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IL DOPO USA: CHE FARE DUNQUE?
Nello scrivere il capitolo precedente mi sono chiesto ripetutamente se non
stessi correndo il rischio
che la mia rilettura di quegli avvenimenti risultasse troppo condizionata dalla
esperienza successiva
e dalla mia condizione attuale.
Credo di essere riuscito, in qualche misura, a separare la sequenza dei fatti
dalle ampie parentesi di
riflessioni personali sul contesto. Considerazioni che sono certamente il frutto
di tutte le esperienze
vissute anche successivamente. Considerazioni che ciascuno potr condividere
o meno, ma
necessarie ad illuminare lo scenario nel quale io ritengo che possa trovare un
qualche senso una
esperienza come quella che avevo vissuto negli Stati Uniti, e le altre che a
quella sono seguite in
assoluta continuit e consonanza.
Dovremo convenire che qualsiasi racconto di una vita non riuscir mai a
rendere fedelmente la
realt delle sensazioni che si sono vissute. Tutto viene sempre riletto con il
condizionamento di ci
che si diventati, per quelle esperienze o grazie a quelle esperienze. Quanto
andr scrivendo rimane
pertanto affidato alla libera interpretazione degli eventuali lettori. Ma nulla e
nessun giudizio potr
mutare la mia storia.
Ed anche il mio racconto non potr che essere un piccolo tassello delle tante
personali esperienze di
ciascun lettore. Esperienze dalle quali ciascuno trae, in qualche misura, motivi
per le proprie scelte
di vita. Io credo infatti che noi siamo solo ci che scegliamo di essere, e
nessuna esperienza,
positiva o negativa, pu essere "indifferente" per la vita di ciascuno di noi. E
credo che nessuna
esperienza, per quanto negativa o ingiusta, possa farci irresponsabili di ci che
scegliamo di essere,
delle scelte fondamentali che decideremo di fare e delle azioni conseguenti. E'
dunque solo sui
valori, ai quali ciascuno sceglie di fare riferimento, che possibile un confronto
tra opzioni diverse
di vita.
E' necessario allora soffermarsi ancora nei vari capitoli - tra brani di storia ed
ulteriori riflessioni e
valutazioni - per cercare di capire insieme come e perch sia stato possibile che
una vicenda come
quella statunitense abbia dovuto essere taciuta per vent'anni, e come e perch
essa abbia potuto
comunque dispiegare tutti i suoi pi terribili effetti - senza la bench minima
reazione politica sulle vite personali. Non solo mia e dei miei familiari, voglio dire, e nemmeno
esclusivamente su
quella dei colleghi che hanno pagato fino alla vita il loro impegno. Ma parlo
soprattutto delle inermi
vittime delle stragi che negli anni successivi ci toccarono tutti cos da vicino.
Anche se triste ed
amaro verificare che siano stati in pochi, tra i cittadini e tra i militari "onesti",
ad accorgersene, oltre
alle vittime ed ai loro parenti superstiti).
Ed ancor pi in particolare intendo parlare di quelle stragi che furono pi vicine
a noi del
Movimento Democratico dei militari della Aeronautica, e parlo del Monte Serra
e di Ustica. Cos
vicine da lasciarci addosso una specie di "sapore di morte". Un sapore tale da
bruciare alla fine
anche noi e le nostre speranze. E quelle dei nostri figli con noi.
Tutto ci non sarebbe potuto avvenire se non fosse esistito, come abbiamo
invece dovuto
sperimentare giorno per giorno con crescente sconcerto ed amarezza, un clima
politico, militare e
giudiziario-militare assolutamente predisposto a consentire allo scempio che
del diritto e della
Democrazia avrebbero fatto i nostri alleati e controllori in quegli anni. Per
complicit consapevole;
o per una indifferenza che si faceva sciatteria ed omert comunque funzionale
o, peggio, interessata
collusione.
Ma alla consapevole e deliberata complicit di alcuni tra i vertici militari e
certamente di alcuni
ambienti politici di Governo, divenuta poi funzionale anche quella
superficialit scellerata che
emergeva nella "in-coscienza e in-competenza" politica, sul piano
squisitamente militare e sui
condizionamenti internazionali della nostra sovranit, dei nostri rappresentanti
parlamentari preposti
a funzioni di vigilanza e controllo, anche quando fossero esponenti della
opposizione. L'ansia di un
accredito internazionale che li legittimasse a governare si dimostrata pi
forte di qualsiasi
coscienza dei compiti e delle funzioni di garanzia.
Vent'anni dopo, nel Novembre 1995 in una audizione davanti ai Parlamentari
della Commissione
Stragi strappata con un durissimo digiuno di 33 giorni, avrei avuto l'ultima
definitiva, amarissima
conferma di questa realt politica comunque scellerata, quando non sia
cialtronesca. E' infatti
sconcertante il dilettantismo e la assoluta inconsapevolezza della delicatezza
della materia loro
affidata, e che dovrebbe essere tutelata con ben diversa autorevolezza e
fermezza da rappresentanti
istituzionali, piuttosto che con la approssimazione e la soggezione psicologica
al "dominatore
politico", che invece trasparsa in quella audizione.
