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DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA CALABRIA

ATTI
DEL 4 CONGRESSO
STORICO CALABRESE

FAUSTO FIORENTINO EDITORE 1969

NAPOLI

caduto a terra falciato il fiore purpureo della patria,


ornamento della bionda Germania. Stratus terra cecidit flos
patriae purpureus, decor flavae Germaniae .

Cosi Bruno di Querfurt, nel suo monastero di S. Alessio in Roma,


piangeva la strage dei pi alti e prestigiosi esponenti della feudalit
germanica e italica: erano caduti sul campo molti conti palatini, il
lancifero imperiale Ricario, il duca Ottone, i conti Tietmaro, Bezelino, Geveardo, Guntero, Beroldo, ed Ezelino, grandi ecclesiastici co-

me Arrigo vescovo di Augusta e Werner abate di Fulda, e poi ancora


Attone II conte de' Marsi, Landolfo IV principe di Capua e suo
fratello Pandolfo, figli del grande Pandolfo Capodiferro.
Era una giornata di mezzo luglio dell'anno 982, sotto il cielo
torrido della Calabria siticulosa , nella piana riarsa di Capo .
delle Colonne.
Scenden,lo dall'alta Rossano, la citt pi munita dei Bruzi che
aveva il vanto di non essersi piegata mai agli assalti islamici,
l'imperatore Ottone II, che vi aveva posto i suoi quartieri lasciandovi anche la moglie, la principessa bizantina Teofano, era andato

ad affrontare con la sua cavalleria lemiro di Sicilia Abi al-Qasim,


combattendo l'ultima e luttuosa sua guerra cum nudis Sarracenis .
La notizia della grave rotta imperiale corse rapida per l'Europa e fu motivo di sgomento e, a un tempo, di sorpresa e di scan-

dalo, alla stessa maniera della disavventura capitata circa un secolo


prima all'imperatore franco Ludovico II, che reduce dalla liberazione di Bari dal dominio islamico, era stato catturato a tradimento

e tenuto prigioniero dal principe longobardo di Benevento.


La sfortunata spedizione ottoniana, dalla quale a stento lo
stesso imperatore avventurosamente riusci salvo, era certo ispirata

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NICOLA CILENTO

alla cosiddetta politica meridionale dell'Impero germanico, che


come gi l'Impero franco doveva invano perdersi nel tentativo

di affermare la sua sovranit nell'Italia del sud, combattendo contro


le signorie locali dei principi longobardi e contro il dominio che
vi tenevano i Bizantini; essa, pertanto, nel suo significato pi
palese si riduceva a un nuovo episodio del conflitto, alimentato
da una polemica costante e combattuto ora apertamente ora nascostamente fra l'Impero continentale franco-germanico e l'Impero
mediterraneo greco-bizantino, venuti a collisione nel sud della
Penisola.
Tuttavia, nel suo significato pi intimo ed essenziale e sul
piano ideologico ahneno, l'impresa che aveva portato l'esercito
germanico cos lontano dalla sua terra, nell'estremo limite delle
terre italiane, rientrava nei compiti e nelle attribuzioni del sacroromano Impero, che per la sua stessa genesi teologica e per la sua
natura sovranazionale doveva impegnarsi r1ella tuitio e nella
difesa della Cristianit occidentale.
Dal .secolo IX in poi tutta l'Europa cristiana fu come un'isola
circondata dai flutti minacciosi della barbarie e dell'Islam; essa
si trov assediata da ogni parte: dal nord i Normanni, da est
gli Ungari e gli Slavi, dal sud i Saraceni che muovevano dall'Africa, e pi propriamente dal Magrib, o anche dalla Spagna
e dalle grandi isole mediterranee eh' erano state islamizzate:
Le genti scandinave e danesi, risalivano i corsi dei fiumi
dell'Europa settentrionale e saccheggiavano chiese e grandi abbazie.
Arditi navigatori, i Vichinghi, si spinsero talvolta persino nel
Mediterraneo, e pare che sulle coste toscane abbiano distrutto
la citt di Luni. Quanto agli Ungari essi correvano per l'Europa
orientale, e qualche schiera pi ardita, ai primi del secolo X,
scese in Italia fin in Campania e nelle Puglie. L'Adriatico, a sua
volta, dal sec. VII fino a tutto il Mille, fu infestato da una popolazione di incerta origine (c' chi dice slava, chi normanna) detta,
dalle fonti, dei Narentani, perch stanzia sulle coste dalmate
fra le foci del Narenta e del Cesina: essi riscossero tributi da
quasi tutte le citt adriatiche, non esclusa Venezia, che li combatt
con frequenti campagne. Loro unica risorsa fu la pirateria.
Come si vede, non si tratta per di migrazioni massicce di
popoli, ma solo di infiltrazioni e di incursioni con cui si insinuano

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LE INCURSIONI SARACENICHE IN CALABRIA

