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alle vicine scogliere Ceraunie, da dove la via per lItalia e pi breve il viaggio sulle onde...e gi,
fugate le stelle, rosseggiava lAurora, quando da lungi scorgiamo oscuri colli e il basso lido
dellItalia...Le invocate brezze rinforzano, e gi pi vicino si intravede un porto, e appare un tempio di
Minerva su una rocca. I compagni ammainano le vele e volgono a riva le prore. Il porto incurvato ad
arco dalla corrente dellEuro; i suoi moli rocciosi protesi nel mare schiumano di spruzzi salati, e lo
nascondono; alti scogli infatti lo cingono con le loro braccia come un doppio muro, e ai nostri occhi il
tempio si allontana dalla riva".
E' evidente che Otranto rappresentava la tappa pi vicina dalle coste dell'odierna Albania. Da
Butrinto, Otranto, in linea d'aria alquanto vicina.
Ad ogni modo, secondo lo storico Dionigi di Alicarnasso, le navi di Enea approdarono in punti
diversi delle coste salentine: alcune nei pressi di Otranto, ove si trova la grotta dei cervi, altre nei pressi
di Leuca ed infine altre nei pressi di Roca. Ma recenti studi hanno dimostrato che la nave di Enea
approd in un luogo denominato Castrum Minervae, l'attuale Castro, ove egli stesso scorse da
lontano un porto e "sulla rocca il tempio di Minerva".
Dunque all'approdo di Enea vi era, in Salento, un vero e proprio tempio dedicato a Minerva,
dove gli archeologi dell'Universit di Lecce hanno rinvenuto persino frammenti di una statua di divinit
femminile e molte armi in ferro a lei offerte. In quel tempio, dunque, si venerava una dea guerriera. Si
venerava Minerva.
E quindi si ritiene che nel Neolitico vi fossero comunit in qualche modo organizzate e con riti
religiosi simili a quelli greci.
Il neolitico un'importantissima fase di evoluzione della specie umana, in cui l'uomo passa
dalle attivit venatorie alla coltivazione della terra, alla formazione di comunit organizzate (villaggi),
alla realizzazione di opere in ceramica, tessiture, insomma, di produzione artigianale.
Alcune tracce della presenza dell'uomo nel neolitico si possono rinvenire sulle coste dello
Jonio, nei pressi di Gallipoli, ma va detto che a seguito dell'evoluzione verso un'economia agricola, vi
furono spostamenti verso l'interno. Nell'entroterra salentino, infatti, possiamo incontrare tutt'oggi opere
appartenenti alla fine del neolitico, i cosiddetti megaliti: Dolmen, Menhir, Specchie e Bethel.
Si narra che questi grossi ammassi di pietre fossero stati costruiti da antichi popoli giunti in
Salento da lontano. Le leggende narrano che a costruire dette opere furono i popoli Celti ed Egizi. Essi
usavano simili costruzioni per venerare i defunti. Una delle teorie pi accreditate, infatti, vuole che i
dolmen fossero vere e proprie camere funerarie, un po' come le famose piramidi egiziane.
Altre teorie, molto pi suggestive, fanno riferimento alla presenza di antichissime popolazioni,
discendenti del leggendario popolo di Atlantide, i Tatha D Danann, che hanno abitato l'Irlanda in
tempi antichi, prima dei Celti e che costruirono i megaliti di cui ricco il paesaggio irlandese, come
quello pugliese.
Si racconta che questi personaggi leggendari fossero dei giganti, dalla forza sovrumana, capaci
di erigere i megaliti con ammassi di pietre gigantesche, pesanti anche pi di 100 tonnellate, con la sola
forza delle braccia. Difficile pensare siano state realizzate dalla forza di uomini comuni.
E' vero che questi sono racconti mitologici che non trovano riscontro nelle cronache storiche leggende tramandate oralmente, di origine medievale e diffuse in modo prevalentemente orale, quindi
poco accertabili; tuttavia sorgono due importanti dubbi sul filo comune che lega l'Irlanda alla Puglia e,
in particolare, al Salento.