Audizione tragica per me, molto di pi di quanto lo fosse stata quella
esperienza americana. La
audizione stata infatti il segnale, per i miei controllori - che dalla vicenda
americana in avanti mi
hanno seguito con una attenzione continua ed asfissiante, come addetti ad una
specie di terapia
intensiva -, della possibilit e libert di realizzare il mio definitivo isolamento
sociale politico ed
umano, laddove la esclusione dalle Forze Armate non era stata sufficiente a
farmi abbandonare
l'impegno per la Verit e la Giustizia sulle stragi. E per il riscatto degli uomini
delle Forze Armate
da un destino ingiusto e da un immeritato marchio di infedelt e corruzione.
Ed anche quella radiazione con infamia dalle F.A., come vedremo, si era resa
possibile per un
chiaro segnale di "indifferenza" della politica alle azioni e determinazioni che i
vertici militari
avessero concretizzato contro di me - come contro qualsiasi altro militare
democratico -, anche
violando ogni minima garanzia ed ogni regola e norma di diritto.
C' dunque un destino, che accomuna tutti i militari democratici che si siano
riconosciuti nelle
istanze del Movimento di rinnovamento e per esse si siano battuti in totale
trasparenza e
responsabilit, che non solo il frutto di sordide conflittualit di settori deviati,
ma appare sempre
con maggiore evidenza frutto di una indifferenza politica, "annoiata e
preoccupata" dalle esigenze
che le venivano poste da ciascuno di quegli uomini.
C' un lungo itinerario personale dietro queste mie amare considerazioni. Un
itinerario iniziato non
appena rimesso piede in Italia dopo l'esperienza americana, in quel
lontanissimo 1975. Doveva pur
esserci un modo, andavo arrovellandomi, per verificare se fosse mai possibile
che coscientemente i
vertici, politici e militari, di questo Paese avessero potuto svendere davvero la
nostra sovranit, ai
livelli che mi erano stati rivelati.
Mi era stata "regalata", dal mio talent-scout, l'esigenza di una profonda
diffidenza: se davvero quel
protocollo era "operativo" fin dal 1947, e se davvero i vertici politici e militari
del Paese ne avevano
avallato la efficacia con continuit, fino a segnalare i possibili "prescelti" e
consegnarne i curricula,
non potevo e non dovevo "fidarmi" aprioristicamente di nessuno. Certamente
l'esito negativo del
tentativo di "reclutamento" era stato gi segnalato ai referenti italiani e non
potevo aspettarmi alcun
trattamento "leggero".
Ma quanti erano in realt coloro che avevano gi tradito? Pensavo che avrei
dovuto fare molta fatica
per una verifica che avesse un minimo di sostanza, tale cio da poter costituire
elemento per un
impegnativo confronto politico nelle sedi istituzionali e nel Paese. In realt non
fu poi necessaria
una eccessiva fatica, per arrivare alla triste verifica. Ma intanto si poneva il
problema del "Che
fare?".
Se nel nome di un viscerale quanto "nebuloso" anticomunismo mi era stato
rivelato uno scenario
assolutamente insospettato, bisognava che io riuscissi a capire a quali criteri
potesse rispondere quel
concetto di "anticomunismo".
Esso nella sua dimensione di vigilanza "antisovietica" aveva in s una qualche
giustificazione, se
non altro in relazione alla Alleanza politico-militare della quale facevamo parte,
e che io
consapevolmente avevo accettato. Ma fino a dove si spingeva questa
"vigilanza"? Fin dove arrivava
il vero pericolo "rosso" del sovietico nemico, e dove iniziava invece la
costruzione artefatta - e
dunque falsa - del pericolo attraverso elementi asserviti e quindi deviati?
Ed in quanti ed a quale livello avevano gi tradito ogni previsione
costituzionale, nonostante il
giuramento di fedelt, consentendo alla "devianza" che in nome di quella
vigilanza fosse stata loro
proposta?
Perch una Costituzione come la nostra non escludeva certo il perseguimento
penale e politicoamministrativo
di quanti ritenessero di svolgere "intelligence con il nemico", e tuttavia aveva
identificato nel fascismo e nella sua futura riproposizione, in ogni possibile
forma, il vero
avversario, e dal pensiero della solidariet socialista e cattolica aveva piuttosto
tratto la essenza
delle proprie radici pi profonde. Che altra cosa dal giustificare su quel
pensiero le degenerazioni
dei sitemi politici che si erano prodotti al loro riparo: il regime sovietico come
quello dei sistemi
militari golpisti latino-americani, gli uni inneggianti al comunismo, gli altri
riferendo alla fede
evangelica.
Era questo che dovevo capire, anche se questo mi condannava fin da subito a
portare "in silenzio" il
peso della esperienza vissuta.Dovevo impormi anzitutto di riuscire a non
"valutare"
pregiudizialmente fatti e situazioni. E' facile, se si cadesse in un simile inganno
psicologico, darsi
poi ragione di ogni parola, di ogni atto che altri potessero compiere. Accade
cos nelle normali
dinamiche dell'innamoramento e della gelosia, figuriamoci in quello spazio cos
impalpabile come
la gestione del potere. Il limite con la fobia diverrebbe eccessivamente sottile,
e si comincerebbero a
vedere tranelli e nemici dappertutto. Altra cosa l'essere consapevole e di quei
tranelli e di quei
provocazione avuto
con il Col. Cogo.
