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Relazione a cura di
Piero Onida
Sommario
Introduzione ...................................................................................................................................................... 3
Subaltern studies: scopi e storia breve ............................................................................................................. 4
Caso di studio: Can the subaltern speak? di G.C. Spivak ................................................................................... 7
Conclusioni ........................................................................................................................................................ 8
Bibliografia e sitografia .................................................................................................................................... 10
Introduzione
Il discorso sui Subaltern studies, branca degli studi post-coloniali nata in India al principio degli anni
80 del novecento, non sarebbe fluido e pienamente comprensibile senza aver ben chiara
laccezione con cui la gran parte degli studi storici attuali si riferisce ai termini subalterno e
subalternit.
Il concetto di subalternit fu elaborato inizialmente dal critico marxista Antonio Gramsci che, nei
suoi Quaderni dal Carcere1, identific come classe subalterna il proletariato. In particolare, egli
defin i proletari come disuniti, disorganizzati; impossibilitati a costruire una coscienza di classe
contrapponibile a quella di chi deteneva il potere. Nel Quaderno 8, il discorso relativo alla
subalternit diviene tra i prediletti nelle analisi del pensatore sardo. Proprio in queste pagine non
difficile riconoscere una nuova impostazione storiografica da lui proposta: una narrazione storica
delle classi e delle popolazioni subalterne (particolarmente in Q8 66, 70)2, tematica che, come
vedremo in seguito, sar di importanza centrale allinterno dei Subaltern studies. Successivamente,
nel Q25, Gramsci affronta in maniera pi decisa il ruolo del subalterno nella storia italiana, con
particolare riferimento al Risorgimento, ove le classi subalterne divengono forze innovatrici []
gruppi dirigenti e dominanti3, mostrando in tal modo un esempio di ribaltamento sociale da parte
delle classi sottoposte. particolarmente interessante, alla luce dello studio che segue, lanalisi di
percezione della cultura egemone rispetto alle manifestazioni sociali di massa dei subalterni, che
Gramsci delinea nel Q25, nota su Lazzaretti:
[] questo era il costume culturale del tempo: invece di studiare le origini di un avvenimento
collettivo, e le ragioni del suo diffondersi, del suo essere collettivo, si isolava il protagonista e ci si
limitava a farne la biografia patologica, troppo spesso prendendo le mosse da motivi non accertati
o interpretabili in modo diverso: per una lite sociale, gli elementi dei gruppi subalterni hanno
sempre alcunch di barbarico e di patologico.4
In questo frammento di discorso, Gramsci propone una visione sullanalisi superficiale svolta dagli
egemoni sulla manifestazione di eventi collegata ai sottoposti: la profondit del disagio sociale
subalterno viene mascherata ed occultata come evento violento ed animalesco nella concezione
egemone5. Vi dunque una orientalizzazione del subalterno, impossibilitato a rendere le proprie
ragioni evidenti dal muro pregiudiziale costruito dalla classe dominante.
Il concetto di subalterno orientalizzato in senso proprio, fu sviluppato in maniera organica da
Edward W. Said nel suo celeberrimo saggio Orientalismo6. Said ottempera alla necessit di applicare
il concetto gramsciano al suo lavoro, collegando la condizione di sottoposizione del proletariato a
quella delle culture non europee, in un connubio senza dubbio riuscito. Il subalterno in Said ,
dunque, lorientale ritenuto inferiore, nonch barbaro, dalla lettura culturale eurocentrica.
Gramsci e Said risulteranno fondamentali nei Subaltern studies, ove il lavoro dei due viene
costantemente utilizzato tanto per questioni di ricerca ed analisi metodologica quanto per laffinit
degli studi subalterni alle categorie concettuali elaborate dai due autori. La concezione di subalterno
GERRATANA Valentino (a cura di) GRAMSCI Antonio, Quaderni del carcere, 4 voll., Einaudi, Torino 1975
Ibidem, Q8, 66 e 70 pag.980 e pag.982
3
Ibidem, Q25, 48, pag.332
4
Ibidem, Q25, I, pag. 2279
5
BUTTIGIEG Joseph A., subalterno, subalterni in LIGUORI Guido / VOZA Pasquale (a cura di), Dizionario Gramsciano
1926-1937, Carocci Editore, 2009 Roma, pag. 830
6
SAID Edward, Orientalismo, Feltrinelli, 1999 Milano
gi vista in Said, un collegamento ideale molto forte tra il concetto gramsciano e quello elaborato
da Gayatri Chakravorty Spivak, filosofa americana di origine bengalese, studiosa di primissima
importanza nel campo dei Subaltern studies. Il subalterno della Spivak il proletario del mondo,
incapace perfino di comunicare la sua situazione:
[] subalterno non semplicemente un termine aulico per dire oppresso, per lAltro, per colui che
non riceve la sua fetta di torta [] In termini post-coloniali, chiunque abbia accesso parziale o non
abbia accesso allimperialismo culturale subalterno. Ora, chi direbbe che stiamo parlando degli
oppressi? Il proletariato oppresso. Non subalterno [] In tanti vogliono appropriarsi della
subalternit. Chi se ne appropria dannoso e poco interessante. Voglio dire, essere solo una
minoranza discriminata in un campus universitario; questa non subalternit [] Costoro possono
vedere quali siano i meccanismi della discriminazione. Sono parte del discorso egemonico, anche se
vogliono un pezzo di torta e non possono averlo, hanno la possibilit di parlare, di utilizzare il discorso
egemonico. Non dovrebbero autoproclamarsi subalterni.7
Gayatri Spivak, pur sfruttando il lemma gramsciano, ne critica lutilizzo nella sua accezione pi
strettamente vicina agli studi di Antonio Gramsci: il subalterno della Spivak al gradino pi basso
della scala sociale mondiale; orientalizzato, sottoposto ed incapace di lamentarsi. I Subaltern studies
tentano di costruire la storia di questi subalterni e non di coloro che reclamano la subalternit,
con tutte le difficolt legate al dare voce e dignit storica a chi non lha mai avuta.
