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Le avventure della democrazia.

Noi, loro e il muro diAtene


di Giuseppe Panissidi

A 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino bisogna riflettere sulle avventure e le
disavventure della democrazia partendo dal suo luogo originario, l'Atene del V secolo a.
C.. una operazione necessaria per dotare la nostra democrazia di quella memoria
pubblica di cui appare defraudata.

E trascorso pi di mezzo secolo da quando, nel 1955, Maurice Merleau-Ponty, uno dei pi
agguerriti interlocutori di J. P. Sartre, dava alle stampe una delle sue opere pi mature e
pensate: Le avventure della dialettica. Curiosamente definita maledetta, essa
rappresenta un grandioso tentativo di superamento in progress della impasse cui Max
Weber aveva condotto la questione cruciale del rapporto tra fatti e valori, pensiero e
mondo, ragione e storia, con ricadute traumatiche sulle dinamiche e la possibilit stessa
della prassi. Una dicotomia implausibile e pericolosa, quasi un invito allautoripiegamento dellintellettuale nella sua familiare e solitaria turris eburnea, remota
memoria del phrontisterion socratico, il pensatoio in scena nellesilarante raffigurazione
delle Nuvole di Aristofane. La politica dellintelletto, per sua natura occlusiva, lascia,
ha sempre lasciato, il tempo (e il mondo) che trova, indifferente com, nel suo splendido
isolamento, alla realt contingente e alleffettuale possibilit di un altro mondo. Dove
altro, tuttavia, non significa estraneo al presente, prodotto sofisticato dellimmaginario
individuale e collettivo, bens possibilit immanente nella contingenza di questo nostro
mondo, e pretendente allesistenza. Questo pensiero della tensione verso la realt come
si potrebbe ben definire limpegno di Ponty, memori dellutopia blochiana - oltre laspra
fattualit, marxianamente levatrice di storia, di umane possibilit, esalta una coerente
affermazione di umanismo, felicemente disancorata da pulsioni ideologiche e proiezioni
meta-empiriche. Non esiste situazione senza speranza, afferma Ponty in una delle sue
pagine pi belle e significative. E sembrano risuonarvi le parole pronunciate da Lenin nel
1919, di fronte alla grave crisi del capitalismo contemporaneo: Credere che non ci sia una
via duscita dalla attuale crisi del capitalismo un errore. Nessuna situazione mai
assolutamente disperata.
Sweet November, venticinque anni esatti, a Berlino un muro di vergogna scricchiolava.
Come resistere, oggi, alla tentazione immaginifica, libera associazione didee, di scorgervi
un preludio a pi recenti scricchiolii di orditi incestuosi tra consanguinei, in casa nostra?
Collassi futuri, si spera, pur entro quellordine delle somiglianze caro alla visione di