Primo. I megaliti sono testimonianze storiche inconfutabili, presenti in entrambi i territori,
mentre non si trovano in altre zone d'Italia (solo in Sicilia e Sardegna). La loro somiglianza fa pensare
che i costruttori siano stati gli stessi, perch difficile immaginare che le tecniche di costruzione siano
frutto del caso.
Secondo. Un ricercatore salentino, Cosimo Pagliara, ha studiato le iscrizioni nelle grotte di
Torre dellOrso e in quella di Roca, denominata La Poesia, e ha comunicato i nomi di alcune divinit
messapiche come Tator o Taotor, una delle pi importanti di questa zona.E' curiosa la somiglianza con
il nome Tatha.
Ma torniamo ai racconti storici. S' detto che la terra di Salento era abitata sin dal paleolitico (se
non da prima), e che l'Homo Sapiens ha lasciato molte testimonianze del suo passaggio. Non sappiamo
precisamente a quale epoca appartenessero, ma sono rimaste numerose testimonianze della cultura
salentina pre-messapica.
Il primo popolo che ha lasciato testimonianza di un vivere organizzato, associato, con regole
democratiche ed estremamente produttivo quello dei Messapi, una vera e propria civilt molto
progredita, che ha vissuto,coltivato, civilizzato e difeso il territorio salentino dai continui attacchi
provenienti sia dal mare sia dai territori contermini.
I Messapi facevano parte dell'etnia degli Iapigi, insieme ai Peucezi, che abitarono nel centro
della Puglia ed ai Dauni, che s'insediarono nel nord della Puglia. Gli Iapigi erano consanguinei degli
Enotri, un'altra trib d'origine illirica che viveva nella Basilicata e nella Calabria settentrionale, da qui
il termine Enotria (terra del vino), che Omero utilizzava per indicare l'Italia.
Non sappiamo di preciso da dove provenissero i Messapi. Lo storico Erodoto racconta che
provenissero dai Cretesi che in seguito ad un naufragio si stanziarono in Puglia prendendo
successivamente il nome di Iapigi-Messapi.
Non sappiamo se l'origine cretese fosse certa, in quanto gi il territorio salentino era abitato da
popolazioni autoctone mischiate nel tempo con altri popoli: Micenei, popolazioni provenienti
dallAnatolia, dallEpiro ed infine gli Illiri che, nel loro navigare, giunsero in terra di Salento e
probabilmente vi s'insediarono.
Anche l'origine del nome appare incerta. Alcuni ritengono che il nome significhi popolo tra
due mari, mentre altri traggono l'origine del nome dalla loro usanza di allevare i cavalli.
Difatti i Messapi erano grandi allevatori di cavalli, tanto che ancora oggi la carne di cavallo
largamente utilizzata nel territorio salentino, ove una delle ricette tipiche proprio quella dei pezzetti di
cavallo. Inoltre erano dediti alla coltivazione della vite e degli ulivi, tant' che questo tipo di
produzione arrivata fino ai giorni nostri, considerando che il Salento produce vini di primissima
qualit ed il maggior esportatore di olio d'Italia. Eredit, dunque, di un popolo antichissimo che ha
tramandato di generazione in generazione la tecnica della coltura dell'ulivo e delle viti e, chi pu dirlo,
magari ha piantato i primi alberi secolari d'ulivo che oggi possono ammirarsi nelle campagne salentine.
Inoltre sono giunte a noi molte opere di artigianato, come le trozzelle, ingegnosi recipienti dalla
forma di anfora dal corpo panciuto che devono il suo nome alle quattro coppie di rotelle, le trozze,
disposte alle estremit dei manici, usate per l'approvvigionamento dell'acqua dalle cisterne. In poche
parole si facevano passare delle fasce dalle trozze e s'immergeva l'anfora nella cisterna. Con questo
sistema l'anfora non toccava mai le pareti della cisterna e quindi non rischiava di rompersi.
Ma infinita la produzione artigianale che i Messapi ci hanno lasciato e che tutt'oggi
sopravvive in alcune zone del Salento, maggiormente influenzate dalla cultura messapica (Soleto, Muro
Leccese, Lecce ed i paesi limitrofi, Ugento, Gallipoli, Nard, Otranto, Roca Vecchia, Vaste, Manduria,
Mesagne, ecc.).
