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Il cambiamento climatico

Il tema del cambiamento climatico si affaccia nel dibattito internazionale nel corso degli anni 70 come
conseguenza di una progressiva e sempre pi puntuale raccolta di informazioni di carattere scientifico che
consentono di leggere con nuove conoscenze levoluzione del sistema climatico e la sua interazione con i
sistemi ecologici, sociali e economici. in questi anni che inizia ad essere percepita la problematica
ambientale come diretta conseguenza del crescente inquinamento e del degrado dei beni ambientali
primari (acqua, aria, suolo). Il riconoscimento di una interdipendenza ecologica negativa, evidenzia in
particolare, che le ricadute dell'inquinamento e del consumo delle risorse naturali non sono confinabili
allinterno di una specifica area o territorio, ma vengono ad assumere una dimensione sempre pi ampia,
fino a diventare problematiche globali: oltre al cambiamento climatico si possono richiamare:
l'assottigliamento della fascia di ozono stratosferico, l'inquinamento degli oceani e dei mari, la perdita di
biodiversit. Nel 1972 vi sono due eventi che segnano anche cronologicamente lavvento della questione
ambientale: la pubblicazione del rapporto del Club di Roma The Limits of Growth (erroneamente tradotto in
italiano con "I limiti dello sviluppo") che preannuncia un progressivo esaurimento delle risorse ambientali; a
Stoccolma la prima Conferenza Mondiale dellONU sullAmbiente nel corso della quale la comunit
internazionale e gli stati che la compongono riconoscono lesistenza di una questione ambientale e la
necessit di avviare politiche coordinate su scala internazionale per farvi fronte. A seguito di tale
Conferenza la prima azione concreta fu la creazione da parte dellONU del Programma delle Nazioni Unite
per lAmbiente (UNEP) primo organismo internazionale la cui sede fu stabilita in un paese del sud del
mondo: Nairobi un Kenya. LUNEP diventer il motore dellimpegno internazionale in materia di
ambiente.AllUNEP si deve lorganizzazione della prima Conferenza internazionale sul clima che si tenne a
Ginevra nel 1979 e, sempre tale organismo istitu nel 1988 lIntergovernamental Panel for Climate Change
(IPCC) un gruppo di lavoro composto da scienziati di tutto il mondo (Est, Ovest, Nord, Sud) per indagare sul
fenomeno del cambiamento climatico e sulle sue cause. Ed proprio grazie al lavoro di ricerca promosso
nel corso degli anni dallIPCC che si sono poste le basi per una maggiore conoscenza scientifica del
problema e del conseguente progressivo impegno della comunit internazionale e degli stati per un
riconoscimento prima e per ladozione di strumenti giuridici e politici poi nei confronti del cambiamento
climatico.La prima e pi importante risposta a livello internazionale a questo problema globale si avuta
nel 1992 con la firma della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) sottoscritta a
conclusione della Conferenza Mondiale di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo. La Convenzione, entrata
in vigore nel 1994, un accordo quadro nel quale non sono previste misure concrete di contrasto al
cambiamento climatico, che verranno invece assunte con il Protocollo di Kyoto del 1997, ma che indica le
due principali strategie che devono essere perseguite per invertire la rotta con lobiettivo di stabilizzare nel
corso del 21 secolo la quantit di gas serra emesse in atmosfera dalle attivit umane entro una soglia che
non interferisca con il sistema climatico.La prima strategia quella della mitigation (limitazione) che
affronta il problema del cambiamento climatico mettendo in campo azioni rivolte, da un lato, a ridurre le
emissioni, odierne e future, in atmosfera e, dallaltro, ad aumentare la capacit di assorbimento da parte
dellambiente naturale dei gas ad effetto serra (i c.d. sinks, serbatoi, che sarebbero le foreste e i suoli
agricoli). Essa si pone lobiettivo di intervenire a monte del problema, agendo sulle cause dei cambiamenti
climatici, proponendo una serie di strumenti da applicare su scala internazionale per ridurre le emissioni.La
seconda strategia quella della adaptation (adattamento) e prevede la messa in campo di interventi per
gestire nel modo migliore le conseguenze negative dei cambiamenti climatici in corso, sugli ecosistemi
naturali e sui sistemi socio-economici. Questa strategia interviene a valle del problema per agire in via
preventiva attraverso lattuazione di adeguate politiche economiche, ambientali, socio-sanitarie, educative,
necessarie per difendersi dal cambiamento climatico.Con lentrata in vigore della Convenzione si mettono
in moto una serie di impegni di carattere strutturale da parte della comunit internazionale, primo fra tutti
lincontro annuale della Conferenza degli Stati Parte (COP) che ha il compito di valutare le iniziative
adottate, da adottare e i loro effetti (la prima COP si tenne a Berlino nel 1995, lultima a Bali nel 2007). in
questo contesto che matura, seppur tra mille difficolt, la decisione degli stati di adottare misure concrete
per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra e che si avviano i lavori per la definizione di un Protocollo
aggiuntivo alla Convenzione che indichi impegni, modalit e tempi di attuazione precisi.Tale Protocollo
viene sottoscritto a Kyoto nel 1997, ma al contrario di altri accordi giuridici internazionale in considerazione
del fatto che il cambiamento climatico un problema globale entrer in vigore solo quando sar stato
firmato da un insieme di paesi che rappresenta almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra. Il
Protocollo entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la decisiva ratifica da parte della Russia.In base al
principio della responsabilit comune, ma differenziata il Protocollo prevede impegni solo per i paesi

industrializzati (Usa, Europa occidentale, Canada, Giappone Nuova Zelanda, Australia) e per quelli in
transizione dellEuropa centrale e orientale e non invece per i paesi in via di sviluppo.
Il Protocollo mira alla riduzione delle emissioni globali di gas serra del 5,2% rispetto al 1990. Tale obiettivo
deve essere raggiunto entro il 2012 ed a partire da qui saranno negoziate ulteriori quote di riduzione. Gli
obiettivi di riduzione sono differenziati a seconda del contributo dei singoli paesi al cambiamento climatico.
Per lEuropa la quota di riduzione assegnata dell8% rispetto al 1990, ma distribuita in modo differente da
paese a paese: per lItalia del 6,5%, per la Germania e la Danimarca del 25%.
Le
tre
azioni
principali
verso
cui
si
indirizza
il
Protocollo
sono:
- migliorare lefficienza energetica nei diversi settori economici (industria, trasporti, energia, );
sviluppare
la
ricerca
e
luso
di
fonti
energetiche
rinnovabili;
- sostenere attivit di riforestazione per aumentare la capacit di assorbimento dei gas serra.
In questa direzione dovrebbero essere indirizzate anche le politiche economiche (tasse, sussidi, incentivi,
), eliminando i sostegni alle attivit ad elevate emissioni, per privilegiare invece quelle a maggior
efficienza energetica. Poich il cambiamento climatico un problema globale che richiede adeguate misure
a livello internazionale, il Protocollo di Kyoto propone, oltre alle politiche da realizzare allinterno dei singoli
stati, alcuni strumenti volti a fronteggiare il cambiamento climatico attraverso lazione congiunta di due e
pi paesi. Lobiettivo di avviare politiche di cooperazione tra paesi sviluppati, ad economie consolidate e
in transizione, e paesi in via di sviluppo mirate specificatamente alla riduzione delle emissioni globali. Le
emissioni, infatti, non hanno confini, per cui non ha importanza il luogo fisico dove avviene la riduzione, ma
che questa venga realizzata. Inoltre occorre ricercare il minor costo possibile e oggi pi conveniente
esportare tecnologie pulite in un paese dellEst e/o del Sud del mondo, piuttosto che realizzate nuovi
impianti a minor impatto ambientale nei paesi industrializzati.
In questa direzione tre sono i c.d. "meccanismi flessibili" previsti dal Protocollo:
1.
limplementazione
congiunta
(Joint
Implementation
JI):
consente ai paesi industrializzati e a quelli in transizione di stipulare accordi per gestire in comune gli
obblighi di riduzione. Ci significa che lItalia o un altro stato europeo pu realizzare quote di riduzioni in
paesi est-europei tramite accordi di cooperazione tecnologica che riducano le emissioni sul loro territorio.
2. il fondo per lo sviluppo pulito (Clean Development Mechanism - Cdm):
promuove accordi di cooperazione con i paesi in via di sviluppo per il trasferimento di tecnologie pulite a
basso impatto ambientale.
3.
il
commercio
di
permessi
(Emission
Trading)
secondo cui possibile per un paese dellAllegato 1 acquistare o vendere quote di anidride carbonica
("permessi di emissione"), da un altro paese. Chi in ritardo con i propri impegni pu, cio, accordarsi con
chi ha margini di emissione per "mettersi in pari".

La Scheda: L'Effetto serra: cos?


La Terra molto diversa dalla Luna, perch circondata dallatmosfera, uno strato di gas molto sottile, ma
estremamente attivo. Esso trasparente alla radiazione proveniente dal Sole e opaca alla radiazione
emessa dalla superficie della Terra. Gran parte della radiazione emessa dalla superficie viene quindi
catturata dallatmosfera e di nuovo emessa in tutte le direzioni - in parte anche verso la superficie del
pianeta. Ci spinge pi in alto lequilibrio tra energia entrante ed uscente e aumenta la temperatura del
pianeta. Leffetto serra dunque un effetto naturale ed estremamente importante: grazie ad esso la
temperatura media della Terra non simile a quella della Luna - una ventina di gradi sotto zero ma ha il
valore attuale di circa dieci gradi sopra zero. un particolare decisivo: a venti gradi sotto zero non si
avrebbe acqua liquida sul pianeta, ma solo ghiaccio. Gli oceani, i fiumi, la vita, cos come noi la conosciamo,
devono quindi la loro possibilit di esistenza alleffetto serra.Perch, allora, leffetto serra oggi un

problema?Il problema laumento dei gas responsabili delleffetto, in primo luogo lanidride carbonica
(CO2). A causa delluso dei combustibili fossili, la concentrazione di CO2 passata negli ultimi 50 anni da un
livello di 310 parti per milioni in volume (ppmv) a 380 ppmv. Questo livello il pi alto degli ultimi 400.000
anni e laumento si verificato nel tempo pi breve che la storia recente della Terra registri.
Davvero la terra si scalda? Siamo certi che la terra si stia riscaldando? Cosa dice lIPCC - il Comitato
Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici promosso dalle Nazioni Unite, di cui fanno parte migliaia di
scienziati (climatologi, biologi, fisici, ecologi, economisti, e che ha pubblicato nel 2007 il suo IV
Rapporto?Dal 1861, la temperatura della terra aumentata e nel ventesimo secolo tale aumento stato di
circa 0,6 gradi centigradi. C pi del 90% di probabilit che il 1990 sia stato il decennio pi caldo e il 1998
lanno pi caldo registrato dal 1861 al 2000. Con una probabilit appena inferiore si pu affermare che
laumento di temperatura stato il pi imponente degli ultimi 1000 anni. Il riscaldamento della terra non
pi insomma unipotesi tra tante, ma una realt concreta. Il Rapporto IPCC descrive le ultime scoperte,
affermando che esso non limitato alla superficie, ma si estende fino ad 8 chilometri nellatmosfera. Che le
superfici coperte di ghiaccio perenne sono diminuite di quasi il 10% dal 1960, mentre la durata annuale del
ghiaccio e della neve sui laghi e sui fiumi alle medie e alte latitudini diminuita di circa 2 settimane
nellultimo secolo.Pi effetto serra, dunque, significa davvero aumento di temperatura. Cosa accade in una
terra pi calda? I dati mostrano un forte riscaldamento polare: lartico potrebbe essere navigabile tutto
lanno gi in questo secolo. Indicano anche uno spostamento delle principali fasce di precipitazione, con un
accelerazione del ciclo idrologico. Latmosfera con pi gas serra sostanzialmente unatmosfera pi
energetica, con pi evaporazioni e pi precipitazioni e con temperature alla superficie pi alte. anche
probabile che fenomeni estremi come uragani e temporali violenti, siano favoriti nel nuovo ambiente,
portando ad un aumento della loro intensit e frequenza. Laumento di temperatura alla superficie e il
progressivo riscaldamento marino porter poi ad un aumento del livello del mare. C grande incertezza sui
valori esatti, ma esistono luoghi al mondo come i piccoli paesi insulari, dove un aumento anche di 10-20cm
del livello del mare, pu mettere in pericolo comunit e culture: anche senza arrivare allallagamento, le
sole infiltrazioni salmastre delle falde costringono allabbandono delle colture.
Le energie rinnovabili
Si considerano energie rinnovabili quelle forme di energia generate da fonti inesauribili (quelle le cui
riserve certamente oltrepasseranno gli orizzonti temporali della nostra civilt) e, di conseguenza, il cui
utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future. Se da un lato il termine rinnovabile
non adempie agli aspetti scientifici del primo principio della termodinamica cui presupposti essenziali
affermano che lenergia non si crea n si distrugge, e di conseguenza tutte le forme di energia sarebbero da
considerare rinnovabili; da un punto di vista sociale e politico, si crea lattuale distinzione tra fonti di
energia considerate rinnovabili (per la normativa italiana: il sole, il vento, le risorse idriche, le risorse
geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione in energia elettrica o termica dei prodotti
vegetali o dei rifiuti organici e inorganici) e quelle non rinnovabili (in particolare le fonti fossili quali
petrolio, carbone, gas naturale).
Di seguito vengono elencate le principali tipologie di Fonti Energetiche Rinnovabili (FER):

L'energia solare pu essere utilizzata sia per la produzione diretta di elettricit sia per la
produzione di acqua calda. Nel primo caso, l'irradiazione solare convertita in energia elettrica
tramite l'effetto fotoelettrico: i panelli fotovoltaici sono composti da celle che in pratica si
comportano come piccole batterie. Attualmente, il principale limite allo sviluppo degli impianti
fotovoltaici il loro elevato costo, infatti la filiera viene sovvenzionata con vari metodi per
incoraggiare la ricerca di nuove tecnologie pi competitive. Nel caso del solare termico i raggi sono
trasformati in calore che viene utilizzato per la produzione di acqua calda sanitaria o per il
riscaldamento dell'ambiente domestico. La tecnologia attualmente disponibile permette gi di
recuperare linvestimento in un impianto termico in poco tempo.