nelle terre del mondo cristiano, con lo scopo di farvi rapine, saccheggi, razzie di uomini da ridurre in servit.
Sono i secoli in cui sovrasta e dilaga la violenza: fra le immagini pi patetiche ricorre alla mente la schiera nuda delle
giovani donne sassoni, tratte prigioniere dagli Ungari, annodate
l'una all'altra con le trecce di capelli biondi (per crines veluti
loris connexae ), con le mammelle trafitte ( nudae et mammillis
perforatae ); orrori, come gli stupri nefandi consumati da 'Abd
Allah sull'altare di una chiesa presso Salerno, dov'era giunto
risalendo dalla Calabria (871-872), o le sanctimoniales turpi
stupro dehonestatae del monastero di S. Maria a Rocca d'Asino in
quel di Squillace, per opera delle schiere di Ibn 'Abba.cl (il
Benarvet del Malaterra), reduci dal saccheggio di Nicotera, in
una notte di un settembre imprecisato. Profanazioni e devastazioni:
sono i tempi della grande paura , come li han chiamati, che
impegnarono si pu dire totalmente i popoli d'Europa nella difesa
e nella ricerca della sicurezza. Non potendo ottenerla colpendo i
nemici incursori nelle stesse basi da cui muovevano, essi fecero
ricorso alla sola difesa passiva: si difesero, dunque, non in bello,
non in campo aperto, come si esprimono gli Annales Vedastini,
sed munitiones construentes . Entro questi anni tutte le terre
d'Europa si coprono sulle alture di torri e di castelli, creando
l'aspetto consueto e il paesaggio tipico che richiama alla mente
nella communis opinio la leggenda nera di un Medio Evo fatto
di sangue e di violenza.
Prima di restringersi e diventare il centro e il simbolo della
giurisdizione signorile, il castru1n era in origine soltanto un centro
collettore apprestato a rifugio e a difesa, in una vasta area recintata
e munita, in cui i rustici cercavano riparo con i loro poveri beni,
al momento delle incursioni.
Molte di quelle torri erano soltanto semaforiche e di avvistamento: quando la scaraguaita dava con particolari fumate
l'allarme, le genti cercavano scampo disperdendosi fra le montagne
dell'interno. Ce ne informa espressamente anche una cronaca locale
calabrese, la Cronica Trium Tabernarum et de civitate Catanzarii
quomodo fuit aedificata: Calabri eorum civitates et oppida relinquentes, silvas montesque petiebant, alii in foveis et petrarum

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'NICOI1A CILENTO

cavernis, alii in rupis montium propter metum Sarracenorum


receptacula faciebant .
La ricerca della sicurezza fu spesso assunta dalle grandi forze
centrali che il Medio Evo espresse da s e mise in campo, quali
i due Imperi e il Papato. Ma per le frequenti crisi o nella carenza
di quei poteri, le forze locali si organizzarono e dovettero provvedere a se stesse con i propri mezzi: fu in questo modo che si
produsse il particolarismo delle signorie locali, le quali si potenziarono e si affermarono con la pienezza della giurisdizione proprio
in virt dell'isolamento in cui furorn lasciate.
La genesi del particolarismo signorile in tutta l'Europa, come
pure del successivo risorgimento cittadino fu, per molta parte,
una delle conseguenze pi vistose delle incursioni normanne, ungare, slave e saraceniche.
L'Italia meridionale, in particolare, fu costantemente aperta per
circa tre secoli (dal IX all'XI) agli assalti islamici; in alcuni periodi, anzi, la penetrazione fu tale che dette luogo a insediamenti
stabili e continuati, a delle enclaves , nelle cosiddette colonie
costiere, 'chiamate con parola araba ribt .
La presenza dei Saraceni nel sud della Penisola si fece persistente verso la met del IX secolo, quando si inserirono in un
ambiente particolarmente instabile e sconvolto, frazionato in nume,rose coiponenti politiche ed etniche assai diverse, quali le varie
signorie longobardiche, i ducati autonomi costieri, i thmata
bizantini. Ma vi si inserirono in maniera assai ambigua: essi parteciparono a un tempo alle lotte fra le signorie locali come milizie
mercenarie; oppure operarono secondo iniziative, autonome e discontinue rivolte alla rapina, al saccheggio, o al ratto ed alla tratta degli
schiavi; o, infine, vi esplicarono attivit mercantile e di contrabbando, sl che non facile distinguere fino a qual punto essi rappresentarono un elemento di dissoluzione e di rottura o un fattore di contatto
e di scambio con le componenti mediterranee della vita medievale.
C' per una differenza notevole fra i contatti che il mondo
islamico istitu nelle varie regioni dell'Italia meridionale: pi
impegnati e radicati essi furono in Campania e nelle Puglie; meno
stabili e pi discontinui e spesso solo di passaggio in Calabria;
e questo non senza qualche ragione.
A Bari e a Taranto, dalla met del IX secolo, si ebbe un lungo

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LE INCURSIONI SARACENICHE IN CALABRIA

periodo di dominio islamico, retto da una successione ininterrotta

di emiri, alcur dei quali (come Sawdan, 857-871) ben noti non
solo per le tristi opere che vi compirono, ma anche per la loro

sapiente e calcolata politica. In Campania dopo uno stanziamento


di breve durata fra Agropoli e Pestum (882), i Saraceni, dall'883
fino al 915, si arroccarono sul monte d'Argento, tra le foci del
Garigliano e Minturno, in una colonia temibilissima, ch'ebbe il
suo fortilizio nell'antico anfiteatro romano (i Saraceni si accampavano di preferenza fra le rovine degli antichi monumenti ambandonati).
Queste colonie costiere, erano state istituite sulla gran
Terra (com'essi chiamavano la Penisola) non propriamente dagli
Arabi, ma prevalentemente da Libici e da Berberi e da altre stirpi
islamizzate, che muovevano dall'Africa e dal Magrib, o anche da
Creta e dalla Spagna, dalla Sardegna e dalla stessa Sicilia, sebbene
la conquista araba della nostra isola, nel corso del IX secolo, non
potesse dirsi ancora completata del tutto.
A questo punto va premesso un breve chiarimento circa l'appellativo di Saraceni. Esso, infattl non ha nessun significato etnico
e neppure direi culturale: sono chiamati cos soltanto nelle fonti
occidentali greche e latine (fin dal I secolo, a indicare genericamente i nomadi viventi ai confini della Persia), mai in quelle arabe (secondo un'incerta etimologia araba proposta, di recente, dal Lacam
sigrficherebbe orientali). Quelle stesse fonti li chiamano anche,
variamente, Agareni (in quanto ritenuti discendenti di Agar) o Ismaeliti (da Ismaele, il figlio di costei) o a;,che Manzires (che era
un verburn foedita,tis, in quanto figli di Manzer de scorto nati, sempre in riferimento alla biblica moglie ripudiata da Abramo).
Le colonie che i Saraceni istituirono sul continente ebbero
una vita prospera, perch da esse si muoveva il commercio degli
schiavi; da esse i signori locali traevano i contingenti mercenari,
che impegnavano nelle loro guerre domestiche, pur avendo sperimentato a proprio danno quanto fossero infidi e sleali; da esse
partivano i loro lunghi raids nell'interno, a far rapine e razzie,
soprattutto nei luoghi pi forniti e pi esposti, quali erano le
grandi abbazie benedettine di S. Vincenzo al Volturno e di Montecassino, varie volte assalite e depredate e poi infine distrutte,
la prima iJ, 10 ottobre dell'881, la seconda il 22 ottobre dell'883.
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NICOLA CILENTO

