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http://www.rassegna.it/articoli/2015/01/22/118135/quanto-e-lontano-il-vecchio-marx
distribuzione delle disuguaglianze prodotte dal capitale non si pu prescindere dal contesto storico e dalle
decisioni politiche, che hanno uninfluenza determinante. La prima lezione scrive che occorre diffidare, in
una materia del genere, di ogni determinismo economico: la storia della distribuzione della ricchezza sempre
una storia profondamente politica, che non si esaurisce nellindividuazione di meccanismi puramente economici.
La seconda interpretazione, collegata alla prima, che la tendenza descritta da Kuznets valeva per il periodo
della guerra fredda negli Stati Uniti e per i cosiddetti trentanni gloriosi in Europa. Ma si tratta di eccezioni, non
della regola. Infatti e qui sta uno degli argomenti principali del volume , esaurita quella fase storica, a partire
dagli anni ottanta le diseguaglianze sono cominciate a salire vertiginosamente riportando di fatto, sotto questo
aspetto, il capitalismo a una situazione ottocentesca nella quale i grandi patrimoni prevalevano sulla produzione
economica. come se si stesse ritornando allepoca descritta dai romanzi di Balzac e Austen spesso richiamati
dallautore stesso nella quale la mobilit sociale non esisteva e lunico modo per ascendere nella scala sociale
non era n il merito n lo studio, ma solo lappartenenza a classi privilegiate per via della propriet o la possibilit
di entrarvi attraverso il matrimonio.
A cosa era dovuta leccezione? Per leconomista francese, gli avvenimenti che si sono succeduti dal 1914 al
1945 (due guerre mondiali e la grande depressione del 1929), con le loro ricadute sulleconomia, sia nella
produzione che negli aspetti monetari, hanno avuto un effetto livellatore che ha ridotto in maniera consistente la
forte disparit nel rapporto tra patrimonio e produzione. Oggi la situazione tornata a invertirsi con ricchi sempre
pi ricchi e poveri sempre pi poveri. Se si considera la fetta superiore della popolazione con i redditi pi alti,
ossia lo 0,1% pi ricco, si registrano cifre altissime. Negli Stati Uniti esso possiede il 10% del reddito nazionale ed
cresciuto anche nelle altre aree economiche rilevanti come Regno Unito, Europa continentale e Giappone,
seppur con percentuali pi basse.
Lassunto dellautore sta nella formula secondo la quale la rendita sempre maggiore della crescita economica
e, secondo le sue previsioni, questa asimmetria dovrebbe acutizzarsi negli anni a venire. Secondo i dati esposti,
calcolati dallantichit e proiettati fino al 2100, solo in rare ed eccezionali occasioni il rendimento puro da capitale
stato inferiore alla crescita economica, ma nel futuro la tendenza si invertir senzaltro.
Per ovviare a ci, nella parte finale del libro , Piketty avanza alcune soluzioni tra cui in particolare lintroduzione
di una sorta di tassa patrimoniale mondiale, in una percentuale molto contenuta, diversa a seconda dellentit dei
patrimoni. Si tratta, per ammissione dello stesso autore, di un rimedio utopico in quanto presupporrebbe una
totale collaborazione di tutti gli Stati, compresi quelli che ospitano i paradisi fiscali. Inoltre, questa imposta
mondiale sui patrimoni, pi che produrre delle effettive ricadute sulle diseguaglianze, avrebbe alla fine carattere
simbolico; e questo perch si ridurrebbe in concreto a una specie di tassa di registrazione dei patrimoni stessi.
Specifica, infatti, Piketty che il compito principale dellimposta sul capitale non quello di finanziare lo Stato
sociale, quanto di regolare il capitalismo.
Uno degli aspetti che pi colpiscono del volume il fatto che Piketty, pur studiando in maniera approfondita
questi disequilibri, non prenda posizione sulla disuguaglianza alla quale non mai contrario per ragioni valoriali.
Persino nella crisi del 2008 si cercano cause diverse dalle forti disuguaglianze generate dal neoliberismo. La sua
preoccupazione principale non la redistribuzione intesa come elemento di giustizia sociale. La disuguaglianza
vista solo come elemento nocivo allo sviluppo economico: se la rendita pi vantaggiosa della produzione, viene
meno il fattore propulsivo per il capitale e sul lungo periodo ci comporta un rallentamento generale della
produzione economica.
In questo senso, oltre a non essere marxista, la prospettiva dellautore non neanche di sinistra; semmai
sinserisce in un filone pi liberale. Del resto, lintervento pubblico concepito come fattore di supporto
alleconomia, non il contrario. Permane, perci, una visione nella quale lo Stato un mezzo del mercato che resta
il fine. Una prospettiva tuttaltro che nuova. Sar anche per questo motivo che il libro piaciuto molto agli
osservatori del mondo anglosassone.