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Di specialismo si muore, davvero. E allora ci vuole la sfuriata di un grande filosofo della scienza dadaista,
anarchico metodologico e non certo politico, ch sarebbe stato un altro modo di intrupparsi, per
svergognare adeguatamente la moda dell'iper-specializzazione, cos diffusa nella nostra cultura, e nella
nostra universit. Scienze dell'Enogastronomia mediterranea, Tecniche erboristiche, Archeologia
subacquea: sono soli alcuni degli assurdi corsi di laurea fioriti nel Belpaese. E allora ci voleva davvero, la
pubblicazione per Mimesis di Contro l'autonomia (pagg. 113, euro 12), conferenza inedita in Italia che Paul
Feyerabend tenne per un seminario dell'Universit di Berkeley nella met degli anni Sessanta. Il filosofo
austriaco non ha ancora ribaltato l'epistemologia del Novecento col suo Contro il metodo, ma ha gi le
idee chiare sull'asservimento parrocchiale di scienziati e baroni universitari, ferocemente dediti ai
propri campi di ricerca, e solo a quelli. Il modo ideale per istituzionalizzare, sotto un'apparente progresso
delle discipline autonome, la stasi del pensiero e della critica ( ci che Feyerabend chiama malizia della
ragione).
La supposta conquista dell'autonomia sorge su un doppio rimosso: quello del valore complessivo di un
oggetto di studio, che non pu essere stabilito al suo interno, e quello della sua augurabilit, della sua
utilit esistenziale, prima che accademica. Come scrive Feyerabend, non sono neppure del tutto
convinto che vivere una lunga vita nel timore del colesterolo, delle radiazioni, dell'esaurimento nervoso,
dell'invecchiamento, del comunismo, sia cos meglio che vivere temendo un dio benevolo e alcuni demoni
ed eretici maligni. Eccola, la radice filosofica dell'offensiva di Feyerabend: la presunzione specialistica
la stessa del metodo scientifico, che si spaccia per il paradigma del reale, presumendo di aver risolto
una volta per tutte la domanda ontologica sulla sua natura, e lasciando cos la strada aperta solo
all'espansione infinta delle sue branche settoriali. Ma, l'urlo anarco-dadaista, non c' un motivo ultimo
per preferire l'esperienza, cio la regola-guida della scienza, a un'accurata analisi dei sogni, o un
accurato esame dei pi rilevanti passi della Bibbia. E soprattutto: contaminazione, dialogo e fin scontro
politico tra discipline: solo cos si dipana la tela del pensiero umano. Spende proprio la metafora
politica, Feyerabend, ci ricorda che qualsiasi nostra conoscenza ha il carattere di una linea di partito,
poggia su una visione del mondo che pu essere puntellata o demolita. Ed quello che Feyerabend si
augura: il proliferare di uno scontro anarchico, politico, anche duro e certo non svogliatamente relativista,
tra scienze e discipline
Tutta colpa di Paul K. Feyerabend: lallievo ribelle di Popper, lanarchico del metodo scientifico, uno che
nel 1964 era in cattedra a Berkeley e applaudiva la rivolta degli studenti libertari e antidogmatici.
citando lui che Joseph Ratzinger, il Papa, si vede affibbiare dai professori della Sapienza di Roma
letichetta di oscurantista. Tutta colpa di questa frase del filosofo austriaco: Allepoca di Galileo la
Chiesa rimase molto pi fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e
giusto. Feyerabend non condanna Galileo, dice solo che il suo genio andava oltre la ragione. Era uno
schiaffo al razionalismo della Chiesa. Ratzinger, con Feyerabend, riconosce la forza di quel: eppur si
muove
Piera Tilocca
L'anarchismo epistemologico di P.K. Feyerabend
Sin dalla premessa del suo libro Contro il metodo Feyerabend chiarisce l'obiettivo del suo lavoro, ovvero
la presentazione o meglio l'abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza. Egli si dimostra a favore di
un anarchismo, poich questo si rivela "una eccellente medicina per l'epistemologia e per la filosofia della
scienza" (Feyerabend 2002, 15) piuttosto che essere un osservatore di norme rigorose. Infatti queste, se
da un lato ottengono risultati importanti entro certi limiti, dall'altro hanno lo svantaggio di non tener
conto dell'universo di possibilit che potrebbe aprirsi all'uomo. Egli si chiede: "Dobbiamo credere
veramente che le regole ingenue e semplicistiche che i metodologi prendono come loro guida possano
rendere ragione di un tale 'labirinto di interazioni'?" (ibid., 15-16), che in maniera piuttosto sbrigativa
viene sacrificato dagli stessi in nome di una Scienza o di un Metodo. Essi , cos facendo, non consentono
una realizzazione di questo universo che aspetta solamente di poter essere dischiuso da un "opportunista
senza scrupoli che non sia legato ad alcuna particolare filosofia e che adotti in ogni caso il procedimento
che gli sembra pi opportuno nella particolare circostanza" (ibid., 15-16).