parziale perch racconta solo parte del processo storico, dimenticandosi degli strati della
popolazione demograficamente pi densi, ma senza potere decisionale; parziale poich di parte,
propositiva solo dei punti di vista delle classi egemoni10.
Considerare i Subaltern studies solamente come una narrazione storiografica di rivalsa delle classi
sottoposte, sarebbe tuttavia incorretto: il lavoro sui subalterni non ha solo vocazione storica, ma
anche economica, sociale e politica in ottica presente. Numerose opere facenti parte del lavoro del
collettivo presentano infatti report e ricerche dedicate alla situazione economica e sociale attuale
delle classi subalterne.
Riprendendo il discorso relativo agli studi storici, che risulta essere ad oggi la branca pi estesa ed
approfondita dei Subaltern studies, necessario porsi la questione riguardante limpostazione
metodologica data alla ricerca delle fonti storiche per la costruzione di una storia della subalternit.
La difficolt nella ricostruzione storica sta nel trovare voci subalterne autentiche, testimonianze non
adulterate od edulcorate. La necessit primaria legata alla riscoperta di fonti alternative o
trascurate o, ancora, oscure agli ambienti degli studi accademici poich facenti parte
esclusivamente degli ambienti subalterni, distanti dalla critica e dal lavoro delle universit. I membri
del collettivo di Nuova Delhi propongono la riscoperta di fonti desuete (o improprie secondo parte
della storiografia classica) quali i racconti orali, la memoria popolare o documenti scritti trascurati e
frammentari. Posto ci, la difficolt sta nel trovare gli strumenti adatti allinterpretazione storica di
testimonianze non propriamente accettabili come fonti storiche, si voglia a causa della loro
frammentariet, della loro non tracciabilit, della loro scarsa referenzialit ad altre fonti od
autoreferenzialit. Oltre allimpostazione di dubbio sul rigore delle nuove fonti, gli studiosi della
subalternit si pongono in atteggiamento critico anche per quanto riguarda le fonti ufficiali della
narrazione storica egemone: se lo scopo del lavoro quello di ricostruire la storia riconoscendo
limportanza di ogni strato sociale, necessario rielaborare il discorso storico generalmente
accettato, disconoscendo e rielaborando i punti di vista rappresentati, spesso celebrazione delle
classi dominanti in salsa neocoloniale11.
Lapproccio storico dei Subaltern studies assimilabile a quello della New Cultural History in
particolare nella sua accezione di storia dal basso e di microstoria12, nonch allanalisi di tipo
marxista della labour history, data dal ruolo giocato dalle tradizioni culturali e dal concetto di
moralit delle classi popolari13. Lutilizzo di tale approccio marxista o post-marxista dato dalla
vicinanza della gran parte degli studiosi della subalternit alla critica marxista14 ed ai suoi teorici,
come il gi nominato Antonio Gramsci, utilizzato spesso per via delle sue categorie concettuali.
Il discorso sugli studi subalterni si svilupp e si diffuse nel corso di tutti gli anni 80, grazie ad una
serie di monografie presentanti raccolte di saggi sulla subalternit curate da Ranajit Guha ed edite
11
dalla Oxford University Press India, aventi cadenza quasi annuale15. Il lavoro del collettivo di Nuova
Delhi balz agli occhi degli accademici di tutto il mondo nella seconda met degli anni 80, con la
pubblicazione di un saggio di Rosalind OHanlon riguardante i Subaltern studies nella rivista Modern
Asian Studies della Cambridge University Press16. Da qui, la diffusione divenne pi capillare nel
mondo accademico, ed alcuni volumi, gi scritti in inglese per ampliare le possibilit di diffusione e
consultazione, furono tradotti in diverse lingue. Tra i lavori che maggiormente hanno contribuito
alla diffusione degli studi subalterni utile ricordare la selezione Selected Subaltern Studies, curata
da Ranajit Guha e Gayatri Spivak17, con prefazione di Edward Said, ed il celebre saggio della Spivak
Can the subaltern speak?18 di cui discuteremo in seguito.
