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1985 Giulio Einaudi editore, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
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La pecora di Giotto
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ria Donnaregina a Napoli sono dipinte molte storie della sua vita,
insieme a quelle delle altre sante che si sono nominate sopra. Ed
proprio partendo da unipotesi di committenza angioina e da un
confronto con gli affreschi di Santa Maria Donnaregina che si
potranno identificare alcuni dei misteriosi santi dipinti da Simone
Martini nel transetto destro.
A parte la cosiddetta santa Chiara, che non fu mai tale perch
non vestita in abiti monacali e che si dovrebbe identificare semmai
con santa Margherita (fig. 6), dato che il recente restauro ne ha
rimesso in luce la crocellina tenuta nella mano destra11, si
considerino i due misteriosi santi coronati con scettro e globo in
mano che compaiono ai lati della Madonna (fig. 7); sar facile
identificarli con santo Stefano dUngheria e san Ladislao
dUngheria, se li confrontiamo con la raffigurazione di questi due
santi in Santa Maria Donnaregina12, che recano gli stessi segni
iconografici. Si ricorderanno i legami politici degli Angi con
lUngheria e i loro interessi sul trono di quel paese, in favore dei
quali si era adoperato proprio Gentile Partino da Montefore, il
cardinale francescano amico degli Angi che aveva voluto
dedicare a san Martino la cappella di Assisi dipinta poi da Simone
Martini13. Lingerenza angioina nella commissione assisiate al
pittore senese e i rapporti tra gli Angi e lUngheria spiegano
anche la presenza del giovane santo con il giglio in mano (fig. 8),
che non pu essere Luigi di Francia perch non porta la corona in
testa, ma che invece il figlio di santo Stefano dUngheria, il
principe santEnrico, raffigurato raramente, ma perfettamente
corrispondente negli attributi iconografici a quello dipinto da
Francesco di Michele nel polittico di San Martino a Mensola,
datato 139114 (fig. 9). Il san Francesco con barba raffigurato per
due volte da Simone Martini nella Basilica Inferiore di Assisi
dunque quello degli Angi, favorevoli agli spirituali.
Una volta appurato il significato che si nasconde dietro linnovazione iconografica del san Francesco senza barba, rimane da
chiedersi quali conclusioni se ne possono trarre in relazione al
ciclo francescano della Basilica Superiore di Assisi, in cui il santo
compare dotato di una corta ma folta barba. Limmagine pi an-
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tica che ci sia rimasta di un san Francesco senza barba quella del
Torriti nel mosaico absidale di Santa Maria Maggiore a Roma (fig.
4), che del 129615. Nel 1290 lo stesso artista, nel mosaico absidale
di San Giovanni in Laterano, eseguito per lo stesso committente, il
papa Niccol IV, aveva posto in opera un san Francesco con la
barba16 (fig. 3). Se ne deve dedurre che lidea di unimmagine di
san Francesco senza barba nata tra il 1290 e il 1296. Ora, se la
Basilica di Assisi fu uno dei luoghi pi ospitali per limmagine di
san Francesco senza barba e se in ambito giottesco essa trova la
sua pi larga accoglienza, bisogner prendere in considerazione la
possibilit che le Storie francescane di Assisi siano state dipinte
prima del 1296. Lo stesso vale anche per chi considera questi affreschi - come li considerava lOffner - opera di scuola romana, se
proprio a Roma che troviamo la prima immagine di san Francesco
senza barba, nel 1296 appunto.
Mi rendo conto che un argomento simile sembrer labilissimo a
chi ha presente il peso della tradizione critica formatasi intorno a
questo problema: sar difficile pensare seriamente che su una base
simile si possa proporre una datazione diversa, soprattutto una
datazione anticipata rispetto a quelle proposte generalmente. Dovremo, per ora, limitarci a considerare le osservazioni fatte sopra
per quello che valgono: non pi che una pulce nellorecchio.
Ma se, con questa pulce nellorecchio, ci mettiamo a riconsiderare senza pregiudizi proprio il problema della datazione e a
meditare su alcuni fatti che non erano stati presi in considerazione, allora dovremo riconoscere che questo argomento non
era poi cos futile e peregrino17.
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Ora, gli affreschi della sala dei Notai sono stati dipinti assai
precocemente; a giudicare dalle notizie documentarie raccolte dal
Pellini, la parte del Palazzo dei Priori dove si trova questa sala fu
costruita fra il 1293 e il 1297 e al momento del suo compimento
anche gli affreschi dovevano essere gi stati portati a termine28.