I Messapi usavano vestire in modo semplice, con sandali e vesti lunghe, aiutati, per questo, da
un clima mite anche d'inverno; mentre le donne vestivano con lunghe tuniche e si ornavano la testa con
delle corone. Tale modo di vestire rifletteva l'indole tranquilla del popolo, difatti lo storico Erodono
narra che i Messapi fossero un popolo estremamente compatto, legato fortemente alla propria terra,
autonomo e indipendente nonch pacifico e laborioso, tanto che ancora oggi possibile ammirare i loro
lavori, sopravvissuti per pi di 5000 anni...Nella foto, per esempio, possibile ammirare un muretto a
secco risalente all'epoca messapica, sito in agro di Calimera, a due passi dal Dolmen Placa.
I messapi avevano un vero e proprio attaccamento alla propria terra, cos tanto da adornarla,
curarla, coltivarla, venerarla.
La propria indole pacifica e laboriosa li portava ad essere non solo poco bellicosi (con ci non
significa che non fossero combattivi!) ma anche molto democratici; la struttura sociale delle comunit
messapiche, difatti, era impostata sul governo di coloro che si dimostravano saggi e cauti, i quali
usavano ascoltare il parere di tutti, applicando regole di convivenza eque e giuste.
Inoltre ogni comunit, pur essendo autonoma, era fraternamente legata alle altre, in un sistema
di mutuo soccorso che favoriva lo scambio delle conoscenze, delle merci e un sistema di difesa del
territorio di tutto rispetto.
Tutto ci testimoniato da diverse fonti storiche, in particolare dagli storici Erodoto e Tucidide.
eroe messapico r
Nel 473 a.C. il principe Arthas, sconfisse la potentissima armata greca. Mai fino
ad allora un piccolo popolo, come quello dei Messapi, fu in grado di sconfiggere i greci. E da allora
Arthas fu chiamato Il Grande.
In un periodo storico in cui i popoli tentavano in tutti i modi di espandere il proprio potere, i
Messapi si accontentavano di quello che avevano, ma ci non significa che fosse un popolo che non
conosceva le armi, anzi. Furono proprio le mire espansionistiche dei Greci e di Taranto (governata dai
Greci) a costringerli a difendere strenuamente il proprio territorio, come ci racconta lo storico Erodoto.
In concomitanza con la famosa guerra delle termopili, in cui i 300 spartani difesero la propria
libert dalle armate di Serse, furono proprio gli spartani ad invadere il territorio salentino, nell'intento
di creare colonie e reperire ricchezze e forza lavoro (schiavi...), e fu cos che fondarono la citt di
Taranto, dedicata a Taras, figlio di Poseidone, mitologico fondatore della citt magnogreca.
Ma nel loro intento di espandersi pi ad Est, incontrarono la resistenza dei Messapi, i quali,
grazie ad uno sparuto ma valente pugno di soldati, chiamati i Leoni di Messapia, nel 473 a.C.
ottennero, con l'aiuto dei Peucezi e dei Dauni, una grande vittoria, tanto che la notizia risuon in tutto il
mondo conosciuto, come una pesantissima sconfitta alla civilt greca.
Nel frattempo Leonida venne sconfitto alle termopili, il re Pausania, che, nella Battaglia di
Platea in Beozia, sconfisse i Persiani, venne destituito e Temistocle fugg da Atene. Si apr un periodo
di crisi e di destabilizzazione politica, terminato, almeno ad Atene, con la presa del potere di Pericle,
che gett le basi per la creazione di una vera e propria democrazia. Tuttavia le guerre non erano finite,
tanto che in un periodo ricompreso tra il 431 a.C. E il 404 a.C., vi fu la cosiddetta guerra del
Peloponneso, tra Sparta, Atene e le rispettive coalizioni. In questo quadro, l'apporto dei Messapi fu
decisivo per Atene, in quanto il principe messapico Arthas, temuto e stimato in tutto il mondo greco,
prest aiuto agli Ateniesi contro Siracusa (413), tanto perch i Messapi avevano aderito alla lega DelioAttica a seguito di un accordo che consentiva loro di mantenere la propria autonomia rispetto alle mire
espansionistiche della Grecia.