Linternazionalizzazione dei Subaltern Studies passa dalla diffusione del materiale del collettivo di
Nuova Delhi in occidente attraverso le universit di Oxford e Cambridge, nonch dalla
partecipazione di uno degli studiosi di maggiore fama internazionale, quale Edward Said, agli studi.
Lattrattiva e gli orizzonti della narrazione subalterna si sono dunque ampliati in maniera
consistente, portando, nel 1993 alla nascita di un nuovo collettivo di studi subalterni nellAmerica
Latina19. Il nuovo collettivo, fondato da cinque accademici (John Beverley, Robert Carr, Jose Rabasa,
Ileana Rodriguez e Javier Sanjines), si occup in principio di un connubio tra studi storici e politica,
sviluppando il discorso relativo al legame tra subalternit e post-colonialismo, tentando di
instaurare un rapporto di solidariet tra accademia e sottoposti20. Il collettivo latino-americano non
stato per ora prolifico come quello del subcontinente indiano, alle difficolt iniziali si sono aggiunte
la carenza di interesse nelle universit e lassenza di fondi tesi allo sviluppo di uno studio della
subalternit nel continente americano, tant che il collettivo ad oggi si trova in una situazione di
stallo e dismembramento21.
Il processo di crescita degli studi subalterni, tuttavia, non da dirsi arrestato per le sole difficolt
degli studi latino-americani: negli ultimi ventanni, linteresse andato crescendo grazie a diverse
pubblicazioni di diffusione internazionale, come la pubblicazione nel 1994 di un numero
monografico della American Historical Review dedicata ai subaltern studies22, la creazione
dellantologia sugli studi subalterni svolta da Ranajit Guha nel 199723, o il volume del 2001 di David
Ludden della Penn University: Reading Subaltern studies.24 La diffusione di materiale di qualit ha
portato ad un ritorno al passato degli studi, articoli passati in secondo piano vennero riletti, tradotti
GUHA Ranajit, a cura di, Subaltern Studies I. Writings on South Asian History and Society, Oxford UP India, New
Delhi, 1982. (e successivi)
16
OHANLON Rosalind, "Recovering the Subject: Subaltern Studies and Histories of Resistance in Colonial South
Asia", in Modern Asian Studies 22, 1, 1988, pagg. 189-224
17
SAID Edward, Foreword, in GUHA Ranajit, SPIVAK Gayatri Chakravorti (a cura di), Selected Subaltern Studies, Oxford
UP, New York 1988
18
SPIVAK Gayatri Chakravorty, Can the Subaltern Speak?, in C. Nelson, L. Grossberg (a cura di), Marxism and The
Interpretation of Culture, Macmillan, London 1988, pagg. 271-313
19
LUDDEN David, Reading Subaltern Studies: Critical History, Contested Meaning, and the Globalisation of South Asia,
Permanent Black, India 2003
20
AUTORE SCONOSCIUTO, The Latin American Subaltern Studies Group, 2006,
http://digitalunion.osu.edu/r2/summer06/herbert/testimoniosubaltern/latinamericasuba.html
21
Idem
22
American Historical Review, n. 99, American Historical Association, Oxford University Press, 1994
23
GUHA Ranajit, A Subaltern Studies Reader. 1986-1995, University of Minnesota Press, Minneapolis, 1997
24
LUDDEN David, Op. cit.
15
e ristampati, come nel caso di Can the Subaltern Speak? di Gayatri Spivak, saggio di grande interesse
che verr analizzato nelle prossime pagine di questa relazione.
25
realt ove doppiamente sottoposta dalla cultura bianca colonialista e dalla cultura dominante
patriarcale27.
