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http://www.carmillaonline.com/2014/11/29/dei-totalitarismi-imperfetti-perfetta-acquiescenza/

Dei totalitarismi imperfetti e della perfetta acquiescenza


di Gaspare De Caro
[Il testo che proponiamo, privato delle note, costituisce il capitolo introduttivo di G. De
Caro, Rifondare gli italiani? Il cinema del neorealismo, Jaca Book, Milano, 2014,
pp.130, 10,00. Lespressione tagliente come un rasoio vieta, e non andrebbe
usata. E tuttavia la migliore per definire la prosa di Gaspare De Caro, intellettuale dagli
interessi multiformi e dalla vivace passione politica. Nel suo saggio passa in rassegna
le diverse espressioni del cinema neorealista, dimostrando come alcune opere
effettivamente innovatrici fossero soffocate, sotto ununica etichetta ambigua, da altre
tendenti invece al ristabilimento di un ordine politico e sociale gi sperimentato. Ci per
mano di una critica, talora sedicente marxista, niente affatto interessata a pericolose
eversioni capaci di minacciare, anche nellimmaginario, la pacificazione in atto nel
dopoguerra.] (V.E.)
Tra tutti gli uomini del mondo, insomma, litaliano il pi naturaliter oboediens. Alla
registrazione di questo virtuoso record nazionale verosimilmente rinvia
linterpretazione autentica dellidea di Primato, con la quale Sua Eccellenza Giuseppe Bottai negli ultimi anni del
fascismo chiam a raccolta il fiore dellintellighenzia. Ma il naturalismo di Bottai era di assai pi larghe vedute
etniche e nellattualit Sua Eccellenza poteva testimoniare il record a doppio titolo: di eminente amministratore
dello Zeitgeist in qualit di ministro dellEducazione Nazionale e, in particolare, alla data, in qualit di promotore
delle leggi razziali con qualche primato, appunto, sugli stessi nazisti. Non ci furono infatti a questo proposito
rilevanti eccezioni allacquiescenza degli italiani (tanto meno tra i convitati di Primato), sebbene in seguito si
adoperassero a negarla storici insigni e meno insigni. Daltra parte la naturale inclinazione evocata dal ministro si
era gi prestata ad altre imprese del regime: la bassa macelleria africana e la crociata sanfedista contro il popolo
spagnolo. N si sment poi agli eccidi di greci e slavi, in fervida emulazione con le Einsatzgruppen.
Non mancavano dunque ragioni a Bottai e al regime fascista per confidare nella natura. E vero per che la natura
richiede di essere assecondata, e questo appunto compito dei regimi. Il fascismo non si sottrasse a tale
consegna e sempre pi volentieri la scienza storica gliene d atto, riassumendo il proprio consenso nel benevolo
epiteto classificatorio di totalitarismo imperfetto: un regime, cio, che, a differenza di altri totalitarismi, non
assorbe senza residui la societ civile nello Stato; detto altrimenti, non si preoccupa di ridurre formalmente le
opinioni delle classi, dei ceti e degli individui a quella dellAmministrazione. Il dibattito su questa imperfezione
totalitaria ampio. Si ricordano la composita origine politica del ceto dirigente del regime e la variet di culture
affannosamente confluite nella necessit di restituire ordine alle plebi irrequiete. Si adduce anche
lindeterminatezza di una dottrina che non riusc a consolidarsi nel dogma, nonostante la buona volont dei
filosofi: sicch, se i fascisti non bruciarono libri come i nazisti fu perch, suggerisce Mario Luzi, non avrebbero
saputo quali bruciare. Tuttavia il naturalismo di Bottai rinvia a una spiegazione pi generale, avvalorando nella
peculiare imperfezione totalitaria del regime la saggia conformit alla peculiare natura del problema.
Nelle sue due specie, cumulativa ed elitaria, la naturalis oboedientia etnica si offr al fascismo gi secolarmente
assecondata e confermata dallarte. Secondo tradizione basta alla conformit dellitaliano moltitudinario lantica
ricetta di panem et circenses, inclusa tra questi ultimi, a ravvivare di entusiasmo il quotidiano grigiore della
mansuetudine, ma anche a fuorviare e reprimere le accidentali tentazioni della disobbedienza, lestemporanea
invenzione di sante crociate. Altrettanto coltivata dalla tradizione la seconda specie, la naturale obbedienza dei
chierici, categoria elitaria questa, sebbene sempre in soprannumero, utile comunque a lubrificare la macchina
della Necessit Sociale. Il chierico persuaso che una tale funzione, volentieri interpretata come sacra, consenta
allobbedienza un margine di deontologica autonomia. Talora tale persuasione trabocc in eresia e dissenso,
meritando esemplari autodaf: per non fu questo il caso del chierico fascista, che attingendo a pi favorevole
variante della tradizione nazionale seppe onestamente dissimulare in interiore homine le individuali differenze,