Difatti lo storico Tucidide racconta che gli ateniesi attraversarono lo Jonio e approdarono nella
zona in cui oggi sorge la suggestiva localit di Porto Cesareo, per imbarcare 150 lanciatori di
giavellotto. Ci dimostra quanto gli ateniesi stimassero la forza e la destrezza dei Leoni di Messapia.
Ma la stima si estendeva anche alle grandi capacit diplomatiche del giovane re Arthas, di cui
oggi abbiamo poche e frammentate notizie, ma che ci danno l'idea della sua straordinaria diplomazia,
abilit fisica e capacit di governo.
Anfiteatro Romano di Lecce
La diplomazia e la grande fibra morale del principe Arthas riuscirono a convincere i greci a farli
vivere in pace, tranquillit, autonomia ed indipendenza, almeno fino alla venuta dei romani, i quali,
dopo lunghe e continue incursioni in terra di Messapia, riuscirono a sconfiggerli e sottometterli nel 266
a.C. Va detto che Roma non ha mai gradito la presenza di popoli ricchi e potenti che avrebbero
rappresentato un pericolo per le loro mire espansionistiche, e dunque, a seguito di cruenti battaglie,
costate la vita di migliaia di Messapi, Roma espugn le citt fortificate salentine e le costrinse ad una
resa incondizionata.
A seguito di ci, le citt messapiche erano cadute in uno stato di crisi economica e demografica.
Il loro stato di esasperazione si rivel durante le guerre puniche, quando le citt messapiche si allearono
con Annibale, non tanto perch gli interessasse sconfiggere Roma, quanto per tentare di riconquistare la
propria autonomia. Per ai Romani non scese gi questo gesto, e difatti le propriet delle genti del
Salento furono confiscate ed assegnate al territorio demaniale, al vecchio lotto si sostitu il latifondo a
lavoro schiavile, la penisola si ripopol, ma le citt messapiche avevano perso per sempre il loro ruolo
di protagoniste.
Siamo ora nel 95 a.C. Marco Livio Druso propose una legge a favore dell'estensione della
cittadinanza romana ai popoli italici, ma la proposta non piacque n ai senatori n ai cavalieri.
Druso venne ucciso per questo e ne scatur la guerra civile. Anche i Messapi parteciparono alla
guerra civile, nell'intento di riconquistare quell'autonomia ormai perduta, nella speranza, inoltre, di
ritornare a coltivare la propria terra, di allontanare l'invasore romano che, forte della legge e delle armi,
si appropriava di terre, schiavi, donne, citt. Ma la guerra civile fall e Roma premi con la cittadinanza
i popoli che non vi avevano preso parte.
Tuttavia non si pu guardare alla storia di Roma nel Salento come una storia fatta solo di
conquiste e razzie. Sarebbe storicamente inesatto e fuorviante. Roma ha dato al Salento strade, come la
via Appia, che collega Roma a Brindisi, un anfiteatro presente al centro di Rudiae, l'odierna Lecce, un
Teatro, situato a pochi passi dall'anfiteatro leccese, delle terme, sepolte sotto piazza Vittorio Emanuele
(detta piazzetta S. Chiara) e molto altro.
I Romani conquistarono il Salento e ne furono conquistati, scoprendone la scultura, la pittura e
il il gusto della poesia. Difatti uno dei pi grandi scrittori e poeti di Roma fu Quinto Ennio.
Siamo nel Mediterraneo Orientale, in un periodo compreso tra il 1627 a.c. e il 1600 a.c.
La Civilt Minoica ha raggiunto il suo apice di potenza e lisola di Thera - chiamata anche Santorini uno dei suoi capisaldi, forte sia della sua posizione commercialmente strategica sia di una
conformazione fisica unica, sviluppandosi come un gigantesco porto naturale con ununica apertura
verso sud.
