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Perci vi sono, per questo periodo, altre denominazioni meno negative, da preferire,
come: Sptantike, Bas Empire (Basso Impero), Antichita' tarda. L'origine di questi
concetti si deve riconoscere nella storia dell'arte e nel punto di vista ecclesiastico (vedi
pi sotto). Troviamo per ancora oggi le parole di "declino" e di "tramonto", ad esempio
in Mazzarino e in Vogt.
Queste spiegazioni sono fondamentali per la valutazione della storiografia rispettiva,
specialmente di quelle opere che intendono spiegare il "declino" di Roma con l'influsso
"nefasto" del Cristianesimo. Ved. specialmente GIBBON, History of the decline and fall
of the Roman Empire" (1776-1780).
b) I limiti cronologici divergenti dei fenomeni storici.
Nell'introduzione generale abbiamo gi detto che ogni ripartizione cronologica deve
essere necessariamente elastica. Questo vale anche nel senso che i fenomeni storici che
caratterizzano un periodo, n cominciano n finiscono con lo stesso periodo storico. Nel
caso nostro: separazione ufficiale fra Oriente e Occidente: 395 (dopo la morte di
Teodosio) - ultima reazione politica dei pagani, almeno a Roma: 390 - l'et patristica
grande : prima del 400 - lo Stato Bizantino : tempo di Giustiniano oppure tempo di
Costantino - distinzione fra Stato e Religione: Papa Gelasio (+ 496).
2. Le condizioni politiche.
I. La divisione dell'Impero Romano
Il fatto politico pi emergente la divisione definitiva dell'Impero, accaduta dopo la
morte di Teodosio I (395).
La divisione giuridica sotto Diocleziano (riforma dell'Impero), e le divisioni che durante
il quarto secolo si sono susseguite per ragioni diverse, con le amministrazioni e politiche
diverse, con sviluppi economici diversi (l'Oriente con i suoi centri commerciali e portuali,
pi forte che l'Occidente con la sua economia agricola), avevano certamente preparato
da molto tempo questa scissione. Per dal 395 in poi si sviluppata una opposizione
crescente tra le due parti.
Ved. H.I. Marrou, NHE 373: "... de 395 408 les deux moitis apparaissent non plus
seulement spares, mais antagonistes, voire en conflit ouvert. Aprs eux l'unit ne sera
jamais plus rtablie que de facon toute provisoire ou fictive". E sono da tenere presenti le
rivendicazioni del potere da parte dei Bizantini fino al settimo secolo.
II. Le invasioni germaniche
Il fatto della divisione da vedere in stretta connessione con le invasioni germaniche
del quarto e del quinto secolo.
Da una parte la divisione politica in se stessa ha condotto ad un comportamento
divergente nei riguardi dei popoli invasori. A Costantinopoli, ad esempio, non si prendeva
soltanto una posizione ostile verso i mercenari stranieri, dopo averli tollerati, se non
desiderati, ma si cercava pure di deviare verso l'occidente i popoli che stavano per
invadere il proprio territorio (Ved. Marrou 374; Christ, Untergang 5). Cos l'Oriente si
in qualche modo rifatto della sconfitta di Adrianopoli (378), che aveva iniziato una nuova
politica verso i Goti, poich essi poterono occupare le regioni tra il Danubio e le
montagne balcaniche come federati dell'Impero.
Se da una parte le invasioni (o immigrazioni) sono avvenute in conseguenza della
divisione dell'Impero, d'altra parte hanno confermato la sua divisione come una scissione,
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creando situazioni politiche diverse soprattutto in Occidente (Ved. Grant: inizio di una
collaborazione; maggioranza per antigermanica).
Prima di tutto avvenuta l'occupazione di tante citt occidentali, come avvenuto per
la stessa "Urbe" nel 410. Poi seguita la distruzione del potere politico, con la
deposizione dell'ultimo Imperatore Romano, nel 476, da parte di Odoacre, ed insieme la
crezione di Stati indipendenti, sempre nelle regioni occidentali.
In Oriente l'Impero diventa "Bizantino", mentre la parte occidentale dell'Impero
sparisce completamente, cedendo ai nuovi Stati, che iniziano l'ordine politico tipico del
Medio Evo occidentale.
III. Le conseguenze culturali ed ecclesiastiche
1.La separazione culturale, iniziata gi nel quarto secolo, si rinforza.
I Greci, che non avevano mai tenuto in gran conto la cultura latina, eccetto che per i
campi giuridici, militari e tecnici, e non imparavano quindi la lingua latina se non
eccezionalmente, si distaccano ancora di pi.
I Latini dal canto loro creano una letteratura sempre pi indipendente. Non imparano
pi il greco (vedi i casi Ambrogio, Agostino, Leone, nonch la testimonianza di Orosius
sulla necessit d'interpreti: Lib.Apol.6,1). Esiste per in qualche parte un classicismo fino
al s.VI. In Oriente invece il latino come lingua ufficiale viene abolito nel 438.
Del resto da notare che in Occidente la civilt classica soffre, in genere, sotto le
invasioni germaniche, anche se con qualche diversit a seconda delle regioni e comunque
non ancora tanto gravemente come dopo il 450 (Marrou NHE 461-471).
2. Sul piano ecclesiastico la separazione crescente delle due parti dell'Impero favorisce,
in vari campi, sviluppi diversi, gi divergenti per altre ragioni:
- liturgia: sviluppo delle grandi liturgie, secondo le sedi principali
- teologia: orientamento teologico diverso, secondo la diversa mentalit, come ad
esempio per la Cristologia o per l'antropologia, con Pelagio
- gerarchia: l'organizzazione diversa a seconda della posizione diversa delle capitali di
Roma e di Costantinopoli; per il primato, vedi il Sinodo "Endemousa" ("residente") , ma
anche il ruolo dei vescovi diverso, perch gli occidentali sono costretti ad occuparsi, in
misura ben maggiore, di problemi civili (cfr. Bibl. par 3; il caso dell'audientia
episcopalis).
3. Le condizioni sociali e culturali.
Introduzione.
La situazione esterna delle Chiese del secolo quinto si distingue anche per il fatto che le
comunit cristiane costituiscono ormai un fattore sociale e culturale importantissimo, e
che d'altra parte esse stesse sono pi aperte agli influssi esteriori. La simbiosi della vita
ecclesiastica e di quella sociale e culturale quasi completa. In questo senso, malgrado la
divisione dell'Impero Romano, possiamo parlare a maggior ragione della "Chiesa
Imperiale". Diventa difficile determinare quale sia la frontiera Chiesa/Societ. Per noi
moderni assai difficile capire come, in questo secolo, per un semplice uomo (ma anche
per un vescovo!) fosse impossibile pensarsi al di fuori dell'impero romano (cfr. la
difficolt nell'abbandono totale dei riti pagani). La Chiesa imperiale non ancora
completamente formata (cfr. Aug., epp. 54-55), e la teologia politica assai povera
rispetto all'ideologia della Roma aeterna: mancano anche i gesti ed i simboli liturgici per
esprimere cristianamente il concetto della salus patriae.
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significa che i cristiani riconoscevano una cert validit allo spazio civile/sacrale pagano,
e non volevano forzare la mano in questo senso. Non avrebbe dunque senso dire che il
cristiaesimo divenne religione ufficiale dell'Impero. Nella lettera 107 (403), Girolamo,
lontano da Roma da 20 anni, celebra come un trionfo del cristianesimo il fatto che i
luoghi pi rappresentativi della Roma pagana (Campidoglio, templi) venissero trascurati,
e che il centro dell'attenzione si spostasse sulle tombe dei martiri, ma per il Fraschetti il
Campidoglio ebbe ancora per molto tempo un'importanza rilevante, dato che la prima
chiesa romana costruita nel recinto sacro si ebbe solo alla fine del VI sec.
La posizione di Fraschetti va accostata all'episodio dell'ara della Vittoria: rimossa da
Graziano, ne venne richiesta la ricollocazione a Valentiniano II, e si ebbe (382-4)
l'intervento di Ambrogio contro Simmaco. Questo episodio non permetterebbe allora di
parlare di una Roma cristianizzata: nell'Urbe i valori e le espressioni della vita e della
cultura romano-pagana hanno sempre interagito. Secondo Dodaro dunque importante
la tendenza attuale a riesaminare la questione della Roma cristiana, accettando una
visione della storia pi problematica di quanto si ritenuto finora (cfr. anche gli studi sul
XVI libro del Codex Theodosianus).
In de civ. Dei I-X il tema del Christus sacerdos risponde e corrisponde all'idea del
sacerdote pagano, inseparabile dagli ambiti politico e religioso. l'opera di Aug vuole
rispodere alla concezione religiosa del tardo impero, ben diversa da quella dell'epoca
classica. Aug rifiuta il paganesimo classico, e non quello della sua epoca: il culto pagano
ha infatti continuato a sopravvivere nella mente delle persone, idealisticamente. La
polemica di Aug si rivolge allora al tentativo di retaurazione del paganesimo classico,
compiuto nel V secolo dai pagani pi colti.
I. La "Chiesa Imperiale"12
Sotto Teodosio (+ 395), la Chiesa cattolica, cio quella di Damaso di Roma e di Pietro
di Alessandria, diventa religione ufficiale. Questo il risultato della evoluzione avvenuta
durante il quarto secolo13. Tale sviluppo si spiega, da una parte con la credenza
nell'ordine divino, passato ormai dalla 'devotio' verso le divinit dell'Impero alla 'fides' nel
Dio dei cristiani; d'altra parte la Chiesa una organizzazione attraente, un fatto sociale
cui gli stessi imperatori non possono non prestare attenzione 14. Ma questo passaggio
dalla plebs romana alla plebs Dei non cos totale come dice l'approccio convenzionale a
questo periodo (fino circa al 1980). la situazione non cos ben delineata.
La convivenza stretta fra Chiesa ed Impero, che s'impone ormai nel quarto secolo,
significa concretamente che l'imperatore, rappresentante dello Stato, professa la fede
cattolica, convinto che il suo impegno cristiano gli assicura pure il successo sul piano
politico e militare. Privilegi ed aiuti sono prestati alle attivit ecclesiastiche, come edifici
di culto e di rappresentanza (cfr. l'esclusione delle confessioni non cattoliche nel codex
Theodosianus. Ma le attivit religiose dei non cattolici continueranno ascostamente per
tutto il V secolo, e l'epigrafia mostra tracce pagane fino al Vi secolo, periodo nel quale in
Africa il Donatismo continua anche sotto i Visigoti). Ci anzitutto nel secolo quarto. Nel
secolo quinto avverr a Ravenna. San Paolo di Roma. Sono escluse le confessioni noncattoliche, come i pagani, gli eretici, specialmente ariani e manichei, ebrei 15. La Chiesa,
dal canto suo, riconosce lo Stato concreto come il suo ambiente sociale, voluto da Dio.
Offre la preghiera, il sostegno morale e riceve una certa direzione nella legislazione e nei
"sinodi".
Rischi in questa coesistenza, ce ne sono e si vedono subito nei contrasti e nei confronti:
12 Per il concetto e la sua problematica , vedi: BAUS, II., 91 ss. MARTIN, J., "Reichskirche": LThK 8 (1963)
13 Vedi Mc SHANE, 61-68 o ancora meglio PIETRI
14 Vedi CHRIST, 252; Vedi KRAFT, H., "Vita Constantini".
15 Vedi il "Codice Teodosiano" in: KIRCH, 828.
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nell'Occidente: Ambrogio16, prima del 400; Gelasio17, dopo il 450; nel nostro periodo
Papa Leone riconosce il potere statale, il diritto dell'imperatore di convocare il Concilio,
anzi cerca la collaborazione del potere civile nella lotta contro l'eresia (i manichei)18;
Agostino pi riservato nei confronti dell'Impero (gli Dei non assicurano n i beni
materiali n i beni spirituali), e non mancano critiche nel suo "De Civitate Dei",
nondimeno cerca l'appoggio dello Stato contro i Donatisti (dopo qualche esitazione 19), e
poi contro i Pelagiani.20 Come Aug ha inteso il confine autorit politica/autorit religiosa?
Mai egli chiese l'aiuto dello stato contro ebrei e pagani, ma non chiaro il suo
atteggiamento. Forse egli chiese l'intervento civile quando si trattava di discordie
intraecclesiali, ma allora quale era lo status delle autorit civili all'interno della Chiesa?
Per Aug anche il magistrato cristiano aveva una vocazione ecclesiale: il suo intervento
era allora inteso come intervento statale? La teoria della Chiesa imperiale andrebbe allora
ridimensionata: pu servire come modello, ma i testi possono offrirci nuove letture della
situazione storica concreta.
nell'Oriente: il potere imperiale prende un posto molto pi importante: si veda la
vicenda del Sinodo "endemousa", nei pressi della Corte; anche qui per ci sono le
reazioni, come nella vita di Giovanni Crisostomo.
II. La legislazione civile e canonica
Nel nostro periodo (429-438) avviene la codificazione del diritto civile, sotto Teodosio
II (fine del 438)21. Da notare che questa codificazione comprende anche leggi di carattere
religioso22. Nello stesso tempo sono avvenuti degli sviluppi importantissimi nel diritto
canonico:
Diritto sinodale, dal Concilio di Calcedonia23, dal Concilio di Orange I e II, con lettere
di vescovi riconosciute come canoniche, tipo quelle di Atanasio e di altri. Iniziano cos le
collezioni di diritto sinodale24.
Diritto decretale (=papale): da Damaso in poi, o, come tutti riconoscono, da Siricio in
poi, avviene uno sviluppo del diritto papale o decretale 25. 333-337 collezioni fine secolo
V. 334: due raccolte prima di Leone, come detto nell'epistola 4,5.
In tutto questo sviluppo del diritto ecclesiastico, sia sinodale che decretale, gli influssi
del diritto civile e della giurisprudenza civile sono ovvii. Lo si nota nei procedimenti dei
sinodi, nella composizione e nella diffusione degli atti sinodali, nella corrispondenza fra
Papa e Vescovi, nel modo di procedere, nella terminologia, nella struttura delle lettere,
eccetera. L'influsso del diritto romano sulla teologia dei PP andrebbe pi studiato (ad e.
termini come disciplina ecclesiastica, iuris peritus...). La teologia assume alcune
caratteristiche dell'ideologia imperiale, del tradizionalismo e del formalismo romano.
Notare anche il titolo cristologico Christus imperator.
III. L' ideologia politica della 'Roma aeterna'
Difendendosi contro gli influssi crescenti del Cristianesimo, l'arisrtocrazia romana,
molto conservatrice, sviluppa , verso la fine del quarto secolo, gli ideali del patriottismo
romano, la "Traditio maiorum", ed esalta anzitutto la grandezza di Roma, punto
culminante di ogni cultura, "Urbs sacra et aeterna".
16 Vedi PALANQUE
17 Vedi WINKELMANN, Gelasius I, Stuttgart 1982.
18 Vedi Mc Shane; Vedi STOCKMEIER e, per i Papi precedenti, PIETRI
19 Vedi FREND
20 Vedi O.Wermelinger, Rom und Pelagius, Stuttgart 1975.
21 Vedi CHRIST, 265 ss; Buon riassunto anche in Mc SHANE, 243 ss.
22 Vedi KIRCH ,280 ss; Vedi MIRBT; Vedi ALAND; Vedi DE GIOVANNI
23 Vedi KIRCH,941 ss.
24 Vedi ALTANER, paragrafo 63, su Marius Mercator, i canoni africani e gallicani, eccetera. E le edizioni del MUNIER: CCL
25 Vedi PIETRI; Mc SHANE; nonch QUASTEN, III, 564 ss. ...: Letter
11
Dopo l'estinzione del paganesimo i cristiani riprendono questo ideale, parlando della
"Roma Christiana", della gloria di Roma, garantita dalla presenza di Pietro e di Paolo,
anzi della "Roma recreata" (cos Papa Leone) 26. Incontriamo questo patriottismo romano
in Ambrogio, Prudenzio, anche in Gerolamo, con certe riserve in Agostino ("Theodosii
tempora christiana"), e finalmente in Leone Magno. Da notare che i cristiani riprendono,
assieme a questo ideale, anche l'antigermanesimo del tempo 27: la "barbariae", la
"gotonia".
Nell'Oriente incontriamo uno sviluppo simile. Costantinopoli diventa la "Nuova Roma".
Tuttavia due differenze considerevoli ci sono:
- la partecipazione stretta del popolo a tutta la vita della Corte 28,
- la presenza dell'Imperatore, considerato come "vicario di Cristo"29.
Dodaro condivide l'importanza del motivo della Roma aeterna nei PP occid., ma
sottolinea le differenze. Agostino (de Civ. Dei V,26) pone l'accento sulla penitenza
pubblica e la religiosa humilitas di Teodosio: cerca di distanziarsi da Ambrogio e
Prudenzio nell'esaltazione della figura del principe cristiano, ma nello stesso tempo
insiste sul patriottismo romano cristianizzato (Pietro e Paolo). Prudenzio, invece, esagera
quando parla di Teodosio come di un novello san Lorenzo, perch ambedue hanno
scacciato i demoni e gli idoli da Roma. Si rischia dnque di utilizzare acriticamente
l'ideologia della Roma aeterna per motivi apologetici: convincere pagani e cristiani della
continuit tra la Roma pagana e quella cristiana, per ricercare sicurezza e salus patriae
contro i barbari. Dalla corrispondenza tra Agostino e Volusiano si evince che i pagani non
erano convinti della capacit dei cristiani di governare l'impero; questi ultimi ribadivano
invece la loro possibilit di esprimere governanti in grado di curare la salvezza
dell'impero.
CONCLUSIONI GENERALI DELLA PRIMA PARTE
(Conseguenze per lo studio della letteratura cristiana)
Alla fine di questa presentazione molto schematica della situazione esterna della Chiesa
del secolo quinto, conviene rilevare brevemente l'importanza di questi fatti storici per la
letteratura cristiana di quel periodo in genere e per certi suoi campi particolari. In gran
parte queste conclusioni saranno da approfondire nei paragrafi rispettivi della nostra
iniziazione alla letteratura cristiana del secolo quinto, per non sar inutile mettere gi
adesso in evidenza le cause politiche, culturali e sociali di certi suoi aspetti, che cos si
possono suddividere:
1. Necessit di una apologetica anti-pagana.
Davanti alla resistenza del paganesimo morente, gli autori cristiani saranno costretti a
difendere la fede cristiana e a controbattere le accuse degli ambienti intellettuali pagani,
accuse in parte vecchie, riprese da Profirio e da altri, in parte nuove o sempre attuali
(sulla incarnazione e sulla resurrezione). Questo sar necessario anzitutto dopo il sacco
di Roma del 410, considerato dai pagani come castigo da parte degli Dei traditi.