La Calabria, viceversa, pare che non abbia avuti insediamenti


stabili e, comunque, di lunga durata, ma piuttosto incursioni periodiche e intermittenti (non per questo meno luttuose e rovinose),

o qualche presidio sulle coste o nei passi obbligati (ad Amantea,


a Tropea ed a Santa Severina) per la raccolta dei tributi, con
cui gli incursori taglieggiavano le popolazioni. Il breve tratto di
mare dalla Sicilia all'estrema punta della Penisola, come in ogni
altra et storica, fu un facile richiamo. Non si pu dire, tuttavia,
che la Calabria fosse per i Saraceni una via obbligata di passaggio
per raggiungere dall'interno i domini o i campi trincerati che
essi tenevano nelle Puglie o in Campania, poich essi assai pi
facilmente li raggiungevano con le loro agili fuste per la via marittima, di cui erano quasi incontrastati padroni.
Non si ha che una sola notizia di un attacco alla Calabria proveniente dal nord e che mosse da Taranto nell'875, cinque anni
prima che questa citt venisse liberata dai Bizantini.
Questa presenza discontinua e meno radicata .dei Saraceni in
Calabria .si spiega in parte perch la regione appariva agli invasori meno accessibile nel suo interno e anche meno allettante di
preda, ma soprattutto perch l'Impero bizantino, dopo la riconquista che vi fece lo stratega Niceforo Foca (dopo 1'884), seppe pi a
lungo mantenerla e difenderla e vi svolse un'azione assai pi fortunata che non nel tema di Longobardia, (detto cos proprio perch
fortemente longobardizzato), dove le continue rivolte antibizantine
furono alimentate dal contrasto fra l'elemento longobardo e contadino perdurante nell'interno e la societ mercantile delle citt
grecizzate della costa.
La prima scorreria in Calabria tentata dagli Aghlabiti di Africa
(prima ancora ch'essi fondassero il loro dominio in Sicilia) attacc
con scarso successo i dintorni di Reggio: ci risulta da una lettera
di papa Leone III a Carlomagno dell'll nov. dell'813 e, con qualche
maggiore particolare, dal B lo di san Fantino (il primo dei due santi
di questo nome e cio il vecchio , che sarebbe vissuto a Tauriano
fra il III e il IV sec., da distinguersi, come confermato dalla comunicazione Follieri in questi Atti, dall'altro santo monaco calabrese di
questo nome che si ritir nel corso del X secolo nell'eparchia del
Mercourion e poi fin a Tessalonica): l'autore del Blo, un Pietro
che detto vescovo occidentale e che scrisse nei primi decenni del

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I,E INCURSIONI SARACENICHE IN CALABRIA

IX sec., racconta che un 24 luglio il santo protettore della citt apparve fra turbini e folgori per affondare una nave musulmana, che
si era presentata per far razzia sulla spiaggia di Seminara.
Il momento della pi larga e temibile penetrazione in Calabria
dei Musulmani di Sicilia si ebbe fra 1'839 e 1'840, sulla base delle
concordi testimonianze delle fonti latine e di quelle arabe, quali
Andrea da Bergamo e il Chronicon Salernitanum da un lato e gli
annali arabici in Ibn al-Atlr e Ibn Ijaldin dall'altro: il primo di
questi autori arabi ci attesta che fu proprio I' emiro di Sicilia
Al-'Abbils ibn al Farli che stabil alcune colonie permanenti in Calabria nei capisaldi di Tropea, Santa Severina e Amantea, mentre i
Greci si tenevano nelle riposte valli della Sila settentrionale e nel
territorio di Roosano.
Ma assai pi compromessa era la situazione nella Campania e
in Puglia per l'azione sistematica e sconvolgente che vi condusse
dall'857 all'871 il terzo emiro di Bari, Sawdan, un uomo indubbiamente di avveduta e spregiudicata abilit politica, che per le
fonti latine, per la sua efferatezza, chiamano pestifer >. Gli esponenti pi responsabili delle signorie meridionali, fra cui anche gli
abati cassinese e vulturnese ricorsero per aiuto all'Impero occidentale, sollecitando gli interventi dell'imperatore franco Ludovico II, il quale fu attratto in tal maniera dalla possibilit di risolvere
a suo vantaggio la questione meridionale .
Nella terza e pi decisiva spedizione di costui, fra gli anni
866-871, che si concluse con la liberazione di Bari, anche merc la
collaborazione dell'Impero d'Oriente e il concorso delle due flotte
inviate da Basilio I il Macedone, l'una nell'Adriatico al comando di
Niceta Orifa, l'altro nel Tirreno al comando dello stratega Giorgio, accadde un episodio assai significativo (tramandatoci da Andrea da Bergamo, che fu il cronista ufficiale di Ludovico II), atto
a chiarire la situazione calabrese in questo periodo.
Qualche anno prima dell'assalto definitivo a Bari, verso 1'870,
un'ambasceria raggiunse Ludovico II sotto le mura della citt: riferiva un caloroso e pressante messaggio dei cristiani di Calabria,
che chiedevano il suo intervento: Domine imperator, vestri esse
volumus et per vestram defensionem salvi fore confidimus. Gens
Sarracinorum venerunt, terra nostra dissipaverunt, civitates
desolaverunt, ecclesias suffuderunt. Non per cupidlgia di domi217

NICOLA CILENTO

nio, ma misericordia motus , l'imperatore invi un contingente


di armati con il conte Ottone di Bergamo e i vescovi Oschi e Gariar.