Gi dalle prime battute, dunque, iniziano a intravedersi le linee essenziali del pensiero di Feyerabend,
quali la critica alle metodologie ritenute infallibili, alla scienza e al suo procedimento ben definito, all'uso
di un solo metodo, alle visioni dogmatiche.
Accade, infatti, che molte intuizioni che potrebbero rivelarsi interessanti vengano inibite, cos come
l'immaginazione, da un tipo di formazione scientifica che fissa le regole in anticipo e cristallizza il pensiero
creativo. Il desiderio di libert cos accantonato per seguire norme universali o tradizionali rigide [1].
Chi pu, infatti, escludere l'esistenza di altri metodi e la loro validit e costruire gerarchie stabilendo a
quale metodologia spetti il primato? L'anarchia a cui pensa Feyerabend si oppone a principi o leggi
universali affinch si consegua "il progresso in qualsiasi senso si voglia intendere questa parola" (ibid.,
25). Egli vuole convincere i suoi lettore che "tutte le metodologie, anche quelle pi ovvie, hanno i loro
limiti" (ibid., 29) e che l'adesione a un determinato metodo, sia anche quello scientifico, ha come
conseguenze la perdita della complessit umana e del flusso storico. Spesso l'atteggiamento della scienza
ha come risultato un dogmatismo che impoverisce il ricco universo di alternative e nuove possibilit di
evoluzione sulla strada della conoscenza [2].
Feyerabend raccomanda che "dobbiamo perci mantenere aperte le nostre scelte e non dobbiamo fissarci
limiti in anticipo" (ibid., 17) affinch non si rischi di ignorare tutta quella gamma di opportunit, di casi, di
eventi e di fluttuazioni che accompagnano la storia dell'uomo. Il problema che qui si solleva come possa
essere possibile una qualsiasi evoluzione in qualsiasi campo se gi ci precludiamo vie diverse di ricerca da
quelle che sono note? Il pensiero, cos, rischia di subire una brusca frenata, per cristallizzarsi a causa
dell'abitudine a percorrere gli stessi metodi che rendono effimeri i risultati ottenuti. per questo motivo
che Feyerabend ci invita ad adottare un principio secondo il quale "qualsiasi cosa pu andar bene"[3]
(anything goes!).
A questo punto potrebbe sorgere il dubbio che Feyerabend voglia, attraverso questo principio, proporci
una nuova metodologia. Credere ci sarebbe erroneo dato che egli stesso chiarisce in modo esplicito la
sua posizione e propone "un nuovo rapporto fra regole (criteri) e tradizioni. questo rapporto, e non un
determinato contenuto delle regole, a caratterizzare la mia 'posizione'" (Feyerabend 1981, 66). Non c' il
tentativo da parte sua dell'imposizione di una particolare visione [4], quanto forse il desiderio di portare i
suoi lettori a rifiutare l'idea di un metodo universalmente valido, per andare oltre e scoprire nuovi
orizzonti che permettano all'uomo di svilupparsi integralmente e pienamente. Il principio ha il pregio di
non inibire il progresso per il fatto che arresta la selezione di idee a svantaggio delle altre che mal si
collocano in rapporto ad una certa esperienza, per dare in un certo senso, il giusto peso ad ognuna.
Quello di Feyerabend un invito, una provocazione a lasciare il nostro porto sicuro, rappresentato dai
nostri standard ideali ai quali ci affidiamo, per nuotare in "un oceano, sempre crescente, di alternative
reciprocamente incompatibili" (Feyerabend 2002, 27), magari insicuro ma senz'altro pi creativo e ricco
di novit. Le idee migliori forse vengono proprio dalla diversit e non dall'omologazione.
Questo principio deve essere seguito anche dallo scienziato, il quale deve tener conto di tutte le opinioni,
confrontando idee con altre idee e non semplicemente scartare queste in nome di una "condizione di
coerenza" che elimina una teoria perch in disaccordo con un'altra (ibid., 31).Questo crea immobilit,
staticit nel processo conoscitivo poich si tende, in questo modo, a preservare teorie meglio conosciute a
scapito di nuove e diverse. anche vero che all'inizio bisogner pure optare per qualcosa (lo stesso
Feyerabend all'inizio era un fedele del metodo scientifico [5]) ma ci non autorizza l'esclusione a priori di
altri fatti che non riescono a giustificare momentaneamente una teoria. Persino lo stesso procedimento
scientifico, che per molti consta di principi immutabili, logici, lineari, va incontro a delle violazioni del suo
stesso metodo poich "non c' una singola norma, per quanto plausibile e per quanto saldamente
radicata nell'epistemologia, che non sia stata violata in qualche circostanza" (ibid., 21).