In passato sullisola si sono gi verificate attivit eruttive di modeste entit, ma si trattato sempre di
eventi sporadici, che non hanno intaccato il benessere della popolazione e chi sono sempre
apparentemente risolti dopo il giusto numero di sacrifici a Poseidone, il dio che scuote la terra:
stavolta, per, la situazione ben diversa e nessuna delle ecatombi fatte dai sacerdoti minoici potr
impedire il disastro che sta nascendo nel sottosuolo.
di vulcano il cui magma particolarmente viscoso tende a trattenere i gas per periodi
molto lunghi e genera quindi enormi pressioni nel sottosuolo: le eruzioni di questo
tipo sono molto rare e distanziate nel tempo, ma proprio per questo riescono a
raggiungere una potenza distruttiva che va ben oltre la semplice fuoriuscita di lava.
Sono passati 17.000 anni dallultima eruzione e la terra, ormai, non riesce pi a
trattenere le energie che si sono accumulate sotto di essa: dopo unesplosione iniziale,
dal cono vulcanico comincia a fuoriuscire una densissima colonna di cenere, detta
"colonna pliniana", che il vento sposta rapidamente verso est.
Tale la quantit di polveri rilasciata dal Thera da raggiungere persino il Mar Nero
e da condizionare il clima dellintero pianeta, mentre per chilometri e chilometri
piovono frammenti piroclastici, ossia frammenti di lava che possono raggiungere
anche dimensioni considerevoli (le cosiddette "bombe piroclastiche"), che ovunque
portano morte e devastazione.
a questo punto che il vulcano entra nella sua vera fase critica.
Dalle spaccature cos venutesi a creare, lacqua marina entra in contatto con il
magma rovente, generando unesplosione immane che spacca lisola in pi punti
(facendole assumere la fisionomia attuale, ossia quella di un piccolo arcipelago) e il
cui boato tanto forte da raggiungere persino lEgitto: con il cono vulcanico in
frantumi, unimmensa nube ardente si riversa fuori dalla terra, un fronte di gas la cui
temperatura oscilla tra i 500 e i 1200 e che schizza fuori a una velocit di circa 300
km/h.
Come succeder a Pompei ed Ercolano circa 1600 anni dopo, la nube ardente ricopre
tutto con uno strato di fango e lava spesso parecchi metri, cancellando ogni cosa
sullisola e incenerendo le eventuali navi che in quel momento stavano transitando
nelle sue vicinanze.
E mentre il fuoco sotterraneo esaurisce le sue ultime spinte, tocca allacqua portare
avanti lultima fase di questa tragedia, sotto forma di una serie di grandi tsunami (gli
studiosi sono discordi: c chi parla solo di unonda, chi di due, chi, invece, di diverse
onde che si susseguirono per ore o addirittura per giorni) alti fino a 30 metri che in
breve tempo spazzano via ogni cosa sul loro cammino, lasciandosi dietro decine di
migliaia di morti e le rovine di intere citt distrutte dalla loro violenza.
Tracce di questultimo cataclisma sono state trovate fino in Tracia (a Nord), a Creta
(a Sud), sulle coste della Turchia e della Palestina (ad Est) e persino sulle coste
orientali della Sicilia (a Ovest), segno inequivocabile di una potenza distruttiva che
non verr mai pi incontrata dai popoli del Mediterraneo.
A questo punto il vulcano ha esaurito gran parte della sua forza e anche se piccole
eruzioni ed emissioni di materiale piroclastico si alterneranno nei giorni successivi, si
pu dire che il Thera abbia ricominciato a dormire.
Il cataclisma durato solo quattro giorni, ma sono bastati per portare la morte a
decine di migliaia di persone, per distruggere unintera civilt e per stravolgere per
sempre la Cultura Occidentale.
Le conseguenze delleruzione del Thera (Santorini): il crollo della Civilt Minoica
Allindomani dellesplosione di Santorini, la situazione in cui versano Creta e le altre colonie
Minoiche sicuramente drammatica, con una popolazione falciata dal cataclisma e le citt devastate
dalle esplosioni o dalle onde anomale. I feriti vengono curati e gi si cerca di ricostruire ci che stato
distrutto, ma i danni che il Thera ha causato vanno ben oltre le semplici possibilit di riparazione
materiale e feriscono dritto al cuore leconomia e la cultura di questo popolo.
