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Quanto lontano il vecchio Marx


Il Capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty: un'accurata analisi dei danni prodotti
dall'enorme crescita della rendita e delle diseguaglianze. Ma la prospettiva non di
sinistra: il fine resta comunque il mercato DI FRANCESCO MARCHIANO'
Quando nel 2008 scoppi la crisi economica e finanziaria, molti autorevoli economisti
individuarono nelle forti diseguaglianze prodotte dal neoliberismo uno dei principali fattori
scatenanti. Sicch, per provare a uscirne fuori, una ricetta sarebbe consistita
nellintroduzione di politiche economiche espansive in grado di ridurre quelle stesse
diseguaglianze.
Purtroppo, a oltre sei anni dallinizio della crisi, difficile dire che sia andata cos. Non solo, infatti, le difficolt
economiche non sembrano superate, ma quel che pi colpisce che le diseguaglianze sono aumentate. Un
servizio realizzato da Repubblica, autore Federico Fubini, apparso il 19 gennaio, condotto su dati della Banca
dItalia e della rivista Forbes certifica che nel nostro paese, gi nel 2013, le dieci famiglie con i maggiori patrimoni
erano pi ricche del 30% degli italiani (e stranieri) pi poveri. Per esse, dal 2008, si realizzato un balzo in avanti
patrimoniale di quasi il 70%, compiuto mentre leconomia italiana balzava allindietro di circa il 12%.
Fin qui lItalia. E il resto del mondo? In questo caso la risposta diventa complessa, visto se non altro il grande
numero di dati. Uno strumento utile per rispondere a questo interrogativo pu essere un volume diventato ormai
un best seller: Il Capitale nel XXI secolo, delleconomista francese Thomas Piketty (Bompiani, Milano, 2014,
pp. 960, euro 22,00).
A dispetto del titolo va detto subito che Karl Marx non centra nulla. E non soltanto perch lautore non un
marxista, ma soprattutto per lispirazione di fondo del volume. Il Capitale, quello di Marx, aveva come sottotitolo
Per la critica delleconomia politica e, in questottica, oltre a criticare i grandi economisti liberali e il pensiero
utilitarista, svelava i meccanismi del profitto, le sue contraddizioni e il modo con il quale il capitalismo trasformava
la societ e gli individui. La prospettiva era quella di un superamento del capitalismo medesimo. Al centro della
riflessione di Piketty, invece, non c il problema del superamento del capitalismo, che non mai messo in
discussione. Lobiettivo, semmai, quello di una possibile riforma che aiuti a migliorare il funzionamento del
capitalismo correggendo alcuni dei disequilibri generati dalle sue stesse dinamiche.
Ma andiamo con ordine. Piketty raccoglie un numero enorme di dati economici, relativi ai principali paesi pi
ricchi, nel corso di oltre due secoli e ne studia levoluzione in relazione ai cambiamenti storici. Lobiettivo
dichiarato quello di comprendere quali sono le disuguaglianze che vengono generate dal capitale e vedere che
influenza esse hanno sia nella societ che nel funzionamento economico stesso.
La sua analisi si fonda essenzialmente su due grandi fonti storiche di dati. La prima quella relativa ai redditi
e alla disuguaglianza della loro distribuzione; la seconda riguarda i patrimoni, la loro distribuzione e il rapporto tra
patrimoni e redditi. Il volume diviso in quattro parti. Nella prima, di tipo pi teorico, vengono definiti alcuni
concetti generali utili a comprendere la differenza tra reddito e prodotto i cui rapporti sono meglio studiati nella
seconda parte. Si badi che qui, come per tutto il volume, con capitale si fa riferimento agli attivi non umani che
possono essere posseduti e scambiati nel mercato. Sono dunque compresi, in questa definizione, sia il capitale
immobiliare sia quello finanziario e professionale (ad esempio brevetti e macchinari). La terza parte, che il
cuore dellopera, tutta dedicata allo studio delle disuguaglianze in relazione a redditi, salari, patrimoni e cos via.
Infine, nella quarta parte lautore avanza alcune proposte che possono servire a regolare il capitale.
Negli anni cinquanta, leconomista Simon Kuznets aveva analizzato le classi di reddito negli Stati Uniti ed era
giunto alla conclusione che lo sviluppo economico avrebbe progressivamente ridotto le diseguaglianze, a
prescindere da interventi di tipo politico. Piketty, in sostanza, prova a verificare oggi linterpretazione proposta da
Kuznets, ma giunge a conclusioni molto diverse. La prima, e pi importante, che per comprendere la