riservando a una scrupolosa esteriorit rituale le richieste esibizioni devote. Non quindi per sua scarsa virt, ma
per latitanza di ragion sufficiente, il totalitarismo fascista si astenne dalla perfezione.
Su questo confortevole sfondo naturale e storico il fascismo si apr alla modernit in molti ambiti amministrativi,
dalle bonifiche territoriali alla promozione industriale, allarte della guerra, alle riforme istituzionali, alle
comunicazioni di massa: talora, nel sapiente impasto di etnologia, innovazione tecnologica e provvidenze
politiche e culturali, con evidenti anticipazioni di domande e risposte di amministrazioni future per definizione non
totalitarie. Il tema della continuit, un tempo sdegnosamente eluso pro bono pacis di molti, pertanto oggi
largamente coltivato dal revisionismo storiografico, sebbene il censimento delle affinit non ne dica abbastanza le
ragioni ultime.
La revisione investe a giusto motivo anche la storia del cinema nazionale, fervidamente promosso dal regime
fascista nella persuasione che esso fosse singolarmente propizio, larma pi forte, a governare entrambe le
specie di obbedienza. La variet di temi e modalit che il fascismo consent al suo cinema, a conferma
dellimperfezione totalitaria, e la registrazione delle eredit di questa stagione nel cinema della stagione
successiva sono temi assai coltivati della revisione storiografica. Non c effettivamente dubbio sulla continuit tra
le due fasi, empiricamente evidente gi nellidentit di molti protagonisti, cos nel cinema come, con conseguenze
anche meno commendevoli, in molti altri aspetti della vita nazionale. Tuttavia, almeno per quanto riguarda il
cinema, non possibile definire il senso ultimo della continuit se non si affronta criticamente il nodo della
transizione, ben lontano dallessere storiograficamente dipanato. Allorigine il passaggio dal cinema del fascismo
al cinema della democrazia diversamente da ci che avvenne per esempio nella magistratura non fu affatto
una tranquilla transizione ereditaria; fu una inopinata, severa cesura nel modo di vedere il mondo e lo stesso
ruolo del cinema. E vero che lepisodio fu breve e rari i suoi protagonisti, assai pi rari di quanto credano la
storiografia e una communis opinio, di cui pure occorre darsi ragione. Tuttavia i pochi film di imbarazzante
iniziativa individuale che cercarono di guardare davvero a fondo nella tragedia nazionale, di fare sinceramente il
punto della situazione, incluse le responsabilit personali e collettive, di cambiare qualcosa dellidentit
nazionale, indussero effettivi, preoccupanti elementi di disturbo del metabolismo storico, sfidando la resistenza
della natura, lansia nazionale di un ritorno senza introspezioni e confessioni traumatiche alle condizioni normali
della duplice obbedienza, cos nel cinema come nel resto. Fu questo conflitto, circoscritto ma appunto non limitato
al solo cinema, che diede alla transizione la sua peculiare curvatura, imponendole una laboriosa opera di
contenimento dei fenomeni contro natura. Il cinema anomalo della transizione sub lo stesso destino correttivo di
ogni altra anomalia e discontinuit delleccezionale momento, il nuovo regime astenendosi anchesso da
radicalismi totalitari: fu santificato e rimosso, iscritto e risolto nella tradizione, demandato alla falsificazione di
epigoni ed eversori, mortificato dal marchio inflazionistico di neorealismo. A queste condizioni, tra la fine della
seconda guerra mondiale e i primi anni 60 (largamente surrogato poi dalla TV), il cinema del nuovo regime
assunse senza pi importune obiezioni o piuttosto riassunse un ruolo privilegiato di ordinatore del Sentire
Comune.
Il processo correttivo comunque non fu lineare, attardato da esitazioni, incomprensioni, contorsioni: come la
prolungata sospensione di temi della recente e meno recente storia patria, fino a che una pi attenta riflessione
non riconobbe irrinunciabile e urgente anche un condiviso sentire storico, a conforto della naturale omogeneit.
Invece, sin dallinizio della restaurazione e poi con incalzante assiduit produttiva, il cinema accredit una lettura
futile e ilare della vita comune, esclusiva di ogni eccesso di drammatizzazione dei destini collettivi, risultata poi
tanto pi opportuna nel tempo tragico della cancellazione dellItalia contadina e del grande esodo. Nel ventennio
successivo alla mutazione di regime fu soprattutto in questi termini che il cinema tra i mezzi di
rasserenamento degli animi forse il pi efficace interpret il ruolo di eminente persuasore pubblico,
connotando in profondit lethos nazionale, fornendolo anche, per le eventuali necessit dei lungo periodo, di
omertosa estraneit agli affanni di nuove guerre e nuovi esodi. Bisogna pertanto riconoscere alla Commedia
allitaliana, protagonista eponima del nostro cinema essa, non certamente i film tragici e problematici della
transizione -, qualche titolo di espressione massima dello spirito del tempo. Ed soprattutto in riferimento a
questo ruolo del comico, piuttosto che alle varianti ortografiche del neorealismo e ai suoi precedenti, di cui la
Commedia allitaliana fu certamente debitrice, che ha senso porsi il problema della continuit con il cinema
fascista. Giacch evidente da questo punto di vista lanalogia della Commedia democratica con il cinema dei
telefoni bianchi, termometri attendibili entrambi della temperatura etica costante di autori e pubblico, di chierici e

moltitudini.
Qui di seguito tuttavia ci si limiter a rileggere il primo, preliminare momento di questo processo restaurativo, il
tempo in cui, somministrato da molti e vari e carismatici dulcamara, lelisir della rimozione medic le piaghe e le
fratture del comune sentire, plac le febbrili attese di cambiamento, gli inconsulti conati di deviazione dalla legge
di natura, a un paziente del resto naturaliter ansioso di guarigione. Sebbene storiograficamente non abbastanza
riconosciuto, il contributo del neorealismo cinematografico a questa terapeutica rifondazione degli italiani fu
certamente rilevante, identitario anzi. Nella sua pi larga e autorizzata definizione, un cinema della rimozione, una
scuola di oboedientia

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