do, i quali accrebbero le loro file con volontari delle terre calabresi che attraversarono. Sorpresero i Saraceni in V al di Crati,
che con gli schiavi cristiani da essi catturati se ne stavano tranquillamente mietendo dove certo non avevano seminato: i cristiani
furono liberati e i saraCeni trucidati. A vendicarli accorse l'emiro
di Amantea, un tal Cincimo; ma anche a lui and male e, inseguito,
si asserragli nella sua fortezza.
noto che il successo della campagna di Ludovico II rimase
frustrato e si risolse in Calabria e in Puglia a tutto vantaggio dei
Bizantini, che proseguirono la lotta con maggiore costanza e continuit.
In Campania l'iniziativa della politica an.timusulmana fu presa
e diretta da un grande pontefice, Giovanni VIII, il quale pi di ogni
altro contribui, con la sua parola e la sua opera, a una presa di coscienza da parte del mondo cristiano del pericolo islamico: la sua
opera fa~l nei risultati per le empie alleanze che gli stati campani strinsero con i Saraceni pro turpis lucri commodo , per ,
interesse e guadagno, secondo l'accorata denuncia del pontefice;
si giunse al punto che non solo Amalfi e i signori longobardi, ma
persino il duca vescovo di Napoli, Atanasio, era loro alleato e Napoli stessa !acta videbatur esse Panormus vel Africa.
Liberata Taranto nell'SSO, Basilio I il Macedone, si propose la
liberazione della Calabria: dopo gli insuccessi dello stratega Ste-
fano lVIassenzio, sotto le mura di Amantea e di Santa Severina,
subentr nel comando (verso 1'885) un valente condottiero, Niceforo Foca, avo del grande imperatore omonimo. In qualche anno,
cadute le grandi sedi islamiche di Santa. Severina, di Amantea, di
Tropea, i Saraceni non dispongono pi in Calabria di una sola fortezza per rifugiarsi. La difesa della Calabria riconquistata cost,
tuttavia, qualche anno dopo un grave insuccesso alla flotta bizantina, che guardava a difesa lo stretto di Messina: nel settembre
dell'888 essa fu distrutta dai Musulmani nella grande battaglia di
Milazzo; a Reggio e nelle citt vicine riprese il panico e le popolazioni si rifugiarono nell'interno, fin quando il disastro non fu riparato dall'ammiraglio Michele, al quale riuscl di catturare il capo

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LE INCURSIONI SARACENICHE IN CALABRIA

musulmano Mugbar ibn Ibrahim ibn Sufyan, inviato dall'Africa


ad assalire nuovamente la Calabria.
Fu questa Occasione che, stando ai relativi B(oL, Elia il giovane, Elia Speleota e Arsenio lasciarono la Calf\bria per rifugiarsi
a Patrasso.
Mugbar era stato inviato dall'emiro di al-Qayrawan, Ibrahim
ibn AJ:unad, un personaggio che nelle fonti occidentali viene concordemente esecrato per il suo fanatismo virulento e protervo, anche se dall'altra parte Ibn al-A!!r ne fa un uomo animato da un
fervore nobilissimo di profonda religiosit. Gi il figlio di lui 'Abd
Allah aveva nel 901 riconquistata Reggio, allorch l'emiro, costretto per i suoi eccessi di despota ad -abdicare in Africa, forse per
espiazione, proclam la guerra santa, che per i Musulmani di
vita pia ed austera era la espressione pi alta del loro zelo religioso.
Espugnata con sanguinosa afferatezza Taormina il 1 agosto del
902 (non senza per che qualche altro presidio bizantino riuscisse
a mantenersi nell'isola), il feroce Ibrahim varc lo stretto e penetr profondamente in Calabria, con il dichiarato proposito di farne
una conquista stabile e definitiva e 'di procedere poi oltre con impeto fino a colpire la stessa Roma.
Fu quella la grande ora nella storia di Cosenza, che oppose
le sue mura alla marea africana. Ambascerie sopraggiunsero da
ogni parte all'emiro, anche dalle citt campane, per fermarlo con
trattative; ma egli si rifiut persin di riceverle: vadant hinc, vadant ad suos , fece loro rispondere insolentemente, ed annuncino il mio disegno di conquistare tutta l'Italia; e non sperino che
possano arrestarmi n il 'Graeculus' n il 'Franculus'; doIXJ aver di
strutto la citt di quel ridicolo vecchio Pietro, assalir la stessa Costantinopoli .
La resistenza cittadina e la buona sorte dell'Occidente, risparmiarono a Roma l'insulto della mezzaluna ed ebbero ragione di
questi velleitari propositi: accompagnato da una gran pioggia di
signa dal cielo (che a qualche cronista fece ricordare il discorso
escatologico di Cristo), il fanatico condottiero, gi malato di dissenteria, nella notte del 18 ottobre del 902 coelesti gladio percussus,
repentina morte interiit .
Sopraggiunta in Africa la crisi che sostitul la dinastia dei
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NICOLA CILENTO