Quando per il servile scusarsi - del "poco coraggio" di fronte al "privilegio ed
alla forza del grado"
- mi veniva posto come giustificazione da qualche Sottufficiale anziano, la cosa
mi mandava
letteralmente in bestia. E con qualcuno, irrecuperabile, concludevo che forse,
per gente come loro,
aveva quasi ragione il Colonnello Cogo che li considerava alla stregua dei
Baluba.
Auschwitz ha dimostrato purtroppo che il terrore usato come arma
scientificamente applicata pu
ridurre gli uomini, sull'uno e sull'altro fronte sia di vittime che di aguzzini, a
delle insondabili
ignobilt, alla totale perdit di ogni parvenza di identit e dignit che conservi,
anche solo
minimamente, i tratti della umanit e dell'essere persona. In condizioni meno
disumane di quelle di
Auschwitz c' invece un limite di dignit, al di sotto del quale non possibile
scendere. Non
eravamo ancora, fortunatamente, alle condizioni di Auschwitz.
E la aggettivazione di "Baluba" era evidentemente troppo anche per quei
Sottufficiali non pi
assuefatti a chiedersi dove fosse finita la propria dignit. Ci fu una specie di
sollevazione. Una
richiesta forte e decisa, ineludibile, di chiarezza, e di scuse eventualmente. Il
Col. Cogo
inizialmente cerc di smentire, attribuendo a me l'intenzione diffamatoria di
diffondere frasi mai
pronunciate e calunniose della sua correttezza. Si fin col convocare un
drammatico confronto nella
sala "briefing" (l'aula dove si svolgono le riunioni operative) del 50 Gruppo dove ero inquadrato alla presenza dei Sottufficiali del Gruppo.
Alla rabbiosa menzogna del Colonnello risposi con la ormai collaudata
freddezza, non ritirando una
sola parola, anzi arricchendo il ricordo degli altri sconcertanti apprezzamenti su
mogli e figlioli dei
Sottufficiali. Dei tanti colleghi che erano stati presenti alla discussione al
Circolo, solo due, il Cap.
Lista ed il Ten. Cavanna, alla fine trovarono l'onest per confermare, anche se
con una certa
titubanza e con molta e comprensibile tristezza, che quanto io raccontavo
rispondeva in qualche
modo alla verit.
A quel punto il Colonnello attribu alla rabbia nella quale evidentemente lo
avevo indotto l'aver
pronunciato frasi che "non pensava" in realt. Ma la parte finale, delle aperte
quanto doverose scuse
ai Sottufficiali, mi fu negata, con un imperioso congedo dalla sala.
I Sottufficiali ne uscirono, mi parve, con una rinnovata sensazione di dignit
che comunque non
diventava disprezzo per i superiori gerarchici, cosa della quale sarei stato
costantemente accusato da
quel momento in poi. Ma questa pu anche essere stata solo una mia
impressione e non posso
escludere che la "casta" degli Ufficiali potesse sentirsi realmente offesa ed
umiliata da quegli
atteggiamenti "liberati" che si erano determinati a causa della mia "azione". Di
certo la mia dignit
personale ed il prestigio del grado che, in qualche misura anch'io
rappresentavo ai loro occhi, ne
erano uscite accresciute. Dunque il conflitto si estendeva al modo ed al criterio
con cui si rivestiva il
grado e si interpretava la funzione.
Dunque non finiva l. Non poteva finire l. Dopo pochi giorni il Col. Cogo
organizz una specie di
Tribunale Marziale, del tutto illegittimo ed irrituale. Il "confronto" si trascin per
quattro giorni alla
presenza di ben cinque, silenziosissimi Ufficiali: Il Ten. Col. Fronzoni (che avrei
ritrovato nella
vicenda Monte Serra, gi raccontata) ed il T.Col. Pagano (che si avvicendava in
quei giorni, con lo
stesso Fronzoni, al Comando del 50 Gruppo cui ero assegnato
operativamente), il Magg. Greco
(ebbene s, proprio lui che era stato capo missione nel tour americano nel
Luglio precedente), il
Cap. Lista ed il Ten. Cavanna (i due coraggiosi, evidentemente bisognosi di una
"cura" di
rinsavimento da possibili tentazioni democratiche).
Sarebbe stato un terribile incubo se non avessi avuto la esperienza americana.
Ero invece lucido in
maniera sorprendente, e deciso a sfruttare fino in fondo quell'unica opportunit
che mi si offriva per
le verifiche di cui avevo un vitale bisogno. Le imputazioni: strumentale volont
di diffondere nel
personale un discredito sistematico dei superiori, approfittando di colloqui
informali e stravolgendo
i contenuti di quei colloqui, e rendendoli strumentalmente di pubblico dominio.
Fu un'epica battaglia. Ne sentii di tutti i colori. La familiarit degli Ufficiali con i
Sottufficiali,
sosteneva il mio superiore, "doveva limitarsi alla condivisione di avventure
nelle missioni
all'estero". In pratica consentiva, il nostro, al solo "andare a puttane" insieme ai
Sottufficiali. E non
nascose che la cosa era anche funzionale per la maggiore esperienza che essi
avevano fuori dal
territorio nazionale, a causa della maggior permenenza presso i reparti di volo.
Esperienze vissute, che il Colonnello citava a suo vanto e a dimostrazione di
una sua fondamentale
"democraticit umana" che non poteva n doveva essere assolutamente
trasportata tuttavia - nella
sua logica aberrante - nella ordinariet e nella operativit dei rapporti.
