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La pagnotta del Quarto Reich. Luglio 2015: il mese che
ha riaperto la questione tedesca
di Marco d'Eramo
Uno dei pi frequenti, e stupefacenti, fenomeni della storia umana la
prevaricazione esercitata sentendosi vittime: vittime si sentono gli israeliani
che rinchiudono i palestinesi in una prigione a cielo aperto, vittime del
terrorismo palestinese, vittime dell'insicurezza, vittime dell'ostilit araba.
Vittime si sentono i razzisti italiani che rinchiudono i richiedenti asilo in lager
inumani: vittime dell'invasione di immigrati clandestini, di rifugiati che
minaccerebbero la loro sicurezza, le loro vite, il loro benessere.
Vittime si sentono i tedeschi delle sanguisughe greche che stanno succhiando
il benessere cos duramente conquistato. Perch non c' dubbio che a leggere
gli economisti tedeschi, la crisi greca sembra una truffa fraudolenta attuata da
fannulloni, incapaci, disonesti meridionali che vanificano l'alacre, parca,
industriosa morigeratezza dei paesi dell'Europa del nord: assai istruttivo il
rendiconto che Jacob Soll ha pubblicato sul New York Times di un convegno
di economia tenutosi a Monaco di Baviera all'inizio di luglio, convegno a cui
partecipavano nomi tedeschi di rilievo come Hans-Werner Sinn, Clemens
Fuest, Henrik Enderlein, Daniel Gros.
Mentre per tutto il convegno l'atmosfera era stata equilibrata, quando gli
economisti tedeschi presero la parola nella sessione finale, un tono
completamente diverso prevalse nella sala. Dietro le teorie economiche e
dietro i numeri venne un messaggio morale: i tedeschi erano gli onesti gonzi e
i greci corrotti inaffidabili e incompetenti. Ambedue le parti erano ridotte a
caricature di se stesse: questa storia l'abbiamo sentita durante tutte le
trattative, ma in quella stanza era chiaro quanto grande fosse il risentimento
che plasma le opinioni degli economisti tedeschi.

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Per chi, come me, in questo momento


sta in Grecia, quasi surreale la rabbia che traspira dai media tedeschi nei
confronti di Atene: soggiornando in un paese che costretto a vendersi tutto,
persino le isole, leggere che sono i greci che stanno derubando i tedeschi
sembra di sognare a occhi aperti. Rendersi conto del vittimismo tedesco
forse l'aspetto pi preoccupante nell'attuale vicenda europea. Semplicemente
perch, dopo 70 anni, ripropone in Europa una questione tedesca che
sembrava essere stata risolta per sempre. E forse gli storici ricorderanno il
luglio 2015 non solo come il mese in cui fu affossato il progetto europeo, ma
soprattutto come il momento in cui riemerse con forza la questione tedesca,
dove l'aggettivo tedesco non riguarda i singoli cittadini della Germania, ma
designa lo Stato e il governo politico ed economico tedesco, la classe
dominante tedesca. Esattamente come, quando si parla di imperialismo
americano, non si attribuiscono certo mire imperialistiche a una ragazza
madre di un ghetto urbano statunitense.
E uno dei pochi motivi di gratitudine che avevamo nei confronti
dell'imperialismo americano era che, semplicemente grazie alle loro
dimensioni schiaccianti, gli Stati uniti avevano costretto sia le lites francesi,
sia quelle tedesche a rendersi conto di non fare il peso, di essere gattini in
un mondo di elefanti, e avevano cos liberato noi europei dall'insopportabile
prospettiva di altri tre secoli di guerre franco-tedesche. Ricordiamo che la
Germania unita una costruzione statale recentissima nel panorama europeo,
persino pi giovane della stessa Italia unita. E fin dalla sua riunificazione nel
1866, la Germania ha posto all'Europa un problema tedesco: in 79 anni,
prima di essere ridivisa di nuovo, aveva scatenato due guerre europee (con
l'Austria nel 1866 e con la Francia nel 1870) e due guerre mondiali (nel 1914 e
nel 1939): una media di una guerra ogni 19 anni; solo lo Stato d'Israele
(anch'esso una creazione recentissima) si sta dando da fare per battere questo
record, con cinque guerre e varie guerricciole in 66 anni: a confronto, gli Stati
uniti stanno a 11-12 guerre (a seconda se si considerino due guerre separate
oppure la stessa guerra l'invasione dell'Iraq e quella dell'Afghanistan) in 241
anni, una guerra ogni 20-21 anni. Tanto che dopo la seconda guerra mondiale,
quando la Germania fu divisa in due, molti condivisero la battuta che viene
attribuita allo scrittore francese Franois Mauriac: Amo talmente tanto la
Germania che sono felice che ce ne siano due.
Quasi a confermare le parole di Mauriac, appena dopo la riunificazione nel
1989, alcuni segnali avevano suscitato un po' d'inquietudine: il ruolo della
nuova Germania unita nel favorire la dissoluzione della Jugoslavia e quindi
nel suscitare il susseguente conflitto; la fretta nell'annettere all'Unione
europea i paesi dell'Est, una fretta che ha provocato non pochi scompensi e
problemi di dissonanza politica; una certa megalomania imperiale nei piani di