Questo ce lo indica non solo la logica delle cose, trattandosi di un
ambiente di rappresentanza, ma anche il fatto che i primi dei
numerosi stemmi dei Capitani del Popolo e dei Podest con cui
sono decorate tutte le pareti della sala sono datati 1296 e 1297. Tali
date, dunque, costituiscono un termine ante quem per gli affreschi
di Assisi29.
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zioni gli stessi elementi con evidenti forzature e con una incomprensione del loro funzionamento, che lo fa cadere in singolari
distrazioni. Se, dunque, uno di questi due testi figurativi deriva
dallaltro, al punto che bisogna ammettere che uno dei due artisti
abbia preso sul testo dellaltro veri e propri appunti (come nel
caso della donna nel Presepe di Greccio e della donna nella
Fondazione di Santa Maria Maggiore), si deve concludere che i
mosaici romani derivano dagli affreschi assisiati e non viceversa e
che anchessi vanno collocati in quel contesto di fatti che testimoniano di una irradiazione delle idee di Assisi con progressivo
offuscamento del loro razionalismo iniziale (come abbiamo notato
in Giuliano da Rimini, nel Maestro espressionista di Santa Chiara,
nel Maestro della Santa Cecilia e perfino nel grande Duccio).
Una riprova che le cose siano andate effettivamente cos ci
fornita da un altro elemento. Quando notavamo alcune strette
somiglianze tra i mosaici del Rusuti e gli affreschi di Assisi, ne
abbiamo rilevate di particolarmente evidenti tra il corteo della
Fondazione di Santa Maria Maggiore e il gruppo di sinistra della
Rinuncia ai beni, il gruppo del padre irato, e dei compagni che gli
tengono bordone (figg. 29, 30). Il punto in cui tale somiglianza
raggiunge il culmine nei due bambini allestrema sinistra. Ora,
va osservato che, mentre nel gruppo romano essi costituiscono
una presenza puramente esornativa, ad Assisi hanno una loro
precisa funzionalit iconografica. Questi fanciulli, infatti, come il
Calandrino del Boccaccio, sul greto del Mugnone, si sono tirati su
i lembi della veste per riempirla di pietre da tirare contro san
Francesco per disprezzo della sua follia, secondo un passo della
Legenda maior37. Che sia cos ce lo rivela chiaramente la stessa
scena nella cappella Bardi in Santa Croce, dove i due fanciulli,
posti questa volta alle i due estremit della figurazione, sono colti
nellatto stesso di lanciare i sassi contro san Francesco con una
mano, mentre con laltra si tengono la veste che contiene i sassi. I
fanciulli che lanciano sassi contro san Francesco e la Povert si
vedono anche in una delle Vele della Basilica Inferiore di Assisi.
Dunque, la presenza dei due fanciulli nella scena assisiate della
Rinuncia ai beni ha una i precisa ragion dessere e risponde ad una
puntuale necessit ico-
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F. Thomae De Celano, Vita prima S. Francisci, XXIX 83: Barba nigra, pilis non piene
respersa.
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A questo proposito di grande interesse - anche se andr valutato con la dovuta circospezione - il racconto di Ruggero di Wendover e Matteo Paris, monaci di SantAlbano,
dellaccoglienza riservata inizialmente da Innocenzo III a san Francesco che gli apparve
come uno straccione, dalla faccia insignificante, con la barba lunga [il corsivo mio], i
capelli incolti, le sopracciglia nere e trascurate; Vattene, frate, dai tuoi maiali ai quali
assomigli, e rivoltati con essi, nel fango: la tua regola dalla a loro ed anche la tua
predicazione (vedi G. Miccoli, La storia religiosa, in Storia dItalia Einaudi, II, Torino 1974,
p. 741).
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7
Tutta questa situazione napoletana stata ben riassunta da F. Bologna, I pittori alla corte
angioina di Napoli, Roma 1969, pp. 202-3.
10
11
Il fatto che tra questi santi manchi proprio santa Chiara sta a dimostrare che essi non
sono qui raggruppati in quanto francescani.
12
Vedi G. Kaftal, Iconography of the Saints in Central and South Italian Schools of Painting,
Firenze 1965, nn. 218 e 379. Il san Ladislao frammentario e non si pu stabilire che cosa
tenesse nelle mani, ma il santo Stefano regge chiaramente uno scettro e un globo.
Ambedue hanno una corona in testa e sono accostati nello stesso contesto decorativo. La
differenza pi forte consiste nel fatto che i due santi hanno, a Napoli, la barba,
diversamente da quelli di Simone Martini. Ma, data la rarit della loro raffigurazione, si
pu anche pensare che in questo particolare vi fosse una certa libert di rappresentazione
e che Simone Martini li abbia raffigurati in una forma pi consona ad un suo ideale della
regalit.