Il vento uno spostamento di masse daria dovuto alle differenze di pressione e densit
causate dal modo disuguale in cui la terra viene riscaldata dal sole. Tali spostamenti possono essere
sfruttati per la produzione di energia elettrica. Negli ultimi anni la ricerca di nuove soluzioni ha dato
un forte impulso allo sviluppo delleolico che rappresenta il mercato pi dinamico tra le risorse
rinnovabili. La tecnologia attualmente matura e lefficienza gi molto alta. I principali limiti

percepiti sono il costo, la discontinuit della produzione e limpatto paesaggistico-ambientale.


Problemi
che
possono
essere
limitati
attraverso
misure
ad
hoc:
Il
costo
viene
coperto
da
una
politica
di
prezzi
sovvenzionati;
- Il problema della discontinuit viene arginato attraverso la limitazione delle immissioni in rete di
energia
prodotta
da
fonti
eoliche;
- Riguardo la questione paesaggistica, gli studi dimostrano che un problema principalmente di
natura estetica, giacch gli ecosistemi non vengono toccati e quindi si tratterebbe di studiare
soluzioni architettoniche di minor impatto.

Lenergia idroelettrica prodotta dal movimento dellacqua, ed un metodo che presenta


molti vantaggi: non emette anidride carbonica, giacch non si basa sulla combustione, e si tratta di
tecnologia matura e a costi contenuti. Il suo limite riguarda limpatto ambientale prodotto dalle
opere idrauliche necessarie (dighe, condotte, barriere nei fiumi, ecc). Inoltre, la produzione
idroelettrica dipende dalla disponibilit di acqua defluente ed quindi poco flessibile.

Lenergia geotermica deriva dalle differenze di temperatura con gli strati pi profondi della
Terra. Viene considerata una forma di energia rinnovabile sebbene la rigenerazione dei pozzi
geotermici richieda un lungo periodo di tempo. Al vantaggio di essere una forma di energia pulita,
si oppone il fatto che essa dipenda fortemente da fattori geografici per il suo sfruttamento. Infatti,
soltanto alcune particolari zone toccate da fenomeni vulcanici o tettonici presentano condizioni in
cui la temperatura del sottosuolo leggermente pi alta della media. In queste aree, lenergia pu
essere recuperata attraverso lutilizzo dei vapori acquei sia per la produzione di energia elettrica
(attraverso apposite turbine) sia per il riscaldamento, le coltivazioni in serra e il termalismo.

Il termine biomasse indica tutte quelle sostanze derivanti direttamente o indirettamente


dalla fotosintesi, riunendo materiali di natura eterogenea: dai residui forestali agli scarti
dellindustria di trasformazione del legno o delle aziende zootecniche. Molti sono gli aspetti positivi
derivati dallutilizzo delle biomasse, in particolare: lenergia pu essere stoccata sotto forma di
materiale vegetale e la conversione avviene con processi che possono essere costanti. In
contrapposizione sussistono i problemi legati alla costruzione di impianti con alte potenze e la
questione delle emissioni di sostanze inquinanti dalla loro combustione.
La ricerca di nuove tecnologie avanza, e attualmente molte sono gi in fase di test o iniziano ad essere
commercializzate. Tra queste le principali sono: la gassificazione avanzata delle biomasse, le tecnologie di
bioraffinazione, le centrali solari termodinamiche, lenergia geotermica da rocce calde e asciutte (Hot-dryrock) e lo sfruttamento dell'energia degli oceani (energia talassotermica, mareomotrice e del moto
ondoso). Si spera che queste nuove tecniche possano avere in futuro un potenziale comparabile alle fonti di
energia rinnovabile gi mature, e insieme ad esse rappresentare il nuovo fronte energetico mondiale.
La scoperta delle FER
Linteresse per le energie rinnovabili emerso negli anni 70, a seguito della prima grande crisi petrolifera
mondiale del 1973. Nel 1974 veniva pubblicato il rapporto A Time to Choose (Il momento di scegliere, di
David Freeman) commissionato dalla Ford Foundation, che indirizzava lattenzione sulle opportunit date
dallutilizzo delle energie rinnovabili e sui possibili risparmi energetici grazie alle nuove tecnologie
produttive. Non si parlava ancora di cambiamenti climatici le questioni principali erano legate
all'inquinamento atmosferico e al superamento di rischi economici e politici determinati dalla dipendenza
verso le importazioni di energia. I vertici politici nazionali americani appoggiavano ed incentivavano la
produzione e lutilizzo delle cosiddette energie verdi.Tuttavia, la reazione negativa dellindustria
energetica americana stata immediata, con la presentazione di un rapporto in cui si cercava di screditare
lefficienza dellapplicazione delle energie rinnovabili. Inoltre, ogni metodo veniva impiegato per
ostacolarne la diffusione, incluso lacquisto sistematico di piccole imprese che venivano dismesse e chiuse.
Le forze politiche iniziarono a cedere, e larrivo del nuovo governo guidato dal Presidente Ronald Reagan
sommato al crollo dei prezzi del petrolio nel 1985 sono stati gli ultimi colpi per far cessare lattenzione sul
tema delle rinnovabili. La questione stata risollevata soltanto a met degli anni 90 e questa volta il
dibattito viene spinto dalle discussioni sullintensificazione delleffetto serra ed il conseguente aumento
della temperatura del pianeta. Il quadro generale nel quale il tema viene ripresentato caratterizzato dal
boom industriale di alcuni paesi emergenti, in particolare India e Cina, che insieme alla crescita economica
hanno visto aumentare in modo esponenziale la domanda energetica, sia legata alla produzione sia al
consumo di beni (elettrodomestici, telefoni, condizionatori, ecc). Nel frattempo un meccanismo differente,
ma con le stesse conseguenze, in corso nei paesi di vecchia industrializzazione, dove la diffusione di tali

beni di consumo ormai matura, ma laumento del contenuto tecnologico e la spinta ad una continua
sostituzione dei prodotti causa un sempre maggiore accrescimento della richiesta per lenergia. Il problema
tuttavia non si concentra effettivamente n nella produzione n nel consumo energetico in s, ma nel fatto
che la maggior parte della richiesta di energia viene soddisfatta attraverso lutilizzo di combustibili chimici,
ottenuti principalmente dalla combustione di carburanti fossili a base di carbonio. Due sono le questioni
principali legate al tema: la prima, la scarsit degli idrocarburi, che hanno tempi molto lunghi per
rinnovarsi (si parla di milioni di anni); la seconda, la concentrazione dei gas prodotti dalla combustione
nellatmosfera (in particolare lanidride carbonica), cui flusso di emissione supera le capacit naturali di
assorbimento del sistema Terra e causa il riscaldamento globale. Come noto, a seguito della (United
Nations Framework Convention on Climate Change - UNFCCC), adottata nel 1992 alla Conferenza delle
Nazioni Unite sullAmbiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro, a livello internazionale si iniziano a definire delle
strategie di mitigazione volte alla riduzione delle emissioni per contrastare il cambiamento climatico
principalmente attraverso una maggiore efficienza energetica e lo sviluppo delle energie rinnovabili. Sar
poi in occasione della terza Conferenza delle Parti, realizzata a Kyoto in Giappone nel dicembre 1997, che
verr approvata la decisione di adottare un Protocollo Internazionale, giuridicamente vincolante, nel quale i
paesi industrializzati si impegnano a ridurre le emissioni di elementi inquinanti, in particolare i cosiddetti
gas serra. Il trattato prevede che tale riduzione, per il periodo 2008-2012, sia equivalente ad almeno il 5%
rispetto ai livelli del 1990. Nello stesso anno della firma del Protocollo di Kyoto, la Commissione europea
pubblica il Libro Bianco Energie per il Futuro: le fonti energetiche rinnovabili (FER) nel quale si pone
lobiettivo di raggiungere nellUnione, entro il 2010, un tasso di penetrazione delle rinnovabili del 12%. A
settembre 2001 viene approvata la Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio cui
obiettivo promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di
elettricit nel relativo mercato interno e a creare le basi per un futuro quadro comunitario in materia. Tra i
vari punti, la direttiva indicava che gli obiettivi nazionali degli Stati membri devono coincidere con gli
obiettivi complessivi globali della Comunit per il 2010. Si prevedeva inoltre che qualora gli obiettivi
indicativi nazionali fossero incompatibili con l'obiettivo indicativo globale, la Commissione aveva la
possibilit di proporre, nella forma adeguata, obiettivi nazionali, compresi eventuali obiettivi
vincolanti.Negli anni seguenti, la Comunit Europea, attraverso la pubblicazione di una serie di Libri verdi e
Direttive sulle tematiche energetiche, ha cercato trasversalmente di delineare una strategia di promozione
delle energie rinnovabili. Inoltre, stato istituito il per il periodo 2003/2006, che poi stato riconfermato
nel 2007 fino al 2013. Il programma EIE si propone di accelerare la realizzazione degli obiettivi nel settore
dellenergia sostenibile, sostenendo il miglioramento dellefficienza energetica, ladozione di fonti di
energia nuova e rinnovabile, una maggiore penetrazione sul mercato di tali fonti di energia, la
diversificazione dell'energia e dei carburanti, l'aumento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabile
e la riduzione del consumo energetico finale. Negli anni successivi, la Commissione ha adottato un Piano
d'azione per l'efficienza energetica: concretizzare le potenzialit" - COM(2006), il cui obiettivo contenere
e ridurre la domanda di energia, nonch agire in maniera mirata sul consumo e sullapprovvigionamento
per riuscire a ridurre del 20% il consumo annuo di energia primaria entro il 2020 (rispetto alle proiezioni sul
consumo energetico per il 2020). Dal piano ne deriva la cosiddetta , ossia ridurre le emissioni di CO2 del
20%, aumentare lefficienza in campo energetico del 20%, e portare la produzione di energie rinnovabili al
20% entro il 2020. Con lapprovazione della strategia 20-20-20 lEuropa si propone quale soggetto trainante
nello sviluppo delle energie rinnovabili e nella lotta al cambiamento climatico e se sapr tradurre in
politiche ed azioni concrete gli impegni assunti potr svolgere il ruolo di leadership nellazione globale per
realizzare una societ a basse emissioni di carbonio. Attualmente, spinte dalla crisi energetica e dalla
questione dei mutamenti climatici, le FER assumono un peso sempre pi consistente nella bilancia
energetica mondiale. Gli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&D) tecnologico hanno sopportato negli ultimi
anni unampia diffusione in diversi paesi, con il conseguente aumento di efficienza e potenza.Negli Stati
Uniti, ad inizio 2009, lenergia rinnovabile diventata la grande scommessa del futuro. Lo staff del
presidente Barack Obama ha messo in bilancio 54 miliardi di dollari al fine di rendere il Paese pi verde e
meno dipendente dal petrolio. Per migliorare lefficienza della rete elettrica saranno spesi 32 miliardi di
dollari, mentre 22 miliardi sono destinati a ridurre i consumi energetici di abitazioni ed edifici pubblici.In
Germania ad esempio, attualmente pi del 10% dellenergia prodotta nel paese proviene da fonti di
energia rinnovabili ed la percentuale destinata ad aumentare. Gi negli anni 90 la Germania ha creato un
quadro normativo nazionale per il lancio e lintroduzione nel mercato delle energie verdi, consolidato nel
2001 con lentrata in vigore della Legge sulle energie rinnovabili" LER (Erneuerbare Energien Gesetz,
EEG). La legge regolamenta lacquisto e la remunerazione dellenergia prodotta dalle diverse fonti
rinnovabili, vincolando i gestori della rete elettrica ad acquistare per una durata ventennale lelettricit
prodotta da fonti rinnovabili a prezzi prefissati. Pare opportuno poi segnalare che gli investimenti per lo