Leonardo Sciascia. Una vera fortuna, comunque, per molti credenti, che il Brit milah
ebraico, il patto del taglio", implichi la sola circoncisione, ceteris exclusis. Quel muro
cedeva, infine, e sopra le sue rovine sorgevano nuove speranze, certezze mai sopite, ricerca
di pi umane attenzioni verso le vite degli altri, lungamente inaridite e soffocate dalla
livella di Stato. Non uomini, ma fredde, lisce, uguali palle da biliardo una metafora di
Hegel sugli eccessi cruenti della Rivoluzione francese forzosamente educati allidea di
eguaglianza, ma trafitti nel bisogno di ragionevoli forme di (marxiana) uguaglianza antilivellatrice, tra cittadini eguali, nella titolarit dei diritti e delle libert, e differenti, come
membri di cerchie distinte e unite nel corpo dellidentit collettiva. Come tedeschi, ora
lhanno forse in parte intravista, come europei continuano a cercarla insieme con gli altri,
insieme con noi. Con quanti lavorano e lottano e migliorano s stessi, e fanno la Storia,
speranza e certezza di Antonio Gramsci, alta coscienza dItalia codardamente reclusa,
temerariamente ancora pensante. Reiseregelungen nel cuore dellEuropa del 1989, le
nuove regole del viaggio incarnano il simbolo fisico di passi pi avanzati nella Storia,
mentre attestano la costitutiva implausibilit di un progetto, la cui cecit si rivelava tale,
da non riuscire ad annettere valore aggiunto nemmeno alla nostra assai poco esaltante
forma di vita. Non pi blocchi, ma sempre guerra, Tolstoj scruta Napoleone. Ci
sovviene, semmai, unincisiva osservazione politica contestuale di Pietro Ingrao, circa la
vera natura del dilemma: Pi socialismo o meno socialismo?, rispetto alla sua
configurazione storica reale. In breve: i loro torti non fanno certo le nostre ragioni.
Quanto al prematuro annuncio della fine della Storia, proclamata solo pochi mesi prima
di quel novembre lironia della sorte - da Francis Fukuyama, essa ancora di l da
venire, evidentemente. Vi ancora cammino da compiere, promesse da mantenere, nel
sentimento lirico greco di Konstantinos Kavafis, classicamente proteso verso la propria
Itaca. La nostra Itaca. Oggi, purtroppo, si ha come la percezione aspra e forte che il cielo di
Berlino non sia poi stato cos azzurro sopra di noi, che quelle pietre ci siano come rovinate
addosso. Vero e proprio Muro del Pianto de chez nous, se dobbiamo giudicare, sembra
inevitabile, dallo stillicidio di sciagure che ne sono seguite, sul piano politico e sociale,
morale e culturale. Lintelletto generale in letargo, causa prima, a giudizio di Albert
Einstein, storia e saperi alla mano, delle pi gravi congiunture di crisi, massimi sistemi
universali a parte. Versiamo, da allora, in una penosa condizione di stallo, unemergenza
generale permanente e oppressiva e, in apparenza, priva di sbocchi. Nequizia di un tempo
senza muro, fonte sorgiva di frustrazioni e di nausea afferra alla gola, per Sartre, come
una morsa - sensi dinanit disperante. Prescindiamo, tuttavia, solo per un momento, dal
dramma della questione sociale e da preoccupazioni volgarmente economicistiche. Ad
esse, in fondo, si potr sempre porre rimedio, magari contraendo matrimoni in massa con
la prole di un ex cavaliere ed ex altro, corresponsabile, in buona e abbondante compagnia,
del fatidico stato dellarte. Sberleffi, certo, da cui traluce acuta sensibilit morale e civile, a

quanto sembra discretamente apprezzata. Rivolgiamo, invece, lo sguardo alle condizioni


attuali della nostra democrazia, parto travagliato di lotte epocali dantan, bench tuttora
defraudata di una memoria pubblica condivisa. Ictu oculi potenza del latinorum - ci
rendiamo subito conto della sua friabilit, se, per dignit e pudore, non vogliamo metter
mano a un lessico pi intensivo. Agonia, ad esempio.
Eppure, quel muro non c pi. E il desiderio di riconoscimento, anima viva e profonda
della democrazia, non solo per Fukuyama, ha aperto vie nuove alla coscienza, alla ricerca e
ai bisogni delle identit e dei diritti di ciascuno. Si sa, la storia procede sempre in modo
dialettico e dal lato negativo, scrive Marx memore di Hegel, non in modo lineare e
cumulativo, e sufficientemente ignara del vangelo del s, s, no, no.
Concediamoci un tuffo nel passato remoto, dal quale, in fondo, siamo tutti esuli, nella
narrazione di Fdor Dostoevskij. NellAtene del V secolo a.C., fulgore dellilluminismo
greco, un grande stratega militare e non meno abile politico, Cimone, dopo avere
distrutto una flotta persiana, allo scopo di abbellire lAcropoli decise di utilizzare il bottino
di guerra per cingerla con un muro imponente. Presto, per, lopera si interruppe, anche se
non ne conosciamo le ragioni precise. Sappiamo, invece, che quel politico, alla guida del
partito aristocratico-conservatore duramente ostile a Pericle, si opponeva alla rivoluzione
democratica in fieri. E sappiamo, altres, che la sua morte segn la fine della politica
antipersiana di Atene, e linaugurazione di un new deal guidato dal partito democratico
di Pericle. Quel muro interrotto assurge quasi a simbolo, per noi. Qui, infatti, lincipit dello
scontro di Atene con la rivale Sparta, ostile allimperialismo ateniese, e della guerra del
Peloponneso, mirabilmente scritta da Tucidide, e consegnata a noi come un bene
perenne, egli scrive, utile e valido fino a quando luomo sar siffatto. Uninsuperata
lectio magistralis , rimasta lettera morta sul terreno concreto della Storia.
Ma qui, soprattutto, levento epocale. Pericle rompe il corso della Storia e realizza per la
prima volta in Atene la libert democratica, allo scopo e con leffetto di salvaguardare le
libert civili, la legittimit del potere e lautorit dello Stato.
Democrazia, dunque. Allesito di un processo di radicali riforme istituzionali, e sul
presupposto di una progressiva presa di coscienza degli opliti (cittadini-soldati) e di uno
sviluppo economico generale in tutta la Grecia e nei territori coloniali, il principio
democratico attecch anche fra i ceti meno abbienti delle citt alleate. La forte reazione
oligarchica riusc a causare disturbo, senza per mordere stabilmente sulla realt del
nuovo Stato e sulla connessa solidariet interstatuale. Sorgeva e si assestava un regime
politico fondato sul potere diffuso di tutti i cittadini a pieno titolo, quelli nati liberi.
Isonomia, eguaglianza di fronte alla legge; isegoria, libert di parola; isotimia, pari
diritto nellaccesso alle cariche pubbliche. Questi i principi fondamentali di quella