Convincimento e "cultura pseudo-militare" che avrei dovuto constatare essere
Girava sempre con una agenda ove registrava tutte le "frasi celebri" che gli
accadeva di incontrare.
Ma il dramma era che, non riuscendo a farle proprie, nel bel mezzo di una
discussione potesse
interrompersi, tirare fuori la agenda e cercare disperatamente la "frase" che gli
sembrasse pi idonea
al momento. La furia, cos nella registrazione come nella consultazione, con cui
utilizzava il suo
"strumento" lo induceva a tragici errori di citazione e ad una totale incoscienza
del contesto in cui la
frase celebre poteva essere stata pronunciata.
Alla mia spudorata risposta tir dunque fuori la sua rubrica a caccia di una
frase che doveva aver
gi studiato per la apoteosi finale e lesse, confusamente inconsapevolmente ed
erroneamente come
sempre, la teoria dell'araba fenice che rinasce dalle sue ceneri. E, partendo da
quella frase, tent la
illustrazione di una sua spericolata teoria della volont "comunista" di
distruggere tutto, in
particolare la istituzione militare, per rifondare poi dalle ceneri un nuovo ordine
sovietico!!
Ma doveva aver anticipato i tempi, dimenticando un'ultima domanda. Con un
certo dispetto per
essersi accorto di aver sbagliato il canovaccio che egli stesso aveva fissato anticipando quella
scena un po' teatrale e penosa nella sua esposizione politica - volle comunque
ritornare al copione
gi preparato, aggiungendo penosit alla sua esibizione gi cos poco decorosa.
Ripose cos la
rubrica, assunse un aspetto pi "compreso" per sussurrare quasi: "E mi dica
infine: lei ha in maggior
onore i regolamenti propri della vita militare o questa sua Costituzione che ha
sulle labbra
continuamente, e la cui lettura diffonde tra il personale con il fervore dei
Testimoni di Geova?".
"Anche qui non ho il bench minimo dubbio, Comandante. - risposi Assolutamente la
Costituzione, che le ricordo non solo mia, ma dovrebbe essere assolutamente
anche la sua
Costituzione", conclusi sottolineando con forza quel "sua".
Se mi si perdona l'accostamento, che potrebbe apparire blasfemo (ma rivolto
solo al sacerdote del
potere e non certo alla natura dell'imputato), l'urlo di Caifa dovette essere
identico per ferocia e
soddisfazione a quello del Colonnello. Ha bestemmiato, aveva urlato Caifa, che
bisogno abbiamo
ancora di altre testimonianze? "Ah, finalmente ora tutto chiaro" - url il
Colonnello - "Avevo
dunque ragione! Non ho bisogno di altro per sostenere la sua pericolosit
presso i superiori comandi
e la necessit che l'Aeronautica si liberi al pi presto di una persona come lei.
Una cellula
saldato nella reciproca solidariet sia di facile soluzione, per qualsiasi lettore. E
credo che la data
cos lontana di quel rapporto possa almeno certificare agli scettici che non ho
certamente costruito,
solo dopo la mia radiazione, i particolari di una storia scellerata.
Due conclusioni avevo tratto da quella esperienza. La prima: gli americani
potevano avermi forse
anche mentito sulla reale ed accettata "operativit" di quei "protocolli" di
sudditanza (io sono
sempre pi convinto comunque che essi rappresentassero una qualche forma
di verit sostanziale);
ma la cultura che mi avevano illustrato trovava una tragica verifica. La
seconda, ancora carica di
ingenuit: il Paese e la Forza Armata non erano totalmente in mano ai traditori
della nostra
sovranit. Lo dimostrava, secondo me, quel mancato seguito ai colloqui
richiesti, i timori ed i
tentennamenti dei superiori a dare seguito concreto alle loro minacce, il
trasferimento anticipato che
aveva subito il Col. Cogo. Segnali che interpretavo come positivi in quanto li
leggevo come
tentativo di impedirmi di riferire a superiori livelli gerarchici ed istituzionali la
ignobilt delle tesi
che erano state sostenute.
Gli anni mi avrebbero dimostrato che questo secondo convincimento andava
corretto. I luoghi del
potere occulto e deviato erano tutti consolidati al controllo del Paese, fossero
essi militari o politici.
Solo c'era nel Paese - e c' ancora, grazie a Dio - una cultura di Democrazia,
diffusa tra la gente (la
stessa "anima" che aveva potuto innescare la Resistenza nonostante gli anni
bui del fascismo), che
non consentiva loro di buttare gi la maschera e mostrarsi con troppa
spudorata evidenza, portando
alle estreme conseguenze lo scontro che si era instaurato con me. Troppo
evidente il livello ed il
campo squisitamente politico sul quale quello scontro si era consolidato fin da
subito. Bisognava
saper aspettare altri momenti, per attribuire a me altre e diverse imputazioni,
ed allontanare da loro
il sospetto che fossero mossi solo da una motivazione "politica-militare"
assolutamente deviante.
Purtroppo per me la "provocazione" a quel punto aveva toccato il suo livello pi
delicato ed per
questo motivo che, non raccogliendola oltre, non si diede corso a nessun
"superiore incontro", nel
timore evidente che potessi individuare altre maglie ed altri livelli della rete di
collusioni e
connivenze. Ma la loro necessit di attendere altri momenti per reagire mi
avrebbe in realt
consentito di migliorare anche la mia conoscenza e capacit di reazione o di
assorbimento dei colpi
che inevitabilmente sarebbero arrivati man mano che si elevava il livello dello
scontro.
