute e sono
oggetto di denominazione. Attraverso la distinzione fra una forma
stabile
e conoscibile e una materia evanescente in quanto sottoposta a
incessanti
mutamenti, Fonseca ritiene così di poter ovviare alle conseguenze
scettiche della teoria del flusso e volgere a proprio favore gli
esempi classici dei tropi41.
Uno sviluppo particolare riveste la discussione del flusso eracliteo
nell’ambito del vivente soprattutto attraverso i commenti al De
generatione
et corruptione. Il flusso eracliteo viene recuperato all’interno della
quaestio dell’identità numerica del vivente: ci si chiede come il corpo
38 Giambattista Gori
1993, p. 638, anche in riferimento a Seneca, annoverato tra i sostenitori della teoria
del flusso. Tommaso d’Aquino, In octo libros Physicorum Aristotelis Expositio, Torino-
Roma, Marietti, 1954, p. 525, L. VIII, lectio V: “Quod dicere omnia moveri semper,
ut Heraclitus dixit, est quidem falsum et contra principia scientiæ naturalis”.
Buridano
nel suo commento alla Fisica, Primi physicorum, Qaestio decima discute l’opinio di
Eraclito “non contingeret eundem equum intrare bis eundem fluvium” (di un cavallo
si tratta, o anche di un altro animale, ma non certo di un asino, come vuole un luogo
comune) e poi di Seneca “in epistola ad Lucilium” (J. Buridanus, Kommentar zur
Aristotelischen
Physik, Parisiis, 1509, Nachdruck Minerva, G.M.B.H., Frankfurt a.M.,
1964, folio XIII, v). La presenza del cavallo introduce – come si vedrà tra poco – il
problema dell’identità del vivente a seguito dei processi nutritivi che ne rinnovano le
parti in termini che richiamano l’argomento della crescita (Buridanus, ibidem). Sugli
sviluppi nella scuola parigina del problema della sostanza materiale in relazione ai
commenti molto influenti di Alberto di Sassonia e Marsilio di Inghen al De
generatione
et corruptione si v. i classici studi di A. Maier, Die Struktur der materiellen Substanz,
in Idem, An der Grenze von Scholastik und Naturwissenschaft, Roma, 1952, trad. it. a
cura di M. Parodi e A. Zoerle, con prefazione di M. Dal Pra, Scienza e filosofia nel
Medioevo,
Milano, Jaca Book, 1984, p. 130 e sgg.
41 Petri Fonsecae, In Libros Metaphysicorum Aristotelis, Lugduni, 1597, Capitis
Quinti Explanatio (“Non omne quod videtur verum, tale esse”), T. primus, p. 683 e p.
684: “Etsi illis concedatur, res omnes perpetuo fluere: eam tamen continentem
mutationem
accidere rebus ratione quantitatis, id est materiæ, non autem ratione qualitatis,
hoc est formæ, per quam res cognoscuntur, et ex qua nominantur [...]. Fluxus
enim materiæ stabilitatem formæ non impedit”. Per il riferimento agli esempi dei
tropi
v. op. cit., p. 686, dove si riprende l’argomentazione antiscettica di Met., IV, 5,
1010 b, 1 - 1011 a, 10; op. cit., p. 682.
biologico, sottoposto ai processi nutritivi, possa subire l’accrescimento
e la diminuzione delle sue parti rimanendo sostanzialmente lo stesso
individuo nel corso della vita. L’esempio del fiume si trova così
associato
ancora una volta alla difficoltà posta dall’antico argomento della
crescita,
ormai superata grazie alla soluzione offerta dal De generatione et
corruptione. Il fiume eracliteo offre infatti, nonostante il fatto di
rappresentare
un corpo inanimato, un comodo e discusso termine di paragone
per stabilire sino a qual punto sia legittimo attribuire una identità
numerica a un organismo vivente sottoposto a incessanti variazioni
quantitative.