13
Vedi Bologna, I pittori cit., p. 150. Il cardinale Gentile Parlino da Montefiore, inviato in
Ungheria da Clemente V nel 1307, era riuscito a farvi incoronare re nel 1310 il figlio del
fratello maggiore di Roberto dAngi, Caroberto, che veniva cos compensato della
rinuncia ai suoi legittimi diritti sul trono di Napoli, cui Bonifacio VIII aveva destinato fin
dal 1297 Roberto stesso.
14
Per lidentificazione dellautore del polittico di San Martino a Mensola con Francesco di
Michele si rimanda a L. Bellosi, Francesco di Michele, Maestro di San Martino a Mensola, di
prossima pubblicazione in un numero speciale della rivista Paragone in memoria di
Carlo Volpe.
15
Il DeAngelis (Basilicae S. Mariae Maioris... Descriptio, Roma 1621, p. 90) vi leggeva ANNO
data che il mosaico recava iscritta ANNO
Die Papstbildnisse des Altertums und des
Mittelalters, II, Roma 1970, p. 246).
16
17
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II passo della lettera, del 25 settembre 1348, riportato nella traduzione di G. Fracassetti,
Lettere di Francesco Petrarca, II, Firenze 1864, pp. 461-63. Loriginale latino suona cos:
Meministi, inquam, quis ille et quam supervacuus exquisitissime vestis nitor, qui me
hactenus, fateor, sed in dies solito minus, attonitum habet; quod illud induendi
exuendique fastidium et mane ac vesperi repetitus labor: quis ille metus ne dato ordine
capillus afflueret, ne complacitos comarum globos levis aura confunderet; que illa con-tra
retroque venientium fuga quadrupedum, nequid adventitie sordis redolens ac fulgida
toga susciperet neu impressas rugas collisa remitteret [...] Quid de calceis loquar? pedes
quos protegere videbantur, quam gravi et quam continuo premebant bello! [...] Quid de
calamistris et come studio dixerim?.
19
Una conferma della datazione al 1303-305 della decorazione della cappella Scrovegni
sembra suggerita dalla scoperta delle croci della consacrazione - avvenuta il 25 marzo
1305 - aggiunte a tempera sulle parti decorative degli affreschi e dalle notizie
documentarie relative ai lavori nel 1306 per gli antifonari del Duomo di Padova, che
ripetono alcune scene della cappella (vedi A. Borzon, Codici miniati. Biblioteca Capitolare
della Cattedrale di Padova, Padova 1950; M. Walcher Casotti, Miniature e miniatori de!
Trecento a Venezia, Trieste 1962, p. 31; D. Gioseffi, Giotto architetto, Milano 1963, pp. 11718; C. Bellinati, La cappella di Giotto allArena, Padova 1967, p. 10; G. Previ-
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tali, Giotto e la sua bottega, Milano 1967, 2a ed. cit. 1974, p. 74). Ma se questi argomenti
possono prestare il fianco a qualche dubbio, la datazione tradizionale ha per me un
fondamento ben solido nel fatto che alcuni piccoli particolari della moda pongono
lesecuzione degli affreschi di Padova prima del polittico di Giuliano da Rimini del
Museo Gardner di Boston, datato 1307. Per esempio: in un periodo in cui lampiezza
dello scollo degli abiti femminili rigidamente uniforme e col passare del tempo tende
ad allargarsi, tutte le donne - dico tutte - che compaiono negli affreschi padovani hanno
ancora uno scollo che non supera la circonferenza del collo, mentre gi comincia a
superarla negli abiti delle donne del polittico di Boston.
20
La controversa lettura della data della tavola della Santa Chiara (1283?, 1284?, 1285?)
stata risolta in favore del 1283 mediante il calcolo dellindizione che accompagna la cifra
dellanno (Indic. XI tempore Dmi Martini papae quarti) da F. Casolini, Il protomonastero
di S. Chiara in Assisi, Milano 1950, p. 74 e nota 229. Vedi anche E. Zocca, Assisi, Roma
1936, p. 199.
21
Per lesecuzione dellOmaggio delluomo semplice dopo tutte le altre Storie di san Francesco, si
veda oltre, p. 102, nota 91.