Fra gli apologeti sono da ritenere in primo luogo Agostino, con il "De Civitate Dei", e
la lettera 137; Cirillo con il suo "Adversus libros athei Juliani"; Teodoreto con il suo
"Graecarum affectionum curatio", ma anche Orosio e Salviano, con le loro opere storiche
2. Necessit di una predicazione morale.
La fine del paganesimo ufficiale, ed anzitutto la trasformazione cristiana della vita
culturale e sociale, si sono realizzate con un processo lento e lungo. In questo contesto
incontriamo la predicazione morale dei Padri contro il teatro, i giochi (legati strettamente
al culto dell'imperatore), l'immoralit pagana, la superstizione, eccetera.
26 Vedi Mc SHANE ,105/7.
27 Vedi Mc SHANE, 27 ss.
28 Vedi BROWN
29 Vedi HAELING: pagani, tradizione pi religione spirituale.
12
(_ 6)
(_ 7)
(_ 9)
13
Introduzione
Dopo aver visto come le Chiese si sono inserite nel contesto politico, sociale e
culturale del secolo quinto, come cio sono diventate fattore sociale dell'Impero Romano
ed hanno nello stesso tempo subto gli influssi dell'ambito storico, dobbiamo prendere in
considerazione la situazione interna delle comunit cristiane, diventate la "Chiesa
Imperiale", dobbiamo cio studiare: la loro organizzazione locale, i legami fra di loro, la
loro liturgia, il ministero pastorale, gli ideali cristiani di quel tempo.
14
15
ugualmente molto antica. Nella prima met del secolo terzo incontriamo a Roma pure gli
Ordini minori13.
Nel nostro periodo per gli sviluppi concernenti le condizioni dell'ordinazione sono
considerevoli. Si insiste molto sulle richieste morali ed intellettuali14. A questo proposito
due fatti sono da notare:
La formazione del clero si faceva nelle parrocchie. I casi di Vercelli e di Ippona, dove
Eusebio ed Agostino se ne occupavano, sono piuttosto eccezionali. Dal quinto secolo in
poi certi monasteri, come Lrins, sono diventati "seminari" per futuri vescovi.
Per l'Occidente era d'obbligo la continenza per i chierici sposati15.
Sul piano giuridico da notare che nella Chiesa africana si insiste sulla non-reiterazione
degli Ordini. In Occidente, sotto l'influsso dei Papi, si impone il "Cursus Ordinum", la
carriera clericale secondo i modelli civili16. Tuttavia fa eccezione l'ordinazione episcopale
nella Chiesa romana. Infatti i vescovi provengono sia dall'Ordine dei diaconi (di grande
influsso per tutta la vita ecclesiastica), sia dall'Ordine dei presbiteri, incaricati del
ministero sia nei "titoli" sia nei cimiteri17.
Nella vita sociale il clero gode di un certo prestigio. Nonostante le classi siano
piuttosto chiuse, l'accesso agli Ordini libero 18. La legislazione civile stessa ha
aumentato tale prestigio: si ha l'esenzione dalle tasse (soppressa da Valentiniano III); gli
schiavi non possono entrarvi (vedi anche il Papa Leone); sono annoverati tra gli elettori
del "Defensor civitatis"19.
Fonti sulla vita clericale (vd. anche LECUYER in DPAC Ministeri-Ministri ordinati):
- AMBROGIO, De officiis ministrorum (389-390)
- GEROLAMO, ep. 52 ad Nepotianum
- CRISOSTOMO, De sacerdotio e Homilia 1
- TEODORETO DI CIRO, alcuni passi dei suoi commenti alle lettere pastorali
- AGOSTINO, epp. 21, 22, 29, 142, 208, 288; sermones 339, 340
- SULPICIO SEVERO, vita di S. Martino
- LEONE MAGNO, Sermoni 1-5
Si insiste soprattutto su una vita modesta (nella seconda met del IV sec. in oriente, e
un secolo dopo in occidente appare la tonsura). Vasta la letteratura sulle virt clericali
(aggiungi all'elenco AMBROGIO, de fuga saeculi). La necessit di una formazione
intellettuali origina scritti come il de doctrina christiana di Agostino. Costui incoraggia la
lettura dei classici per imitarne la metodologia (ma la sua posizione non da tutti
condivisa). Sul celibato e sulla continenza vedi Crouzel in DPAC e Gaudemet. Crouzel
(contro Schillebeecx) afferma che il celibato era diffuso nella Chiesa antica, e ne fornisce
le motivazioni. Lo status della legislazione sul celibato il seguente:
- Ancira, 310, can. 10: permette il matrimonio di un diacono celibe solo se ne stata
dichiarata l'intenzione prima dell'ordinazione.
- Neocesarea, 314-325, can 1: esclude dal clero il sacerdote uxorato.
- Elvira (300-303-307?): i membri del clero superiore sposati prima dell'ordinazione
devono osservare la continenza. Tale regola viene imposta a tutto l'occidente alla fine del
IV sec. con le decretali dei papi Siricio e Innocenzo, riprese poi dai Concilii. Ci sono
13 DS 109.
14 Vedi GAUDEMET, 128-136.
15 Vedasi GAUDEMET, 156-153;
JONES, II.,927 ss., ital. 394. BAUS, 287 ss., si riferisce al ruolo dei Papi, da Damaso in poi, e dei sinodi, e sottolinea il
motivo della purit cultica. Vedi anche le notizie interessanti in proposto in PIETRI circa le "iscrizioni".
SCHILLEBEECKS
16 Vedi BAUS, 279-282; JONES, II., 912.
17 Vedi PIETRI, 696 ss.: "La socit des clercs". Per quanto riguarda l'et si veda Zosimo in: BAUS,
283.
16
diversit circa il problema della coabitazione con le mogli. In alcuni casi si decise per la
chiusura della sposa in monastero.
A proposito degli ordini minori: all'et della pbert i candidati devono scegliere per il
matrimonio o per la continenza: conc. di Cartagine (397, can. 19; poi ripetuto nel 419,
can. 16); Leone Magno: ep. 14,4 (446): celibato obbligatorio per i suddiaconi.
In Oriente la situazione meno rigida: chi si sposa prima dell'ordinazione pu
esercitare il ministero presbiterale, ma costretto alla continenza assoluta.
- Cartagine (390, can. 2; 401, can. 3): continenza assoluta per tutti i preti sposati.
A Roma la continenza assoluta richiesta per tutti i preti sposati. Tale norma si
diffonde in tutto l'occidente.
I PP. appoggiarono la legislazione: Ambrosiaster, Ambrogio (de officiis 1,50),
Gerolamo (epp. 22;52; Contra Iovinianum 1,13 del 392-93).
III. IL POPOLO DEI FEDELI
Dall'inizio della Chiesa incontriamo una certa distinzione fra dirigenti e fedeli. Nella "I
Clementis" questa distinzione appare esplicita: "presbiteri"-"laos" (pi tardi "plebs")20.
Nel nostro periodo la "plebs-populus Dei" comprende laici, vergini, vedove, monaci.
Il modo di ammissione alla comunit stato gi regolato nei dettagli durante il quarto
secolo. Per il nostro periodo sono da tenere in considerazione - ad esempio, nelle lettere
di Papa Leone - le nuove prescrizioni rese necessarie dalle condizioni create dalle
invasioni, tipo quelle relative al "baptismus incertus", eccetera.
Si constata anche una clericalizzazione sempre maggiore delle comunit. Da una parte
c' l'esclusione dei chierici dagli affari secolari: "Qui militat Deo, saeculo militare non
potest"; dall'altra avviene la riduzione dei diritti del popolo di Dio perch l'elezione del
vescovo riservata sempre di pi al clero, cio all'aristocrazia21.
Per la condizione dei laici nel V sec. bisogna riferirsi agli studi degli storici; ma bisogna
pure studiare i discorsi dei vescovi, gli scritti dei laici, la loro partecipazione alla missione
della Chiesa. FAIVRE (Statuta ecclesiae antiquae) riporta il divieto per i laici di
insegnare senza l'approvazione dei chierici o in loro presenza. Vi una tendenza delle
autorit civili a lomitare la presenza dei laici ai sinodi del V sec. (Marcellino a Cartagine
nel 411). Cfr. le lettere di Teodosio II e Valentiniano III sulla procedura dei Concilii di
Efeso (431) e di Calcedonia (451) che limitano il ruolo dei laici. GUANIERI fa notare la
presenza dei laici a Riez (439, can. 8), a Roma (495, sotto papa Gelasio I), a Tarragona
(516), Orange (529). Si tratta di laici esperti in diritto, la cui presenza, occasionale ed
episodica, legata a circostanze particolari.
IV. LA PROPRIETA' MATERIALE DELLE COMUNITA' LOCALI22
Il tema piuttosto difficile, a causa della documentazione scarsa23. Bisogna evitare le
generalizzazioni. I generi di entrate erano:
le offerte libere; si veda l'importanza delle offerte fin dai primi tempi, come
testimoniano Paolo e Giustino. Si tengano presenti anche i mosaici di Ravenna, per il
significato dei sette alberi e San Pietro 24.
le donazioni imperiali, che sono per meno frequenti nel quinto secolo25;
le donazioni del clero e dei fedeli per testamento: "titulum";
20 Secondo una organizzazione sinagogale. Vedi SCHILLEBEECKS
21 LThK 8 (1968) 60; JONES, II., 961 ss.BAUS, 291. Vedi anche gli studi recenti in proposito. Per le elezioni: HERMANN,
298ff, con un cenno al campo civile e la differenza tra canoni e prassi.
22 Si veda, in genere, JONES, II., 834 ss.,e per la situazione romana in particolare, PIETRI, II., 558 ss. II., cap.VII/3:
"L'tablissement chrtien", che riguarda i donatori e le donazioni, le collette e le donazioni clericali, le ricchezze romane, il
potere economico del vescovo. Per Antiochia, HERMANN, 302ff.
23 Vedasi quanto dice JONES, II., 898 904.
24 Vedi PIETRI.
25 Vedi PIETRI.
17
18
certe personalit, specialmente verso Roma, centro dell'Impero 35. Dalla fine del secondo
secolo in poi, le riunioni sinodali e l'uso di consacrare in modo collegiale i nuovi vescovi
dimostrano quanto vivo stato il senso di comunione e di solidariet reciproca 36.
Tuttavia non c' nessun dubbio che i legami fra le Chiese locali ed anzitutto fra le
Chiese regionali sono diventati pi manifesti e pi efficaci durante i secoli quarto e
quinto, cio da quando il cristianesimo diventato Chiesa Imperiale. Prima del 400 i
sinodi di Arles (314), Nicea (325), Serdica (342) e Costantinopoli (381) si sono gi
pronunciati nei loro canoni sull'organizzazione giuridica della Chiesa sia dell'Occidente
sia dell'Oriente. Nella prima met del secolo quinto, che ci interessa particolarmente, la
comunione delle Chiese si ulteriormente sviluppata, come vedremo nei fatti seguenti:
A. La formazione dei cinque "Patriarcati" o delle Chiese regionali 37
Durante il secolo quarto, appaiono le Chiese metropolitane, con confini che
corrispondono in gran parte a quelli delle Provincie dell'Impero secondo la riforma di
Diocleziano. E' da notare che le sedi di Roma e di Alessandria fanno eccezione, essendo
nello stesso tempo sedi metropolitane e sedi sopraprovinciali (Roma ha influenza
sull'Italia e sull'Africa del nord).
Altrettanto da considerare che questo ordine s'impone molto pi lentamente in
Occidente. In Gallia, ad esempio, solo verso la fine del secolo. Ved. il sinodo di Torino
nel 398.
Questi sviluppi dell'organizzazione gerarchica vengono attestati dai canoni 4 e 6 di
Nicea 38. Oltre che Roma ed Alessandria, si impongono quindi gradatamente anche
Antiochia, Efeso, Costantinopoli, Cartagine, Milano, Aquileia, come sedi
sopraprovinciali. Per Gerusalemme si veda il canone 7 di Nicea 39.
Nel secolo quinto invece cinque sedi ottengono una superiorit che si esprimer pi
tardi con il titolo di PATRIARCATO 40, e sono, nell'ordine, Roma, Costantinopoli (con
Tracia, Ponto, Asia), Alessandria, Antiochia, Gerusalemme. Bisogna ricordare per che in
questo tempo si formano pure Chiese indipendenti come quelle di Cipro e dell'Armenia.
Il Concilio di Efeso (431)41, e specialmente quello di Calcedonia (451) riflettono in modo
chiaro questa evoluzione di fatto, come nel secolo quarto i sinodi sopra menzionati
avevano gi cominciato a manifestare42.
B. Lo sviluppo del diritto sinodale
Il concilio di Nicea aveva gi legiferato sulla prassi sinodale. Seguendo la volont di
quella legislazione, le riunioni regolari dei vescovi si sono molto sviluppate, bench non
abbiano preso dappertutto la stessa importanza.
Il Sinodo Romano e il cosiddetto "Synodus endemousa" (permanente) di
Costantinopoli acquisiscono una importanza particolare43. Ora questi sinodi sono
diventati la fonte principale del diritto ecclesiastico scritto, che si aggiunge alla
consuetudo. Come gi dimostra il Concilio di Nicea, questo diritto comprende tutti i
campi della disciplina ecclesiastica, ed avr poi sviluppi posteriori nei Concili di Serdica,
Costantinopoli, Efeso, Calcedonia. Se consideriamo, ad es., gli atti dei concilii
35 G.BARDY, La thologie de l'Eglise de Saint Clment de Roma Saint Irne; 55-124: L'Eglise universelle.
36 G.BARDY, op.cit., vol. II; G.D'ERCOLE Communio-collegialit-primato ..., Roma 1964; J.A.FISCHER, studi diversi sui
sinodi nei primi secoli.
37 Si vedano nella Bibliografia per questo paragrafo gli studi sui "Patriarcati": GROTZ, BECK, e il Convegno del 1967
riportato in: OChP 181, sui Patriarcati nel primo Millennio.
38 Vedi SPEIGL, e la letteratura connessa, gi citata, sul primato; JONES, II, 883 ss. (in italiano 379 ss.) per i rapporti fra
le Chiese.
39 Vedi RENOUX, citato.
40 Il termine risale a Giustiniano. Vedi gli studi gi citati sui Patriarcati, e quelli sulla "PENTARCHIA".
41 Vedi il canone 8 Cipro ...
42 Vedi canoni 12, 25, e specialmente 28.
43 Vedi H.MAROT, H., Les conciles romains des IVme et Vme sicles et le dveloppement de la primaut: Istina 4 (1957)
435-462. Per il "Synodus endemousa" vedi JONES, "Visiting council"; J.HAJJAR, J., Le synode permanent dans l'Eglise
byzantine, Roma 1962.
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cartaginesi, notiamo che i vescovi avevano una forte formazione giuridica, risultante
anche dalla frequentazione delle scuole occidentali di retorica. Il dibattito con i Donatisti
ebbe infatti un forte carattere giuridico. il diritto romano diventa cos una fonte
importante per la teologia occidentale e per la formazione dei vescovi.
C. Il Primato del Vescovo di Roma.
Il Concilio di Nicea aveva gi riconosciuto il fatto di una certa preminenza della sede
romana rispetto all'Occidente. Da Papa Damaso in poi invece incontriamo una pretesa
sempre pi netta di una moderatio episcopalis sedis apostolicae.
Questa sopraintendenza - che comprende il diritto d'appello, l'approvazione degli atti
sinodali per quanto riguarda le causae maiores, il regolamento delle elezioni dei vescovi
- si estende de facto, oltre che sulle diocesi suburbicarie, sull'Italia settentrionale, sulla
Gallia, la Spagna, l'Illyricum, ma non ancora - prima del 450 - sull'Africa settentrionale.
In quanto alla communio fidei la Sede Apostolica comincia a rivendicare il diritto della
prima sentenza 44.
La moderatio episcopalis sedis apostolicae appare anche in una legislazione che passa
oltre i limiti delle provincie suburbicarie: la legislazione decretale. Nei documenti
rispettivi constatiamo il fatto che Damaso e i suoi successori intervengono in virt
dell'autorit apostolica, confermandola per con l'autorit dei canoni di Nicea, cio con
la legislazione come stata ripresa dal Sinodo di Serdica (corpus romanum). Questo
riferimento al diritto sinodale ha almeno in parte il significato di dare alle decisioni
romane il carattere del diritto imperiale, cio del riconoscimento da parte dello Stato 45. I
papi fanno appello al diritto romano, che riconosceva diritti speciali ai pontifices maximi
pagani. Tali diritti vengono rivendicati dal papa e dai vescovi per quanto riguarda la
chiesa cattolica.
II. La riflessione teologica sulla communio fidei
Ai principi antichissimi di comunione ecclesiale (un battesimo, una fede, una tradizione
apostolica), si aggiunto nel secolo terzo il principio della collegialit episcopale, in cui
la missione universale della Chiesa sentita innanzitutto come solidariet di tutti i
vescovi. (ved.Cipriano).
Verso il 400 l'ecclesiologia della comunione, cio il principio di una comunione in cui
tutti i vescovi hanno quasi gli stessi diritti (ved. Basilio), viene completata da una
ecclesiologia del primato di certe Chiese, specialmente di quella romana, ma pure di
altre. Si potrebbe parlare di una ecclesiologia del principio di rappresentazione.
In questa evoluzione teologica ulteriore notiamo due orientamenti principali:
1) L'orientamento politico:
Il primato di Roma, ma anche di Costantinopoli, corrisponde alla situazione politica
delle sedi rispettive entro l'Impero Romano. Cos il canone 28 di Calcedonia: il
concetto della "Nuova Roma"46.
2) L'orientamento apostolico ossia petrino:
Lo incontriamo anzitutto nei documenti papali, ma anche altrove. I Papi stessi si
appoggiano a questo proposito in primo luogo sulla presenza di Pietro e di Paolo. Da
Siricio in poi la tendenza di riferirsi solo a Pietro. - Questo principio si annuncia gi nei
primi secoli: Prima Clementis, 1 Pt, 2 Pt, Ignazio, Dionigi di Corinto, eccetera, per
viene sviluppato molto nel quarto secolo, con la venerazione degli Apostoli e delle loro
reliquie. - I Papi, da Damaso in poi, giustificano la teologia papale con Mt 16,18 ss., ed
anche con Gv 21 e Lc 2247.
44 Leo I: "Custodia fidei et disciplinae". Ved.QUASTEN, III, 576.
45 Vedi SPEIGL, per gli interventi in Gallia: Epistola ad Gallos episcopos. In proposito vedi anche JONES, II, 887 (ital. 381);
ANDRESEN, 595 ss, e soprattutto PIETRI e Mc SHANE. - Per l'origine dell'Archivio Pontificio (scrinium), vedi PIETRI, 673677.
46 A questo proposito vedi GAUDEMET, 427 ss., PIETRI, I.,857 ss.
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Ambrogio la penitenza un atto quasi legale dopo il quale si riceve il perdono divino; per
Agostino diventa invece il modo di vivere il perdono divino gi ricevuto, ovvero un
atteggiamento fondamentale di tutta la vita cristiana.
3) La cristianizzazione delle nozze.89
In questo campo i costumi pagani erano particolarmente persistenti. Erano legati alle
cerimonie di fecondit. Si cerc di dare anche ad esse un quadro liturgico. La
benedizione del matrimonio per non era di obbligo, eccetto che per il clero minore90.