Se si pensa alla storia della scienza, spesso vengono introdotte forzature o ignorati eventi fortuiti al fine
di spiegare teorie che non si accordano con fatti osservabili da tutti. Cos uno scienziato dovrebbe andare
alla ricerca di nuove sfaccettature e pluralit di idee [6], nonch dovrebbe servirsi non solo della "norma",
(elemento che conferma la teoria accordando i dati) ma anche della "contronorma" che "ci consiglia di
introdurre ed elaborare ipotesi [] in contraddizione con teorie ben stabilite e/o fatti ben accertati" (ibid.,
26). Norma e contronorma sono parti integranti del processo di conoscenza [7] dove l'ultima, aggiunge
[1] "Il desiderio di accrescere la libert, di condurre a una vita piena e gratificante, e il corrispondente tentativo
di scoprire i segreti della natura e dell'uomo,comportano quindi il rifiuto di ogni norma universale e di ogni
tradizione rigida" (Feyerabend 2002, 18).
[2] "Dovremmo trasferire ad essa i diritti esclusivi di occuparsi della conoscenza, cos da escludere
immediatamente qualsiasi risultato si sia ottenuto con altri metodi? questa la domanda che intendo esaminare
nel presente saggio. E la mia risposta a tale domanda sar un fermo e sonante NO" (ibid., 17).
[3] "E' chiaro, quindi, che l'idea di un metodo fisso o di una teoria fissa della razionalit, poggia su una visione
troppo ingenua dell'uomo e del suo ambiente sociale. Per coloro che non vogliono ignorare il ricco materiale
fornito dalla storia, e che non si propongono di impoverirlo per compiacere ai loro istinti pi bassi, alla loro
brama di sicurezza intellettuale nella forma della chiarezza, della precisione, dell'"obiettivit", della "verit",
diventer chiaro che c' un solo principio che possa essere difeso in tutte le circostanze e in tutte le fasi dello
sviluppo umano. E' il principio: qualsiasi cosa pu andar bene" (ibid., 25).
[4] "Non ho una filosofia, se per filosofia si intende un corredo di principi uniti alle loro applicazioni, oppure un
immutabile atteggiamento di fondo" (Feyerabend 2001, 148).
[5] "So di essere stato un tempo io stesso un patito della scienza, ma ora sono diventato molto scettico circa
l'autorit della scienza in questioni ontologiche" (Feyerabend 1984, 56)
[6] "[] egli deve adottare cio una metodologia pluralistica. Egli deve mettere a confronto idee con altre idee
anzich con l''esperienza' e deve cercare di migliorare anzich rifiutare le opinioni che in questo contrasto hanno
avuto la peggio" (Feyerabend 2002, 27).
[7] "La conoscenza cos concepita non una serie di teorie in s coerenti che convergono verso una concezione
ideale, non un approccio ideale, non un approccio graduale alla verit: piuttosto un oceano, sempre
crescente, di alternative reciprocamente incompatibili" (ibid., 27).
[8]"Non c' alcuna opinione, per quanto 'assurda' o 'immorale' che egli si rifiuti di prendere in considerazione o
in conformit con la quale si rifiuti di agire, e nessun metodo considerato indispensabile" (ibid.,155).
[9]"[] ci si accorge che la scienza non ha l'esclusivit della conoscenza. La scienza senz'altro un serbatoio di
conoscenza, ma lo stesso vale per i miti, le favole, le tragedie, i componimenti epici e molte altre creazioni delle
tradizioni non scientifiche" (Feyerabend 2001, 95).
[10] "L'affermazione che non c' conoscenza fuori dalla scienza - extra scientiam nulla salus - non altro che
un'altra favola, molto conveniente" (Feyerabend 2002, 249).
[11] "Trovo plausibile che ogni regola abbia dei limiti, ma non ne concludo che si debba vivere senza regole.[]
Non voglio eliminare regole e criteri, n mostrare che siamo privi di valore. Al contrario desidero aumentare il
nostro inventario di regole - pi sono, meglio - e propongo usarle tutte in modo nuovo" (Feyerabend 1983,
401).
[12] "Le regole metodologiche devono essere adattate alle circostanze e reinventate sempre di nuovo. Ci
aumenta la libert, la dignit e la speranza di successo" (ibid., 298).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
PAUL K. FEYERABEND
- (1981) La scienza in una societ libera, Milano
- (1983) Il realismo scientifico e l'autorit della scienza, Milano
- (1984) Scienza come arte, Bari
- (2001) Dialogo sul metodo, Bari
- (2002) Contro il metodo, Milano