distribuzione delle disuguaglianze prodotte dal capitale non si pu prescindere dal contesto storico e dalle
decisioni politiche, che hanno uninfluenza determinante. La prima lezione scrive che occorre diffidare, in
una materia del genere, di ogni determinismo economico: la storia della distribuzione della ricchezza sempre
una storia profondamente politica, che non si esaurisce nellindividuazione di meccanismi puramente economici.
La seconda interpretazione, collegata alla prima, che la tendenza descritta da Kuznets valeva per il periodo
della guerra fredda negli Stati Uniti e per i cosiddetti trentanni gloriosi in Europa. Ma si tratta di eccezioni, non
della regola. Infatti e qui sta uno degli argomenti principali del volume , esaurita quella fase storica, a partire
dagli anni ottanta le diseguaglianze sono cominciate a salire vertiginosamente riportando di fatto, sotto questo
aspetto, il capitalismo a una situazione ottocentesca nella quale i grandi patrimoni prevalevano sulla produzione
economica. come se si stesse ritornando allepoca descritta dai romanzi di Balzac e Austen spesso richiamati
dallautore stesso nella quale la mobilit sociale non esisteva e lunico modo per ascendere nella scala sociale
non era n il merito n lo studio, ma solo lappartenenza a classi privilegiate per via della propriet o la possibilit
di entrarvi attraverso il matrimonio.
A cosa era dovuta leccezione? Per leconomista francese, gli avvenimenti che si sono succeduti dal 1914 al
1945 (due guerre mondiali e la grande depressione del 1929), con le loro ricadute sulleconomia, sia nella
produzione che negli aspetti monetari, hanno avuto un effetto livellatore che ha ridotto in maniera consistente la
forte disparit nel rapporto tra patrimonio e produzione. Oggi la situazione tornata a invertirsi con ricchi sempre
pi ricchi e poveri sempre pi poveri. Se si considera la fetta superiore della popolazione con i redditi pi alti,
ossia lo 0,1% pi ricco, si registrano cifre altissime. Negli Stati Uniti esso possiede il 10% del reddito nazionale ed
cresciuto anche nelle altre aree economiche rilevanti come Regno Unito, Europa continentale e Giappone,
seppur con percentuali pi basse.
Lassunto dellautore sta nella formula secondo la quale la rendita sempre maggiore della crescita economica
e, secondo le sue previsioni, questa asimmetria dovrebbe acutizzarsi negli anni a venire. Secondo i dati esposti,
calcolati dallantichit e proiettati fino al 2100, solo in rare ed eccezionali occasioni il rendimento puro da capitale
stato inferiore alla crescita economica, ma nel futuro la tendenza si invertir senzaltro.
Per ovviare a ci, nella parte finale del libro , Piketty avanza alcune soluzioni tra cui in particolare lintroduzione
di una sorta di tassa patrimoniale mondiale, in una percentuale molto contenuta, diversa a seconda dellentit dei
patrimoni. Si tratta, per ammissione dello stesso autore, di un rimedio utopico in quanto presupporrebbe una
totale collaborazione di tutti gli Stati, compresi quelli che ospitano i paradisi fiscali. Inoltre, questa imposta
mondiale sui patrimoni, pi che produrre delle effettive ricadute sulle diseguaglianze, avrebbe alla fine carattere
simbolico; e questo perch si ridurrebbe in concreto a una specie di tassa di registrazione dei patrimoni stessi.
Specifica, infatti, Piketty che il compito principale dellimposta sul capitale non quello di finanziare lo Stato
sociale, quanto di regolare il capitalismo.
Uno degli aspetti che pi colpiscono del volume il fatto che Piketty, pur studiando in maniera approfondita
questi disequilibri, non prenda posizione sulla disuguaglianza alla quale non mai contrario per ragioni valoriali.
Persino nella crisi del 2008 si cercano cause diverse dalle forti disuguaglianze generate dal neoliberismo. La sua
preoccupazione principale non la redistribuzione intesa come elemento di giustizia sociale. La disuguaglianza
vista solo come elemento nocivo allo sviluppo economico: se la rendita pi vantaggiosa della produzione, viene
meno il fattore propulsivo per il capitale e sul lungo periodo ci comporta un rallentamento generale della
produzione economica.
In questo senso, oltre a non essere marxista, la prospettiva dellautore non neanche di sinistra; semmai
sinserisce in un filone pi liberale. Del resto, lintervento pubblico concepito come fattore di supporto
alleconomia, non il contrario. Permane, perci, una visione nella quale lo Stato un mezzo del mercato che resta
il fine. Una prospettiva tuttaltro che nuova. Sar anche per questo motivo che il libro piaciuto molto agli
osservatori del mondo anglosassone.

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