4) Il culto dei morti.91
Si dovette dare il senso cristiano alla fine della vita, andare contro gli abusi dei
"refrigeria", e spiegare il significato della preghiera. Di tutto ci testimone anche
letterario Sant'Agostino, soprattutto nel "De cura mortuorum".
5) L' introduzione e l'evoluzione delle feste.92
Nascono in questo periodo le feste di Natale, dell'Epifania, dei Santi, i periodi liturgici
dell'Avvento e delle Quattro Tempora, e viene istituita la Domenica.
Contemporaneamente vengono criticati i costumi del Capodanno, come fa, ad esempio,
Massimo di Torino93.
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comportava forse la sacralit del rito. Comunque la predicazione non stata l'unica
occasione per entrare in contatto con la comunit. C'era anche l'amministrazione
economica e soprattutto la "audientia episcopalis" (vedi sopra). Le biografie dei vescovi
sono assai eloquenti in proposito 106.
Inoltre pi di un vescovo aveva a che fare con le comunit monastiche che avevano
fondate presso il vescovado, e naturalmente anche con il proprio clero 107.
Finalmente, e questo ci interessa di pi, c'era anche lo studio della Bibbia e dei Padri.
Ad esempio Agostino ci parla della lettura assidua che Ambrogio faceva; lo stesso
Agostino fece un ritiro di studio prima della sua ordinazione sacerdotale108, e ci parla dei
suoi studi d'archivio durante la controversia donatista.
Non possibile esporre in questa sede tutti i particolari di tale aspetto dell'attivit
pastorale dei nostri autori. E' chiaro per che chiunque desideri studiare il contributo
teologico o pastorale di un Padre della Chiesa non potr rinunciare a prendere in
particolare considerazione tutti gli aspetti della loro vita sacerdotale109.
9. LA SPIRITUALITA' CRISTIANA
I. La vita monastica
Gli inizi della vita monastica risalgono ai primi secoli della storia cristiana. Tuttavia
ben noto che lo sviluppo decisivo delle forme diverse della vita ascetica coincide in gran
parte con la storia della Chiesa Imperiale, cio con il quarto secolo per l'Oriente e con il
quinto e sesto secolo per l'Occidente. Durante il quarto secolo infatti la vita monastica si
impone ovunque110: appaiono celle di eremiti, laure, monasteri, in tutte le parti
dell'Impero Romano.
E' risaputo che tale sviluppo di vita religiosa molto intensa caratterizza in modo
particolare la storia della Chiesa di Egitto, ma non si pu dire che questa regione sia
stato il solo paese di origine del monachesimo. Nel nostro periodo, il secolo quinto,
l'evoluzione rapida, iniziata nel secolo IV, continua. Ritroviamo dappertutto le tre forme
di vita monastica: gli eremiti, le colonie di eremiti (Laure), i monasteri cenobitici.
In parte si tratta di fondazioni anteriori, che non cessano di fiorire, come il monastero
bianco di SCHENUTE in Egitto, le Laure di Eutimio in Palestina, i Conventi latini di
Gerusalemme o il monastero degli AKOIMETI a Costantinopoli111.
In parte non piccola per incontriamo nuove fondazioni, specialmente in Occidente: i
monasteri di Marsiglia e di Lrins in Gallia, che sono centri importanti di vita
ecclesiastica e "seminari" di vescovi112; i monasteri del Giura113; - qualche fondazione
papale a Roma, eccetera.
Le cause della evoluzione sono da ricercarsi in primo luogo nella attrazione della vita
monastica stessa. In essa sopravviveva l'ideale primitivo della vita battesimale pura,
dell'imitazione di Cristo nel martirio - martirio di coscienza114, e della "sanctitas
Ecclesiae"115, cio della santit che non pi di tutti i fedeli, e neppure dei vescovi, ma
106 Vedi VAN DER MEER, cit., il capitolo sul ministero quotidiano.
107 Idem, il capitolo sul clero e sugli asceti.
108 Epistola 21.
109 Vedi ad esempio la "Vita di Agostino" scritta da Possidius, in: ALTANER, 419, e QUASTEN, III., 328, dove sono
indicate le edizioni, e si vedano anche i diversi studi di PELLEGRINO su questa "Vita".
110 Per il tempo prima del 300 vedi la testimonianza di Eusebio, Demonstr.Evangl.I,8.
111 Vedi BAUS .
112 Vedi BARDY, G., "Les origines des coles monastiques en occident", in: SE 5(1953)86-104.
113 Vedi SChr, 142: "Vies des Pres du Jura", e anche SChr, 297.
114 Il primo esempio la "Vita Antonii".
115 Vedi ANDRESEN, 445.
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dei monaci. Tuttavia la crescita del fenomeno dovuta anche all'importanza di certi
personaggi, specialmente di grandi vescovi che si impegnavano a propagare e a difendere
questo ideale o che si mostravano almeno favorevoli ai monaci:
Schenute, Crisostomo, Sulpicio Severo (il biografo di San Martino), Girolamo, Rufino,
sono propagatori della vita monastica in Oriente, e cos Agostino, chiamato talvolta
"Padre del monachesimo latino", Giovanni Cassiano, che il teoretico della vita
monastica latina116.
Non mancavano per le resistenze contro la vita monastica e contro i monaci. Pagani,
cristiani, e persino vescovi, mettevano in questione una simile vita, incomprensibile per
molti, ridicola per altri, scandalosa o pretenziosa per altri.
Infatti, verso il 400, e anche dopo, autori cristiani come Girolamo, Ambrogio ed altri,
difendono la vita ascetica. Altri, come Agostino stesso, reagiscono contro le idee false
che gli stessi monaci117 potevano avere. Inoltre la campagna contro il Priscillianismo in
Spagna e Gallia non ancora finita118. La controversia origenista, che ha preso origine in
Egitto verso la fine del quarto secolo 119 , continua ancora ad agitare le menti. Esiste
anche il "Messalianismo"120.
Nel quinto secolo comincia anche la legislazione canonica e civile concernente i
monasteri ed i monaci.
II. Il culto dei martiri e dei santi121
Il fenomeno del culto dei martiri e dei santi molto complesso. Ci sono dei fatti storici,
come la venerazione che si aveva per quei cristiani che avevano seguito Cristo fino alla
morte, o anche la stima per i "confessores", dai quali i "lapsi", dopo la persecuzione,
chiedevano la riconciliazione122. C'era la convinzione cristiana della solidariet di tutti
coloro che hanno professato e professano ancora la fede123. C'era il nesso con il culto
degli antenati, come lo troviamo nelle famiglie dei nobili a Roma, e con il culto dei
defunti come lo coltivavano tutti, pure i poveri.
Avviene per una estensione di tale culto verso il 400: il culto per quelli che vivono in
Cristo comincia a comprendere, oltre ai martiri, anche altri santi, i Padri del deserto, i
santi vescovi (Martino, ad esempio). Nello stesso tempo appare anche il culto per la
Madonna124, e per gli angeli, specialmente Gabriele125. Nuove idee sono introdotte: i santi
vengono ormai considerati come "advocati" e "patroni", come intercessori nel cielo. Non
sono pi i vescovi o i "confessores", ma i santi, quelli che stanno come gli angeli davanti
al trono di Dio e vengono interpellati. Forse a questo periodo risale il "Communicantes"
del Canone Romano della Messa. Notiamo ancora l'uso, cominciato nel quarto secolo, di
seppellire i morti "ad sanctos"126, o anche quello di riunirsi "ad sanctum Petrum", per i
sinodi e le assemblee liturgiche.
Sarebbe falso considerare il culto dei martiri o dei santi come devozione popolare, non
ufficiale, della Chiesa. Faceva invece parte della pastorale dei vescovi127. Anche i grandi
vescovi di quel tempo manifestano la loro venerazione per questi eroi cristiani. Ne
116 Vedi H.I.MARROU, Nouvelle Histoire de l'Eglise, 345: sui Padri dell'"et d'oro".
117 "De opere monachorum", contro gli Euchiti.
118 Vedi PIETRI, VOLLMANN.
119 Vedi GUILLAUMONT, A., "Les 'Kefalaia Gnostica' d'Evagre le Pontique", Paris 1962.
120 BAUS, 386 ss; Per tutte queste controversie vedi
ANDRESEN, 441 ss., BAUS, 385, e PIETRI.
121 ANDRESEN, 490 ff.
122 Vedi Tertulliano, Cipriano.
123 ORIGENE parla della "intercessione" o "parresia".
124 Legato ad Efeso ?
125 BAUS, 337 ss.
126 BAUS, 336 ss.
127 ANDRESEN, 494.
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abbiamo testimonianza, prima del 400, nei Cappadoci e in altri; dopo il 400, in
Crisostomo, in Paolino di Nola e nello stesso Agostino.
I vescovi predicano sui santi e ne propagano il culto in parte per sopprimere sostituendoli - i culti pagani128. Ormai i fedeli andavano da questi santi medici, per
cercare la guarigione delle loro malattie e sofferenze. Altrove andavano da Cosma e
Damiano, i nuovi "salvatores", "anargyroi", che, come una volta Asklepios, davano
gratuitamente la salute129.
Lettura dai sermoni di Agostino.
Note metodologiche.
Nella NBA si trova una tavola cronologica per la datazione, il luogo e le edizioni
esistenti. Prendiamo in considerazione i sermoni sui santi Pietro e Paolo.
Sermo 296 per la festa di Pt e Plo forse tenuto nel 411 (dopo il sacco di Roma).
L'occasione liturgica offre lo spunto per opporsi alla visione della Roma aeterna come
esaltazione della fede cristiana. Agostino medita sulla vita dei due apostoli per opporsi
alla visione teologico-politica del tempo. Il vangelo della festa Gv 21.
Pietro il primo tra gli apostoli, ma anche il debole che ha rinnegato Cristo: tam
amator quam negator. Contro la struttura del panegirico classico descrive come prima
delle res gestae la sua debolezza, contro i Pelagiani. Assistiamo ad un cambiamento
radicale rispetto al tema dell'imitatio Christi da parte dei martiri: il martire mostra anche
la paura della morte come conseguenza del P.O. Questa interpretazione si applica anche
alla citt di Roma, simbolo della societ umana: l'Urbe fu saccheggiata in segno di
partecipazione alla debolezza ed alla sofferenza dei martiri.
Par. 6ss: Roma fu saccheggiata nonostante la presenza in essa delle tombe dei martiri.
Ma Alarico non os toccare coloro che si rifugiavano su quei sepolcri. Nel rispondere
alla domanda sul perch Dio abbia permesso tutto questo, Agostino evita i luoghi
comuni, e supera il concetto di salus populi romani. Afferma che le memorie degli
apostoli non sono ancora nel cuore dei cristiani, che non si deve osare chiedere a Dio
perch abbia permesso tutto questo, e porta l'esempio di Cristo sofferente che obbedisce
al Padre (cristianizzazione del panegirico classico). Il passo di Gv 21, 18 viene preso da
Aug (dopo il 410) per esplicitare il tema della paura della morte in Pietro: ci anche
conseguenza della controversia pelagiana.
[III. Il culto delle reliquie e specialmente della Croce130
Insieme con il culto dei martiri e dei santi, si sviluppa il culto delle reliquie. E' un fatto
caratteristico proprio della Chiesa Imperiale. Dal secolo IV fino al secolo VI si
distinguono tre fasi di evoluzione:
culto privato delle reliqwuie a Roma, dalla seconda met del secolo quarto in poi,
seguendo la venerazione di certi martiri, che si faceva in circoli ristretti o in cappelle
private;
periodo delle "inventiones", del trasloco delle ossa di un martire dal cimitero in una
chiesa della citt. Sono famosi i traslochi di Gervaso e Protaso sotto Ambrogio a Milano;
e non meno famosa la "inventio Stephani" a Roma, nel 415;
il periodo della moltiplicazione quando il desiderio di avere qualche reliquia conduce
alla loro moltiplicazione; si ha la divisione del corpo, o, pi spesso, si ha la reliquia "per
contatto" 131.
I Papi mantengono un atteggiamento riservato su questo tema.
128 Cirillo di Alessandria trasforma il luogo della "Kyra - Isis", in un santuario dei martiri Ciro e Giovanni.
129 ANDRESEN, 497 ss.
130 BROWN, Praesentia sulle traslazioni.
131 Per Roma, vedi PIETRI, e anche
MAC CULLOH, J.M., "From antiquity to the Middle Ages", in: "Pietas", Miscellanea Ktting, 313-324, soprattutto per il sesto
secolo in poi.
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La venerazione della croce e delle sue reliquie risale al quarto secolo. Sono famose le
testimonianze di Cirillo di Gerusalemme (circa il 350) e di Ambrogio (fine del secolo),
nonch di Egeria, della fine del secolo. Nel secolo quinto il Papa Leone, come un po'
prima di lui l'Imperatore Teodosio II, riceve una particella della Croce, per tramite dello
"Staurophilax", un ufficiale di Gerusalemme che aveva il compito della "custodia della
Croce"132.
Da ritenere ancora l'osservazione di Andresen, secondo la quale il culto delle reliquie
manifesta che la Chiesa Imperiale diventata una Chiesa del Popolo, ma che ci
includeva pure il pericolo di degenerare in devozioni nazionali. I santuari possono essere
centri di nazionalismo.
IV. I pellegrinaggi
Nel quarto e poi nel quinto secolo incontriamo un altro fenomeno anch'esso collegato,
almeno in parte, con il culto dei martiri e dei santi, cio i pellegrinaggi.
I luoghi pi famosi sono i santuari di quei "sancti-salvatores", come anzitutto il
santuario immenso di San Menna in Libia133, e poi le tombe dei Santi martiri e
specialmente dei "Principes Apostolorum" a Roma134, e finalmente i luoghi santi di
Gerusalemme e della Terra Santa. Questi ultimi, insieme a certi monasteri orientali,
attiravano grandi folle. Sull'argomento esiste una letteratura speciale, detta delle
"Pelegrinationes", o racconti di viaggio, e simili testimonianze. Non mancavano, anche a
questa espressione di religiosit popolare, certe critiche, come quella di Gregorio di
Nissa135.
CONCLUSIONI (per i paragrafi 7 e 9)
Le considerazioni sulla vita liturgica, la predicazione ed il ministero pastorale, nonch
sulla spiritualit e le devozioni del secolo V , ci conducono a certe conclusioni pi o
meno comuni:
1)GENERI LETTERARI NUOVI
I fenomeni segnalati in proposito vengono testimoniati in documenti numerosi, i quali
costituiscono rispettivamente parti speciali della letteratura cristiana antica, con generi
letterari nuovi:
- i Libri liturgici, cio le collezioni di preghiere, che, giunte a noi in redazione pi tarda,
risalgono per al nostro periodo136;
- collezioni di prediche137;
- la letteratura monastica, che comprende lettere, regole, biografie di santi monaci,
collezioni di "Apoftegmata" (parole e aneddoti dei Padri del deserto) 138;
- la letteratura agiografica, oltre a quella monastica, come la "Vita Martini" di Sulpicio
Severo, o quelle scritte su Agostino e Ambrogio139;
- gli "Itineraria", specialmente quello di Eteria140, ma anche il "Peristephanon" di
Prudenzio141 e certe lettere di Paolino di Nola, di Agostino, di Gerolamo142 e di altri.
132 ANDRESEN; si veda in proposito anche STUDER, B., "Soteriologia", paragrafo 17, e specialmente
STOCKMEIER, P., "Theologie und Kult des Kreuzes bei Johannes Chrysostomus. Ein Beitrag zum Verstndnis des
Kreuzes im 4 Jh.", Leiden 1967; THLAMON, F., "Paiens et Chrtiens au 4me sicle", Paris 1981.
13341 ANDRESEN
134 Vedi PIETRI, con letteratura ulteriore.
FASOLA, U., "Pietro e Paolo a Roma", Roma 1980.
135 Epistola 2 e 3. Vedi QUASTEN, II. (italiano), 284 ss, con commento ed estratti.
136 Vedi ALTANER, par. 64.
137 ALTANER nei paragrafi rispettivi per i singoli autori, come Crisostomo, Agostino, Leone, Crisologo, Massimo, eccetera.
Vedi anche ClPatrum, CPG II su Crisostomo.
138 ALTANER, par. 66, sui monaci dell'Egitto; par. 68,18, la "Vita Antonii"; par. 102,13, la Regola di Agostino ; par. 61,1, la
"Historia Lausiaca", "Historia Monachorum", "Apophtegmata Patrum"; par. 104,1, su Cassiano, eccetera.
Si vedano anche i "Tratatus de Virginitate", e altri autori come DESPREL, DE VOGUE.
139 ALTANER, par. 61 e par. 59,8.; RAC.
140 ALTANER, par. 62.
141 ALTANER e QUASTEN III.
142 Girolamo, lettera 108, in traduzione tedesca in OONNER, 146, 6-14.
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INTRODUZIONE
E' ovvio che una iniziazione alla lettaratura cristiana antica deve considerare con
attenzione particolare la teologia nelle comunit cristiane dei primi secoli, poich la
teologia, intesa come approfondimento intellettuale del Vangelo di Ges Cristo,
costituisce senz'altro l' argomento principale degli scritti patristici. Infatti, quando i Padri
della Chiesa si mettevano a scrivere, lo facevano in primo luogo per commentare la
Bibbia, poi per difendere la "Regula fidei", trasmessa dalla tradizione apostolica, e infine
per rilevare il senso pi profondo delle verit cristiane, cio per fare teologia.
I patrologi si sono concentrati sulla teologia e cristologia dei PP trascurando altri testi
che ci danno i motivi nascosti di queste controversie, quale lo studio della teologia
cristiana della famiglia (nei sermoni...). I PP insistono sull'ortodossia cristologica nicena
nei discorsi al popolo sulla morte, sulla cura dei malati, sui discorsi spirituali ecc. In
quest'ottica vanno dunque lette le controversie dottrinali.
Tuttavia non si tratta qui di esporre la storia delle dottrine cristiane, n dei dogmi nel
senso stretto della parola, n delle posizioni teologiche sviluppate nel nostro periodo.
Intendiamo piuttosto mettere in evidenza i principi teologici che in quel tempo sono stati
elaborati, o che almeno caratterizzano il lavoro teologico di allora 1. Neppure sotto
questo aspetto prevalentemente metodologico la nostra esposizione sar completa.
Fermeremo la nostra attenzione su quegli aspetti che emergono pi degli altri, nel senso
che forse essi hanno pure condotto alla creazione di nuovi generi letterari nella
letteratura patristica.
Considerando dunque l'orizzonte teologico del secolo quinto, riguarderemo in modo
speciale
il principio di "Ortodossia"
143 MARROU, NHE I., 346 ss: i Padri dell'"et d'oro"; "Vedere Dio"
144 Si vedano le rispettive "Introduzioni" in SChr, 116 o in BAug 71 oer il "Tractatus in Johannem"; POQUE; ZWINGGI.
1 Vedi quanto gi detto nella Introduzione a proposito della differenza rispetto alla Storia della Teologia.
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cos saremo anche noi, ma non come Cristo. Nell'eternit l'umanit di Cristo acquista
molta importanza, perch media questa unione.