sviluppo delle energie rinnovabili in Germania hanno prodotto loccupazione ad oggi di oltre 250.000
persone.In Danimarca la percentuale di energia elettrica prodotta utilizzando fonti energetiche rinnovabili,
in particolar modo da impianti eolici, supera il 25%. In Spagna, invece, le rinnovabili sono attualmente le
prime fonti per la produzione di energia elettrica: nel 2007 il paese ha raggiunto una potenza di energia da
fonti eoliche pari al 27% della sua domanda, superando tutte le altre fonti energetiche. Anche in altri paesi
cresce la diffusione delle fonti alternative: Grecia, Austria e Portogallo in pochi anni hanno realizzato un
ampio incremento del solare termico; in Finlandia l11% dellelettricit generata da impianti da biomasse;
in Svezia il 50% dellenergia dei distretti teleriscaldati proviene dalla combustione di biomasse.
Nel rapporto del GSE (Gestore Servizi Elettrici) del 2006, emerge che la produzione di elettricit
proveniente da fonti rinnovabili stata pari a circa 52 miliardi di kWh, con un incremento del 4,5% rispetto
il 2005. Tale crescita si deve principalmente allenergia prodotta dalleolico - 3,2 miliardi di kWh nel 2005,
equivalente ad un aumento del 37% -, seguita dal fotovoltaico - con circa 35 milioni di kWh prodotti,
segnando un aumento del 12,9%. Un risultato importante, ma ancora poco incisivo sul totale del
fabbisogno nazionale. Nel settembre 2007 viene pubblicato, in risposta al Piano della Commissione
europea, pubblica il Energia: temi e sfide per lEuropa e per lItalia, (testo in .pdf) dove emergono le
riflessioni del Governo sulle criticit in termini di energie da fonti rinnovabili e sulla necessaria integrazione
di una governance multilivello in ambito energetico. Tale documento riflette la consapevolezza di un paese
dipendente dallestero per l84% del suo fabbisogno di energia, secondo al mondo per importazione di
elettricit e che negli anni ha mancato di una politica seria in campo energetico. In ragione della sua
posizione geografica, grandi sono le potenzialit del nostro paese per lo sviluppo dellenergia solare ed
eolica. In questa prospettiva la realizzazione degli obiettivi europei potr avere un effetto straordinario in
termini di riduzione delle importazioni di fonti fossili e quindi di risparmio economico, in termini di
innovazione e di creazione di nuovi posti di lavoro, nonch in termini di minor impatto ambientale
favorendo un maggior benessere e una migliore qualit della vita per tutti.
Linquinamento
Solo dagli anni '70 del secolo scorso si iniziato a prendere il problema in seria considerazione; non pi solo
dagli ambientalisti, ma anche dalle istituzioni internazionali. Da allora si cercato di regolamentare e
limitare i danni che l'uomo provoca. La conferenza di Stoccolma nel 1972 introduce il concetto di
sostenibilit ambientale. Si consapevoli che lo stile di vita improntato sulla crescita sempre e
comunque, aumenta il livello di inquinamento nella terra. Se si vuole porre un freno al fenomeno
necessario un ripensamento non solo delle singole azioni, ma di uno stile di vita differente, improntato su
un nuovo modello di sviluppo che sia sostenibile con l'ambiente di cui anche l'uomo parte. Esistono vari
tipi di inquinamento: aria, acqua, suolo, chimico, acustico, elettromagnetico, luminoso, termico, genetico,
nucleare. A seconda della causa: naturale, domestico, architettonico, urbano, agricolo, industriale,
biologico. Anche se esistono cause naturali che possono provocare alterazioni ambientali negative, il
termine inquinamento si riferisce in particolare alle attivit antropiche, cio quelle provocate dall'uomo. Si
parla di inquinamento quando l'alterazione ambientale compromette l'ecosistema danneggiando una o pi
forme di vita. Una parte consistente dell'inquinamento rappresentata dalla produzione, il trasporto,
l'utilizzo e l'immissione nell'ambiente di diversi composti chimici di sintesi, che costituiscono una minaccia
per la salute umana e ambientale. Secondo le organizzazioni ambientaliste le industrie chimiche producono
ogni anno migliaia di composti sulla cui tossicit e reale impatto sanitario e ambientale mancano adeguate
informazioni scientifiche, lamentando la mancanza di informazioni relative all'impatto chimico sulla salute
umana e sull'ambiente. Fra le sue cause principali dell'inquinamento del suolo ci sono: i rifiuti non
biodegradabili, acque di scarico, prodotti fitosanitari, fertilizzanti, idrocarburi, diossine, metalli pesanti,
solventi organici. Questo tipo di inquinamento porta all'alterazione dell'equilibrio chimico-fisico e biologico
del suolo, lo predispone all'erosione e agli smottamenti e pu comportare l'ingresso di sostanze dannose
nella catena alimentare fino all'uomo. Le sostanze che raggiungono le falde acquifere sotterranee, inoltre,
possono danneggiare il loro delicato equilibrio. Le interferenze con queste ultime possono manifestarsi e, di
conseguenza, causare alterazioni pericolose nelle acque potabili, e quindi in quelle utilizzabili dall'uomo.
Negli ultimi decenni ci si resi conto che alcuni tipi di inquinamento locale costituiscono un problema
globale. Per esempio l'attivit umana, soprattutto i test nucleari, hanno consistentemente alzato il livello di
radiazione di fondo in tutto il mondo, con conseguenze per la salute umana e non solo. Esiste poi uno
stretto legame anche tra inquinamento ed energia. Il consumo di energia infatti provoca inquinamento sotto forma di CO2 e altri gas a effetto serra - indotto dalla produzione di energia elettrica. Nel corso degli
ultimi due secoli soprattutto luomo che ha contribuito al riscaldamento della Terra. Una grande quantit

di combustibili fossili, come ad esempio il carbone o il petrolio, quotidianamente bruciata ed espulsa


nellatmosfera sotto forma di gas ad effetto serra, nocivi per il clima. La maggior parte della CO2 prodotta
dal settore energetico, e le centrali a carbone hanno un ruolo preponderante in questo settore. La
consapevolezza delle gravi conseguenze dovute all'inquinamento, ha portato alla nascita di un movimento
ambientalista che cerca di sensibilizzare e limitare l'impatto umano sull'ambiente. Sono stati dimostrati i
legami tra agenti inquinanti e salute umana, in particolare con alcune malattie come: cancro, lupus, disturbi
del sistema immunitario, allergie e asma. Secondo i dati comunicati dagli esperti della Commissione Ue,
proprio l'asma e le allergie rappresentano le malattie croniche pi diffuse in Europa. Particolarmente
responsabili, gli inquinanti atmosferici - detti primari - che sono emessi nel corso dei processi di
combustione di qualsiasi natura: il monossido di carbonio, il biossido di carbonio, gli ossidi di azoto, le
polveri, l'anidride solforosa. Gli inquinanti primari, dopo l'emissione, sono soggetti a processi di diffusione,
di trasporto, di deposizione e subiscono inoltre dei processi di trasformazione chimico - fisica che possono
portare alla formazione degli inquinanti secondari, che sono nuove specie chimiche che spesso risultano pi
tossiche e di pi vasto raggio d'azione dei composti originari. Questa catena di reazioni porta alla
produzione di: ozono, idrocarburi ossidati, aldeidi, perossidi, acidi nitriloperacetici (PAN). L'insieme dei
prodotti di queste reazioni viene definito smog fotochimico, che rappresenta una delle forme di
inquinamento pi dannose per la salute e l'ecosistema. Da 50 anni a questa parte, l'attivit umana ha
portato una contaminazione radioattiva su tutto il pianeta,principalmente dovuta alle ricadute degli
esperimenti atomici, dei disastri nucleari come Chernobyl. L'utilizzo di armi a base di uranio impoverito
per molti responsabile di numerose malattie che hanno colpito militari impiegati in zone di guerra e
persone civili che abitano vicino a poligoni militari dove si sperimentano nuove armi come quello del Salto
di Quirra in Sardegna. Una categoria particolarmente a rischio per i danni provocati dall'inquinamento
quella dei bambini. Secondo uno studio del 2004 dell'Organizzazione mondiale della Sanit, una delle cause
maggiori di morte dei bambini in Europa linquinamento ambientale. L'inquinamento quindi globale e
trasversale: abbraccia numerose aree. Gioca, quindi, un ruolo fondamentale sia nell'ambiente che nello
sviluppo. Tra gli altri temi, si discusso anche di inquinamento a partire dal 1972, quando oltre cento
delegazioni provenienti da tutto il mondo parteciparono alla Conferenza dell'Onu sull'ambiente - tenutasi a
Stoccolma - e firmarono una Dichiarazione (in .pdf) di 26 principi. In quell occasione nacque il Programma
per l'Ambiente delle Nazioni Unite UNEP. Nel 1987, invece, sintrodusse il termine di sviluppo sostenibile
attraverso il rapporto della Commissione ONU Ambiente e Sviluppo conosciuto come Rapporto Burtland - lo
sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacit delle generazioni future di
soddisfare i propri. Esso si basa sul principio della precauzione: non si possono prevedere gli effetti
sullecosistema derivanti dalla perdita delle risorse. La necessit di individuare un percorso universale per
costruire uno sviluppo sostenibile porta la comunit internazionale a riunirsi nel 1992 a Rio de Janeiro. I
rappresentanti dei governi di oltre 150 paesi e oltre 1000 Organizzazioni Non Governative, riconoscono che
le problematiche ambientali devono essere affrontate in maniera universale e che le soluzioni devono
coinvolgere tutti gli Stati. Vengono negoziate e approvate tre dichiarazioni di principi (Dichiarazione di Rio,
Principi sulle foreste, Agenda 21), e firmate due convenzioni globali (cambiamento climatico e biodiversit).
Per sovrintendere all'applicazione degli accordi nasce la Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle
Nazioni Unite con il mandato di elaborare indirizzi politici e promuovere partenariati tra governi e gruppi
sociali. La conferenza di Rio, assume grande importanza anche perch in questa occasione si confrontarono
per la prima volta. Sommariamente vi sono state due visioni di sviluppo. Il Nord assegnava la priorit
allambiente nel suo complesso, cercando di indurre il Sud a non commettere gli stessi errori
salvaguardando le risorse naturali a vantaggio dellintero pianeta. Il Sud attribuiva priorit al proprio
sviluppo come via d uscita da fame, malattie, guerre, incompatibili con la tutela ambientale. La risoluzione
finale fu un tentativo di compromesso. Queste due visioni, ancoroggi, continuano ad essere riproposte con
forza nelle conferenze dellOrganizzazione Mondiale del Commercio bloccando, di fatto, ogni tentativo di
accordo. In verit di bloccato sembra il pensiero in quanto il nord non sembra voler/saper ridurre la propria
impronta ecologica pur consapevole dellinsostenibilit e gli emergenti come Brasile, Cina ed India
vorrebbero pi esempio e meno moralismo. Sebbene i problemi dell'ambiente siano ben lungi dall'essere
risolti, le varie conferenze, summit e vertici internazionali hanno dato inizio ad un processo di
regolamentazione per la tutela dell'ambiente, senza precedenti. Alla Conferenza delle Nazioni Unite
tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 sono poi succedute infatti numerose Convenzioni internazionali, la pi
importante delle quali conosciuta come il Protocollo di Kyoto (in .pdf).Il Protocollo di Kyoto un accordo
internazionale sui cambiamenti climatici, che stabilisce precisi obiettivi per i tagli delle emissioni di gas
responsabili dell'effetto serra, del riscaldamento del pianeta, da parte dei Paesi industrializzati. E' l'unico
accordo internazionale che sancisce una limitazione delle emissioni ritenute responsabili dell'effetto serra,
degli stravolgimenti climatici, del surriscaldamento globale. Il protocollo di Kyoto un risultato del trattato

della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (Unfccc), firmato a Rio de Janeiro
nel 1992 durante lo storico Summit sulla Terra. Firmato nel 1997 nella citt giapponese entrato in vigore
nel 2005, dopo l'ultima ratifica necessaria, e stabilisce tempi e procedure per realizzare gli obiettivi del
trattato sul cambiamento climatico, ma anche sanzioni per chi non rispetta gli obblighi. Da ricordare che gli
Stati Uniti, che sono tra i paesi che emettono pi sostanze inquinanti non hanno ancora ratificato il
documento, e che per India e Cina sono previsti speciali deroghe. Nel 2002, a trent'anni da Stoccolma e a
dieci da Rio de Janeiro, si tiene nella citt sudafricana di Johannesburg un nuovo Summit dedicato allo
Sviluppo Sostenibile, conclusosi con un documento firmato dai 189 paesi presenti. Tra le sue pagine, molte
enunciazioni e buoni propositi, come l'impegno a velocizzare il conseguimento delle scadenze e degli
obiettivi socio-economici ed ambientali contenuti, ma in realt pochissime scadenze e vincoli precisi, per
questo numerose Ong lasciarono i lavori. Tra gli impegni pi concreti, il piano impegna la comunit
internazionale a dimezzare, entro il 2015, la proporzione di esseri umani senza acqua potabile e servizi
igienici adeguati e ad "accrescere sostanzialmente" la parte delle energie rinnovabili nel consumo
energetico mondiale. Principi che gli stessi Stati che compongono le Organizzazioni Internazionali hanno
posto senza alcuna cifra e senza cadenze temporali precise. Con l'aggravarsi dei problemi legati
all'inquinamento e all'ambiente in generale, hanno preso vita diversi movimenti in tutto il mondo, con un
duplice obiettivo: quello di tutelare l'ambiente anche attraverso denunce di violazioni, e con il fine di
sensibilizzare le persone al rispetto dell'ambiente e all'educazione a comportamenti responsabili. La
coscienza ambientalista inizia a diffondersi dopo la pubblicazione, nel 1972, del Rapporto sui limiti dello
sviluppo a cura del Club di Roma che prediceva pessime conseguenze sull'ecosistema terrestre e sulla
stessa sopravvivenza della specie umana a causa della crescita della popolazione mondiale e dello
sfruttamento di risorse. Altre organizzazioni come le pi note, Greenpeace, WWF a carattere
internazionale, fino a quelle nazionali come Legambiente, Italia Nostra, Fai lavorano facendo pressioni
lobbistiche nei confronti delle istituzioni e di sensibilizzazione nei confronti della societ civile, ma si sono
imposti anche come importanti interlocutori nei grandi vertici internazionali. Tra i risultati del loro lavoro, la
creazione dell'Ufficio Europeo dell'Ambiente, lo sviluppo e l'applicazione di sempre pi numerose norme
sulla protezione ambientale, lo sviluppo di aree protette, l'introduzione di sistemi di tassazione dei rifiuti o
emissioni basato sulla quantit effettivamente prodotta. La campagne contro l'inquinamento si
propongono di eliminare progressivamente la produzione, l'utilizzo e lo smaltimento di composti chimici
pericolosi, fra i quali anche i POP, i composti organici persistenti che comprendono pesticidi, diossine e PCB.
Gli attivisti si oppongono anche all'esportazione di tecnologie "inquinanti" verso i paesi in via di sviluppo,
meno preparati alla gestione di tali tecnologie e quindi maggiormente esposti a rischi di incidenti industriali
e alla contaminazione degli ecosistemi naturali. Le attivit degli ambientalisti hanno contribuito a
sensibilizzare la pubblica opinione sul pericolo dell'inquinamento industriale, incoraggiando al contempo
l'uso di tecnologie e prodotti "puliti". Anche le battaglia per una migliore efficienza nella gestione
energetica della nostra vita quotidiana, per esempio attraverso lutilizzo di apparecchi a risparmio
energetico e sistemi di riscaldamento migliori, su questa linea la campagna "M'illumino di meno",anche se
sostenuta da sponsor che sono oggetto di critiche. La lotta all'inquinamento passa attraverso politiche reali
e culturali. Le prime vedono il potenziamento delle energie rinnovabili: eolica, solare, geotermica e tutti gli
ecoincentivi per rammodernare il parco macchine che ogni famiglia detiene (frigorifero, caldaia, auto). Ma
ci non basta. Serve unestenuante lavoro di sensibilizzazione per favorire comportamenti individuali
rispettosi sia dell'ambiente che di se stessi. On line possiamo trovare, a tal proposito, portali e siti "per un
mondo migliore", quantificando la propria "impronta personale" a seconda del proprio stile di vita. A tal
proposito, le ong e le universit non sono sole. Attraverso l'Unesco (agenzia Onu per leducazione, la
scienza e la cultura), stato proposto, nel 2005, il Decennio dell'Educazione allo Sviluppo Sostenibile (DESS)
2005-2014. Una grande campagna per sensibilizzare giovani e adulti di tutto il mondo verso la necessit di
un futuro pi equo ed armonioso, rispettoso del prossimo e delle risorse del pianeta. L'obiettivo
valorizzare il ruolo dell'educazione e, pi in generale, degli strumenti di "apprendimento" (istruzione
scolastica, campagne informative, formazione professionale, attivit del tempo libero, messaggi dei
media...) nella diffusione di valori e competenze orientati a uno sviluppo sostenibile. Non esiste un'unica
soluzione alla lotta all'inquinamento, le esperienze degli ultimi anni, tra movimenti, conferenze mondiali e
campagne di sensibilizzazione mettono in evidenza i fallimenti di strategie non condivise e sacrificate
sempre in nome della crescita e di uno sviluppo ancora legato al Pil. Per risolvere il problema necessario
mettere in discussione, in primis, il nostro stile di vita; la nostra impronta ecologica, senza,
necessariamente, tornare al lume di candela. Anzi.
I rifiuti