Questa necessit di "attesa" dei vertici deviati avrebbe forse potuto venire
meno solo se si fossero
verificate condizioni di presa del potere politico da parte dei militari, come
sarebbe poi avvenuto in
Grecia. E come alcuni speravano potesse accadere anche in Italia.
Non ci credete? Era sempre il 1975. Il tentativo Borghese si era appena
esaurito nella totale
incosapevolezza del Paese. N i successivi accertamenti avrebbero determinato
una maggiore
coscienza pubblica sui rischi della Democrazia esposta ai "furori" ed ai deliri di
una destra
nostalgica e violenta. Non si placava in ogni modo il desiderio di certi ambienti
militari ad invocare
un "intervento" nella politica italiana. Sfacciatamente, senza alcun pudore.
Ed ecco uno stralcio dell'intervento del Movimento Democratico Nazionale dei
Sottufficiali della
Aeronautica Militare, che denunciava alla Magistratura di Roma, tramite i legali
Canestrelli e
Rienzi, un preoccupante intervento de "Il Corriere dell'Aviatore". Una denuncia
seria e
responsabilmente sottoscritta da tantissimi militari. Ricordo che si discusse
sulla possibilit che
anch'io, Ufficiale, la firmassi, in quanto non ero stato ancora pienamente
accettato da quei colleghi
che temevano di essere giocati da un "infiltrato". Ritengo di aver infine firmato
anch'io; ma anche
alla Commissione Stragi, dove ho depositato copia di quell'atto di denuncia,
non ho potuto
confermare con certezza di averla firmata materialmente.Si scriveva:
"Negli ambienti militari dell'Aeronautica e nelle caserme ampiamente diffudo
un periodico che, in
quanto organo di stampa della Associazione Nazionale Ufficiali dell'Aeronautica
(ANUA), gode di
attendibilit e prestigio. Si tratta del mensile "Il Corriere dell'Aviatore", il cui
direttore responsabile
il Ten. Gen. Luigi TOZZI e il cui Comitato di Redazione composto dal Gen.
S.A. Ercole SAVI,
dal Gen. S.A. Ugo Rampanelli, dal Gen. D.A. Antonio ERRICO e dal Col. Pil. Giulio
SISTI.
Nel numero 10 "anno XXIII" del 31.10.1975 il suddetto giornale pubblica in
prima pagina un
articolo di fondo su due intere colonne a firma di tale Clemente TIMBRETTI con
il titolo.
"Osservatorio Politico-Sociale", nell'articolo l'estensore compie una disamina
della situazione
politica del nostro Paese e, con riferimento alla funzione e ai compiti che
sarebbero demandati alle
F.A., afferma testualmente: <<Che militari, progressisti o meno, si siano
impadroniti del potere (o
lo abbiano recepito), in tutto o in parte, in taluni contesti nazionali, in passato,
ed ancora pi in
tempi come questi, non cosa nuova. Tuttalpi ci si pu chiedere come lo
abbiano gestito, o lo
gestiscano o cogestiscano, e sotto tale profilo l'etichetta di progressista pu
avere qualche
significato o non averne affatto, se governare conserva la sua essenza
semantica.
Esclusa poi l'ipotesi della utilit di una dittatura militare (ma qualunque
dittatura a lungo termine
dovrebbe essere esclusa per principio), bench altre dittature che tali, almeno
in apparenza, non
sono, si siano dimostrate, e si dimostrino assai pi retrograde, pi spietate ed
inamovibili che altre
militari, potremmo tuttavia essere d'avviso che in talune situazioni
potrebbe essere concesso a
militari di "recepire" il potere, in funzione "terapeutica" in presenza di
una condizione
metastasica, tumorale o cancrenosa politica, sociale ed economica
ecc., qual' ad esempio, se
abbiamo il coraggio di ammetterlo apertamente, quella in cui si trova
attualmente il nostro
Paese. Funzione terapeutica, dicevo, paragonabile a quella assolta dal Primo
Console, durante gli
anni, appunto, del Consolato; o da Ataturk in Turchia, nel primo dopoguerra
mondiale.>>
A parere dei sottoscritti tali affermazioni, oltre a rivestire una estrema gravit
dal punto di vista
politico, in quanto rivelatrici di una mentalit e di un programma
antidemocratici ed eversivi, hanno
un contenuto che contrasta con precise norme del Codice Penale.
Valuti il magistrato (...)"
concludevamo, prefigurando responsabilit penali per la istigazione dei militari
alla violazione di
doveri propri del loro status e del dovere di servire lealmente le istituzioni
democratiche.
Siamo in pieno periodo di Pinochet, dei Generali Argentini e dei Colonnelli
Greci, dell'esplosione
del terrorismo nostrano di pi smaccata matrice fascista. Quei ragionamenti
allucinanti eppure
lucidi avrebbero dovuto indurre le istituzioni politiche e giudiziarie ad aprire un
grande fronte di
analisi e di indagine sulle F.A., ma l'unico effetto della denuncia dei Militari
Democratici fu la
consegna del silenzio e la irreversibile condanna, anche se rimandata di
qualche anno, di ciascuno
di quei firmatari. Non solo le condanne islamiche dunque inseguono, senza
limiti di tempo, i
colpevoli di "bestemmia".