Ftimiti agli Aglabiti, e governata la Sicilia per conto di essi dagli emiri Kalbiti (sotto i quali l'isola raggiunse il massimo della sua
prosperit); distrutto in Campania il formidabile covo dei Saraceni
al Garigliano in virt di una grande lega di stati campani organizzata da papa Giovanni X, anche con il concorso dei Bizantini, non
si ebbero in Calabria da parte islamica azioni di rilievo accompagnate da propositi di conquista, se non nella zona pi esposta di
Reggio,
Non mancarono certo le scorrerie che furono per cos dire endemiche e ricorrenti quasi ad ogni stagione. Ma esse furono di iniziativa prevalentemente personale, come quella del condottiero ~
bir, che del resto era un rinnegato di stirpe slava e che fra il 929
e il 930 corse tutta l'Italia meridionale taglieggiandola, e trasse
dalla sola Calabria ben dodicimila prigionieri, da vender come
schiavi, se credibile la cifra della Cronaca di Cambridge.
Di fughe, di devastazioni, di corse trepide per rifugiarsi con
gli armenti e le cose entro fortezze talvolta improvisate, son piene
le pagine ,degli agiografi contemporanei, come le vite > di s.
Elia Speleota e di s. Leone Luca di Armento; anche i monaci del
Mercourion si rifugiavano nel vicino :x:ao"~.1..ov e s. Saba fond un suo monastero presso un Castrum, proteggendone gli accessi con un npo'CELXLcr.a, con un bastione.
Quel che potrebbe sorprenderci che questi monaci spesso
scendessero in campo a difendersi con spirito battagliero; ma la
necessit della difesa si imponeva a tutti. In alcuni monasteri di
Francia, secondo la documentazione offerta dal Lemarignier, c'erano dei contingenti armati sempre pronti alla difesa. Nell'Italia meridionale pi spesso, erano gli stessi monaci, greci o latini che fossero, ad armarsi: certamente la potenza taumaturgica di alcuni
di essi, era sorretta dallo spirito bellicoso di chi li accompagnava.
Valga per tutte una testimonianza preziosa, coeva agli assalti dei
Saraceni nella seconda met del IX secolo, e che si riferisce alla
dipendenza vulturnese di S. Martino del monte Massico. Qui
lo stesso santo tutelare del monastero che appare ai suoi monaci
e li esorta ad armarsi ed a combattere: Ite et armate corpora vestra loricis, galeis, clipeis, hensis et lanceis; equos ascen.dite et
sine dubio pugnate, quia ego antecedo vobis . E fu cosi che 300
monaci armati uccisero ben 1909 ( ! ?) Agareni e i coloni dei pre220


LE INCURSIONI SARACENICHE IN CALABRI/\

dia di S. Martino, tra i fiumi Carnilio et Saxi.onis , videro le


meraviglie que fecerat Deus per sanctum corpus et monacos eius .
In uno dei B(oL di questi santi monaci, e precisamente nella
vita di s. Saba, si. ricorda l'azione pi considerevole promossa in

Calabria dai Kalbiti di Sicilia e che fu diretta dallo stesso fondatore


di quella dinastia, al J;!asan ibn 'Ali, fra il 950 e il 952. Da Bisanzio giunse a contrastarla il patrizio Malacheno, che insieme allo
stratega di Calabria Pascalio si scontr, cadendo sul campo, in una
violenta battaglia intorno a Gerace. A trofeo di vittoria il Kalbita
innalz a Reggio una moschea; e fu runica volta che per brevi anni
si lev in terra di Calabria il richiamo del muzzin; fu infatti di effi-

mera durata, perch nel 957 i Bizantini riuscirono ad abbatterla.


Gli imperatori d'Oriente, nella seconda met del X sec., soprattutto Niceforo Foca (promotore dell'impresa del 969 alla quale
parteciparono navi pisane e genovesi al soldo dell'imperatore bizantino) e Basilio II, non cessarono di difendere con impegno i
loro domini italiani e di contrastarvi la potenza islamica con azioni difensive e offensive, coordinando anche 1 o stimolando, il concorso

delle forze locali. Ma non si pu dire che le trovassero sempre


consenzienti e responsabili, come _risulta da qualche sconcertante

episodio: si sa, per esempio, del trattato che lo stratega Eustasio


aveva concluso con i Musulmani di Sicilia, perch si astenessero

dall'aggredire le coste calabresi, obbligandosi a pagare un tributo


di 20 mila nomsmata ; i cira , in cui grandi e piccoli proprietari vennero gravati in solido per questa contribuzione straordinaria, si ribellarono e qualche anno dopo (fra il 920 e il 922) il
successore di Eustasio, lo stratega Giovanni Muzalone, fu assassinato.
Pi grave ancora l'episodio raccontato dal biografo di S. Nilo,
accaduto ai primi del 976: il magistros di Calabria, Niceforo, aveva
ordinato di costruire dei chelandria >, delle navi da combatti-

mento cio, imponendo al solito dei contributi straordinari. I Rossanesi si amn1utinarono e bruciarono i chelandria in allestimento
nei cantieri, uccidendone i protocarebi; solo l'intervento di S. Nilo

sarebbe riuscito a salvarli dalla vendetta di Niceforo.


Laddove le forze locali in altre regioni dell'Italia meridionale
concorsero direttamente e consapevolmente alla difesa dal pericolo islamico e, in questo, le varie signorie trovarono il fondamento

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NICOL/I. CILENTO

per affermarsi e potenziarsi, in Calabria invece il loro apporto f11


manifestamente scarso: questo fatto provoc in tutta la regione la
assenza cos significativa e cos notata delle piccole signorie locali e
la mancanza di quel particolarismo signorile che fu il motivo dominante dell'Europa del tempo. L'individualismo regionale, o, se si
vuole, la regionalizzazione della Calabria, fu dovuta uniCamente allo
impegno con cui Bisanzio la seppe difendere dall'Islam. Ed essa fu
sola nella lotta, se si esclude la gi ricordata e del resto ambigua
spedizione ottoniana di questi anni, conclusasi rovinosamente, nonostante la morte sul campo dell'emiro kalbita Abi al-Qasim.
Dal fastidio di origine illuministica e romantica con cui l'Amari vide negativamente l'opera dei Bizantini in Italia, in contrapposizione al dominio arabo da lui ritenuto rinsanguatore di stirpi, innovatore. dei rapporti economici e sociali, creatore di nuove forme
di cultura, la storiografia pi recente con il Gay, il Vasiliev, il Gregoire, il Guillou, l'ha riscattata in una visione pi equa, riconoscendo all'Impero d'Oriente il merito di aver impedito nelle estreme regioni, della nostra penisola, attraverso una possibile semitizzazione, lo snaturamento totale del fondo greco-latino della sua civilt.
La Calabria bizantina e cristiana doveva diventare la base per
la riconquista della Sicilia, favorita anche dalla lunga crisi interna in cui, nella prima met del sec. XI, si logor la dinastia Kalbita, che fin per estinguersi nel 1040, dando luogo al frazionamento
ed all'anarchia.
La grande spedizione di Giorgio Maniace si spinse da Messina
a Siracusa (1038-1040), colpendo i Musulmani nelle sedi da cui si
muovevano per le loro piraterie in Calabria.
Nell'armata di Maniace, fra gli altri contingenti mercenari al
soldo dell'Impero, c'era anche qualche compagnia di Normanni, non
solo d'Italia (con Guglielmo Braccio di Ferro), ma anche di provenienza russa, e propriamente di Wareghi, guidati da Harold Hardraade, il famoso eroe delle saghe scandinave.
Gi da tempo essi si erano inseriti nelle torbide vicende dell'Italia meridionale, traendo profitto dal particolarismo signorile
che vi regnava. Dopo un periodo assai ambiguo in cui i nuovi venuti, con le loro aggressioni e le loro violenze, si eran procurati la
mala fama di nuovi e pi nefandi Saraceni, i Normanni, con