costituzione, declinati entro la cornice istituzionale di organi collegiali, quali lecclesia,


assemblea generale primaria, e la bul, consiglio eletto a sorteggio (unidea davvero
eccellente), con la funzione di formulare proposte per lassemblea. Le magistrature,
sorteggiate o elette, in carica per un anno, espletavano compiti esecutivi ed avevano
lobbligo delleuthuna, rendiconto allassemblea, con lavvertenza che, nel nome stesso,
quellistituto incorporava anche la previsione della punizione.
E pur vero, tuttavia, che a questo Stato Platone guardava con preoccupazione critica come
governo del numero o della moltitudine, ed Aristotele come governo dei poveri contro
i ricchi, dunque governo di una parte che agisce nel proprio interesse. Insomma, i
maggiori intellettuali del tempo non sembra cheesultassero.
In ogni caso, tra limiti e contraddizioni molteplici, inevitabili nel tempo storico
determinato, quel popolo concepiva ed offriva unidea nuova e profonda intorno ai
dilemmi dello stare insieme. Non deve, tuttavia, sfuggire il punto essenziale. Se quellidea
radicava in profondit, ci dovuto essenzialmente allo spessore culturale di una forma
di vita pubblicamente nutrita degli splendori della letteratura e dellarte, delle sommit
della filosofia e dellintera costellazione dei saperi: dalla medicina alla matematica, dalla
biologia alla storiografia. Non casualmente, il cuore di quella paideia - dalla religione
alla filosofia alla drammaturgia - era la katharsis, la catarsi purificatrice che innerva
ancora segmenti significativi della psicoanalisi e dellestetica contemporanea, in quanto
consapevolezza e ricerca, classicamente, processo di liberazione intellettuale e conoscitiva,
previa scarica emozionale, e conseguente conversione del modo di vivere. Phronesis.
Conoscevano le sfilate di moda, non il grande fratello. Perch la massa dei votanti - non
tutti, certamente, bens solo gli aventi diritto: maschi, adulti e liberi era organicamente
immune da sindromi di analfabetismo funzionale. E morale. Invero, la democrazia
diretta o espressa , rappresentativa o satellitare, di per s non garantisce alcunch, e pu
impedire di strambare soltanto entro indefettibili condizioni e presupposti progressivi di
sfondo. E se, oggi, la rete pu rivelarsi uno strumento efficace per la sperimentazione di
forme inedite di democrazia partecipata e governante, nuova Ginevra rousseauiana,
anche vero che si tratta pur sempre di uno strumento, erma bifronte, disponibile per usi e
abusi molteplici. Sempre due, dunque, i temi in agenda, non uno soltanto, se anche
strettamente correlati. Il primo: come, con quali strumenti e modalit sia pi opportuno
esprimersi, da un lato. Il secondo: chi sceglie chi e che cosa, e in virt di quali criteri,
dallaltro.
Un rapido e sapido excursus nel dominio dei saperi, in uno dei suoi punti pi alti e
fondanti, forse pu soccorrere. Al riparo di paventati rischi assolutistici o totalitari, J. J.
Rousseau, individuava il thema decidendum nella volont generale, e ne annetteva il