Gli estensori di quelle condanne, come quelli dei proclami giornalistici
analizzati, hanno invece
potuto godere di totale immunit e rispetto e forse asncora oggi continuano a
tessere le loro trame
svolga fino in
fondo il suo ruolo, in aderenza alle leggi ed a tutte quelle norme non scritte,
legate alla figura
tradizionale del soldato;
- in momenti di normalit, come le esperienze quotidiane mostrano, la societ
ignora il militare o
assume atteggiamenti talvolta ostili.
Le critiche che pi frequentemente vengono rivolte alle Forze Armate (...)
pongono in rilievo che
nella attuale situazione internazionale le organizzazioni politiche e diplomatiche
sono in grado di
assicurare una composizione pacifica dei conflitti (...).
In generale sembra che si possa affermare che i valori, di cui le Forze Armate
sono portatrici, non
trovano riscontro in Paesi industrializzati, dove tutto ridotto alle categorie
economiche e dove il
valore d'uso, cio intrinseco di ogni prestazione, valutato meno di quello di
scambio, del valore
cio che consente di fruire prestazioni fornite da altri."
Credo che a tutti appaia evidente il livello infimo ed avvilente, anche a livello
espositivo e di
capacit di argomentare, di costoro mentre rivendicano, in una insopportabile
serie di
contraddizioni, la alterit del sistema militare. Ma ci che appariva pi
preocupante era l'arrogante
distorsione della stessa norma di legge. Nessuna legge, infatti, ha mai previsto
n sottinteso che le
F.A. possano sostituirsi agli organi di livello locale.
Bisogna dire che i signori forse erano stati indotti e si erano certo convinti che il
"Piano Cervino",
cos mi sembra di ricordare si chiamasse - piano elaborato ai tempi di Scelba e
che veniva
regolarmente ripresentato ad ogni nuovo corso per Ufficiali Superiori contenesse in s una specie
di "dignit normativa".
Tale piano in sostanza prevedeva (e sarebbe da sperare che esso "non preveda
pi" e cio che sia
stato cancellato negli anni successivi alla mia espulsione) che, in condizioni
esasperate di
conflittualit e disordini sociali, i vertici militari, gi precedentemente allertati
secondo le previsioni
Cervino dal Ministero degli Interni, potessero disporre la occupazione "delle
piazze" senza
specifica e motivata richiesta dei singoli Prefetti. Ma ho purtroppo fondati timori
per ritenere che
tale piano fosse stato attivato anche in occasione delle elezioni politiche del
1992.
Cos quegli Ufficiali potevano scrivere che l'assolvimento del proprio ruolo si
legasse s ai disposti
di Legge, ma anche a tutte "le norme non scritte, legate alla figura tradizionale
del militare".
E quelle ipotesi ed espressioni, apparentemente plausibili, appaiono tuttavia
estremamente
preoccupanti se analizzate nella insofferenza, evidente nello stralcio del
documento sopra riportato,
a qualsiasi azione politica che cercasse di realizzare il disposto dell'art. 11 della
Costituzione (l'Italia
ripudia la guerra come strumento di soluzione ...), quasi che essa si risolvesse
in una offesa alle
F.A..
Baster leggere ancora qualche rigo di questa "esercitazione" molto esplicativa
per il nostro
ragionamento. Scrivono ancora gli Ufficiali del Gruppo A:
"A tutto ci deve aggiungersi il diffondersi di teorie pacifiste, o presunte tali,
che sviliscono i valori
relativi ad una concezione virile della vita, che - con gli altri prima ricordati sono a base della
ideologia militare."
Era davvero avvilente confrontarsi con un sistema che rivendicava la dignit
della sua funzione
volendosi imporre con questa cultura di contrapposizione profonda ad ogni
valore costituzionale,
sentito come colpevolmente offensivo di una concezione "virile della vita"!
In sostanza era come se il corpo dei Vigili del Fuoco sostenesse che ogni
impegno politico, volto a
realizzare una cultura di prevenzione antincendi ed a ridurre concretamente e
conseguentemente le
condizioni di necessit di impiego degli stessi Vigili, fosse una offesa alla
dignit del Corpo e ne
sminuisse le capacit di intervento e di contrasto sugli eventuali focolai che
dovessero comunque
verificarsi.
E' proprio la realt dei Vigili ad insegnare invece come solo una Istituzione
profondamente
imbevuta delle stesse attese della Societ civile diviene una insostibuile
collaboratrice della attivit
politica nel raggiungimento dei fini propri della politica, per una crescita di
civilt ed uno sviluppo
della qualit della convivenza civile.
Ci per chiede e rende necessario che la cultura di quella Istituzione sia
flessibile ai nuovi e diversi
compiti che la evoluzione delle condizioni politiche culturali e tecnologiche
imporranno. E' cos che
oggi, nel pianificare una qualsiasi costruzione, i migliori consulenti, per valutare
le misure di
prevenzione, saranno proprio i Vigili del Fuoco.
Mentre ogni consulenza militare a progetti di Cooperazione tra Governi, ovvero
ogni impiego di
Forze in zone di tensione e di crisi con compiti di "Peace Keeping" e "Peace
Manteining" - cio con
compiti di Polizia Internazionale -si risolvono piuttosto in una "esasperazione
virile" delle
condizioni esistenti, alimentando quei focolai piuttosto che riuscire a soffocarli.