Teodoreto ha una sola preoccupazione: impedire agli ariani di violare la trascendenza
divina, anche se egli ammette l'immanenza di Dio nella storia. Ma Teodoro sta molto
attento ad evitare qualunque confusione tra Dio e la natura: da qui il suo grande
probleme, ovvero la distinzione delle due nature in Cristo.
Un concetto centrale per lui quello della pericoresi, ovvero la metafisica del mutuo
scambio di doni tra le due nature.
In Teodoro, dunque, la profondit dell'unione tra Dio e l'uomo (sia in Cristo che in noi)
pu apparire un po' diminuita, ma tale diminuzione non preoccupa il nostro autore: egli
cerca piuttosto una spiegazione della partecipazione dell'uomo alle realt divine che
permetta una sintesi tra la trascendenza e l'immanenza di Dio, e nello stesso tempo salvi,
in Cristo, la divinit del Logos e la reale umanit di Ges.
Teodoro non uno speculativo, ma soprattutto un esegeta. Come liturgo fa esperienza
della presenza di Cristo nella Chiesa, e la sua teologia speculativa sussidiaria, lasciando
pure la filosofia nello sfondo. Interpreta cos l'unit Dio/uomo in Cristo secondo le linee
dell'unit corpo/anima. A differenza degli alessandrini, nega che l'immagine di Dio sia
nell'anima e possa essere migliorata per mezzo della conoscenza. Dio e le creature sono
due forme di essere diverse, e la loro unione si fa soprattutto con la volont e l'amore. La
redenzione si attua con l'unione delle volont divina e umana in Cristo, che toglie la
disobbedienza di Adamo. Il Logos si unisce all'umanit di un uomo preciso, la cui
obbedienza vince il peccato. Fin dal concepimento Ges fu unito da un atto della volont
divina al Logos, che gli conferisce una particloare sensibilit morale, capace di
permettere a Cristo una totale e volontaria obbedienza che mantiene l'unit con il Logos.
Punto di realizzazione perfetta dell'umanit la croce, e come premio di essa Dio d a
Cristo l'immortalit del corpo e l'immutabilit dell'anima, rendendolo causa e primizia
della salvezza.
Bench Teodoro condivida l'ortodossia nicena e sostenga il principo della guida divina
dell'uomo assunto, tuttavia spiega che l'azione umana costitutiva della redenzione di
Cristo e della partecipazione cristiana alla salvezza.
La cristologia di Teodoro si trova espressa soprattutto nelle sue omelie catechistiche.
Egli nega che si possa parlare di due Signori e di due Figli: le due nature sono unite
ineffabilmente ed inseparabilmente in un solo prosopon (= figura). L'unione non
distrugge la distinzione, e la distinzione non impedisce l'unit. Teodoro si sforza di
salvaguardare l'unit senza parlare di una integrit umana, ma ad un alessandrino la sua
terminologia e la spiegazione non chiara dell'unione appaiono insufficienti: lo stesso
termine prosopon si presenta meno impegnativo di "ipostasi".
Nel commento a Giovanni, Teodoro parla di Cristo uomo e Dio come di due soggetti:
la distinzione va ricercata nella physis-hypostasis, mentre l'unit garantita da un unico
prosopon. Certo l'impiego ed il contenuto di persona e natura sono ancora poco
delineati, ma il contributo di Teodoro importante: la discussione sull'interpretazione
della figura di Cristo data dagli Ariani e dagli apollinaristi trova in lui un grande
interlocutore, che oppone la cristologia Logos/anthropos a quella Logos/sarx. Si tratta,
in ultima analisi, dell'interpretazione del rapporto tra Dio ed il mondo.
Fin dai tempi di Giustino la teologia si era impegnata sul rapporto Logos/sarx; ora
l'umanit di Cristo viene presa in considerazione nella sua pienezza.
3. Nestorio.
Lo scontro decisivo tra le teorie dell'unione volontaria e dell'unione naturale arriva con
Nestorio (patriarca di Costantinopoli nel 428-431), che disapprova pubblicamente l'uso
dell'appellativo mariano di Theotokos. La cristologia antiochena vedeva in Maria solo la
madre dell'uomo Ges, ovvero la Christotokos. Cirillo interviene nella questione per
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motivi politici e dottrinali: la rivalit tra Alessandria ed Antiochia, in base alla quale
Cirillo non voleva che un antiocheno sedesse sulla cattedra di Costantinopoli.
La seconda lettera di Cirillo a Nestorio e la risposta di quest'ultimo puntualizzano le
differenze tra le due cristologie. Della controversia entrambi avevano informato papa
Celestino, che senza approfondire la questione decide di appoggiare Cirillo (Concilio di
Roma dell'agosto 430), invitandolo ad esigere la ritrattazione di Nestorio. Cirillo informa
Nestorio della decisione papale solo in novembre, accompagnando la sua lettera con 12
anatematismi rispecchianti la tradizione alessandrina pi radicale: in essi si parla dell'unit
delle nature. Ma nello stesso tempo Nestorio chiede all'Imperatore di convocare un
concilio, che si apre ad Efeso il 12.6.431. Lo svolgimento dei lavori irregolare, non
senza colpa di Cirillo: i suoi sostenitori depongono Nestorio, e i partigiani di questo
rispondono sullo stesso tono. Teodosio approva le due deposizioni, e Nestorio si ritira in
un convento mentre Cirillo resta saldamente sulla cattedra di Alessandria.
Nestorio fu accusato di distinguere due Cristi e di concepire come solo esteriore
l'unione divinoumana; egli neg le accuse ed accus Cirillo di apollinarismo, ma delle sue
opere ci resta assai poco, impedendoci di comprendere se davvero la posizione di
Nestorio fosse eretica.
Nestorio si preoccupa di salvare l'integrit e la libert umana di Cristo, che era ridotta
dagli alessandrini a mero strumento passivo del Logos, e cos tiene distinti gli appellativi
delle due nature.
Per parlare dell'unione delle due nature Nestorio afferma una unit ineffabile, ma
preferisce il termine synapheia per evitare la mescolanza: si ripropone cos il problema
della pericoresi, ma Nestorio non pu accettare quella formulata da Cirillo. Egli usa la
terminologia antiochena, che sottolinea soprattutto la distinzione: uomo assunto dal
Logos, Tempio e dimora di Dio.
In base a questo interesse prioritario, Nestorio non pu accettare l'unione delle due
nature e delle ipostasi: per lui una natura non ha sussistenza reale se non anche una
ipostasi (ovvero una determinata persona). L'unione di nature ed ipostasi gli appariva
come una confusione dal sapore apollinarista: preferisce cos parlare di una unione per
condiscendenza (kat'eudokia), ed afferma ripetutamente un solo prosopon in cui si
uniscono le due nature, non precisando per il significato del primo termine.
Nel libro di Rachide, Nestorio parla di uno scambio di prosopon, per cui una delle due
nature siserve del prosopon dell'altra: alcuni interpretano questo concetto come
l'accettazione della communicatio idiomatum, rifiutata invece nella risposta alla II lettera
di CIrillo. E' comunque chiaro che Nestorio non riesce ad ovviare al rischio antiocheno
di separare le due nature.
4. Il secondo Cirillo.
Non soffre meno di Nestorio, ma non cerca di rispondere al problema distinguendo il
piano dell'unione da quello della distinzione. Afferma una sola natura del Logos
incarnato, ed dominato da un'intuizione su Gv 1,14 ed il Simbolo niceno, che eserciter
un forte influsso anche in futuro. Nestorio accentua la distinzione senza negare l'unit,
mentre Cirillo mette al primo posto l'unit, senza saper interpretare la distinzione.
Calcedonia sar la via media, che prende da Cirillo il fermo riconoscimento di un solo
Cristo, ma accentua pi nettamente in lui la distinzione. Il Concilio segue la via richiesta
dagli sviluppi, senza per esserne pienamente cosciente. Era necessario che a Calcedonia
si prendesse una decisione, ma ci non avvenne con sufficiente deliberazione: vi fu una
certa confusione fino alla controversia monotelita.
Questi sono i punti fondamentali della cristologia di Cirillo:
- le hypostaseis/physeis di Cristo non possono essere divise dopo l'unione;
- gli idiomata non possono essere divisi tra due persone, nature, ipostasi, ma devono
riferirsi all'unica ipostasi del Logos incarnato;
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- il Logos unito alla carne assunta kath'hypostaseos: la natura del Logos un solo
Cristo, poich il Logos si unitp realmente ad una natura umana senza alcuna alterazione
o confusione.
5. Efeso (431)
(cfr la voce del DPAC)
I PP del sinodo non stabilirono n discussero alcuna nuova formula di fede. Il centro
dell'attenzione si rivel come un'idea dogmatica gi conosciuta e minacciata da Nestorio.
Per questa idea il concilio acquist importanza, eppure si pu parlare di un Credo di
Efeso, ovvero di una formula di fede (presentata in assenza di Cirillo) che doveva poi
modificarsi e diventare la formula di unione del 433, influenzando poi direttamente
Calcedonia. QUesta idea dogmatica la seguente: unico e il medesimo il Figlio
eterno del Padre ed il Figlio della Vergine Maria, nato nel tempo secondo la carne,
perci essa pu giustamente essere chiamata Madre di Dio.
Su questo punto si svolgeva la discussione contro Nestorio, pi che sul contenuto del
simbolo niceno. La formula del 433 insister su "unico e il medesimo", poi incluso nella
definizione di Calcedonia. Per i PP la seconda lettera di Cirillo a Nestorio era
l'espressione ufficiale dell'insegnamento niceno, e l'espressione ivi contenuta "enosis
kath'hypostasin" cre un precedente per l'accettazione a Calcedonia del termine nella
fede cristiana.
Noi non dobbiamo cercare una definizione filosofica di questo termine: la formula vuole
solo esprimere la realt dell'unione in Cristo, rifiutando un'unione solo morale od
accidentale (contro l'unione "kath'eudokian")
6. Dopo Efeso.
Il periodo della cristologia che va da Efeso a Calcedonia ha vari contrassegni:
a. Non si considera pi la cosa pi importante l'insistenza sulla completezza delle realt
divina ed umana nella persona di Cristo (IV sec.). Viene in primo piano la discussione
sull'unione ed il rapporto tra di esse.
b. Si cerca, da parte dei teologi pi "progressisti", di distinguere i livelli in cui cercare
realt e distinzione, ma questo movimento viene contenuto e deviato da Cirillo e dai
suoi.
c. Negli sforzi degli antiocheni essi vedono solo un rischio, cui contrappongono una
cristologia unitiva accentuata sull'unit del Logos; ma in tale cristologia gli avversari
scorgono un pericoloso ritorno dell'apollinarismo e dell'arianesimo.
d. Due modi distinti di porre il problema, uno moderno ed uno arcaico, stanno quindi di
fronte, ma difficilmente si scorge la differenza di impostazione necessaria per avviare il
dialogo. La formula di Calcedonia soddisfa le due esigenze, mentre Cirillo accentuava
solo il fatto dell'unit. Viene cos a precisarsi il contrasto cristologico
antiocheno/alessandrino.
e. Il kerigma viene cos imprigionato in un dogma di tipo ellenistico. Sembra che ci si
sia allontanati dalla Bibbia, ma il significato di "hypostasis" determinato da Eb 2,3.
1ter. La reazione antiochena a Efeso. La cristologia fino a Calcedonia.
1. Teodoreto di Ciro.
Nel novembre 430 gli inviati di Cirillo consegnarono a Nestorio le lettere di Celestio
(datate 11 agosto), accompagnate dai 12 anatematismi scritti dal patriarca alessandrino,
perch le firmasse. Secondo KELLY i 12 anatematismi riassumono la cristologia di
Cirillo, ed il loro contenuto si pu cos riassumere:
1. Maria Theotokos.
2. Il Verbo unito kath'hypostasin alla carne.
3. Rifiuta ogni separazione delle ipostasi dopo l'unione, e rifiuta ogni "associazione" per
dignit: sono insieme per un'unione naturale (enosis physik) tra Logos e carne. Per gli
Antiocheni questa affermazione era apollinarista, dacch avrebbe negato la distinzione tra
le due nature.
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Ma Teodoreto non ha altri termini oltre a prosopon per dire l'unit: nel De Trinitate et
Incarnatione appare per la prima volta il concetto di un "prosopon misto" di Ges
Cristo. L'idea cristologica di Teodoreto rivela qualche insufficienza, ma non possiamo
cercare nei suoi scritti il significato ontologico che noi diamo a prosopon: per lui significa
ancora figura, aspetto. La debolezza della cristologia di Teodoreto si rivela allorquando
egli si sforza di arrivare ad una interpretazione interiore di Cristo: il suo concetto di
prosopon non gli permette di rilevare l'unicit dell'ipostasi del Logos, e lo spinge a dare
uno statuto ontologico quasi uguale al Logos ed all'umanit; da ci scaturisce un ritratto
del Cristo troppo simmetrico, e non imperniato sul Logos, che in Teodoreto non diventa
mai il soggetto comune di attribuzione delle asserzioni divinoumane. Fino al 448/49 ha
difficolt ad accettare il titolo Theotokos, e non arriva a distinguere l'unit personale da
quella naturale ,non vedendo il Logos come unico soggetto del Dio-Cristo.
Sembra comunque che la cristologia di Teodoreto si sia evoluta ancora; la lettera 46 del
449 mostra una sua interpretazione di prosoon come di unit del soggetto e della persona
in Cristo.
2. Sviluppi dopo il Concilio Efesino del 430.
Con la consegna degli anatematismi crilliani a Nestorio, e le conseguenti reazioni,
l'abisso tra le due parti pu sembrare incolmabile. Vi sono per dei segni di
avvicinamento.
Il 16.7.432 muore papa Celestino, e gli succede Sisto III, che cerca una riconciliazione
partendo dal riconoscimento pieno di Efeso. Gli ostacoli da superare sno i 12
anatematismi di Cirillo e la condanna di Nestorio. Si giunge alla fine ad un accordo:
Acacio di Berea ha un ruolo importante in questa fase. Cirillo dette una spiegazione del
suo insegnamento che escludeva la confusione delle due nature, ed allora da parte
antiochenafu inviata a Cirillo una lettera contenente affermazioni di Teodoreto che erano
state approvate ad Efeso nel 431. Questo acordo il simbolo di unione, nella lettera 38
di Giovanni di Antiochia a Cirillo. Vi si dichiara che Cristo Dio ed uomo perfetto,
dotato di anima razionale e corpo, frutto di due generazioni, consustanziale al Padre nella
divinit ed alla Madre nell'umanit. Dall'unione delle due nature abbiamo un solo Cristo,
Figlio e Signore, in un'unione senza conusione che permette di chiamare Maria
Theotokos. Le affermazioni dei Vangeli e di Ap si usano indifferentemente nei confronti
dell'unit della persona, o anche divise per le nature.
Con la lettera Laetentur coeli, Cirillo saluta queste formulazioni, ma sembra che faccia
concessioni agli antiocheni, lasciando in secondo piano gli anatematismi.
Cirillo accetta cos il linguaggio antiocheno (un solo prosopon), e vengono affermate
l'unit delle due nature dopo l'unione; il termine Theotokos, ma anche la definizione
come Tempio dell'umanit di Cristo.
Si convenne anche sulla condanna di Nestorio, e scomparve l'uso del termine synapheia
(congiunzione) in favore di enosis.
Tra il 433 e la crisi eutichiana del 448 non vi sono grandi sviluppi dottrinali in
cristologia, ma nessuno dei due partiti era totalmente soddisfatto del simbolo di unione.
Gli alleati estremisti di Cirillo non accettarono la dottrina delle due nature, e Cirillo fu
costretto a dimostrare che nonostante il linguaggio criticabile, perch antiocheneggiante,
la sua dottrina era rimasta immutata. Da parte antiochena, invece, gli estremisti della
Cilicia affermano che Cirillo eretico, mentre gli antiocheni moderati si pentivano per
aver accettato la condanna di Nestorio.
Nel Tomus ad Armenios del 435, troviamo un elenco di estratti di Teodoro di
Mopsuestia definiti eretici, il che prova l'intensificarsi della tensione. Alla morte di Cirillo
(434), che aveva tenuto a freno i suoi partigiani pi estremisti, si era fatto pi forte,
infatti, l'attacco alessandrino alla dottrina delle due nature. Il successore di Cirillo,
Dioscuro, si mise a capo del dissenso e volle riaffermare la dottrina della "mia physis",
secondo lui compromessa da Cirillo. Proclo, patriarca di Costantinopoli, sceglie una
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tuttavia era una osservazione marginale: egli torn presto all'affermazione monotona
delle due nature prima dell'incarnazione e di una sola natura dopo l'incarnazione.
E' chiaro che l'immagine tradizionale della dottrina di Eutiche si formata raccogliendo
alcune sue affermazioni e conducendole alla loro conclusione logica. Dal momento che
rifiutava il consustanziale con noi, se ne deduceva che l'umanit di Cristo era per lui
pura apparenza; perci doveva essere un docetista. Dalla sua affermazione delle due
nature prima e una sola natura dopo l'unione, si deduceva che le due nature dovevano
essere state fuse in un tertium quid oppure che l'umanit era stata assorbita dalla Divinit.
Sembra in effetti che Eutiche fosse un pensatore confuso e poco abile (multum
imprudens et nimis imperitus disse di lui papa Leone), impegnato ciecamente a difendere
l'unit di Cristo contro ogni tentativo di divisione. Non era per docetista, n
apollinariano: nulla era pi esplicito della sua affermazione della realt e concretezza
dell'umanit di Cristo. Le sue esitazioni a proposito del consustanziale con noi
nascevano dal suo sospetto esagerato di poter essere costretto ad accettare la concezione
nestoriana dell'umanit come quella di un uomo singolo assunto dalla Divinit. Se
rifuggiva dalla espressione due nature era perch, come molti alessandrini, intendeva
physis, o natura, nel senso di esistenza concreta. Ancor pi dello stesso Cirillo (del quale
gli mancava la profondit di pensiero e di intuizione), si era abbeverato alla letteratura di
provenienza apollinariana, che credeva pateticamente ortodossa, e si era afferrato alla
formula di Cirillo una sola natura, trascurandone la qualificazione essenziale: fatta
carne. Se la sua condanna deve essere giustificata, si deve farlo alla luce di considerazioni
pi ampie: la Chiesa della sua epoca stava cercando a tentoni la sua strada verso una
cristologia equi-librata. Il tipo di pensiero rappresentato da Eutiche era in certa misura
unilaterale; bench fosse possibile intenderlo in senso ortodosso, sforzandolo in quella
direzione si capovolgeva il necessario equilibrio: se non si insisteva sopra l'altro aspetto
implicito nella dottrina delle due nature, la cristologia poteva scivolare negli errori che le
attribuivano i suoi avversari.