La presa di posizione della Spivak si espone a diverse criticit: il suo subalterno estremamente
settoriale. Limpostazione secondo la quale la subalternit propria solo delle donne del sud del
mondo vittima di una gerarchizzazione, forse eccessiva, della condizione di oppressione a seconda
dello stato sociale; non forse subalterno chiunque sia sottoposto e non abbia possibilit di
modificare il suo status? Secondo Gayatri Spivak no. Il subalterno tale non solo per limpossibilit
di modificare la sua condizione, ma anche per linabilit a comunicare ed a lamentarsi della sua
situazione. Tuttavia, questo ragionamento apre un altro problema: se i subalterni non possono
parlare, come possono essere strutturati i Subaltern studies? Le fonti ricercate nella storia e nella
viva voce dei subalterni saranno sempre influenzate dallimpostazione concettuale accademica: per
quanto possa essere autentica, la narrazione storica sar pur sempre condizionata dal punto di vista
dello studioso che raccoglie la testimonianza e che, da studioso, ha un apparato critico ed un modo
di vedere la realt estremamente differente rispetto al subalterno. Ulteriore criticit in Can the
subaltern speak? la valutazione negativa che la Spivak conferisce agli studi occidentali in materia
di subalternit. Nel discorso di decostruzione della scuola europea la Spivak si affida ad un modello
di ragionamento di stampo marxista, e dunque, europeo. La richiesta di specificit e limpostazione
antioccidentale della Spivak risulta motivata, ma al tempo stesso di difficile percorrimento.
Conclusioni
I Subaltern studies sono unimpostazione storiografica necessaria, quasi obbligata, se si vuole
soffiare via la polvere dalle enormi zone dombra della storiografia classica. Possono essere visti
come una scelta storiografica derivata dalla politica e da un desiderio di rivalsa, ma hanno, in
qualsiasi modo vi si guardi, pi di una ragione per esistere. Dare dignit storica a chi non lha mai
avuta pu essere considerata una scelta etica, ma al contempo una scelta con profonde
connotazioni di legittimit e correttezza della narrazione: utilizzata per ampliare il campo visivo,
uscendo dalla focalizzazione su protagonisti ed avvenimenti di rottura, arricchisce il racconto con
elementi demograficamente importanti e di grande valore per esplicare levoluzione sociale delle
fasce di popolazione non egemoni. Come scrive Cosimo Zene in un interessante saggio dedicato ai
Dalits come subalterni28, lidea quella di sviluppare una storia integrale in senso gramsciano, da
opporsi allo Stato protagonista della storia, che rilega i gruppi subalterni (gli schiavi, i contadini, i
gruppi religiosi minoritari, le donne, le razze diverse ed il proletariato) ai margini della storia29.
Nello sviluppo dei Subaltern studies vi sono, tuttavia, numerose contraddizioni, criticit e domande
che necessitano risposta. Anzitutto la gi esposta difficolt nel trovare e trattare le fonti,
testimonianze che spesso non possono essere considerate fonti storiche in senso proprio, rischiano
di mettere in discussione il rigore e la concretezza della narrazione storica; anche le metodologie
Tutto il testo di questo capitolo trova riferimento nel saggio SPIVAK Gayatri Chakravorty, Can the Subaltern
Speak? Op. cit
28
ZENE Cosimo, Lautocoscienza dei Dalits-intoccabili come subalterni. Riflessioni su Gramsci nel sud dellAsia, in
BALDUSSI Annamaria / MANDUCHI Patrizia (a cura di), Gramsci in Asia e in Africa, Aipsa Edizioni, 2010 Cagliari
29
Ibidem, pag. 230
27
danalisi utilizzate per lo sviluppo della ricerca finiscono sotto la lente dingrandimento dellocchio
critico pi attento: a tal proposito interessante ripercorrere un breve excursus di Gianni Fresu sulle
categorie concettuali gramsciane30, in alcuni casi utilizzate impropriamente. Secondo Fresu i
Subaltern studies soffrono spesso di una decontestualizzazione delle motivazioni storiche che hanno
portato alla creazione delle categorie concettuali in Gramsci, modificando, per questo motivo, la
connotazione delle stesse. Un'altra critica da muovere nei confronti degli studi subalterni
sicuramente la loro eccessiva settorialit: tanto dal punto di vista geografico, quanto da quello della
concezione di subalterno. I Subaltern studies sono qualificabili, per il momento, come storia delle
fasce sociali subalterne nel subcontinente indiano; data lo scarso interesse mosso dai (pochi) studi
svolti in America Latina. La volont di selezionare i subalterni a seconda del loro grado di
sottoposizione (vedi Spivak), riduce il campo di studi dei collettivi Subaltern.
Per questa serie di motivazioni, tante domande restano aperte sulla funzionalit e capacit degli
studi subalterni, ma una questione in particolare necessita risposta: i subalterni possono parlare? La
domanda a cui la Spivak risponde retoricamente con un secco no, in realt un punto di partenza
per avvalorare questo campo di studi; sta infatti agli studiosi della subalternit tirar fuori le voci
degli oppressi in maniera corretta e chiara, senza filtri interpretativi di carattere accademico.
FRESU Gianni, Stato, societ civile e subalterni in Antonio Gramsci, in BALDUSSI Annamaria / MANDUCHI Patrizia (a
cura di), Gramsci in Asia e in Africa, Aipsa Edizioni, 2010 Cagliari, pagg.75-76
30
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