22
23
J. White, The Date of The Legend of St. Francis at Assisi, in The Burlington Magazine,
1956, pp. 344-51; M. Meiss, Giotto and Assisi, New York 1960; Previtali, Giotto cit., p. 46,
che parla di termini pi stretti di quanto non indichino le pure date, e che si riflettono
allindietro nel tempo anche sulla datazione degli affreschi dellordine superiore. Per
quanto riguarda il terminus ante quem individuato dal Bracaloni e ripreso dal
Kleinschmidt, ma ingiustamente trascurato dalla critica, si veda nel capitolo seguente, p.
46 e nota 19.
24
Su questa decorazione, si veda ora M. Boskovits, Gli affreschi della Sala dei Notari di Perugia
e la pittura in Umbria alla fine del XIII secolo, in Bollettino darte, 1981, pp. 1-41, anche per
la bibliografia precedente. Si vedano inoltre J. B. Riess, Uno studio iconografico della
decorazione ad affresco del 1297 nel Palazzo dei Priori a Perugia, ivi, pp. 43-58; Id., Political
Ideals in Medieval Italian Art. The Frescoes in the Palazzo del Priori, Perugia (1297), Ann Arbor
1981.
25
Si vedano, ad esempio, R. Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, I,
The Hague 1923, p. 530; M. Boskovits, Pittura umbra e marchigiana fra Medioevo e
Rinascimento, Firenze 1973, pp. 12-13. Si veda anche R. Longhi, La pittura umbra della prima
met del Trecento, a cura di M. Gregori, in Paragone, 1973, nn. 281-83, p. 13.
26
Ho sviluppato questa proposta in La Sala dei Notai, Marino da Perugia e un ante quem per il
problema di Assisi, in Per Maria Cionini Visoni. Scritti di amici, Torino 1977, pp. 22-25. Il
successivo intervento di Boskovits, Gli affreschi cit. ha riesaminato il problema
dellattribuzione a Marino, escludendola e pensando piuttosto a due personalit
artistiche, quella del Maestro del Farneto e quella del Maestro espressionista di Santa
Chiara, che pare da identificarsi con Palmerino di Guido dopo le ricerche del Todini (si
veda oltre, p. 146, nota 80). Debbo dire che il suo esame, finalizzato specificamente a
questi affreschi, e perci molto pi sistematico e dettagliato del mio, mi trova
sostanzialmente daccordo sulla divisione di massima della decorazione fra due artisti, e
anche sulla partecipazione del Maestro del Farneto; meno su quella del Maestro
espressionista di Santa Chiara. Io continuo a trovare nelle figurazioni assegnate dal
Boskovits a questo pittore una tendenza a un modellato pi gonfiante e a delle
caratteristiche anche fisionomiche che mi sembra possano approdare pi naturalmente
alla Madonna firmata da Marino che ad opere come il Crocifisso di Montefalco. Ma
esprimo questo parere con
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Questo rapporto stato notato anche da H. Belting, Die Oberkirche von San Francesco in
Assisi. Ihre Dekoration als Aufgabe und die Genese einer neuen Wandmalerei, Berlin 1977, p. 96.
28
29
Boskovits, Gli affreschi cit., p. 31, nota 47, riconosce che il motivo della fila di mensole prospetticamente convergenti - deriva con molta probabilit dalle Storie francescane di
Assisi. Successivamente (Studi recenti cit., p. 208), rifiuta questa eventualit, pensando
che vi possa essere stato un altro modello comune. Ma il fatto che in un primo momento,
gi nella fase giottesca della prima campata, si usino ancora le mensole prospetticamente
divergenti del tipo cimabuesco e solo sotto i trifori dellimposto dellarcone di ingresso si
sperimenti la prima piccola fila di mensole prospetticamente convergenti, che anticipano
quelle della Leggenda di san Francesco, sta ad indicare con chiarezza che levoluzione di
questo motivo avvenuta proprio nella Basilica di Assisi e che li sono nate le mensole
prospetticamente convergenti. Come si vede nel testo, altre osservazioni si sono aggiunte
a quelle gi fatte in occasione della pubblicazione della Barba di san Francesco a
convincermi ulteriormente del fatto che gli affreschi della sala dei Notai sono posteriori
alle Storie francescane di Assisi, le quali perci sono state dipinte prima del 1296-97. Sono
tranquillamente convinto che anche lamico Mikls Boskovits si convincer prima o poi
della precocit delle Storie di san Francesco. Alla sua capacit di vedere i fatti artistici non
potr sfuggire, infatti, la stretta contiguit tra gli affreschi dei registri alti dalle Storie di
Isacco in poi e le prime Storie di san Francesco, dal Dono del mantello in avanti, in
contrapposizione alla distanza che esiste tra questo e gli affreschi Scrovegni. Quanto alla
diffusione di un linguaggio classicheggiante, di fondamento romano, nella pittura
perugina di fine Duecento, a mio parere dovuta essenzialmente alla presenza degli
affreschi della Basilica Superiore di Assisi, dalle Storie di Isacco in avanti. Il contegno
solenne e dignitoso, la caratterizzazione sublime, lalta recitazione delle Storie di Isacco
valgono come il pi diretto precedente anche per le scene pi sostenute della sala dei
Notai, come quella con Mos e Aronne davanti al Faraone. Che, a sua volta, il linguaggio
classicheggiante delle Storie di Isacco sia romano, lo si potr ammettere solo in senso
molto generale (si veda oltre, pp. 187-201).