Quantunque Eutiche fosse scomunicato e deposto, il tempo in cui rimase in disgrazia
non fu lungo. Scrisse al papa, ma la sua lettera non port il risultato sperato. Flaviano
aveva gi informato Leone della sua condanna e ora scrisse con maggiori particolari
definendo la sua eresia. Il risultato fu che il 13 giugno 449 Leone sped la sua famosa
Epistula dogmatica o Tomus a Flaviano, dimostrando chiaramente la sua ostilit per la
dottrina di una sola natura. Eutiche ebbe maggior successo con Dioscoro, che fin dal
principio aveva rifiutato di riconoscere la sua scomunica e con il suo aiuto convinse
Teodosio II a convocare un Concilio ecumenico. Il Concilio si riun ad Efeso nell'agosto
del 449 e fu dominato dalla rude efficienza di Dioscoro. Quantunque il papa avesse
mandato tre legati, essi non ebbero la possibilit di leggere il suo Tomus. Eutiche fu
immediatamente riabilitato e la sua ortodossia riaffermata. Il Simbolo di unione fu
formalmente abrogato, in quanto andava al di l delle decisioni del Sinodo di Efeso del
431, e l'affermazione delle due nature dopo l'unione fu anatemizzata. Flaviano ed
Eusebio di Dorileo, e insieme a loro Teodoreto e tutti gli esponenti della dottrina delle
due nature, furono condannati e deposti. Finito a questo modo, il Concilio rimase noto
come il Sinodo dei ladroni o Latrocinio efesino.
4. Leone Magno.
La cristologia del Tomus ad Flavianum non originale, ma riproduce e specifica le idee
dei predecessori:
a. La persona del Dio/uomo la stessa della Persona Divina. Descrive l'Incarnazione
come svuotamento, ma senza diminuzione della potenza del Verbo: non cede la gloria del
Padre.
b. Le nature umana e divina coesistono senza mescolanza n confusione, unendosi per
formare una sola persona, ciascuna conservando le proprie qualit naturali della sostanza.
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La forma servi non diminuisce Dio e viceversa, e l'unico mediatore doveva poter morire
come uomo.
c. Le nature sono principi di operazioni separate, ma sempre in accordo tra loro: il
Verbo compie ci che del Verbo e la carne ci che della carne.
d. L'unit della persona rende legittima la communicatio idiomatum: il Figlio di Dio fu
crocifisso e sepolto; il Figlio dell'uomo discese dal cielo.
Qui gli antiocheni potevano riconoscersi nell'unit ed indipendenza delle due nature,
mentre gli alessandrini nell'identificazione tra l'identit della persona dell'incarnato e
quella del Verbo eterno: nelle due nature esiste l'unico e medesimo Figlio di Dio.
1quater. Calcedonia.
La morte di Teodosio II, che aveva sostenuto il latrocinio efesino, fu vista dagli
ortodossi come provvidenziale. Il successore Marcello simpatizza per la teoria delle due
nature, e propone un Concilio generale, che il Papa avrebbe voluto in Italia. Dopo varie
incertezze, fu scelta la sede di Calcedonia, ove si riunirono pi di 500 vescovi ed i legati
papali l'8.10.459.
L'imperatore premeva perch dal Sinodo scaturisse un'unica fede, ma i PP non volevano
un altro credo. I legati imperiali agirono per proporre una formula che tutti
sottoscrivessero.
Con la definizione di Calcedonia:
- si riafferma il Credo di Costantinopoli;
- si canonizzano le due lettere di Cirillo come condanne di Nestorio, e si canonizza il
Tomus Leonis ad Flavianum come condanna di Eutiche.
- si stabilisce una formale confessione di fede.
Tre passi del Tomus Leonis inquietavano i vescovi di Illiria e Palestina, ed i legati papali
dovettero convincerli che il papa non intendeva dividere Cristo, ma riconosceva le
conseguenze pratiche della divisione in nature. Il primo abbozzo del testo approvato
mancava di estratti del Tomus, e leggeva "ek dyo physeon" invece di "en dyo physein",
non affermando la sussistenza di due nature dopo l'unione.
Furono fatti al testo gli emendamenti necessari, e si discusse lungamente su ogni
paragrafo.
Nella sua forma definitiva, la definizione un mosaico dalle due lettere di Cirillo, dal
Tomus ad Flavianum, dal Tomus unionis e dalla professione di fede di Flaviano. In esso si
riconoscono parimenti unit e dualit di Cristo. Vediamo affermata l'identit con la
monotona ripetizione di "ton auton", e con l'insistenza sulla indivisibilit ed inseparabilit
di Ges Cristo, non costituito di due prosopa. Non si usa il termine "unione ipostatica",
ma si ammette il Theotokos.
Il lungo dibattito aveva provato che questa unit non poteva stare senza un
riconoscimento esplicito dell'umanit di Cristo, pena il rischio di monofisismo; si afferma
cos che il Verbo incarnato esiste in due nature complete e peculiarmente operanti,
rifiutando il concetto di unione naturale (alessandrini), e scegliendo i termini prosopon ed
hypostasis.
2. La controversia pelagiana.
Bench le Chiese occidentali fossero state anch'esse impegnate nella controversia
cristologica, soprattutto durante la seconda fase, cio prima e dopo il Concilio di
Calcedonia, le discussioni sull'unico Cristo, Dio e uomo, sono state vicenda
principalmente orientale. Tuttavia anche l'Occidente ha avuto le sue controversie
teologiche.
All'inizio del secolo quinto, infatti, la Chiesa africana veniva disturbata dai disordini
suscitati dal donatismo. Soltanto con grandi sforzi, teologici, e politici, Agostino
finalmente riuscito a superare questo scisma. Durante un intero secolo le comunit
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africane erano state divise13. Meno importanti sono state le controversie anti-manichee
alle quali i contemporanei univano anche la questione priscillianista, che disturbava le
regioni iberiche.
Tuttavia anche queste controversie sono da considerare, se vogliamo capire la
situazione politica della Chiesa. Essa cercava di risolvere questi problemi con l'aiuto del
potere civile, e cercava di conoscere pure le condizioni interne di certe comunit, come
soprattutto fece Leone Magno per quella di Roma, nei primi anni del suo pontificato 14.
Priscilliano.
Fu vescovo di Avila negli anni 381-385 (sec. Chadwick), dopo essere stato monaco in
Spagna ed Africa. Invita la Chiesa all'austerit ed alla disciplina penitenziale, dando una
grande importanza ai carismi dei laici e studiandi gli apocrifi altrimenti considerati eretici.
Gi da laico (370-5) predica un ascetismo rigido, che suscita l'ostilita di alcuni vescovi.
Nel 380 si celebra a Saragozza un concilio contro di lui. Viene accusato di negare la
possibilit di salvezza per chi sposato e di professare dottrine patripassianiste; di avere
una nozione doceta dell'Incarnazione (avrebbe negato la realt delle sofferenze di Ges),
di studiare gli apocrifi eretici e di praticare un miscuglio di manicheismo e magia.
Nonostante Priscilliano venga condannato, due vescovi lo ordinano pastore della Chiesa
di Avila. Nel frattempo i vescovi Idazio ed Itacio ottengono da Graziano un decreto
contro i manichei, che comprende anche i priscilliani pr non nominandoli direttamente
(Agostino, allora a Milano, sente parlare di quello che lui considera n provvedimento
unicamente antimanicheo).
Priscilliano, che era arrivato in Gallia meridionale, cerca in Italia l'appoggio di
Ambrogio, e riesce a far annullare il decreto. Dopo la morte di Graziano, Itacio accusa
Priscilliano presso Massimo, a Treviri. Ambedue vengono deferiti al concilio di Bordeaux
(384), che depone Itacio. Priscilliano allora appella a Massimo, ma Idazio ed Itacio
vanno a Treviri (385) e lo fanno condannare per magia, nonostante il parere contrario di
Martino di Tour.
Priscilliano viene cos decapitato. E' la prima condanna a morte di un eretico, e suscita
una enorme impressione fortemente negativa, concretizzata nelle proteste di Ambrogio e
Siricio. In ogni caso, i Priscilliani restano attivi nella Spagna del nord per gran parte del
V secolo.
La dottrina di Priscilliano (vd. Simonetti in DPAC e Quasten, III vol.). Nel 1889 venne
scoperto a Wrzburg il cosiddetto "corpus Priscillianum", ovvero una serie di testi
raccolti a scopo difensivo, che per Simonetti sono proprio di Priscilliano. Di tale corpus
fanno parte: il Liber apologeticus, che condanna le eresie astrologiche; il Liber de fide et
apocryphis, che afferma come non tutti i libri ispirati siano contenuti nel canone (vd
Chadwick e Crouzel).
La posizione attuale degli studiosi tende a vedere nella condanna di Priscilliano un fatto
politico, anche se non sono chiare tutte le fasi della vicenda. La ricerca attuale tenta di
rivedere dal punto di vista politico le controversie teologiche, notando come, nella lotta
contro i Priscillianisti ed i manichei, la Chiesa abbia cercato di battere gli eretici con
l'aiuto del potere civile.
Non c' dubbio che la controversia pi importante sia stata quella che viene chiamata
pelagiana. I suoi problemi sono:
battesimo dei bambini "in remissionem peccatorum";
peccato originale e redenzione universale;
natura e grazia;
13 Vedi FREND, W.H., "The Donatist Church", London 1952; lo stesso, Donatismo: DizPatr I,1014-1025; Bibl.Aug. 28-32:
"Traits anti-donatistes", con introduzioni e note.
CRESPIN, R., "Ministre et saintet", Paris 1965.
14 Vedi VOLLMANN, B., "Studien zum Priszillianismus", St Ottilien 1965, anche in: PWK Suppl. 14 (1974) 485-559. Vedi
anche PIETRI, Roma Christiana, Roma 1976. -CHAVASSE, A., in: CChL 138, CLXXVIII ss;; DECRET, F., "L'Afrique
manichenne", Paris 1978, anche in: BAug 17, con bibliografia.
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libert e predestinazione.
Tali problemi non erano soltanto di una portata ben diversa rispetto agli altri, ma di
fatto impegnarono anche le Chiese orientali, che dovettero prendere posizione anch'esse,
prima in qualche sinodo palestinese, e poi finalmente al Concilio di Efeso (431)15.
La causa di questa controversia tipicamente occidentale era peraltro un problema
vecchio. Quasi dall'inizio i teologi cristiani si vedevano confrontati con i problemi della
libert umana. Avevano sempre preso posizione in favore della possibilit dell'uomo
libero. Adesso invece Agostino mette l'accento sulla trascendenza divina, cio sulla
iniziativa gratuita della grazia16.
Questo fatto si spiega anzitutto con la sua esperienza di conversione, con la quale
aveva pi profondamente compreso la trascendenza divina. Ma anche la fedelt verso la
tradizione ecclesiastica - cio l'uso di battezzare i bambini -, lo port a mettere in
evidenza la necessit di una redenzione che trasformasse intimamente gli uomini
peccatori. Cos Sant'Agostino insiste sul bisogno universale di redenzione, sulla gratia
praeveniens et interior, e quindi sulla predestinazione divina. Non si dimentichi l'affinit
del vescovo di Ippona con l'Apostolo, di cui le lettere avevano ottenuto, durante il secolo
quarto, un interesse crescente. Agostino evidenzia la necessit di una redenzione che
trasformi intimamente gli uomini peccatori, dacch nessuno pu fare il bene ed evitare il
male da solo. Il Battesimo dunque necessario perch la libert umana possa evitare il
male e scegliere il bene.
Al contrario, la vita ascetica, l'ideale antico della "lite", l'influsso della morale antica e
della paideia, nonch gli influssi della esegesi orientale, avevano condotto Pelagio ed i
suoi seguaci a difendere le possibilit dell'uomo libero17.
Se Giovanni Cassiano ha messo in rapporto le dottrine di Nestorio con il
pelagianesimo18, aveva senz'altro torto, dal punto di vista storico. Neppure i rapporti di
certi "pelagiani", specialmente Giuliano di Eclana, con Teodoro di Mopsuestia e con altri
teologi orientali, giustificano questa interpretazione. Tuttavia non sarebbe neppure giusto
voler limitare la problematica agli aspetti antropologici (peccato e giustificazione),
poich nella posizione di Agostino stesso l'aspetto cristologico veramente centrale.
Alcuni studiosi negano che la controversia pelagiana riguardi la cristologia, ma in questo
modo lasciano in ombra la riflessione di Agostino sul rapporto Grazia/natura umana nei
cristiani: l'Ipponate cerca di comprendere la differenza tra l'unione ipostatica, in Cristo, e
l'influsso della Grazia sulla natura umana.
All'inizio della controversia vi una lettera di Agostino contro Celestio (discepolo di
Pelagio) che nega la necessit del pedobattesimo (lettera 140: de Gratia novi testamenti).
Agostino afferma di non ritenere inutile la preoccupazione che l'ha portato a dare una
lunga spiegazione della Grazia della nuova Alleanza, poich essa ha degli avversari che
non vogliono attribuire a Dio il merito di essere buoni. Tali avversari non vanno
sottovalutati: sono asceti, pregano il vero Cristo, uguale e coeterno al Padre e fatto
veramente uomo (riprendono lo schema di Nicea, base dell'ortodossia). Dal punto di
vista del Simbolo, i pelagiani sono ortodossi, ma Agostino ugualmente turbato dalla
loro posizione. In effetti, all'inizio del V secolo la fede nicena non confessa pi solo
Cristo vero Dio coeterno al Padre, ma nelo stesso tempo la sua formulazione non
abbastanza sviluppata per rispondere alle esigenze antropologiche del V secolo. I
pelagiani aspettano il ritorno di Cristo, ma ignorano la giustizia di Dio e vogliono
stabilire la propria.
15 Vedi WERMELINGER, O., "Rom und Pelagius", Stuttgart 1975; SCIPIONI, L., "Nestorio e il Concilio di Efeso", Milano
1974.
16 Vedi PELIKAN, cit., I., 279 ss.
17 Vedi BROWN, P., "Religion and Society in the Age of Augustine", London 1972.
PIETRI, Ch., in: "Jean Chrysostome et Augustin" (Paris 1975), 283-305.
TRAPE, A., in: NBA 17/1 & 2.
18 Vedi GRILLMEIER, A., "In ihm und mit ihm" (Freiburg 1975), 245-282.
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Agostino non voleva soltanto spiegare in che senso l'uomo dipendesse totalmente da
Dio, ma anche, e non meno, come l'opera di Cristo fosse pi che un exemplum: un
adiutorium19. Anche in questo caso la tendenza, allora esistente, a voler arrivare ad una
definizione della fede ortodossa, non da trascurare. E' senz'altro vero che Agostino si
dimostra piuttosto riservato rispetto a certi termini tecnici, come consubstantialis, o
persona"". Non si possono per non vedere i suoi sforzi per cercare di chiarire le
formule trinitarie e cristologiche20.
Allo stesso modo, non possiamo trascurare il fatto che a diverse riprese egli ha cercato
di riassumere la dottrina pelagiana in formule brevi21. Questo si deve dire ancor di pi dei
suoi discepoli, i quali, dopo la sua morte, avevano premura di definire esattamente la sua
dottrina, come lo attestano le Sententiae ex operibus Sancti Augustini delibatae, e poi
soprattutto i Capitula Caelestini (Indiculus")22. Del resto si ricordi anche la famosa
formula Roma locuta, causa finita"23, che dice la preoccupazione di possedere la fede in
formule ben precise.
3. L'autorit teologica dei Concili.
Secondo Eusebio, la chiesa antica si aspettava dai Concili la conservazione della fede,
l'espulsione degli errori e la disciplina ecclesiastica. Nicea, promulgando un simbolo,
esprime positivamente la fede ecclesiale. Questo fatto segna per pi di un secolo la storia
della teologia, e Atanasio ritiene il Simbolo ispirato al pari della Scrittura, dacch dopo
Nicea non c' bisogno di altre formulazioni. Dal 350 si parla cos, in Oriente, di
"autarchia della fede nicena", e verso il 400 iniziano ad apparire dei commenti al
Simbolo. Ad Efeso ambo le parti si appoggiano al Simbolo niceno, che costituisce il
criterio di discernimento. Da ricordare anche il can. 7 di Nicea, che proibiva ogni
ulteriore formulazione della fede.
Ma a Calcedonia, oltre al ripetersi iniziale del rifiuto di comporre altri simboli, il
riferimento il Simbolo niceno-costantinopolitano, ed il tomus Leonis appare sufficiente
per esprimere il consenso della fede secondo Nicea. Su insistenza della corte imperiale si
arriva ad una nuova formula, considerata per solo un'aggiunta al Simbolo niceno. Inizia
cos il pluralismo conciliare, che elimina il monopolio del simbolo preesistente. Nel
secolo VI il niceno-costantinopolitano acquista nella liturgia una posizione singolare, che
avr conseguenze a proposito del Filioque.
Il Concilio deve anche regolare la disciplina ecclesiastica ed il rapporto tra le grandi
sedi: si continua a rispettare l'autorit di Nicea, ma le condizioni disciplinariorganizzative mutate fanno s che le novit in campo disciplinare si ammettano pi
facilmente delle novit. I legati romani, appoggiandosi sul canone 6 di Nicea, si
oppongono al ca. 28 di Calcedonia.
I vescovi latini (Ilario ed Ambrogio in testa), riconoscevano Nicea come base di ogni
discussione teologica, pur relativizzandone l'importanza. Agostino si atteneva pi al
criterio dell'universalitas che a quello dell'antiquitas, ed era interessato pi ai contenuti
della fede che alle sue formulazioni. Contro Eutiche, Leone non si riferisce
immediatamente a Nicea, ma nel Tomus ad Flavianus ricorda il Simbolo Apostolico,
accorgendosi solo successivamente dell'importanza che gli Orientali attribuivano a Nicea.
I canoni niceni formarono il fondamento della legislazione sinodale.
19 Vedi MARROU, H.I., "Les attaches orientales du pelagianisme"; B.STUDER, in: RchAug 10 (1975) 87-141;
GEERLINGS, W., "Christus exemplum", Mainz 1978, con recensione di STUDER, B., in: "Augustinianum" 19 (1979) 539546. B.Studer, Grazia: DizPatr II,1678-1688.
20 "De Trinitate", 5-7. B.Studer, "La foi de Nice chez Saint Augustin": RchAug 19 (1984) 133-154; B.Studer, "Una persona
in Cristo": "Augustinianum" 25 (1985) 453-487.
21 Vedi WERMELINGER, cit., 278-282.
22 DS 238-249.
23 Nel "Sermo" 131,10, in espressione un po' diversa.
46
I sinodi non derivano semplicemente dai Concilii provinciali civli, ma hanno con essi
forti analogie (senentiae, acclamationes, verbali sottoposti all'approvazione dell'autorit
superiore). Tecnicamente, il Concilium la riunione di cives romani per qualunque
motivo. Nel concetto insita una componente religiosa e sacrale, dacch si parla di
un'attivit pubblica. I concilii civili eleggevano ogni anno il sacerdos provinciae, con il
compito di organizzare il culto imperiale, ed erano diffusi in tutte le provincie tranne
l'Egitto. Avevano anche il compito di mediare un leame diretto tra le provincie e
l'imperatore, che a volte aveva anche compiti di controllo sui governatori. Quodvultdeus
(vescovo di Cartagine verso il 440) parla della seduta di un concilium provinciae del suo
tempo.