La questione della gestione e dello smaltimento dei rifiuti ha assunto negli anni una dimensione sempre
maggiore a livello internazionale, nazionale e locale come conseguenza dellattuale sistema economico e
sociale fondato sulla continua crescita della produzione e del consumo di beni e servizi. Tale economia si
basa quasi esclusivamente sul consumo di risorse naturali (materie prime, energia, suolo) che aumentato
enormemente a seguito degli sviluppi tecnologici che hanno favorito la diversificazione dei processi
produttivi e la moltiplicazione delle tipologie di prodotti, rendendo sempre pi mutevoli i modelli di
consumo e produzione. La questione dei rifiuti emblematica dellinsostenibilit del paradigma dello
sviluppo dominante e, a questo proposito, sono illuminanti le parole di Italo Calvino nel descrivere la citt
di Leonia (in pdf). Pu essere utile definire cosa si intende per rifiuto. La pi recente direttiva comunitaria
definisce rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di
disfarsi" (art. 3 della direttiva 2008/98/Ce del 19 novembre 2008), al di la della definizione giuridica che
stata ed oggetto di discussione, ci che possiamo generalmente definire come rifiuto sono tutti i residui
della produzione e del consumo che si presentano in forma solida, liquida (se raccolti in un contenitore
rigido) e i fanghi. (Normativa e politiche dellUE sui rifiuti I rifiuti da un punto di vista normativo si
distinguono poi in rifiuti urbani e rifiuti speciali che a loro volta si dividono in rifiuti pericolosi e non
pericolosi. I rifiuti solidi urbani (RSU) sono quelli prodotti dalle famiglie, dalle attivit commerciali (alberghi,
bar, ristoranti, uffici, negozi, supermercati, ecc.), da enti quali ospedali, carceri, caserme, scuole. Essi si
distinguono in rifiuti ordinari, pericolosi (pile, batterie, farmaci, lampade al neon, ecc.), ingombranti (mobili,
elettrodomestici, arredi, sanitari, ecc.).I rifiuti speciali sono invece tutti i residui derivanti da attivit
produttive suddivisi per varie tipologie tra cui: rifiuti che per caratteristiche e non pericolosit sono smaltiti
come RSU, fanghi di depurazione civile; rifiuti ospedalieri non assimilabili; autodemolizioni; inerti di origine
industriale e civile; rifiuti speciali non tossici e nocivi. I rifiuti speciali pericolosi sono quelli che contengono
sostanze tossiche in misura superiore alle soglie indicate dalla legge. Non rientrano nella normativa sui
rifiuti quelli nucleari che sono regolamentati a parte.Bench da molti anni la prevenzione sia un obiettivo
fondamentale delle politiche comunitarie e nazionali ci che si registra un continuo e progressivo
aumento della quantit di rifiuti.Tra il 1996 e il 2005 a livello di Unione Europea si verificato un aumento
del 16% dei rifiuti solidi urbani, per lo stesso periodo in Italia si registra un pi 19%. Solo tra il 2005 e il 2006
secondo il Rapporto rifiuti 2007 dellAgenzia nazionale per la protezione dellambiente (APAT) si
registrato un aumento del 2,5% della produzione di rifiuti che significa complessivamente 32,5 milioni di
tonnellate con un incremento di 860 mila tonnellate. Significativo anche il dato pro-capite che rileva come
ogni cittadino italiano nel 2006 ha prodotto 550kg di rifiuti urbani, rispetto ai 539kg del 2005. Questi
numeri riguardano per solo la quantit di rifiuti pro-capite del consumatore finale, i rifiuti solidi urbani,
quelli in sacchetto di plastica che buttiamo quotidianamente nei cassonetti. Ma se guardiamo allintero
ciclo di vita dei prodotti, ogni cittadino europeo produce lequivalente di 4 tonnellate di rifiuti lanno perch
in ogni fase di produzione di un bene o servizio si generano rifiuti a volte anche molto superiori alle materie
che compongono il bene stesso (materie prime estratte, energia consumata, trasporti, ecc.). Relativamente
ai rifiuti speciali il Rapporto Rifiuti 2007, prima citato, rileva che in Italia ne sono stati prodotti nel 2005
oltre 107,5 milioni di tonnellate, di cui 55,6 mil/ton di rifiuti speciali non pericolosi, 5,9 mil/ton di pericolosi
e circa 46 mil/ton di rifiuti da costruzione e demolizione. Lanalisi dei dati evidenzia che nel biennio
2004/2005 a fronte di una flessione del 2,5% di rifiuti speciali non pericolosi si avuto un incremento
dell8,6% di quelli pericolosi.Si sono voluti richiamare questi dati per dare almeno unidea della quantit di
rifiuti che ogni anno vengono prodotti solo nel nostro paese, ma anche perch consentono di segnalare due
aspetti rilevanti dal punto di vista ambientale. La produzione di rifiuti un indicatore che misura
limpoverimento delle risorse naturali, esiste infatti una stretta correlazione tra la quantit di rifiuti
prodotti, la perdita di risorse naturali e linquinamento. Il continuo aumento della quantit di rifiuti indica
leccessiva pressione dellattuale sviluppo economico nei confronti delle risorse della terra - sia di quelle
non rinnovabili il cui stock fissato, sia di quelle rinnovabili che hanno una capacit di rigenerazione
costante, ma limitata da fattori di carattere fisico, geografico e biologico. Il problema non dato solo dalla
quantit di rifiuti prodotti, ma anche dalla loro qualit: i rifiuti pericolosi, anche in piccole quantit,
generano impatti pesanti sugli ecosistemi naturali e sullambiente in generale e, di conseguenza, sulla
salute e la qualit della vita delle persone e delle comunit delle presenti e delle future generazioni. Una
delle conseguenze dellaumento della quantit e della pericolosit dei rifiuti prodotti nelle societ
industriali ha comportato negli ultimi 30/40 anni lavvio di un importante e spesso illegale traffico
transnazionale di immondizie dei paesi industrializzati verso i sud del mondo.Per fronteggiare tale
fenomeno, nel corso degli anni 80, la comunit internazionale ha avviato un processo di regolamentazione
del traffico transnazionale di rifiuti pericolosi culminato nel 1989 con la firma della Convenzione di Basilea.
La convenzione si pone lobiettivo di regolamentare lesportazione, limportazione e lo smaltimento dei
rifiuti pericolosi a partire da alcuni principi cardine dellordinamento internazionale sullambiente che

dovrebbero guidare lazione degli Stati: minimizzare la produzione di tali rifiuti (prevenzione), favorirne lo
smaltimento allinterno del paese di produzione (prossimit), agire congiuntamente e in spirito di
partnership (cooperazione), responsabilit per i danni provocati (chi inquina paga). Tale convenzione non
comprende i rifiuti radioattivi che sono regolamentati dalla Convenzione di Vienna sulla sicurezza nucleare
del 1994 e quelli navali che rimandano alla Convenzione sulla prevenzione dellinquinamento marino.Nel
corso degli anni 90 stato poi adottato il Protocollo sulla Responsabilit per danni da movimenti
transfrontalieri di rifiuti pericolosi (non ancora entrato in vigore), mentre a livello continentale
lOrganizzazione per lUnit Africana ha approvato la Convenzione di Bamako e lUnione Europea ha
disciplinato tale fenomeno allinterno della Convenzione di Lom IV che regola la cooperazione con i Paesi
ACP (Africa, Carabi, Pacifico).Tali accordi giuridici hanno posto le basi per lo sviluppo di un sempre pi
puntuale diritto internazionale in materia, ma non hanno certamente dato soluzione al gravissimo
problema delle esportazioni illegali di rifiuti pericolosi. Il diritto da solo non basta, sono necessarie efficaci
misure di controllo e di sanzione sopranazionali, nonch adeguate politiche da parte degli Stati per
contrastare il fenomeno e per dare concretezza e attuazione ai principi prima richiamati di prevenzione,
prossimit, cooperazione e responsabilit. A ci si aggiunga la redditivit che tale commercio garantisce
calcolabile a livello globale in migliaia di milioni di euro, linstabilit politica, una legislazione inadeguata e i
conflitti armati che hanno caratterizzato, e ancora caratterizzano, molti paesi in via di sviluppo creando
situazioni favorevoli per il commercio illegale di rifiuti che spesso si combina con il traffico di armi.Pare
opportuno per segnalare che il commercio di rifiuti riguarda tutte le tipologie di scarti, non solo quelli
pericolosi, perch pur essendo materiali di cui ci si disfa questi hanno un valore economico che varia a
seconda del paese e/o dellarea geografica di provenienza/arrivo e a seconda della possibilit di recuperare
materie prime secondarie. In questi ultimi anni, per esempio, come conseguenza degli impegnativi obiettivi
prefissati dalla normativa comunitaria relativamente alla percentuale di raccolta differenziata e di recupero
dei materiali, si registrato un significativo aumento del commercio di rifiuti quali carta, imballaggi, metalli
sia allinterno dellUnione che allesterno. In particolare in Asia dove la Cina sta rastrellando un numero
sempre maggiore di materie prime necessarie per mantenere elevato il tasso di crescita economica. Le
politiche per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti sono definite chiaramente gi da molti anni da
specifiche normative e indirizzi politici dellUnione Europea. In particolare, lUnione indica quattro ordini di
priorit: potenziare la raccolta differenziata e il riciclo, bruciare i rifiuti recuperando energia, bruciare i
rifiuti tout court e, infine, portarli in discarica. La differenziazione rappresenta oggi il 25,8% della modalit
di smaltimento dei rifiuti a livello nazionale (37% a livello europeo) e nel 2006 si registrato un significativo
pi 24,2% rispetto allanno precedente (dati APAT 2007), ancora lontano dallobiettivo previsto dalla
normativa italiana che richiedeva il raggiungimento del 40% entro il 2007, il 50% al 2009 e il 60% al 2011 (L.
296/2006). La situazione per molto differente a seconda dellarea geografica di riferimento.La seconda
indicazione del legislatore comunitario quella di potenziare gli impianti di incenerimento, che consentono
una riduzione fino al 70% del peso e del 90% del volume dei rifiuti e che rispetto alle discariche hanno un
minor impatto sulla salute e sullambiente. Attualmente nel nostro paese la percentuale di rifiuti trattati
secondo questa modalit del 10,1% senza una sostanziale modifica rispetto allanno precedente mentre la
media europea si attesta al 18%.Il conferimento in discarica dei rifiuti rappresenta, infine, oltre il 50% cio
la forma di gestione pi utilizzate e diffusa, nonch la modalit meno efficiente e a pi alto rischio per la
salute dei cittadini. Il rapporto Apat ci segnala per che negli ultimi 5 anni, in seguito al positivo sviluppo
della raccolta differenziata e, anche se in misura minore, dellaumento dei rifiuti trattati con gli inceneritori,
si registrata una riduzione di circa 10 punti percentuale. Anche a livello comunitario la maggior parte dei
rifiuti continua ad essere smaltito in discarica con una percentuale del 45%.Relativamente al tema
smaltimento non si pu non segnalare che nel nostro paese si sviluppata nel corso degli ultimi vent'anni
una vera e propria economia parallela fondata sul traffico illegale di rifiuti. I dossier di Legambiente dal
titolo significativo Rifiuti SpA ripercorrono - anche alla luce delle tre Commissioni parlamentari dinchiesta
sul ciclo dei rifiuti, dei risultati della Direzione investigativa antimafia e altri importanti documenti lintreccio tra criminalit organizzata e politica corrotta che hanno fatto della Regione Campania la discarica
abusiva pi grande dItalia.La questione della costruzione di nuovi termovalorizzatori, cio di impianti di
incenerimento in grado di recuperare energia incontra forti ostacoli da parte delle comunit locali per la
legittima preoccupazione degli impatti sulla salute umana. Tale conflittualit non mitigata
dallapplicazione di una normativa europea sempre pi puntuale, che prescrive lutilizzo delle migliori
tecnologie possibili (BAT Best Available Techniques) e di pratiche gestionali standardizzate e controllabili.
Dal punto di vista tecnico-scientifico non vi sono risposte univoche, ma sempre pi ci si trova di fronte a
posizioni differenti sulle conseguenze delle applicazioni tecnologiche.Ci di cui si ha bisogno di garanzie
politiche affinch i nuovi impianti di smaltimento non vengano realizzati con strutture sovradimensionate e
rigide, in modo tale da evitare che si pongano in concorrenza con gli obiettivi di miglioramento sia della

