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Psicologia della musica

1997-2001 Germano Rossi,


Dipartimento di Psicologia e Antropologia Culturale,
Universit di Verona
Cenni storici
La Psicologia della Musica, fin dalla sua nascita attorno agli inizi del secolo, si occupata di quasi
tutti gli aspetti inerenti la musica, inizialmente (fino agli anni '30) quasi esclusivamente in relazione
alla percezione dei suoni o dei toni oppure all'indagine sulle abilit musicali precoci e, infine (anni
'40-50), sul suo uso psicologico, ad es. nell'industria. Attorno agli anni '60 si iniziarono a studiare
non pi i suoni, ma la musica vera e propria affrontando il problema del significato della musica. Le
prime ricerche in questo campo furono relative agli "effetti" psicologici dei modi maggiore e
minore, delle tonalit, delle consonanze e delle dissonanze, del ritmo.
Gli anni '70, con l'introduzione delle scale di misurazione e del differenziale semantico, portano al
nascere di numerose ricerche che esplorano il significato "verbale" della musica, utilizzando
appunto liste di aggettivi descrittivi oppure profili semantici. Contemporaneamente, per, si faceva
sentire anche l'influsso della psicologia della Gestalt e si venivano sviluppando un'ampia serie di
ricerche legate alla percezione della musica: percezione delle melodie, degli accordi, dei ritmi, degli
intervalli... compresa la ricerca di varie illusioni "acustiche" quali il mascheramento tonale, che
ritrovavano i principi basilari della percezione gestaltica (tipicamente di tipo visivo) anche
nell'ambito musicale.
E' solo verso la met degli anni '70 che si vengono sviluppando nuovi campi di ricerca, ma
soprattutto nuovi approcci metodologici a vecchi argomenti; ci grazie alla pi recente approccio
cognitivista.
Da un'analisi cognitiva dei problemi di studio della musica nascono sostanzialmente tre filoni di
ricerca:
i meccanismi che sottostanno al processo compositivo;
quelli che sottostanno ai processi d'esecuzione di una musica;
quelli relativi all'ascolto musicale.
Composizione, esecuzione e ascolto musicale sono, in effetti, tre punti fondamentali della musica
intesa come processo cognitivo, cio come processo che si basa su rappresentazioni mentali che
l'individuo si crea nei confronti della musica. Il compositore, per poter esprimere coi simboli
notazionali quel "messaggio" musicale che vuol comunicare, l'esecutore per poter ricercare quello
stesso "messaggio" a partire dagli stessi simboli di notazione ed, infine, l'ascoltatore per poter
comprendere quel "messaggio".
In questo tipo di approccio, si fondono, oltre al paradigma cognitivista, anche quello della teoria
dell'informazione ed, in parte, quello semiotico-linguistico. Compositore, esecutore e ascoltatore
sono gli utenti di un mezzo comunicativo (la musica) che utilizza diversi canali trasmissivi (la
notazione scritta, il suono) per veicolare un "messaggio": la rappresentazione mentale che sta sotto
ad una musica.
Cos, a fianco dei ricercatori che continuano le indagini di laboratorio e lavorano su accordi,
intervalli, microtoni, scale..., ci sono ora i ricercatori "ecologici" che studiano il fenomeno musicale
dal "vivo", ossia osservando ed analizzando non i risultati di un esperimento di laboratorio ma
piuttosto un compositore mentre compone, un esecutore mentre suona uno strumento e un
ascoltatore mentre ascolta. In quest'ultimo caso ci sono difficolt oggettive del ricercatore
nell'osservare dei comportamenti espliciti dell'ascoltatore mentre ascolta.
Ma sostanzialmente, l'approccio cognitivo sottintende che la musica sia un linguaggio e che perci
partecipa di tutti i meccanismi percettivi, di apprendimento e di analisi tipici del linguaggio.