Toletus, riprendendo una distinzione tradizionale nei commenti
scolastici, riconosce che l’identità numerica può essere attribuita
“proprissime”,
quando l’ente rimane lo stesso nella sua totalità, come ad
esempio il cielo; “proprie”, quando rimane lo stesso nella sua parte
principale, come l’anima nel caso dell’uomo; “large”, in senso lato,
quando un aggregato o un composto rimane lo stesso secondo la
figura
e il luogo pur mutando tutte le sue parti, come appunto nel caso del
fiume. Nel corso degli anni il fiume cambia innumerevoli volte le sue
acque, ma rimane sempre lo stesso, salvando in tal modo il principio
della sua stabilità. La funzione stabilizzatrice della figura e del luogo è
tanto più importante in quanto Toletus riconosce che la materia,
sottoposta
a continue dispersioni, è incapace di per sè di assicurare l’identità
del composto42. Al fiume venivano così assicurate una relativa stabilità
e identità fisica che, se subordinate rispetto a quelle di altri composti
come il corpo umano, lo sottraggono comunque alla dispersione e al
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 39
42 Francisci Toleti, Commentaria, Una cum quaestionibus in duos Libros Aristotelis
De generatione et corruptione, Venetiis, 1596; Lib. I, cap. V, Quaestio IX (“An in
augmentatione
eadem viventis forma numero maneat”), p. 27, v.: “large vero, quod
quamvis quoad omnes partes non maneat, tamen manet secundum figuram et situm,
ut fluvius, et sic manent reliqua animalia post multum tempus, quorum materia tota
et forma recessit”. La triplice distinzione è tradizionale e si trova anche nel
commento
di Buridano alla Fisica, folio XIII v., con l’esempio del fiume che “minus proprie”
rimane
identico “secundum continuationem partium diversarum in succedendo alteram
alteri” nel corso degli anni. Toletus rinvia tuttavia non a Buridano, ma ai suoi
due successori, Marsilio di Inghen e Alberto di Sassonia. G. Rodis-Lewis ha discusso i
testi di Toletus insieme a quelli di altri commentatori come Ruvius, Eustache de
Saint-Paul e a quelli di Suarez a proposito del problema dell’individuazione nel suo
L’individualité selon Descartes, Paris, Vrin, 1950, p. 30 e sgg. e in particolare p. 30 e
n.
101 (per il commento di Toletus al De anima, Lib. III, cap. V, Quæstio XVIII, pp.
162 v. - 163 r., che discute le difficoltà sollevate dalla soluzione tomista).
conseguente scacco della ragione, sottolineati dalla lettura scettica.
Nella
trattazione della quaestio dell’identità numerica del vivente elaborata
da un altro dei Conimbricenses, Ruvius, questo aspetto risulta
particolarmente
evidente. Ruvius muoveva dall’assunto aristotelico che la nutrizione,
come l’aumento, avvenga secondo la forma e non secondo la
materia; perché si dia nutrizione, è necessario che ciò che è aggiunto,
il
nutrimento, assuma la stessa forma del corpo e delle sue diverse
componenti
(carne, ossa). La precisazione che per forma delle parti si doveva
intendere quella specie di qualità chiamata anche figura apriva la
possibilità di un confronto con i composti materiali attraverso il passo
del De generatione et corruptione (321 b 24-29) che stabiliva un’esatta
corrispondenza fra le variazioni di materia intervenute col processo
nutritivo
nel corpo umano e lo scorrere di un corso d’acqua di cui si possiede
la misura: l’acqua che scorre è ogni volta diversa, ma di quel fiume
si può dire che è sempre lo stesso (ad esempio, che ha la lunghezza
di un chilometro), così come si può affermare l’identità della forma del
corpo umano, nonostante il variare delle sue componenti materiali,
sottoposte a incessanti alterazioni43. Questa argomentazione
aristotelica,
rivolta a preservare l’identità di un composto dalle conseguenze
distruttive
della teoria atomistica che riduce i processi di trasformazione a
una somma o a una sottrazione di parti, serviva a Ruvius per affermare
la superiore identità (“maiorem longe identitatem physicam”) del
corpo
umano nei confronti di un composto materiale come il fiume, nel quale,
venendo meno lo scorrere continuo delle acque, viene meno anche
l’identità44.