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raccolta differenziata che di riduzione della produzione dei rifiuti. necessario, inoltre, che la realizzazione
degli impianti venga preceduta dalla realizzazione delle procedure di valutazione ambientale strategica
(VAS) e di valutazione di impatto ambientale (VIA), non solo per analizzare e prevedere i possibili impatti
sullambiente, ma anche e prim ancora per analizzare preventivamente tutte le possibili alternative
allimpianto stesso. inoltre necessario ricercare modalit dinformazione, coinvolgimento e partecipazione
della popolazione locale nelle scelte di localizzazione degli impianti di smaltimento e che questi vengano
realizzati il pi vicino possibile al luogo di produzione, in modo da favorire il controllo e la
responsabilizzazione delle comunit locali sul tipo e la quantit di rifiuti prodotti. A fronte dei numeri prima
richiamati sulla quantit dei rifiuti prodotti, evidente che nel medio-lungo periodo per governare la
questione rifiuti necessario realizzare un efficace sistema economico e sociale in grado di minimizzarne la
produzione. Sulla base dei principali studi di settore e della stessa legislazione comunitaria che si situa tra le
pi avanzate a livello mondiale, sul modello di produzione che occorre intervenire, favorendo ladozione
di modalit che riducano i rifiuti durante lintero ciclo produttivo, permettendo poi un pi facile avvio al
recupero dei prodotti a fine vita. La questione di fondo che unefficace azione di prevenzione/riduzione
della produzione dei rifiuti deve intervenire a monte, agendo sulla composizione del prodotto/servizio, e
non a valle cio nella fase del consumo. Il processo, peraltro gi avviato, quello della dematerializzazione
che significa ridurre la quantit di materiali e di energia impiegati per soddisfare una singola unit di
consumo. Bisogna, in altre parole, intervenire sui processi e sui prodotti, fin dalla fase della loro
progettazione, che deve essere pensata nella prospettiva di un minor consumo di natura e di un riutilizzo,
parziale o totale, della materia prima seconda. Bisogna creare prodotti che possano durare nel tempo
prevedendo di poter realizzare interventi di manutenzione e di sostituzione di singoli componenti. Nel
contempo attuare una semplificazione e standardizzazione del tipo e della composizione merceologica di
un gran numero di merci e oggetti, onde favorire i successivi processi di recupero e riciclo delle materie
residue.Alcuni importanti strumenti sono gi presenti nella legislazione italiana ed europea come per
esempio lanalisi del ciclo di vita dei prodotti - LCA, i marchi di qualit ecologica, i sistemi di gestione
ambientale che si pongono come obiettivo di produrre gli stessi beni e servizi utilizzando meno risorse
naturali, attraverso una maggiore efficienza nelluso dellenergia e delle materie prime, ottenendo cos
anche una riduzione delle emissioni di sostanze nocive e della produzione di rifiuti. Un ulteriore strumento
rappresentato dall introduzione di politiche volte alla sostituzione dei beni con i servizi. Tali
trasformazioni possono incidere positivamente sulla produzione e sul riciclaggio dei rifiuti, in quanto lo
stesso bene (lauto, la lavatrice, un imballaggio) verrebbe utilizzato pi volte, per un tempo pi lungo e non essendo pi in carico ad un consumatore, ma ad un produttore - non verrebbe inteso come un bene di
consumo, ma come un investimento. Inoltre, i rifiuti prodotti dalle attivit economiche per le loro
caratteristiche e dimensioni sono pi facilmente recuperabili e maggiore la convenienza economica al
riciclo.La convenienza economica oggi una leva irrinunciabile per favorire e promuovere i necessari
processi di trasformazione industriale volti alla riduzione della produzione dei rifiuti, cos come alla crescita
di un mercato del riuso e del recupero dei prodotti. in altre parole lintera filiera del riciclaggio dei rifiuti
che deve affermarsi sia nel nostro paese che in Europa.Altrettanto importante nella direzione di
promuovere un sistema economico in grado di minimizzare la produzione di rifiuti il contributo che pu e
deve venire dalle scelte di acquisto sia dei singoli consumatori, sia delle organizzazioni: dalle
amministrazioni pubbliche alle imprese, dalle chiese allassociazionismo.Lavvio di strategie mirate al
cambiamento degli stili di vita pu rappresentare un importante strumento per raggiungere questo
obiettivo. Si tratta di responsabilizzare i cittadini nella loro qualit di consumatori, sia per linfluenza diretta
che tali scelte hanno sullimpatto ambientale e sulla produzione di rifiuti, sia perch la scelta di acquisto o
non acquisto di un prodotto o un servizio pu contribuire al suo successo sul mercato, influenzando in via
indiretta le scelte delle imprese. In questa direzione uno sforzo maggiore andr rivolto alle attivit di
informazione, formazione e sensibilizzazione delle comunit nelladozione di comportamenti virtuosi volti
alla riduzione della produzione di rifiuti, ma anche ad una maggiore predisposizione alla raccolta
differenziata, al riuso e riciclo dei beni e servizi utilizzati. Indubbiamente difficile ed impegnativo il
percorso che deve essere realizzato per una gestione sostenibile dei rifiuti. La difficolt maggiore data
proprio dalla complessit della problematica che affonda le sue radici nel nostro modo di vivere e di
produrre. Certamente non vi sono scorciatoie: il problema rifiuti necessita di interventi strutturali e
integrati sui diversi aspetti dello sviluppo economico, sociale, ambientale agendo con coerenza e
continuit attraverso adeguate politiche capaci di governare in un orizzonte di lungo periodo.
Tutela ambientale

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Lo sfruttamento generalizzato delle risorse naturali, dettato dalla vorticosa intensificazione delle attivit
umane e dal progressivo aumento di nuclei urbani e stabilimenti industriali, insieme allutilizzo sempre pi
indiscriminato di agenti chimici e inquinanti, hanno innescato da pi di un secolo un grave processo di
degradazione ambientale. Soprattutto dagli anni 90 in poi la comunit internazionale sembra essersi resa
conto della necessit sempre pi urgente di avviare una strategia globale per raggiungere un vero modello
di sviluppo sostenibile. quanto emerso dalla conferenza ONU del 1992 di Rio de Janeiro incentrata
sullambiente e lo sviluppo, durante la quale si affermato proprio che per intraprendere un processo di
sviluppo sostenibile necessario modificare i modelli di produzione e di consumo, adottando nuove misure
legislative in materia ambientale ed eseguire sistematicamente la procedura della valutazione di impatto
ambientale (VIA).In realt gi venti anni prima, ossia durante la Conferenza di Stoccolma del 1972, le
Nazioni Unite avevano affrontato in modo organico il tema della tutela ambientale e dellutilizzo sostenibile
delle risorse naturali decidendo di istituire il Programma delle Nazioni Unite per lAmbiente (UNEP United
Nations Environment Programme), che avrebbe avuto sede a Nairobi e al quale veniva affidato un mandato
che, grazie anche alle numerose convenzioni firmate negli anni successivi, pu oggi essere riassunto in
cinque azioni principali:
mantenere sotto controllo la situazione ambientale globale
- promuovere lazione e la cooperazione internazionale
- fornire indicazioni e informazioni preventive basate su solide valutazioni scientifiche
- facilitare lo sviluppo e limplementazione di normative standard e della coerenza tra le diverse
convenzioni internazionali sullambiente
- rafforzare i supporti tecnologici e le capacit dei Paesi in base ai loro bisogni e alle loro priorit
La strategia adottata dallUNEP per il periodo 2010-2013 ha individuato sei aree prioritarie sulle quali
intervenire focalizzando i propri sforzi:
- cambiamenti climatici
- disastri e conflitti
- gestione dellecosistema
- governance ambientale
- sostanze dannose e rifiuti pericolosi
- sostenibilit della produzione e del consumo delle risorse
Osservando le priorit tematiche indicate dallUNEP si pu comprendere come oggi pi che mai la tutela
ambientale non limiti la sua funzione alla salvaguardia delle risorse del pianeta (compito peraltro
fondamentale) ma si sia trasformata in un vero e proprio strumento per combattere la povert. Le
conseguenze dei cambiamenti climatici, infatti, hanno da tempo cominciato a far sentire i propri effetti sul
pianeta colpendo innanzitutto le popolazioni del Sud del mondo, provviste di minori risorse per affrontare
le conseguenze del surriscaldamento del pianeta come la siccit o le inondazioni, e pi dipendenti
dallagricoltura, attivit che maggiormente risente dei cambiamenti del clima. Non un caso, dunque, che il
Settimo degli Otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio, da raggiungere entro il 2015, sia dedicato proprio ad
assicurare la sostenibilit ambientale. Ci significa soprattutto che il dualismo tra salvaguardia
ambientale e lotta alla povert stato ormai definitivamente superato e che anzi i due obiettivi sono
intimamente correlati.Unefficace azione di tutela dellambiente deve innanzitutto individuare e
contrastare i maggiori pericoli che lo minacciano. I pi gravi sono certamente, come sottolineato, gli effetti
derivanti dai cambiamenti climatici (non a caso lUNEP e lOrganizzazione Mondiale di Meteorologia hanno
istituito nel 1988 lIPCC, ossia un gruppo di lavoro intergovernativo formato da esperti con il compito di

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valutare costantemente tutte le informazioni scientifiche, tecniche e socioeconomiche sui cambiamenti


climatici), linquinamento dellaria, delle acque e del suolo, leccessivo consumo e la frammentazione del
territorio, che mettono fortemente a rischio la sopravvivenza di molte specie.Il 21 maggio, durante la
Giornata Mondiale della Biodiversit, il WWF Italia ha tracciato il quadro dellattuale situazione vissuta dal
nostro Paese il quale, pur costituendo una delle aree europee pi ricche di biodiversit, non si ancora
dotato di una Legge specifica n di una Strategia nazionale per la biodiversit, come invece stabilito dalla
Convezione internazionale del 2002, e come gi fatto da tutti gli altri grandi Paesi europei (ai quali, oltre
allItalia, non si sono aggiunti solo Grecia, Malta, Cipro e Lussemburgo). Questa carenza spiega, almeno in
parte, i mancati progressi fatti registrare in difesa della nostra fauna e della nostra flora nel raggiungimento
del 2010 biodiversity target, ossia lobiettivo di arrestare lestinzione di qualunque specie che i governi di
tutto il mondo si sono prefissati di conseguire appunto entro il 2010. Proprio per salvaguardare lambiente
dai numerosi rischi che lo attanagliano Legambiente aveva presentato, alla vigilia delle elezioni politiche del
2008, un Patto per lambiente che prevedeva una serie di impegni per arrestare i cambiamenti climatici,
ridurre il problema dei rifiuti, bloccare il consumo del suolo ecc. Purtroppo a un anno di distanza molti di
questi impegni non sono stati realizzati, anzi diversi annunci governativi in materia di energia non lasciano
sperare per il meglio, basti pensare alla volont di utilizzare energia nucleare e potenziare le centrali di
carbone. NellUnione Europea attualmente in vigore il Sesto Programma di azione per lambiente
intitolato Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta che copre il periodo 2002 2012. La strategia
ambientale europea si basa su cinque livelli:
- miglioramento dellapplicazione della legislazione vigente
- integrazione delle tematiche ambientali nelle altre politiche
- collaborazione con il mercato
- coinvolgimento dei cittadini per modificarne il comportamento
- attenzione allambiente nelle decisioni in materia di assetto e gestione territoriale
Soprattutto gli ultimi due assi prioritari appaiono particolarmente significativi, in quanto mirano sia a
migliorare il comportamento ecologico dei cittadini europei (offrendo loro anche laccesso al numero
maggiore possibile di informazioni sullambiente) che ad attribuire maggior importanza allambiente nella
gestione del territorio attraverso un miglioramento dellapplicazione della direttiva sulla VIA, la promozione
degli scambi di esperienze sulla pianificazione sostenibile, una gestione sostenibile del turismo ecc. Il sesto
programma dazione prevede poi sette aree tematiche particolari:
- inquinamento atmosferico
in questo campo lUnione Europea si pone lobiettivo, tra gli altri, di proteggere gli ecosistemi dal degrado
causato dalla deposizione di azoto e dalle piogge acide
- ambiente marino
in questo ambito la strategia prevede una doppia funzione: proteggere e risanare i mari europei e
assicurare la correttezza di tutte le attivit economiche connesse allambiente marino
- uso sostenibile delle risorse
lo scopo dellUE quello di migliorare il rendimento delle risorse in tutti i settori consumatori, ridurne
limpatto sullambiente e sostituire le risorse troppo inquinanti con soluzioni alternative
- prevenzione e riciclaggio dei rifiuti
la strategia in questo caso volta alla riduzione degli impatti ambientali negativi generati dai rifiuti durante
tutto il loro percorso di esistenza, adottando innanzitutto la semplificazione della legge attualmente in