Ma tali concilii non ebbero mai poteri legislativi o fiscali, anche se il loro ruolo nel
promuovere il culto imperiale (depurato in seguito degli elementi pi propriamente
pagani) sopravvisse anche nel V secolo.
Si parla spesso dello stabilirsi di una chiesa imperiale nel IV secolo, ma lo studio di
CLAWBERT contesta tale dato, preferendo parlare di un inizio di cristianizzazione solo
all'inizio del V secolo. In ogni caso, l'uso dei Concilii provinciarum ne dimostra la
continuit, e tali concilii divengono una fonte di amministrazione per la Chiesa, anche se
l'imperatore ne sempre il capo formale. Secondo SILBEN (fonte di Studer), Leone
avrebe trovato nel rapporto tra imperatore e concilium un paradigma per il collegamento
dei vari Sinodi ecclesiastici al Papato: la figura del successore di Pietro viene cos ad
assumere connotato imperali (400-450). Alla base della disciplina conciliare troviamo i
principi della retorica forense.
Lo sfondo ideologico.
Due idee della teologia conciliare del IV secolo (consenso dei sinodali ed ispirazione
divina dei PP.) vengono riprese ed approfondite nel secolo V, come pure si sviluppa il
tema del "vox populi, vox Dei". I risultati dei Sinodi fissano per iscritto la Tradizione:
non sono sviluppo della verit, bens manifestazione dell'auctoritas e della veritas divine.
Il concetto di Padre nel contesto polemico.
Ha origine dalla vita fisica e spirituale, e si identifica con i maiores antiqui. I vescovi
sono chiamati in tale modo (cfr. trad. ebraica e romana). Dal secolo IV in poi si chiamano
Padri i 318 di Nicea, e le loro interpretazioni del Simbolo vengono chiamate "sententiae
patrum". Si iniziano a chiamare "beati patres" i grandi teologi passati, ed essi vengono
considerati ispirati. I loro argomenti vengono addotti ai Concilii, dove si insiste sulla
Tradizione delle Comunit Apostoliche. Il passo decisivo si compie con la controvesia
nestoriana: ambo le parti si appoggiano sul simbolo niceno, che va allora interpretato alla
luce di PP.
Cirillo ha diverse accezioni del termine Padre: i 318 di Nicea, vescovi distintisi per vita
e dottrina morti in pace con il Signore ed in unione intima con la Chiesa.
Il rischio insito nell'uso, generalizzatosi, dell'argomentazione patristica quello della
rigidezza. Ma VESSEY legge il Commonitorium sotto l'ottica del regionalismo che si
svilupa nel V secolo. La catholicitas richiede che la verit venga interpretata dalle
autorit regionali.
L'auctoritas patrum nella teologia di Agostino.
Contro i Donatisti, Agostino deve precisare l'autorit dei Concilii in rapporto alle tesi di
Cipriano nella sua disputa con Roma. Quella di Cipriano, in questo caso, non
un'argomentazione patristica in senso stretto, perch Agostino tratta la questione di una
singola sede episcopale cui contrappone l'autorit della Sede apostolica.
Solo dal 412 (controv. pelagiana) Aug. usa l'argomentazione patristica, ma manca
ancora uno studio esauriente su questo tema.
Con il Commonitorium, invece, abbiamo una vera e propria teoria dell'argomentazione
patristica, poich il criterio di ortodossia viene reperito nel consenso "ecclesiae antiquae
et universalis" sintetizzato nei tre avverbi "ubique, semper, ab omnibus".
48
24 Vedi DOSSETTI, G.L., "Il simbolo di Nicea e di Costantinopoli" (Roma 1967), 283.
25 Vedi H.J.SIEBEN, "Konzilsidee", 148-170, specialmente 162. - Si veda l'edizione critica nuova del "Commonitorium" in:
CChL 64.
49
rispettiva, i termini cio come: orthodoxia, fides catholica, dogma, definitio, sententia,
magisterium, eccetera26.
Agostino, nella ricerca di una definizione del termine iustitia (de Civ. Dei II, 21),
ricorre ad una lunga disputatio: questo il metodo secondo il quale si deve scoprire ci
che non si pu immediatamente definire.
In questo studio laborioso si dovrebbero prendere in considerazione gli influssi del
linguaggio filosofico e soprattutto di quello politico-giuridico, poich chiaro che la
maniera di riassumere le opinioni filosofiche in capitula, kefalaia, ed ancor di pi la
precisione giuridica nella codificazione del diritto, non sono rimaste senza influsso nel
campo dogmatico. Qui si trattavano dottrine, e prescrizioni, o meglio dottrine
prescritte27.
Comunque ovvio che nelle discussioni teologiche ed in particolare in quelle sinodali,
la formulazione stava in primo piano, come interesse. Non si cercava tanto di capire i
principi fondamentali, le visuali assiali delle posizioni avversarie, quanto piuttosto di
paragonare formula con formula, di misurare cio le formule cristologiche sulla base
normativa della formula nicena. In occidente, invece, i PP non si rifanno meccanicamente
alle formule cristolgiche: Agostino non cita mai il Simbolo niceno nella sua completezza,
ma si riferisce ai suoi contenuti per approfondire il significato delle formule. Questo vale
in particolare, come sopra ricordato, per il problema cristologico; ma anche il problema
antropologico ha Nicea come unica base di discussione
E' vero che grandi teologi, come Cirillo, erano capaci di intuire il senso pi profondo
delle formule altrui, ed erano anche disposti a rinunciare alla propria terminologia. E'
anche vero che certuni, come Vincenzo di Lrin, si sono resi conto dei criteri di
discernimento dottrinale: antiquitas, catholicitas, consensus omnium, sono criteri ripresi
dalla filosofia e dalla giurisprudenza.
Tuttavia, il discernimento stesso dell'ortodossia stato ricercato in primo luogo sul
livello della formula dogmatica, cio dell'espressione ben definita della fede. Cos, per
essere ammessi alla comunione della fede, i nuovi vescovi dovevano dare dichiarazioni
soddisfacenti sulla loro ortodossia (i libelli28). Altrettanto dicasi per gli scomunicati o
accusati di eresia, che venivano obbligati ad accettare tale o tale formula di confessione o
a sottoscrivere tale o tale "libello" (vedi il termine di satisfactio in Leone Magno).
Tutto ci aveva del resto, in quel tempo, anche conseguenze civili, perch l'unica fede
era considerata come base della pubblica sicurezza e del bene comune 29. La
preoccupazione della formulazione esatta della fede appare senza dubbio gi prima del
400, e sar ancora pi esplicita nel secolo VI. E' per ben identificabile il modo con cui le
Chiese della prima met del secolo V si sono sentite obbligate alla fede ortodossa 30.
2. L' esclusione degli errori.
Pi che la formulazione della fede, la sollecitudine dell'ortodossia richiede l'esclusione
di ogni errore. Ci si aspettava infatti dai sinodi non tanto nuove formule dogmatiche, ma
piuttosto la condanna delle eresie, e questo soprattutto perch si considerava la fede
nicena come espressione sufficiente. La difesa della ortodossia, ormai accettata da tutti,
poteva rendere necessario e naturale l'esclusione di dottrine o opinioni contrarie alla fede.
Tale atteggiamento 'difensivo' caratterizza in modo particolare il Concilio di Efeso
(431), nel quale i padri sinodali ricusavano di presentare un nuovo simbolo,
accontentandosi della condanna di Nestorio31.
26 Si veda in proposito SLL, G., "Dogma und Dogmenentwicklung" = HDG I./5 (Freiburg 1971), specialmente 3-12, 23-30;
SIEBEN, H.J., "Voces. Eine Bibliographie zu Wrtern und Begriffen aus der Patristik. 1918-1978.", Berlin 1980, sotto le voci
rispettive.
27 Vedi il termine "Dogma": opinione o editto.
28 Vedi il termine nel Dizionario Patristico. "Libellus emendationis": CChL 64.
29 Vedi GAUDEMET, cit., IV/V, 393-397; STOCKMEIER, P., "Leo der Grosse", 93-100.
30 Vedi HANSON, R.P.C., "Dogma and Formula in the Fathers", specialmente 169-184.
31 DS 264 ss.
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51
Per la tematica del "delectare et prodesse" ved. il mio art. "Delectare et prodesse. Zu einem Schlsselwort der
patristischen Exegese: Mmorial Dom J.Gribomont (Roma 1988), 555-581.
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Ricevette un indirizzo monastico. I suoi interessi biblici sono rivolti soprattutto a Paolo e
a Giovanni; studi dei commenti biblici, che per non nomina.
Dopo il 429, studi intensamente i Padri, anche i non alessandrini. Non ebbe critica
sufficiente per riconoscere le falsificazioni apollinariste. Bisogna concludere che ebbe una
formazione teologica relativamente universale.
III. L'esegesi di Cirillo
Cirillo stato innanzitutto un teologo. Come tale sapeva adoperare tutti i mezzi tel suo
tempo: l'argomentazione scritturistica, filosofica, patristica. In questo fu un iniziatore.
Non ricorreva solo alla Bibbia per dimostrare le sue tesi teologiche, anche se, come tutti i
Padri, aveva premura di studiare la Bibbia come Parola di Dio. Cos fu anche esegeta del
Vecchio e del Nuovo Testamento.
A. Opere esegetiche di Cirillo
Vi sono tre serie di opere.
Prima serie:
"De adoratione et cultu in spiritu et veritate", libri 17. E' una interpretazione allegoricotipologica di testi del Vecchio Testamento. E' moraleggiante. Si tratta di prefigurazioni
della vera adorazione.
"Glaphyra", o 'commenti eleganti'. Sono interpretazioni tipologiche di passi scelti del
VT (secondo l'ordine dei libri). Si potrebbe chiamare: il mistero di Cristo prefigurato 58.
Seconda serie:
"Commenti su Isaia e sui Profeti Minori". Vi si trova la prefazione del commento su
Isaia, con lo scopo, la interpretazione secondo la storia e secondo lo spirito, e ci
seguendo le spiegazioni anteriori. Vi si trovano anche frammenti di altri commenti ...
Terza serie:
"Sulla Trinit", due scritti.
"Commento su Giovanni", di tendenza dogmatica, con confutazione di eretici ariani. La
cronologia dello scritto discussa. Forse del 425. Comunque di prima del 429.
Le opere esegetiche di C. appartengono dunque al primo periodo dell'attivit letteraria,
caratterizzata dalle polemiche contro ebrei, pagani ed ariani. Vi si trova quindi la difesa
del mistero di Cristo, cos come appare a partire dal VT; c' la confutazione delle
obiezioni contro il VT e la insistenza sulla vera divinit di Cristo, escludendo per la
teoria dei "due figli".
Due osservazioni particolari. L'esegesi di C. pi vicina a quella degli antiocheni che
non a quella di Didimo. Composte in una delle metropoli dell'Impero Romano, le opere
esegetiche attestano lo spirito "ecumenico" dell'autore. Come Eusebio e come Girolamo,
anche Cirillo si riferisce alle profezie compiute nella "Pax Romana"59.
B. I principi esegetici di Cirillo.
Alla base dell'esegesi di C. si trova la distinzione "historia" e "theoria". Essa
corrisponde alla distinzione tra interpretazione letterale e interpretazione spirituale.
A questo proposito C. utilizza una terminologia molto ricca: per la "historia" usa
espressioni come: terrestre, materiale, che dicono una qualit inferiore; per la "theoria"
invece usa espressioni come: vera, spirituale, che sottolineano la sua qualit superiore.
Alla base di questa distinzione stanno due modi di conoscere le cose, secondo lo
schema platonico: le cose sensibili e le cose intellettuali. L'interpretazione fatta secondo
la storia quella che corrisponde alla conoscenza sensibile, visibile, uditiva, ed
l'esperienza quotidiana. L'interpretazione spirituale quella riservata ai perfetti, agli
intellettuali, ed la conoscenza del mistero di Cristo 60. Anche se insiste sulla "theoria"
58 MG 69, 1317.
59 Vedi BARDY, cit.,: RHE 49 (1950) 5-24.
60 Vedi KERRIGAN, cit., 131.
56
come senso superiore, Cirillo esige per che si ritenga il senso storico 61. C' per lui una
necessit del senso storico. Il modo con cui egli giustifica il senso spirituale, dimostra che
ha capito meglio dei precedenti alessandrini il valore della storia. Cos ricorda
l'evoluzione della storia di Israele e la spiritualizzazione progressiva della sua fede 62.
Per lui il senso letterale include anche il modo metaforico di parlare, cio le parabole,
gli enigmi, eccetera. Cirillo rileva pure lo scopo dell'autore, come ad esempio l'intenzione
religiosa del Pentateuco e dei singoli profeti63.
C. Le fonti dell' esegesi cirilliana
Interpretando le Sacri Scritture, Cirillo segue spesso altri esegeti. Secondo l'uso degli
antichi, non indica per i loro nomi. Ignoriamo quindi in gran parte le sue fonti. Tuttavia
in certi testi non troppo difficile rintracciare gli autori adoperati: Eusebio, Basilio,
Girolamo, Teodoreto. Non Didimo, che cita solo per rifiutarlo. Mette pure insieme
opinioni diverse64.
L'origine della "theoria" pi difficile da stabilire. L'ermeneutica di Cirillo infatti
molto complessa. Come nella visione "alessandrina" del mondo, il duplice senso della
Bibbia fondato per lui sulla distinzione fra le cose sensibili e le cose intellettuali, delle
quali le prime sono i segni. Vedi in questo Didimo. Con gli altri alessandrini, Cirillo
riferisce le istituzioni e gli eventi del Vecchio Testamento al mistero di Cristo, non per
intendendo i fatti singoli della vita di Ges. Diversamente da Origene, non considera tutti
i particolari del Vecchio Testamento come prefigurazioni. Con Clemente di Alessandria,
vede nel modo metaforico di parlare il frutto di una educazione specifica del popolo di
Israele.
Nella esegesi di C. si ritrovano per pure elementi non tipicamente alessandrini. Cos
insiste sullo scopo inteso dall'autore 65. Anzi ci sono alcuni elementi che Cirillo condivide
con Girolamo, come certe varianti del testo, il senso figurato della lettera, certe
conoscenze storiche, geografiche, rabbiniche. Forse queste rassomiglianze indicano
piuttosto lo stesso ambiente esegetico, che non una dipendenza diretta di Cirillo da
Girolamo, bench questa non possa essere esclusa.
IV. Valutazione della esegesi di Cirillo
A. Un alessandrino "progressista"66.
Cirillo ha il modo tradizionalmente alessandrino di vedere, con l'insistenza sull'esegesi
spirituale e il senso del mistero del Logos. Diversamente dagli alessandrini per non
considera tutti i particolari del Vecchio Testamento come prefigurazioni di Cristo o della
Chiesa. La "theoria" anche una visione profetica delle cose future (per non come per
gli antiocheni, per Girolamo e per Giuliano di Eclana). Ha pi interesse per lo scopo
avuto dall'autore e per le cose storiche. E' pi vicino agli antiocheni che non agli
alessandrini che lo hanno precedeuto. Dopo il 400 quindi, c' un grande accordo sul
metodo esegetico.
B. Il valore dell'interpretazione letterale67.
Riconosce la necessit del senso storico. In realt ha interpretazioni spesso poco felici,
ed troppo eclettico nei confronti delle spiegazioni altrui. E' per da giudicare secondo
lo stato della esegesi di quel tempo. Certamente meno critico di Girolamo e di
Teodoreto. Non ha la "veritas hebraica" come Girolamo. Usa molto l'allegorismo nella
spiegazione dei Profeti.
57
58
Certamente, essa non assolutamente necessaria "ad salutem", poich appartiene allo
stato "post-lapsario". Senza il peccato di Adamo l'uomo avrebbe avuto, pure senza
scrittura, una visione diretta del Verbo, cos come l'avr una volta in cielo.
Anzi, neppure nella vita terrestre dei peccatori la Bibbia indispensabile, poich quello
che conta la fede, la speranza e la carit 70. Nondimeno abbiamo bisogno della Bibbia,
perch susciti in noi quelle virt per le quali perveniamo alla visione beata di Dio.
Tuttavia si vede subito, e questa una seconda conseguenza derivante dalla lettura
attenta di quel testo, che l'idea della necessit della Bibbia strettamente legata alla
prospettiva storica della teologia agostiniana.
Secondo Agostino, gli uomini che credono in Cristo, insieme con gli angeli,
costituiscono la Citt di Dio. Mentre quelli, godendo della verit eterna, stanno
aspettando il ritorno degli uomini, questi sono ancora pellegrini e si affaticano sulla terra.
Non rimangono per senza consolazione, poich appunto la Scrittura li invita a cercare
Dio, anzi, la Parola di Dio si fatta carne per essere la loro via verso l'eternit.
Tutto ci ben considerato, chiaro che non basta spiegare cosa Agostino abbia
insegnato sulla Bibbia, e come abbia cercato di interpretarla. Dobbiamo piuttosto
studiare la sua esegesi nel quadro di tutta la sua teologia, anzi, nell'insieme di tutte le sue
esperienze umane, cristiane e sacerdotali. Di questo parleremo dunque, almeno
brevemente, nel contesto storico dell'esegesi agostiniana.
Le esperienze di vita
Come per pochi autori cristiani, l'opera letteraria di Agostino intimamente inserita
nelle vicende della sua vita. Quasi tutti i suoi scritti riflettono le sue ansie e
preoccupazioni, le sue lotte continue e le sue conquiste. Anzi, si direbbe che la fase
cruciale della sua vita, la sua conversione alla fede in Cristo, Verbo Incarnato, fosse
rimasta efficace in tutta la sua opera 71. Ci vale in particolare per il suo lavoro esegetico.
1. La crisi
Dalla lettura dell'"Hortensius" di Cicerone Agostino trasse l'esortazione a ricercare la
saggezza, che si trova nella "beatitudo" della "veritas", non nella "voluptas". Ma in
questa opera Agostino trova delineata la separazione tra eloquentia et sapientia (dal
momento che Cicerone non conosce Cristo), la cui composizione vedr soltanto
nell'eloquenza di Ambrogio. La ricerca non fatta in Cristo, ma piuttosto nello studio
della filosofia di Aristotele. Viene deluso dalla troppa semplicit della Bibbia.
Avviene la sua "conversione" al manicheismo, caratterizzato dall'amore per Cristo, da
ideali spirituali ed umani, come la ricerca di una verit certa. Riceve ancora delusione
dagli antropomorfismi e dall'immoralismo presenti nella Bibbia. In fondo, rifiuta
l'autorit. Vive nel razionalismo manicheo e poi nello scetticismo72.
2. La conversione
L'incontro con il neo-platonismo milanese, la retorica e l'esegesi allegorica di
Ambrogio, la lettura di Paolo e di Giovanni, sono gli elementi che hanno contribuito alla
soluzione della crisi. Come risultato ne ebbe:
la "auctoritas fidei", come via di salvezza per tutti;
il valore dell'esegesi del Vecchio Testamento;
necessit della purificazione morale per mezzo di Cristo, secondo l'esempio
di Paolo73.