potere entro la sfera del singolo uomo, in ogni individuo sociale, concepito quale
ontologica opzione morale del bene comune e dellinteresse generale. Risoluta
lesclusione di (pericolose) operazioni di mediazione tra affinit elettive individuali,
nonch di ogni forma di calcolo combinatorio. La volont generale, infatti, non
sidentifica n con la volont di tutti, n con la volont della maggioranza, men che
mai con lassetto (pi o meno) democratico del

governo rappresentativo. Volont

gnrale la composizione in unit delle naturali differenze, messe a fuoco e in


tensione, non gi semplice identit illusoria (e mistica) risultante dalleliminazione delle
volont particolari. Senza la ricchezza delle differenze, del resto, non potrebbe neppure
costituirsi lunit dellintero e, proprio perch coincide con quel che resta delle
differenze, la volont generale costruzione permanente in divenire, punto dapprodo,
non davvio, mai realt data, totale e compiuta. La specificit stessa del suo nome istituisce
una connessione immediata e intrinseca con linteresse generale del corpo sociale,
indipendente e soggiacente a qualsiasi maggioranza, nonch sua fonte di legittimazione,
previo calcolo di tutti i voti. Di tutti. Si definisce, in tal modo, il nome proprio della
sovranit popolare, la volont del popolo come intero, integrante lidentit morale di
tutti e di ciascuno nel corpo politico. Una condizione ostativa insuperabile perch la
volont gnrale possa essere in qualunque modo rappresentata. Pu certo essere
provvisoriamente delegata (dlgue), in accordo con la volont (anche) di un solo
uomo, senza vincoli di soggezione e, soprattutto, senza scissure nellintero, alla stregua del
peculiare movimento che essa innesca, e del suo carattere naturalmente inclusivo e,
appunto, generale. Al di l, o al di qua, delle stesse, contingenti espressioni elettorali di
libert, a cadenza pi o meno regolare, dunque anche in ragione della massa critica del
voto inespresso. Il senso del discorso non potrebbe essere pi chiaro. Con tutto il rispetto
per Locke e Tocqueville, Montesquieu e Mill, teorici e testimoni attenti dellesistente, e
malgrado la loro pervasiva influenza nella tradizione politico-culturale occidentale, fatto
che, dalla Rivoluzione francese alle Dichiarazioni universali dei diritti e delle libert,
fino alla teoria del velo dignoranza di J. Rawls, le grandi linee teoriche della rottura
sono limpidamente tracciate. Ebbene, se le forze doccupazione dello Stato e delle
istituzioni Giorgio Napolitano condivide lassunto di Enrico Berlinguer? Gli consta di
essere (stato) il Presidente di quella Repubblica? Fantasie a parte del sistema politicomediale intorno ad asserite seconde e terze Repubbliche se il sistema dei partiti, si
diceva, in testa il partito della nazione della volont generale o del 20%? compiendo molti passi indietro, rinunciasse ai benefici parassitari e perversi derivanti
dalle lacerazioni dellintero e traducesse il senso dellenucleata rottura in atto di
consapevolezza, come dincanto imboccherebbe la via del reperimento di ampi margini
senso. Ergo, della propria (ri)legittimazione. Cosicch, nel fuoco di unincipiente nuova
forma di vita, lazione politica si esplicherebbe in convergenza, quanto allimpegno della