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vigore e considerando i rifiuti stessi non solo come fonte di inquinamento ma come una potenziale risorsa
da sfruttare
- uso sostenibile dei pesticidi
il piano si pone lo scopo di ridurre i rischi legati ai pesticidi, aumentare i controlli, ridurre i livelli di sostanze
nocive, incoraggiare la conversione verso unagricoltura che non utilizzi i pesticidi, istituire un sistema di
sorveglianza dei progressi compiuti
- protezione del suolo
lobiettivo primario la promozione dellagricoltura biologica, il rimboschimento, la protezione dei
terrazzamenti, luso di compost certificato
- ambiente urbano
la strategia prevede, tra le varie misure, la pubblicazione di orientamenti relativi sia allintegrazione delle
tematiche ambientali nelle politiche urbane, che ai piani di trasporto urbano sostenibile.Uno degli
strumenti legislativi pi importanti e innovativi in ambito di tutela ambientale europea la Direttiva
2004/35/CE, introdotta nellaprile del 2004 proprio con lobiettivo di instaurare un regime comunitario di
responsabilit ambientale basato sul principio chi inquina paga. Vengono infatti stabilite le azioni di
prevenzione e di riparazione a carico delloperatore che, o con determinate attivit professionali
considerate pericolose o potenzialmente pericolose, o con attivit non pericolose ma caratterizzate da
errori o negligenze, danneggi o metta a rischio lambiente, le acque, il terreno In termini legislativi uno dei
pi importanti strumenti utilizzati ai fini della tutela ambientale la valutazione di impatto ambientale
ossia, come stabilito dalla Convenzione di Expoo entrata in vigore nel 1997 (che a sua volta si rifaceva a
quanto stabilito dal Programma delle Nazioni Unite per lAmbiente e dalla Dichiarazione ministeriale di uno
sviluppo durevole nel 1990 in Norvegia), una procedura nazionale finalizzata a valutare il probabile
impatto sullambiente di unattivit prevista, considerando con il termine impatto ogni effetto ambientale
sulla salute e la sicurezza, sulla flora, sulla fauna, sul suolo, nellaria, nellacqua, sul clima, sul paesaggio e
sui monumenti storici, anche nellinterazione tra essi. A livello comunitario la necessit di unazione
preventiva di tutela dellambiente trov una prima manifestazione gi nella seconda met degli anni
Settanta allinterno del programma di azione delle Comunit europee in materia ambientale, mentre con i
successivi programmi (Direttiva n. 85/337/CE del 27 giugno 1985) si compivano due importanti progressi:
veniva infatti disciplinata la procedura per la valutazione di impatto ambientale per determinati progetti
pubblici e privati e si esplicitava la concezione che avrebbe guidato le strategie europee anche negli anni
successivi, cio che unefficace politica ecologica deve tendere a evitare fin dallinizio ogni tipo di
inquinamento o altre perturbazioni, anzich contrastarne successivamente gli effetti negativi. La procedura
approvata composta da quattro fasi:
- La redazione di uno studio preliminare sul presunto impatto ambientale
- La consultazione delle varie amministrazioni interessate
- Linformazione della popolazione (che certamente uno degli aspetti pi importanti perch permette la
partecipazione di tutti i soggetti interessati)
- Lautorizzazione alla realizzazione dellopera
In Italia la procedura di VIA indica, tra laltro, quali sono le opere che devono essere sottoposte a
valutazione di impatto ambientale dividendole in tre distinte categorie:
- Progetti che devono essere sempre sottoposti a VIA (ad esempio raffinerie, centrali termiche, acciaierie,
impianti chimici o per la produzione idroelettrica, ma anche grandi infrastrutture come porti marittimi,
autostrade, aeroporti)

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- Progetti che devono essere sottoposti a VIA solo se ricadono allinterno di aree naturali protette (impianti
di industrie alimentari o tessili, progetti agricoli di notevoli dimensioni, alberghi, campeggi o villaggi turistici
con una superficie superiore a determinati standard..)
- Progetti di competenza statale finalizzati allo sviluppo e al collaudo di nuovi metodi o di nuovi prodotti e
che nono sono utilizzati per pi di due anni
Ancor prima della valutazione ambientale di un determinato intervento, per, appare di fondamentale
importanza una valutazione di pi ampio respiro relativa alla pianificazione e alla programmazione
territoriale: questo il compito della VAS valutazione ambientale strategica, introdotto nella legislazione
europea nel 2001 (Direttiva 2001/42/CE). Lobiettivo della VAS, come esplicitato anche nella Direttiva
comunitaria, dunque quello di garantire un elevato livello di protezione dellambiente al fine di
promuovere lo sviluppo sostenibile, analizzando preventivamente tutti gli effetti che potranno ricadere
sullambiente a causa dellattuazione di determinati strumenti di programmazione e pianificazione per
settori come quello agricolo, industriale, dei trasporti, della pesca, della gestione dei rifiuti ecc.In Italia
lautorit sulle procedure di valutazione di impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica di
competenza dello Stato stata conferita al Ministero dellAmbiente e della Tutela del territorio e del mare
che a sua volta chiamato a conferire le funzioni istruttorie a una Commissione Tecnica di verifica
dellimpatto ambientale VIA e VAS. Per i progetti di carattere regionale, invece, la competenza spetta agli
enti locali e ai loro organismi preposti alla salvaguardia ambientale.Per quanto riguarda la VIA, la
Commissione ha il compito di esaminare lesattezza e la completezza della documentazione presentata,
verificare che i dati prodotti sui rifiuti e le emissioni inquinanti rientrino allintero delle prescrizioni indicate
dalla normativa di settore, individuare e descrivere limpatto complessivo del progetto sullambiente.
Terminata la fase istruttoria la Commissione deve esprimere un provvedimento, ampiamente motivato, che
deve essere pubblicato sia sulla Gazzetta Ufficiale (della Repubblica se si tratta di una competenza statale o
Regionale se la competenza a livello di ente locale) che sul sito web dellautorit competente, in modo
che le informazioni in merito al progetto esaminato e la valutazione di impatto ambientale effettuata siano
fruibili da tutti i cittadini. La stessa regola vale per i risultati delle attivit di monitoraggio dellopera
(previste dal provvedimento di VIA al fine di garantire un immediato intervento qualora dovessero
sopraggiungere impatti negativi non previsti). Per ci che concerne la VAS il ministero dellambiente deve
lavorare in accordo con il dicastero per i beni e le attivit culturali e produrre un Rapporto ambientale con il
compito di esplicitare una stima attendibile di tutti gli effetti sullambiente degli interventi previsti dal
piano. Prima di essere approvato tale rapporto deve inoltre essere sottoposto alla consultazione di tutte le
autorit ambientali preposte e delle collettivit interessate.
Globalizzazione
C' chi sostiene che la data di inizio del fenomeno globalizzazione coincida con la scoperta dell'America
nel 1492, altri con la rivoluzione industriale di fine '700, altri ancora col periodo che precedette la prima
prima guerra mondiale. Una data di nascita vera e propria difficile da stabilire, quello che certo che a
partire dagli anni '70 del secolo scorso ha subito un'accelerazione senza confronti col passato. I fatti pi
rilevanti sono stati: la dichiarazione sulla liberalizzazione dei movimenti di capitale, fatta dal presidente
americano Richard Nixon nel 1971, insieme alla non convertibilit del dollaro, la politica Reagan - Thatcher
degli anni '80, e ancora di pi con la caduta del muro di Berlino del 1989, che ha aperto i mercati dell'Est al
libero mercato. Si parla spesso di globalizzazione come seconda rivoluzione capitalista, ma forse si tratta
dell'evoluzione dello stesso processo. Complice di questa evoluzione/accelerazione, anche la rivoluzione
informatica e la conseguente espansione delle comunicazioni. L'espressione villaggio globale stata
coniata proprio per indicare un mondo unico, senza frontiere, dove tutto e tutti sono sempre raggiungibili,
dove possibile effettuare delle transazioni finanziarie da una parte all'altra del mondo senza nessun
impedimento. Il fenomeno va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici,
e delle complesse interazioni su scala mondiale, fenomeno che molti cercano di contrastare e che ha dato
vita a tanti movimenti di protesta che propongono uno sviluppo alternativo e sostenibile. L'intento
principale della globalizzazione quello di creare un unico sistema economico privo di barriere, ma nella
realt un processo molto pi complesso che invade numerose altre sfere. Garantire ai capitali l'accesso
aperto e non regolamentato ai mercati mondiali lasciando che il libero mercato si regoli da s consente alle
multinazionali di scegliere in quale posto del mondo sia pi conveniente produrre, in quale sia pi
conveniente vendere, e in quale sia pi conveniente reinvestire i profitti e/o dove tenerli nascosti al fisco. Il

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risultato l'eliminazione dei piccoli produttori, distributori e venditori, che non riescono pi ad essere
competitivi ma anche la mancanza di capitali da utilizzare per lo sviluppo che vengono invece accumulati da
poche persone. Tutto questo ha quindi dei costi sociali e ambientali molto alti. Perdita di lavoro nei paesi
occidentali dovuti alla delocalizzazione del lavoro da parte della aziende che preferiscono spostarsi in zone
dei Sud del mondo, dove i salari sono molto bassi e dove le legislazioni locali a tutela dei lavoratori e
dell'ambiente non sono avanzate come le nostre. Non sempre facile comprendere chi sia complice di chi (i
governi delle multinazionali o viceversa?). In una societ globalizzata il capitale, il lavoro, le materie prima
non sono pi di per se stessi dei fattori economici determinanti, quello che conta la loro relazione
ottimale, e per stabilirla non si tiene pi conto n delle frontiere, n delle regole, ma soltanto di uno
sfruttamento dell'informazione, dell'organizzazione del lavoro e della gestione delle imprese. La
competizione la forza motrice della globalizzazione, come disse l'amministratore delegato Nestl al Forum
di Davos di qualche anno fa: che sia un individuo, un impresa o un paese, per sopravvivere in questo
mondo importante essere pi competitivi del proprio vicino. E i governi devono adeguarsi, altrimenti i
mercati li punirebbero immediatamente sostiene Hans Tietmayer, ex presidente della Bundesbank gli
uomini politici sono ormai sotto il controllo dei mercati finanziari. Per questo si crea un divario tra
interesse collettivo e interesse di mercato, che si trasforma in interesse dello Stato contro interesse delle
multinazionali. E queste ultime sembrano avere la meglio. Come aveva constatato sempre in uno dei Forum
di Davos il segretario generare di un sindacato francese: i poteri pubblici, nella migliore delle ipotesi, non
sono che un subappalto fatto dall'impresa. Il mercato governa. Il governo gestisce. La crescita smisurata
delle societ multinazionali, che proprio grazie al potere economico riescono a influenzare le scelte
politiche e fare in modo che i propri interessi siano sempre tutelati pu essere dimostrata dalla creazione
dell'Organizzazione Mondiale per il Commercio. Esempio dell'enorme ruolo che giocano le grandi
multinazionali nel favorire la globalizzazione la creazione nel 1995 dell'Organizzazione Mondiale per il
Commercio, che in realt la trasformazione in istituzione del GATT (General Agreement on Tariffs and
Trade). Si tratta di un insieme di accordi nati nel 1944 insieme alle Istituzioni di Bretton Woods: Banca
Mondiale a Fondo Monetario Internazionale. Queste due furono istituite con lo scopo di regolamentare
leconomia internazionale, in particolare il Fondo Monetario Internazionale per garantire la stabilit dei
tassi di cambio tra le diverse valute, la Banca Mondiale per sostenere la ricostruzione e lo sviluppo, mentre
il GATT allo scopo di favorire la progressiva riduzione delle tariffe doganali esistenti. Nel 1971, la con non
convertibilit del dollaro e le altre riforme sul sistema del commercio internazionale, le istituzioni di Bretton
Woods si trasformano via via in istituzioni volte sempre pi agli interessi degli investitori occidentali nel
mondo e poi degli investitori globali. Per questo a partire da allora che si parla di globalizzazione
selvaggia, facendo riferimento ad un nuovo assetto dell'economia mondiale. Certamente la globalizzazione
ha dato un dinamismo senza precedenti al sistema economico, sia internazionale che nazionale, ma la
riduzione delle barriere doganali, la libera circolazione di beni e servizi, la liberalizzazione dei mercati
finanziari, la delocalizzazione dei processi produttivi - fenomeni che la globalizzazione ispira e da cui
alimentata - hanno portato le economie nazionali alla competitivit pi spinta, creando un divario sempre
pi profondo tra lo Stato, rimasto nazionale, e il mercato, diventato mondiale. Le multinazionali si sentono
sicure, perch non esistono le istituzioni internazionali in grado di regolamentare il loro comportamento. In
questo contesto si parla di Triade per indicare i tre paesi/continenti che sono pi allineati verso questo
sistema e accusati di perdere la propria sovranit a favore delle multinazionali, si tratta di Stati Uniti,
Europa e Giappone. Noam Chomsky, linguista, filosofo ed esperto di comunicazione, parla a questo
proposito dice che la liberalizzazione finanziaria, ha creato quello che potremmo chiamare un Senato
virtuale. Questo suppone che gli investitori, ossia gli speculatori finanziari, quando operano attraverso i
mercati finanziari, si convertono in un Senato virtuale. Il funzionamento di questa legislatura, estranea al
processo democratico, limita le decisioni di un paese. Se un paese, compreso gli Stati Uniti, decide di
stimolare la propria economia, aumentando lintervento di aiuto sociale, ecc., il Senato virtuale pu
decidere istantaneamente di spostare quantit enormi di denaro fuori da questo paese. Se un paese
piccolo, per esempio il Messico, si ha un collasso. Se sono gli Stati Uniti, ci sono comunque dei problemi. In
sostanza il Senato virtuale e la liberalizzazione finanziaria "disciplinano" i governi, in modo che questi non
possano fare molto. Secondo la logica di mercato che alla base della globalizzazione, i paesi dei Sud del
mondo diventano ancora una volta terre da colonizzare, i profitti realizzati con la manodopera a basso
costo, non rimangono mai in questi paesi, ma vanno sui conti bancari degli azionisti delle multinazionali che
spesso si trovano nei paradisi fiscali. In termini di costi ambientali, le multinazionali non badano al
danneggiamento dell'ambiente quando si tratta di guadagni, capita cos che le risorse di alcuni paesi - che
sono insostituibili e dalle quaali trae vantaggio tutto il mondo - come le foreste dell'Amazzonia (considerata
il polmone verde del mondo) venga distrutta per commerciare il legname. O che le industrie inquinino
l'ambiente con conseguenze che stanno portando ai cambiamenti climatici, o che vengano lanciati