L'esperienza della
Somalia, del Rwanda, della Jugoslavia, che hanno avvilito, piuttosto che
esaltare come avrebbero
dovuto, le capacit e le funzioni dell' ONU, ci confermano che i pompieri della
guerra non hanno
ancora imparato a riconoscersi e ad esercitare alcuna reale capacit operativa
se manca "il fuoco".
E' pur vero che sempre possibile, per la stessa natura umana corruttibile ed
alterabile, che accada
che qualche Vigile del Fuoco possa appiccare incendi, con le pi varie quanto
assurde ed
insostenibili giustificazioni. E' accaduto, anche recentemente e tristemente, di
individuare queste
devianze in indagini su incendi estivi nei luoghi pi suggestivi del Paese.
Mai per i vertici del Corpo dei Vigili del Fuoco hanno pensato, neppure per un
momento, di
tutelare i propri uomini deviati. Essi tradivano anzitutto lo stesso Corpo con la
loro azione deviante
e deviata, risolvendosi in una aggressione a quella societ civile alla cui
sicurezza i Vigili sanno di
essere impegnati, e non certo in un contributo al prestigio del Corpo creando
artificiosamente le
condizioni "operative" del suo impiego.
Quando invece tutta una cultura istituzionale che diviene deviante, come
quella militare che
stiamo analizzando, non invece pi possibile pensare a situazioni isolate
quando scoppia qualche
"incendio". E diventa estremamente comprensibile allora perch i vertici del
corpo, in questi casi,
facciano quadrato attorno al loro uomo, alla loro "scheggia impazzita", al loro
settore deviato.
Perch essi sono avvertiti come guidati da quella "ideologia" militare che in
qualche misura
sarebbe stata offesa e sminuita dalle situazioni politiche e dalla nonconsiderazione della Societ
Civile.
Certo essi sanno che si tratta di "camerati che hanno sbagliato" (diremo,
prendendo in prestito la pi
ottusa delle interpretazioni che di certo terrorismo diede la sinistra politica
ufficiale); ma torneranno
a dirsi e ad imporre che si pensi e che si agisca in modo che "i panni sporchi
si lavino in casa".
Quante volte ho sentito dire questa frase e quante volte ho sperato che almeno
fosse vero che si
volessero lavare in casa quei panni! Dietro quella invocazione di riservatezza,
per "il bene delle
F.A.", si invece sempre nascosta una ferrea volont di non interferire in quelle
deviazioni, di non
rivelarle in trasparenza neppure all'inetrno e di non sanzionarle minimamente.
In una parola di non
fare alcun bucato! Per rigettare piuttosto verso la Societ e la sua deviazione
dalla "concezione
virile che sta alla base della ideologia militare" la causa delle "ingenerose
riflessione e di un dibattito
vero sulla possibilit di autodeterminazione dei popoli.
Fortunatamente, per il nostro Paese, in quegli anni cruciali era gi vivo e vigile
quel Movimento
Democratico che fu dapprima dei soli Sottufficiali, e successivamente per la
presenza di alcuni di
noi Ufficiali (in verit una presenza vergognosamente esigua ma che imponeva
la generalizzazione
del nome) divenne Movimento dei Militari.
Io credo infatti che il Movimento Democratico dei Militari abbia contribuito a
sventare, con
maggiore o minore consapevolezza, almeno tre o quattro condizioni di
preparazione di
pronunciamenti militari antidemocratici ed autoritari. Reali, per quanto non
conosciuti dalla
pubblica opinione. Ci ha determito contro tutti noi "odi viscerali" bench
costretti a non poter
essere immediatamente esibiti.
Tuttavia alla prima occasione che ciascuno di noi abbia involontariamente
offerto - ovvero che
fosse possibile creare artificiosamente o che si determinasse politicamente
come ad esempio ogni
periodo di "vuoto di potere politico" e cio ogni volta che ci sia stata una crisi di
Governo o la fine
di una legislatura - perch fosse possibile "separare", anche agli occhi politici e
della pubblica
opinione, le vicende "personali e militari" dalla loro valenza di conflitto dei
militari democratici con
le forze pi reazionarie ed autoritarie del Paese, essi ci hanno colpito con
ferocia totale, che ben
poco ha da invidiare alla pubblicistica delle dittature sudamericane. Esse, come
unica differenza,
hanno solo avuto le mani pi libere e progetti sanguinari pi generalizzati.
L'omicidio di Sandro Marcucci l'ultima tragica e orribile esibizione di quell'odio
che era stato
covato troppo a lungo. Egli bruciato vivo per un attentato attraverso una
bomba al fosforo piazzata
sull' aeroplano civile sul quale era in servizio di avvistamento anti-incendi
boschivi per la Regione
Toscana (ancora al servizio del Paese dunque, dopo la fine "forzosa e forzata"
della sua carriera
militare), e sul quale volava con il passeggero-avvistatore Lorenzini morto
anche lui, forse con un
destino peggiore e pi infame, dopo giorni di terribile strazio.