Fino a poco tempo prima, infatti, la vita religiosa e politica minoica era stata diretta da una classe
sacerdotale femminile legata a una serie di divinit, tra cui spiccava il culto della Potnia, o "Signora",
che nullaltro era se non il nome cretese con cui veniva identificata la "Grande Madre" delle culture
mediterranee pre-indoeuropee.
Di primo acchito questa potrebbe sembrare una domanda banale, di quelle che vengono proposte nei
programmi televisivi del mistero per intrigare il pubblico, eppure si tratta di una teoria seria, che ha
trovato molti sostenitori tra gli archeologi e gli storici di tutto il mondo.
Esaminiamo i fatti.
Il primo a parlare di Atlantide fu il filosofo ateniese Platone nei suoi dialoghi Timeo e Crizia: nel
primo, il personaggio di Crizia (zio dello stesso filosofo e capo dei "Trenta Tiranni" di Atene) racconta
ai suoi compagni di come al legislatore ateniese Solone, recatosi in Egitto per completare la propria
istruzione, fosse stata raccontata da un sacerdote di Sais unantichissima storia riguardante la citt di
Atene.
Secondo questo racconto, novemila anni prima, oltre le Colonne dErcole era esistito un vasto
continente di nome Atlantide, la cui dinastia regnante aveva spinto la propria ambizione fino a
conquistare lItalia e lAfrica fino, per poi tentate di invadere anche la Grecia.
Tali progetti di conquista si sarebbero, per, scontrati con la resistenza della citt di Atene, che ora da
sola, ora al comando di una coalizione pangreca, sarebbe riuscita prima a respingere linvasione e poi a
liberare tutte le terre aldiqu delle Colonne dErcole.
A questo punto, lira degli dei si sarebbe abbattuta su Atlantide, che in un giorno e una notte sarebbe
stata inghiottita dal mare da una serie di terrificanti terremoti e inondazioni.
Nel Crizia, invece, lo stesso personaggio ne descrive lungamente la storia e la cultura, presentandola
come un impero vasto e ricchissimo, per secoli governato in armonia da una stirpe di dieci re
discendenti da Poseidone.
Anche se risulta subito palese come queste storie siano state impiegate da Platone per sostenere le
proprie teorie politiche e filosofiche, nel corso dei secoli sono stati in molti a chiedersi se il fondatore
delAccademia non avesse comunque tratto ispirazione da un corpus di leggende preesistente e, se ci
fosse stato vero, dove sarebbe stato possibile collocare la misteriosa isola di Atlantide.
Sorvolando sulle varie teorie fatte fino a ora (Atlantide stata identificata con lAmerica del Nord, con
le Canarie, con Malta e persino con la Sardegna Nauragica) possiamo concentrarci su quella proposta
inizialmente, ossia se la leggenda possa essere in qualche modo legata alla catastrofica eruzione
dellisola di Thera e, spingendoci ancora oltre, se proprio a Santorini possa essere assegnato il nome di
Atlantide.
Il primo parallelo tra la realt e la storia sorge spontaneamente nel collegare le catastrofi che hanno
colpito entrambe le isole, seppur con risultati diversi (Atlantide affonda lasciando una distesa di banchi
di fango che impediscono la navigazione, mentre Thera si spacca in pi punti, ma resta emersa), mentre
un altro emerge raffrontando la geografia di Santorini con quella della capitale del continente perduto.
Nel Crizia, infatti, vi scritto come questa citt sorgesse nel luogo dove Poseidone, allo scopo di
proteggere Clito (una ragazza di cui si era innamorato e con si era unito) aveva circondato la collina
dove ella viveva e le terre circostanti con tre cerchie di mare e due di terra perfettamente concentriche e
di ugual misura. Successivamente, gli Atlantidei, discendenti del dio e di Clito, avrebbero scavato un
lunghissimo canale per collegare la loro capitale con il mare esterno.
Questa descrizione ricorda molto da vicino di Thera prima dellesplosione, che si presentava come
unisola di forma circolare (tipica delle isole vulcaniche) con una laguna interna e unisoletta minore su
cui doveva sorgere il cono vulcanico.