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messaggi per convincerci che tutti abbiamo bisogno di un'automobile a testa, e che pi grande e pi
siamo importanti nella societ. Ma la globalizzazione non solo questo. E' un modo di vivere, trovare gli
stessi prodotti in ogni grande capitale del mondo, lo stesso tipo di programmi televisivi, seguire uno stile di
vita competitivo, veloce, usa e getta, sono alcune delle mille sfaccettature del fenomeno. In questo senso si
parla di globalizzazione anche culturale. Una delle conseguenze pi gravi del potere delle multinazionali il
declino della democrazia e dello stato nazione. Proprio in occasione di uno degli incontri del WTO durante il
quale all'ordine del giorno c'era anche la discussione dei diritti di propriet legati alle biotecnologie, ci fu
una delle pi grandi manifestazioni contro l'istituzione, considerata illegittima e antidemocratica e, pi in
generale contro la globalizzazione selvaggia. Si identifica questa protesta con la nascita del movimento
anche se gi manifestazioni importanti si erano verificate in passato. Per esempio nel 1994, la rivoluzione
neozapatista in Chiapas, tra le altre motivazioni aveva anche l'opposizione al N.A.F.T.A. (North American
Free Trade Agreement) il trattato di libero commercio che gli Stati Uniti, Canada, considerato un modo per
invadere il cortile di casa di prodotti statunitensi ma tenendo comunque forti barriere protezionistiche
per i prodotti in arrivo. Anche a Montreal a gennaio del '99, ci fu una manifestazione importante in
occasione della riunione per il Protocollo sulla biosicurezza. La battaglia stata sostanzialmente tra gli Stati
Uniti e la maggior parte degli altri paesi del mondo, che si trovavano su fronti opposti a proposito del
cosiddetto "principio di precauzione". Durante i negoziati di Montreal gli Stati Uniti, che sono il centro delle
maggiori industrie biotecnologiche e dell'ingegneria genetica, chiesero che la questione venisse disciplinata
in base alle regole della WTO. Secondo queste norme i soggetti dell'esperimento devono provare
scientificamente che il processo in corso presenta dei rischi, altrimenti prevalgono gli oscuri valori dei diritti
aziendali. L'Europa e la maggior parte del resto del mondo, invece, insistettero - con successo - sul principio
di precauzione.Secondo Chomsky questo un attacco contro il diritto dei cittadini di compiere le proprie
scelte su questioni semplici come essere o no un soggetto di esperimento. Un grave attacco contro la
sovranit popolare per favorire la concentrazione del potere nelle mani di una specie di rete Statomultinazionali, formata da alcune mega multinazionali e da pochi Stati che promuovono i propri interessi.
Per molti versi a Montreal il problema stato pi vistoso e pi chiaro che a Seattle.Ma comunque a
Seattle nel novembre/dicembre 1999 che il movimento inizialmente chiamato no-global fa la sua
comparsa nei mezzi di informazione, le immagini delle manifestazioni e degli scontri con la polizia, dalla
citt statunitense fanno il giro del mondo. Gli oppositori sono convinti che in fondo lo scopo della
globalizzazione liberista sia l'appropriazione delle sfere pubblica e sociale da parte del mercato e del
privato. Dopo Seattle il movimento ha poi manifestato in tutte le occasioni di grandi vertici internazionali,
arrivando alla costituzione del Social Forum Mondiale di Porto Alegre nel gennaio 2001. Nato in diretta
contrapposizione al Forum economico di Davos, il Social Forum Mondiale un incontro internazionale tra
tutti gli altermondialisti del mondo, le persone che cio sostengono che esistano altre strade per lo
sviluppo, rispetto a quella seguita fino ad ora. Rivendicano uno sviluppo rispettoso dei diritti umani, da
quelli basilari a quelli cosiddetti di quarta generazione, tra questi il diritto alla pace, alla cittadinanza, al
vivere in un ambiente sano ecc. I movimenti che si riuniscono ormai ogni anno in una citt dei Sud del
mondo sono i pi eterogenei, dai movimenti ambientalisti, a quelli che si occupano di diritti umani, a quelli
pi specificatamente economici, ma al di l delle specificit di ognuno per, tutti rivendicano il diritto alla
partecipazione. Sotto lo slogan un altro mondo possibile c' il netto rifiuto al seguire politiche liberiste
nato dalla consapevolezza che ormai tutte le decisioni che hanno conseguenze sulla vita di ciascuno,
vengono prese sempre pi spesso da organismi che non hanno nessuna base democratica. Qualche
risultato di questa nuova alternativa allo sviluppo rappresentata dalle proposte della societ civile
mondiale, inizia a vedersi negli ultimi anno in America Latina, dove diversi capi di stato provengono proprio
da questi ambienti altermondialisti e hanno un passato da militanti della societ civile. Una delle proposte
pi interessanti partire dai movimenti alteromondialisti per attutire gli effetti negativi della globalizzazione
senza dubbio la revisione dell'attuale sistema finanziario. James Tobin, docente all'universit di Yale, ex
consigliere di John Kennedy e premio Nobel per l'economia nel 1981, propose una tassazione
internazionale sulle transazioni in valute dello 0,1%. Secondo l'economista una tassazione anche minima
sarebbe fortemente dissuasiva per gli speculatori a breve termine che tutti i giorni effettuano numerose
operazioni in varie valute. La Tobin Tax limiterebbe le fluttuazioni dei tassi di cambio, consentendo ai
governi di applicare tassi di interesse un p pi deboli dei tassi internazionali, con conseguenze positive
sulla crescita economica e sull'occupazione. Con il fondo costituito da questa tassazione si potrebbero
finanziare programmi sociali, educativi, ambientali. Secondo le Nazioni Unite basterebbe il 10% della
somma che si ricaverebbe con questa tassazione per garantire le cure di base a tutti, vaccinare tutti i
bambini, ridurre sensibilmente la denutrizione e garantire acqua potabile a chi ancora non ne ha accesso. A
sostegno di questa proposta nel 1998 stata fondata ATTAC (Associazione per la Tassazione delle
Transazioni finanziarie e per l'Aiuto ai Cittadini). Gli obiettivi dell'associazione ideata da Ignacio Ramonet -

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allora direttore di Le Monde Diplomatique - sono quelli dell'affermazione dei valori della dignit umana e
della protezione dell'ambiente e di opposizione alle politiche neoliberiste. L'idea fu lanciata nel dicembre
1997 in piena crisi asiatica da in un editoriale pubblicato dal mensile francese e intitolato "Disarmare i
mercati". Oggi ATTAC presente in circa 55 Paesi del mondo. In seguito, Attac ha ampliato i suoi campi
d'intervento e ora si interessa a tutti gli aspetti della globalizzazione economica, che non comporta
un'opposizione al fenomeno della globalizzazione che anzi viene accolta con favore dall'associazione
quando le politiche economiche si rivelino rispettose dell'ambiente e della dignit sociale di tutti gli uomini.
La globalizzazione interessa anche la diffusione dell'informazione e dei mezzi di comunicazione come
internet, che oltrepassano le vecchie frontiere nazionali. Il fenomeno ha due aspetti interessanti e
contrapposti. Da un lato la progressiva diffusione dei notiziari locali su temi internazionali, che per spesso
avviene rimbalzando le notizie dai media pi importanti. Si ha cos una sorta di omologazione delle notizie,
pochi approfondimenti e risulta difficile trovare punti di vista differenti. Esiste infatti un certo numero di
mezzi di informazione che determinano una sorta di struttura prioritaria delle notizie, alla quale i media
minori devono pi o meno adattarsi a causa della scarsit delle risorse a disposizione. Le fonti primarie che
fissano le priorit, sono spesso grandi societ commerciali, e nella grande maggioranza sono collegate a
gruppi economici ancora pi grandi. L'obiettivo di creare quello che Chomsky definisce la "fabbrica del
consenso", ossia un sistema di propaganda estremamente efficace per il controllo e la manipolazione
dell'opinione pubblica. Dall'altro lato per, i nuovi mezzi di comunicazione, in primo luogo internet hanno
permesso la costruzione di una informazione alternativa e partecipativa, forum di discussione, reti e
iniziative che contrastano la monocoltura degli affari delle multinazionali - e qui la tecnologia delle
comunicazioni ha svolto un ruolo positivo. Campagne e gruppi di comunit attivano strategie locali di
resistenza dalle facce opposte del pianeta, stringendo nuove alleanze e - a volte - vincendo anche nuove
battaglie. Di pari passo alla diffusione di notizie su scala mondiale ed alla progressiva presa di coscienza
delle problematiche globali, cominciano a svolgersi grandi manifestazioni con la partecipazione
contemporanea in numerose localit di decine di milioni di persone. Uno dei lati positivi della
globalizzazione la consapevolezza che le alternative sono possibili. La possibilit di scambiarsi
informazioni in tempo reale, la capacit di sensibilizzare sempre pi persone, l'effettiva capacit di proporre
scelte alternative e di fare pressione in varie forme, dal boicottaggio di alcune multinazionali alla
partecipazione a tavoli del potere, sta dando sempre pi possibilit di espressione e di azione ai movimenti
altermondialisti. Si sta diffondendo nella coscienza delle persone che l'impegno di tutti anche nei piccoli
gesti pu essere determinante. La globalizzazione si sta consolidando ma allo stesso tempo si sta
diffondendo l'idea che questa possa essere utile per la costruzione di un mondo migliore al di l dei propri
interessi personali e dei confini nazionali. Si parla sempre pi spesso di "globalizzazione dei diritti", di
rispetto dell'ambiente, di eliminazione povert, di abolizione della pena di morte ed emancipazione
femminile in tutti i paesi del mondo. La difficolt principale dei movimenti altermondialisti l'unit e il
coordinamento delle attivit. L'attuale sistema economico mondiale si basa sulla divisione sociale fra i vari
paesi e all'interno di essi. L'unit di intenti e la coordinazione su scala mondiale fra i diversi movimenti e
gruppi sociali sono decisive. Molto lavoro ancora da fare, in tanti sostengono che l'attuale crisi mondiale
sia la crisi dell'intero sistema economico e che da qui si debba ripartire formulando nuove regole che
controllino il commercio mondiale, e riformando le attuali istituzioni internazionali, grandi protagoniste
della globalizzazione, per creare un nuovo sistema economico pi solidale, basato sul principio della
sostenibilit, che metta al centro di tutte le attivit l'essere umano e il rispetto del pianeta.
Sostenibilit
Il 17 vertice della Nazioni Unite sul clima che si tenuto a Durban (Sud Africa) per affrontare il global
warming il riscaldamento globale si chiuso in modo deludente. I precedenti vertici, Copenhagen e
Cancun sono falliti per la mancata volont politica da parte dei governi di mettere in atto misure concrete
per ridurre i gas che alterano il clima invertendo la tendenza prima che sia troppo tardi. Anzi, Copenaghen e
Cancun hanno dimostrato come tutto, anche lemergenza climatica che causa migliaia di morti lanno (un
numero sempre maggiore dei quali sono nostri concittadini, come dimostrano le alluvioni in diverse zone
dItalia) e spinge decine di milioni di persone a muoversi per ragioni ambientali. Lascesa delle economie
emergenti, Cina ed India in testa, ha reso drammaticamente evidente lincompatibilit tra integrit della
biosfera e modello di sviluppo tradizionale. Anno dopo anno il conflitto tra speranze di sviluppo e limiti
ecologici si inasprisce. Di fronte ai disastri ambientali, la crisi alimentare, ed energetica, la recente crisi
alimentare, dovuta alla speculazione sui prezzi nei mercati agricoli che hanno colpito un gran numero di
paesi dei sud del mondo, ci ricordano il rapporto essenziale che deve esistere - per dirla con le parole
delleconomista Jean Paul Fitoussi - tra distribuzione di mezzi di sussistenza e ripartizione del diritto a

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sussistere, tra ecologia e democrazia. Da questo punto di vista, lo sviluppo umano non potr essere
sostenibile se non sar democratico, se non assicurer ad ognuno il diritto a sussistere. Per conciliare
ecologia e progresso, dice Fitoussi, bisogna assolutamente comprendere che dietro la questione ecologica
si pone quella della giustizia sociale.Lesigenza di conciliare crescita economica ed equa distribuzione delle
risorse in un nuovo modello di sviluppo ha iniziato con gli anni 70, in seguito alla presa di coscienza che il
concetto di sviluppo classico, legato esclusivamente alla crescita economica, avrebbe causato il collasso dei
sistemi naturali. La crescita economica di per s non basta, lo sviluppo reale solo se migliora la qualit
della vita in modo duraturo.Il richiamo maggiore al problema dellambiente nel lungo periodo ed alla
necessit di studiarne i cambiamenti a livello globale emerge con il testo prodotto dal Club di Roma nel
1972, The Limits to Growth tradotto erroneamente in italiano come I limiti dello sviluppo. Il testo fu
chiamato primo rapporto al Club di Roma e sviluppato al MIT sulla base degli studi di J. Forrester che, in
quel tempo svilupp una nuova scienza della dinamica dei sistemi ed in particolare andava disegnando un
modello matematico globale basato sui ben noti parametri interdipendenti: popolazione, eccessivo utilizzo
e impoverimento (depletion) delle risorse naturali non rinnovabili, industrializzazione, produzione
alimentare e degrado ambientale. Forrester pass la responsabilit del progetto a Dennis Meadows che con
Donella Meadows, J.Randers e W.W. Behrens lo svilupparono. Il testo fu oggetto di molte discussioni
positive e negative, queste ultime prevalentemente in Italia. Positive in molti paesi - compresa lallora
Unione Sovietica - e indubbiamente gli Stati Uniti, per le sue indicazioni di scelte economiche e politiche. Il
rapporto fu tradotto in pi di 35 lingue. Con il rapporto I Limiti dello sviluppo, si diffuse nel mondo il
concetto che vi sia uno stretto legame tra i limiti delle risorse naturali e la popolazione crescente. Infatti,
anche se la popolazione da tempo invecchia in quasi tutta la parte pi sviluppata del mondo, anche il
consumo delle risorse aumenta anche nei paesi cos detti in via di sviluppo. Alcuni di questi, Cina, India e
Brasile, non sono pi tali e con un Pil quasi a due cifre sono ora anchessi forti consumatori di risorse
naturali. Nella sua accezione pi ampia, il concetto di sostenibilit implica la capacit di un processo di
sviluppo di sostenere nel corso del tempo la riproduzione del capitale mondiale composto dal capitale
economico, umano/sociale e naturale. La definizione pi diffusa quella fornita nel 1987 dalla
Commissione Indipendente sullAmbiente e lo Sviluppo (World Commission on Environment and
Development), presieduta da Gro Harlem Brundtland, medico e ambientalista norvegese, secondo la quale:
Lumanit ha la possibilit di rendere sostenibile lo sviluppo, cio di far s che esso soddisfi i bisogni
dellattuale generazione senza compromettere la capacit delle generazioni future di rispondere ai loro.
Lelemento centrale di tale definizione la necessit di cercare unequit di tipo intergenerazionale: le
generazioni future hanno gli stessi diritti di quelle attuali. Si pu evincere, inoltre, anche se espresso in
maniera meno esplicita, un riferimento allequit intragenerazionale, ossia allinterno della stessa
generazione persone appartenenti a diverse realt politiche, economiche, sociali e geografiche hanno gli
stessi diritti. Il successo di tale enunciato, prevalentemente di matrice ecologica, ha animato il dibattito
internazionale, determinando numerosi approfondimenti e ulteriori sviluppi del concetto di sostenibilit,
che nel tempo si esteso a tutte le dimensioni che concorrono allo sviluppo. In tale ottica, la sostenibilit ,
dunque, da intendersi non come uno stato o una visione immutabile, ma piuttosto come un processo
continuo, che richiama la necessit di coniugare le tre dimensioni fondamentali e inscindibili dello sviluppo:
Ambientale, Economica e Sociale. Appare indispensabile, pertanto, garantire uno sviluppo economico
compatibile con lequit sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale, nel
rispetto della cosiddetta regola dellequilibrio delle tre "E": Ecologia, Equit, Economia. Negli ultimi anni s
diffusa unespressione per molti piuttosto ambigua: sviluppo sostenibile. una espressione ormai
abbondantemente abusata in ogni contesto, soprattutto in ambito politico ed economico. A volte con
funzioni di copertura, il cosiddetto greenwashing, una forma di marketing ecologico. Come se, parlando
di sviluppo sostenibile o citando il termine sostenibilit, fosse automaticamente possibile azzerare o
assolvere gli impatti di qualunque attivit contrassegnata da questo attributo. La realt che lattuale
modello di sviluppo economico non sostenibile perch ha profondamente minato i processi ecologici di
base, compromettendo, di fatto, la base essenziale per la sopravvivenza della popolazione umana. La
crescita economica ha promesso di creare abbondanza, benessere e rimozione dei fattori di povert, ma
aggredendo le risorse naturali e gli equilibri dinamici degli ecosistemi ne ha profondamente minato le basi
rigenerative e le capacit assimilative e, soprattutto nei paesi dei sud del mondo diventata sempre pi
causa di povert e scarsit, che insieme alla forte speculazione sul cibo e sui prodotti agricoli nei mercati
internazionali sta minando la sicurezza alimentare di molti paesi. Di questi argomenti si parlato a Milano
alla Conferenza internazionale Speculazioni sul cibo e crisi alimentari. Serve una nuova governance?
promossa dal Comitato Afro. In sostanza viene lanciata una proposta ai vari attori nazionali ed
internazionali - per fare in modo che venga affrontata con decisione e responsabilit la questione della
finanziarizzazione dei mercati dei prodotti agricoli e quella della loro connessione con il mercato