formazione e del rispetto della volont generale. Conferma, ove mai necessaria, che la
nostra Costituzione, pur lungamente bistrattata, non il rottame che lanti-politica di Stato
si affanna ad ammannire. Vero che la Charta attende ancora il suo Godot, la messa in
opera, ossia, e in sicurezza, dei suoi gangli vitali, precondizione indefettibile di
aggiornamenti opportuni e necessari.
E hic et nunc? Nelle more, non possiamo pi destinarci a incrociare, per di pi vanamente,
flussi permanenti di mani pulite, disfatte in sequenza del passato, di classi dirigenti
generali ed assemblee democratiche, ancorch elette, come avveniva fino a pochi anni
fa, quando loblio farisaico non giova - non erano nominate, e quando, inoltre, la
forbice sociale era incomparabilmente meno divaricata. Conferma inequivoca dello
strabismo epistemico di taluni approcci (molto) teorici al tema della crisi della democrazia
rappresentativa, essenzialmente interpretata quale effetto diretto dellakm delle
diseguaglianze sociali. Eppure, gli anni 50 e 60, in particolare, sono stati i peggiori, ma
anche i pi significativi, della seconda met del secolo scorso, dominati da un forte
oscurantismo di matrice (post)fascista. Mentre in Germania avanzavano i Panzer della
denazificazione e il Godesberger Programm faceva piangere Marx, in casa nostra
piangevano le madonne e andavano in pellegrinaggio; si registrava una miracolosa
espansione dei poteri criminali delle mafie e del loro controllo lungo vasti territori dello
Stato, in quanto infrastruttura di sviluppo e di ricambio dei gruppi dirigenti della societ
e dello Stato (Salvatore F. Romano); il primo deputato fascista (ri)entrava in Parlamento;
le ACLI e l'Azione Cattolica emanavano fluidi di collateralismo; le elezioni si nutrivano
delle sapienti promesse di una scarpa prima e una scarpa dopo; la DC prendeva
diligentemente appunti e istruzioni dagli USA e dal Vaticano; statisti e politici, a furor di
popolo, tessevano interessanti relazioni (anche di democrazia rappresentativa) con cosa
nostra, attiva dentro e con lo Stato, attraverso i rapporti esterni con i suoi
rappresentanti e nelle istituzioni, a giudizio di Pietro Grasso, gi procuratore nazionale
antimafia; e il PCI attraversava questo guado, anche a prescindere dal fattore K. Amenit
siffatte. Per la gioia del popolo italiano e della (compianta?) democrazia rappresentativa
dantan, quantunque la mondializzazione, leuro e leconomia finanziarizzata fossero
ancora fuori dallorizzonte della storia. Infine, ma non da ultimo, il sottosuolo incubava il
berlusconismo: nome proprio della scissione, cifra esatta di un cavaliere inesistente.
Perch, invero, di libert e di democrazia bisogna sempre parlare in situazione,
argomenta Sartre, e non gi per esercitazioni tecniche, soltanto allinterno di un campo,
non mai in termini assoluti, per astrazioni indeterminate. Immersi, come siamo, nelle
nostre vite e nel mondo degli uomini, tra amici e parenti, passanti e conoscenti, passato,
presente e (sic) futuro. E solo quando la libert incontri altro fuori di s, nel significato
delle parole di Martin Luther King: La mia libert finisce dove comincia la vostra. E nel

