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CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA N. 3388
12 FEBBRAIO 2010

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• Accertamento
• Accessi, ispezioni e verifiche
• Utilizzabilità della contabilità in nero
• Fondamento

SENTENZA

Fatto

1.1. La (...) proponeva, ricorso avverso avviso di rettifica emesso dall'Ufficio IVA di (.....) con cui
veniva accertato per l'anno 1995 un debito IVA pari a lire 28.622.000 oltre alle sanzioni, sulla base
della contestata utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti.

1.2 La Commissione tributaria provinciale di (.....), con decisione del 21 settembre 2001, rigettava
il ricorso proposto dalla società ritenendo legittimo l'accertamento

1.3 La Commissione tributaria regionale della Campania, con la decisione meglio indicata in
epigrafe, pronunciando sull'appello proposto dalla società, in riforma della decisione di primo
grado, accoglieva il ricorso introduttivo, affermando, in sostanza, previo giudizio di inutilizzabilità
dei dati emergenti da due personal computer, in guanto acquisiti dalia Guardia di Finanza senza
autorizzazione, l'insussistenza di validi elementi probatori.

1.4 Avverso tale decisione proponevano ricorso per cassazione il Ministero dell'Economia e delle
Finanze e l'Agenzia delle Entrate, affidato a cinque motivi.

La parte intimata non svolgeva attività difensiva.

Diritto

2.1 - In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilità, per difetto dì legittimazione, del ricorso
proposto dal Ministero, dell'economia e delle finanze, che non è stato parte del giudizio d'appello,
instaurato nei confronti della sola Agenzia delle entrate, nella sua articolazione periferica, dopo la
data del 1° gennaio 2001, con implicita estromissione dell'ufficio periferico del Ministero (Cass.,
Sez. Cn., n. 3166 del 2006). Non si provvede in merito alle spese processuali, non avendo la parte
intimata svolta attività difensiva.

2.2. - Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 52, 54 e 56,
nonché illogicità della motivazione.

Viene evidenziato che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, gli organi di controllo fiscale
possono utilizzare i documenti, i dati e le notizie comunque raccolti anche nel caso di acquisizione
irrituale, non essendo prescritta alcuna inutilizzabilità, Con la seconda censura si sostiene che nel
caso in esame la verifica era stata eseguita nei locali dove era ubicata la sede contabile della
società e che, quindi, non vi era bisogno di alcuna autorizzazione, avendo in ogni caso (terza
censura) il legale rappresentante della società prestato il proprio consenso all'ispezione. Il primo
motivo, che appare assorbente in merito alle altre due richiamate doglianze è fondato.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma. 1, richiama, invero, quanto alle modalità di accesso alle
aziende, le prescrizioni del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, che, in materia di IVA, richiedono
l'autorizzazione del capo dell'Ufficio da cui gli accertatoli dipendono. Tuttavia non è comminata
alcuna nullità qualora tale precetto non sia rispettato, diversamente dal caso in cui l'accesso sia
effettuato presso il domicilio di persona fisica (art. 52, comma 2) senza l'autorizzazione del
Procuratore della Repubblica, dovendosi in tale ipotesi ritenere violato il principio costituzionale
di inviolabilità del domicilio (cfr., Cass, civ., nn. 1230 del 2001; 19689 del 2004 e n. 10704 del
2009, resa in una vicenda per molti aspetti analoga). Nella specie, non soltanto l'accesso non ha
interessato il domicilio del titolare dei Centro Elaborazione Dati, ma è avvenuto presso
un'appendice della azienda sottoposta al vaglio della Guardia di Finanza, trattandosi dei locali ove
veniva trascritta e custodita, in appositi "files", la contabilità dell'azienda stessa. Comunque, anche
a voler considerare soggetto "terzo" il CED presso cui i dati extracontabili relativi alla
contribuente erano stati acquisiti, l'acquisizione irritale di elementi rilevanti ai fini
dell'accertamento fiscale non comporta, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., Cass. civ.
sent. nn. 8344 e 12371/2001 e 4991 del 2003) la inutilizzabilità degli stessi, non sussistendo una
specifica previsione in tal senso- Pertanto gli organi di controllo possono utilizzare tutti i
documenti di cui siano venuti in possesso, salva la verifica dello loro attendibilità, in
considerazione della natura e del contenuto degli stessi.