40 Giambattista Gori
43 A. Ruvii, Commentarii in Libros Aristotelis Stagiritæ de ortu et interitu rerum
naturalium,
Lugduni, 1620; cap. V., Tract. de augment., Quaestio IX, pp. 280-281, con
la citazione di De generatione et corruptione 321 b 24-33. Su questo passo
aristotelico
si v. il commento di G. E. M. Anscombe, The Principle of Individuation, in Articles on
Aristotle, 3. Metaphysics, ed. by J. Barnes, M. Schofield, R. Sorabji, London,
Duckworth, 1979, pp. 94-95 in particolare. Per la confutazione della teoria atomistica
si v. De generatione et corruptione, 327 a 23-26 con il commento di F. Decleva
Caizzi,
La “materia scorrevole”, cit., pp. 446-447, che indica come la confutazione
aristotelica
rinvii alle difficoltà dell’argomento della crescita.
44 A. Ruvii, op. cit., p. 282: “Quamvis flumen sit idem numero identitate physica
ratione realis continuationis aquæ, maiorem longe habet identitatem physicam
corpus,
quod augetur, quia fluvius nullam habet partem aquæ eandem numero, cum ea,
quam habebat prius, sed omnes fluunt, et ideo solum possunt idem numero flumen
efficere
per continuationem”. Miei i corsivi. L’argomento del fiume, ricondotto a caso
particolare della discussione sull’identità di un composto e inserito in un contesto
arLa
cautela di Ruvio, come di altri commentatori, si spiega col fatto
che la quaestio della identità fisica del corpo umano è contigua a
delicate
questioni teologiche legate alla transustanziazione e alla presenza
reale del Cristo nel sacramento eucaristico. Senza entrare nel merito di
un tema che richiederebbe una analisi ben altrimenti approfondita, si
può nondimeno rilevare come Descartes ritrovi l’esempio del fiume
eracliteo nello stesso contesto in cui lo collocavano le discussioni
scolastiche
sulla identità di un composto e dello stesso corpo umano, sottoposto
a variazioni quantitative45. Nella prima delle questioni discusse
nella lettera al Père Mesland del 9 febbraio 1645, Descartes ricorre
al paragone del fiume eracliteo per illustrare la propria soluzione in
base alla quale ciò che sussiste invariato nella sostituzione della
sostan-
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 41
gomentativo che tiene conto delle difficoltà poste dall’aumento e dalla diminuzione,
ritornerà nella discussioni moderne sulla identità, spesso associato a una forma
dell’argomento
di Epicarmo. Hobbes, De Corpore, I, XI, 7 “De principio individuationis”,
riprende l’argomento della crescita per denunciare i paradossi cui vanno incontro i
sostenitori
della individuazione mediante la materia (chi è punito non è più colui che si
è reso colpevole “propter perpetuum corporis humani fluxum”), come mediante la
forma (la nave di Teseo cui sono state sostituite le tavole è ancora la stessa e
nondimeno
si trova a essere identica a quella eventualmente costruita con i vecchi materiali,
per cui avremmo come conseguenza “duas naves easdem numero”); Hobbes
riprende
più sotto anche l’esempio del fiume (Opera Philosophica, Molesworth ed., Reprint
Scientia Aalen, 1961, vol. I, pp. 121-122). Oltre a Locke, che discute ampiamente del
flusso e dell’argomento della crescita nel suo capitolo sulla identità personale (Essay,
II, XXVII, 4 in particolare), si deve citare Hume che nel capitolo sulla identità
personale
del Treatise, riprendendo anch’egli la coppia tradizionale di argomenti, sarà pronto
ad utilizzare il doppio vantaggio che la nave di Teseo e lo scorrere del fiume offrono
alla sua spiegazione della identità come risultato delle finzioni della nostra
immaginazione
(Treatise of Human Nature, ed. P. H. Nidditch, Oxford, Oxford U. P., 1978, pp.
257-258). Probabile la derivazione da Hobbes (oltre che da Locke per altri esempi
come
quello della quercia), anche se Hume, buon lettore di Plutarco e in particolare delle
Vite Parallele, potrebbe aver attinto direttamente alla Vita Thesei. La condizione
umana è presentata da Hume “in continual fluctuation” (Treatise, III, III, 1).