30
Per una bibliografia recente sui mosaici del Rusuti, vedi C. Cecchelli, I mosaici della basilica
di S. Maria Maggiore, Torino 1956, p. 274; G. Matthiae, Pittura romana del Medioevo, II,
Roma 1966, pp. 229-30; Id., Mosaici medievali delle chiese di Roma, Roma 1961, p. 382; W.
Oakeshott, The Mosaics of Rome, London 1967, pp. 326-28; H. Kerpp, Die Mosaiken in Santa
Maria Maggiore zu Rom, Baden-Baden 1966, figg. 196-
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209; Bologna, I pittori cit., pp. 132-35; J. Gardner, Pope Nicholas IV and the Decoration of
Santa Maria Maggiore, in Zeitschrift fr Kunstgeschichte, XXXVI, 1973, n. I, pp. 1-30,
31
Si veda, ad esempio, Bologna, I pittori cit., p. 134, che ipotizza un ritorno del Rusuti a
Roma per terminare i mosaici della facciata di Santa Maria Maggiore in occasione del
trasporto in questa basilica delle spoglie del cardinale Giacomo Colonna, morto in
quellanno. Il Bologna (The Crowning Disc cit., p. 339, nota 38) ha ribadito la sua opinione
in favore di una datazione molto pi tarda delle Storie della fondazione di Santa Maria
Maggiore rispetto alle figure soprastanti. In questo senso si esprime anche A. Tomei, II
ciclo vetero e neotestamentario di Santa Maria in Vescovio, negli Atti del convegno (tenutosi
nel maggio 1980) Roma anno 1300, Roma 1983, pp. 355-78 (si vedano le pp. 358-60).
32
Gardner, Pope Nicholas cit. Anche M. Boskovits, Proposte (e conferme) per Pietro Cavallini, in
Roma cit., pp. 297-329, pensa che le Storie della fondazione di Santa Maria Madore siano
anteriori al 1297, anzi databili entro il 1295, in considerazione della proposta di A. Tomei,
per cui si veda la nota successiva.
33
34
C. L. Ragghianti, Percorso di Giotto, in Critica darte, 1969, nn. 101-2, pp. 3-78, aveva gi
notato la dipendenza dei mosaici di Santa Maria Maggiore dalle Storie francescane di
Assisi (p. 35).
35
Anche il Gioseffi (Giotto cit., p. 21) aveva sottolineato la differenza di costruzione tra le
mensole dipinte da Cimabue e dai romani (notando anche la singolarit delle mensole di
mezzo in prospettiva rovesciata) e quelle dipinte sopra le Storie di san Francesco ad
Assisi, di ben altra portata illusionistica. Si veda sopra, p. 16, e oltre, p. 151.
36
L. Bellosi, La rappresentazione dello spazio, in Storia dellarte italiana, IV, Torino 1980, pp. 1011.
37
38
Nonostante quanto ha ribadito il Bologna (per cui vedi nota 31), a me continuano a
sembrare fondati gli argomenti per una datazione ante 1297. Il malconcio mosaico col
Sogno di Innocenzo III nel cavetto sul fianco meridionale della facciata di Santa Maria in
Aracoeli, databile probabilmente al tempo di Niccol IV (M. Andaloro, II sogno di
Innocenzo III allAracoeli, Niccol IV e la basilica di S. Giovanni in Laterano, in Studi in onore di
Giulio Carlo Argan, Roma 1984, pp. 29-42), lascia intravedere una concezione non troppo
dissimile dellarticolazione dellarchitettura. A spiegare la diversit tra la parte alta e le
scene in basso nel mosaico di Santa Maria Maggiore si potrebbe ipotizzare un viaggio del
Rusuti ad Assisi. Mi pare che i rapporti con le Storie di san Francesco siano troppo diretti e
freschi perch si possa pensare a una datazione tarda, che renderebbe mal giustificabili
gli errori nella rappresentazione dello spazio visti sopra.