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dellenergia. Per raggiungere questi obiettivi in atto una campagna promossa da Unimondo e da altre
numerose Ong, denominata Sulla fame non si specula che propone fra laltro un codice di condotta che
impegni gli enti locali a non investire in titoli legati ai beni alimentariNel Rapporto 2011 dellUNDP Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo - intitolato "Sostenibilit ed equit: un futuro migliore per
tutti(.pdf) si teme infatti per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio entro il 2015.
Secondo lultimo Rapporto dellUNDP, di legge che, i progressi nello sviluppo nei Paesi pi poveri del
mondo potrebbero essere fermati o persino invertiti entro la met del secolo, a meno che non vengano
adottate misure coraggiose per rallentare il cambiamento climatico, prevenendo ulteriori danni ambientali
e riducendo le profonde disuguaglianze allinterno e fra le nazioni. La sostenibilit ambientale pu essere
pi equamente ed efficacemente raggiunta affrontando tutte insieme le disuguaglianze sanitarie,
educative, reddituali e di genere con lesigenza di unazione globale sulla produzione di energia e la
protezione degli ecosistemi. Ossia in unottica di sviluppo umano, concetto elaborato alla fine degli anni 80
dallo stesso UNDP che lo misura attraverso degli strumenti statistici come lISU (indice di sviluppo umano) e
lIPU ovvero lindice di povert umana. Il Rapporto chiede Investimenti che migliorano lequit nellaccesso, per esempio, a energie rinnovabili, acqua e impianti igienici, e assistenza alla salute
riproduttiva - potrebbero far progredire tanto la sostenibilit quanto lo sviluppo umano. Sviluppo per il
quale, la comunit internazionale ancora alla ricerca di un indice misuri correttamente. Vari studiosi di
scienze sociali si sono cimentati in questo campo. Una delle commissioni pi prestigiose quella istituita
dal presidente della Repubblica francese nel 2008 denominata Commission of Measurement of Economic
Performance and Social Progress di cui facevano parte gli economisti Stiglitz, Fitoussi e lo stesso Sen. In
Italia il 4 novembre scorso lISTAT - lIstituto Nazionale di Statistica e il CNEL - il Consiglio Nazionale
dellEconomia e del Lavoro - hanno presentato il primo risultato emerso dalliniziativa per la misurazione
del Benessere Equo e Sostenibile, ovvero la definizione di 12 fattori considerati essenziali per lanalisi del
benessere nel nostro paese. Sono divisi in due blocchi concettuali: benessere individuale (Ambiente, Salute,
Benessere economico, Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, Educazione e formazione, Benessere
soggettivo, Relazioni sociali, Sicurezza) e fattori di contesto (paesaggio e patrimonio culturale, ricerca e
innovazione, qualit dei servizi, politica e istituzioni). Sul sito Misure del benessere possibile per i cittadini
commentare ed emendare limpostazione adottata finora. Fortunatamente per rispondere alle sfide del XXI
secolo, negli ultimi anni, scienziati, imprenditori gruppi della societ civile, associazioni di varia ispirazione
hanno prodotto pratiche e conoscenze per far diventare pi green ed eque sia societ che economia. Si
sono susseguite manifestazioni e provvedimenti contro il nucleare, specie dopo il terremoto in Giappone e
il disastro nella centrale di Fukushima, e proposte di tassazioni sulluso del carbone come fonte energetica.
Mentre in campo internazionale continuano ad applicarsi discutibili strumenti di finanziarizzazione della
crisi ecologica quali il cosiddetto Carbon trade, gli scambi dei diritti di emissione, obbligatori o volontari,
permettono in sostanza a chi pu pagare invece di ridurre le emissioni, di comprarsi il diritto di continuare a
riscaldare il pianeta, compensando con progetti che altrove riducono o ridurrebbero le emissioni. Si tratta
del cosiddetto Redd+ (Ridurre le Emissioni da Deforestazione e Degrado) e si basa sullidea di un permesso
di emettere carbonio nei paesi sviluppati a fronte dellacquisto di aree protette nei paesi dei sud del
mondo. Il rischio del programma che, alcuni paesi sviluppati puntino a farne un sistema per continuare a
emettere carbonio, pagando piccoli contributi, e senza investire in tecnologie pi efficienti. Anche grandi
imprese hanno fiutato laffare, e stanno puntando a impossessarsi dei terreni forestali che potranno godere
di sussidi, togliendoli ai popoli indigeni e alle comunit locali. Gli incentivi rischiano di creare un nuovo
assalto alla terra, ai danni delle comunit indigene, che per secoli hanno protetto le foreste. Un segnale
positivo invece viene dallAustralia. Il Senato ha infatti approvato la legge che impone alle cinquecento
fabbriche pi inquinanti del paese di pagare una tassa sulle emissioni di carbonio a partire dal 1 luglio
2012. Si tratta di una vittoria per la premier laburista Julia Gillard e per gli ambientalisti, grandi sostenitori
della carbon tax. Con lespansione delle energie rinnovabili cresciuto un nuovo ramo delleconomia, molte
aziende sperimentano produzioni eco-efficienti, diversi comuni provvedono alla modernizzazione del
traffico e alla ristrutturazione degli edifici in senso ecologico in linea con la filosofia del eco-abitare. Un
esempio il Il Patto dei Sindaci, uniniziativa sottoscritta dalle citt europee che si impegnano a superare gli
obiettivi della politica energetica comunitaria in termini di riduzione delle emissioni di CO2. Vista dalla
prospettiva della green economy la crisi fa meno paura. Anzi a leggere il libro La corsa della green economy.
Come la rivoluzione verde sta cambiando il mondo, scritto da Antonio Cianciullo inviato de La Repubblica e
Gianni Silvestrini, ricercatore del CNR e direttore scientifico della rivista QualEnergia, per molti settori,
sembra il momento della ripresa. Secondo questi dati entro dieci anni le fonti rinnovabili in Germania
supereranno il settore automobilistico. La Sassonia diventata la Solar Valley della Germania: produce il
20% delle celle fotovoltaiche mondiali. In Cina, leader mondiale del solare, mezzo miliardo di persone
utilizza lenergia pulita prodotta da piccoli impianti. Negli Stati Uniti quasi la met della potenza elettrica

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installata negli ultimi due anni viene dal vento ed in Europa nel 2009 le rinnovabili hanno fatto ancora
meglio. una svolta radicale: non pi profitto contro benessere ma profitto dal benessere. Un nuovo
modello di democrazia energetica in cui potere e vantaggi economici sono decentrati. Inoltre negli ultimi
anni, hanno guadagnato molto terreno il commercio equo e solidale, lagricoltura biologica e grazie
allopposizione dei consumatori, la maggior parte dei prodotti non usa OGM. Segno di una presa di
coscienza lenta ma progressiva del fatto che, diventa sempre pi urgente adottare uno stile di vita,
personale e collettivo, pi parsimonioso, pi pulito, pi lento, inserito nei cicli naturali, che sa distinguere
tra i bisogni reali e quelli indotti. In una parola la sobriet, la capacit di dare alle esigenze del corpo, il
giusto peso senza dimenticare quelle spirituali, affettive, intellettuali, sociali. Un modo diverso di
organizzare la societ affinch sia garantita a tutti la possibilit di soddisfare i bisogni fondamentali con il
minor dispendio di risorse e produzione di rifiuti.Occorrono, comunque, delle decisioni politiche, a questo
riguardo, una proposta interessante quella della Green European Foundation con il sostegno del gruppo
di associazioni che fanno capo a Sbilanciamoci titolata Ecologia al governo. Dieci proposte per cambiare
leconomia e la societ(.pdf) Come afferma il sociologo ed economista Wolfgang Sachs che il
cambiamento climatico richiede un cambiamento di civilt. () Mantenere le dinamiche economiche
allinterno dei guard-rail del rispetto dellambiente e dei diritti umani il programma centrale della
sostenibilit. assolutamente inevitabile, trovare soluzioni differenti dalle attuali, percorsi alternativi,
unaltra e diversa cultura dello sviluppo. E in questambito il concetto di sostenibilit pu essere
certamente la base per delineare le nuove strade possibili. Qualcosa successa, a luglio ci stato il ritorno
sulla scena del cosiddetto 99% della popolazione, i movimenti dal basso che il 15 ottobre 2011 hanno
manifestato in 950 citt di 80 paesi del mondo per dire che questo sistema economico- finanziario non
funziona, che le politiche dei governi devono cambiare. Sono gli indignados, gli occupanti di Wall Street
e di cento altre piazze nel mondo, la voce della societ civile che non si sentiva cos forte da quasi un
decennio, per certi versi il proseguimento dei movimenti altermondialisti manifestatisi per la prima volta a
Seattle nel 1999, e che vuole creare le condizioni per un cambiamento di priorit dalla finanza speculativa,
alleconomia reale, al lavoro dignitoso, al welfare universale, alla protezione dellambiente e dei beni
comuni.Il cambiamento auspicabile sarebbe in sostanza il ritorno della politica, con istituzioni e soggetti
pubblici, sia in Europa e nel resto del mondo, allaltezza delleconomia globale, capaci di intervenire e
condizionare lazione delle imprese, della finanza e dei mercati. Questa nuova politica restituirebbe ai
cittadini il potere di decidere sul proprio futuro. Ridimensionare la finanza, riprendere il controllo
delleconomia reale, praticare la democrazia sostanziale sono i tre obiettivi di fondo che emergono dalle
proteste e dalle alternative avanzate dalle reti europee di societ civile. E sono i temi delle proposte emerse
nei 50 interventi al Forum di discussione intitolato La rotta dEuropa aperto di recente su
opendemocracy.net. Per il nostro Ministero dellAmbiente uno sviluppo sostenibile sar possibile solo se si
metter mano, con coraggio, ad un sistema di sanzioni, risarcimenti ed incentivi evolvendo dallattuale
situazione che solamente ne auspica il perseguimento. Si dovr operare con due criteri di fondo: la
dematerializzazione del sistema economico, cio delle quantit di risorse naturali rinnovabili e non
mobilizzate per alimentare apparato produttivo e modelli di consumo attuali da un lato e la partecipazione
consapevole di tutti gli attori coinvolti nella programmazione e nella attuazione dei processi in corso.La
dematerializzazione
dovr
indirizzare
il
progresso
tecnologico
a sostegno del risparmio di energia e di materie prime a parit di prestazione,
verso il riciclaggio dei rifiuti e degli scarti di produzione e, soprattutto,
per promuovere la concatenazione dei processi di produzione e di consumo attraverso la programmazione
del riutilizzo di materiali e componenti che prende il nome di design for environment (DFE).Lincremento
della partecipazione consapevole non dovr essere una mera petizione di principio ma deve coincidere sia
con maggiore equit che con la salvaguardia dei diritti fondamentali della persona. Ma la cultura non basta.
Occorre promuovere un sistema di convenienze che garantiscano continuit e solide fondamenta ai
processi negoziali in cui si concretizza la concertazione. La ricerca scientifica mirata ma finalizzata a
obiettivi alti, e non a semplici aggiornamenti dellesistente gioca un ruolo fondamentale.E evidente che,
proprio attraverso questi aspetti, la messa a punto di una strategia di sviluppo sostenibile che non disdegni
di confrontarsi con le tappe intermedie e con la strumentazione attivabile nel breve periodo, concorre a
ridisegnare le forme possibili della democrazia nellepoca della globalizzazione; cio la costituzione
materiale di un sistema fondato su partecipazione e consapevolezza di tutti i cittadini. Proprio come
stabilito dallAgenda 21.

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