Altro punto interessante il rituale che secondo Platone i dieci re compivano prima di giudicare un
reo, secondo cui essi dovevano dare la caccia con bastoni e corde fino a quando non riuscivano a
catturare un esemplare adatto per il sacrificio propiziatorio.
Il toro era uno dei simboli di Creta e tali "cacce" rituali hanno fatto pensare a molti storici alla gi
citata taurocatapsia, i giochi sacri che nel mondo minoico (non dimentichiamo che Thera era uno dei
capisaldi di quella civilt) precedevano i sacrifici religiosi.
Certo, accettare la teoria che identifica Atlantide con Thera (o con Creta, piccola variante che parte
dagli stessi presupposti) rende necessario ignorare anche molti dei particolari lasciati da Platone, primo
fra tutti il fatto che secondo la leggenda essa dovesse trovarsi aldil dello Stretto di Gibilterra, ma gli
studiosi che sostengono tale visione chiamano in causa ora gli errori di traduzione, ora lingigantimento
dei fatti operato dalla lunga riproposizione orale di queste storie antiche, ora lintervento deliberato di
Platone, che potrebbe aver attinto a un corpus di leggende preesistente, modificate in modo da renderle
pi attinenti ai suoi scopi.
La questione tuttora aperta, ma sia i detrattori quanto i sostenitori di tale teoria sono concordi nel
sostenere che, se la Leggenda di Atlantide ha una base reale, lunico evento naturale che pu averla
ispirata leruzione del Thera del 1600 a.c.
Una colorazione sanguigna dellacqua tipica laddove la cenere vulcanica presenti forte
contenuto di ferro
Invasione di rane dai corsi d'acqua
I pesci predatori dei girini sarebbero stati avvelenati dalla cenere vulcanica, facendo giungere a
maturazione una quantit di esemplari enormemente superiore al normale
Invasione di zanzare
La scomparsa dei loro predatori naturali le avrebbe fatte proliferare enormemente
Invasione di mosconi
La scomparsa dei loro predatori naturali le avrebbe fatte proliferare enormemente
Moria del bestiame
Inalazione di polveri tossiche
Ulcere su animali e uomini
Ustioni causate dalle ceneri vulcaniche acide. Alcuni chiamano in causa le epidemie portate
dalle zanzare
Grandine
Pioggia di lapilli e bombe vulcaniche: Graham si rif alla tradizione yahwista, che parla di una
"pioggia di fuoco"
Invasione di cavallette
Come per mosconi e zanzare
Tenebre
La nuvola conseguente alleruzione del Thera: secondo alcuni studi, essa avrebbe raggiunto
anche il Medio Egitto, risparmiando le zone del Delta, dove si trovavano gli Ebrei
Per quanto riguarda lattraversamento del mare, invece, Graham chiama in causa gli
tsunami successivi alleruzione, che avrebbero fatto ritirare le acque costiere prima
del passaggio degli Ebrei, per poi tornare sotto forma di onda anomala, travolgendo
lesercito egiziano al loro inseguimento.
Il "mare" attraversato non sarebbe, ovviamente, il Mar Rosso (come fino a ora
sostenuto per via di unerrata traduzione dei testi antichi) ma un generico "Mare di
Canne", uno specchio dacqua sul Mediterraneo da molti identificato con i Laghi
Amari o il Lago Sirbonico.
interessante notare come vi siano descrizioni molto simili nella seconda fonte
individuata, quella egiziana, consistente nel "Papiro di Ipuwer", anche detto
"Lamentazioni di Ipuwer".
Il manoscritto, ritrovato nei dintorni delle Piramidi di Saqquara, di difficile
datazione (c chi sostiene che sia stato scritto addirittura durante il Nuovo Regno,
ossia durante il XII secolo a.c.) ma per coloro che sostengono la teoria da noi
esaminata, esso risale al periodo delleruzione del Thera, o comunque a tale epoca
risalirebbe loriginale da cui tratto.
In esso vi sono le lamentazioni dello scrittore per le condizioni in cui versa lEgitto,