39
G. Vasari, Le vite de pi eccellenti pittori scultori e architettori, Firenze 1568, ed. a cura di P.
Della Pergola, L. Grassi, G. Previtali, I, Milano 1962, p. 304: si condusse in Ascesi, citt
dellUmbria, essendovi chiamato da fra Giovanni de Muro della Marca,
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allora generale de frati di San Francesco, dove nella chiesa di sopra dipinse a fresco sotto
il corridor che attraversa le finestre, da i due lati della chiesa. A proposito della scarsa
attendibilit della notizia del Vasari, va anche tenuto presente che assai difficilmente
qualunque generale dellordine francescano potrebbe essere stato il committente delle
Storie di san Francesco ad Assisi che era una basilica papale; si veda, in proposito, Belting,
Die Oberkirche cit.
|
40
Due interventi hanno fornito delle conferme indirette della datazione precoce delle Storie
francescane di Assisi. Uno quello di I. Hueck, II cardinale Napoleone Orsini e la cappella di
S. Nicola nella basilica francescana di Assisi, negli atti del convegno Roma cit., pp. 187-98,
dedicato a una discussione sulla cronologia degli affreschi della cappella di San Nicola
nella Basilica Inferiore. Le sue osservazioni forniscono un serio argomento per una
datazione precedente al 1297. Ora, di tutta evidenza la seriorit di questi affreschi
rispetto alle Storie francescane della Basilica Superiore: a chi non bastasse lesame dei
caratteri di stile, che appaiono assai pi evoluti rispetto alle Storie francescane, si potr
ricordare - come fa la Hueck - che la facciata della chiesa nel Perdono del console
direttamente ispirata a quella del Compianto delle Clarisse. Un secondo intervento che
sollecita indirettamente una datazione precoce quello di S. Maddalo, Bonifacio VIII e
Jacopo Stefaneschi. Ipotesi di lettura dellaffresco della Loggia Lateranense, in Studi Romani,
XXXI, 1983, n. 2, pp. 129-50, che, sulla base di varie considerazioni - la pi convincente
delle quali il confronto con lIncoronazione di Bonifacio VIII illustrata nel De Coronatione
dello Stefaneschi, codice Vat. lat. 4933, c. 7v -, sottopone a una critica serrata
linterpretazione tradizionale dellaffresco lateranense come Bonifacio VIII che indice il
Giubileo e lo considera invece la Presa di possesso del Laterano da parte di quel papa, che
faceva parte delle cerimonie dellincoronazione, avvenuta il 23 gennaio 1295. Lautrice
suppone che laffresco (in origine molto pi ampio, come noto) fosse stato eseguito
verso il 1297, quando pi alte si levarono le voci contro la legittimit della successione di
Bonifacio VIII a Celestino V. Il linguaggio di questo affresco, che a mio avviso stato
giustamente attribuito dal Bertelli allo stesso autore degli affreschi pi moderni del
monastero delle Tre Fontane a Roma (si veda oltre, p. 131 e nota 72), presuppone le Storie
di san Francesco ad Assisi: che verrebbero - anche per questa via - a sollecitare una
retrodatazione rispetto al 1296-1300 circa previsto di solito da chi crede che esse siano
opera di Giotto. Per inciso, vorrei notare che anche S. Nessi, La basilica di S. Francesco in
Assisi e la sua documentazione storica, Assisi 1982, p. 215 e passim, sembra convinto della
validit di quanto ho proposto e argomentato in proposito. Infine, D. Blume, Wandmalerei
als Ordenspropaganda, Worms 1983, p. 37, prende gi in seria considerazione una
datazione delle Storie di san Francesco agli inizi degli anni novanta.
41
P. Murray, Notes on Some Early Giotto Sources, in Journal of the Warburg and Courtauld
Institutes, 1953, pp. 58-80. Le Storie di san Francesco sono state collegate col pontificato di
Niccol IV anche da Ragghianti, Percorso cit., ma senza fornire altro argomento a
sostegno di questa tesi che non sia quello di una coerenza cronologica allinterno di un
percorso giottesco avanguardisticamente anticipato. Va notato che i mosaici dellultima
vela del Battistero fiorentino, quelli che il Longhi attribuiva a un Ultimo maestro del
Battistero e che il Ragghianti vuole inserire nel percorso stesso di Giotto giovane, lungi
dallessere degli anni ottanta del Duecento, sar difficile possano essere collocati prima
degli inizi del Trecento, dato che certi particolari della moda non compaiono prima di
quellepoca: la veste della Salom, ad esempio, confrontabile solo con quelle delle
donne che si vedono nella cappella degli Scrovegni. Su Niccol IV come possibile
committente per Assisi, si veda anche C. H. Mitchell, The Imagery of the Up-
1985 Giulio Einaudi editore, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
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La pecora di Giotto
per Church at Assisi, negli atti del convegno del 1967 Giotto e il suo tempo, Roma 1971, pp.