45 J.-R. Armogathe, Theologia cartesiana. L’explication physique de l’Eucharistie chez
Descartes et dom Desgabets, La Haye, Nijhoff, 1977, pp. 70-79 in particolare.
Importanti
chiarimenti sul contesto delle discussioni scolastiche sulla quantità in cui si inserisce
la soluzione cartesiana sono forniti da J. Biard, La conception cartésienne de
l’étendue
et les débats médiévaux sur la quantité, in Descartes et le Moyen Age, ed. par J.
Biard
et R. Rashed, Paris, Vrin, 1997, pp. 349-361, che mi è stato utile anche per il
riferimento
al commento di Buridano alla Fisica in relazione al fiume eracliteo (p. 359, n.
5). V. anche R. Specht, Aspects “cartésiens” de la théorie suarezienne de la matière,
in Lire
Descartes aujourd’hui, ed. par O. Depré et D. Lories, Louvain-Paris, éd. Peeters,
1997, pp. 21-45.
za del pane col corpo del Cristo è la superficie intermedia fra la
sostanza
del pane e l’aria circostante: “comme nous pouvons dire que la
Loire est la mesme riviere qui estoit il y a dix ans, bien que ce ne soit
plus la mesme eau, et que peut estre aussi il n’y ait plus aucune de la
mesme terre qui environnoit cette eau”46. Come la superficie rimane la
stessa nella transustanziazione nonostante il cambiamento della
sostanza
del pane e dell’aria circostante, così del fiume si può dire che rimanga
lo stesso, nonostante che le sue acque e forse anche la terra
circostante
siano cambiati negli anni. Dietro la eco di una lunga tradizione
che leggeva il fiume eracliteo come unione di flusso e stabilità
emerge il ruolo privilegiato svolto da quest’ultima. La fluidità è
ammessa,
come nella tradizione aristotelico-scolastica, in quanto si è in
possesso di nozioni e princìpi capaci, come qui la superficie, di
neutralizzarne
gli effetti dispersivi47.
Queste non erano state le uniche forme in cui Descartes dimostrava
di essere venuto a contatto con la complessa eredità dell’eraclitismo.
Un
passo molto significativo del Monde, l’inizio del capitolo III – già
utilizzato
da Cavaillé a sostegno della tesi di uno sfondo scettico di segno
eracliteo che sottenderebbe la ricostruzione razionale del mondo – ci
riporta
questa volta agli inizi del grande progetto della fisica cartesiana e a
considerare il ruolo dell’eredità eraclitea all’interno di questa48. La
lettura
condotta sin qui induce a ritenere che, nel passo in questione, i riferi-
42 Giambattista Gori
46 Lettre au Père Mesland, 9 février 1645; AT IV, p. 165. Miei i corsivi. Si v. il
commento di F. Alquié a questa lettera, in OEuvres Philosophiques, Paris, 1973, t. III,
pp. 544-550. Importanti i chiarimenti di Descartes sulla nozione di superficie nelle
Quartae (AT VII, pp. 250-251) e nelle Sextae Responsiones (AT VII, pp. 433-434), oltre
che nei Principia Philosophiae II, 15 con il commento di Alquié, op. cit., pp. 160-
161 n. 4 e ora di F. de Buzon e V. Carraud, Descartes et les “Principia”, II. Corps et
mouvement, Paris, P.U.F., 1994, pp. 60-62 in particolare.
47 Nella risposta di Descartes alla seconda questione, quella della presenza reale del
Cristo, il corpo è lasciato alle fluttuazioni della fisiologia meccanicista a seguito della
nutrizione in quanto la sua identità è salvaguardata dalla sua unione con l’anima
(Lettre
au Père Mesland, cit., pp. 166-167). G. Rodis-Lewis aveva discusso questo testo
anche in relazione ai commenti scolastici, a proposito del problema
dell’individuazione
nel suo L’individualité selon Descartes, cit., pp. 67-68 e p. 60 sull’esempio della Loira
per sottolineare i limiti dell’individualità apparente dei corpi materiali fondata sulla
rassomiglianza dell’aspetto esteriore, espressa appunto dalla loro superficie.