Musica e significato
Quando ascoltiamo per la prima volta una qualsiasi musica, siamo generalmente in grado di
attribuirle uno stile generico (musica classica, rock, jazz, country...) e spesso siamo anche in grado
di attribuire a quella musica altre categorie (categorizzazione) sulla base dello stile generale e/o
particolare del periodo, dell'autore, del tipo di brano musicale, del tipo di strumento.
Questo accade perch noi abbiamo una conoscenza spontanea delle principali categorie musicali;
spontanea nel senso che anche le persone che non hanno "studiato" musica ma che la ascoltano
abitualmente sono in grado di effettuare questi giudizi. Questo perch la musica un linguaggio e
come il linguaggio comune, noi la impariamo semplicemente usandola, ascoltandola. Parlare di
educazione musicale fa subito pensare a corsi tecnici in cui si imparano le note, a suonare uno
strumento o a comporre, mentre la prima educazione musicale viene "vissuta" fin dalla nascita.
La musica come linguaggio
La discussione sul fatto che la musica sia o meno un linguaggio decisamente vecchia e si svolta
sostanzialmente fra chi pensava che la musica, essendo un'arte, non pu comunicare nulla perch
pura forma e chi riteneva la musica capace di comunicare ed esprimere emozioni. La "querelle" fra
formalisti ed espressionisti si trascinata fino agli inizi del '900 quando la linguistica cominci a
formalizzare i propri studi e a cercare di definire cos' un linguaggio. Le prime discussioni
sembravano concludere che la musica non un liguaggio, soprattutto perch non possiede la
caratteristica della doppia articolazione. Con il termine "doppia articolazione" i linguisti intendono
il fatto che nel linguaggio noi articoliamo le parole (che hanno un loro significato) per costruire le
frasi (anch'esse significative). In musica invece le cose non funzionano esattamente cos: non
semplice identificare qualcosa che corrisponda ad una "parola" e le "parole della musica" (i temi)
non vengono semplicemente accostati fra loro per formare una frase musicale. Un superamento di
questo posizioni si avuto quando sono stati correttamente identificati i termini del problema: nel
linguaggio esistono dei componenti minimali privi di significato (i fonemi) che vengono utilizzati
per creare dei componenti minimi che posseggono un significato (i morfemi) i quali a loro volta
vengono usati per creare le parole e le frasi. In musica esistono le note che sono, in s, prive di
significato, che vengono usate per creare i intervalli e accordi che sono il materiale utilizzato per
strutturare i temi e le frasi musicali.
Si dovuto attendere fino all'avvento degli studi semiotici sui segni dei vari linguaggi per chiarire
meglio le relazioni fra il linguaggio comune (d'ora in poi, Linguaggio) e la musica (Sloboda, 1985,
p. 49):
sia la musica che il Linguaggio sono dei sistemi di comunicazione universali fra gli uomini e
specie specifici, ovvero non si conoscono specie animali che utilizzino la musica come noi;
entrambi i linguaggi possono produrre un numero illimitato di "frasi";
i piccoli della specie (i bambini) imparano entrambi i linguaggi esponendosi agli esempi
prodotti dagli adulti;
entrambi i linguaggi usano, fondamentalmente, lo stesso canale uditivo-vocale;
esiste una forma scritta;
in fase evolutiva, la ricezione precede la produzione;
in entrambi i linguaggi possibile distinguere una fonologia (i componenti del linguaggio),
una sintassi (le regole per combinare fra loro le componenti) e una semantica (attribuizione
di significato ai prodotti del linguaggio).

Acquisizione e sviluppo
L'acquisizione delle abilit musicali nel bambino
L'acquisizione e lo sviluppo delle abilit musicali nel bambino non possono essere slegate
dall'acquisizione e dallo sviluppo di abilit pi generali. Diventa quindi necessario ed indispensabile
fare riferimento a teorie generali dello sviluppo, quali quella piagetiana, e a teorie generali della
percezione, quali quella di Gibson. Si deve per anche considerare che, se la musica un
linguaggio, essa deve partecipare anche dei meccanismi di aquisizione e sviluppo tipici del
linguaggio.
In effetti le ricerche svolte sui bambini e sulle loro acquisizioni, sembrano dimostrare come sia
Piaget che Chomsky (ma anche la Gibson e Gardner) hanno parzialmente ragione e che le loro
teorie possono aiutare a capire i risultati ottenuti.
Sloboda distingue fra acculturazione (che avverrebbe fra la nascita e i 10 anni circa), inconsapevole
e spesso automatica, e l'educazione, consapevole e voluta.
Il primo anno di vita

a 5 mesi i bambini sono sensibili alle strutture sequenziali (reagiscono a nuove melodie, non
reagiscono a trasposizioni di melodie a cui si sono abituati);
a 6 mesi i bambini, quando odono un suono, si arrestano e si volgono verso la fonte del
suono; possono muoversi od ondeggiare in presenza della musica ma non a tempo;
verso i 9 mesi, i bambini cominciano a fare esercizi vocali-musicali (lallazione cantata) e in
particolare in presenza di canzoni o musica;

La Psicologia della musica: Bibliografia


Raccolgo in queste pagine molte indicazioni bibliografiche. Per facilitarne l'uso e l'accesso, ho
pensato di dividere la bibliografia in diverse parti e al loro interno, di suddividere il materiale in
lingua italiana dal resto (questo per facilitare gli studenti del Corso di Laurea in Scienze
dell'Educazione che affrontano l'inglese solo alla fine del primo biennio).
Come bibliografia non ha la pretesa di essere completa n tantomeno esauriente. Proviene
infatti dal materiale in mio possesso o disponibile presso la Biblioteca Centralizzata "A. Frinzi" o
presso il Dipartimento di Psicologia e Antropologia Culturale dell'Universit di Verona.
Analogamente la classificazione di un riferimento bibliografico in una delle tre categorie
ovviamente arbitraria. Ho infatti dei riferimenti bibliografici che, per vari motivi, non so
classificare.
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Vinay Gianfranco (1974) L'America musicale di Charles Ives, Torino, Einaudi.
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Zaccaro Gianfranco (1979) Storia sociale della musica, Roma, Newton Compton.

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