2.3 Anche il terzo motivo, con il quale si deduce la violazione del D.P.R, n. 633 del 1972, art. 54 e
dell'art. 2727 c.c. e segg., nonché insufficiente ed illogica motivazione per avere la C.T.R, sostenuto
che non fosse provata la pretesa fiscale, perché basata solo su elementi indiziari, ritenuti privi dei
requisiti di gravità, precisione e concordanza/ è fondato-2 suddetti "files", contrariamente a quanto
opinato dalla Commissione tributaria regionale, sono da considerarsi a tutti gli effetti scritture
dell’impresa che, contenendo il riferimento a dati parzialmente extracontabili, raggruppati in
prospetti, forniscono, con sufficiente probabilità, il reale quadro della situazione aziendale,
fornendo quindi presunzioni gravi, precise e concordanti, non contrastate dal generico contenuto
dell'atto d'appello.

Il motivo è anche fondato sotto il profilo dell'errato governo della prova da parte della
Commissione Regionale, la quale, disattendendo integralmente le risultante dei “files” in cui la
contabilità della contribuente era contenuta, ne hanno negato la rilevanza sotto il profilo delle
presunzioni che da es3i potevano essere tratte, richiedendo che l?Ufficio fornisse altre ed ulteriori
prove, rispetto ai dati già considerati ed esposti nell'avviso.

Giova in proposito ribadire l'orientamento di questa Corte secondo cui la ed. contabilità in nero,
costituita da appunti personali, annotazioni o informazioni dell'imprenditore, rappresenta un valido
elemento indiziario, dotato dei requisiti della gravità, precisione e concordanza prescritti dal
D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate
dall'art. 2709 c.c., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti
di impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale ed il risultato economico dell'attività
svolta, incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass., n. 25610 del
2006; Cass. n. 6949/06). Ne deriva che qualora a seguito di ispezione venga rinvenuta
documentazione non obbligatoria astrattamente - idonea ad evidenziare l'esistenza di operazioni
non contabilizzate, tale documentazione, pur in assenza di irregolarità contabili, non può essere
ritenuta di per sé priva di rilevanza probatoria dal Giudice - senza che a tale conclusione
conducano l'analisi dell'intrinseco valore delle indicazioni dalla stessa promananti e la
comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità
ufficiale del contribuente (Cass. n. 19329 del 2006). Nel caso di specie, il Giudice di appello non si
è affatto adeguato a tali principi, trascurando di considerare l'evidenza probatoria dei dati
emergenti dalla documentazione extracontabile alla luce del criterio che pone l'onere della loro
contestazione e della conseguente prova a carico dell'imprenditore e quindi, di motivare il giudizio
di non inerenza tra le annotazioni rinvenute e l'attività di impresa ponendo in evidenza in modo
specifico le ragioni e le cause che portavano a ritenere tale collegamento inesistente.

2.4 - Merita, infine, accoglimento anche l'ultimo motivo, con il quale si deduce la violazione del
D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 (recte; art. 56 del D.P.R. n. 633 del 1972), nonché illogicità della
motivazione, per avere la C.T.R. ritenuta insufficiente la motivazione dell'avviso di rettifica perché
motivato solo per relationem al p.v.c, della Guardia di finanza, mentre l'onere della motivazione
può essere adempiuto, in caso di condivisione, con la trascrizione del p.v.c, essendo assolto in tal
modo l'obbligo di mettere in grado il contribuente di conoscere quanto contestatogli e di difendersi.

L'assunto della Commissione Regionale contrasta infatti, con la consolidata giurisprudenza di


questa Corte secondo cui il richiamo al p.v.c. da parte dell'Ufficio costituisce soltanto una forma di
economia di atti e non viola il principio del contraddittorio, qualora il contribuente sia stato in
grado di conoscere o abbia conosciuto, come nella specie, attraverso la notifica, il verbale (cfr.,
Cass. civ. sent. S.U. n. 16424 del 2003 e senti:, nn. 4430, 6232 e 10205 del 2003; 18117 dei 2004).

3. Il ricorso, nei limiti sopra precisati, deve essere pertanto accolto; la sentenza impugnata deve
essere cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania,
che si atterrà nel decidere, ai principi di diritto sopra enunciati e provvedere anche alla
liquidazione delle spese di giudizio,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero delle finanze; accoglie il ricorso
dell'Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ed altra
sezione della Commissione tributaria regionale della Campania,

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