222


LE INCURSIONI SARACENICHE IN CALABRIA

accorta politica, seppero dare un pi ordinato e logico sviluppo alle


loro imprese.

A met del secolo (1059-1060), il gran conte Ruggero aveva gi


posto il suo campo in quella Mileto, da cui doveva muoversi alla

sua pi bella impresa con la conquista della Sicilia.


Nel tentativo di fare un rapido bilancio dei due secoli in cui
la Calabria fu aperta ai colpi spietati dell'Islam, non pu indicarsi
nulla o quasi di positivo che dall'Islam stesso le sia venuto: non
le giunse luce alcuna dalla pur grande civilt dei suoi invasori.
La sfortu11ata regione non pot conoscere n la floridezza rag-

giunta dalla Sicilia sotto gli emiri aghlabiti e, soprattutto, kalbiti;


n le tocc alcuno dei vantaggi grandissimi che dai contatti spregiudicati con i Musulmani ricavarono le citt costiere della Campania e, in qualche modo, anche i porti pugliesi. Il realismo politico
dei ceti mercantili di queste regioni, sollecitati dal calcolo e dall'interesse, li indusse alle empie alleanze che suscitarOno lo scandalo
della cristianit; e si pu persino, se non giustificarli, ahneno comprenderli, per la scarsa ed erronea conoscenza che essi e tutto il

mondo occidentafo ebbero della dottrina i~lamica, fin quando Pietro


il Venerabile non ebbe tradotto il Corano.
In virt della reciproca tolleranza, il Mediterraneo non rimase

chiuso alle citt marinare del sud, che in tal modo fecero affluire
anche nei mercati del settentrione merci che vendevano sotto costo rispetto a quelle che vi irnportavano i Veneziani. Nelle Honorantie civitatis Papie attestato che il mercato di quella citt era
meta di mercanti salernitani, gaetani e amalfitani: solebant ve-

nire similiter Salaterni Gaytani et Malefatani cum magno negocio >.


Ma ancora pi significativo un passo della vita di s. Gerardo di
Aurillac, che. prima di darsi all'ascetismo era stato un ricco signore

della Haute Auvergne; egli, al ritorno da un suo pellegrinaggio da


Roma, tra la fine del IX e gli inizi del secolo X, narra che nel mercato della citt di Pavia gli vanno intorno dei negociatores veneti, i
quali - la scena molto vivace - si aggirano inter papilones per
vedere se ci son compratori e chiedono al santo si vellet aliquid emere e anche si pallia vel pigmentorum species emi iuberet . Ma

egli risponde di aver gi fatto i suoi acquisti a Roma e che desidera


anzi sapere se ha comprato a buon prezzo. Cos mostra gli acquisti
223

NICOLA CILENTO

fatti, tra cui un pallium pretiosissimum . Il mercante veneto


gli domanda quanto l'abbia pagato e, saputo il prezzo dice: vere
si Costantinopoli essei etiam plus ibi valerei. Allora il sant'uomo
si turba per aver dato, secondo lui, un prezzo non onesto al mercante romano; e, incontrati altri romei di sua conoscenza che scen-

dono a Roma, d ad essi la differenza del prezzo da consegnare al


mercante, indicando loro dove avrebbero potuto trovarlo.
Questo racconto, dunque, che il Ganshof dimostra veritiero,
mette in rilievo che a Roma le stoffe orientali costavano di meno
di quelle che i mercanti veneziani importavano da Costantinopoli

e vendevano a Pavia. Secondo l'editore, si tratta di stoffe che gli


Amalfitani o i Napoletani ottenevano direttamente negli scambi con
i loro alleati musulmani e vendevano a Roma, il luogo di incontro
delle numerose schiere di pellegrini che scendevano dai paesi del
settentrione.
Il fatto che nel 996 Amalfi avesse al Cairo (dopo che i Fatimiti della Tunisia ebbero conquistato l'Egitto .nel 969) una forte posizione di privilegi commerciali, non smentito neppure dall'eccidio che, per equivoco, ne fece la plebaglia maghrebina, perch, stando alla testimonianza della cronaca di Yal;iya ibn Said di Antiochia (un cristiano di lingua araba che annot il fatto) essi, i Rim
Amalfitani, come li chiamavano, furono persino indennizzati.
Ai calabresi, invece, non rimase altro che il ricordo ossessivo
e terrificante dei volti truci, neri come quelli degli Etiopi, duri
e feroci nello sguardo, e in tutto simili a demoni, secondo l'immagine che dei Saraceni icasticamente evoca il BLo di s. Nilo. Essi eb~
bero certamer1te un'illimitata capacit di sopportazione e di re~i
stenza; ma anche di adattamento: il cafr , il pactuotes , il
cristiano rinnegato cio, o per necessit elementare di vita, o per
calcolo, non del tutto insolito. Il fenomeno del resto non si limitava ai ceti pi miseri, perch vi sono esempi illustri e pi clamorosi di queste forme di collaborazionismo. Nel 904 la flotta musulmana al comando di un greco rinnegato, Leone di Tripoli, tent un
colpo di mano su Tessalonica; al pari di lui un Luca, miscredente
e apostata, aveva di prepotenza occupato circa il Mille il xacr-r.cov
di Pietrapertosa presso Tricarico, come risulta dal molybdoboullon del catepano d'Italia, il protospatario Gregorio Tarchaneiota,
edito dal Guillou.