113-34, che sottolinea limportanza di Girolamo dAscoli, sia come generale dellordine
sia soprattutto come papa Niccol IV, per il programma iconografico della decorazione
della Basilica Superiore.
42
Andaloro, II sogno cit., afferma categoricamente che la facciata della basilica lateranense
rappresentata da Giotto non presenta alcun elemento attribuibile ad interventi di Niccol
IV. Ma quello di Niccol IV fu soprattutto un restauro di una ruentem ecclesiam;
qualunque incertezza interpretativa si possa avere sul significato esatto di un passo della
scritta che egli stesso fece apporre (romanus praesul partes circumspicit huius Ecclesie
certa jam dependere ruina ante retroque levat destructa reformat et ornat et fundamentis
partem componit ab ymis) chiaro che qualcosa fu fatto anche nella facciata. V.
Hoffmann, Die Fassade von San Giovanni in Laterano, in Rmisches Jahrbuch fr
Kunstgeschichte, 1978, pp. 1-46, pensa che il mosaico di facciata fosse stato rinnovato da
Niccol IV, probabilmente ad opera del Torriti, e si pone il problema se tutta la parte
superiore della facciata fosse stata rinnovata da quel papa. Egli pensa di no, perch vi
mancherebbe una forma costruttiva allora moderna, il cavetto. In realt, nellaffresco di
Assisi il cavetto indicato molto chiaramente (mentre non lo si vede pi nella predella
delle Stimmate di san Francesco del Louvre n nellaffresco dellabside di San Francesco a
Pistoia, che sono le due immagini antiche di San Giovanni in Laterano di cui si serve
lHoffmann, che non considera la raffigurazione della Basilica Superiore di Assisi in
quanto largamente lacunosa; ma, nonostante la vasta lacuna, evidentissima la curvatura
del cavetto cos come lestremit delle ali di uno dei due angeli che in facciata erano
figurati a mosaico ai lati del Salvatore) e questo indurrebbe a rispondere positivamente al
dubbio dellHoffmann. Quanto al termine dependere con cui indicato lo stato rovinoso
della basilica lateranense, mi pare corrisponda in modo puntuale allaffresco assisiate,
tanto da spiegarci la singolarit della raffigurazione della chiesa: pendente come la torre
di Pisa, per intenderci. Credo valga la pena riportare anche, a complemento e per
migliore comprensione della pi lunga scritta riportata dallAndaloro, quella apposta
nellabside della basilica lateranense, datata 1290: Partem posteriorem et anteriorem
ruinosas huius sancti templi a fundamentis reedificari fecit et ornari opere mosayco
Nicolaus PP. IIII. filius Beati Francisci, sacrum vultum Salvatoris integrum in loco ubi
prius miraculose apparuit quando fuit ecclesia consecrata.
43
44
45
II rapporto tra la cattedra papale di Assisi e quella di San Giovanni in Laterano gi stato
notato, proprio per via di questa raffigurazione. B. Kleinschmidt, Die Basilika San
Francesco in Assisi, I, Berlin 1915, p. 144, nota 1, ricorda che il Rohault de Fleury (Le Latran,
p. 185) suppone quella lateranense copiata da quella di Assisi, mentre il Lauer (Le palais
cit., p. 228) crede questa supposizione poco verosimile.
46
Si veda H. K. Mann, The Lives of the Popes in the Middle Ages, VII, London 1931, pp. 14-141.
47
Si veda Lauer, Le palais cit. Il fatto che si tratti di un racconto evidentemente leggendario
non ne diminuisce il valore indicativo.
48
Queste osservazioni sono gi state fatte da C. Brandi, Duccio, Firenze 1951, pp. 130-31, cui
interessava metterle in rapporto con la parte della decorazione della Basilica Superiore
intrapresa da Cimabue. Egli dava ancora molto peso alla lettura che il Kleinschmidt (Die
Basilika cit., p. 192) aveva fatto delle lettere iscritte nel libro del Cristo fra
1985 Giulio Einaudi editore, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
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i Dottori nella vetrata a destra dellabside - Nicolaus pulcro modo me fecit picturari
GM - che risultata errata ad esami pi recenti (si veda G. Marchini, Le vetrate
dellUmbria, Corpus vitrearum medii aevi. Italia I, LUmbria, Roma 1973, p. 30).