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ricostruzione di Berlino capitale. Vi si riconosceva il senso di una nuova


assertivit politica, anche se questi segnali potevano essere considerati errori
d'inesperienza, prodotti da un'euforia che si sperava transitoria.
N vale la pena appellarsi alla memoria collettiva. Innanzitutto dubbio che
esista qualcosa chiamato memoria collettiva. Ma se esistesse, sarebbe una
memoria piena di amnesie, come dimostra il fatto che, nonostante Hiroshima
e Nagasaki, pi della met dei giovani nipponici (il 52 % esattamente) ignora
che vi sia mai stato un conflitto tra Giappone e Stati uniti. Il modo in cui gli
italiani trattano gli immigrati totalmente immemore delle umiliazioni,
discriminazioni, persino dei linciaggi subiti dagli immigrati italiani nell'ultimo
secolo e mezzo (e sono stati complessivamente decine di milioni). Anche il
modo in cui gli israeliani abusano del proprio potere militare sembra
incompatibile con la memoria delle angherie subite per millenni dal popolo
ebraico.

Perci quando si parla di questione


tedesca, non in gioco un ipotetico, improbabile carattere etnico collettivo di
supposta teutonica arroganza autoritaria, bens di un atteggiamento proprio
della classe dominante che sembra discendere in linea diretta dagli Junker
prussiani perch, come loro, accompagna con una violenta svolta
conservatrice ogni sua spinta espansionistica. E bisogna spazzare dal tavolo il
paragone con il Terzo Reich, perch proprio l'enormit delle devastazioni
prodotte dal nazismo, e dunque proprio l'improponibilit del confronto, in un
certo senso assolve la Germania attuale da ogni responsabilit. Pi utile
sarebbe ricordare la Germania bismarkiana e guglielmina. Innanzitutto
perch proprio quell'esperienza ha plasmato la nascita dell'euro.
Vale la pena ricordare che una moneta unica europea (prima il Serpente
monetario europeo Sme poi l'Ecu, infine l'euro) fu la condizione che il
presidente francese Franois Mitterrand impose per acconsentire alla
riunificazione tedesca, come strumento per imbrigliare lo strapotere
prevedibile di una Germania unita. L'euro fu quindi vissuto dalla classe
dominante tedesca come l'ultimo diktat esercitato dalle potenze vincitrici
mezzo secolo dopo la disfatta della seconda guerra mondiale. Ancora tre anni
fa l'ex socialdemocratico, ed ex membro del Direttorio della Deutsche
Bundesbank, Thilo Sarrazin scriveva un libro dal titolo significativo: Europa
braucht den Euro nicht. Wie uns Wunschendenken in die Krise gefrt hat
(Deutsche Verlags-Anstalt), (LEuropa non ha bisogno delleuro: come i

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nostri pii desideri politici ci hanno condotto alla crisi). Sarrazin scriveva
esplicitamente che la Germania si lasciata trascinare nelleuro e nellunit
europea a causa del senso di colpa per la seconda guerra mondiale (die
Kriegsschuld: in tedesco colpa e debito sono espressi dallo stesso
vocabolo: die Schuld): I fautori (delleuro e degli eurobonds) sono spinti dal
riflesso squisitamente tedesco per cui la penitenza per lolocausto e la guerra
mondiale davvero conclusa solo quando noi affidiamo tutti i nostri averi e il
nostro denaro in mani europee.
Assistiamo qui a un ennesimo esempio del fenomeno descritto all'inizio: viene
descritto come strumento dell'oppressione e umiliazione subite dai tedeschi
quell'euro che in realt si rivelato per la Germania il suo pi importante
strumento di dominio, controllo e sopraffazione. l'euro che ha permesso la
metamorfosi del progetto europeo dal perseguimento di una Germania
europea all'instaurazione (destinata al fallimento) di un'Europa tedesca.
Innanzitutto perch nel XX secolo il progetto di unificazione europea ha preso
a ricalcare in modo sempre pi pedissequo il processo di unificazione tedesca
nel XIX secolo: primo passo ununione doganale col Mercato comune
europeo, sulle orme dello Zollverein del 1834 tra 38 stati della Confederazione
tedesca, ognuno con diritto di veto. Poi una nuova unione doganale come
quella stabilita nel 1866 (dopo la guerra austro-prussiana), ma in cui i singoli
stati membri non avevano pi diritto di veto, e con un nucleo forte costituito
dai 22 stati della Confederazione tedesca del nord che si erano dotati di un
parlamento comune con per poteri limitatissimi rispetto al Consiglio federale
che rappresentava gli stati: per continuare il paragone, il Consiglio federale
era lequivalente della Commissione europea, mentre il Reichstag
corrispondeva allEuroparlamento e la distinzione tra Confederazione tedesca
del nord e area-Zollverein corrispondeva allEuropa a due velocit, con
lEurozona dei 17 rispetto allUnione europea dei 27 membri. La similitudine
finisce qui perch, dopo soli cinque anni, nel 1871 la Confederazione tedesca
fu assorbita dalla Prussia e inglobata nellimpero tedesco. Ma in realt non
finisce qui, perch in Europa la Germania vede se stessa sempre pi nella
funzione e nello status che aveva avuto la Prussia nell'unificazione della
Germania.
Naturalmente la deriva antidemocratica, francamente autoritaria, del progetto
euro non pu essere ascritta alla sola Germania: la sua data d'inizio va cercata
nel referendum sulla Costituzione europea bocciato nel 2005 dai francesi e
dagli olandesi. Fu a partire da allora che si allontan la prospettiva di
un'unione politica e quindi di un possibile controllo democratico sulle scelte
di Bruxelles.
Ed altrettanto naturale che ogni soggetto economico e politico del pianeta
cerchi di sfruttare a proprio vantaggio le circostanze che si presentano. E che
perci la crisi economica sia stata vista come un'opportunit (e usata come
tale) per perseguire i propri scopi politici e finanziari. Cos i poteri finanziari
di tutto il pianeta hanno sfruttato (con successo) la crisi per sottrarre ai
lavoratori conquiste che avevano richiesto secoli di lotta per essere ottenute.
Cos la Cina ha sfruttato la recessione atlantica per affermare definitivamente
il proprio status di officina del mondo. Cos la Germania ha usato la crisi per
sottrarre alla Francia una bella fetta di sovranit nazionale, con l'ironico
risultato che l'euro pensato per imbrigliare Berlino ha finito per imprigionare
Parigi (in questo scontro la Grecia solo un birillo sul tavolo da biliardo). Ma,
appunto, il problema definire il soggetto.
Ed chiaro che, almeno dalla riunificazione in poi, la classe dominante
tedesca ha pensato sempre meno in termini di Europa e sempre pi in termini