224


LE INCURSIONI SARACENICIIE IN CALABRIA

D'altro canto i rapporti ufficiali e personali con il mondo islamico in un tentativo assai ante litteram di coesistenza pacifica, possono apparire persino cordiali. In questo spirito va letta la lettera
diretta dal patriarca Nicola il Mistico all'assai illustre e onorevole
e- amato emiro dell'isola di Creta, in cui fra l'altro detto che i
due poteri dell'intero universo, la potenza dei r Saraceni e quella
dei Romani, si distinguono e brillano come astri del firrr1ame11to .
Per questa sola ragione - egli continua - noi dobbiamo vivere
in comune come dei fratelli, sebbene differiamo per costumi, usan~
ze e religio11-e .
Per l'Islam, in conclusione, la Calabria fu solo un terreno particolarmente fertile per la tratta degli schiavi, di cui c'era gran richiesta sui mercati meditarrenei per incrementare le forze del lavoro coatto.
Nell' Itinerario del monaco Bernardo, che con i suoi due
compagni, il monaco spagnolo Stefano e il inonaco Teodemondo
di S. Vincenzo al Volturno, va pellegrino in Terra Santa giusto nel1'870, quando Bari era ancora nelle mani di SawdB.n, si narra che
il monaco ottenne da costui una specie di passaporto ( noticianl. vultus nostri vel itineris ) per navigare fino ad Alessandria e che si
imbarc a Taranto dove trov sei navi in cui c'erano novemila
prigionieri de Beneventanis Christianis e che questi furono
sbarcati parte a Tripoli e parte ad Alessandria. Raize di uomini
e di altro: la tratta era cominciata un secolo prima, quando, persino
a Roma, com' detto nella vita di papa Zaccaria, si recavano plures Veneticorum n.egotiatores a cornprarv i svl1iavi d'ambo i sessi
quos in Africam ad paganam gentem nitebantur deducere . Nel
corso dell'800 poi, nel trattato di pace fra Sicardo principe di Benevento con il duca di Napoli Andrea, tra le condizioni posto
ut Langobardum nullatenus comparetis nec super mare venundetis ; come pure nella vita del s. vescovo di Napoli, Atanasio,
ricordata la sua commovente opera di riscatto degli innumeTevoli prigionieri che la insatiabilis efferitas dei Saraceni exulabat . Il mondo islamico vive un intenso periodo di slancio cornme-rm
ciale e produttivo che ricl1iede un continuo incremento delle forze del
lavoro. Ci risulta che a Cordova c'erano pi di quindicimila schiavi e che da una pare di essi fu innalzata la celebre moschea. Sem. .
bra certo che la domanda musulmana di schiavi abbia provo-

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NICOLA CILENTO

cato, malgrado la pirateria, un intensificarsi dell'attivit economica, per amara e brutale che fosse questa condizione della economia del tempo fondata esclusivamente sull'opera manuale.
Ed a farla accettare contribui anche, in misura considerevole 1
il moralismo del monachesimo, sia latino che greco, che nelle incursioni dei Saraceni additava il gladius Dominicae indignationis ,
la spada con cui Dio rivolge il suo monito severo ai malvagi e ne
procura l'emendazione e l'espiazione.
Lasciate assai spesso in balia delle proprie risorse, le popo-

lazioni calabresi - abhiam detto - trovavano riparo nei castelli


o fra i monti dell'interno; si dette anche il caso che qualche antico
centro abitato si ttasferisse, con lo stesso nome, dal litorale pi a
monte, nell'interno.
Viceversa non possibile indicare nessuna testimonianza che
la minaccia saracenica avrebbe provocato spostamento e trasferimenti massicci di popolazione della Calabria meridionale verso il
nord e neppure della popolazione greca o comunque cristiana che
dalla Sicilia sarebbe rifluita sul continente, promuovendo in tal
modo un~ seconda e pi intensa ellenizzazione della Calabria. La
tesi relativa a questi pretesi esodi stata rimessa in discussione;
basterebbe ricordare che in Sicilia le ultime piazzeforti eran rimaste in mani greche assai dopo la caduta di Taormina, e solo alla
fine dell'impero di Niceforo Foca (nel 969) debbono ritenersi definitivamente perdute, e che, inoltre, sotto il regime arabo alcuni monasteri greci vi continuarono a sopravvivere.
Sono s attestati spostamenti assai frequenti di monaci della
Sicilia in Calabria e da questa verso il Mercourion; ma questi
stessi monaci - come ampiamente docun1entano i loro Blo1. - si
muovono con una estrema libert di movimento per i vari porti ed
isole del Mediterraneo. Il pi famoso e taumaturgico fra essi, s.
Nilo, " fu onorato non solo dai fedeli dell'imperatore ed arconti e
patriarchi ecc., ma anche da quelli che non appartenevano alla
stessa lingua e persino dai tiranni infedeli, voglio dire dai filarchi .
saraceni , ed ebbe rapporti epistolari con l'emiro ~ Sicilia.
Si ha l'impressione che -il monachesimo greco sia stato particolarmente irrequieto e instabile per la continua ansia di mutar
sede; in questo esso contrastava on la tradizione monastica be ..
nedettina, che aveva introdotto un costume pi sedentario e resi-

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LE INCURSIONI SARACENICHE IN CALABRIA

denziale, memore del detto antico che qui multum peregrinantur,


raro santificantur . Proprio questo aveva avuto modo di ricordare
l'abate cassinese Mansone, che certo per suo conto non fu affatto
uomo di vita pia e morigerata e dest scandalo in s. Nilo per le
tibicines che allietavano la sua mensa: cotidie loca nova mu-

tare minus laudabile est .