3. Il ministero sacerdotale
70 "De Doctrina Christiana", I,39,43.
71 LexAltWelt, 404.
72 Vedi LORENZ, cit., 56; FELDMANN, E., "Der Einfluss", cit.
73 Vedi SCHINDLER, A., cit.: TRE 4 (1979) 660 ss., con un "Exkurs" sulla ricerca moderna circa la conversione di
Agostino, questione risolta anzitutto da P.COURCELLE.
Nella BAug 13,161 ff., si leggono questi risultati della conversione: 1) Esegesi spirituale; 2) Simpatia per la fede 3) ... 4)
Necessit della salvezza per la fede; 5) Necessit della purificazione morale, "per Christum", secondo Paolo.
59
60
da vedere nell'ambito dell'interesse dei romani, ma anche degli autori biblici per gli
"exempla". Altrettanto da notare che l'interesse storico comprende pure una certa
critica.
5. L'idea generale della Bibbia
Convinto come tutti i cristiani che la Bibbia la Parola di Dio, Agostino comprende
questa in senso retorico, come "discorso", che si svolge secondo le regole retoriche.
Torneremo sulle conseguenze di questo modo fondamentale di intendere la Scrittura.
Aug. presta grande attenzione all'aptum, notando come la Bibbia presenti la legge morale
in modo adatto agli interlocutori cui si rivolge. Con Ges, in particolare, viene elevata la
capacit morale delle persone.
A1. Esame del testo di Agostino dall'ep.140,25,62.
Questo testo ci aiuta a comprendere la dialettica terminologica di sacramentum ed
exemplum, che sar importate anche per Leone Magno e per la tradizione esegetica
latina posteriore.
La lettera 140 ha il titolo De gratia Novi Testamenti, ed uno dei primi scritti
contro i pelagiani, dei quali Agostino ha appena avuto notizia e che gi si trovano a
Cartagine. Agostino cerca qui di parlare dell'esegesi in rapporto alla polemica sulla
dialettica natura/grazia. Per noi esegesi e teologia sono campi assai differenti, entra
Agostino non lidistingue, come pure non contrappone filosofia e teologia. Quando fa
esegesi, dunque, Agostino parla anche di antropologia e di cristologia.
Il testo che prendiamo in esame ci mostra una chiave di interpretazione di
Agostino che riguarda sia l'esegesi che l'antropologia. Agostino inizia il suo esame
dandoci una figura della Croce che applica alla carit nelle opere dell'uomo. Le opere
buone sono compiute tramite la Grazia che viene da Dio, e che viene indicata con il
termine profonditas. L'uomo pu vedere e capire le sue opere buone, fissate sulla
croce trasversalmente, che si estendono in tutte le direzioni (caritas). La natura
longanime che sopporta la lunghezza della verit , ovvero la fede (parte mediana
della croce che va dal terreno fino all'intersezione con la parte trasversale), mentre
l'altitudo (parte dela croce che va dall'intersezione con l'asse trasversale fino al
culmine superiore), con l'immagine di Cristo che guarda in alto, la speranza. La
Grazia che aiuta a compiere le opere buone ed a perseverare in esse, la parte
invisibile dell'altitudo, ovvero la profonditas (la parte interrata dell'asta verticale della
croce). La radice della salvezza non sono dunque le opere buone, ma la Grazia che ci
viene da Dio, la sua volont salvifica che nascosta, non investigabile. Nel testo sacro
di Ef, allora, con la figura della croce Cristo ci d un exemplum che anche
sacramentum (= mysterium), nel quale comprendiamo come in noi fede speranza e
carit possono sorgere perch si fondano sulla radice profonda e nascosta della carit.
A questo punto, sul discorso antropologico Aug inserisce una riflessione
esegetica: tutto quanto vediamo della Croce exemplum (la parte visibile della croce),
ma tutto il testo della Bibbia mysterium. Noi possiamo capire bene l'exemplum, ci
che vediamo, ma ci sfugge il sensum Domini (la parte interrata della Croce). I
pelagiani pensavano che luomo potesse leggere la Bibbia e sapere cosa fare
concretamente senza bisogno di un maestro interiore, di un intervento della Grazia:
applicavano cos rigidamente lo schema retorico classico, che permetteva ogni
manipolazione del testo per cogliervi un senso.
Agostino invece stato capace di problematizzare la propria formazione retorica,
e quindi anche tutto un metodo di educazione.
In seguito, Agostino svilupper maggiormente il rapporto tra sacramentum et
exemplum sulla scorta delle sue teorie circa l'unit delle nature nella persona di Cristo:
approfondir cio il suo metodo ermeneutico in rapporto allo schema cristologico.
B. Lo sfondo neoplatonico
61
62
63
la Bibbia Parola di Dio, quindi esortazione alla fede ("auctoritas"), e via alla
conoscenza religiosa ("pistis", "gnosis", "agape").
III. Le linee direttrici dell' esegesi agostiniana
Fra i fattori che hanno determinato in modo decisivo l'esegesi di Agostino c' un fatto
che non caratterizza solo la sua formazione culturale, ma tutta l'evoluzione della cultura
antica, cio l'incontro fra cultura filosofica e cultura retorica. Infatti, se prendiamo in
considerazione che Agostino stato retore di formazione, ma filosofo d'ingegno 92, che
cio ha fatto pure lui dentro di s un confronto continuo fra le sue aspirazioni filosofiche
(suscitate dalla lettura dell'"Hortensius") e le impronte della sua cultura retorica, allora
capiamo in gran parte l'origine e lo sviluppo della sua esegesi.
Il riflesso di questo confronto quasi secolare e tanto fecondo in Agostino stesso, si
trova in primo luogo nel "De Doctrina christiana", ma anche nel "De utilitate credendi",
nel "De catechizandis rudibus", nei commenti sulla Genesi, nel "De Trinitate" 93, nonch in
certe lettere94. Si capisce pertanto che gli studiosi i quali si sono specialmente interessati
a questi scritti, forniscano le informazioni pi pertinenti su questa problematica e quindi
sul senso stesso dell'esegesi agostiniana95. Da queste ricerche risultano le linee direttrici
seguenti:
1. Il senso storico e il senso figurato
Nel "De Genesi ad litteram", il quinto tentativo di spiegare i primi capitolo della Bibbia,
Agostino, precisando le sue intenzioni, dichiara:
"In libris autem omnibus sanctis intueri oportet quae ibi aeterna intimentur,
quae facta narrentur, quae futura paenuntientur, quae agenda praecipientur
vel admoneantur. In narratione ergo rerum factarum quaeritur utrum omnia
secundum figurarum tantummodo intellectum accipianturan etiam secumdum
fidem rerum gestarum adserenda et defendenda sint" (GenLit , I., 1,1) 96.
Secondo questa dichiarazione di principio, e secondo altri testi del GenLit, nella
"narratio rerum" (nei racconti storici cio, non nei testi allegorici, come ad es. il
Cantico), si distinguono due significati: quello "secundum rerum gestarum
proprietatem"97, e quello "secundum figurarum intellectum", che pu essere "misterico"
("mysterium Christi et Ecclesiae") o "spirituale" (un insegnamento morale). Con questa
distinzione Agostino s'inserisce senz'altro nella tradizione patristica dei sensi della
Scrittura. Tuttavia, specialmente nel GenLit, Agostino fa vedere, forse pi chiaramente
dei suoi predecessori, che la "narratio rerum" possiede , sullo stesso piano della storicit,
un significatao pi profondo, quando si tratta di un "racconto di azioni divine".
Quando l'autore racconta un fatto divino, non si deve quindi comprendere in modo
umano, antropomorfico, questo fatto. Il principio vale in particolare per il primo
racconto della creazione, in cui, secondo Agostino, si tratta della prima creazione, per la
quale Dio ha creato tutte le cose in un solo istante, si tratta cio della creazione ideale98.
D'altra parte, Agostino pone il senso misterico in una prospettiva di "storia della
salvezza", in modo pi ampio di quanto non fosse stato fatto nella tradizione anteriore.
Egli comprende il "mysterium Christi" nel quadro della sua dottrina sul "Christus totus",
e delle "duae Civitates". La testimonianza pi eloquente di questa interpretazione si trova
nelle "Enarrationes in Psalmos".
2. res et signa
92 Cos MARROU.
93 Trin. XII/XIII.
94 Ad esempio epistola 55.
95 Vedi MARROU, STRAUSS, MAYER, ma anche LORENZ, SIEBEN, SINISCALCO, DE LUIS eccetera.
96 Vedi BAug 48, 32-50.
97 Vedi "Retractationes", II, 24,1.
98 Vedi BAug 48,45. "Deus creat, loquitur, ornat", eccetera.
64
Il rapporto delle "res narratae" con la realt divina, ossia con il mistero di Cristo,
fondamentalmente un rapporto dal "signum" alla "res". Lo stesso passaggio dai "signa"
alle "res" costituisce la sostanza dell'interpretazione biblica. La rivelazione di Dio nella
storia, infatti, comprende "facta" e "dicta", ed consegnata nei "verba" della Scrittura.
"Facta"/"Dicta" sono in un certo senso una cosa sola con i "verba", per i quali vengono
espressi. Ora, poich quest'unica cosa "signum" che riferisce alla "res", tutta
l'interpretazione della Bibbia consiste nel passaggio dai "signa" alle "res": dobbiamo
quindi cercare il senso che parole e fatti della storia hanno, in quanto vengono espressi
dalla parola del racconto biblico. Le "res" si identificano con il binomio "gratia/charitas"
nel testo di Ef. che abbiamo visto. Ci si avvicina dunque alla res comprendendo i signa,
ma la comprensione della res non esaurisce la comprensione dei signa, come invece
pretendevano i Pelagiani. Non si pu dunque ridurre Dio ed il sensum Domini ai
signa/verba della Scrittura, ma il testo resta comunque l'unico modo per avvicinarsi a
Dio. Aug. mantiene dunque la tensione ermeneutica di derivazione neoplatonica tra
signum et res che si rivela per lui ineliminabile.
I concetti di figura e metafora, ripresi dalla tradizione retorica, hanno poi il significato
di permettere all'uomo di comprendere Dio che si rivela agli uomini nei verba, non
direttamente bens in figura, dal momento che Dio ineffabile. La figura retorica
dell'aenigma quella che si avvicina di pi al sacramentum del testo, ovvero alla forma
pi perfetta nella quale Dio si rivela agli uomini.
Questo un passaggio facile nel caso dei "signa aperta". Cos negli articoli della
"regula fidei", che non nient'altro che un riassunto delle verit chiaramente espresse
nella Bibbia e che dunque pu servire ad interpretare i testi meno chiari.
Il passaggio difficile nel caso dei "signa obscura", che sono "ignota" come nelle lingue
straniere, oppure "ambigua" come nel linguaggio metaforico. Nel primo caso si deve
stiduare le lingue; nel secondo caso si devono studiare i metodi dei grammatici e dei
retori. Ultimo criterio: la fede che deve operare per la carit99.
3. "Mundus sensibilis et mundus intellectualis"
Il rapporto letterario fra "signum" e "res", fra espressione e contenuto, con il quale
Agostino approfondisce la dottrina tradizionale sui significati della Bibbia, si capisce
ulteriormente sullo sfondo filosofico (neoplatonico) del contrasto fra "mundus sensibilis",
al quale i "signa" appartengono, ed il "mundus intellectualis" del quale le "res perfectae"
fanno parte. In campo esegetico questo contrasto include due problematiche.
La prima concerne l'impossibilit generale dell'uomo di raggiungere, con la sola "ratio",
Dio, il mondo intellettuale. C' una sola via per l'uomo, quella della "fides", che si affida
all'autorit divina, fede che include come fiducia l'amore, e fede che ha bisogno di essere
purificata in una vita di amore. Di fronte a questa difficolt generale della conoscenza
religiosa, Agostino indirizza tutto il lavoro esegetico verso l'amore di Dio e del prossimo.
L'esegesi deve essere "utilis", trovare quelle cose di cui sole dobbiamo godere ("frui").
Nessun criterio dunque pi importante che l'edificazione dell'amore100.
La seconda problematica, pi specificamente esegetica, riguarda il rapporto fra verit
eterna e parola scritta. Si pone cio la domanda di come la verit eterna e immutabile
possa esprimersi nei fatti e nelle parole della rivelazione temporale, e quindi nella parola
mutabile della Bibbia. Tentando di rispondere a questo problema, cruciale per la sua
impostazione platonica dell'esegesi, anzi per la impostazione platonica di tutta la sua
teologia, Agostino sviluppa la sua dottrina della "dispensatio temporalis":
l'autorit divina si resa presente in questo tempo, nella storia di Israele,
nell'Incarnazione, nella Bibbia, nella Chiesa (nella sua predicazione e nella sua liturgia),
cio si resa presente nel Cristo annunciato, incarnato e sempre presente. Poich Cristo,
99 Vedi STRAUSS, cit., 80 ss.; SIEBEN, cit.: la carit sulla base della fede ortodossa.
100 Vedi Cat.rud., 4,8; Doctr.christ. I,35ss., con i commenti di STRAUSS, SIEBEN, SINISCALCO.
65
che sapienza eterna, si fatto scienza, noi possediamo in lui la via sicura ed universale
per andare alla verit eterna101.
Se prendiamo ad esempio il Tractatus in Iohannem, 33 (episodio della donna
adultera), troviamo che Agostino commenta la frase di Ges (chi senza peccato...)
come la chiave ermeneutica per interpretare i testi del VT sulla lapidazione. La domanda
del Salvatore interpella tutti gli interlocutori, e li apre (quasi con un procedimento
platonico-socratico), per mezzo della caritas/iustitia Dei che rivela, ad una comprensione
pi profonda dell'AT, non negandolo ma facendoci meglio cogliere come i in esso fosse
presente la carias/iustitia di Dio. Ogni tentativo di chiudere il senso della Bibbia deve
dunque essere confrontato con Cristo, che ne la definitiva chiave ermeneutica. Ges,
dunque, non permette l'adulterio, ma nello steso tempo fa comprendere pi
profondamente le norme al riguardo contenute della Legge.
In questo contesto del Verbo fatto Scrittura (autorit temporale), comprendiamo pure il
modo con cui Agostino parla della inerranza della Bibbia, dell'accordo fra Vecchio e
Nuovo Testamento, del nesso intimo fra Bibbia e Tradizione ecclesiastica, e soprattutto
di come vede Cristo in tutta la Bibbia.
Poich Dio stesso ha parlato per mezzo del suo Verbo nella storia, possediamo un
punto sicuro di partenza. Non siamo privi di una base immutabile per raggiungere le cose
immutabili. Dio stesso, fattosi via, ci conduce alla Patria. Appoggiandosi sulla sua
autorit presente in questo tempo, cio attualmente, nella Scrittura spiegata dalla Chiesa,
siamo in grado di passare dalla mutabilit all'immutabilit.
Inoltre capiamo perch ci sono oscurit nella Bibbia. Da buon retore, Dio ha mescolato
la "perspicacitas", la chiarezza delle parole e dello stile, con gli "ornamenta", con le
metafore ed i "tropoi", per suscitare la nostra curiosit e per farci piacere, per condurci
alla "exercitatio mentis", per la quale viene purificata la nostra fede. Nello stesso tempo
comprendiamo la "velatio" per quelli che non sono predestinati, cio duri di cuore.
Infine, l'eloquenza singolare di Dio ci invita ad interpretare la Bibbia alla maniera dei
grammatici e dei retori. Come interpreti ben istruiti nelle regole ermeneutiche, non
dobbiamo cercare nient'altro che capire e far capire il discorso di Dio, nei suoi particolari
e nell'insieme. Dobbiamo passare dai "signa" alle "res", dalla parola scritta alla parola
eterna.
4. Quaedam eloquentia
Tutto ci si comprende ancora meglio se consideriamo che per Agostino la Bibbia un
discorso di Dio, "quaedam eloquentia" del pi grande retore. Infatti, l'idea del Dio che,
rivelandosi nella storia e consegnando la sua manifestazione alla testimonianza della
Bibbia, ha composto un discorso grandioso ed armonioso, questa idea ha aiutato
Agostino non soltanto a superare, almeno in qualche modo, il contrasto fra "mundus
sensibilis" e "mundus intellectualis", ma anche a spiegare tante caratteristiche particolari
della Bibbia.
IV. Valutazione conclusiva dell' esegesi agostiniana
1. L'orientamento pastorale.
Nell'insieme, l'opera esegetica di Agostino si svolta in una prospettiva pastorale. La
sua ricerca era in funzione della predica liturgica, del trovare risposte alle difficolt dei
fratelli, dell'andare incontro alla ricerca religiosa. Cos Agostino si lasciato condurre
anzitutto e ancora dai due principi: "delectare" e "prodesse": niente che sia indegno di
Dio ("delectare"), e tutto per l'edificazione della carit ("prodesse").
2. Difetti
Difetti nella teoria:
sono le difficolt della visione platonica, non superata completamente dalle insistenze
retoriche e bibliche sulla presenza di Dio nella storia.
101 Vedi FLASCH, cit., 125 f., 156-158: la svolta verso la storia; 264 f., 305-314: Bibbia, base della fede cristiana.
Vedi Gen.Litt., I., 1,1: "aeterna - facta - futura - agendo".
66
67
68
pur avendo una certa premura di appoggiarsi su una buona documentazione storica e non
soltanto su riflessioni teologiche, Rufino non ha raggiunto la qualit dell'opera
eusebiana112. Tuttavia ci ha lasciato una testimonianza storica ugualmente preziosa,
concernente la cristianizzazione dell'Etiopia, della Georgia, sui Saraceni e sullo stato del
paganesimo alessandrino, come sulla polemica anti-pagana del suo tempo. Il suo
concetto di storia : Historia sacra et magistra113
Da parte greca, tre grandi storiografi, tutti del secolo V, Socrate, Sozomeno,
Teodoreto, hanno continuato a modo loro l'opera di Eusebio114.
Socrate.
Ci ha lasciato la continuazione migliore (dal 305 al 439), con una buona
documentazione, composta con oggettivit. Egli distingue la storia profana dalla storia
ecclesiastica, nel senso che quest'ultima ha come oggetto le lotte interne della Chiesa.
Egli non considera pi - come Eusebio - la Chiesa come perseguitata e vittoriosa, ma la
Chiesa provata dai dissidi tra i vescovi, dissidi provocati specialmente dalle ambizioni di
Alessandria e di Roma (non di Costantinopoli). Per lui l'esposizione critica di questa
difficolt interne deve servire a valutare le controversie presenti al suo tempo, circa la
fede apostolica115.
Sozomeno.
Scrisse fra il 439 e il 450. Continu la storia del tempo post-Costantiniano, dipendendo
da Socrate, ma in modo critico. Egli porta nuovi documenti, in particolare sulla
legislazione religiosa. Considera la posizione di parzialit in cui erano composti i
documenti, la debolezza degli uomini, le aspirazioni politiche del clero o dei gruppi. Cos
Sozomeno arriva ad una presentazione dei fatti esteriori, ma non delle discussioni
teologiche. Parla anche delle Chiese non-Imperiali, e si interessa alla vita monastica116.