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di Germania. Tanto che, a tutt'oggi, come scriveva sul Financial Times


Wolfgang Mnchau, l'euro ha funzionato bene praticamente per la sola
Germania (in misura minore per l'Austria e l'Olanda, anche se adesso l'Olanda
in crisi). Ma l'euro stato disastroso per l'Italia; sta rivelandosi letale per la
stessa Francia; la Finlandia in piena recessione; la Spagna e il Portogallo
sono pi poveri di sette anni fa; per la Grecia non ne parliamo. Ancora una
volta la narrazione prevalente in Germania il contrario della realt: l'euro
viene visto come un regime di cui Berlino deve sopportare tutti i costi, da
buona formica nordica che paga per tutte le cicale meridionali. Mentre l'euro
ad aver garantito la possibilit di esportate i prodotti tedeschi nell'eurozona:
un ritorno al marco, e la sua conseguente rivalutazione, farebbero
immediatamente crollare le esportazioni tedesche nel mondo.
Ed questa la maggiore responsabilit storica delle lites tedesche: quella di
aver consentito, incoraggiato e infine imposto alla stragrande maggioranza
della popolazione tedesca una visione della storia che niente ha a che vedere
con la realt e che favorisce tutti gli stereotipi pi nazionalisti, xenofobi e
persino razzisti. Per cui assistiamo a una commedia del potere, al gioco delle
parti di una classe dominante che si dice costretta a esigere dalla Grecia
insane misure di austerit, perch altrimenti perderebbe i favori di
un'opinione pubblica che questa stessa classe dominante ha plasmato nello
stampo pi reazionario; che costretta a esercitare una dittatura del
capitalismo per ragioni democratiche, perch altrimenti perderebbe il
consenso popolare. Il risultato l'evoluzione della Spd tedesca che, dopo aver
cacciato Sarrazin, adotta oggi con il socialdemocratico vicepremier Sigmar
Gabriel tutta la visione del mondo di Sarrazin, con tutte le sue conseguenze
politiche.
Quanto sia distante la narrazione che la Germania racconta a se stessa della
crisi greca e della gestione da parte della Trojka, risulta lampante dalla
vicenda dei panettieri greci. A prima vista pu sembrare ridicolo che in un
disastro economico come quello greco, i paesi creditori si ostinino a esigere
misure urgenti come la liberalizzazione della vendita del pane non solo presso
i fornai ma perch no anche nei saloni di bellezza, e che considerino
l'equiparazione dell'Iva sul pane nelle panetterie e nei supermercati (che
finora pagavano di pi per salvaguardare il piccolo commercio). Ma il ridicolo
si trasforma in grottesco quando la Trojka impone in modo ultimativo il diktat
sul peso delle pagnotte: finora nei negozi greci si vendevano forme o da un
chilo o da mezzo. Ora sar obbligatorio venderne in pezzature diverse e
graduali.
Ma che gliene pu fregare ai creditori del peso della pagnotta greca? Quattro
anni fa avevo iniziato un editoriale del manifesto con una frase che mi
provoc indignate reazioni da parte dei miei amici tedeschi: Dove non era
giunta la Wehrmacht, arrivata la Bundesbank (mi riferivo per esempio a
Lisbona e a Madrid). Rispetto ad allora, c' da aggiungere che neanche i
generali prussiani si sarebbero mai sognati di legiferare sulla pezzatura delle
pagnotte in terra d'occupazione.
(17 luglio 2015)

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