49
Vedi G. Fratini, Storia della Basilica e del Convento di S. Francesco in Assisi, Prato 1982, pp.
85-88.
50
51
A. Venturi, Storia dellarte italiana, V, Milano 1907, p. 1050, lo chiama mecenate del Dugento.
52
Su Niccol IV patron of art vedi Mann, The Lives cit., pp. 196-206.
53
Nonostante lopinione espressa da Andaloro, II sogno cit., che, per quanto riguarda il
Sogno di Innocenzo III della Basilica Superiore di Assisi, il rapporto con Niccol IV ne
costituisce un presupposto ineliminabile, ma che cronologicamente non determinante
se non come terminus post quem, mi pare che la prospettiva in cui lautrice vede il papato
di Niccol IV sia estremamente favorevole allipotesi di una sua sostanziale
responsabilit per le Storie francescane di Assisi: dal generalato di S. Bonaventura in poi,
il cammino dellordine francescano, nonostante tutti gli attriti che drammaticamente lo
scuotono, procede nella direzione auspicata dalla chiesa romana, fino al punto che a capo
di essa viene eletto un francescano. Con questo avvenimento losmosi tra le due
istituzioni non poteva avere un sigillo pi marcato. E proprio questo momento della
massima osmosi possibile tra la Chiesa e lordine francescano il pi favorevole a che la
basilica di Assisi, chiesa-madre dellordine e insieme basilica papale, si rivestisse di una
splendida decorazione, anche contravvenendo a disposizioni come quelle dei capitoli
generali, valide per le costruzioni promosse dallordine, ma non per la basilica assisiate,
che non toccata da quelle disposizioni in quanto direttamente dipendente dal papa. Su
questo punto, il libro del Belting (Die Oberkirche cit.) ha chiarito qualsiasi dubbio. Si tenga
presente anche che la nascita di un tesoro della Basilica di San Francesco si deve
sostanzialmente a Niccol IV. Se si pensa alle opere artistiche realizzate da questo papa, e
in particolare alla promozione dellarte figurativa con la commissione dei grandiosi
mosaici di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore, di nuovo si ha in lui il
committente ottimale della decorazione della Basilica Superiore di Assisi. Pi ci si riflette
sopra, pi viene da pensare a Niccol IV come a uno dei papi pi importanti come
mecenati artistici, paragonabile a un Giulio II. Uno studio su questo papa come
committente credo sarebbe di enorme utilit da parte di chi si occupa di questi aspetti
della storia dellarte.
54
Pietro Toesca, cui va il grande merito di aver resi noti gli affreschi (Gli antichi affreschi di
Santa Maria Maggiore, in LArte, 1906, pp. 312-17), giunse in seguito ad attribuirli a
Giotto (II Medioevo, Torino 1914-27, p. 1061); per la fortuna di questa attribuzione, si veda
Previtali, Giotto cit., p. 370. Di una possibile attribuzione a Filippo Rusuti si parler oltre.
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Non si pu fare a meno di ricordare qui che largomento condizionante per la cronologia
degli affreschi di Assisi, secondo cui la Volta dei Dottori non dovrebbe essere precedente
al 1298 perch solo allora Bonifacio VIII avrebbe decretato il culto dei Dottori della
Chiesa, non ha alcuna validit. Nonostante sia ancora utilizzato con imperterrita
ostinazione dal Brandi (Giotto, Milano 1983, p. 14), esso stato gi confutato ampiamente
e in modo definitivo. Previtali, Giotto cit., p. 38, adduce la testimonianza dellEnciclopedia
cattolica secondo cui il culto dei Dottori molto pi antico di Bonifacio VIII, che si limit a
istituire per essi il rito doppio. Gardner, Pope Nicholas cit., nota 113, fa notare la
raffigurazione dei Padri della Chiesa gi nel mosaico absidale di San
1985 Giulio Einaudi editore, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale
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La pecora di Giotto
Clemente a Roma. Anche Belting, Die Oberkirche cit., pp. 95-96, confuta quella vecchia
illazione cronologica con gli argomenti addotti dal Previtali e dal Gardner e cita laffresco
di San Giovanni a Tubre degli inizi del XIII secolo, cui ha poi dedicato unattenzione
particolare B. Brenk, Zu den Gewlbefresken der Oberkirche in Assisi, in Roma cit., pp. 221-28.
In questo affresco, la presenza di Padri della Chiesa accostata ai simboli degli
Evangelisti e alla Desis, in un contesto iconografico assai affine a quello delle volte della
Basilica Superiore di Assisi.
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