48J.-P. Cavaillé, Descartes, cit., pp. 171-172, dove si ribadisce l’incidenza della figura
di “Eraclito scettico” nella cultura barocca, peraltro sovrapposta dall’autore alla
immagine del branle.
menti al movimento del tempo, alla decadenza delle opere umane, alla
crescita e alla corruzione di ogni vivente, allo stesso avvicendarsi degli
elementi, fino alla conclusione – “qu’il n’y a rien, en aucun lieu, qui ne
se change” – siano riconducibili al motivo del branle del saggio Du
repentir
piuttosto che al flusso e alle sue conseguenza scettiche49. Il motivo
della oscillazione perenne, della vicissitudine delle vicende mortali,
che abbiamo visto sviluppato da Charron, era del resto più idoneo del
flusso scettico a figurare come incipit della dimostrazione cartesiana
della
concatenazione di tutti i fenomeni e della conservazione del
movimento.
È questo motivo della oscillazione perpetua e della instabilità a
ritornare in forma rovesciata rispetto alla fisica nella terza parte del
Discours
de la Méthode. Nel commento alla prima massima della morale
“par provision”, la constatazione che al mondo nessuna cosa rimane
“toujours en mesme éstat” giustificava la libertà di non sottostare alla
forza obbligante delle promesse, una volta che il nostro giudizio non
ritenga
più conveniente quanto ci è apparso tale in passato50. La libertà di
giudizio e di movimento rinviava in questa stessa parte al filo narrativo
del Discours, alla histoire del suo protagonista. È a questo riguardo che
ritroviamo anche il motivo della instabilità, del rouler con cui
Montaigne
aveva stigmatizzato la conoscenza umana, ormai declassato dal punto
di vista conoscitivo, ma efficace nel rappresentare la ripresa del
cammino
del giovane Descartes alla fine di un altro inverno51.
Il ridimensionamento del flusso eracliteo come variante scettica ci
riconduce alla sua dimensione metafisica e ai problemi estremamente
complessi sollevati da G. Rodis-Lewis nel citato articolo Doute prati-
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 43
49 Le Monde ou Traité de la Lumière, ch. III (AT XI, pp. 10-11): “Je considere qu’il
y a une infinité de divers mouvemens, qui durent perpetuellement dans le Monde. Et
après avoir remarqué les plus grands, qui sont les jours, les mois et les années, je
prens
garde que les vapeurs de la Terre ne cessent point de monter vers les nuées et d’en
descendre,
que l’air est toujours agité par les vents, que la mer n’est jamais en repos, que
les fontaines et les rivieres coulent sans cesse, que les plus fermes bâtimens
tombent enfin
en decadence, que les plantes et les animaux ne font que croître ou se corrompre,
bref
qu’il n’y a rien, en aucun lieu, qui ne se change”. Miei i corsivi. È evidente la presenza
di
contenuti poi sviluppati dalle Météores.
50 Discours de la Méthode, Troisième partie, AT VI, p. 24. N. Grimaldi, Morale
provisoire et découverte métaphysique de l’homme chez Descartes, in Le Discours et
sa
méthode, dir. N. Grimaldi et J.-L. Marion, Paris, P.U.F., 1987, pp. 312-313 ha messo
in parallelo il passo sopra citato del Monde con questo del Discours.
51 Discours de la Méthode, AT VI, p. 28: “ie ne fi autre chose que rouler çà et là
dans le monde”.
que, doute speculatif chez Descartes et Montaigne. L’antitesi
fondamentale
tra l’Essere inattingibile e la conoscenza umana, consegnata come
tutte
le cose mortali alla instabilità – trasmessa a Descartes dalle conclusioni
dell’Apologie attraverso il De E di Plutarco – trova nel dubbio, segno
d’imperfezione e di precarietà, la sua traduzione epistemologica, ma
anche il suo punto di arresto e di risalita che porta al Cogito, alla res
cogitans
e da questa all’idea evidente e razionale dell’Essere trascendente52.