Teodoreto.
Pubblicata anch'essa fra il 449 e il 450, ripercorre pure circa gli stessi anni (323-428).
Egli ha una chiara tendenza apologetica: mostrare la vittoria sulle eresie, specialmente
sull'arianesimo. Usa molte fonti, ma la sua presentazione meno esatta. Parla della vita
monastica. Scopo della storia, per lui, quello di servire all'utilit ed al piacere, come
una pittura del passato 117.
Cassiodoro.
Dopo il 540, pubblic la Historia tripartia che comprende tutt'e tre le opere di Socrate,
Sozomeno e Teodoreto, tradotte e fuse in una sola opera da Epifanio Scolastico, che sar
la base di tutta la storiografia medievale118.
III. La storiografia profana dei cristiani
Le opere storiografiche di Eusebio hanno per molto tempo orientato la storiografia
cristiana, dandole un indirizzo sia nel senso della cronaca sia nel senso di un interesse per
la storia della Chiesa119. Troviamo per anche l'inizio di una nuova storiografia profana,
che deve il suo orientamento ad Agostino e al suo discepolo Orosio120.
112 Vedi MEINHOLD, cit., 111 ss.
113 THELAMON, cit., 465-472.
114 SINISCALCO, cit., 3322, nota inoltre Filippo di Side (434/9) e Filostorgio (arianizante), HE, che, composta nel 433,
comprende la storia fino al 425.
115 QUASTEN, II., 537 ss.
116 MEINHOLD, cit., 120 ss.; QUASTEN, II., 539-541.
117 MEINHOLD, cit., 123 ss., con riferimento all' introduzione, e QUASTEN, II., 554-557, con riferimento ad altri tre scritti:
la "Historia religiosa", la "Storia delle eresie", e "Sul Concilio di Calcedonia".
118 MEINHOLD, cit., 125 ss; SINISCALCO, Diz.Patr. 3323.
119 ANDRESEN , cit., 351 ss.
120 Ibidem. SINISCALCO, Diz.Patr. 3319, riferisce anche a Lattanzio, De mortibus persecutorum, come inizio di una
storiagrafia profana.
69
Agostino aveva trovato il suo modo particolare di vedere la storia umana nello studio
dei primi capitoli della Genesi, dove gli era necessario affrontare il concetto di tempo,
dell'origine del mondo, del peccato, eccetera. Elabor la sua interpretazione dei destini
dell'umanit prima di tutto nel "De Civitate Dei", opera eminentemente apologetica.
Come noto, l'occasione di questo scritto fu il sacco di Roma del 410, che provoc
nuove e pi forti obiezioni da parte dei pagani contro il cristianesimo. Tale avvenimento
disastroso non fu che l'occasione esteriore per Agostino di realizzare una gi precedente
intenzione, quella di spiegare cosa fossero i "tempora christiana"121.
Non questo il luogo per entrare in una discussione approfondita di quest'opera di
Agostino. Ne ricordiamo solo tre idee principali:
- la lotta fra i duo amores (fede e infedelt)
- il significato sociale di ogni azione storica
- le sei et del mondo.
Qui Agostino non propriamente storiografo. Rifiuta il paganesimo e la filosofia
platonica. Espone lo sviluppo e la fine delle due citt. Suppone dovunque una storia
umana, ma non fa proprio lo storiografo. Seguendo Varrone, descrive, nel quaddro della
Theologia tripartita,la storia e la religione dei romani. Ugualmente parla della
propagazione della religione cristiana dagli inizi, in Palestina, fino ai tempi di Costantino
e di Teodosio, in tutto il mondo conosciuto. Tuttavia non si interessa della presentazione
critica dei documenti, e neppure di una descrizione dettagliata ed oggettiva dei fatti.
Quello che importa a lui la interpretazione teologica della storia ( 122).
In quanto alla storia della Chiesa stessa, il suo contenuto si riassume in una sola frase:
la vita terrestre della Chiesa la rappresentazione storica della societ dei santi che
vivono l'amore di Dio. La storia della Chiesa un pellegrinaggio continuo sotto le
persecuzioni del mondo e sotto le consolazioni di Dio. Questa storia ha, da tutti i punti di
vista, un solo ed unico contenuto nuovo: una lotta fra la citt celeste e la citt terrena,
fino all'ultimo giorno123. Tale visione teologica della storia, del mondo e della Chiesa, non
sar fondamentale soltanto per la storiografia del medioevo e poi anche per la teologia e
la filosofia della storia dei tempi moderni. Ebbe un seguito immediato.
Indotto dallo stesso Agostino, Orosio, scrittore spagnolo, nel 417/18, scrisse i sette
libri delle Historiae adversus paganos 124, opera apologetica anch'essa, nella quale
l'autore intende completare il De Civitate Dei, e dimostrare cos nei particolari che il
mondo precristiano aveva sofferto ancor di pi di quanto non soffrisse l'umanit di allora
sotto le guerre e la miseria. Quindi la religione cristiana non poteva essere incolpata delle
tribolazioni che i contemporanei soffrivano.
A questo scopo Orosio riassume la storia del mondo da Adamo fino al 417,
dividendola, sullo schema di Daniele 7, in quattro periodi.
L'opera ha valore proprio e soltanto per gli ultimi quarant'anni. Nonostante il suo
carattere retorico, rappresenta una storiografia considerevole, tanto apprezzata durante
tutto il Medioevo.
Con uno spirito simile, Salviano di Marsiglia (+ dopo il 480) scrisse verso il 440 gli
otto libri del De gubernatione Dei, opera importante per la conoscenza dei tempi delle
invasioni barbariche. Per provare che Dio non ha abbandonato il mondo, Salviano mette
in evidenza che la giustizia punitiva di Dio non limitata al giudizzio finale, ma si
dimostra in tutta la storia. Descrive perci le condizioni miserabili dei cattolici e scusa
nello stesso tempo i barbari. Il declino dell'Impero appare dunque come giudizio divino
121 Vedi GUY, MARROU, MADEC, VAN OORT, STUDER.
122 Secondo l`opinione del Van Oort, condivisa da Madec, Agostino intendeva fare nel civ. una catechesi, cio promuovere
la conversione degli intellettuali pagani del suo tempo.
123 MEINHOLD, cit., 159-163.
124 QUASTEN, III., 469.
70
ben meritato, prova della Provvidenza di Dio. Salviano, con tutto ci, mostra di aver
indovinato l'importanza storica del mondo germanico125.
IV. La Agiografia cristiana.
Introduzione
Come dimostrano Sozomeno e Teodoreto, ma anche Sulpicio Severo ed altri, gli autori
del secolo V erano consapevoli della necessit di completare la storiografia ecclesiastica
con l'agiografia. Questa rappresenta comunque una parte singolare della storiografia
ecclesiastica antica (126).
Pur essendo scritta per l'edificazione spirituale, essa costituisce nondimeno una fonte
storica insostituibile per la nostra conoscenza della vita interiore delle comunit cristiane
di allora. Proprio avendo lo scopo di suscitare l'imitazione dei santi, di incoraggiare i
fedeli alla perseveranza per mezzo dell'esempio dei martiri e dei monaci, di condurre
forse anche ad un esame di coscienza, l'agiografia di quel tempo deve essere considerata
come espressione letteraria di quello che la Chiesa intendeva essere, non meno che tutta
la storiografia ecclesiastica.
Questa parte della storiografia cristiana merita pure un interesse speciale, poich in essa
appare nettamente in che misura la letteratura cristiana antica sia stata influenzata dalla
letteratura profana contemporanea. In essa infatti ritroviamo i generi biografici degli
antichi: l'Enkomion, il Bios, e anche gli ideali, come del Theios anr, o del saggio, cio le
aspirazioni antiche si riflettono chiaramente in questo campo storiografico.
A. La testimonianza dei martiri
Gi nei primi tempi della Chiesa, dal 150 fino al 350, sono stati composti gli Acta
Martyrum o Martyria 127. Questi scritti riferiscono generalmente in modo oggettivo e
documentato sulla fine dei martiri. Non si interessano della loro vita precedente, ma sono
della loro testimonianza suprema, forse anche in vista del culto al luogo e alla data
tradizionali.
Dal secolo IV in poi, appaiono le Leggende dei Martiri (passiones). Si tratta di una
letteratura simile a quella degli apocrifi del NT. Questi altri scritti, nei quali a volte
neppure i personaggi descritti e i loro nomi hanno valore storico, danno molta
importanza ai miracoli, alla descrizione della crudelt della morte, alle visioni, eccetera.
Di questo genere piuttosto leggendario sono anche gli scritti e le omelie sul martirio
che risalgono alla prima met del secolo V. Ricordiamo come esempio la Passio
Agauniensium martyrum composta da Eucherio di Lione (+ 450/455) 128, o le forme
diverse della leggenda di San Giorgio129.
Notiamo pure fra i cosiddetti martirologi, i cataloghi delle feste dei martiri. Ve ne sono
due famosi: il Martirologium Syriacum, scritto prima del 400 da un ariano greco, e
conservato solo in un manoscritto siriaco del 411/12, e il Martyrologium
Hieronymianum, composto verso il 450, sulla base di cataloghi romani ed italiani
precedenti130.
B. La vita dei monaci e dei santi131
L'esperienza storica delle comunit cristiane non si riferisce solo alla testimonianza dei
martiri, ma anche alla vita della fede quotidiana, dapprima dei monaci, poi di uomini e di
71
donne eminenti. La biografia cristiana si sviluppata seguendo gli influssi della biografia
antica. Tuttavia deve la sua origine piuttosto all'esperienza propria dei cristiani.
Se si interessa in un primo momento dei monaci, ci avviene poich questi venivano
considerati come i successori dei martiri, come martiri senza sangue o martiri della
coscienza, come quelli che secondo l'esempio degli apostoli avevano condotto la lotta
contro i demoni e le eresie. Pi tardi, l'interesse della biografia cristiana si esteso a tutti
i cristiani esemplari, uomini o donne.
Le biografie intendono meno presentare gli avvenimenti storici, quanto piuttosto di
edificarecon gli esempi dei santi. Cos la biografia cristiana insiste su certi motivi: la lotta
ascetica, la comunione con gli angeli, la fede ortodossa, e prende pertanto facilmente i
tratti della leggenda. Modello della biografia cristiana la Vita Antonii.
Nel nostro periodo questa letteratura biografica stata molto fiorente. Ricordiamo gli
scritti monastici: Historia Lausiaca, pubblicata verso il 420 da Palladius e Historia
monachorum", anonima, tradotta in latino da Rufino (132).
Anche autori rinomati ci hanno lasciato biografie di santi: Girolamo (scritti pubblicati in
parte ancora nel secolo IV), Paolino di Nola (sotto forma di lettere), Sulpicio Severo (la
Vita Martini), Teodoreto ("Storia dell'amore di Dio") 133.
C. La vita dei santi vescovi
Nella biografia cristiana la presentazine dei santi vescovi prende un posto eminente.
Sono biografie che naturalmente hanno molto in comune con la Vita dei martiri e dei
santi: lo scopo parenetico, i tratti leggendari, la caratteristiche letterarie antiche, eccetera.
Meritano interesse perch presentano i vescovi come uomini della Chiesa e della retta
fede.
Sono anch'esse una fonte privilegiata per la storia della letteratura cristiana antica. Non
ci forniscono molte notizie sugli autori cristiani, ma ci danno qualche idea di quello che
gli stessi coetanei pensavano dei loro vescovi e dottori. Questo tipo di biografia risale al
III secolo, con le biografie di Cipriano e di Gregorio il Taumaturgo.
Nel secolo V una serie di biografie famose ha visto la luce: la vita di Crisostomo, scritta
nel 408 da Palladio134; la vita di Ambrogio, scritta da Paolino di Milano135; la vita di
Agostino , redatta da Possidonius, con un elenco delle sue opere 136.
Da aggiungere a queste vite il De viris illustribus di Girolamo137.
D. La poesia agiografica
L'agiografia cristiana ha trovato anche una espressione poetica, riuscita bene
particolarmente nella prima met del secolo V138. Dal punto di vista biografico le opere in
questione si distinguono poco dagli altri generi della biografia cristiana, poich condivide
con loro gli ideali spirituali e i tratti leggendari. Sotto l'aspetto di espressione letteraria
attestano in modo particolarmente eloquente la simbiosi avvenuta nel nostro periodo fra
cristianesimo e antichit.
Il rappresentante pi noto di questa agiografia poetica Prudenzio139. Morto dopo il
405 a Roma, compose otto libri di poesie. Quello sulle "Corone" (Peristephanon) esalta
la morte vittoriosa dei martiri spagnoli e romani (Vincenzo, Ippolito, Lorenzo e anche
Cirpirano). Ha avuto un grande influsso sull'agiografia e sulla iconografia posteriore.
Paolino da Nola dedic a San Felice i Carmina natalitia140.
132) Ed. critica a cura di E.Schulz-Flgel, Berlin 1990.
133 Vedi MEINHOLD, cit., 143 ss.
134 QUASTEN, II., 181 ss.
135 ALTANER, paragr. 97.
136 Ibidem, paragr. 102.
137 Ibidem, paragr. 2.
138 Vedi ALTANER, paragr. 101; QUASTEN, III., 243-321.
139 QUASTEN, III., 267-281. Vedi anche
PILLINGER, R., Die 'Tituli Historiarum', Wien 1980.
140 Vedi QUASTEN, III., 285-289.
72
SOMMARIO
O. LA TEMATICA DEL CORSO.
...................................................................................................................
1
A. L'IMPOSTAZIONE GENERALE DEL CORSO.
.......................................................................................................
1
1. Descrizione.
............................................................................................
1
2. Divisione o presentazione analitica dei temi principali.
............................................................................................
1
3. Il carattere ausiliare del corso: iniziazione allo studio
degli autori cristiani del secolo quinto.
141 Vedi QUASTEN, III., 529-532, con bibliografia ampia. Da completare con WILKINSON, J., Egeria's Travels, London
1971; STAOWIEYSKI, M., Bibliografia egeriana: Aug 19 (1979) 297-318; ALW, 23 (1981)10-15; MARAVAL, P., Egrie.
Journal de voyage = SChr 298, Paris 1982.
142 Vedi H.DORNER; Pilgerfahrt ins Heilige Land. Die ltesten Berichte christlicher Palstinapilger (1.-7.Jh.), Stuttgart
1979.
73
............................................................................................
1
B. L'articolazione del corso rispetto ad altre discipline (ad
modum exclusionis).
.......................................................................................................
1
C. I limiti cronologici e geografici.
.......................................................................................................
2
PARTE PRIMA: LA SITUAZIONE "ESTERNA" DELLE CHIESE NEL
SECOLO QUINTO................................................................................................................
2
1. Introduzione
...................................................................................................................
2
1. I diversi approcci possibili.
.......................................................................................................
2
2. Osservazioni preliminari sull'Antichit tardiva.
.......................................................................................................
2
2. Le condizioni politiche.
...................................................................................................................
3
I. La divisione dell'Impero Romano
.......................................................................................................
3
II. Le invasioni germaniche
.......................................................................................................
3
III. Le conseguenze culturali ed ecclesiastiche
.......................................................................................................
3
3. Le condizioni sociali e culturali.
...................................................................................................................
4
Introduzione.
.......................................................................................................
4
I. La propagazione della fede cristiana
.......................................................................................................
4
II. La reazione pagana
.......................................................................................................
4
III. La cristianizzazione della vita sociale
.......................................................................................................
5
Lettura di un testo di Agostino (de civ. dei 5,25)
.......................................................................................................
5
4. La chiesa e l'impero romano.
74
...................................................................................................................
6
Introduzione.
.......................................................................................................
6
I. La "Chiesa Imperiale"
.......................................................................................................
6
II. La legislazione civile e canonica
.......................................................................................................
7
III. L' ideologia politica della 'Roma aeterna'
.......................................................................................................
7
CONCLUSIONI GENERALI DELLA PRIMA PARTE
.......................................................................................................
7
1. Necessit di una apologetica anti-pagana.
............................................................................................
8
2. Necessit di una predicazione morale.
............................................................................................
8
3. Necessit di fornire una educazione cristiana.
............................................................................................
8
4. L'impregnazione culturale ed ideologica.
............................................................................................
8
5. I contatti ridotti fra Oriente e Occidente.
............................................................................................
8
PARTE SECONDA: LA SITUAZIONE "INTERNA" DELLE CHIESE NEL
SECOLO QUINTO................................................................................................................
8
Introduzione
...................................................................................................................
8
5. L'ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA LOCALE NEL SECOLO
QUINTO
...................................................................................................................
8
I. LA CHIESA DEL VESCOVO.
.......................................................................................................
9
A. Il principio dell'unico vescovo
............................................................................................
9
B. La conferma della legislazione canonica
............................................................................................
9
II. IL CLERO DELLA CHIESA LOCALE
75
.......................................................................................................
10
III. IL POPOLO DEI FEDELI
.......................................................................................................
11
IV. LA PROPRIETA' MATERIALE DELLE COMUNITA'
LOCALI
.......................................................................................................
11
CONCLUSIONI
.......................................................................................................
11
6. I RAPPORTI TRA LE CHIESE
...................................................................................................................
12
I. I nuovi fatti del secolo quinto
.......................................................................................................
12
A. La formazione dei cinque "Patriarcati" o delle Chiese
regionali
............................................................................................
12
B. Lo sviluppo del diritto sinodale
............................................................................................
12
C. Il Primato del Vescovo di Roma.
............................................................................................
12
II. La riflessione teologica sulla communio fidei
.......................................................................................................
13
III. La valutazione storica
.......................................................................................................
13
A. Un certo "patriottismo romano"
............................................................................................
13
B. La ricerca di un appoggio esterno.
............................................................................................
13
C. L'influsso delle grandi personalit.
............................................................................................
14
D. La questione particolare del Primato Romano
............................................................................................
14
CONCLUSIONI
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14
7. LA VITA LITURGICA DELLE CHIESE DEL SECOLO QUINTO
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76
BIBLIOGRAFIA
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37
INTRODUZIONE
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37
I. Il contesto storico della esegesi di Agostino
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37
1. La crisi
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38
2. La conversione
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38
3. Il ministero sacerdotale
............................................................................................
38
4. Il ministero episcopale
............................................................................................
38
II. Le fonti
.......................................................................................................
38
A. Formazione retorica
............................................................................................
38
A1. Esame del testo di Agostino
dall'ep.140,25,62.
................................................................................
39
B. Lo sfondo neoplatonico
............................................................................................
39
C. La Tradizione cristiana
............................................................................................
40
III. Le linee direttrici dell' esegesi agostiniana
.......................................................................................................
41
IV. Valutazione conclusiva dell' esegesi agostiniana
.......................................................................................................
42
[16. LA STORIOGRAFIA CRISTIANA
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43
Introduzione
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43
I. Le cronache cristiane della storia del mondo.
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43
80
81