Pi che migrare, al sopraggiungere dei Saraceni, anche i monaci, come il resto della popolazione (l'abbiam visto) cercavano
scampo nelle loro rocche; i loro spostamenti erano provocati piuttosto dalla esigenza ascetica della solitudine (per cui si accentua il
passaggio dal cenobitismo all'eremetismo), o forse anche da una
spinta ideale verso Roma e l'Occidente per quel che esso significava
sul piano spirituale e religioso, o forse, infine, da una ragione pi
modesta ma pi accettabile, e cio dalla miseria delle loro sedi
primitive che li costrinse alla ricerca di nuove terre da guadagna~
re alle colture.
Lo stesso pu dirsi della scomparsa, spesso troppo ovviamente
attribuita ai Saraceni, di alcune sedi vescovili (ricordate di frequente in questi Atti, quali Tauriano, Tempsa, e Turio), che furono abbandonate e soppresse per tutt'altre rngioni.
Insomma le popolazioni C'\labresi, che nella quasi totalit erano di condizione contadina, rimasero sul posto, nella loro terra,
anche se grama, co1ne tutte le popolazioni contadine, eh~ per loro
natura sono residenziali ed abitudinarie. Di qui la loro rassegnata
acquiescenza ed anche il loro opportunismo che li rese diffidenti
di tutti e li fece persino considerare sleali ( Calabrenses genus
semper perfi.dissimum , dir ingenerosamente il Malaterra): per
loro Longobardi, Greci, Saraceni, Normanni, era gente tutta della
stessa risma, quella dei dominatori e degli oppressori. L'effetto pi
tragico delle incursioni saracenic}1e in Calabria, come pu risultare da qualche cifra che ho annotato, fu un costante depauperamento demografico, che precede la grande moria del 1058 di cui
parla il Malaterra ed alla quale fa cenno il Guillou, in questi stessi Atti.

Per i Musuhnani le avventure calabresi furono un aspetto as-

sai marginale della loro storia, perch si svolgevano ai limiti del

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NICOLA CILENTO

loro vasto impero mediterraneo, nella gran terra dei Rtlm , come
essi genericame~te la chiamavano; per quest~ ragione le fonti arabe
ne danno assai raramente notizia.
Eppure rimase presso di essi un qualche ricordo epico e compiaciuto delle loro imprese e dallo slancio mistico con cui combatterono il gihd, la coranica guerra santa, sul continente. Cos Ibn
lj:aldun ricorda che in quel tempo i popoli cristiani si limitavano
a navigare sulle coste settentrionali e orientali del Mediterraneo,
oltre le quali i Musulmani si avventavano su di loro e li sbranavano
come il leone fa della preda .
Pi patetica e accorata di rimpianti si fa la rievocazione delle
spedizioni in terra di Calabria nel poeta arabo-siracusano 'Abd alabb&r ibn Mul,lammad ibn I:Iamdls, il quale costretto a lasciare la
terra natale al momento dell'invasione normanna, ne serb sempre nostalgico ricordo.
In una ispirata qa~ldah del suo Divan, egli rievoca i fasti
guerrieri dell'Islam siciliano, le galere arabe cariche di combattenti
per la ,fede, che approdano in terraferma e disertano Reggio, le cavalcate delle arabe gualdane per la Calabria, che mettono in fuga
e tagliano a pezzi conti e patrizi - Si, egli dice, percotemmo i ne~
miei della Fede entro i lor focolari; piomb un flagello sulle costiere dei Rtlm; navi piene di leoni solcano il mare, armate la poppa d'archi e di dardi, lancianti nafta che galleggia e brucia come la
pece della gehenna. A che valser quei guerrieri in luccicanti maglie di ferro? Noi li rimandammo con le armature squarciate.
Oltre al ricordo delle infauste gualdane, nessuna luce, nessuna
traccia (neppure forse nella toponomastica, i cui dati sono estremamente esigui e non possono inserirsi con sicurezza nelle necessarie coordinate cronologiche), nessun segno della pur nobile civilt araba rimasto in Calabria: nel travaglio bisecolare che essa
soffr, l'unico aspetta. positivo che vi si espresse fu la presenza
costruttiva dei Bizantini, che vi lasciarono i segni della loro raffinatissima civilt, e che seppero tenerla e difenderla con impegno.
Essi a nord fermarono e rigettarono i Longobardi, che nella loro
iniziale e pi avanzata penetrazione vi avevano costituiti i gastaldati di Cosenza, Cassano e Laino e che poi attraverso il principato
salernitano entrarono nella loro clientela. A sud rintuzzarono e
fermarono la minaccia islamica, facendo di questo sperone della

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LE INCURSIONI SARACENICHE 1N CALABRIA

penisola italiana un valido balardo della cristianit meridionale,


dal quale riuscirono a limitare e a impedire, in un costante equi-

librio di forze greco-arabe, la totale talassocrazia islamica nel Mediterraneo.


Nemici ed emuli a un tempo, i Normanni divennero gli eredi

delle due civilt, la bizantina (che trovarono in Calabria) e l'araba


(che trovarono in Sicilia), in modo che alcuni dei motivi delle
medesime risultarono sovrapposte e intrecciate con la componente
occidentale e latinizzante della loro tradizione.

Il loro contatto pi diretto con la civilit bizantina si strinse


in terra di Calabria ed essi ne fecero, almeno iniziahnente, il loro
grande modello sul piano politico, religioso e amministrativo, con
i suoi ideali teocratici e ceraropapisti, la complessa burocrazia, il

fastoso ed elaborato cerimoniale.


Compiutasi la conquista normanna, la Calabria fu pacificata e
torn anche ad essere terra di mistici e di contemplativi, che nelle
sue grandi selve vennero a cercare -

come dir s. Bernardo -

qualcosa che non avevano trovato nei libri: Aliquid amplius invenies in silvis quam in libris . E qui anche dalla nativa Germania venne a fermarsi, accolto dal conte Ruggero, s. Bruno, il

quale appunto sent il richiamo delle grandi solitudini e seppe


esprimere -

e fu forse il primo -

con sensibilit moderna il fascino del paesaggio calabrese, con il suo aspetto tormentato e
suoi toni imprevisti e variati, severi e rasserenanti a un tempo.

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