Il tour de force riesce in quanto Descartes ha fatto uso del dubbio
supremo “comme du seul moyen d’arrester ce flot mouvant qui nous
emporte, du moins doutant, c’est-à-dire pensant”53. L’elemento
eracliteo
della fluidità sembra così tornare nella lettura di G. Rodis-Lewis
con tutti gli effetti di dispersione e di annullamento per la conoscenza,
come risulta evidente dal richiamo al gorgo profondo dell’inizio della II
Meditazione54. Ma a questo punto ci si può chiedere se questa
connessione
diretta con l’Apologie non rimetta Descartes sotto una minaccia
incombente dalla quale egli aveva saputo prendere le distanze anche
grazie all’apporto degli scettici successivi a Montaigne. Proprio perché
introdotta all’inizio della II Meditazione, la fluidità si presentava come
il risultato dell’esercizio metodico del dubbio condotto dall’autore,
ormai
alle prese col solo corso dei propri pensieri, e non più come un dato
ontologico, un segno di quella condizione ineliminabile di instabilità
che il quadro metafisico del De E di Plutarco gli assegnava.
L’eraclitismo
come variante scettica non figurava più come l’espressione della
ineliminabile incertezza delle opinioni umane per diventare una
situazione
transitoria nel cammino del soggetto verso la certezza indubitabile.
Esso era un frutto del dubbio deliberatamente portato al suo massimo
grado e non la fonte delle fluttuazioni che sfociavano nella incer-
44 Giambattista Gori
52 G. Rodis-Lewis, art. cit., ora in Le développement de la pensée, cit. pp. 103-105.
53 G. Rodis-Lewis, art. cit., p. 104. Mio il corsivo.
54 Il “profundum gurgitem” di AT VII, p. 24 richiama “l’eau profonde” del dialogo
La recherche de la vérité (AT X, p. 512), presentata da Epistemone, esponente della
filosofia della scuola, come conseguenza della pratica della ignoranza socratica e del
dubbio pirroniano; accusa cui già Charron aveva dovuto rispondere. Con questo
Epistemone
rivela di essere all’oscuro del buon uso del dubbio scettico promosso dalla filosofia
cartesiana. Si v. la recente edizione del dialogo sotto la direzione di E. Lojacono,
Milano, Franco Angeli, 2002. L’indice delle occorrenze fa risaltare come Socrate e
i pirroniani (una occorrenza ciascuno) abbiano eclissato Eraclito e gli eraclitei fra le
figure
della scepsi.
tezza e nel dubbio. Il rapporto causale fra flusso eracliteo e dubbio era
rovesciato. In questo modo Descartes aveva già sostituito a un
presunto
dato ontologico l’ordine delle sue ragioni, dettato dalla sua volontà di
certezza. L’assenza della fluidità eraclitea dalle tappe del dubbio nella I
Meditazione indica che Descartes non aveva preso in considerazione
quella che gli doveva apparire, come già agli scettici, un’affermazione
dogmatica sulla realtà, che, in quanto tale, poteva essere neutralizzata
attraverso l’argomento del sogno o ridotta a effetto di un inganno
operato
dal genio maligno. Il flusso eracliteo si trovava ridimensionato proprio
in quelle conseguenza scettiche che una antica tradizione di
ascendenza
platonica gli aveva assegnato e da cui un testo come l’Apologie
aveva saputo trarre il massimo partito. Ma con questo distacco dalla
impostazione dell’Apologie, Descartes dimostrava di accogliere ormai
l’eraclitismo nella versione emendata e corretta di Charron e La Mothe
Le Vayer piuttosto che in quella radicale della conclusione
dell’Apologie.
Questi autori avevano dimostrato che si poteva fare un uso appropriato
e metodico della fluidità che ne limitasse la portata e consentisse di
superarne
le conseguenze negative mediante il rafforzamento delle procedure
scettiche e di quelle relative all’epoché in particolare. Sotto questo
aspetto, tra Montaigne e Descartes si era consumato un distacco più
profondo di quanto facesse intendere una lettura come quella di
Geneviève
Rodis-Lewis e a questo esito avevano contribuito anche le vicissitudini
dell’eraclitismo.
Montaigne, Descartes e le vicissitudini dell’eraclitismo 45

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