Ma la loro ferocia non ha avuto bisogno neppure di "responsabilit dirette",
come certamente lo
erano le nostre, per mostrarsi in tutta la sua efferatezza. Essa stata riversata,
con la medesima
carica sanguinaria, verso inermi, inconsapevoli e innocenti cittadini. Di ogni et
e di ogni ceto
sociale. Colpevoli solo di appartenere ad un popolo che rischiava di
"consegnarsi" all'odiato
come sempre e
dovunque, non riescono tuttavia ad innestare quella "marcia in pi" che appare
necessaria. Essa
certamente darebbe un diverso spessore alla loro attivit ed una
"riconoscibilit" da parte della
gente; ma li esporrebbe inevitabilmente al rischio di "separarsi" dalla massa
informe ed anonima dei
colleghi - "curatori" dei soli interessi di collegio a fini di rielezione -. E dunque
potrebbe costituire
per loro un pericolo concreto di pagare il costo della epurazione politica, ed
anche fisica in alcuni
casi.
Distinguersi dalle masse, quando esse rimangano nella loro ignobilt
interessata e corporativa,
sempre un terribile rischio. Ma il rischio che ciascuno di noi, militari
democratici, ha scelto di
correre con estrema consapevolezza. Fiduciosi, allora, di trovare "conforto"
nelle istituzioni, ed
affidandoci a quei rappresentanti istituzionali che si facevano via via pi
"prossimo" alle nostre
vicende.
Senza escludere nessuno, se non una destra fascista che cinguettava e flirtava
in maniera sfacciata
con i poteri pi occulti e destabilizzanti delle Istituzioni Democratiche e della
Costituzione, poteri
che pullulavano nel nostro "mondo con le stellette". Una destra che non si apr
mai ad un confronto
democratico, spudoratamente certa di non averne bisogno perch
sfacciatamente rassicuratata di
essere gi "accreditata" ai pi alti livelli istituzionali, anche se doveva accettare
una facciata
apparente di esilio dal potere.
Ma ciascuno di noi stato tradito lungo la strada. Cos dai cattolici, come dai
comunisti. Cos dai
socialisti, come dai laici. Con qualche estrema che in maniera incosciente
avrebbe voluto da noi che
introducessimo nelle F.A. una conflittualit ideologica ed una dinamica basata
sullo "scontro".
Certo vero, c'era da fronteggiare una attivissima ideologia, selettiva e feroce,
di una "destra
anticomunista" in modo viscerale. Un modo violento e solo in apparenza
"infantile", mimetizzato
come sempre stato da quel goliardico nonnismo sempre accettato con "finto"
paternalismo; ma
estremamente intossicante e lucidamente finalizzato. E tuttavia, nonostante
questo, era folle pensare
di indurci ad assumere criteri extraistituzionali, in cambio di un "pi deciso
appoggio politico". E
sperando di convincerci cos alla utilizzazione dei metodi del confronto politico
di piazza che
andavano allora di moda in certa sinistra, estrema e non.
La terribile domanda di Aldo D'Alessio (PCI) quando, ormai al termine della
Quegli scritti ancora una volta sono stati evidentemente ritenuti come
"irricevibili"; ovvero, essendo
stati comunque recapitati dal servizio postale, non meritevoli di alcun cenno di
risposta. Anche
fosse stata una richiesta del Ministro alla Magistratura di procedere contro
l'estensore! Dal
neoMinistro solo silenzio. Maestoso, regale. E, proprio perch tale, sprezzante.
Come da ogni suo
predecessore, alla Giustizia od alla Difesa, a Capo del Governo o della
Repubblica, alla Presidenza
delle due Camere o delle Commissioni di competenza, negli ultimi venti anni.
Ma il sollecito ad un intervento politico si puntualmente rinnovato e torner a
rinnovarsi, da parte
mia e con testarda determinazione, ad ogni mutamento delle compagini
istituzionali. Perch non
posso e non voglio arrendermi all'idea di istituzioni che divengano feudo di
possesso dei loro
momentanei titolari, tutti concordi nella esigenza di non venire "disturbati", e
soprattutto non
coinvolti", se non con i "giusti modi", con il "giusto metodo" ed il rispetto delle
"forme". Ma tutto si
lega, se sappiamo guardare senza ansia alle vicende della storia.
MacLuhan diceva infatti che nella comunicazione il mezzo, la confezione, " il
messaggio". Ed
allora non c' da sorprendersi (ma da capire s, se vogliamo sperare di poter
incidere nei
cambiamenti) se la logica dell'apparire sar quella dei Convegni che "riescono
e sono belli" non per
i messaggi che lo attraversano; ma per la grandiosit degli scenari, della
confezione appunto, che
avremo saputo costruire loro addosso. Non per gli effetti politici e gli interventi
operativi concreti
che essi prefigurano o che essi possono determinare; ma per il compiacimento
degli oratori e dei
partecipanti. Per le signorine affabili e sorridenti, meglio se carine ed in
minigonna, che vi
accoglieranno (senza sapere nulla di ci che si tratter nei dibattiti). O per la
funzionalit della
organizzazione, e della ospitalit, che a Rimini in un Convegno Socialista si
spinse a fornire ai
delegati coupons per prestazioni amichevoli e fors'anche sessuali. Per i
gadgets, che l'onda
Forzitaliota e la becera quanto lucida strategia fascista della Lega hanno
rilanciato con metodi ed in
quantit "industriali".
Quella che fu chiamata "l'onda lunga" socialista ci ha dimostrato quanto ci sia
purtroppo "reale",
anche se effimero perch non "vero". E quanto ci comporti al tempo stesso, e
nonostante la brevit
di queste fatue stagioni politiche per il respiro corto di ogni ambizione fasulla, il
saccheggio della
libert e della legalit del Paese, la dispersione delle sue risorse etiche ed