senso ulteriore che, senza laltrui, neppure la nostra avrebbe inizio. Quel campo,
tuttavia, - ecco il punto - altro non , se non il terreno da costruire e su cui camminare
insieme, hegelianamente da percorrere proprio mentre lo costruiamo, attraverso
lelaborazione teorica e la conduzione pratica di essenziali problematiche locali e
universali. Affrancati, un auspicio, dal mugugno impotente del ressentiment altro
dal risentimento del linguaggio comune - su cui Nietzsche per primo ha scritto pagine
definitive. E guai se la rete usurpasse la funzione consolatoria delle sacrestie o del bar
dello sport, che svolgono ancora egregiamente il proprio lavoro. Guai, insomma, se essa
svilisse in medium di compensazione per frustrazioni e pulsioni emozionali, esacerbando
gli inconvenienti connaturati alla tecnologia informatica. Primo dei quali, il ribaltamento
del senso stesso della realt e dellesperienza, sempre da costruire mediante
lattraversamento del mondo, ora, invece, in assunzione dallesterno, da un mondo, ossia,
cui non siamo noi ad andare incontro, ma che, viceversa, ci viene incontro dallinterno di
una sofisticatissima scatola. Di certo, non ci arride la fine ingloriosa del prete asceta,
patetica quanto innocua figura morale della sublimazione: di miserie e sensi di colpa,
debolezze e frustrazioni. Pie donne ai piedi di una croce: tragedia, la prima volta, farsa, le
altre, secondo Marx correttore di Hegel. Oppure, pianto greco di prefiche, sublimit dei
cori tragici a parte. Vertiginosa posta in gioco, in realt, la marxiana umwlzende Praxis
prassi sovvertitrice. Meglio: inversione della prassi. Un tema ancora tutto da svolgere.
Non un caso che, agli albori della modernit, unaltra formidabile macchina da guerra
contro-ideologica, Baruch Spinoza, avesse gi severamente ammonito: Lodio e il
pentimento sono nemici mortali delluomo. Non si piange sulla propria storia. Si cambia
rotta.
Avversi destini non sono ascrivibili alla volont o agli interessi di capri espiatori esterni e
di comodo. Alla rappresentanza politico-istituzionale, putacaso, il cui radicamento
terreno pacifico, e non necessita di ulteriori dilucidazioni. Ovvero, alla magistratura e
alle sue dinamiche, spesso discutibili, talora dissennate, non solo nellesercizio della
giurisdizione, ma bens anche negli interna corporis. Daltra parte, se abitassimo arene
felici di giustizia dispiegata e compiuta, senza falle pi o meno gravi, nella beatitudine
delleden dei diritti innati delluomo del Marx pi amabilmente ironico, non avrebbe
neppure senso parlare di giustizia. Anzi, alla luce della lezione della grecit classica, non
disporremmo neanche del lemma e del concetto relativi. Fino a quando, naturalmente, il
garantismo, dalle molte vite e dal volto cangiante, dellinopinata pretesa dimpunit non
ci rinfrescasse la memoria e il senso dellumano. E non ci ricordasse, ancora Marx,
lineluttabilit degli apparati di giustizia e di repressione, prodotti della devianza in ogni
formazione sociale finora esistita, segnatamente entro il modello di produzione con
capitale e la macchina statuale del sorvegliare e punire. Non ci ricordasse, tra laltro, la

quisquilia che lhegeliano regno animale dello spirito della societ borghese moderna
sussume la (decantata) libert civile nella legge, quale espressione della volont generale
del corpo sociale, soggezione allio comune, ancora Rousseau, alla societ come trama
di legami e relazioni, ancora Marx. Non a pulsioni egotiche patologiche (finanche
postribolari) di ogni quaquaraqu che parteggiando viene, ancorch meta libidica
Piero Gobetti sul mussolinismo di non trascurabili frazioni di popolo prudenzialmente
allergiche alla volont generale.
Vero di fatto che, se nella notte hegeliana tutte le vacche sono [sembrano] nere, di
giorno, pi sensatamente, prestando ascolto al monito di I. Kant, secondo cui ragionare
distinguere, la mente non pu non correre alle prerogative inalienabili del popolo
sovrano. E alla sua mira fallace nellespressione di s stesso e delle proprie classi
dirigenti. Impellente il bisogno di riorientare lesercizio dello sguardo sulle cose ed autosovvertire le pratiche individuali e pubbliche, a pena di esiti di non ritorno. Perch, la
radice delluomo luomo stesso, Marx insiste. Come non rammentare, al riguardo, una
lontana, ma caustica e pi che mai attuale osservazione del cancelliere tedesco Gerhard
Schrder? A giudizio del quale la questione delle riforme, nel Belpaese, soffre
intensamente lo stato entropico (e antropico) della volont generale. Il potere pi forte. In
tema, la madre di tutte le riforme, la nostra prima rivoluzione culturale (e politica),
attraverso uno sguardo alla Ponty, nella cui prospettiva il mondo gi costituito, ma non
mai completamente costituito. Se nel vero chi, come Marx, ritiene che gli uomini
fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro
stessi, bens nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a s, determinate
dai fatti e dalle tradizioni. Il teatro di guerra. I fatti, vale a dire le condizioni oggettive di
vita, e le tradizioni, cio la storia di sfondo, intellettuale e culturale.
Noi e loro. Senza muri. Purch sintenda che loro siamo noi, infine. Se, dunque, loro si
separano da noi, ci dipende dal fatto che, ancor prima, noi ci scindiamo da noi stessi, e
proprio nel momento cruciale in cui li scegliamo tra di noi. Ne va di noi, in questo
moderno rito sacrificale dellintelligenza, della volont e del libero arbitrio.
Hybris, memoria tragica, anche questa tracotanza, questa perversione della volont
generale. E gli dei se ne vanno. (Sofocle).

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